Giustizia: Opg; la tortura “dell’orrore medievale” negli ultimi manicomi… di Dario Stefano Dell’Aquila Il Manifesto, 14 gennaio 2012 Nei sei Opg italiani sono internate circa 1.400 persone. Il 40%, non socialmente pericoloso, è detenuto illegalmente e potrebbe essere preso in cura dai servizi sociosanitari territoriali L’annuncio è di quelli che fanno ben sperare. Gli ospedali psichiatrici giudiziari potrebbero chiudere entro il 31 marzo 2013. Questo stabilisce un emendamento, approvato all’unanimità in Commissione Giustizia al Senato, al disegno di legge del governo sulle carceri. Potrebbe divenire più concreta, quindi, se in aula si confermerà il testo, la possibilità di chiudere e superare quelli che una volta si chiamavano manicomi giudiziari. Ad oggi nei sei Opg (Aversa, Barcellona P.G., Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia) sono presenti circa 1.400 internati. Sofferenti psichici, autori di un reato, sottoposti ad una misura di sicurezza detentiva che può essere prorogata. Il meccanismo della proroga fa sì che centinaia di persone, per le quali non vi è più alcuna condizione di pericolosità sociale, siano ancora internate. Secondo i dati della Commissione Marino almeno il 40% degli internati potrebbe trovare la libertà se fosse preso in carico dai servizi sociosanitari. Una condizione che va sommata allo stato di estremo degrado e abbandono di queste strutture, gironi danteschi di un inferno a lungo dimenticato (ma non da il manifesto). È stato indispensabile che fosse reso pubblico, nel 2010, il rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della Tortura sulla visita all’Opg di Aversa. Il rapporto denunciava le condizioni inumane e degradanti degli internati, in completo abbandono medico e sociale, l’uso della contenzione fisica, una lunga serie di morti. Ciò ha consentito si mettesse in moto il processo che ora sembra riuscire a portare alla chiusura di questi luoghi. La Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficienza del sistema sanitario, presieduta da Ignazio Marino, ha ispezionato, a seguito del rapporto, (in compagnia dei carabinieri dei Nas), tutti gli Opg e ha riscontrato quasi ovunque condizioni vergognose e insufficienti a garantire cura e assistenza. Addirittura alcuni reparti di Barcellona e Montelupo sono stati posti sotto sequestro, per via delle loro stato di fatiscenza. La Commissione ha realizzato un filmato delle visite effettuate che non lascia spazio a dubbi sulla inumanità di queste ultime istituzioni totali. Lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, prendendo atto di questo lavoro, li ha definiti “un orrore medioevale”. Bisogna ora dare concretezza alla prospettiva di chiusura. Non è semplice. Innanzitutto, perché è probabile che il governo chieda tempi più lunghi. Poi si pone il quesito di come sostituirli. Perché è alto, fanno notare da più parti, il rischio di riprodurre manicomi civili, magari in piccolo, o di prendere come modello per il futuro l’Opg di Castiglione. Inoltre, non sono previste modifiche al codice penale e al sistema di proroga delle misure di sicurezza. Ignazio Marino è più ottimista. Le strutture sanitarie sostitutive, assicura, saranno conformi agli standard per le strutture residenziali di tipo psichiatrico e parla di “piccoli nuclei assistenziali (massimo 20 posti), ubicati all’interno della regione di appartenenza del malato” con il compito di garantire il reinserimento sociale una volta finita la pericolosità sociale. Certo è difficile garantire standard uniformi, se la materia sanitaria è di competenza delle Regioni e se l’intero sistema di tutela della salute mentale funziona a macchia di leopardo. Ma certo ben venga un termine, anche se non risolutivo di per sé. Perché bisogna non solo chiudere gli Opg, ma anche riuscire a scardinare il dispositivo di internamento psichiatrico. Non è facile, ma almeno oggi non sembra più impossibile. Il modello da evitare: Castiglione delle Stiviere L’Opg di Castiglione delle Stiviere (Mn) ha da sempre rappresentato una “eccezione” nel sistema dei manicomi giudiziari. Dal 1939, in virtù di una convenzione, stipulata dal Ministero della Giustizia, è gestito direttamente dall’Azienda sanitaria di Mantova. La riforma del 2008, che ha sancito il trasferimento delle funzioni della sanità penitenziaria alle Regioni, non ha inciso quindi sugli assetti di questo istituto, che aveva già una unica direzione sanitaria. Nell’istituto non vi sono agenti di polizia penitenziaria, ma solo personale medico. Sono presenti circa 240 internati. Qui vi è l’unica sezione femminile d’Italia, dove sono ristrette circa 90 donne. Le risorse economiche destinate a Castiglione sono state circa il triplo di quelle impegnate per il funzionamento di un Opg “normale”. La gestione dell’istituto costa circa 13 milioni di euro. Questo ha determinato la disponibilità di un numero molto più alto di personale medico e infermieristico rispetto alle altre strutture. Se a Reggio Emilia ad esempio erano presenti 14 unità di personale medico di ruolo, a Castiglione il numero di unità era oltre 170. Ciò nonostante in questa struttura si fa ugualmente ricorso alla contenzione fisica (un internato su cinque in base agli ultimi dati disponibili), non si realizza un numero di dimissioni particolarmente significativo, e anche qui si sono verificati episodi di suicidi e di autolesionismo. Nell’aprile del 2011 qui si è tolta la vita Adriana Ambrosini, appena 24 anni, e con ancora un anno da scontare. Perché sempre di manicomio si tratta e, come ricorda Luigi Benevelli (Stop Opg) il fatto che non ci siano agenti “vuol solo dire che le funzioni di custodia sono svolte dal personale sanitario”. Come nei manicomi civili prima della legge Basaglia. Giustizia: Ignazio Marino (Pd); chiudere gli Opg fa paura al governo tecnico di Eleonora Martini Il Manifesto, 14 gennaio 2012 Parla il senatore Pd, Ignazio Marino, a capo della Commissione d’inchiesta sul Ssn, che ha stilato l’articolo approvato all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato. Ma l’esecutivo rallenta “Speriamo di farcela”, risponde quasi trafelato al telefono il senatore democratico Ignazio Marino. Sono gli ultimi giorni possibili per poter raccogliere i frutti di un lavoro duro e scrupoloso sugli Ospedali psichiatrici giudiziari condotto per oltre due anni dalla Commissione d’inchiesta sul Sistema sanitario nazionale che preside. La chiusura dei manicomi criminali, ultimo residuo pre-basagliano, è a un passo grazie ad una trasformazione del testo del decreto legge Severino - il cosiddetto “svuota carceri” che arriverà in Aula al Senato mercoledì prossimo e probabilmente sarà convertito in legge entro la fine di febbraio - approvato all’unanimità dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama. Una “svolta epocale”, da effettuare entro il 31 marzo 2013, che porterebbe a compimento la rivoluzione monca della legge 180. Eppure forse non alla portata di un “governo tecnico”, nato per curare le malattie dello spread ma non quelle dei servizi per la salute mentale dei cittadini. Malgrado l’unanimità dei senatori della Commissione, lei sembra preoccupato. Perché? Non c’è stato il parere favorevole del governo che, per bocca del sottosegretario Andrea Zoppini, ha espresso alcune perplessità. Eppure, mi lasci ricordare che fu lo stesso presidente del Consiglio a volermi ricevere, il 2 gennaio, dopo aver ascoltato la mia dichiarazione in Aula sul voto di fiducia in cui sottolineavo l’importanza di trovare la soluzione al problema degli Opg anche nell’attuale momento di grave crisi economica. Durante il nostro lungo e articolato incontro, Monti si informò sul lavoro della Commissione d’inchiesta e sulla relazione conclusiva stilata dai senatori Saccomanno e Bosone. Allora si pensò di introdurre nel decreto Severino un articolo che indicasse con molta precisione il percorso per superare gli Opg. Quali sono le perplessità espresse dal sottosegretario alla Giustizia Zoppini? Il governo preferirebbe una tempistica più lunga e vorrebbe affidare, non a un timing certo come quello da noi indicato nell’articolo di legge, ma a un decreto ministeriale da scriversi l’individuazione di un percorso di liberazione e cura degli internati. L’intera Commissione d’inchiesta sul Ssn ritiene invece che sia venuto il momento di mettere la parola fine a queste strutture e pensa che il nostro lavoro e il voto della Commissione Giustizia non possano essere trascurati. Oggi la giunta del Lazio ha approvato una delibera per il superamento degli Opg che dà il via libera all’accordo interregionale con Campania, Abruzzo e Molise per la realizzazione all’interno delle carceri di un reparto di osservazione psichiatrica e per l’istituzione, in un solo carcere laziale, di almeno una sezione per la tutela della salute mentale dei detenuti. Cosa ne pensa? Proprio per questo penso che occorra una legge e spero che il 18 gennaio il nostro articolo venga approvato dal Senato per poi diventare legge dello Stato. Non voglio entrare nelle soluzioni che ogni regione ricerca con molti sforzi per arrivare a identificare il modello migliore, però anche la Toscana e la Lombardia hanno recentemente indicato altri modelli. Noi della Commissione in due anni abbiamo consultato decine di specialisti, effettuato decine di sopralluoghi, molti a sorpresa, negli Opg di tutta Italia. E dopo un tale lavoro di approfondimento riteniamo - lo dico con la massima umiltà, anche perché non sono uno psichiatra - che ci debba essere un modello comune in tutto il territorio nazionale per il trattamento e la cura di questo tipo di malati psichici, e che non ci debbano essere soluzioni diverse in regioni diverse. Qual è il percorso indicato dall’articolo che ha emendato il decreto Severino? In sintesi: il cambiamento epocale è che dal 31 marzo 2013 di fatto il magistrato di sorveglianza non potrà più disporre dell’internamento di una persona in un Opg perché questi, così come sono adesso, dovranno essere chiusi. I pazienti non socialmente pericolosi - che ricordo al nostro governo sono il 40% degli internati e sono rinchiusi contro la legge - dovranno essere presi in cura dai Dipartimenti di salute mentale. Mentre quelli pericolosi dovranno essere internati in strutture che devono rispettare i requisiti minimi dello standard ospedaliero che la legge prevede per le strutture residenziali psichiatriche. Queste nuove strutture ospedaliere - dove all’interno lavora solo personale sanitario e psichiatrico, e sono sorvegliate da polizia penitenziaria solo all’esterno, oltre la recinzione che circonda il giardino - devono essere realizzate in ciascuna regione. Perché non si può pensare di aiutare una persona malata a ricostruire relazioni affettive con la sua famiglia e il suo territorio se viene internata a centinaia di chilometri di distanza, come avviene oggi per tutte le donne italiane folli autrici di reato, che vengono recluse tutte in un unico Opg. A Castiglione delle Stiviere. Che poi è simile al modello che lei vorrebbe al posto degli attuali Opg. Ma, per quanto riguarda gli internati non pericolosi, non sarebbe necessario anche un riordino dei Dipartimenti di salute mentale che sono decisamente insufficienti e nel complesso inefficaci? Quella sugli Opg è una piccola parte di una grande indagine che stiamo facendo sulla salute mentale in Italia. Abbiamo scelto otto regioni (Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Molise, Campania e Calabria) per confrontare lo standard dei servizi di salute mentale e spero che entro sei mesi saremo in grado di descrivere esattamente le differenze di cura dei malati psichici nel nostro Paese. Ma su questa questione chiedo un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Siamo un Paese membro del G8, una delle potenze mondiali anche in un momento di crisi, facciamo ordini di 12 miliardi di euro per cacciabombardieri. Non possiamo sentirci incapaci di offrire assistenza socio-sanitaria né agli 800 internati da liberare, né a tutti coloro che ne hanno bisogno. Giustizia: chiusura degli Opg…. se non ora, quando? Notizie Radicali, 14 gennaio 2012 Intervento della senatrice Radicale Donatella Poretti: “Per una felice coincidenza le ordinanze della commissione d’inchiesta sul Ssn del Senato che impongono in primis a Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto di adeguarsi a standard sanitari e la conversione del decreto Severino, il cosiddetto “svuota carceri” sembra che si siano date appuntamento per porre la parola fine agli Opg. Non coglierla da parte del Parlamento sarebbe una follia! Poi occorrerà rivedere il codice penale e il concetto di non imputabilità, ma intanto le strutture dove non si cura chi non è stato condannato, devono essere chiuse e i malati curati. Da un anno e mezzo la commissione del Senato ha denunciato, reso noto e raccolto disponibilità di tutti i ministri della giustizia e della sanità che si sono avvicendati, ma ancora questi luoghi ospitano più di mille internati da cui come nei gironi infernali non si riesce ad uscire se non da morti. E si continua a raccogliere sconcertanti esempi di come le proroghe uccidono. A Barcellona l’ultimo esempio di pochi giorni fa con tanto di grottesca proroga arrivata dopo la morte per inerzia burocratica. Di come a Montelupo il freddo è la compagnia degli inverni che si succedono, mancano i soldi per il gasolio, si comprano le stufe elettriche, si fanno alle nuove con soffitti a cassettone che non si aprono perché non c’è gasolio a sufficienza. Chi sono i folli e chi i rei?”. Giustizia: Senato; prosegue rapido iter dl carceri, martedì relazione del ministro in aula Asca, 14 gennaio 2012 Una dettagliata radiografia dei problemi della giustizia in riferimento sia alle prospettive di riforma - di cui si parla da anni - sia ai tanti problemi del sovraffollamento carcerario e alle carenze di personale per magistrati, cancellieri e tecnici di supporto è programmata per martedì prossimo nell’aula di Palazzo Madama. È attesa, infatti dalle ore 16,30 la relazione del Ministro Paola Severino sull’amministrazione della giustizia. Si aprirà poi un dibattito che dovrebbe concludersi nella serata. Prosegue rapido iter dl carceri La Affari Costituzionali ha ampiamente discusso per il parere da inviare alla Giustizia, del dl varato a dicembre dal Governo per interventi urgenti per concorrere ad attenuare la tensione provocata dal sovraffollamento delle carceri. Il provvedimento, a lungo esaminato anche dalla Commissione Giustizia contiene varie modifiche al codice di procedura penale. In particolare l’articolo 1 rivede il 558 del codice di procedura penale, in materia di convalida dell’arresto. È introdotto il divieto di conduzione della persona arrestata nella casa circondariale, con possibilità di deroga solo qualora non sia possibile assicurare altrimenti la custodia dell’arrestato da parte degli agenti. Con l’articolo due del decreto legge viene rivisto il 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, stabilendo che l’interrogatorio delle persone che si trovino in stato di detenzione deve avvenire dove la persona è custodita. L’articolo 3 prevede l’innalzamento da 12 a 18 mesi della soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare. Il positivo effetto che le nuove norme potranno avere sulla emergenza del sovraffollamento di vari istituti di pena è stato illustrato in un’audizione del Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’avvio del dibattito in Assemblea è programmato da mercoledì prossimo e entro il 21 è atteso il si dei senatori per il successivo esame alla Camera. Giustizia: Favi (Pd); arresti domiciliari per arresati, bene modifiche al decreto Severino Il Velino, 14 gennaio 2012 “Ogni anno 21.000 persone entrano in carcere per un massimo di tre giorni. D’ora in poi chi verrà fermato o arrestato in flagranza di reato di bassa o media gravità, prima di essere giudicato, o condotto dinanzi al giudice per la convalida dell’arresto o per la celebrazione del processo per direttissima, verrà prioritariamente assegnato agli arresti in un luogo diverso dal carcere (propria abitazione, comunità o luogo di cura, o camera di sicurezza, in caso di mancanza o inadeguatezza dei primi rimedi). Solo nei casi di comprovata necessità, per la gravità dei reati o per la pericolosità dell’arrestato, il procuratore della Repubblica disporrà che la persona sia custodita nel carcere”. Lo sottolinea Sandro Favi, responsabile nazionale carceri del Pd che aggiunge: “È questa la principale e forte innovazione approvata ieri al Senato al decreto legge Severino sull’emergenza carcere con l’emendamento dei relatori Maritati-Berselli, che di fatto sposta l’asse culturale che vede come ineluttabile l’ingresso in carcere di tutte le persone che siano imputate di un reato (anche di quelli non particolarmente gravi). Quindi in prima battuta, se la legge verrà a breve varata dal Parlamento, la regola sarà l’arresto domiciliare e quindi le celle di sicurezza e, come estrema ratio la custodia in carcere. La prevalenza dell’uso degli arresti domiciliari andrà inoltre incontro alle giuste preoccupazioni di molti operatori delle forze di polizia, comprensibilmente preoccupati di dovere subire un aggravio insostenibile del loro già difficile e pesante lavoro. Significativa inoltre la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro marzo 2013. Occorre ora che sulle altre questioni oggetto di emendamenti presentati e ritirati dopo un serrato confronto con il governo (abrogazione ex Cirielli sui recidivi, tossicodipendenti, immigrazione, processo contumaciale, assunzione di personale penitenziario, ecc..), l’esecutivo presenti al più presto un proprio disegno di legge che raccolga le proposte avanzate e che ci auguriamo possa avere quella corsia preferenziale sulla quale c’è l’impegno del presidente della Commissione Giustizia del Senato Berselli per una rapida approvazione”. Giustizia: l’emergenza-carceri sbarca in Tv, ad Agorà la “non -vita” nei penitenziari di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 14 gennaio 2012 Anche Agorà, trasmissione condotta da Andrea Vianello, ha dedicato ampio spazio, nella puntata del 13 gennaio all’emergenza carceri. Con un servizio in cui vengono messe insieme diverse opinioni - da Napolitano, alla Bonino, dal Papa al ministro Cancellieri - la trasmissione di Rai Tre ha evidenziato come la necessità di un intervento nel settore sia necessario e invocato da più parti. Emergenza è la parola chiave dell’ultimo periodo quando si parla di penitenziari: “Carceri come una bomba”, è la frase che più di ogni altra ha campeggiato sulla cronaca dell’ultimo periodo. Nella trasmissione di Andrea Vianello si è parlato anche del Dl “svuota-carceri” che, la prossima settimana, arriverà al Senato per la votazione. A partecipare alla puntata sono stati il segretario Radicali italiani , Mario Staderini, il Segretario del generale del sindacato di Polizia penitenziaria Sap, Donato Capece, il giornalista Giovanni Anversa, il giurista Carlo Federico Grosso e il presidente della Provincia di Varese, Dario Galli (Lega Nord). Il quadro nel quale si sono dovuti confrontare gli ospiti è quello illustrato alla perfezione dal servizio del giornalista Francesco Lombardi. La situazione è davvero drammatica. A Savona, carcere infossato nel cuore della città, ad esempio, oltre alla struttura inadeguata bisogna fare i conti anche con una strada di accesso al penitenziario troppo stretta persino per lasciar passare i mezzi blindati. La capienza è di 38 detenuti ma si arriva ad ospitarne anche 65. Niente docce nelle celle, se non quelle comuni utilizzabili, se va bene, ogni due giorni. Molti detenuti, spiegano al giornalista, sono costretti a fare terapie anti-depressive per riuscire a sopravvivere a questo stile di vita. Ma la situazione di Savona non è nulla se si paragona a quella vissuta nel carcere di Regina Coeli: capienza massima 600 posti ma oggi ci sono 1200 detenuti, 300 dei quali tossicodipendenti e la polizia penitenziaria è sotto organico. Dati che parlano da soli... La domanda, a questo punto, sorge spontanea: il decreto “svuota-carceri” aiuterà a risolvere il problema? Ecco come la pensano gli ospiti che hanno partecipato alla trasmissione Agorà: L’Avvocato Carlo Federico Grosso ha detto che: “L’iniziativa del ministro Severino va nella direzione giusta ma è un provvedimento ridotto che non risolverà il problema”. La Lega Nord, rappresentata dal presidente della provincia di Varese ha espresso, se pur per motivi diversi, un parere contrario al provvedimento: “Si tratta di un’amnistia mascherata. Anticipare l’uscita dei detenuti non è la soluzione migliore, ci sono altre questioni. Ad esempio il 40% - ha detto Galli - degli arrestati sono cittadini extracomunitari, la cosa più semplice far scontare nel loro paese la pena”. Il segretario dei Radicali Mario Staderini ha dichiarato che le piccole riforme non servono. “La lega dice che escono i carcerati ha spiegato Staderini - In realtà non esce nessuno. A Rebibbia ad esempio ci sono 1770 detenuti contro i 1200 di capienza massima. Con questo decreto ne usciranno 80 e la situazione non cambierà. Ci vuole una grande riforma, non è solo un problema umanitario. L’amnistia è importante anche perché incide sui processi e potrebbe rendere la giustizia civile più veloce”. Sulla stessa linea anche il giornalista, Giovanni Anversa, che ha sull’emergenza carceri ha dichiarato: “È un’emergenza strutturale, non servono palliativi. Il dl svuota carceri non risolve il problema. Un’amnistia con certe caratteristiche ci mette nella direzione di una soluzione del problema”. In conclusione qualche altro numero che dovrebbe indurci a riflettere: In Italia ci sono 148 detenuti ogni 110 posti, mentre nel resto d’Europa sono 96,6. Giustizia: Corte dei Conti; le “manette per gli evasori”… restano solo sulla carta Il Piccolo, 14 gennaio 2012 Lotta all’evasione fiscale senza esclusione di mezzi, questo almeno l’obiettivo del governo e dell’amministrazione finanziaria. Ma di fatto le norme più dure, quelle penali che prevedono fino al carcere per coloro che non pagano le tasse, sono rimaste “inapplicate”. La denuncia arriva dalla Corte dei Conti che vuole vederci chiaro e punterà i fari proprio sul contrasto penale all’evasione fiscale, nell’ambito del programma dei controlli sulla spesa pubblica delineato per il 2012. Il piano della magistratura contabile scandaglierà poi molte altre voci di spesa per individuare eventuali “elementi di criticità”, dagli interventi per il sito archeologico di Pompei alle spese per l’Expo di Milano, dalla gestione delle carceri all’annosa questione dei lavoratori socialmente utili. Le manette agli evasori, strumento di lotta all’evasione che ciclicamente viene evocato, sono rimaste “per lo più inapplicate - avverte la Corte dei Conti - o hanno avuto risultati del tutto insoddisfacenti e talvolta anche controproducenti”. Per questo i giudici contabili avvieranno nel 2012 una specifica indagine per verificarne la concreta applicazione e gli eventuali “punti di debolezza”. Lotta all’evasione dunque sempre in primo piano. In questo caso l’attenzione sarà tutta per il “contrasto penale” al quale “è stata da sempre attribuita grande rilevanza”. Ma le norme sono rimaste sulla carta. Nell’indagine la Corte vuole infatti verificare “gli esiti dell’azione penale tributaria allo scopo di individuare quali siano i punti di debolezza del sistema che maggiormente pregiudicano l’effettiva incisività e capacità di deterrenza”. In particolare, “sarà analizzato quanto incida negativamente la normativa generale sulle prescrizioni dei reati e quanto pesino i tempi di emersione della “notitia criminis”, tenendo conto dell’esperienza maturata con riguardo alle fattispecie di reato abrogate con la riforma del 2000”. Attenzione anche per i limiti e le modalità di applicazione delle misure cautelari sui risultati della riscossione coattiva. La Corte dei Conti si occuperà nel 2012 di molti altri settori di spesa pubblica - come risulta dal Programma firmato dai magistrati della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Luigi Mazzillo e Fabio Viola - per scovare le criticità. Giustizia: 25enne romeno ruba una barretta cioccolato, condannato a due anni di carcere Ansa, 14 gennaio 2012 Ha rubato una barretta di cioccolato dagli scaffali di un supermercato nel centro di Arezzo: per questo un venticinquenne romeno è stato condannato a due anni per rapina impropria (con multa di 600 euro) e spedito in carcere. La sentenza è stata pronunciata oggi al termine del processo per direttissima davanti al giudice Piergiorgio Ponticelli. L’ episodio è accaduto il 19 dicembre scorso. Il giovane, in quell’occasione, era entrato in un supermercato del centro cittadino e aveva rubato la barretta di cioccolato. Il personale però lo aveva notato dando l’allarme. Una volta visti gli agenti di polizia e i carabinieri che venivano verso di lui, il venticinquenne era scappato spintonandoli e facendo cadere un agente a terra. Raggiunto e arrestato dalla polizia, il giovane è finito a processo per rapina impropria, accusa sostenuta in aula dal pm Bernardo Albergotti. Il giudice, dopo averlo riconosciuto colpevole e condannato, ha anche disposto per il romeno la custodia cautelare in carcere. Giustizia: intervista ad Alfonso Papa (Pdl); il carcere preventivo è un orrore tutto italiano La Stampa, 14 gennaio 2012 Quando, con voce impassibile, il presidente della Camera Fini pronuncia il risultato finale, dal suo banco in fondo a destra l’onorevole del Pdl Alfonso Papa balza verso quello del collega Cosentino: lo abbraccia, gli sussurra qualcosa all’orecchio. Sei mesi fa, il 20 luglio scorso, ad aspettare lo stesso risultato c’era lui: ma l’esito fu opposto, venne dato il via libera alla custodia cautelare in carcere, Papa fu portato a Poggioreale e ci rimase per 100 giorni. Al posto delle urie festose, allora nel Pdl calarono il gelo e qualche lacrima. Come ha accolto questo risultato onorevole Papa? “Sono contento, ho abbracciato forte Cosentino perché è stata una grande gioia, sono sempre stato contrario al suo arresto. Questo voto è stato molto importante, credo che il Parlamento abbia scritto una bella pagina di garantismo”. Non c’è stato nemmeno un attimo di rammarico, nel ricordare come andò invece il voto su di lei, l’unico per cui il Parlamento ha dato il via ad aprire le porte del carcere? “No, c’è solo il pensiero che bisogna lavorare per limitare e se possibile porre fine alla carcerazione preventiva, un orrore tutto italiano”. Lei stesso ha svolto attività da magistrato... “E sia come pm che come magistrato ho sempre prestato molta attenzione ai temi di garanzia”. Come parlamentare cercherà di farsi carico dell’argomento? “E’ un tema su cui sto lavorando. Lo sa che il 42% della popolazione carceraria è in attesa di processo? E che il 50% di quelli che sono in custodia cautelare sono poi assolti? Quindi sono ingiustamente detenuti in condizioni inumane, e noi su questo dobbiamo lavorare”. Onorevole scusi, tornando a Cosentino: l’opinione pubblica sottolineerà che però un cittadino comune sarebbe già in galera, mentre un parlamentare può essere salvato dalla Casta... “Io inorridisco quando sento questi discorsi. Bisogna lavorare per far sì che per tutti il carcere preventivo diventi un’ipotesi residuale ed eventuale. Perché tutti possano andare a processo a piede libero”. Nei giorni scorsi si diceva che sarebbe potuto intervenire in Aula, alla fine non l’ha fatto... “Volevo solo seguire il dibattito, non ci sono stati spunti che mi portassero a intervenire. Gli interventi di Paniz, Contento e Lehner sono stati già sufficienti, di altissimo spessore politico ma anche giuridico”. Nel voto di oggi, come in quello che mandò lei in carcere, si sono giocate delle partite politiche? “Posso solo dire che non c’è nulla di più antipolitico che giocare partite politiche sulla pelle delle persone. Anche le dietrologie, l’esercizio di ricerca dei voti arrivati contro l’arresto non è del tutto corretto”. Dopo un periodo ai domiciliari, lei ora è libero. Cosa prova verso chi, con il suo voto, l’ha mandata in carcere? Non ho nessun tipo di risentimento. Un cristiano perdona sempre incondizionatamente, se è un vero cristiano”. Giustizia: Uil-Pa; governo sia coerente e riveda tagli polizia penitenziaria Adnkronos, 14 gennaio 2012 “Ora il premier Monti e il ministro Severino sostanzino in atti concreti le loro affermazioni rispetto alle necessità di fornire soluzioni alle criticità del sistema penitenziario. Per quanto ci riguarda è contraddittorio che da un lato il Governo condivida preoccupazioni e analisi sulle difficoltà del sistema e dall’altro dia corso, comunque, a tagli lineari agli organici degli operatori penitenziari”. È quanto afferma il segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, in seguito all’incontro che questa mattina le rappresentanze sindacali dei Dirigenti Penitenziari e del personale del Comparto Ministeri hanno avuto con il vice capo del Dap, Simonetta Matone, per discutere delle dotazioni organiche degli Uepe (Uffici esecuzione penale esterna). “L’argomento è di forte e stretta attualità considerate le scelte annunciate dal ministro Severino e dal Governo in materia di minor ricorso alla carcerizzazione e maggior ricorso alle misure alternative al carcere - spiega Sarno. Conseguentemente, da parte nostra, sono state manifestate perplessità sul piano di tagli agli organici del personale”. Tagli che potrebbero impedire di rendere fruibili e funzionali le nuove strutture che saranno aperte nel 2012, così come annunciato dal capo del Dap Franco Ionta. “Se davvero nel 2012 si darà corso all’apertura di nuovi istituti e padiglioni, i tagli previsti agli organici del personale sono in contraddizione con questi intendimenti. Per questo auspichiamo che in sede di approvazione del pacchetto di norme presentato dal Ministro Severino possa essere varata una deroga ai tagli del personale penitenziario. Se ciò non avverrà - ammonisce Sarno - la discontinuità, in materia di politiche della pena, annunciata dal Governo Monti resterà solo una mera enunciazione di principio non sostanziata dai fatti”. “Noi siamo pronti a fare la nostra parte, con responsabilità e competenza, ma il ministro della Giustizia e il Governo facciano scelte coerenti ed oculate. In relazione a ciò - conclude - non disperiamo che il ministro Severino possa convocare le rappresentanze sindacali, da cui potrà assumere indicazioni e suggerimenti”. Giustizia: Coisp; con “camere di sicurezza” poliziotti ridotti a badanti Adnkronos, 14 gennaio 2012 “Era nell’aria che accadesse e si è verificato. Aver dato seguito alle disposizioni in merito all’utilizzo delle camere di sicurezza per trattenere gli arrestati, ha creato confusione, disagio alla normale attività della Polizia e purtroppo ha fatto sì che dei seri professionisti arrivassero anche a mettersi in ridicolo”. Franco Maccari, segretario generale del Coisp, sindacato indipendente di Polizia, parlando dell’utilizzo della camere di sicurezza delle Questure, porta un esempio pratico accaduto a Venezia per criticare l’efficacia del provvedimento. “La persona da trattenere, nei giorni scorsi, era una donna che in quel particolare momento aveva necessità di assorbenti - spiega Maccari - tralasciando tutti i particolari della vicenda, basti sapere che una volante con due poliziotti (uomini) in divisa (forse affidare il compito a una donna in borghese sarebbe stato se non altro più opportuno) è stata distratta dai normali compiti per andare in ospedale a prendere un pacco di assorbenti”. “A parte la vicenda di per sé grave - rimarca il segretario generale del Coisp - è inaccettabile che ai poliziotti venga chiesto di origliare dietro le porte delle camere di sicurezza, che non si dica chiaramente se chi è predisposto alla sorveglianza poi debba anche accompagnare il presunto colpevole in tribunale, che si predispongano tanti documenti da firmare come se quello tra il detenuto e la Questura fosse un contratto”. “I poliziotti - incalza Maccari - con questo provvedimento iniziano a somigliare più a dei ragazzi di bottega, a dei badanti, con tutto il rispetto per chi fa questi lavori. E vengono mortificati nella loro professionalità. Ancora una volta -conclude - dobbiamo chiedere e chiederci che Polizia vuole questo Stato”. Giustizia: caso Cucchi; il pm si oppone a audizione consulenti parti civili prima fine testi Ansa, 14 gennaio 2012 È durata poco più di mezzora l’udienza di ieri del processo per la morte di Stefano Cucchi, il 31enne fermato il 15 ottobre 2009 per droga e per la cui morte una settimana dopo all’ospedale Sandro Pertini di Roma sono sotto processo, davanti alla III assise, dodici persone (sei medici, tre infermieri e nonché tre agenti penitenziari). Il tempo di sentire due testimoni e disporre il rinvio alla prossima settimana, con una coda polemica. Il pm Vincenzo Barba, infatti, si è opposto all’audizione oggi dei consulenti della parte civile in quanto non ancora completato l’esame dei testimoni inseriti nella lista della pubblica accusa (manca l’audizione del tossicologo Iacoppini e del direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento del Prap, Claudio Marchiandi, già condannato a due anni dopo il rito abbreviato per la stessa vicenda). E ne è nata una polemica con i difensori dei familiari di Cucchi che avevano convocato i loro consulenti. Unici due testimoni sentiti: il giornalista Pietro Suber (sul contenuto di alcuni servizi televisivi fatti all’epoca) e un agente della polizia che accompagnò alle celle del tribunale romano un detenuto gambiano, ritenuto testimone oculare della vicenda. “È inaccettabile quanto successo - ha detto il difensore di parte civile, Fabio Anselmo - Era già noto da dicembre che noi avremmo portato oggi i nostri consulenti. Il pm non ha citato i testi che residuavano della sua lista venendo a dire di aver avuto poco tempo a disposizione per farlo, e ha addirittura negato il consenso a che potessero essere sentiti i nostri medici sollevando i difensori degli imputati dal farlo. La famiglia Cucchi ha sopportato e sta sopportando un onere e un impegno economico al di sopra delle loro possibilità; credo che quanto sta accadendo possa essere difficilmente compreso e accettato”. Giustizia: caso Cosentino; l’indignazione e lo scandalo della “brava gente” di Valter Vecellio Notizie Radicali, 14 gennaio 2012 “Anche in questo caso avete voluto mettervi al centro dell’attenzione per dimostrare che siete meglio degli altri, che siete garantisti, che volete tutelare la libertà. Invece, non è così. Votando contro l’arresto di Cosentino, avete dimostrato di essere come il Pdl o anche peggio. Evidentemente, vi piace sguazzare nella merda come avete già dimostrato in tante altre occasioni. Cosa vi credete, che la gente vi seguirà? No, da oggi siete complici del sistema delinquenziale che ha devastato l’Italia, non consentendogli di essere all’altezza delle nazioni europee più evolute. Meditate su quello che avete fatto con il vostro voto. Cosentino è un delinquente, pagato dallo Stato, da noi contribuenti onesti! Vergognatevi!”. Quella che avete appena letto, firmata da Antonio, è una delle tante lettere, messaggi, mail, inviati in queste ore da infuriata “brava gente” (come dice Marco Pannella), dopo il voto sul caso del deputato Nicola Cosentino. Lettera che si può prendere a paradigma delle tantissime giunte ai parlamentari radicali, a “Notizie Radicali”, e delle prese di posizione che impazzano nell’universo internet. In poche righe si sostiene che i radicali hanno dimostrato di essere come o peggio del Pdl, sguazzano nella merda con piacere, e di questo sguazzare vi sarebbero stati in passato numerosi esempi; poi, con logica zoppicante, si afferma però che “da oggi” si è complici del sistema delinquenziale che ha devastato l’Italia”…Si vede che il passato sguazzare non era servito, ma questa volta ce l’abbiamo fatta! Segue poi processo e condanna lampo: Cosentino è un delinquente; e infine lo stentoreo: “vergognatevi!”. Abbiamo detto di “lettera-paradigma”; però ne giungono anche altre, che sono di diverso tenore. Un amico, per esempio, che da tempo ci segue con simpatia e affetto dagli Stati Uniti, scrive: “Sul caso Cosentino, in queste occasioni i radicali dovrebbero cercare di spiegare meglio agli italiani (che se lo dimenticano) che l’Italia è il paese della giustizia “viceversa”, dove si pretende di mettere i sospetti in galera prima delle sentenze, e poi quando magari una sentenza di colpevolezza finalmente arriva, ecco che vengono subito scarcerati…”. Rara riflessione, questa che dipinge l’Italia come il paese del diritto e del suo rovescio; “culla e bara del diritto”, disse una volta Leonardo Sciascia. Da dove cominciamo? Dalla lettera dell’amico, dal suo incipit: “In queste occasioni i radicali dovrebbero cercare di spiegare meglio”. Non sempre volere è potere, si può osservare. E aggiungere che quello dell’informazione è uno dei nodi cruciali che da sempre vedono i radicali impegnati. Ma, facciamo un esempio: giorni fa per esempio l’Agcom ha richiamato per l’ennesima volta la Rai intimando che occorre “assicurare la trattazione delle iniziative intraprese dai radicali e dal loro leader Marco Pannella sul tema delle carceri e della giustizia nei programmi che, per congrua durata e orario di programmazione, risultano maggiormente idonei alla formazione di un’opinione pubblica consapevole”. È la cinquantesima ingiunzione, ha calcolato Pannella. Per il momento, lettera morta. Silenzio sui giornali (eppure la notizia è di qualche rilievo); non una piega da parte dell’ente radiotelevisivo pubblico, se non l’assicurazione che qualche programma è in cantiere… E se ne è letto, discusso da qualche parte, qualche commentatore se ne è occupato, qualche editorialista ne ha scritto? È normale che l’AgCom condanni decine di volte, per inadempienza, l’ente radiotelevisivo di Stato, e non accada nulla? Per tornare a Cosentino: non ci dovrebbe essere bisogno dell’Agcom o di altri organismi, dovrebbe essere un elementare dato giornalistico quello, subito dopo il voto, predisporre programmi e trasmissioni dove chi ha sostenuto la necessità del SI alla richiesta della procura di Napoli, e quelli del NO, di potersi spiegare, esprimere, far conoscere il come e il perché. E invece? Se non vengono offerti gli strumenti per far sapere, come si può “spiegare meglio?”. In questi giorni, in queste ore, i radicali non si sono certo tirati indietro, quando si è offerta loro la possibilità e l’occasione di potersi esprimere. Ma quando e dove accade ed è accaduto? Risulta che Maurizio Turco o Rita Bernardini, per fare due nomi, si siano sottratti a un pubblico confronto con Rosy Bindi o Dario Franceschini a “Porta a Porta”, “Ballarò”, o altrove? Veniamo ora ad Antonio, ai tanti Antonio che esprimono tutto il loro scandalo e la loro indignazione. È probabile che siano non in buona ma in ottima fede, e che credano davvero in quello che dicono, e dicano quello in cui credono. Le risposte alle invettive che in queste ore scaglia la “brava gente”, sono semplici: Maurizio Turco nella sua veste di componente della giunta per le autorizzazioni ha letto e studiato le carte; un migliaio di documenti inviato dalla procura di Napoli, che poi sono state studiate e lette anche dai parlamentari radicali (che l’abbiano fatto tutti gli altri, non si giurerebbe); sulla base della lettura di quelle carte Turco e gli altri cinque parlamentari radicali hanno maturato la convinzione che la richiesta della procura di Napoli non era fondata; l’hanno detto prima del voto, l’hanno dichiarato apertamente, e sono stati conseguenti. Altri si sono celati dietro il voto segreto, e dicendo una cosa hanno fatto l’opposto. Tutti coloro che gridano allo scandalo e si dicono indignati probabilmente non hanno letto e non conoscono le carte (però possono ora rimediare, con un minimo di pazienza e tempo: se navigano in Internet, quelle carte ora si trovano); diciamo che vanno dove li conduce il cuore. Poi, certo, si può e si deve dare il giudizio politico su Cosentino e sui “cosentiniani”; ma anche su questo il giudizio e l’opinione dei radicali è netto e chiaro, e basterebbe al riguardo ascoltare la quotidiana rassegna stampa di “Radio Radicale”, una delle trasmissioni più seguite ed apprezzate, da radicali e non. Il suo conduttore Massimo Bordin ha detto in modo efficace e preciso tutto quello che in proposito c’era da dire, da sottoscrivere parole, virgole, pause comprese. Dunque? Dunque si torna a quello che scrive il nostro amico, che esorta i radicali a “cercare di spiegare meglio…”. Non c’è dubbio che questo appello verrà raccolto, anzi lo è già. I radicali cercheranno ulteriormente di raffinare i loro strumenti, continueranno “a battere il chiodo”. Però, per dire: giorni fa Marco Beltrandi osserva che da un paio di mesi la commissione parlamentare di vigilanza Rai non si riunisce. Proprio così: non si riunisce. È una cosa normale? C’è un presidente, Sergio Zavoli; due vice-presidenti; due segretari, e siamo a cinque; e poi altri diciannove senatori e sedici deputati: del PdL, del Pd, del Terzo Polo, dell’IdV, dell’UdC e dei mille gruppi e gruppuscoli in cui sono frazionati i parlamentari. Uno, ma che sia uno, che abbia fiatato e detto che forse qualcosa non va. Nessuno. Il Centro d’Ascolto Radicale ha fornito una documentazione inoppugnabile sullo stato dell’informazione radiotelevisiva in Italia: è un dossier impressionante, con dati, cifre, numeri, “fatti”. Il dossier è in rete, a disposizione di chiunque; è stato consegnato alle massime cariche dello Stato. Anche qui: uno, ma che sia uno, che abbia fiatato e detto che forse qualcosa non va. Nessuno. Poi certo, la conseguenza logica sono le lettere e le mail indignate e scandalizzate dei tanti Antonio che sono la “brava gente” che crede di sapere ma non conosce. E al nostro caro amico che ci consiglia a “cercare di spiegare meglio”. D’accordo. Ma che fare di più e di altro che già non sia stato fatto, non si cerchi di fare? Lettere: indulto parziale contro la “doppia pena” di Giulio Gavotti Avvenire, 14 gennaio 2012 Gentile direttore, continuano le notizie di suicidi in carcere, fenomeno legato al sovrappopolamento e allo stato di grave e generalizzato disagio. Anche il Santo Padre Benedetto XVI ha rimarcato il problema, parlando di una “doppia pena”, quella irrogata dai giudici e quella provocata dalla situazione carceraria. È uno stato di cose che esige soluzioni adeguate e tempestive. Anche Marco Pannella insiste per un’amnistia, ma la sua proposta non sembra trovare accoglienza, a mio parere a ragione, perché l’amnistia varrebbe solo per i reati meno gravi e non potrebbe riguardare la totalità dei detenuti. Il ministro della Giustizia Severino ha formulato alcune proposte, meritevoli ma, a mio avviso, non risolutive. Una iniziativa che a me parrebbe efficace è l’indulto parziale, fondato sul disposto dell’art. 174 del Codice penale che recita: “l’indulto o la grazia condona in tutto o in parte la pena inflitta, o la commuta in un’altra specie di pena stabilita dalla legge”. La maggior afflizione della detenzione come è attualmente applicata potrebbe giustificare, attraverso un condono parziale, una congrua diminuzione delle pene inflitte, producendo un atto di giustizia nei confronti di tutti i detenuti e un notevole alleggerimento della situazione carceraria. La legge, di evidente natura eccezionale, dovrebbe perdurare sino al ristabilimento della normalità nelle carceri e dovrebbe riguardare sia le condanne inflitte con sentenze divenute definitive, sia i processi in corso, applicandosi l’indulto alle pene che dovrebbero essere stabilite secondo la vigente normativa. Lettere: paradossi del carcere e della malattia mentale di Danilo Di Matteo Il Riformista, 14 gennaio 2012 Gli ospedali psichiatrici, nati con ben altre intenzioni, finirono per somigliare a ghetti e a carceri, spesso per ergastolani. Ecco: oggi si discute di sovraffollamento dei luoghi di pena, delle condizioni disumane nelle quali si trovano i detenuti, dei casi di suicidio che li vedono protagonisti. Sarebbe però opportuno riflettere con maggior lucidità sul mondo del disturbo psichiatrico e su quello carcerario. Si tratta di realtà che viviamo come distanti. Eppure sia la giustizia che i problemi psico(pato)logici riguardano porzioni non piccole della popolazione. Non solo: se la psichiatria nacque anche per distinguere i folli dai criminali, una fetta significativa della popolazione reclusa presenta ad esempio disturbi di personalità. E la percentuale tanto elevata di tossicodipendenti negli istituti di pena è in sé la spia di un profondo malessere psicofisico. Per non dire del disagio degli agenti della polizia penitenziaria. Il muro di indifferenza che circonda i due mondi rappresenta forse il tentativo di esorcizzare le nostre paure di sempre: il timore di impazzire, ad esempio, quello del degrado, della miseria e della morte, il sospetto nei confronti del diverso, l’angoscia della solitudine e dell’isolamento. E talora, in effetti, i “reietti” insidiano la nostra sicurezza e persino la nostra integrità fisica. Ma né il ghetto né il mito del territorio riescono a migliorare la situazione: i problemi vengono solo elusi o spostati. Il paradosso di fondo è un altro: disagio mentale e carcere sono specchio e metafora della nostra realtà quotidiana, eppure vorremmo ignorarli e rimuoverli, quasi a scacciarli dal campo visivo. Un tentativo vano, inutile dirlo, che ci fa vivere tutti peggio. Veneto: 500mila € a sostegno 28 progetti di prevenzione recidiva e reinserimento sociale Ansa, 14 gennaio 2012 La Giunta regionale del Veneto, su proposta dell’Assessore regionale alle politiche sociali Remo Sernagiotto, ha approvato una delibera che assegna 500 mila euro di contributi per il 2011 a favore di 28 progetti che riguardano gli istituti penitenziari del Veneto e che hanno finalità educative. Dei progetti finanziati, 16 sono a favore dei detenuti negli Istituti di Pena del Veneto, 9 di quelli in area penale esterna (cioè affidate in prova ai servizi sociali, o in semilibertà, o detenzione domiciliare) e 3 riguardano azioni a favore di detenuti adulti con pena residua inferiore a un anno. Le iniziative sono proposte e curate da associazioni di volontariato e del privato sociale , in stretta collaborazione con le Direzioni degli Istituti, degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna e dell’Ufficio di Servizio Sociale Minorenni. “Da un punto di vista generale - afferma Sernagiotto - il sostegno delle iniziative educative, destinate alle persone in esecuzione penale, conferma l’impegno costante della Regione Veneto in questo settore, nel perseguimento dell’obiettivo di prevenzione della recidiva, garantendo la finalità rieducativa della pena e il successivo reinserimento sociale della persona detenuta. Vanno riconsegnate alla società - aggiunge -persone che tornino alla normalità di vita e al rispetto delle regole di convivenza; anche per risparmiare i soldi della collettività. Ricordo che mantenere un detenuto in carcere costa ogni giorno allo Stato, cioè a tutti noi, tra i 600 e i 700 euro, mentre costerebbe molto ma molto meno far sì che una volta uscito si guadagni da vivere, magari con un percorso protetto, e non ritorni in galera. Attualmente, come sappiamo è l’87% che ritorna in carcere dopo essere stato rilasciato”. Lazio: superamento di Opg e creazione reparti di “osservazione psichiatrica” nelle carceri Il Velino, 14 gennaio 2012 La giunta regionale del Lazio ha approvato la delibera che recepisce l’accordo adottato in Conferenza Unificata, in attuazione del decreto della Presidenza del Consiglio dei ministro del 2008, relativo agli interventi per il superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari. Il provvedimento dà inoltre il via libera allo schema di accordo interregionale con Campania, Abruzzo e Molise che prevede per il Lazio la realizzazione all’interno delle carceri, attraverso un apposito piano regionale, di un reparto di osservazione psichiatrica per i detenuti coinvolti. Il provvedimento individua alcuni impegni a carico delle Regioni anche attraverso i propri Dipartimenti di Salute Mentale. “Con questo accordo e attraverso gli interventi previsti in ambito regionale - afferma la presidente Renata Polverini - la nostra Regione, già attiva da tempo sul tema, dà ulteriore corso al superamento degli Opg e per la presa in carico dei nostri residenti. Inoltre, ci stiamo organizzando anche per l’attivazione all’interno delle carceri di un reparto di osservazione psichiatrica che garantisca una cura e una assistenza più appropriata ai detenuti affetti da infermità psichica”. In particolare, sulla base di queste disposizioni, la Regione provvederà ad istituire in un carcere del Lazio almeno una sezione per la tutela della salute mentale dei detenuti. Attraverso l’accordo di programma interregionale con Campania, Abruzzo e Molise, le Regioni interessate si impegnano inoltre ad istituire in ciascuno dei Bacini macro regionali di riferimento degli Opg il gruppo di coordinamento per ogni bacino, composto da un rappresentante per ciascuna delle regioni e coordinato dal rappresentante della Regione in cui ha sede l’Opg. Infine, per un corretto flusso dei dati, è previsto il passaggio dei nominativi degli internati Opg dal ministero di Giustizia, in attesa che diventi operativo il gruppo di coordinamento di bacino, ad un referente regionale, l’attribuzione di un codice identificativo a tali nominativi, la trasmissione del dato alla Regione Lazio e contestualmente l’attribuzione del singolo internato alla Asl di appartenenza, con indicazione di effettuare le valutazioni sanitarie stabilite, ai fini dello sviluppo dei progetti individualizzati di recupero e reinserimento. Augusta (Sr): detenuto si uccide impiccandosi, si trovava in cella d’isolamento La Sicilia, 14 gennaio 2012 L’ennesimo suicidio che si registra all’interno di istituto penitenziario riporta all’attualità la situazione di precarietà che si vive all’interno delle carceri. In questa occasione a togliersi la vita è stato M. M., di 47 anni, che stava scontando la pena nel carcere di Brucoli. L’uomo era stato messo in cella di isolamento, forse il sentirsi solo e in preda allo sconforto ha fatto balenare nel detenuto l’idea di farla finita. Ha aspettato che tutti gli altri detenuti, alla fine della giornata, rientrassero in cella e gli agenti penitenziari chiudessero i cancelli. È entrato nel bagno ha fatto un nodo scorsoio ai lacci delle scarpe e si è impiccato. Ad accorgersi del suicidio è stato l’agente di sezione che ha dato subito l’allarme. Ma per il poveretto, nonostante, il disperato tentativo di rianimarlo, non c’è stato niente da fare. Dopo quest’atto grave, considerato che la situazione degli istituti penitenziari della provincia di Siracusa è ormai giunta al collasso per i noti problemi di sovraffollamento e di carenza di personale di polizia penitenziaria il vice segretario dell’Ugl-Fnpp Sebastiano Bongiovanni ha chiesto di trattare il problema in prefettura, per concordare, con il prefetto Renato Franceschelli, le giuste contromisure, per evitare, in futuro, altri episodi di questo genere. “È davvero imbarazzante ed incredibile - afferma il rappresentate sindacale della Polizia penitenziaria - notare il silenzio dell’Amministrazione, il silenzio dello Stato dinanzi ai fatti gravissimi che si stanno susseguendo giorno dopo giorno nelle carceri d’Italia ed a farne le spese, oltre alla Polizia penitenziaria, sono anche tutti gli altri operatori e gli stessi detenuti”. Inoltre, il vice segretario nazionale dell’Ugl-Fnpp, ha fatto rilevare, che quando succedono questi eventi non avvengono mai per caso, ed inoltre a questi fatti drammatici si devono aggiungere altri gravi episodi che, per grande senso di responsabilità, obbliga gli agenti de polizia penitenziaria, a mantenere il silenzio. “Stando agli ultimi eventi - afferma Bongiovanni - si percepisce sempre più forte la debolezza dell’Amministrazione centrale, la quale non sembra riuscire a gestire come si conviene quei problemi principali che poi portano alle conseguenze peggiori: suicidi, aggressioni, autolesionismi, proteste. Nella fattispecie l’Amministrazione sembra incapace di poter affrontare adeguatamente il problema del sovraffollamento delle carceri, il problema che arreca alle istituzioni italiane la rilevante presenza di stranieri detenuti ed il gravissimo problema della carenza di organico della polizia penitenziaria che se non verrà ripristinato a breve potrebbe non soddisfare più neanche i minimi livelli di sicurezza di cui gli istituti penitenziari necessitano”. Roma: due detenuti evadono da carcere Regina Coeli, nella capitale è “caccia all’uomo” Il Velino, 14 gennaio 2012 Un rumeno e un albanese, probabilmente dopo aver segato le sbarre, si sono calati al secondo piano e, agganciandosi al muro di cinta si sono dati alla fuga. La denuncia dell’Osapp. “Nelle prime ore di questa mattina dal carcere romano di Regina Coeli, due detenuti di cui uno rumeno e l’altro albanese, ristretti nelle seconda sezione dell’istituto, probabilmente dopo avere segato le sbarre della cella, mediante una corda ed un arpione rudimentali, si sono dapprima calati terzo al secondo piano della struttura e poi, agganciandosi al muro di cinta, sono scesi all’esterno dandosi alla fuga”. Lo comunica Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). Una notizia che serve a ricordare la situazione del penitenziario romano. “A Regina Coeli i detenuti hanno raddoppiato le presenza consentite superando del 25% persino la capienza massima raggiungibile (1.180 presenti per 724 posti) - prosegue il sindacalista - ma il vero problema riguarda la carenza di personale di polizia penitenziaria (oltre il 30%), tant’è che i due detenuti si sono potuti agganciare al muro di cinta per poi calarsi nelle vicinanze di una delle garitte prive di sentinelle da tempo, proprio per la mancanza di addetti”. “Nel frattempo - prosegue l’Osapp - è in atto nella Capitale e nelle cittadine del litorale laziale un vastissima operazione della polizia penitenziaria e delle forze dell’ordine per la cattura degli evasi - conclude Beneduci - ma l’episodio è significativo di come la tensione e i pericoli derivanti dall’attuale e grave emergenza penitenziaria non siano per nulla diminuiti e di quanto il Governo abbia ancora da fare rispetto alle esigenze, anche riorganizzative, del corpo di polizia penitenziaria”. Nella capitale è caccia all’uomo È caccia all’uomo nella Capitale, ma non solo per ritrovare i due detenuti stranieri evasi stamani dal carcere romano di Regina Coeli, che si trova nel centro della città. Un vasto dispiegamento di forze dell’ordine, polizia penitenziaria, agenti della Questura di Roma e carabinieri e guardia di finanza dei Comandi provinciale di Roma, stanno facendo controlli a tappeto nella Capitale e nei comuni della provincia. I due evasi sono un albanese di 29 anni e un romeno di 25. Stamani verso le 8.30 si sono calati dal muro di cinta del carcere di via delle Mantellate e sono poi riusciti a far perdere le tracce dandosi alla fuga. Uil-Pa: nella sezione 2 agenti invece degli 8 previsti Nella sezione di Regina Coeli dalla quale sono evasi due stranieri c’erano “solo due agenti di turno in luogo degli otto che avrebbero dovuto esserci per garantire la sorveglianza ai quattro piani”. E la sezione ospita 240 detenuti invece dei 120 consentiti. A renderlo noto è Eugenio Sarno, segretario generale della Uil-Penitenziari, secondo cui “la clamorosa, rocambolesca, evasione mette a nudo tutte le falle di una politica disattenta verso le criticità del sistema penitenziario”. “Da anni - ricorda - abbiamo denunciato invano come la desertificazione degli organici della polizia penitenziaria contribuisse a creare un vulnus alla sicurezza sociale. Ed i quattro detenuti evasi dalle carceri nel giro di pochi giorni sono molto più che un campanello di allarme. Ora vogliamo credere che non si facciano volare gli stracci e che si addossino responsabilità esclusivamente all’anello debole della catena, ovvero agli agenti di sorveglianza”. “Nel corso degli anni - continua il sindacalista - i vari governi si sono limitati a prendere atto delle varie segnalazioni allarmanti ed allarmate ma senza incidere significativamente sulle criticità, tra cui le carenze d’organico occupano posto di rilievo. Ora il ministro della Giustizia Severino ben comprenderà le nostre sollecitazioni e le nostre preoccupazioni. Occorre far presto per trovare soluzioni al dramma ed all’emergenza”. Direttore Regina Coeli: dal 1994 in carcere non ha più vigilanza esterna “Sono 12 anni che sono direttore del carcere di Regina Coeli e non c’è mai stata vigilanza fuori dal penitenziario. È dagli anni 94-95 che in tutte le carceri fu tolta la vigilanza esterna”. A parlare è Mauro Mariani il direttore del carcere romano, da cui sono evasi stamani due stranieri. “I due stranieri - ha spiegato - erano detenuti nella seconda sezione. Erano a Regina Coeli da circa un anno. Sono riusciti a calarsi con una corda formata da lenzuola ed un arpione rudimentale costruito con un bastone, il manico di una scopa”. Dal 2011 dieci evasioni dagli istituti penitenziari italiani L’evasione di due detenuti dal penitenziario romano di Regina Coeli è già il secondo episodio dell’anno di fuga dalle carceri nel nostro Paese, dopo quello di Pisa del 9 gennaio scorso. “Nel 2011 sono state 8 le evasioni dagli istituti penitenziari italiani, per un totale di 14 detenuti evasi. Con gli episodi di Pisa e Roma, arriviamo a 10 evasioni e 18 evasi”, dice all’Adnkronos Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari. Lo scorso anno le evasioni tentate e non riuscite sono state 21 dagli istituti e due dagli uffici giudiziari. Sempre nel 2011, sono stati 9 i detenuti evasi dal lavoro all’esterno, altri 9 dalla semilibertà. Per quanto riguarda gli arresti domiciliari, le evasioni sono state 40, quelle dai permessi premio sono state 47. Pisa: caccia serrata al detenuto campano evaso dal centro clinico del carcere Il Tirreno, 14 gennaio 2012 È caccia serrata a Francesco Azzaro, il quarantenne evaso dal carcere Don Bosco nella notte fra domenica e lunedì. Gli inquirenti sospettano che il bandito possa aver fatto ritorno verso la sua regione di origine, la Campania. Qui potrebbe contare su possibili appoggi. Prosegue intanto l’indagine del dipartimento di amministrazione penitenziaria, parallela a quella della procura. Indagano gli uomini della Squadra Mobile diretti da Giuseppe Testaì. Coordina l’inchiesta in atto sulla clamorosa evasione il sostituto procuratore Annarita Coltellacci. Il detenuto, con un complice catturato perché precipitato durante la fuga, è scappato scavalcando le mura di recinzione con l’aiuto delle lenzuola dopo aver fatto un buco nella parete esterna della cella del centro clinico del carcere, dove era ricoverato. Il suo complice, Mounir Boughera, marocchino di 27 anni, è tornato al centro clinico con la gamba sinistra, che si è spezzato nella caduta, ingessata. Il lenzuolo che avrebbe dovuto aprirgli le porte della libertà, infatti, si è spezzato facendolo cadere rovinosamente a terra e le sue grida hanno dato l’allarme smascherando la fuga. Un mese di lavoro per scavare il buco con un ferro Sarebbe durata poco meno di un mese l’opera di scavo portata avanti da due detenuti che nella notte fra domenica e lunedì hanno messo in atto un’evasione dal carcere Don Bosco. Per scavare il buco nel muro di pietra che collega alcune celle del centro clinico con l’esterno, i due detenuti, Francesco Azzaro, 40 anni, campano, che è riuscito a scappare, e Mounir Boughera, 27 anni, marocchino, rimasto vittima di un lenzuolo spezzato e finito a terra con la gamba sinistra rotta, avrebbero usato un pezzo di ferro staccato da una branda e usato come attrezzo. Ieri mattina, nel centro traumatologico di Cisanello, Boughera è stato operato dal professor Giulio Guido. Poi è stato riaccompagnato al centro clinico. Insieme ai due al momento dell’evasione c’erano ricoverati nella stessa cella altri tre detenuti, non malati gravi, uno dei quali sarebbe stato dimesso il giorno dopo. Mercoledì il dottor Francesco Cacini, direttore dell’ufficio ispettivo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha compiuto un sopralluogo nel carcere Don Bosco al rientro da una missione a Bologna. L’inchiesta del Dap procede di pari passo con quella che sta svolgendo la procura di Pisa, diretta dal pm Annarita Coltellacci. Lucca: Sappe; agente aggredito da detenuto “in isolamento”… ma in sezione comune Ansa, 14 gennaio 2012 Un assistente di polizia penitenziaria è stato aggredito nel carcere di Lucca da un detenuto. L’aggressione, resa nota dal Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, si è verificata ieri mentre l’agente stava effettuando controlli nelle celle della seconda sezione. Il detenuto che lo ha aggredito era già in isolamento per aver picchiato, insieme ad un altro compagno di pena, un detenuto magrebino. “Un isolamento, peraltro, nel reparto detenuti comuni in quanto a Lucca non esiste un reparto isolamento”, spiega il Sappe in una nota: “Nel reparto in questione attualmente sono presenti 47 ristretti a fronte di una capienza massima di 28 unità e le condizioni di vivibilità del reparto, ovviamente, sono quanto mai precarie”. Il Sappe, prosegue il comunicato, “da anni denuncia le gravi criticità del carcere lucchese, riferite al sovraffollamento (oggi ci sono 180 detenuti, più del doppio della capienza consentita), alla carenza di organico della Polizia Penitenziaria, (mancano più di 30 agenti), alla mancanza di una corretta organizzazione del lavoro, e alle scarse relazioni sindacali. C’è chi cataloga il carcere di Lucca come un’oasi felice, ma noi urliamo che il carcere di Lucca è uno dei più disastrati della penisola”. Saluzzo (Cn): Sappe; detenuto aggredisce agente e si barrica in cella Il Velino, 14 gennaio 2012 “Oggi un detenuto italiano della sezione semi protetta ha aggredito un agente e si è barricato in cella nel carcere di Saluzzo”. Lo rende noto Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) che aggiunge: “Il collega viene accompagnato al Pronto Soccorso con prognosi di 7 giorni salvo complicazioni. È l’ultimo episodio, in ordine cronologico, della costante tensione che caratterizza le carceri italiane, alimentata da aggressioni, risse, suicidi e tentativi sventati in tempo dalla Polizia penitenziaria. E sono proprio le donne e gli uomini del Corpo a pagare lo scotto di queste continue criticità e l’incapacità della politica di trovare soluzioni concrete ai problemi del carcere”. Firenze: Opg Montelupo; a fine mese scade l’ultimatum, ma rimane l’inferno Il Tirreno, 14 gennaio 2012 Il 26 gennaio, all’enorme portone della villa medicea dell’Ambrogiana, busseranno di nuovo il senatore Ignazio Marino e i membri della commissione parlamentare sulla sanità. Per quel giorno è prevista la scadenza dell’ultimo pacchetto di prescrizioni date dalla stessa commissione all’amministrazione penitenziaria per l’Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario). A quanto si legge, a quella data, la villa medicea dovrebbe essere pronta per divenire una struttura riabilitativa psichiatrica. In altre parole, in meno di venti giorni a Montelupo dovrebbe accadere una specie di miracolo. A luglio Ignazio Marino, che presiede la commissione d’inchiesta, ha fatto partire una serie di ultimatum per l’amministrazione penitenziaria che finora, se pur con qualche ritardo, sono stati rispettati. L’Opg, anche nella parte dove sono stati fatti di recente i lavori di ristrutturazione, non aveva il sistema antincendio. Mai avuto neppure in passato. Assenza curiosa per un carcere, ma tanto è stato. Il 26 agosto scorso, con 15 giorni di ritardo rispetto alla scadenza data dalla commissione, gli internati erano stati messi al riparo dal pericolo fuoco. Ora, però, c’è tutto il resto. L’Opg rimane un inferno. Al momento, si contano 125 internati. Quasi cinquanta di loro sono dentro per aver commesso omicidi o tentati omicidi. La maggior parte, indipendentemente dal reato, sono costretti a vivere stipati in celle di 30 metri quadrati che devono condividere in sei ma anche in sette. Questo perché delle ex scuderie, nucleo centrale dell’ospedale ora completamente ristrutturato, ne viene utilizzata solo la metà. L’altra ala doveva essere consegnata a settembre. È già tutta messa a posto ma un “particolare” è stato sottovalutato: i tecnici che hanno curato il progetto hanno sbagliato il calcolo energetico per cui abbiamo decine di celle nuove ma senza acqua calda e riscaldamento. Di conseguenza dovranno essere cambiate le tubature del gas metano a partire dal paese. E passeranno molti altri mesi. L’altra sezione, quella dell’ex camminamento coperto usato da Cosimo I per andare dalla villa alla chiesa di S. Lucia, è ancora quasi interamente chiuso dopo il sequestro della commissione parlamentare. Qui a luglio 2011 sono stati trovati internati in condizioni che dire di degrado è dir poco. “Mi sono trovato - ha raccontato ancora Marino all’epoca del sequestro - in una cella in cui un internato mangiava, uno dormiva e un terzo, in un gabinetto senza pareti, defecava alla presenza degli altri senza ormai più alcun imbarazzo “. Ancora: nell’ala dell’ex camminamento, sempre secondo il rapporto della commissione, le mura trasudavano di umidità e i vetri delle finestre erano rotti. Da qui è scattata la chiusura. Così come, del resto, è accaduto in altri Opg. Ad Aversa Marino ha trovato decine di bagni alla turca con bottiglie di acqua messe nello scolo. Era estate e quei buchi devoluti allo scorrimento di urina e feci erano gli unici posti per mantenere l’acqua fresca perché in quell’ospedale, siamo sempre a luglio 2011, non avevano ancora alcun frigorifero. E gli internati erano costretti a utilizzare il piatto dei loro escrementi per avere acqua bevibile quando in quelle celle si sfioravano i 40 gradi. E, di fronte a questi uomini-larva, Marino ha detto: “Vi sono persone che per aver commesso qualche bagatella si trovano reclusi in luoghi in cui se uno di noi mettesse un cane o un cavallo verrebbe subito arrestato”. Non solo: a 500 giorni dalle prime visite a sorpresa della commissione, rimane la certezza che gli internati non vengono curati: viene riconosciuto il loro status di detenuti ma non quello di malati quali loro sono. Gli psichiatri sono undici e riescono a garantire solo poche ore di assistenza al mese per ogni detenuto. La famiglia di un internato ha deciso di portare un suo specialista che viene all’Opg a pagamento. Dal venerdì al lunedì non ci sono specialisti a disposizione. Così (quasi) per gli infermieri: sono 25 ma la notte e il fine settimana ne rimane uno solo. Per cui gli agenti della polizia penitenziaria si ritrovano a fare da infermiere e da psichiatra. Non solo: come spiegano i numeri, il 40% degli ospiti non dovrebbero essere detenuti in quei luoghi. La loro misura di sicurezza è terminata ma è stata prorogata dal magistrato di sorveglianza perché dovrebbero essere accolti in strutture riabilitative psichiatriche ma le Asl non hanno posto. E l’unica soluzione possibile è la proroga della misura. Caso emblematico: all’Opg c’è un detenuto che ha novanta anni. Difficile pensare che questo istituto possa riconvertirsi magicamente alle prescrizioni date dalla commissione. E il 27 gennaio, il giorno dopo la visita del presidente Ignazio Marino, sarà quello del grande enigma. Verrà deciso il sequestro della struttura? Dove saranno sistemati o parcheggiati i 120 detenuti? “I cristiani non si possono sequestrare”, dice il garante dei detenuti della Toscana Alessandro Margara. E, come dice ancora lui, “si va alla scadenza delle prescrizioni senza soluzioni”. Bari: fondi per il nuovo carcere dirottati altrove; il Comune interpella formalmente il Dap La Repubblica, 14 gennaio 2012 Il comune di Bari chiederà formalmente informazioni al Dap sulle dichiarazioni dell’attuale capo del dipartimento Franco Ionta che parlando alla commissione Giustizia del Senato sull’emergenza carceri non ha escluso la possibilità di destinare i soldi, più di 40 milioni di euro, inizialmente previsti per il carcere di Bari, ai lavori di realizzazione di 17 capannoni già in fase di costruzione. Per il momento si tratta di una proposta elaborata da Ionta sulla quale dovrà pronunciarsi il governo. Il Comune di Bari ha chiesto un incontro con Angelo Sinesio, nominato a dicembre dal governo commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, incarico che finora, appunto, era svolto dal direttore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Sinesio si insedierà il 16. Con lui il sindaco Michele Emiliano e il direttore generale del Comune Vito Leccese discuteranno del futuro del carcere di Bari e soprattutto della disponibilità finanziaria per la realizzazione di una nuova struttura penitenziaria. A Palazzo di Città, però, guardano con fiducia ad un articolo del decreto “Salva Italia” che prevede la dismissione di strutture del ministero della Giustizia. Il Comune, infatti, aveva detto sì alla realizzazione di un carcere “leggero” (per detenuti in attesa di giudizio) nella zona di Santa Rita, nel quartiere Carbonara, proponendo però la costruzione di una struttura più ampia di quella prevista dal progetto del Dap, chiudendo e riqualificando l’attuale istituto penitenziario di corso Alcide De Gasperi. Nell’incontro con Sinesio, il sindaco cercherà di capire se davvero i finanziamenti sono stati persi perché destinati ad altre strutture o se sia ancora percorribile il progetto di realizzare un’unica struttura, cambiando destinazione all’area dove sorge il carcere ora. Cosenza: l’On Bernardini interroga il Ministro della Giustizia sul carcere di Castrovillari Notizie Radicali, 14 gennaio 2012 Interrogazione a risposta scritta. Al Ministro della Giustizia, per sapere, premesso che il giorno 29 dicembre 2011 l’interrogante ha visitato il carcere di Castrovillari accompagnata da Maurizio Bolognetti, Maria Antonietta Ciminelli e Salvatore Moscato; ad accogliere e guidare la delegazione il comandante Grazia Salerno; l’istituto è entrato in funzione nel 1995 pur essendo stato ultimato nel 1984, conta 128 posti, ma al momento della visita i detenuti presenti erano 252 mentre 8 si trovavano in permesso premio per le festività di fine anno; i detenuti presenti di sesso maschile erano 220, le detenute 32 di cui una con prole; in totale i detenuti stranieri sono 112 di cui 25 marocchini, 20 rumeni, 15 tunisini, 11 albanesi, 9 nigeriani, 5 egiziani, 4 bulgari, 4 algerini, 3 ucraini, 2 indiani, 2 domenicani e 1 per ciascuna delle seguenti nazioni: Gambia, ex Jugoslavia, Guinea, Senegal, Somalia, Cina, Messico, Liberia, Grecia, Canada, Russia e Venezuela; gli agenti di polizia penitenziaria assegnati alla C.C. di Castrovillari sono 109 di cui 17 distaccati in altre sedi e 9 provenienti da altre sedi; fra le 101 unità presenti, figurano: 1 Comandante del Reparto, n. 14 unità femminili presenti nel reparto femminile, n. 9 unità impiegate nel nucleo traduzioni; n. 52 unità impiegate nel servizio di vigilanza e osservazione detenuti; n. 25 unità impiegate in mansioni d’ufficio e vigilanza dei detenuti lavoranti; l’impiego minimo giornaliero riguarda 40 unità che coprono le 24 ore esclusivamente per la vigilanza dei detenuti, a livelli minimi di sicurezza e in turni di servizio di 8 ore e oltre; i turni notturni al mese sono almeno 6 per ciascun dipendente; quanto alle ferie ancora da godere, ci sono giacenze dell’anno 2009; in prospettiva, ci fanno sapere gli agenti, per un miglior andamento di gestione finalizzato a poter garantire le ferie e assicurare un maggior livello di sicurezza dell’istituto, l’organico dovrà essere incrementato di almeno altre 30 unità; inoltre, il parco macchine degli agenti è insufficiente e per alcune vetture e furgoni da rottamare; nell’istituto opera una sola educatrice perché l’altra è in maternità, ma secondo quanto riferito ne occorrerebbero almeno tre; l’educatrice, presente durante la visita, illustrando le attività trattamentali, comunica che sono attivi per circa 60 detenuti corsi di alfabetizzazione, scuola media, istituto alberghiero, istituto tecnico industriale oltre ad un corso di informatica; i detenuti che svolgono mansioni all’interno dell’istituto sono 30, mentre coloro che lavorano all’esterno in art. 21 sono 7 impegnati nella raccolta differenziata dei rifiuti; quanto agli psicologi, ne è previsto uno presente tutta la settimana; l’assistenza psichiatrica è fortemente carente, considerato che nell’istituto ci sono una quarantina di casi psichiatrici e 25 tossicodipendenti; la poltrona odontoiatrica è utilizzata solo per l’estrazione dei denti perché attende da due anni di essere aggiustata per le altre funzioni come la cura delle carie; a parere del personale infermieristico sarebbe utile poter disporre di un ecografo per evitare frequenti traduzioni all’esterno; nel reparto femminile, nella cella n° 3 troviamo una detenuta con il figlioletto di 2 anni e mezzo; a quanto ci riferisce la madre il bimbo attende da 5 mesi la visita pediatrica e le vaccinazioni; sempre nella sezione femminile la delegazione ha notato una cella sotto sequestro dal maggio del 2008 perché lì si suicidò un’agente di polizia penitenziaria, Fabrizia Germanese di 44 anni, arrestata per traffico di stupefacenti; nei sei mesi prima del suicidio l’agente aveva prestato servizio “in missione” proprio nell’istituto di Castrovillari negli ultimi dieci anni nel carcere di Castrovillari si sono suicidati 9 detenuti, due nel 2011 e, in questo nuovo anno, il 5 gennaio un altro detenuto ha tentato il suicidio; quanto al trattamento dei detenuti, da rilevare che in quasi tutte le celle delle dimensioni di 6 metri quadrati sono presenti tre detenuti in letto a castello a tre piani; le celle non dispongono di acqua calda e le docce sono consentite a giorni alterni in appositi, degradati, locali; i reclusi usufruiscono di 3 ore e mezza d’aria al giorno e di 2 ore di socialità, ma gli spazi ristretti consentono ben poche attività di socializzazione; i “passeggi” dove è possibile usufruire dell’ora d’aria sono così angusti e deprimenti che alcuni detenuti preferiscono rimanere in cella; si segnalano inoltre i seguenti “casi”: nella cella n°5 (Sez. B) - C. L. , 67 anni cardiopatico che ha subito un intervento alle coronarie ed è portatore di peacemaker, lamenta di attendere dal luglio 2011 un esame specialistico; nella cella n°8 (sez. B.) - D. A. è in attesa di avere l’autorizzazione di poter dipingere; mostra alla delegazione un catalogo delle sue opere; nella cella n.° 11 (Sez. B) - Il detenuto A.G. riferisce di aver chiesto da agosto di poter incontrare lo psicologo e che solo a dicembre gli sia stata consentita una visita, ma dallo psichiatra. G.R. fine pena nel 2022, ha presentato domanda al DAP per essere trasferito in Sicilia dove si trovano i suoi 4 figli minori, il più piccolo di 4 anni; Un altro detenuto con fine pena lungo (2024), R. S. ha fatto istanza di trasferimento a Roma Rebibbia o Velletri per motivi di studio; J. ha fatto da mesi la richiesta di trasferimento negli istituti di Brescia o Mantova o Cremona o Piacenza perché la sua famiglia è a Brescia, in particolare, due figli di 2 e sei anni nati in Italia; V. L. gli mancano 4 mesi al fine pena ma non ha possibilità di accesso alla L. 199/2010 perché non ha un’abitazione; da quando è recluso (3 anni e 8 mesi) non ha mai potuto fare né una telefonata né un colloquio con i genitori; sottolinea le difficoltà di contatti con l’ambasciata rumena a Roma; alcuni detenuti hanno lamentato la mancanza di modelli per presentare “le domandine” e un detenuto russo l’assenza del regolamento d’istituto in lingua russa; infine, va rammentato il fallimento del progetto “Argo” del quale si inizia a parlare nel 2007, per dare concreta applicazione ad uno studio condotto dal Dap che evidenziava l’utilità di iniziative volte ad affidare ai detenuti la cura dei cani. Il progetto viene inaugurato nel novembre del 2009 e su www.strill.it viene annunciato: “I detenuti si dedicheranno da oggi, nella stessa area penitenziaria, alla cura di alcuni cani randagi, appositamente sistemati in un canile, costruito dal Comune. L’iniziativa, denominata “Argo”, è stata, infatti, resa possibile da una sinergia tra Comune, Casa Circondariale ed Azienda Sanitaria, e presentata questa mattina, con l’inaugurazione del “canile”, in una conferenza stampa, nella sala convegni del penitenziario del capoluogo del Pollino”. Da quel che la delegazione ha potuto riscontrare, una quindicina di randagi sono malamente alloggiati nel canile posto all’interno delle mura carcerarie dove, fra sbarre e gabbie metalliche, i cani abbaiano disperati muovendosi fra i loro stessi escrementi senza che nessuno si prenda più cura di loro:- se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa; se non ritenga opportuno intervenire in modo deciso e tempestivo per fronteggiare il drammatico sovraffollamento della casa circondariale di Castrovillari e, a tal fine, quali urgenti iniziative intenda assumere per far rientrare l’istituto nella dimensione regolamentare dei posti previsti; quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione; se il magistrato di sorveglianza abbia mai dato disposizioni per il rispetto della normativa riguardante le condizioni di detenzione e, in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali le disposizioni stesse non siano state rispettate; quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la grave carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi; quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette; se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive; se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l’assistenza psicologica; se, in che modo e in quali tempi, intenda intervenire per rimuovere tutte le carenze strutturali ed igienico-sanitarie che contrastano con la normativa vigente; a quando risalgano e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali delle Asl sulle condizioni igienico-sanitarie della Casa Circondariale Castrovillari; se, e in che modo, intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa; cosa intenda fare per rispettare il principio della territorializzazione della pena; quali iniziative intenda intraprendere per dismettere definitivamente e nei modi dovuti il fallimentare “progetto Argo”; quali sono le ragioni che hanno portato l’Amministrazione a detenere l’agente Fabrizia Germanese nello stesso istituto dove aveva prestato servizio e quali misure erano stato messe in atto per scongiurare il suo suicidio; se sia stata fatta un’indagine specifica per comprendere le ragioni dell’alto numero di suicidi nel carcere di Castrovillari; quali iniziative urgenti intenda adottare, indefinitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all’interno dell’istituto penitenziario di Castrovillari alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo. Enna: carcere fatiscente, disagi per i detenuti La Sicilia, 14 gennaio 2012 Le strutture carcerarie fatiscenti sono state al centro della discussione durante un incontro svolto tra la seconda commissione di consultazione e studio della Provincia e padre Giacomo Zangara, delegato regionale per i cappellani degli istituti di pena e degli istituti minorili. Si è discusso delle condizioni in cui vivono i reclusi delle carceri nel territorio ennese e delle loro prospettive. Sull’incontro è intervenuto il consigliere provinciale Salvo La Porta: “La precarietà e la fatiscenza della maggior parte degli edifici circondariali ricadenti nella nostra provincia preoccupa notevolmente. Quei luoghi, lungi dal rappresentare un’opportunità di rieducazione e di inserimento nella società civile, rischiano di trasformarsi in vere e proprie trappole per quei cittadini li ristretti” dice con preoccupazione il consigliere pidiellino che aggiunge: “Nonostante l’istituto penitenziario del capoluogo possa sembrare un isola relativamente felice, risulta che molti provvedimenti potrebbero essere assunti per alleviare la grave situazione di disagio”. La Porta ha confermato che molte celle registrano infiltrazioni di acqua e pare che nella stessa chiesa i danni del tempo siano ormai evidenti. “Nelle case di Nicosia e Piazza Armerina la situazione e ancor più drammatica - dice La Porta - e i responsabili sono lasciati praticamente soli e a poco valgono, infatti, gli enormi sforzi del personale e del benemerito mondo del volontariato”. Da qui l’appello affinché “si dia voce a queste necessità, la Provincia si faccia carico di interpretare questi bisogni”. Il consigliere ha quindi concluso spiegando che “la revisione della formazione professionale in Sicilia provoca un ulteriore danno a quanti, colpiti dalla restrizione, vedono preclusa ogni possibilità di legittima occupazione nella previsione e nella speranza di una vita migliore”. Porto Azzurro (Li): Sappe; ora quel carcere è una polveriera Il Tirreno, 14 gennaio 2012 “Quel carcere sta diventando una polveriera”. Claudio Falchi, vice segretario regionale del sindacato Sappe, descrive così la situazione che si sta vivendo nel penitenziario di Forte San Giacomo. Martedì tre agenti della polizia penitenziaria sono stati aggrediti da un detenuto. Dopo poche ore un altro ospite del carcere ha tentato il suicidio, sventato soltanto dalla tempestività degli agenti. Altre due spie, quindi, di una situazione resa insostenibile dal sovraffollamento dell’istituto penitenziario. La recente chiusura di un padiglione del carcere di Livorno e il conseguente trasferimento di un altro gruppo di detenuti a Porto Azzurro ha appesantito il clima nel penitenziario elbano, che ospita attualmente 340 detenuti. “Ma il problema è anche legato al tipo di detenuti che entra attualmente nel carcere - racconta Falchi - Porto Azzurro è calibrato su detenuti che devono scontare pene più lunghe. Invece non c’è più un minimo di filtro. Vengono qui persone che hanno commesso ogni tipo di reato, con problemi psichici, detenuti aggressivi. E gli agenti rischiano in prima persona per mantenere un ordine che, giorno dopo giorno, sta venendo meno”. Da tempo i sindacati incalzano l’amministrazione penitenziaria, senza al momento ottenere risposte convincenti. “Si continua imperterriti a nascondere la polvere sotto il tappeto - conclude Falchi - ma facendo così si rischia la tragedia”. Genova: rinviato processo appello ex direttore Ponte X, condannato per corruzione e falso Ansa, 14 gennaio 2012 A causa dell’impedimento di uno dei difensori è stato rinviato al 9 marzo il processo d’appello a carico di Giuseppe Comparone, 61 anni, l’ex direttore del carcere di Pontedecimo, che era stato accusato di violenza sessuale nei confronti di una detenuta marocchina ed era poi stato condannato in primo grado, con rito abbreviato, a due anni e mezzo di reclusione per corruzione e falso. Il gup Silvia Carpanini lo aveva assolto dal reato di violenza sessuale e di istigazione alla calunnia e aveva ritenuto sussistente il reato di corruzione al posto della contestata concussione. Il pm Ranieri Vittorio Miniati aveva chiesto sei anni di reclusione. Comparone è difeso dagli avvocati Stefano Savi che stamani era in aula e dal professor Massimo Gastaldo Ceresa. L’inchiesta era partita nel 2009, dopo la denuncia della detenuta marocchina che aveva raccontato di essere stata indotta ad avere rapporti sessuali con Comparone. La donna godeva del beneficio del lavoro esterno. L’accusa di calunnia, secondo l’accusa, riguardava il fatto secondo il quale l’ex direttore avrebbe indotto la donna ad accusare falsamente un ispettore della polizia penitenziaria. L’ex direttore del carcere che ora è in pensione, ha sempre negato ogni addebito. L’appello era stato presentato sia dalla Procura che dalla difesa. Il pm aveva ricorso in appello su due punti: l’assoluzione dalla violenza sessuale ritenuta aggravata dall’abuso di autorità, e la derubricazione della concussione in corruzione. Birmania: nuova “apertura” del regime, liberi 302 oppositori politici Agi, 14 gennaio 2012 Il governo birmano ha reso noto di aver liberato 302 detenuti legati all’opposizione nell’ambito della nuova amnistia. Si tratta di nomi che rientravano in una lista redatta dalla Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, anche se il ministro dell’Interno, il generale Ko Ko, ha negato che si tratti di prigionieri politici. “Non prendiamo provvedimenti sulla base della politica o delle convinzioni personali”, ha affermato. Altri 128 nomi della lista dell’opposizione restano in carcere per motivi di sicurezza. Il ministro Ko Ko ha sottolineato che le liberazioni, salutate come un importante passo avanti dagli Stati Uniti, “non sono la risposta alla richiesta di una persona o di un gruppo ma un gesto di vera clemenza da parte del governo” del Myanmar, il nome dato dalla giunta militare all’ex Birmania. In totale sono 650 i prigionieri liberati nell’ambito dell’amnistia e tra loro ci sono anche i leader della fallita rivolta del 1988 in cui morirono migliaia di persone e partecipanti alle proteste del 2007. Un centinaio erano ex membri dell’intelligence. Altri 200 prigionieri politici erano stati liberati a ottobre e secondo varie stime in carcere ne restano ora tra i 500 e i 1.500. È “un segno positivo per tutti”, ha commentato a caldo la Signora dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, che ad aprile correrà per le elezioni parlamentari suppletive con la sua Lega nazionale per la Democrazia, riammessa a partecipare alle urne dopo essere stata disciolta nel novembre 2010. Positivo anche il commento di Amnesty International, che ha definito l’amnistia “un ulteriore passo avanti”. Anche Londra ha espresso soddisfazione per “l’ulteriore dimostrazione dell’impegno del governo birmano per le riforme”. Tunisia: amnistia per circa 9.000 detenuti, in anniversario cacciata Ben Ali Tm News, 14 gennaio 2012 In occasione del primo anniversario della caduta del presidente Ben Ali, le autorità tunisine hanno concesso oggi un’amnistia a circa 9.000 detenuti. Con un comunicato, il ministero della giustizia spiega che “in occasione del primo anniversario della rivoluzione tunisina, il ministro della giustizia ha annunciato che 9000 detenuti saranno perdonati o potranno essere liberati in via condizionale”. L’amnistia riguarda sia cittadini tunisini che stranieri mentre 122 detenuti condannati a morte hanno visto la loro pena commutata nel carcere a vita.