Giustizia: nelle carceri ancora suicidi, risse e aggressioni, agenti in stato di agitazione Redattore Sociale, 16 gennaio 2012 Nel 2012 già nove agenti aggrediti, tre suicidi di detenuti e sei tentativi, due evasioni. Capece (Sappe): “Non può ricadere sul Corpo di Polizia penitenziaria l’incapacità politica e quella istituzionale del Dap” È iniziato male il 2012 nelle carceri italiane. In15 giorni ci sono state nove aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria, tre suicidi di detenuti e sei tentativi di togliersi la vita, due evasioni. È quanto denuncia il Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria (Sappe), che ha proclamato lo stato di agitazione degli agenti. Gli ultimi due episodi sono avvenuti, nelle ultime 24 ore, a Bollate-Milano, dove una detenuta ha aggredito un’agente che è finita all’ospedale Sacco, e a Torino, dove un detenuto italiano ha tentato di suicidarsi. “Questi gravi episodi devono fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema, rispetto alle quali è assolutamente necessario una riforma organica e strutturale - afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe. Ma la sistematica periodicità con cui avvengono impone una ferma presa di posizione, che allo stato manca. Per questo abbiamo proclamato lo stato d’agitazione del Corpo di Polizia penitenziaria: perché non può certo ricadere solo ed esclusivamente sulle donne e gli uomini del Corpo l’incapacità politica e quella istituzionale del Dap a fare fronte alle criticità ed alle problematiche del carcere in Italia”. Le aggressioni agli agenti sono avvenuti negli istituti penitenziari di Foggia, Saluzzo, Lucca, Porto Azzurro, Bologna, due risse a Como e una nel minorile di Firenze (con sei agenti intossicati). I suicidi a Torino, Como, Potenza, Porto Azzurro, Foggia, mentre detenuti sono riusciti a togliersi la vita a Genova, Firenze ed Augusta. Secondo il Sappe nel 2010 i detenuti hanno compiuto 5.703 atti di autolesionismo (263 dei quali da donne) e 1.137 tentativi di suicidio. Le morti per cause naturali in carcere sono state 108 e 55 i suicidi, 3.039 i ferimenti. Per protesta ben 6.626 detenuti hanno fatto lo sciopero della fame, 1.553 hanno rifiutato il vitto. L’esasperazione ha poi portato 1.289 detenuti a forme di protesta violente con danneggiamento o incendio di beni dell’Amministrazione penitenziaria. Gli evasi sono stati 15, 41 a seguito di mancato rientro in carcere dopo aver fruito di permessi di necessità e di permessi premio, 3 che non sono rientrati da lavoro all’esterno e 12 dalla semilibertà. Più alto il numero degli internati evasi, 68. Ci sono state anche proteste collettive. In 27 casi si è trattato di scioperi della fame che hanno coinvolto 550 detenuti, 125 casi di rifiuto del vitto a cui hanno partecipato 14.632 ristretti, ben 180 casi di percussione rumorosa sui cancelli e le inferriate delle celle (la cosiddetta battitura) con 36.641 detenuti coinvolti. Giustizia: chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, domani l’emendamento in aula Redattore Sociale, 16 gennaio 2012 Dopo l’approvazione del testo in commissione Giustizia, il 17 e 18 la discussione del decreto legge sulle carceri. In base all’emendamento, chiusura entro il 31 marzo 2013, previo trasferimento di competenze al Ssn. 11 milioni di euro la spesa prevista Sarà discussa domani e mercoledì l’emendamento per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, approvato giovedì scorso all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato. Si tratta di un emendamento al decreto legge sullo svuotamento delle carceri, che ricalca quasi alla lettera il disegno di legge della commissione di inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senator Ignazio Marino, che insieme al relatore Alberto Maritati, ha presentato il testo di modifica. Ci sono buone speranze che l’emendamento sarà approvato, visto il parere positivo già espresso dal ministro Severino. Qualche perplessità, soprattutto rispetto ai tempi previsti per la chiusura degli Opg - fissata per il 31 marzo 2013 - è stata invece espressa dal ministro Balduzzi. “Ciò che dispiace - dichiara Marino - è soprattutto che il governo non si sia espresso e abbia fatto mancare la sua adesione al testo, tuttavia auspico che l’esecutivo esprima un forte e dichiarato appoggio in aula”. Oltre alla chiusura degli Opg entro il 31 marzo 2013, l’emendamento fissa al 1 febbraio dello stesso anno il termine per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni, dei rapporti di lavoro e delle risorse relative alla sanità penitenziaria. Entro la stessa data, dovrà essere concluso un accordo tra ciascuna regione e la relativa amministrazione penitenziaria, in cui siano individuate le strutture sostitutive, siano definite le competenze per la gestione di queste e siano istituiti presidi di sicurezza e vigilanza esterni ai reparti. Dalla vendita delle strutture che attualmente ospitano gli Opg si ricaveranno risorse da destinare alla realizzazione delle strutture residenziali riabilitative, che in parte copriranno le spese previste per la realizzazione di quanto previsto dall’emendamento: un costo complessivo di 7 milioni di euro per il 2012 e i 4 milioni per il 2013, che andrà coperto anche tramite i “Fondi speciali di riserva” previsti per il 2012-2014. Resta da vedere cosa accadrà per le strutture di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto, il cui decreto di sequestro scade il prossimo 26 gennaio. Giustizia: bambini e mamme fuori dal carcere… appello alle donne ministro Redattore Sociale, 16 gennaio 2012 Madri per Roma Città Aperta e Museo storico della Liberazione chiedono ai ministri Cancellieri e Severino case famiglia che sostituiscano le carceri per le madri con figli. Sono quasi tutte rom le circa 70 mamme con bambini dietro le sbarre. Nessun bambino e nessuna madre in Italia siano più dietro le sbarre, come indica la risoluzione del Parlamento Europeo Resolution onsocio-labour reinsertion of female ex prisoners: lo chiedono ai ministri donne del governo Monti Anna Maria Cancellieri (Interni) e Paola Severino (Giustizia), l’associazione “Madri per Roma Città Aperta” e il Museo storico della Liberazione che, per lanciare questo appello, hanno organizzato sabato 14 gennaio al Museo storico della Liberazione a Roma, l’incontro pubblico “Prima le donne e i bambini: maternità e infanzia negate dietro le sbarre”. “Sono poco più di 60 le mamme di bambini di etàinferiore ai 3 anni, oggi internate in Italia con i loro figli, che risultano essere 70, mentre le detenute in stato di gravidanza oscillano tra le 20 e le30 unità”, informa l’appello, “la legge consente alle madri di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni, ma il carcere, anche nelle strutture in cui sono state realizzate sezioni nido, rimane un luogo incompatibile con le esigenze di relazione tra madre e figlio e di un corretto sviluppo psico-fisico del bambino stesso”. Le associazioni concludono chiedendo che si attui in Italia la mozione del Parlamento Europeo che indicala necessità di “promuovere misure alternative e sostitutive alla detenzione, in particolare per donne con bambini”. “Oggi il magistrato può decidere se concedere gli arresti domiciliari oppure la detenzione in casa famiglia - spiega Lalla Balzametti delle Madri per Roma Città Aperta - tuttavia i domiciliari non sono spesso possibili per le donne rom, mentre di case famiglia per detenute c’è n’è solo una a Milano”. “Chiediamo che si intervenga investendo in strutture dedicate per queste 60-70 madri con bambini che sono oggi ,dietro le sbarre, anche perché la detenzione di donne con figli in carcere ha un costo”. La situazione delle madri in carcere è stata illustrata dal video-reportage “Il carcere sotto i tre anni di vita” di Luisa Betti,che riporta interviste a donne che vivono in carcere con i loro figli, non avendo potuto usufruire della detenzione domiciliare: si tratta principalmente di donne rom, alcune delle quali dichiarano di aver ricevuto fino a pene di 10 o 12 anni di detenzione per recidiva in furto. Secondo Silvia Girotti, dell’Associazione Volontari in Carcere (Avoc), spiega come secondo molti studi, particolari disagi si possono vedere nello sviluppo cognitivo e linguistico dei bambini in carcere, che risulta ritardato poiché “il carcere è un’ambiente con scarsi stimoli: i bambini imparano poche parole, prediligono una comunicazione gestuale e la socializzazione, così importante nei primi anni di vita, è ridotta al minimo”. L’ultima legge che ha affrontato il tema della maternità in carcere risale a meno di un anno fa (Legge n. 62, 21 aprile 2011): essa allunga a 6 anni di età del figlio, il periodo in cui la donna non dovrà essere detenuta in carcere, salvo “esigenze di eccezionale rilevanza” e concede al direttore del carcere la possibilità di dare il permesso di visitare i figli malati in casi urgenti. Tuttavia, sottolineano le associazioni anche con questa legge “la tutela dei diritti del bambino viene sacrificata alla sicurezza della collettività”. Per adesioni all’appello: madrixromacittaperta@libero.it. (Ludovica Jona) Giustizia: Poretti (Radicali); sì all’amnistia, no a “soluzioni tampone” Ansa, 16 gennaio 2012 “Per le carceri e la situazione della giustizia più generale è necessaria un’amnistia. Al Senato c’è il decreto sfolla carceri del ministro Severino che andrà in aula martedì, e nell’occasione non si potrà che prendere atto che la situazione in Italia è di assoluta illegalità. Di fronte a questo i pannicelli caldi come due mesi in più agli arresti domiciliari sono solo delle misure tampone e servono misure più forti per azzerare la situazione”. Lo ha detto il senatore radicale, eletto nel Pd, Donatella Poretti, a margine del congresso annuale dell’associazione radicale Andrea Tamburi di Firenze. Secondo Poretti con l’amnistia “si andrebbe a togliere l’ingolfamento sui tavoli dei magistrati e andremmo a incidere sui nuovi ingressi nelle carceri che sono sovraffollate. Inoltre l’amnistia è solitamente accompagnata da un atto di indulto”. Domattina, è stato ricordato, una delegazione radicale guidata dal senatore Marco Perduca visiterà il carcere di Solliccianino, dove sono rinchiusi i detenuti più giovani, e sarà impegnato in un sopralluogo nella caserma della polizia penitenziaria all’interno dell’istituto fiorentino di pena di Sollicciano. Giustizia: Anfu; operare per la deflazione delle carceri, no a impedimenti strumentali Adnkronos, 16 gennaio 2012 “Occorre operare nella direzione della deflazione delle carceri, affinché siano ripristinate condizioni di vivibilità degne di un Paese civile, che non possono essere ostacolate da difese corporative”. È quanto afferma il segretario dell’Anfu, associazione nazionale funzionari di polizia penitenziaria, Luca Pasqualoni a proposito del decreto legge in fase di conversione sugli interventi urgenti sul sovraffollamento penitenziario. Osserva l’Anfu: “Gesti estremi sono quasi sempre oggetto di successivi moralismi di circostanza e talvolta di indagini penali rispondenti alla logica del capro espiatorio, dal momento che la conclamata e proclamata crisi della detenzione è sistemica. Occorre che ognuno contribuisca, per quanto di competenza, a rendere la condizione detentiva ragionevole, senza strumentali impedimenti che hanno come unico effetto quello di trasformare il carcere in un ricettacolo delle deficienze del sistema e, quindi, di trasformare le realtà carcerarie in una discarica sociale”. Giustizia: Uil; di carcere si muore, fate presto contro sovraffollamento e degrado di Raffaele Gambari Affari Italiani, 16 gennaio 2012 Il detenuto che lo ha più colpito è stato l’ex terrorista dei Nar Giusva Fioravanti: “Mai uno scatto d’ira, sempre un comportamento di rispetto verso noi agenti”. Ne ha visti tanti di detenuti di spicco Daniele Nicastrini, assistente capo del Corpo di Polizia Penitenziaria, coordinatore regionale della Uil Penitenziari del Lazio, 46 anni, di Roma, da 28 in servizio nel carcere romano di Rebibbia, dove entrò il 21 dicembre del 1983, pochi giorni prima della visita di papa Giovanni Paolo II al suo attentatore Alì Agca. Ad Affari Italiani questo sindacalista “figlio d’arte”, che ha visto passare nel carcere di Rebibbia terroristi di destra e di sinistra, mafiosi, camorristi, piduisti come Pazienza o esponenti della Banda della Magliana, racconta cosa sta succedendo a Regina Coeli e a Rebibbia, dove ormai i detenuti stranieri sono quasi la maggioranza e dove la criminalità romana, che li usa all’esterno come manovalanza, sta rischiando di perdere la sua egemonia. “Il carcere non dà vita, non dà speranza, dà morte”, dice nella trentottesima puntata della rubrica “La Roma che verrà” di Raffaele Gambari e propone anche cosa fare contro il sovraffollamento e il degrado delle carceri romane, dove vivono oltre 6.500 detenuti, 1.800 in più dei posti disponibili. Dice la sua sulle misure svuota-carceri del ministro Paola Severino - “una soluzione immediata ma poco efficace” - ed è convinto che per reati non gravi si possano percorrere strade alternative al carcere. “Perché decongestionare il pianeta carcere aiuta tutti noi ad operare per sorvegliare i veri cattivi del pianeta Italia”. E parla anche dei suicidi di colleghi e detenuti. Il 2011 si è chiuso nelle carceri romane prima con la visita a Rebibbia di papa Benedetto XVI il 18 dicembre e a Natale con quella a Regina Coeli di una delegazione di parlamentari radicali e del Pd guidata da Marco Pannella. Queste due carceri sono segnate dal sovraffollamento e dal degrado, che, secondo il pontefice, “possono rendere ancora più amara la detenzione”, che diventa così una “doppia pena”. “L’attuale Santo Padre e soprattutto Papa Woytila hanno espresso in più occasioni la necessità di consegnare all’umanità l’espiazione della pena, riconducendo il reo sulla giusta strada. Invece con l’attuale situazione la pena è stata raddoppiata. Anche con i radicali abbiamo cercato di far comprendere a chi ha il potere decisionale (il parlamento) che erano e sono tutt’ora necessari interventi urgenti e senza attendere un attimo in più. Gli spazi per 45 mila reclusi sono occupati oggi in Italia da circa 69 mila detenuti. Questo è un dato che non può lasciare dubbi su cosa fare con urgenza”. Cosa pensa delle misure “svuota-carceri” proposte dal ministro Paola Severino e di un’eventuale amnistia? Le carceri romane e laziali davvero si svuoterebbero? “Personalmente ritengo che l’amnistia non risolverebbe il problema nel tempo, ma solamente nell’immediato, quindi necessaria per la situazione in cui oggi si vive. Ritengo invece necessario che per coloro che commettono reati che non abbiano fattori importanti di rilevanza e che non investano casi gravi (omicidio, mafia, rapine) e con una pena al di sotto dei 3 anni, prevedere una condanna più in linea con i principi della civiltà moderna, come recuperi nel sociale, fornendo un servizio alla collettività, risarcendo in qualche modo l’eventuale maltolto o il danno provocato. Credo che in questo caso molti dei reati svanirebbero. Invece l’intervento sul sovraffollamento del ministro Severino è una soluzione immediata ma poco efficace, visto che interviene per circa 4000 persone detenute in Italia, che comunque non hanno più rilevanza di pericolo nella società, avendo estinto quasi totalmente la pena. Comunque servono anche interventi seri quando si esce dal carcere, perché se non si rientra nella società tramite un lavoro, un reddito, si rischia, come quasi sempre accade, di rivedere le stesse facce dopo qualche settimana o mese dietro le sbarre”. Come è cambiato a Roma il popolo delle carceri? C’era una volta una vecchia canzone che diceva che non era un vero romano chi non saliva i tre gradini di via della Lungara e i detenuti erano l’espressione della malavita capitolina, mentre ora poco ci manca che la maggioranza sia fatta di stranieri. Questo mondo è lo specchio di una città che è cambiata e come; c’è qualcosa che sta mutando e non ce ne accorgiamo? “Il carcere ha cambiato la propria vita quotidiana, perché anche grazie ad alcuni interventi fatti dal legislatore, il sistema esterno tramite il volontariato, gli enti locali e territoriali, è stato permesso un mutamento in positivo in ambito di socializzazione e dialogo costruttivo. Prima degli Anni 90 ho vissuto un carcere formato quasi totalmente da cittadini italiani e qualche europeo dopo di ché con i primi flussi migratori anche il carcere è cambiato e dagli esponenti della malavita capitolina siamo passati a quelli extracomunitari fino a veder scomparire del tutto la presenza romana. Ora il 45% dei detenuti è composto da persone provenienti dai vari paesi del mondo. Questo però vuol dire una cosa: non è che la malavita romana sia scomparsa; ha sostituito i suoi manovali del crimine; ha cominciato a fare affari con organizzazioni criminali di varie etnie per i propri cospicui interessi sporcandosi poco le mani. Certamente il rischio per la malavita capitolina è che cambi l’egemonia all’interno del carcere composto da tanti stranieri disposti a tutto, e prenda il sopravvento sui suoi interessi e si possa vivere nel breve tempo qualche cosa che alla luce dei tanti fatti di cronaca degli ultimi tempi sembra già iniziato”. Si parla tanto delle condizioni di vita dei detenuti, poco secondo me di quelle degli agenti penitenziari. Quest’anno un ispettore capo in servizio a Regina Coeli si è ucciso, un altro suo collega è morto in seguito ad un infortunio sul lavoro nel reparto protetto per detenuti dell’ospedale Sandro Pertini. Quanto influiscono le condizioni di degrado e di sovraffollamento degli istituti carcerari sul vostro lavoro? E poi c’è la questione suicidi, tornata alla ribalta con i casi di questi giorni. “Di carcere si muore. Si muore per la solitudine in cui vivono i reclusi, in maggioranza persone sconosciute alla collettività, ma che per vari motivi decidono, per una media di 900 casi annui, di tentare il suicidio. Proprio grazie alla capacità dei miei colleghi in quasi il 96% dei casi riusciamo ad intervenire in tempo, mentre per circa 60 casi annui siamo arrivati tardi. Questo avviene, devo dire con onestà, non solo per motivi di degrado, che esiste, non per motivi di sovraffollamento record della storia carceraria, che esiste, non solo perché non è semplice stare dietro a tanti umori delle persone recluse, ma perché soprattutto sarebbe necessario avere qualche agente in più nelle sezioni detentive mentre attualmente abbiamo in Italia un organico al di sotto di circa 7.000 unità, 977 nel Lazio a fronte di 3.159 agenti presenti. La questione suicidi riguarda anche noi agenti, fatto che sta mettendo in rilievo la necessità di interventi anche da parte dell’amministrazione penitenziaria. Un ispettore si è tolto la vita poche settimane fa a Regina Coeli, un altro bravo ragazzo si è ucciso alcuni mesi fa a Viterbo, come altri che hanno deciso di fare altrettanto. In tutti i casi non c’è stato nessuno di noi che ha avuto il sentore di cosa stesse accadendo. Ne ho conosciuti di amici colleghi che hanno voluto andare via e devo dire che erano ragazzi stupendi e li ricorderò sempre. Invece purtroppo per il mio amico Salvatore Corrias un cancello mal funzionante non gli ha lasciato scampo e lo ricordiamo tutti noi colleghi come uomo di grande capacità professionale e di alta onestà”. A chiudere, cosa si può fare nell’immediato per migliorare le condizioni delle carceri romane e laziali? “Devo dire che si può fare poco perché personalmente non ritengo capaci gli organi preposti. Non sono in grado di conoscere la realtà, c’è molta improvvisazione e anche poca praticità nel comprendere che il carcere non dovrebbe avere più di 200 posti letto, che c’è la necessità di organici di polizia penitenziaria, di educatori, di una sanità penitenziaria adeguata ad un paese che si dovrebbe riconoscere nell’articolo 27 della Costituzione. Purtroppo una dimostrazione di questa situazione è il nuovo carcere di Rieti aperto nel 2009 per 400 posti, attualmente occupato da 130 detenuti, con circa 90 agenti penitenziari e una sanità penitenziaria che non può gestire più di 150 detenuti. Per costruirlo sono stati spesi circa 47 milioni di euro. Servono interventi che riequilibrino la vivibilità penitenziaria, riducendo l’uso del carcere ai soli reati di criminalità organizzata, omicidi, rapine e quelli che mettono a rischio la sicurezza della collettività. Bisogna evitare la detenzione di persone in possesso di un semplice spinello o che hanno infranto qualche regola, risolvendo con l’obbligo di prestare un lavoro socialmente utile. Decongestionare il pianeta carcere aiuta tutti noi ad operare per sorvegliare il vero male del pianeta Italia”. Giustizia: Adriano Sofri è libero, fine pena dopo 22 anni La Repubblica, 16 gennaio 2012 Adriano Sofri da oggi è un uomo libero. A 22 anni dalla prima condanna, che lo ha visto imputato e poi condannato definitivamente, con Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, l’ex leader di Lotta Continua ha terminato di pagare il suo conto con la giustizia. Da sempre dichiaratosi estraneo alla vicenda, Sofri da anni era agli arresti domiciliari per motivi di salute e beneficiava di permessi per uscire. Nel 2005, infatti, l’improvvisa rottura dell’esofago lo aveva costretto a subire diversi interventi chirurgici: per questo aveva goduto della sospensione della pena e poi della detenzione domiciliare nella sua casa all’Impruneta, nei pressi di Firenze. “Come sto? Sto a modo mio ha risposto ai cronisti che erano andati a suonare alla sua porta, ma non parlo. Magari tornate fra qualche giorno ma solo per offrirvi un caffè, mi spiace”. Con il fine pena di Sofri si chiude una delle più complesse vicende giudiziarie degli ultimi decenni, un processo durato 12 anni, passato attraverso ben 14 sentenze: mai concessa (nè richiesta dal condannato) la grazia, al centro di numerosi dibattiti politici di questi anni. Il primo arresto di Sofri avviene nel 1988, a ben 16 anni dai fatti contestati (Calabresi viene assassinato il 17 maggio del 1972), a seguito delle confessioni del pentito Salvatore Marino, ex militante di Lotta Continua. Marino chiama in causa Sofri, Bompressi e Pietrostefani, sostiene di essere stato lui a guidare la macchina servita per l’attentato, mentre, a suo dire, a uccidere il commissario fu Bompressi. La responsabilità di Pietrostefani e Sofri, invece, secondo la ricostruzione di Marino, sarebbe di “ordine morale”, ossia quella di “mandatari”. Versione sempre negata dagli imputati, condannati in via definitiva a 22 anni di reclusione, senza mai ottenere la revisione del procedimento. Sofri ha scontato la sua pena, Bompressi ha ottenuto la grazia nel 2006, mentre Pietrostefani è latitante in Francia nel 2002. Piemonte: i Radicali contro Cota; più fondi per le carceri e un garante per i detenuti di Alberto Gaino La Stampa, 16 gennaio 2012 Noi Radicali non siamo buonisti, cerchiamo semplicemente di capire cos’è meglio in un contesto che vede 68 mila cittadini italiani ristretti in carceri che potrebbero ospitarne 42 mila”. Conferenza stampa di Emma Bonino e di altri esponenti del suo partito sull’emergenza carceri. Si rilancia la richiesta di un’amnistia accompagnata sul piano locale dal richiamo a dare attuazione alla legge piemontese che nel 2009 istituì la figura del garante regionale dei detenuti e dalla denuncia dell’”amministrazione Cota che non ha rifinanziato la legge regionale 34/2008 per la promozione concreta del lavoro in carcere e altre forme di sostegno per il reinserimento nella società dei detenuti a fine pena”. A Bruno Mellano è stato affidato il primo affondo nella conferenza stampa di ieri convocata per annunciare l’inizio, da oggi, dello “sciopero della fame ad oltranza di Igor Boni e Salvatore Grizzanti”, rispettivamente presidente e segretario dell’Associazione Adelaide Aglietta. “Perché - ha dichiarato Boni - chiediamo che la Regione nomini il garante e rispristini i finanziamenti al lavoro dei detenuti”. I radicali ritengono che “questo denaro sia ben speso nonostante la crisi economica e le ristrettezze dei bilanci pubblici. Lo dimostrano le statistiche: il 68 per cento di chi ha scontato la pena in cella senza lavorare e vi è uscito privo di mezzi e senza potersi appoggiare ad un progetto di reinserimento è tornato a commettere reati. Chi invece è stato aiutato a reinserirsi è diventato recidivo per il 28 per cento. E chi ha usufruito di pene alternative per il solo 18%”. Il vice presidente del Senato Emma Bonino: “Sono d’accordo sulla politica di differenziare le pene per pericolosità sociale: carceri a sicurezza più e meno attenuata, tutela dei detenuti più giovani rispetto alla violenza dell’ambiente carcerario, pene alternative con una valenza di lavoro socialmente utile. L’intera società ha interesse che si investa in questo settore, come le statistiche dimostrano. Naturalmente si deve mettere mano al sistema giudiziario italiano che ha un costo insostenibile di 9 milioni di processi pendenti (di cui 5 nel penale) e 200 mila prescrizioni di reato l’anno. Non sono una vera e propria amnistia di classe?”. Per l’esponente radicale “le ricadute di questi riflessi profondamente ingiusti sul sistema carcerario si traducono nelle discariche umane che sono diventate ancora di più le carceri italiane, “con un’altissima concentrazione di disperati senza risorse neppure per la loro difesa: tossicodipendenti, malati di Aids, stranieri che scontano tuttora in molti istituti penitenziari gli effetti punitivi della “Bossi-Fini” malgrado non possa più prevedere la detenzione in cella. Per non parlare dei Cie, dove si è ristretti sino a 18 mesi per essere espulsi dall’Italia”. Nel più grande istituto penitenziario del Piemonte, quello torinese, ieri vi erano 1.540 detenuti, un centinaio in meno di 7-8 mesi fa (uno degli effetti: pm e giudici qui applicano da tempo la cancellazione della detenzione con la Bossi-Fini prevista da una direttiva Ue) e comunque un buon terzo in più di quanti potrebbero esservi rinchiusi. Percentuale in linea con quella nazionale. Si pensi, al riguardo, che lo Stato spende ogni giorno per ciascun detenuto 160 euro (fonte Antigone). Ragione di più per investire sul recupero e sulle pene alternative per i reati di non pericolosità sociale. Per i radicali la nomina del garante regionale delle carceri come figura in grado di sollevare i casi di “detenuti dimenticati” e ogni altra stortura è un passo importante. Dice Bonino: “Credo che la vicenda del garante regionale sia un esempio di quella “banalità del male” di cui scrisse Hanna Arendt e di cui parla oggi Marco Pannella per rappresentare la precarissima situazione del diritto in Italia come un percolato che lentamente inquina tutto il territorio. La legge va rispettata. Mi auguro che tanti detenuti piemontesi partecipino al digiuno e trasformino la loro pena in azione politica nonviolenta”. Imperia: detenuto 28enne ritrovato morto in cella, accertamenti sulle cause del decesso Apcom, 16 gennaio 2012 Un detenuto italiano di 28 anni, Fabio Parodi, è stato trovato morto, stamani, nella sua cella che divideva con altri detenuti, all’interno del carcere di Imperia. Era recluso per i reati di furto e detenzione di sostanze stupefacenti. Stando ai primi accertamenti sarebbe deceduto per cause naturali, forse un infarto. Il giovane è stato trova6to privo di vita nel suo letto. A renderlo noto è il sindacato di polizia penitenziaria, Sappe. Il giovane nel 2008 era finito nelle maglie dell’inchiesta “Maracanà” portata a termine dalla polizia con una serie di arresti nel mondo savonese degli stupefacenti. Fabio Parodi, nel 2009, era stato condannato anche per aver derubato il fioraio del cimitero di Zinola. “La notizia della morte di un detenuto italiano nel carcere di Imperia intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. Come a Imperia, realtà comunque difficile come dimostrano anche gli eventi critici avvenuti nel corso del 2010: parliamo di 13 episodi di autolesionismo, di 3 tentati suicidi, 11 soggetti che hanno in essere ferimenti, 12 scioperi della fame e 2 episodi violenti che hanno determinato danneggiamenti di beni dell’Amministrazione Penitenziaria.” È il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri “Questa ennesima morte di un detenuto testimonia ancora una volta la drammaticità della vita nelle carceri italiane” rilancia il Sappe, che rinnova il suo appello alla classe politica del Paese. “A poco o nulla è servita ad oggi la legge approvata sulla detenzione domiciliare, la legge 199 del novembre 2010 (improvvidamente definita svuota carceri), che consente di scontare ai domiciliari pene detentive non superiori a un anno, entrata in vigore il 16 dicembre scorso. Rispetto all’indulto che fece uscire complessivamente e quasi subito circa 35mila persone detenute, ad oggi con la legge sulla detenzione domiciliare sono uscite poco più di 4mila persone dalle oltre 200 carceri italiane e solo 152 in Liguria. Rinnoviamo allora l’auspicio che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri “terribilmente sovraffollate” e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso ed un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio”. Martinelli denunzia per l’ennesima volta le criticità del penitenziario di Imperia: “Mancano in organico circa 30 agenti di Polizia Penitenziaria mentre i detenuti sono costantemente oltre la capienza regolamentare: 100/110 i presenti (il 60% dei quali stranieri) a fronte di 69 posti letto. È dunque necessario intervenire anche incrementando concretamente gli organici dei Baschi Azzurri in servizio nella struttura di Imperia”. Palermo: detenuto di 43 anni muore in una cella dell’Ucciardone, decisa l’autopsia Ansa, 16 gennaio 2012 La Procura indaga sulla morte di un detenuto del carcere Ucciardone. Si tratta di un marocchino di 43 anni, in cella per droga, che venerdì sera si è sentito male dopo cena. Soccorso dalla polizia penitenziaria e trasferito nell’ospedale Civico, l’uomo è deceduto poco dopo. Il sostituto procuratore Francesco Del Bene ha disposto l’autopsia. Napoli: detenuto domiciliare di 32 anni ritrovato morto in strada, forse per overdose Corriere del Mezzogiorno, 16 gennaio 2012 Il cadavere è stato rinvenuto in strada: sul corpo nessun segno di violenza. Sul braccio un foro e vicino al corpo ritrovata una siringa, Doveva trovarsi a Pachino, in provincia di Siracusa, perché detenuto agli arresti domiciliari. Invece un siciliano di 32 anni, Salvatore Mortillo, originario di Noto (Siracusa), è stato trovato morto dai carabinieri oggi lunedì 16 gennaio, alle prime luci dell’alba, in corso Meridionale, a Napoli. Era steso a terra, senza scarpe e senza un giubbotto. Accanto al corpo senza vita una siringa; sul braccio un foro ma nessun segno di violenza. Secondo i carabinieri a causare la morte sarebbe stata un’overdose di droga. Ma sul caso sono in corso indagini da parte delle forze dell’ordine. L’uomo, infatti, era detenuto agli arresti domiciliari a Pachino, in provincia di Siracusa. Roma: Sappe; quella da Regina Coeli è stata un’evasione annunciata Il Velino, 16 gennaio 2012 “Quella dal carcere romano di Regina Coeli è una evasione annunciata con diversi responsabili. Mi riferisco a tutti coloro, a cominciare dai politici di ogni colore, che nulla hanno fatto per porre rimedio alle molte criticità penitenziarie del carcere di Trastevere. Non solo: questa evasione arriva a pochi giorni da quella di Pisa. Servirà a potenziare i sistemi di anti scavalcamento dei penitenziari, spesso fuori uso, e a ripensare davvero il sistema?”. A chiederlo è il segretario generale del Sappe, Donato Capece. Aggiunge Giovanni Passaro, segretario provinciale di Roma del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (il più rappresentativo della categoria con oltre 12mila iscritti), che da diverso tempo ha denunciato la cronica carenza d’organico del Corpo di polizia penitenziaria della struttura capitolina: “La sicurezza dell’istituto penitenziario è inesistente, durante il turno notturno sono in media impiegati 20 poliziotti per assicurare la sicurezza di oltre 1.100 detenuti. In teoria, i detenuti potrebbero evadere dalla porta principale. Per queste ragioni, la segreteria provinciale del Sappe lancia un grido d’allarme, alle più alte autorità dello Stato e all’amministrazione penitenziaria, affinché un immediato ed incisivo intervento ripristini le garanzie minime per il rispetto dei dettami costituzionali. I cittadini devono avere cognizione - conclude Passaro - in quali precarie condizioni di lavoro quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, per altro sotto organico in una struttura fatiscente, assicurano l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale”. Sarno (Uil): telecamere e monitor guasti “Ovviamente un fatto eclatante come l’evasione di Regina Coeli non poteva non destare scalpore e conseguentemente una vasta attenzione mediatica. Purtroppo, nonostante l’impegno profuso, il Corpo di Polizia Penitenziaria è costretto a subire, ancora una volta, gli effetti di un evento di cui ha responsabilità molto residuali”. Lo dice il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, dopo l’evasione portata a termine da due pericolosi detenuti dell’Est Europa, allocati nella seconda sezione del carcere di Via della Lungara “Il lato del carcere dove si è compiuta l’evasione - aggiunge Sarno - non è nel campo visivo delle tre sentinelle attualmente attive a Regina Coeli. Tra l’altro il sistema di video sorveglianza, pur parzialmente funzionante (ma privo di sistema di allarme) non può contare sul personale addetto al controllo dei monitor per l’inattività della sala regia. In ogni caso da agosto una parte dei monitor non è funzionale perché resa inutilizzabile da un guasto”. Per Sarno “queste deficienze tecniche hanno contribuito ad aggravare ancor di più gli effetti della grave carenza organica dei baschi blu. A Regina Coeli dovrebbero essere assegnate, in regime ordinario, 603 unità . Ne risultano assegnate, sulla carta, 593 ma solo 478 sono le unità effettivamente presenti. Ciò determina quel vulnus operativo che più volte abbiamo denunciato insieme alla necessità di rivedere l’organizzazione del lavoro. Chi ha competenze gestionali e politiche faccia autocritica e metta in campo un vero ventaglio di soluzioni per rendere sicure e vivibili le nostre carceri. Per la Uil Penitenziari è il caso che si cominci, prioritariamente, a mettere mano al l’enorme numero di unità impiegate nei palazzi del potere (circa 3.600). Diciamo che qualche portaborse o qualche usciere in meno e qualche agente in più nelle sezioni sarebbe davvero un bel segnale. Nonostante tutto- conclude Sarno - noi non perdiamo la speranza che il Ministro Severino comprenda l’utilità e la necessità di confrontarsi con le rappresentanze degli operatori penitenziari”. Pedica (Idv): Regina Coeli inadatta per i detenuti, è ora di chiudere la struttura. “La fuga avvenuta di due detenuti da Regina Coeli, spettacolare nel suo genere, ci ricorda che bisogna affrontare subito il problema delle carceri. È necessario prima di tutto potenziare il personale interno, costretto a orari disumani, e assicurare i finanziamenti per l’edilizia carceraria. Tra l’altro, durante alcune mie ispezioni nelle carceri italiane, ho potuto verificare che in molti istituti ci sono telecamere non funzionanti. Esistono poi molte strutture vuote, di cui nessuno parla, mentre sarebbe il caso di chiudere il carcere di Regina Coeli, oramai troppo vecchio e inadatto ad ospitare i detenuti. Questa struttura, invece, potrebbe benissimo essere riutilizzata come albergo o come museo. L’episodio di oggi deve anche farci capire che è giunto il momento di aprire un dibattito sull’inutilità della figura del garante dei detenuti e sulla necessità di potenziare il lavoro di recupero del detenuto. Solo l’insegnamento di un mestiere, infatti, può portare chi sta in carcere a crearsi un futuro una volta scontata la pena”. Lo afferma, in una nota, il senatore dell’Idv, Stefano Pedica. Firenze: se l’Opg verrà chiuso Regione pronta ad “accogliere” gli internati non pericolosi Il Tirreno, 16 gennaio 2012 La Regione Toscana è pronta. Se il senatore Ignazio Marino, presidente della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, dopo la visita del 26 gennaio prossimo, dovesse decidere di mettere i sigilli a tutto o a parte dell’Opg, la Regione sarebbe in grado di prendersi gli internati toscani non pericolosi. Con questo status all’interno della villa medicea, ci sono alcune decine di detenuti che dovrebbero essere sistemati in strutture riabilitative psichiatriche. Questa era la richiesta fatta dal senatore attraverso le prescrizioni date a luglio scorso all’amministrazione penitenziaria: l’adeguamento dell’Opg a una struttura che sia in grado di curare queste persone e non solo detenerle come accade ora. Il problema è che la direzione dell’Opg ha già anticipato al senatore che non sarà in grado di attenersi a quanto la commissione parlamentare ha disposto. Dunque cosa accadrà? Il senatore pare intenzionato ad andare avanti con i sequestri, “un atto di estremo rigore per porre fine all’orrore dell’Opg”. Su questa posizione abbiamo chiesto alla Regione se sia o meno pronta alle conseguenze delle prescrizioni che dovrebbero essere inottemperate. “La posizione della Regione è stata sempre netta - spiegano gli assessori alla sanità Daniela Scaramuccia e al welfare Salvatore Allocca - gli ospedali psichiatrici giudiziari devono essere superati e la cura di quei cittadini deve essere in grado di offrire standard sanitari tali da garantire l’efficacia del trattamento ed il rispetto della dignità delle persone”. Per fare questo c’è bisogno “di un percorso con un forte coinvolgimento delle strutture territoriali della salute mentale e di un processo di progressiva restituzione, di coloro che ancora definiamo come “internati” ai loro territori di provenienza”. L’iniziativa portata avanti dalla commissione di inchiesta, per la Regione, ha avuto un ruolo importante nel far emergere con forza la necessità di affrontare il tema scoprendo la condizione inaccettabile vissuta dagli “internati”. La Regione, vanno avanti gli assessori, “non si è però limitata alla sola ricerca di un percorso da condividere con gli altri soggetti coinvolti e si è fortemente impegnata in questi mesi per garantire il massimo numero di dimissioni portando avanti un intenso programma di piani personalizzati che hanno consentito, solo nel 2011, ad 84 pazienti, di cui 28 toscani, di lasciare l’Opg”. A fine gennaio rimarrebbe, però, il problema dei detenuti che sono pericolosi e di quelli non toscani. “Il superamento dell’Opg - concludono gli assessori Scaramuccia e Allocca - resta un obiettivo prioritario che la Regione si è data e, con una delibera di giunta dell’ottobre 2011, sono state varate le linee di indirizzo con una possibile conclusione della fase transitoria di permanenza nel complesso di Montelupo entro la fine del 2012”. Foggia: detenuto colpisce con una bomboletta di gas un agente che gli prestava soccorso Comunicato stampa, 16 gennaio 2012 Colpito con ferocia con una bomboletta di gas da un detenuto che tentava il suicidio inalando gas appartenete al Corpo della Polizia mentre prestava soccorso. Esplosiva anche a Lucera la situazione con 250 detenuti sequestrati alcuni oggetti nelle celle. Sembra non terminare mai l’odissea delle aggressioni nelle carceri pugliesi è di pochi minuti fa la notizia di un urgente ricovero presso il pronto soccorso dell’Ospedale Civile di Foggia di un assistente della Polizia Penitenziaria in servizio nei reparti detentivi del penitenziario di Foggia colpito violentemente sulla testa ed al volto con una bomboletta che i reclusi avrebbero in dotazione nelle stanze, mentre prestava soccorso allo stesso aggressore che cercava con sacchetto contenitore d’immondizia in testa inalava gas. I fatti sarebbero accaduti verso le ore: 14,30 nel nuovo complesso penitenziario definito prima sinistra con una popolazione detenuta di oltre quaranta persone a sorveglianza particolare, in un giro di ispezione maggiorati in queste ore dai gravi fatti di evasione che si registrano nei penitenziari italiani come quello di poche ore fa a Roma Regina Coeli di 2 extracomunitari, assistente di Polizia ha notato in una cella di quattro persone che uno di questi appartatosi nel bagno era coperto il capo con una busta in plastica consegnate dall’amministrazione per contenere rifiuti solidi, che cercava di inalare gas dalla bomboletta, l’odore nauseante del gas sprigionato nella stanza faceva pensare ad un gesto inconsulto del recluso o ad un tentativo di suicidio. Immediatamente il poliziotto ha chiamato rinforzi ma è entrato da solo nella cella è stato aggredito violentemente dal recluso, stesso personaggio che lo scorso 3 settembre avrebbe aggredito mandando in ospedale altri due poliziotti per le stesse motivazioni, ma che ancora oggi il recluso sarebbe mantenuto nel medesimo istituto dalle competenti Autorità del Provveditorato e Ministero. Trattasi del detenuto G. L. nativo di Gallipoli (Le), in carcere in espiazione di condanna definitiva per furto e reati contro il patrimonio. Foggia è un Penitenziario che potrebbe ospitare regolarmente solo 371 detenuti di cui 21 donne mentre ad oggi la conta sarebbe di 755 reclusi di cui 46 donne. La forza di polizia è di 310 unità nei quattro quadranti compreso Nucleo Traduzioni e piantonamenti, un Penitenziario come i restanti 10 della Puglia in sotto organico di 80 unità come segnalato dall’Osapp nella manifestazione del 5 settembre scorso fuori dai cancelli a Foggia. I penitenziari foggiani tra cui quello di Lucera in questi giorni sono al centro dell’attenzione, proprio quest’ultimo con capienza di 135 regolamentari posto letto ne contiene 250 detenuti si sarebbero resi responsabili di proteste e sbattitura sulle inferriate per il sovraffollamento ma risulterebbero essere state sequestrate alcuni oggetti non consentiti dalla legge. Servono rinforzi nelle carceri, basta con raccomandati, auto blu e servizi d’ufficio, Osapp chiede ancora una volta responsabilità su chi è deputato alle soluzioni mentre continua a mantenere la testa sotto la sabbia! Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Catania: interrogazione di Rita Bernardini sulla situazione del carcere di Piazza Lanza Ansa, 16 gennaio 2012 In una interrogazione parlamentare che fa seguito alla visita del 31 dicembre scorso nel carcere di Piazza Lanza a Catania, la deputata radicale Rita Bernardini ha chiesto al ministro della Giustizia Paola Severino “quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l’istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti e per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria”. Bernardini ha chiesto inoltre quali atti intenda assumere “affinché sia garantito il rispetto dell’art. 27 della Costituzione, come si intendano potenziare le attività trattamentali e l’assistenza psicologica, e in che tempi si intendano rimuovere le carenze strutturali e igienico-sanitarie che contrastano con la normativa vigente”. Il deputato radicale ha chiesto infine quali iniziative urgenti intenda adottare “al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all’interno dell’istituto penitenziario di Catania alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo”. In una nota i radicali parlano di un indice di affollamento record nella struttura. “Cinquecento sessantanove detenuti presenti - affermano - a fronte di una capienza regolamentare di 155 posti. Quasi 200 agenti di polizia penitenziaria in meno rispetto a quelli previsti dalla pianta organica. Un reparto, il Nicito, mai ristrutturato, con wc alla turca e docce comuni in condizioni igieniche pessime. Assistenza psicologica carente. Oltre l’80% dei detenuti in attesa di giudizio. Poche attività, pochissimi i detenuti che lavorano”. I radicali concludono definendo allarmante la situazione nella struttura, dove lo spazio riservato a ciascun detenuto “è quasi sempre inferiore a quei tre metri quadrati indicati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo come limite minimo invalicabile”. Livorno: carcere delle Sughere, a rischio insegnanti e infermieri Il Tirreno, 16 gennaio 2012 Il numero dei carcerati è diminuito così anche loro - medici, infermieri e insegnanti attivi nel penitenziario cittadino - hanno visto calare in modo drastico la loro attività lavorativa. Qualcuno teme addirittura di perdere il posto di lavoro. Di certo il personale sanitario - convenzionato con l’Asl - dovrà fare i conti con una decurtazione dell’onorario. In pratica medici e infermieri avranno lo stipendio mensile quasi dimezzato. Tutto è collegato alle pessime condizioni strutturali di un’ala (padiglione D) del carcere delle Sughere. Visti i problemi statici dell’immobile è stato deciso di trasferire buona parte dei detenuti in altre strutture carcerarie e di procedere con la costruzione di un nuovo padiglione. Tanto che, dei circa 480 carcerati presenti alle Sughere all’inizio dell’anno, due giorni fa ne erano rimasti 149, come fa sapere Domenico Tiso, responsabile salute carceraria per i penitenziari della provincia livornese. La diminuzione dei carcerati ha portato alla contrazione delle attività all’interno del penitenziario. Ci sono meno detenuti da curare e anche l’attività scolastica è stata ridimensionata. Che fine faranno le trenta persone che si prendono cura della salute dei detenuti? Domenico Tiso assicura che i loro posti di lavoro non spariranno. Certo verranno ridimensionati. “È prevista un diminuzione temporanea delle ore di lavoro di medici e infermieri, che tornerà a pieno regime entro la fine del 2012, quando dovrebbe essere ultimato il nuovo padiglione e quindi riportati i detenuti”. Certo, per medici e infermieri non saranno mesi semplici. “Questo personale - dice Tiso - non ha stipendio fisso, percepisce un onorario sulla base del numero di ore lavorate, che adesso è dimezzato. Quindi anche gli onorari vengono dimezzati. Cerchiamo comunque di mantenere tutti i posti di lavoro, forse solo due o tre convenzioni non saranno rinnovate”. Caos anche per il personale docente. Alle Sughere sono attivi 6 insegnanti che fanno capo alle medie Borsi e una decina collegati all’istituto commerciale Vespucci. “Si tratta di docenti di ruolo - fa sapere Elisa Amato, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale - o di persone che coprono la cattedra fino al termine delle lezioni. Questi docenti non dovrebbero perdere posto perché andranno a sostituire, nelle scuole cittadine, gli insegnanti di ruolo che sono assenti o i supplenti temporanei”. Caserta: avvocati penalisti protestano contro condizioni inadeguate di vita nelle carceri Agi, 16 gennaio 2012 La Camera penale del foro di Santa Maria Capua Vetere ha inviato una denuncia al ministero della Giustizia sulla “drammatica situazione in cui versano i detenuti a causa della inadeguatezza delle strutture carcerarie ed in particolare degli Opg”. Un documento firmato dal presidente della camera penale sammaritana, Alessandro Diana, è stato anche mandato ai direttori di carceri della provincia di Caserta e Napoli, proclamando l’astensione degli avvocati dalle udienze e camere penali per i giorni 19, 20 e 21 gennaio. “I penalisti del foro di Santa Maria ribadiscono con forza il ruolo dell’avvocato quale garante dei diritti dei cittadini e tutore della inviolabilità dei principi costituzionalmente garantiti - dice Diana - non restiamo indifferenti rispetto all’inquietante escalation di suicidi che hanno funestato l’ultimo anno l’opg di Aversa e sentiamo il bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica, spesso ignara, delle tragedie che quotidianamente si consumano all’interno degli Istituti penitenziari”. Negli ultimi tre anni si sono verificati una decina di suicidi nelle carcere di Caserta e Napoli e l’estate scorsa ancora gli avvocati segnalarono la carenza di acqua nelle ore del pomeriggio al carcere di Santa Maria Capua Vetere, uno dei più affollati della Campania. Cagliari: continua sciopero edili in cantiere nuovo istituto penitenziario Uta Adnkronos, 16 gennaio 2012 “Gli stipendi dei lavoratori impegnati nella costruzione del carcere di Uta non sono stati pagati”. Ne danno notizia le segreterie Fillea, Filca e Feneal aggiungendo “che lo sciopero continua a oltranza sino a che non verranno corrisposti tutti gli arretrati”. Gli edili impiegati nella costruzione del nuovo penitenziario di Uta, a 20 km da Cagliari, sono in sciopero dal 9 gennaio scorso. Venerdì scorso i sindacati di categoria hanno ricevuto un comunicato della prefettura di Cagliari nel quale veniva riferito il contenuto di una comunicazione della società Opere Pubbliche Spa sul mandato dato a un istituto bancario di emettere quaranta assegni circolari con valuta il 17 gennaio, ma nella stessa nota si fa riferimento al pagamento della sola retribuzione di novembre. “Non vorremmo - hanno detto i segretari territoriali degli edili Erika Collu, Gianluca Cotza e Samuele Piras - che si trattasse dell’ennesima comunicazione della società che, come spesso è accaduto in passato, non viene poi rispettata”. La mobilitazione quindi prosegue, come è stato deciso nel corso dell’assemblea con i lavoratori che si è svolta stamattina in cantiere, sino al ripristino della regolarità nei pagamenti. In riferimento alla comunicazione di Opere Pubbliche sul pagamento della mensilità di novembre entro domani, il sindacato verificherà il rispetto degli impegni sottolineando che si tratta comunque di impegni parziali. “Prima di rientrare al lavoro, i lavoratori esigono il pagamento di tutte le mensilità. Auspichiamo - concludono i sindacati - la ripresa della corretta dinamica sindacale che ha contraddistinto, fino a qualche tempo fa, le relazioni con la società Opere Pubbliche”. Al Provveditorato del ministero delle Infrastrutture, le segreterie unitarie Fillea, Filca e Feneal rinnovano la richiesta “di intercedere presso la società affinché ripristini il rispetto delle norme contrattuali e legislative in materia di appalti”. Aosta: riaperte indagini su ex direttore del carcere di Brissogne, accusato reato di calunnia Ansa, 16 gennaio 2012 Il Gip di Aosta Maurizio d’Abrusco ha disposto la riapertura delle indagini per il reato di calunnia nei confronti dell’ex direttore della casa circondariale di Brissogne e attuale direttore del carcere genovese di Marassi Salvatore Mazzeo e di sei membri della polizia penitenziaria attualmente in servizio nell’istituto valdostano. L’ordine di effettuazione di nuove indagini del 23 dicembre scorso accoglie l’opposizione alle richieste di archiviazione della Procura di Aosta, presentata da quattro appartenenti alla polizia penitenziaria dell’istituto che erano stati coinvolti in un procedimento penale (archiviato) riguardante un caso di pestaggio a un detenuto, risalente al settembre del 2009. A conclusione di tale procedimento i quattro agenti avevano a loro volta presentato querela per calunnia nei confronti del direttore pro tempore Mazzeo e di sei collaboratori. Il giudice ritiene che le indagini richieste negli atti di opposizione siano rilevanti “al fine di far luce sulla oscura vicenda descritta nelle querele (laddove sono denunciati i reati di calunnia, simulazione di reato, falso in atto pubblico, abuso di ufficio”. Siena: il 20 gennaio a Volterra la “cena galeotta” è al sapor di cioccolato Il Tirreno, 16 gennaio 2012 Nuovo appuntamento con le Cene Galeotte al carcere di Volterra, all’insegna del cioccolato. Le porte si aprono il 20 gennaio con Andrea Bianchini (La Bottega del cioccolato di Firenze), che sarà affiancato dal critico gastronomico Giuseppe Calabrese, della guida “I Ristoranti d’Italia” de L’Espresso, e da Alessandro Frassica. Il tutto accompagnato dai vini della Tenuta Argentiera di Bolgheri. Il ricavato sarà devoluto alla campagna internazionale “Il Cuore si scioglie”, che dal 2000 vede impegnata Unicoop Firenze, insieme al mondo del volontariato laico e cattolico nella realizzazione di progetti umanitari. La formula vincente rimane invariata: una volta superate le porte dello storico carcere ricavato in una fortezza medicea, il pubblico è accolto con un piacevole aperitivo consumato all’interno del cortile, nello spazio sotto le antiche mura. La cappella, invece, viene trasformata per l’occasione in una sala da pranzo con tanto di candele, camerieri/carcerati dall’impeccabile servizio, sommelier e vini a cura della Fisar di Volterra. Una cena dal ricco menu preparato interamente dai detenuti, affiancati da un rinomato chef, ogni volta differente, che metterà a disposizione tutta la sua esperienza. Ecco gli altri appuntamenti in agenda: il 24 febbraio Sergio Maria Teutonico chef della trasmissione “Chef per un giorno” in onda su La7 con i vini del Podere la Regola di Riparbella. Il 23 marzo: Daniele Pescatore del ristorante fiorentino Cenacolo del Pescatore, con i vini della cantina Guidi di San Gimignano. Il 20 aprile: Debora Corsi del ristorante La Perla di San Vincenzo, con i vini della cantina Fattoria Colleverde di Lucca. Il 25 maggio: Barbara Zattoni del ristorante Pane e Vino di Firenze con i vini della cantina Vignamaggio di Greve in Chianti. Info: 055-2345040. Teatro: dal carcere a Shakespeare… l’utopia di Punzo conquista l’Italia La Repubblica, 16 gennaio 2012 Per Adriano Sofri è un Don Chisciotte dei tempi moderni che porta avanti la folle idea di un Teatro Stabile nel carcere di Volterra. Per il Dms di Bologna - dove martedì sarà il protagonista della primo appuntamento del progetto Workshop sullo spettacolo - è un punto di riferimento dell’innovazione italiana con la sua Compagnia della Fortezza. Per il pubblico di Cosenza, dal 2 al 5 febbraio, rappresenta il regista dello shakespeariano “Mercuzio non deve morire”, con i suoi detenuti attori del carcere di Volterra. Lui è Armando Punzo, attore, regista da 25 anni al timone oltre Punzo sta da 24 ani, incensurato nel Maschio etrusco della Compagnia della Fortezza una delle più prestigiose imprese teatrali d’Europa, e di Volterra la sede di un festival importante. Il teatro è un modo meraviglioso di rifarsi una vita, di rifarsene mille: questo lo spirito che anima da anni Punzo e i suoi attori che negli anni hanno portato il nome di Volterra in tutta Italia a colpi di spettacoli. All’università di Bologna Punzo è protagonista della VI rassegna Cimes, progetti di cultura attiva, promossa dal Centro del dipartimento di musica e spettacolo. All’interno del progetto Workshop sullo spettacolo, a cura di Gerardo Guccini, Armando Punzo è al centro di un faccia a faccia con il critico teatrale Massimo Marino con una dimostrazione pubblica, a conclusione del percorso formativo con gli allievi - il 26 gennaio alle 17. Il tema scelto dal regista ruota intorno alla figura di Mercuzio, indicato come lo spirito libero della storia di Shakespeare. Argomento che, appunto, si inserisce nel progetto della Compagnia della Fortezza Mercuzio non deve morire presentato in anteprima quest’estate all’ultimo Festival Volterra Teatro. Lo spettacolo di Shakespeare vedrà i detenuti-attori in scena dal 2 al 5 febbraio a Cosenza. L’esperienza della compagnia della Fortezza nasce 25 anni fa. In questi anni sono tanti gli spettacoli creati e messi in scena. Tra questi Marat Sade, I Negri, I pescecani ovvero cosa resta di Bertold Brecht e Hamlice, saggio sulla fine di una civiltà che ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti come il premio Ubu (cinque volte, ultima l’assegnazione come migliore regia nel 2010), il premio associazione nazionale critici teatrali, il premio Carmelo Bene della rivista “Lo Straniero”, il premio per la cultura contemporanea della Regione Toscana. Proprio il presidente del Granducato, Enrico Rossi, nelle settimane scorse ha visitato il carcere insieme a Adriano Sofri per incontrare i detenuti attori e Punzo. E soprattutto per supportare il progetto di Teatro Stabile che il regista da anni sta cercando di portare avanti. Si tratta, da progetto, di un prefabbricato di 200 posti, in pietra, legno ed alabastro, situato al confine della prigione. Un luogo di formazione professionale, spettacolo e ricerca artistica per 800mila euro d’investimento. Sono questi i requisiti minimi per il Teatro Stabile all’interno del carcere volterrano proposto da Carte Blanche. Il progetto è stato redatto dalla direzione della Compagnia della Fortezza. Siria: il presidente Assad offre amnistia a rivoltosi, anche disertori pentiti Agi, 16 gennaio 2012 Il presidente siriano, Bashar al-Assad, ha decretato un’amnistia per tutti i reati commessi durante le proteste degli ultimi 10 mesi. Lo ha riferito l’agenzia di stampa ufficiale Sana. Il provvedimento si applica ai militari disertori che si consegneranno entro la fine di gennaio, ai manifestanti che non si siano macchiati di fatti si sangue e a chiunque consegni armi che non era autorizzato a possedere. L’amnistia generale, si spiega nel decreto, “riguarda tutti i reati commessi negli eventi che si sono succeduti tra il 15 marzo 2011 e il 15 gennaio 2012”, in pratica dall’inizio della rivolta contro il regime e della repressione che hanno fatto 5mila morti. Secondo l’Onu nelle carceri siriane ci sono almeno 14mila persone arrestate in relazione alle proteste. Non è il primo provvedimento di clemenza annunciato dal regime di Assad per cercare di placare la piazza. Già a novembre il governo aveva annunciato la liberazione dei 4mila detenuti che “non hanno le mani sporche di sangue” e aveva promesso un’amnistia per i possessori di armi da fuoco che le avessero consegnate alle autorità entro otto giorni. Il 31 maggio Assad aveva proclamato un’amnistia per tutti i detenuti politici, compresi i membri della Fratellanza musulmana, e il 21 giugno aveva proclamato un’amnistia per tutti i reati commessi fino al giorno prima. Attivista: amnistia riguarda solo pochi detenuti “L’amnistia annunciata dal presidente, Bashar al-Assad, permetterà il rilascio solo di una minima parte dei detenuti siriani” arrestati durante le proteste anti-governative. È quanto rivela l’avvocato siriano Anwar al-Bunni, presidente del Centro per i diritti umani della Siria”. Saranno liberati solo una minima parte dei detenuti arrestati dallo scorso marzo, quando sono iniziate le proteste nel Paese”, afferma al-Bunni. “Pur essendo comunque favorevoli a questi provvedimenti - spiega - finora il nostro Centro non ha registrato la scarcerazione di nessuno degli attivisti politici arrestati a causa delle proteste. Considereremo (l’amnistia, ndr) una decisione positiva solo quando saranno rilasciati tutti i detenuti politici”. L’attivista chiede quindi che “il regime riconosca il diritto della popolazione a manifestare pacificamente”. Al-Bunni non crede infine “nella buona fede del regime nel voler scarcerare i detenuti, se si considera che nel Paese sono tanti gli arresti avvenuti in violazione delle leggi vigenti”. Yemen: al Qaeda libera 250 detenuti dal carcere di Radda Nova, 16 gennaio 2012 Sono circa 250 i detenuti del carcere di Radda, nella provincia yemenita sud orientale di al-Bayda, liberati questa mattina dopo un’irruzione condotta dai miliziani di al Qaeda. Secondo quanto riferisce un funzionario della sicurezza locale citato dall’agenzia “Maraab Press”, centinaia di miliziani dell’organizzazione terroristica hanno fatto irruzione nel carcere di Radda, città nella quale erano entrati ieri, e liberato i prigionieri. Sarebbero rimasti uccisi due soldati governativi e ferito un terzo. I miliziani hanno preso il pieno controllo di Radda, 160 chilometri a sud di Sanàa, nel fine settimana. Istituito una sorta di cordone di sorveglianza attorno alla città, i militanti impediscono ai residenti di uscire o di entrare. Secondo “Maareb Press”, da questa mattina la città meta di “centinaia di miliziani tribali”. Stando alle fonti dell’agenzia yemenita, gli uomini di al Qaeda, guidati dallo sceicco Tarq al Dahab, sarebbero concentrati nella moschea principale, la scuola di al Amriyah e il Castello della città. L’apparente calma a Radda, secondo fonti locali, carica di tensione e non si esclude che i miliziani vogliano proclamare la città come “emirato islamico”. Non sono chiari i motivi che hanno spinto i qaedisti a prendere il controllo della città ma alcune fonti hanno riferito che lo sceicco al Dahab chiede la liberazione di suo fratello detenuto a Sanàa dove era stato estradato dalle autorità siriane per accuse di terrorismo.