Giustizia: carcere in Italia, dalla nobile teoria alla criminale prassi di Michele Serra www.agoravox.it, 11 gennaio 2012 Non per cercare di fare l’originale a tutti i costi ma mi piacerebbe ricordare che c’è qualcosa che prescinde dalla nostra Costituzione e che da questa è stato recepito ed è l’insieme dei cd Diritti Inviolabili dell’Individuo. Sono diritti che comunemente si considerano non creati dallo Stato ma esigibili da ogni individuo a prescidere dall’organizzazione politica o amministrativa in cui si trova, a prescindere dalla condizione dell’individuo stesso, a prescindere pure dal suo certificato penale, appunto, penale. Quanto detto sta nell’art 2 della nostra Costituzione, tra i Principi Fondamentali, cioè sta in ciò che potrebbe considerarsi un preambolo. Ma capita che gli individui violino certe leggi, spesso violando proprio i diritti inviolabili di altri individui, ne scaturisce una responsabilità penale accertata e sanzionata dal nostro sistema giudiziario. Nonostante ciò, per fortuna gli individui restano tali e come tali la nostra Costituzione li tratta. Anche l’assassino è un individuo, anche lo stupratore, non penso che la qualifica di individuo possa essere dismessa in qualche modo. Direi di più, secondo me, la Costituzione nell’articolo 27 prendendo in esame proprio questo tipo di individui, quelli che sono stati condannati da un tribunale ad una pena, qualsiasi pena anche quella della detenzione quindi, considera tali individui meritevoli di una maggiore attenzione da parte dello Stato. Attenzione, non volta solo a detenerli separandoli dal resto della comunità ma soprattutto volta a recuperarli per realizzare una rieducazione. In pratica io penso che la Costituzione Italiana individui nell’esecuzione della pena e negli strumenti per realizzarla un sistema di welfare che dovrebbe erogare un servizio all’individuo stesso non solo alla comunità che dopo la condanna del reo si trova al sicuro, o pensa di trovarvisi, se questo è dentro una cella. L’esclusione della possibilità che le pene possano essere contrarie al senso di umanità si commenta da sola, la realtà delle nostre carceri è ampiamente contraria perfino al rispetto degli animali. Il numero esorbitante dei suicidi di detenuti è una realtà quasi quotidiana vergognosamente in atto nell’indifferenza delle istituzioni, i 60 suicidi in 10 anni di guardie carcerarie rendono il panorama ancora più grave e stavolta anche serio. Se sostituissimo gli esseri umani detenuti nelle nostre carceri con animali potremmo immaginare uno scenario, tipo un allevamento di qualsiasi animale, con trattamenti così crudeli che gli animali si lascerebbero morire da soli, e dove coloro che lavorano nell’allevamento, operando in una ambiente intriso di crudeltà e violenza e in condizioni insostenibili, comincerebbero a suicidarsi anche loro. Un allevamento simile lo chiuderebbero subito. Ma in Italia per gli esseri umani ciò è tollerato. Se passiamo a prendere in considerazione la rieducazione, ebbene c’è da mettersi le mani nei capelli. In un ambiente simile con un sovraffollamento che sfiora a volte il 200% dove si dorme a turno in terra spesso senza materasso, dove il lavoro, attività primaria che avvia ad una prospettiva di recupero, è possibile per un 10% circa dei detenuti, dove la promiscuità livella al peggio ogni rapporto umano. Come lo Stato può migliorare questi esseri umani? Giustizia: carceri fantasma… anche Ionta ne ammette l’esistenza di Alessandro Calvi Il Riformista, 11 gennaio 2012 Assicura Franco Ionta che entro il 2012 nelle carceri italiane “ci saranno circa 4.000 posti nuovi”. E spiega che quella sulle camere di sicurezza è “una misura di civiltà giuridica”. Il punto di vista espresso ieri dal capo del Dipartimento della amministrazione penitenziaria è, evidentemente, tutt’altro rispetto a quello espresso giorni fa dal vice capo della Polizia, il quale, con i rilievi mossi al decreto carceri, aveva provocato l’irritazione del Guardasigilli. Questa volta a via Arenula hanno tutte le ragioni per essere sollevati e, però, Ionta ha dovuto ammettere lo scandalo delle decine di carceri fantasma, quelle costruite e mai utilizzate, e quelle dimesse, per di più spiegando che ormai rimetterle in funzione costerebbe troppo. Uno scandalo nello scandalo. Un pò come la storia del carcere di Arghillà, a Reggio Calabria: inutilizzato perché manca la strada per arrivarci. Si tratta di una storia paradossale ed emblematica, denunciata da tempo, insieme a molte altre, dalla associazione Antigone e della quale proprio ieri questo giornale aveva dato conto, facendo il punto sull’emergenza carceri. Ebbene, ieri Ionta, ascoltato in commissione Giustizia al Senato in vista della approvazione del decreto svuota-carceri, ci è tornato, parlandone come di un “problema serio”, anzi: “Veramente uno scandalo”. E ha spiegato: “Le prime operazioni per la costruzione di questo carcere risalgono agli anni 80. Secondo alcuni calcoli la struttura è già costata 8090 milioni di euro ma deve essere necessariamente rifunzionalizzata, perché gli impianti sono precedenti alla legge del 2000”. Appunto: uno scandalo nello scandalo. E non è l’unico. In Italia, ha detto Ionta, ci sono, “39 case mandamentali dismesse da oltre 15 anni”. In tutto, garantirebbero 832 posti. E, però, riattivarle “sarebbe diseconomico e non vantaggioso”. E questo perché non più rispondenti alle norme in vigore. Come dire: non soltanto sono stati gettati al vento denari per realizzarle ma le lungaggini hanno fatto sì che la loro esistenza sia ormai del tutto inutile per lo scopo per il quale erano state progettate, pur essendo state terminate. E non è ancora tutto: pure volendo rimetterle in funzione, “per gestirle - ha osservato ancora Ionta - ci vorrebbe il personale”. Che, però, manca. È una osservazione, questa, che tornerebbe buona come obiezione alle teorie secondo le quali la soluzione al sovraffollamento delle carceri risiederebbe soltanto nella edificazione di nuove strutture. Invece, le strade praticabili potrebbero essere altre, a partire dal superamento della “monocultura del carcere”, come spiegava ieri su queste pagine Stefano Anastasia di Antigone, per non dire delle tante riflessioni che da anni si fanno sulla possibile introduzione nell’ordinamento di misure deflative a partire dalla sperimentazione di misure alternative al carcere sino alla depenalizzazione di alcune condotte. Di tutto ciò, peraltro, c’è traccia anche nel lavoro delle commissioni che hanno provato a riformare i codici. E, però, poi la realtà è un’altra e si deve fare i conti con marchingegni kafkiani come quello rappresentato dalla legge Fini-Giovanardi e dalla ex Cirielli: la prima ha aumentato in modo massiccio gli ingressi in carcere, la seconda, con la revisione delle norme sulla recidiva, ha reso molto più difficile le uscite. Così le carceri esplodono. Anche questo paradosso viene denunciato dalle associazioni. La risposta delle istituzioni all’emergenza, però, è soprattutto una: l’edilizia, appunto. Altra storia è quella dell’uso delle camere di sicurezza in alternativa al carcere, così come previsto dal decreto del governo il quale, però, proprio su questo punto appare destinato a subire profonde modifiche. Come annunciato, ci si potrebbe orientare verso la carcerazione domiciliare. La Severino non si è detta contraria. Ieri, comunque, Ionta ha difeso la norma sulle camere di sicurezza. Si ricorderà che, invece, il vice capo della Polizia Francesco Cirillo aveva criticato la norma, sottolineando la carenza di strutture e di personale necessario per applicarla. “Capisco la resistenza delle altre forze di polizia ma, se ognuno si arrocca, il carcere diventa un ricettacolo delle deficienze di tutto il sistema, e questo è intollerabile”, ha risposto Ionta il quale, invece, non si è voluto esprimere sulla ipotesi di amnistia sulla quale anche ieri è tornato a battere il leader dei Radicali Marco Pannella. Giustizia: Psichiatria Democratica; la situazione delle carceri è inaccettabile Ansa, 11 gennaio 2012 “Anno nuovo, dramma vecchio. Dopo i 66 suicidi di detenuti registrati nel 2011 il nuovo anno si è aperto con due nuovi casi. La situazione delle carceri resta invivibile e neanche il Piano carceri presentato dal neo ministro Severino sarà in grado di dare sollievo ad una situazione oramai diventata ingestibile con provvedimenti ordinari che non incideranno significativamente su un sovraffollamento da tutti ritenuto la principale causa del disagio dei detenuti di cui il suicido rappresenta l’espressione più inquietante e vero evento sentinella su cui riflettere”. È quanto denuncia, in una nota, Psichiatria democratica. “Le cifre prodotte dal Ministero di Giustizia sono eloquenti: 66.897 detenuti, di cui 24174 stranieri, per 45.770 posti regolamentari; 27251 imputati e 38023 condannati definitivi. Tutti costretti a vivere la detenzione senza prospettive, senza alternative alla permanenza in celle sovraffollate giorno e notte (salvo le ore d’aria), con scarsissime attività riabilitative”, si legge sempre nella nota. “Occorre quindi affrontare il problema con strumenti diversi da quelli usati o riattivare quelli già previsti dalla normativa ma, prima di tutto, occorre interrompere la deriva securitaria (gli Opg contro i quali ci stiamo spendendo senza sosta sono l’altra faccia della medaglia) che ha grandemente contribuito - si legge ancora nella nota - a creare la situazione attuale: il carcere deve ritornare ad essere la risposta ultima ai fenomeni di devianza”. Psichiatria Democratica auspica - attraverso Cesare Bondioli ed Emilio Lupo, rispettivamente responsabile Nazionale Carceri e Opg e Segretario Nazionale dell’Associazione - che anziché ricorrere a provvedimenti tampone, che tali poi nemmeno sono, si avvii un ripensamento complessivo delle politiche carcerarie e invece di costruire nuovi carceri, si riducano le presenze negli attuali dando corso alle misure alternative alla detenzione in carcere già previste dall’ordinamento e utilizzando i fondi della Cassa Ammende per i loro fini istituzionali di finanziamento di attività trattamentali e rieducative e non solo per finanziare nuova (e sempre insufficiente) edilizia carceraria. Giustizia: Pd; ecco le nostre proposte per modificare il Decreto legge Monti-Severino Dire, 11 gennaio 2012 “Il Pd ha depositato oggi in commissione Giustizia del Senato una serie di emendamenti al decreto-legge Monti-Severino per rendere più incisive le misure volte a contrastare il sovraffollamento delle carceri”. È quanto si legge in una nota del Partito democratico. “Un ventaglio - si spiega - di interventi correttivi sulla legislazione in materia di tossicodipendenti e di trattamento penale dei recidivi e degli immigrati irregolari per superare gli effetti distorsivi e le rigidità che si sono riverberate in maniera incontrollata sul sistema penitenziario in questi anni”. Il Pd ha proposto, inoltre, “l’immediata introduzione del nuovo istituto della messa alla prova che consentirà di operare per il recupero ed il ravvedimento delle persone, sospendendone il processo penale, e rilanciando significativamente le misure alternative al carcere. Vengono, peraltro, introdotte garanzie e accertamenti sulla praticabilità della custodia degli arrestati nelle camere di sicurezza delle forze di polizia e che le udienze di convalida degli arresti siano effettuate tutti i giorni”. Per quanto riguarda la proposta di superamento dei manicomi giudiziari, secondo il Pd, “bisogna promuovere la riabilitazione psichiatrica e sociale dei malati autori di reato, che scontavano misure di sicurezza indeterminate e lontane da un civile ed appropriato trattamento terapeutico”. Le proposte del Pd, conclude la nota, “raccolgono gli esiti dell’analisi degli ultimi anni, maturata anche dal confronto con una amplia platea dell’associazionismo giuridico, dell’avvocatura, della magistratura, del volontariato, del sindacato”. Infine l’auspicio affinché “la dialettica fra le forze politiche possa essere ispirata da una volontà convergente e da un concorso trasversale, per giungere a delle migliori soluzioni che diano maggiore efficacia alle misure del pacchetto Monti-Severino”. Giustizia: Associazioni per la tutela dei diritti dei detenuti incontrano il ministro Severino Ansa, 11 gennaio 2012 Una delegazione composta da Franco Corleone (Coordinamento Garanti Territoriali dei Diritti dei Detenuti), Ornella Favero (Ristretti Orizzonti), Patrizio Gonnella (Antigone), Luigi Manconi (A Buon Diritto), Franco Uda (Conferenza Nazionale del Volontariato della Giustizia) incontrerà domani mattina 12 gennaio il ministro della Giustizia Paola Severino per discutere della drammatica situazione del sovraffollamento carcerario, delle proposte della società civile impegnata negli istituti di pena e delle misure che il governo sta approntando. La delegazione, riferisce un comunicato, rappresenterà un ampio cartello di organizzazioni formato da A Buon diritto, Acli, Antigone, Arci, Associazione nazionale Giuristi Democratici, Beati i Costruttori di Pace, Cgil, Cgil-Fp, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia (Cnvg), Coordinamento Garanti Territoriali Detenuti, Forum droghe, Forum per il diritto alla salute in carcere, Jesuit Social Network Onlus, Ristretti Orizzonti, Unione Camere Penali Italiane, Vic-Caritas. Nei scorsi mesi è stato elaborato e consegnato al ministro e alle istituzioni parlamentari un ventaglio di proposte per alleviare la condizione detentiva e per il rispetto dei diritti umani. Giustizia: Fleres (Garante detenuti); decreto svuota carceri, sospettiamo pericolosi pasticci Agenparl, 11 gennaio 2012 “Il silenzio della Commissione Giustizia del Senato sulla richiesta di audizione formulata dal sottoscritto a nome della Conferenza dei Garanti Regionali dei Diritti dei Detenuti, costituisce un emblematico atto di insensibilità politica ed istituzionale”. Lo afferma, in una nota, il senatore di Grande Sud, Salvo Fleres, Coordinatore Nazionale della Conferenza dei Garanti Regionali dei Diritti dei Detenuti, con riferimento all’avvio dell’esame, in commissione giustizia del Senato, del decreto svuota carceri. “Esso prelude - sottolinea Fleres - alla conversione in legge di un decreto che presenta profili di incostituzionalità, che non risolverà nulla, che creerà disagi sia alle forze di sicurezza, sia ai detenuti, che non svuoterà le carceri, che costerà alcuni milioni di euro a carico dello Stato, che alimenterà un sistema di aspettative disattese e di carissime autoreferenzialità strutturali del tutto insopportabili. Avevamo offerto collaborazione e suggerito buonsenso - conclude il Coordinatore Nazionale della Conferenza dei Garanti Regionali dei Diritti dei Detenuti, abbiamo trovato supponenza e superficialità, sospettiamo pericolosi pasticci”. Giustizia: se il sindacato di Polizia chiede aiuto ad Amnesty International di Dimitri Buffa L’Opinione, 11 gennaio 2012 Se lo dice il sindacato di polizia, nella fattispecie il Coisp, che le camere di sicurezza in Italia sono materia da “Amnesty International”, più che da decreto svuota carceri, forse il ministro di Grazia e Giustizia Paola Severino può anche crederci. Fatta la tara alla propaganda e al giornalismo conformista e servile dei grandi mass media, quasi tutti i ministri del governo Monti inciampano negli stessi ostacoli che la realtà ha posto al precedente governo. Adesso è il momento del “redde rationem” su questa trovata di mettere i detenuti per brevi periodi, in attesa di convalida dell’arresto, nelle celle di sicurezza di commissariati di polizia o delle stazioni dei carabinieri. Ma è percorribile? Già qualche giorno orsono era stato il vicecapo della polizia Francesco Cirillo a spiegare alla commissione giustizia della Camera che “non è cosa”. Ora il carico da undici ce lo mette il segretario del Coordinamento sindacale per l’indipendenza delle forze di polizia, o Coisp, Franco Maccari. Che minaccia di rivolgersi direttamente a organismi internazionali come “Amnesty” per fare verificare l’agibilità di queste strutture. Spiega Maccari in un comunicato che “la questione delle carceri italiane e la conseguente soluzione trovata e cioè di trattenere i detenuti nelle camere di sicurezza delle Questure, non può diventare una “guerra tra poveri”, né un mezzo per acuire uno scontro di cui nessuno sente il bisogno. Però non ci piace questo atteggiamento impositivo assunto senza nessun criterio logico. Una soluzione, quella assunta dal Governo, che tale non è perché non risolve i problemi né dei detenuti, né delle carceri, né tanto meno delle forze dell’ordine e né quelli dei colleghi della Polizia Penitenziaria”. E ancora: “Innanzitutto non ci è piaciuto che un Ministro abbia liquidato le parole del vice capo della Polizia al rango di sfogo dettato dall’emotività…”. Poi la provocazione: “siamo pronti, se fosse necessario, per rafforzare le nostre posizioni, a chiedere l’intervento di soggetti terzi, quali i rappresentanti di associazioni riconosciute come Amnesty International, affinché verifichino senza pregiudizi, se le camere di sicurezza possono essere luoghi in cui un essere umano può essere trattenuto anche solo per 48 ore”. Perché anche questo esecutivo non passi alla storia per i suoi ministri “tutti chiacchiere e distintivo”. Giustizia: Lisiapp; l’anno inizia con sei aggressioni agli agenti della polizia penitenziaria Apcom, 11 gennaio 2012 Nelle carceri italiane, “dall’ inizio del 2012 contiamo già sei aggressioni al personale di polizia penitenziaria oltre che tra le fila dei reclusi tre morti e sei tentati suicidi”. Lo rende noto Mirko Manna, segretario Generale del sindacato Lisiapp, l’ultimo caso nella struttura toscana di Porto azzurro dove tre appartenenti al corpo sono stati aggrediti nel primo pomeriggio da un detenuto magrebino. Gli agenti sono ricorsi alla cure del Pronto Soccorso del nosocomio isolano, dove sono stati dimessi con prognosi di alcuni giorni. Il triste susseguirsi di aggressioni al personale e ai suicidi dei detenuti all’interno delle carceri e le proteste che da dicembre si registrano nelle strutture carcerarie del paese parlano chiaro: non c’è più tempo, affrontare la questione dei centri di detenzione è un’urgenza che non può essere più rimandata. E va dato atto al Governo Monti di non essersi fatto attendere, nonostante la grave situazione economica. A combattere il sovraffollamento dovrebbe intervenire il decreto “svuota carceri”, che prolunga da dodici a diciotto gli ultimi mesi della pena da scontare ai domiciliari. E in più, onde evitare la reclusione breve di chi dev’essere processato per direttissima, si potrà ricorrere per 48 ore alle camere di sicurezza dei Commissariati; dopodiché il Giudice dovrà confermare l’arresto o rilasciare il fermato. Il Ministro della Giustizia Paola Severino ha affrontato il problema dell’edilizia carceraria, cui saranno destinati 57 milioni di euro nel 2012: “sarà mia cura che questo denaro sia speso nel migliore dei modi, soprattutto per completare opere che sono a buon punto” - ha affermato in conferenza stampa. Durante la quale ha annunciato anche la nascita della Carta dei Diritti del Detenuto, un documento che indicherà ai carcerati ciò che possono e non possono fare. Sarà tradotto nelle lingue più diffuse all’interno dei penitenziari ed esteso anche alle famiglie dei reclusi: “potrebbe aiutare molto a superare quel disorientamento che pervade chiunque entri per la prima volta in un carcere”. Per applicare strumenti di controllo alternativi sarà obbligatorio ottenere il consenso dei detenuti. Infine, il “pacchetto” conterrà misure atte a migliorare e velocizzare la giustizia civile, a cominciare dai Giudici di Pace. “È una giustizia più vicina al cittadino e ha una estrema importanza” - dice la Severino, che preannuncia anche una revisione delle circoscrizioni: “un centinaio di circoscrizioni di giudici di pace potrebbero essere eliminate”. A tutto ciò conclude Manna - abbiamo già prime perplessità sull’effettiva applicazione del pacchetto in quanto siamo pienamente in linea con i sindacati di polizia per quello che riguarda la parte della detenzione nelle celle di sicurezza dei commissariati e stazioni CC e auspichiamo che almeno si chiarisca quali siano le modalità operative per gli operatori perché non basta dichiarare a tutte le OO.SS. compreso il Lisiapp, che il responsabile del Viminale ne ha concordato le modalità con il Guardasigilli, ma chi conosce meglio il funzionamento di tutto ciò un ministro oppure il personale di qualsiasi forza di polizia? Giustizia: Tv vietata a detenuti in 41-bis; dannosa contrapposizione tra ministero e giudice Agenparl, 11 dicembre 2012 Arriva davanti alla Corte Costituzionale il divieto per i detenuti sottoposti al 41/bis di vedere alcuni canali televisivi in chiaro. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in una lettera inviata al ministro della Giustizia Paola Severino. A sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte è stato il Magistrato di Sorveglianza di Roma dr. Enrico della Ratta Rinaldi che aveva accolto il ricorso di un detenuto in regime di 41/bis a Rebibbia Nuovo Complesso - G.C. - contro il divieto di visione di alcuni canali, ma aveva visto inapplicata la sua decisione. L’oscuramento parziale della tv ai detenuti in regime di detenzione speciale era stato disposto, il 29 ottobre 2010, da una Circolare del Dap dopo che un’inchiesta aveva rivelato come la malavita organizzata comunicasse, con i propri affiliati in carcere, attraverso sms pubblicati in diverse trasmissioni tv di successo. Per il Dap la misura era necessaria per garantire l’elevata sicurezza interna ed esterna, “…con riguardo principalmente alla necessità di prevenire contatti del detenuto con l’organizzazione criminale dì appartenenza a di attuale riferimento”. L’avvocato di G.C. aveva chiesto la rimozione del divieto per i canali Rai Storia e Rai Sport. Nell’accogliere il reclamo, il 17 maggio 2011 il Magistrato di Sorveglianza sostenne che, nel caso di specie, la limitazione al diritto costituzionalmente garantito all’informazione non era supportata da una adeguata motivazione sulle ragioni per cui la libera visione avrebbe potuto rappresentare un rischio per la sicurezza mancando, in sostanza, ogni riferimento all’eventualità che i due canali potessero veicolare messaggi dall’esterno o far trapelare messaggi all’esterno. Il pronunciamento implica che al detenuto G.C. fosse consentita la visione, oltre ai 7 canali consentiti anche di Rai Sport e di Rai Storia ma il Ministero della Giustizia, pur non impugnando il provvedimento, ha disposto di non dare esecuzione all’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza. Per questi motivi il detenuto ha presentato ricorso al Tar del Lazio mentre il Magistrato ha sollevato il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. La vicenda è stata anche oggetto di una interrogazione parlamentare mentre la Commissione carcerazione speciale e diritti umani dell’Unione delle camere penali italiane ha diffuso un comunicato intitolato “Regime di detenzione speciale 41-bis: dalla tortura democratica, alla destabilizzazione dell’ordine costituzionale”. “Al di là del merito della vicenda - ha scritto Marroni al ministro Severino - credo sia inopportuno che proprio il Ministero della Giustizia decida di non dare attuazione ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria, a seguito di un procedimento nel corso del quale l’Amministrazione stessa ha potuto contraddire le ragioni a sostegno della decisione assunta. Tale comportamento rischia di minare l’indispensabile fiducia nell’effettività delle decisioni dell’autorità giudiziaria, anche quando queste siano, per ipotesi, non condivisibili. A ciò si aggiunga che la limitazione, oltre a non avere alcun concreto effetto in termini di riduzione del rischio di contatto tra detenuti e mondo esterno, appare particolarmente odiosa perché rivolta a detenuti già sottoposti ad un regime detentivo inumano e degradante. Le chiedo pertanto di riesaminare la decisione del suo predecessore e di dare attuazione all’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Roma”. Giustizia: da Tanzi ad Occhipinti… niente “vendette di Stato” di Ubaldo Casotto Il Riformista, 11 gennaio 2012 Calisto Tanzi, Marino Occhipinti e gli evasori fiscali. Tre storie profondamente diverse che portano a galla una distorsione pericolosa del concetto di giustizia. Tanzi è un signore di 73 anni. Per usare un eufemismo: non è al meglio della forma. È stato finanziariamente ed economicamente pericoloso per molti che gli hanno accreditato fiducia, ma vedere in lui una minaccia fisica tale da doverlo ammanettare per tradurlo dal carcere all’aula del processo è, a essere benevoli, paranoia. Il condannato Tanzi esibito pubblicamente in manette è stato uno spettacolo vergognoso. Vergognoso perché spettacolo. La pena è per sua natura afflittiva, aggiungere supplementi di coercizione inutili trasforma la giustizia nel suo contrario. Se su Tanzi non è ancora stato emesso un verdetto definitivo, e definirlo “ladro” è ancora formalmente improprio, Marino Occhipinti, invece, sta scontando una pena all’ergastolo per omicidio. Si può quindi a pieno titolo chiamarlo “assassino”. I delitti di cui si è macchiato suscitano ancora orrore, lo Stato li ha puniti, applicando la legge, con il massimo della pena. Dopo 18 anni (6.570 giorni e 6.570 notti), ri-applicando rigorosamente la legge, in virtù della buona condotta e del cambiamento documentato, quello stesso Stato che lo ha condannato gli riconosce la semilibertà: potrà uscire di giorno per lavorare in una cooperativa sociale e rientrare la sera in cella. Non è un “colpo di spugna” né una “scarcerazione”, è il riconoscimento che la pena, oltre a essere retributiva è stata anche rieducativa, come dettato dalla Costituzione. Uno può credere o no al suo ravvedimento, per lui parlano i 18 anni di “buona condotta”, siano anche in “buona fede” o “per convenienza” è cosa che non possiamo sapere. (Come mi disse un altro ergastolano, noto come “il killer delle carceri”, che intervistai in cella a Voghera anni fa, ora anche lui uscito; quando gli chiesi come pensava che la gente potesse credere al suo pentimento e al suo cambiamento, Vincenzo Andraous mi rispose: “Non è tenuta a farlo, cosa succede nel cuore dell’uomo nessuno lo sa”). Quello che sappiamo è che la giustizia e la condanna non sono state fine a sé stesse: che la galera abbia migliorato qualcuno invece di imbestialirlo ulteriormente è fatto di cui dovremmo rallegrarci. Insistere con titoli in cui lo si chiama “belva” fa emergere un’idea di giustizia immemore di secoli di civiltà giuridica e regredita all’esclusiva volontà di vendetta. Il terzo caso è certamente meno grave e orrorifico, ma culturalmente vittima, in germe, della stessa mentalità. “Non avremo nessuna pietà, spareremo ad alzo zero su chi evade le tasse” ha dichiarato Antonio Catocala. L’uso dei termini sarà sicuramente figurativo, ma il “senza pietà” evoca la brutalità dell’assassino o il sentimento del vendicatore, non l’imparzialità dell’uomo di Stato. Qui si è difesa la piena legittimità dei blitz della Finanza proprio perché fatti in nome della giustizia, non della protervia di un potere puntato “ad alzo zero” sui suoi cittadini. Giustizia: nessuno scandalo nella concessione della semilibertà a Marino Occhipinti di Desi Bruno (Garante delle persone private della libertà personale dell’Emilia-Romagna) Ristretti Orizzonti, 11 gennaio 2012 Non c’è nessuno scandalo nella concessione da parte del Tribunale di Sorveglianza di Venezia della misura alternativa della semilibertà a Marino Occhipinti, che uscirà per lavorare e poi tornerà in carcere. L’ordinamento penitenziario prevede che anche gli ergastolani possano accedere a questo beneficio dopo 20 anni di detenzione (da cui vanno detratti i giorni di liberazione anticipata maturati per buona condotta), che è un tempo di tutto rispetto , e purché abbiano dato prova di effettiva rieducazione .La valutazione è affidata a un equipe trattamentale, che ricomprende anche la direzione del carcere, educatori, psicologi, che devono scandagliare, nei limiti dell’umanamente possibile, se la persona è cambiata, poi decide la magistratura. Ma se le grida di sdegno che accompagnano questa decisione sono comprensibili se vengono dai parenti delle vittime della Uno Bianca, e forse sarebbero quelle di ognuno di noi se vittima o parente di una vittima di una efferata serie di crimini (poi ci sono importanti eccezioni, dalla figlia di Aldo Moro ad altri parenti di vittime di terrorismo che hanno voluto incontrare il “carnefice” e farsi carico anche di questo incontro terribile e grandioso nello stesso tempo) meno accettabile è la reazione dei politici che ,in modo trasversale, urlano il loro sdegno per questa ingiustizia avvenuta , si badi bene, nel pieno rispetto delle regole. Sono magari gli stessi che hanno poco prima posto la questione della disumanità del carcere, applaudito alle iniziative di Marco Pannella, chiesto più misure alternative e magari si sono pronunciati per l’abolizione dell’ergastolo. Ma dire che Occhipinti potrebbe essere davvero un uomo diverso e, come ha detto qualcuno, se ciò è vero ha vinto lo Stato non si può dire. Allora chiedo che cosa si vuole che sia il carcere per gli autori dei reati più gravi , se davvero si vuole che si torni indietro di decenni prima dell’introduzione della riforma carceraria, prima del 1975, quando la violenza avevi connotati tragici , quando il carcere era in mano a detenuti potenti, da una parte, e a uomini senza speranza perché non c’era nessuna prospettiva, anche remota, di poter un giorno uscire dal carcere. Quando si uccide la speranza c’è posto solo per la violenza cieca. La possibilità di accedere ai benefici penitenziari ha salvato molte vite, di detenuti e di operatori penitenziari. Lo Stato, almeno una volta, ha scelto secondo Costituzione e per il bene collettivo. Peraltro è notorio quale sia in generale l’effetto benefico, in termini di abbassamento di recidiva, quando si accede alla misure alternative. Occhipinti ha avuto un percorso importante di revisione critica e di pentimento. L’ho incontrato due volte nel carcere di Padova nella redazione di Ristretti Orizzonti che , grazie alle persone detenute, svolge il miglior servizio di informazione sui temi del carcere. Ho avuto la percezione di una persona che stava combattendo per sopravvivere, come tanti detenuti. Ricordo che qualche tempo fa, era successo qualcosa di simile alla scarcerazione di Pietro Gugliotta , altro componente della Uno Bianca, dopo avere scontato tutta la pena inflitta dallo Stato. Qualcuno ha detto che non aveva diritto di uscire neppure a fine pena. Nonostante il pentimento, la lunga detenzione, il risarcimento delle vittime. Nessuna pena, neanche quella di morte, lenisce il dolore delle vittime e cancella il delitto, specie se contro la vita. Per alcune è stato di conforto il cambiamento interiore dell’autore del reato, recuperato ad una dimensione di umanità, non per tutte. Ma nessuno strazio può legittimare la non applicazione delle misure alternative se ricorrono i presupposti. Certo le leggi si possono cambiare, ma va detto con chiarezza che chi oggi chiede di condannare migliaia di persone alla morte civile abolendo almeno per certi reati l’accesso alle misure alternative si assume una responsabilità gravissima nei confronti della collettività , a cominciare da coloro che in carcere vivono e operano. Altro è chiedere assoluto rigore nella concessione delle stesse. Dunque occorre sobrietà nell’affrontare temi così delicati, senza fomentare o rinfocolare drammi individuali e ferite insanabili , e al contempo cercando di garantire anche il diritto, almeno parziale, a quell’oblio a cui molti detenuti aspirano, per sopportare in silenzio il macigno della loro vita, che c’è ancora ma non è più la stessa. Giustizia: consulenti Pm al processo per morte Cucchi; lesioni compatibili con caduta scale Ansa, 11 dicembre 2012 La lesione nella zona sacrale di Stefano Cucchi, il 31enne fermato il 15 ottobre 2009 per droga e per la cui morte una settimana dopo all’ospedale “Sandro Pertini” di Roma sono sotto processo dodici persone (sei medici, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria) “non contrasta con l’eventualità di una caduta dalla scale”. Lo ha sostenuto Luigi Cipolloni, uno dei consulenti del pm, nel corso del controesame (sono intervenuti gli avvocati Diego Perugini e Gaetano Scalise), al quale è stato sottoposto insieme con gli altri componenti il gruppo di esperti che ha compiuto gli esami tecnici sul corpo del giovane. “Cucchi era talmente magro che aveva il coccige sporgente a diretto contato con la cute - ha aggiunto Cipolloni. Qualora la lesione coccigea fosse stata provocata da un calcio, avremmo dovuto trovare anche una ecchimosi o comunque una lesione cutanea”. A conforto della tesi, anche le parole del radiologo Roberto Passariello, per il quale “essendo la struttura scheletrica di Cucchi, malgrado i suoi 31 anni, estremamente decalcificata, si può desumere che la lesione all’osso sacro deve essersi verificata per una caduta sul sedere”. Sollecitato dalle domande dei difensori, Paolo Arbarello (coordinatore dei consulenti del pm) ha precisato che non è stata riscontrata, sul corpo di Cucchi, “alcuna lesione da trascinamento, né da afferramento, né segni da difesa passiva”. Mentre l’anatomopatologo Ugo Di Tondo ha sostenuto che “dal punto di vista funzionale, il cuore di Cucchi aveva un’età biologica più avanzata rispetto a quella di un 31enne. Era un cuore sofferente; così come il fegato, perfetto dal punto di vista anatomico, non era perfettamente funzionante. Il “quadro” cuore-fegato dimostra che entrambi non erano efficienti al 100 per cento. Prossima udienza, venerdì, per concludere la lista testi del pm e sentire i consulenti della parte civile. Toscana: intervista a Francesco Ceraudo; detenuti costretti ad una “vita da cani”… Il Tirreno, 11 gennaio 2012 “In cella si vive da cani. E tutto questo per colpa di un sovraffollamento vergognoso che rende inutile il grande sforzo, sicuramente il più importante a livello nazionale, che ha fatto la Regione Toscana per migliorare le condizioni dei detenuti”. Non usa certamente mezze parole il professor Francesco Ceraudo, direttore del Centro regionale per la salute in carcere, padre della medicina penitenziaria nel nostro paese: un commento accompagnato da un dato particolarmente significativo e cioè il totale attuale di circa 4.500 detenuti, cifra che equivale ad un esubero, rispetto alla capacità dei nostri istituti, di ben 1.350 posti letto. Può descrivere la vita in una cella dove invece di uno-due detenuti ce ne sono molti di più? “Voglio prima sottolineare che esistono direttive dell’Unione Europea in base alle quali ogni detenuto deve avere a disposizioni almeno sette metri quadrati, con adeguate condizioni sia di areazione che di soleggiamento: ecco perché si dice che lo Stato italiano, da questo punto di vista, si trova nella piena illegalità: 68mila detenuti, che con i minorenni diventano circa 73mila, devono dividersi 44mila posti ufficiali. Chiaro che in questa situazione la vita diventa impossibile”. Ad esempio? “Se in una cella ci sono quattro-cinque persone od anche di più invece di una o due, i risultati sono intollerabili: non si può stare in piedi tutti insieme, i letti a castello vengono accatastati l’uno sull’altro, spesso c’è chi mangia mentre qualcun altro si trova nell’angolo per i servizi igienici, spesso senza alcuna divisione. Vi potete immaginare cosa vuol dire trovarsi in questa situazione ad esempio con il caldo di luglio o d’agosto, con la gente che suda ed in condizioni igieniche spesso approssimative. Inoltre, c’è anche il problema delle etnie: due albanesi e due marocchini non vanno ad esempio quasi mai d’accordo ed ogni scusa è buona per far scoppiare una rissa. La conseguenza più immediata è la diminuzione nettissima della capacità di sorveglianza e di controllo”. Quali sono le situazioni peggiori in Toscana? “Al primo posto metto sicuramente il carcere fiorentino di Sollicciano dove per 530 posti disponibili ci sono attualmente 1.043 detenuti, di cui 80 donne con cinque bambini al di sotto dei tre anni. Ma l’ambiente è molto critico anche a Lucca, a Pisa, a Pistoia ed a Prato, mentre a Livorno sono stati trasferiti di recente trecento detenuti: il problema è che per i 183 che sono rimasti, con un’ala chiusa, gli spazi restano angusti e ci sono forti carenze per le forniture idriche ed elettriche. Carenze che si aggraveranno una volta terminato un edificio per altri duecento reclusi attualmente in costruzione. Buone invece le situazioni di Volterra, Gorgona ed Empoli”. L’impressione è che ormai che le carceri siano ormai diventate delle vere e proprie discariche sociali. “Sono d’accordo con questa affermazione nel modo più categorico perché alla fine è così che vengono gestite tossicodipendenze, povertà, emarginazioni, e prostituzione. Tutta povera gente che la società non riesce ad aiutare facendola finire in una cella, con il risultato di rovinarla del tutto. Mi creda, chi ha i soldi in carcere non ci rimane”. Toscana: violenza nelle carceri, aggredito medico a Pistoia e cinque agenti a Porto Azzurro Il Velino, 11 gennaio 2012 Stamani all’interno del carcere di Pistoia è stata perpetrata l’ennesima aggressione, ma questa volta a farne le spese è stato un medico in servizio presso l’istituto. Il medico oltre ad essere stato colpito da un detenuto è stato continuamente minacciato; solo grazie all’intervento del personale di polizia penitenziaria, che è riuscito a sottrarre il sanitario dalle grinfie del ristretto, è stato evitato il peggio - sottolinea Pasquale Salemme, Segretario Nazionale del Sappe, il Sindacato più rappresentativo a livello nazionale, regionale e nella sede pistoiese. Dopo quanto è accaduto ieri a Porto Azzurro e qualche giorno fa al minorile di Firenze, continua l’escalation di violenza ai danni degli operatori penitenziari. Al dottore e amico della polizia penitenziaria va tutta la Nostra solidarietà e soprattutto un augurio di pronta guarigione. Il Sappe della Toscana è da anni che denuncia la grave carenza di personale di Polizia Penitenziaria dell’istituto pistoiese e il contestuale ed esponenziale sovraffollamento dei detenuti, nonché l’assenza di un direttore in pianta stabile, la mancanza di un organizzazione del lavoro e una corretta prassi nelle relazioni sindacali, che fanno dell’istituto uno dei più sofferenti d’Italia. Più volte è stata segnalata, anche dalla nostra Segreteria regionale, una situazione interna che appare molto confusa e che tende ad aggravarsi di mese in mese, senza che abbia luogo una riorganizzazione del lavoro che tenga conto di quanto segnalato dalle Organizzazioni sindacali. La Casa Circondariale di Pistoia ospita circa 140 detenuti, pari al doppio della capienza regolamentare (74). A fronte di ciò denunciamo una assenza di personale stimata in circa 30 Poliziotti Penitenziari a fronte dei 79 previsti. Il malumore è notevole ed anche la sicurezza è a rischio: chiediamo iniziative immediate atte a scongiurare episodi ancor più critici. Firenze: nessun segno di violenza sul corpo del detenuto suicida a Sollicciano La Repubblica, 11 gennaio 2012 Eseguita l’autopsia dell’uomo che il 7 gennaio si è tolto la vita nel carcere fiorentino. Il giovane aveva già tentato il suicidio in passato. Nessun segno di violenza è stato rilevato dal medico legale sul corpo del detenuto di 31 anni che il 7 gennaio si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della cella che condivideva con due detenuti italiani, nel carcere fiorentino di Sollicciano. È l’esito dell’autopsia, come ha spiegato il pm Paolo Barlucchi. Dalla cartella clinica è emerso che l’uomo aveva raccontato ai medici di aver provato anche un anno fa, quando non si trovava in carcere, a togliersi la vita impiccandosi con un cavo elettrico. Il giovane stava scontando una pena a un anno per furto in abitazione. In passato aveva avuto problemi di tossicodipendenza. L’autopsia esclude che abbia subito aggressioni in carcere. L’uomo era stato spostato di cella dopo essersi lamentato dei compagni di prigionia che, aveva raccontato alla madre, lo maltrattavano. Bari: sui suicidi in carcere ci sono responsabilità di Asl e Sindaci di Federico Pilagatti (Segretario nazionale Sappe) www.altroquotidiano.it, 11 gennaio 2012 Che la situazione igienico sanitaria delle carceri, dovuta al sovraffollamento, alla carenza di servizi sanitari nonché alla fatiscenza delle strutture è una cosa nota ormai da tempo. Che tale condizione, porti i detenuti più deboli ad una condizione di sofferenza tanto da instillare istinti suicidi o di autolesionismo è stato detto e scritto in tutte le salse. Che in questo contesto la politica se si esclude Pannella, il Presidente della Repubblica, ed il Papa si è completamente sfilata non ritenendo la questione prioritaria, è un dato acquisito. Purtroppo si deve segnalare che altri enti, quali Sindaci ed Asl, nonostante le reiterate richieste di intervento da parte del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, per costringere l’Amministrazione Penitenziaria a rispettare le prescrizioni di legge previste in materia di igiene e sanità, non sembrano essere intervenuti in maniera adeguata. Vogliamo ricordare che invece qualche tempo fa, il sindaco di Pordenone, constatata la grave situazione igienica sanitaria presente nel carcere locale, intimò l’Amministrazione Penitenziaria a ripristinare le condizione minime di vivibilità, pena la chiusura del carcere. Eppure l’art.11 della legge 345/75 e successive modificazioni prevede che “Il medico provinciale (ora Asl) visita almeno due volte l’anno gli istituti di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti . Il medico provinciale (ora Asl) riferisce sulle visite compiute e sui provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello di grazia e giustizia informando altresì i competenti uffici regionali e il magistrato di sorveglianza”. Finora questi controlli, quando ci sono stati, non sembrano essere stati efficaci considerata la situazione disastrosa in cui versano le carceri pugliesi, mentre sarebbe necessario intimare all’Amministrazione penitenziaria il rispetto delle legge, pena la chiusura della struttura penitenziaria. L’attuale situazione, oltre ad andare contro alcune leggi costituzionali ed ordinarie che dovrebbero tutelare i lavoratori nonché la popolazione detenuta, ne offende la dignità. Il SAPPE nel suo viaggio nei penitenziari pugliesi ha trovato di tutto: stanze di 1,5 x 3 metri che ospitano fino a 4 detenuti, oppure stanze per 3 posti con 7,8 detenuti ;cubicoli stretti e maleodoranti con il bagno a vista; sezioni detentive in cui cadono pezzi di intonaco; muri scrostati; precaria assistenza sanitaria; mancanza di medicinali; cucine fuori legge; sezioni detentive scarsamente illuminate che emanano cattivi odori dovuti all’ umidità, al fumo passivo, al cibo; detenuti affetti da diverse patologie, che vivono in maniera promiscua. A questo punto chiediamo che sia le Asl che i Sindaci tornino ad appropriarsi dei ruoli assegnati loro per legge, per costringere l’Amministrazione penitenziaria ad adeguarsi, altrimenti risulta essere un esercizio inutile quello di scandalizzarsi del fatto che ogni anno nelle carceri muoiono tanti detenuti e tantissimi altri non ci riescono grazie al soccorso immediato di chi lavora in questa discarica sociale, fatta di tragedie e mancanza di dignità umana. Cagliari: Sdr; a Buoncammino per oltre 48 ore detenuti anche due bambini Agenparl, 11 gennaio 2012 “Un bambino di due anni di età e una bimba di appena 6 mesi hanno trascorso due giorni e due notti in una cella di Buoncammino. I piccoli sono stati arrestati insieme alla mamma G.O. di nazionalità nigeriana lunedì 9 gennaio alle 6.45, nonostante un’apposita normativa stabilisca che solo condizioni eccezionali possono giustificare la permanenza in un carcere di creature di così tenera età. La vicenda è stata chiarita e risolta in mattinata dopo che il giudice Alessandro Castello ha effettuato l’interrogatorio di convalida dell’arresto alla donna che si è presentata al Magistrato accompagnata dall’avv. Luisella Pani e dai piccoli tra le braccia. Preso atto della situazione, il Magistrato ha disposto quindi immediatamente gli arresti domiciliari e la donna ha potuto far rientro nella sua abitazione”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” avendo appreso della “palese ingiustizia nei confronti di due innocenti”. “Ancora una volta - sottolinea l’ex consigliera regionale socialista - la mancanza a Cagliari di un Istituto a custodia attenuata ha costretto una donna e i suoi figlioletti a subire la custodia cautelare in carcere, un luogo tutt’altro che idoneo ad ospitare bimbi in tenera età. Lo Stato in Sardegna continua a non rispettare il principio delle pari opportunità negando un diritto alle madri e imponendo ai piccoli un evidente trauma”. “Nonostante l’umanità delle Agenti di Polizia Penitenziaria, che si sono prodigate per far trascorrere qualche momento di serenità alle creature e la disponibilità totale di Suor Angela che ha aiutato la donna a distrarre il piccolo, i bambini - afferma la presidente di Sdr - hanno manifestato un profondo disagio trascorrendo la maggior parte del tempo piangendo”. “È assurdo che nonostante tanti buoni propositi, non si riesca a trovare una soluzione a un problema che si conosce da tempo e che richiede la disponibilità di uno spazio in una casa protetta. Una donna nelle condizioni di G.O. che parla un italiano stentato con due bambini piccoli che hanno bisogno di costanti cure non può rappresentare un così grave pericolo pubblico da richiedere la carcerazione. È molto più pericoloso per i bambini entrare in un Istituto di Pena sovraffollato con condizioni igienico-sanitarie precarie e creando uno stato di allerta in tutto il personale. Ovviare a questi casi è possibile - conclude Caligaris - non affidandosi solo alla sensibilità dei Magistrati ma promuovendo un’iniziativa ad hoc. Negare la libertà a un bambino rischia di essere un reato più grave di quello presunto attribuito alla mamma”. Porto Azzurro (Li): la Polizia penitenziaria sventa tentativo suicidio di detenuto straniero Comunicato stampa, 11 gennaio 2012 “Esprimo il sincero e convinto apprezzamento del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del Reparto di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Porto Azzurri che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita, questo pomeriggio alle 18.30 circa, a un detenuto straniero che ha tentato il suicidio in cella. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio. Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel solo 2010 la Polizia Penitenziaria ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti ed impedendo che i 5.703 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione all’ennesimo evento critico accaduto nel carcere di Porto Azzurro. “I nostri Agenti, proprio a Porto Azzurro dove in tre sono stati feriti nel primo pomeriggio da detenuti violenti, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. Il suicidio sventato dai nostri colleghi non deve passare inosservato perché la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità”. Trento: protocollo d’intesa per tutela della salute dei minorenni entrati nel circuito penale Ristretti Orizzonti, 11 gennaio 2012 Su proposta dell’assessore Ugo Rossi, la Giunta provinciale il 23.12.2011 ha approvato il protocollo d’intesa tra la Provincia autonoma di Trento, l’Azienda provinciale per i servizi sanitari di Trento e il Centro di Giustizia Minorile di Venezia, col quale si darà applicazione all’articolo 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1 aprile 2008, che intende definire le forme di collaborazione tra l’ordinamento sanitario provinciale e il sistema della giustizia minorile. Ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e nel rispetto delle proprie autonomie e delle specifiche potestà organizzative e programmatiche, l’ordinamento sanitario e il sistema della giustizia minorile uniranno le forze per garantire la tutela della salute e il recupero dei minorenni e dei giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali e che sono in carico del Sistema dei servizi minorili di Trento, del Centro di prima accoglienza e dell’Ufficio di Servizio sociale per i minorenni. Sulla base del protocollo d’intesa che verrà firmato e il cui schema è stato oggi approvato in Giunta provinciale, verranno attivati tutti gli interventi idonei alla tutela della salute dei minori e dei giovani adulti che sono privati o limitati della libertà personale e che sono sottoposti a procedimento penale. Gli interventi saranno predisposti a cura dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari in collaborazione coi Servizi Minorili di Trento. Le prestazioni sanitarie saranno erogate preferibilmente all’interno del Centro di prima accoglienza di Trento e dell’Ufficio di Servizio sociale per i minorenni. Spetterà al Centro per la giustizia minorile mettere a disposizione a titolo gratuito, attraverso i suoi Servizi, idonei spazi per lo svolgimento dell’attività sanitaria. L’attività sanitaria si svolgerà tenendo conto delle necessarie condizioni di riservatezza previste dalla normativa vigente; parimenti sarà garantita l’autonomia professionale degli operatori sanitari e il corretto svolgimento dell’attività terapeutica e la continuità dei percorsi sanitari. Il protocollo sottolinea inoltre che, tenuto conto dell’età evolutiva, l’intervento sul minore o sul giovane adulto che è entrato nel circuito penale dovrà essere espressione di un’attività integrata dei Servizi minorili della Giustizia, dei Servizi dell’Azienda sanitaria e dei Servizi sociali, ciascuno per le proprie specifiche competenze, nell’ottica di un “progetto educativo” che considera l’individuo nella sua globalità, prevedendo altresì programmi di formazione. Per i soggetti minorenni e per i giovani adulti con disturbi psicopatologici, alcol dipendenza, tossicodipendenza, sarà necessaria non solo una valutazione specialistica, ma eventualmente anche il collocamento in strutture di cura, quando ci si trova davanti a soggetti con sindromi acute, o comunque la previsione di interventi terapeutici. Particolare attenzione, nel protocollo d’intesa approvato oggi, viene posta per la tutela della salute delle minorenni sottoposte a provvedimenti penali e la loro prole. Considerato che la reclusione o comunque la limitazione della libertà delle gestanti possono rendere la gravidanza e la nascita particolarmente problematici per l’assetto psichico della donna, con possibili ripercussioni sul neonato, il Dipartimento materno infantile dell’Azienda sanitaria, in accordo con i Servizi della Giustizia minorile, dovrà monitorare i bisogni assistenziali delle minori/giovani adulte, con particolare riguardo ai controlli di carattere ostetrico-ginecologico; dovrà predisporre interventi di prevenzione e profilassi delle malattie a trasmissione sessuale e dei tumori dell’apparato genitale femminile; dovrà organizzare corsi di informazione sulla salute per le minorenni/giovani adulte e per il personale dedicato per fornire anche utili indicazioni sui servizi offerti dall’Azienda sanitaria al momento della reimmissione in libertà; dovrà potenziare le attività di preparazione al parto da attuare con il coinvolgimento del Consultorio familiare; dovrà predisporre l’espletamento del parto in ospedale o in altra struttura diversa dal luogo di restrizione; dovrà sostenere e accompagnare il normale processo di sviluppo psico-fisico del neonato. Al protocollo d’intesa approvato oggi faranno seguito i protocolli operativi aziendali in cui verranno individuate tutte le soluzioni organizzative idonee a sviluppare la collaborazione operativa nel rispetto delle diverse competenze in capo alla Direzione del Centro per la giustizia minorile e alla Direzione generale dell’Azienda sanitaria provinciale. Un’apposita Carta dei Servizi conterrà le modalità di erogazione dei servizi sanitari e gli standard di qualità attesi. Infine l’Osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria, previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1 aprile 2008 e dall’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e di Bolzano siglato il 22 novembre 2008, sarà lo strumento di supporto per la elaborazione delle politiche provinciali di tutela della salute dei minori/giovani adulti privati o limitati della libertà personale e sottoposti a procedimenti penale. Mazara del Vallo (Tp): 12 ex detenuti impegnati in servizi di pubblica utilità La Sicilia, 11 gennaio 2012 “Da domani 12 ex detenuti saranno impiegati in servizi di pulizia e manutenzione di alcune aree pubbliche, a partire dal cimitero comunale”. Lo annuncia l’Assessore comunale al Bilancio e Personale Pino Siragusa, che a seguito dell’approvazione del progetto Labor approvato dalla Giunta Municipale di Mazara del Vallo, ha siglato una convenzione, la seconda nell’arco dell’ultimo anno, con la cooperativa sociale “Oltre il Muro”, ente accreditato per i progetti d’inclusione sociale di ex detenuti nell’ambito della legge n. 381/81. “La convenzione con la cooperativa Oltre il Muro - sottolinea l’Assessore Siragusa - ci consente di ripetere la positiva esperienza del progetto Labor che abbiamo già sperimentato con successo l’anno scorso e che è utile ad inserire gli ex detenuti nel tessuto sociale ed economico della Città di Mazara, attraverso progetti di pubblica utilità”. Il costo progettuale complessivo ammonta a 20.000 Euro. Gli ex detenuti della Cooperativa Oltre il Muro, percepiranno una gratifica economica commisurata all’impegno lavorativo di 36 ore settimanali per 8 settimane, unitamente all’assistenza assicurativa, previdenziale e assegni familiari. Roma: “mangiamo e dormiamo per terra”… lettera shock di un detenuto a Regina Coeli Ristretti Orizzonti, 11 gennaio 2012 Come vivono i detenuti nelle carceri italiane? Si parla tanto di “emergenza sovraffollamento” ma le vere condizioni di vita cui sono costretti gli ospiti delle nostre strutture penitenziarie sono lontane anni luce dalla più nera immaginazione. Per darvi un’idea di che vuol dire essere ristretti nel carcere romano di Regina Coeli, ad esempio, abbiamo scelto di non usare parole vuote ma di riportare integralmente la lettera shock arrivata alla redazione di Radio Carcere scritta proprio da un detenuto della Terza sezione. “Cara Radio Carcere, ti informiamo che qui siamo costretti a vivere in celle che celle non sono. Si tratta ex salette che venivano usate per fare i corsi scolastici, ma che ora vengono usate come celle. Ebbene in ognuna di queste salette ora ci costringono a vivere in 10 persone. Qui dentro non abbiamo nulla neanche degli armadietti, tanto che dobbiamo ammucchiare i nostri vestiti sotto le brande o dentro dei sacchi dell’immondizia. Pensa che non ci danno neanche il sapone per lavarci o il detersivo e gli stracci per tenere pulita questa maledetta saletta e spesso siamo costretti a usare i nostri indumenti come stracci per pulire il pavimento. Ma dobbiamo anche fare i turni per poter mangiare seduti in quanto, in questa specie di cella, siamo in 10 detenuti ma abbiamo solo 4 sgabelli. Tra l’altro noi non abbiamo neanche modo di poter cucinare in cella e quindi siamo costretti a mangiare il vitto del carcere che è non solo cattivo ma è anche poco. Non a caso spesso ci sono dei detenuti che per la fame mangiano a pranzo e a cena solo un pezzo di pane secco. Ma qui a Regina Coeli c’è anche chi sta peggio di noi e sono quei detenuti che non hanno neanche una branda su cui dormire e sono costretti a dormire e a mangiare per terra, senza neanche un misero materasso. È evidente che ti scriviamo tutto questo non perché vogliamo l’impunità, ma solo perché vogliamo scontare secondo la legge la nostra pena”. Mantova: sei mesi di carcere per colpa di omonimia, nigeriana risarcita con 48mila euro di Marcello Palmieri Avvenire, 11 gennaio 2012 Secondo la Procura di Napoli, avrebbe dovuto rispondere di sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù. Per questo ha trascorso sei mesi in carcere, lontano dal compagno e dai suoi due figli minori. Ma Joy Idugboe, una nigeriana 42enne allora residente in una casa popolare di Brescia, è riuscita a provare la sua innocenza e a tornare in un nuovo appartamento a Canneto sull’Oglio, nel Mantovano. In questi giorni, l’epilogo della vicenda: lo stanziamento di un risarcimento per ingiusta detenzione pari a 48mila euro. Il calvario giudiziario della donna inizia circa cinque anni fa. Tina giovane lucciola sporge denuncia per sfruttamento della prostituzione e riduzione in schiavitù. La magistratura dispone intercettazioni telefoniche, e attribuisce la voce intercettata a Idugboe. La procura di Napoli emette un ordine di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti, eseguito il 26 giugno 2007. La giovane mamma viene dapprima internata nel penitenziario di Brescia, poi trasferita nel carcere di Pozzuoli, in provincia di Napoli. Subito l’avvocato Giuseppina Coppolino deposita istanza di revoca della custodia cautelare. “Già agli e-sordi della vicenda - spiega il legale - era emerso senz’ombra di dubbio che la mia assistita fosse vittima di un caso di omonimia”. Nonostante questo, il gip del tribunale di Napoli rigetta l’istanza. Nel frattempo il Comune di Brescia intima alla donna di rilasciare la casa popolare, mentre i figli minori vengono affidati a una comunità. Il 28 novembre 2007 l’imputata chiede per l’ennesima volta l’esame della voce. Finalmente viene scagionata ma per l’ordinanza di revoca della custodia cautelare in carcere bisognerà attendere il 13 dicembre 2007. L’assoluzione arriverà solo il 3 luglio 2008, e l’affidamento dei figli il 16 settembre 2009. Amaro il commento di Coppolino: “Una vicenda incresciosa, per la quale ho scritto al Presidente della Repubblica. Pronta la sua assicurazione: indagherà il Consiglio superiore della magistratura”. Parma: Sappe; detenuto affetto da scabbia, si teme contagio Adnkronos, 11 gennaio 2012 “Un uomo di origine albanese, detenuto nel carcere di Parma, oggi pomeriggio, dopo una visita medica, è stato riconosciuto affetto da scabbia; malattia di cui, con ogni probabilità, l’uomo era affetto da molto tempo. C’è tanta tensione tra il personale di polizia penitenziaria, tra gli operatori in generale e gli altri detenuti che potrebbero essere entrati in contatto con lui. Si teme, infatti, che la malattia possa essersi diffusa all’interno dell’istituto”. È quanto riferisce, in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Non è la prima volta - sottolinea - che negli istituti penitenziari si verificano casi di scabbia. Già nel carcere di Verona e in quello di Genova abbiamo denunciato episodi analoghi in passato. Chiediamo all’amministrazione penitenziaria di far effettuare i controlli necessari tra gli operatori del carcere e di predisporre adeguate misure sanitarie in tutti gli istituti, soprattutto nei confronti dei detenuti che fanno il primo ingresso in carcere”. “Non è tollerabile - denuncia - che il personale di polizia penitenziaria e gli altri operatori debbano correre il rischio di subire il contagio di malattie come la scabbia, la tubercolosi e l’epatite, infezioni purtroppo largamente diffuse nelle carceri italiane. A queste si aggiungono altre patologie, tanto che la società italiana per la medicina penitenziaria, in passato, ha in più occasioni denunciato che circa l’80% dei detenuti italiani è affetto da patologie sanitarie”. Piacenza: 342 reclusi contro capienza di 178; Matone (Dap) promette nuovi agenti Dire, 11 gennaio 2012 Potrebbero presto arrivare agenti di rinforzo al carcere di Piacenza, provato dal sovraffollamento e dalla carenza di personale di Polizia penitenziaria. Lo annuncia il vice-capo del dipartimento della Giustizia, Simonetta Matone, in coda alla lettera con cui risponde al deputato piacentino Massimo Polledri (Lega nord), che aveva chiesto conto della situazione del carcere delle Novate. Matone, nella missiva, ammette la situazione di effettiva “sofferenza” del carcere di Piacenza e spiega che potrebbe essere tra quelli valutati bisognosi di rinforzi. Il Dipartimento, infatti, spiega Matone, sta facendo “rilevamenti sulla dotazione organica di Polizia penitenziaria di ogni provveditorato” e al termine di questa indagine, procederà alla “assegnazione di agenti, dei prossimi corsi di formazione, alle realtà che risultano carenti, tra le quali potrebbe rientrare anche Piacenza”. Ecco i numeri di Piacenza così come indicati da Matone: l’organico del corpo di Polizia penitenziaria prevede 179 unità, mentre quelle effettivamente presenti sono 163 (distacchi compresi); quanto al personale ministeriale, alle Novate ci sono 18 unità, a fronte di una dotazione organica che sarebbe di 20. Infine, i detenuti: rispetto ad una capienza prevista di 178 posti, al 2 novembre c’erano 342 reclusi. Per Matone quella di Piacenza è “una comprensiva condizione di sofferenza”, dovuta al sovraffollamento della popolazione detenuta e alla contestuale carenza di organico. Una situazione difficile “che comunque s’inserisce in un quadro di generale difficoltà in cui versa l’attuale sistema penitenziario, costantemente monitorata da questa amministrazione”. Bologna: Coop Adriatica; 1.200 libri consegnati dai volontari del carcere della Dozza Sesto Potere, 11 gennaio 2012 Anche durante le feste Coop Adriatica varca le soglie della casa circondariale Dozza di Bologna: la Cooperativa ha donato nei giorni scorsi una lavatrice all’istituto carcerario. Il gesto solidale si inserisce tra le iniziative a favore dei detenuti svolte nel corso del 2011 con il sostegno dei soci volontari, delle istituzioni e dell’Avoc (Associazioni volontari per il carcere). Il “regalo” natalizio si aggiunge alle donazioni - alimentari, prodotti per l’igiene personale, mobilia, materiale di cancelleria per le sezioni scolastiche all’interno della casa circondariale - effettuate l’anno scorso. L’impegno di Coop Adriatica per i detenuti si è concentrato in modo particolare sulla promozione della lettura con l’attività di “Ausilio per la cultura”, che alla Dozza è attivo dal ‘94, grazie a un sistema di prestito inter bibliotecario che coinvolge la Sala Borsa e altre sei biblioteche cittadine. Nel 2011, i 3 volontari del gruppo di “Ausilio” hanno fatto da tramite tra il carcere e le biblioteche, consegnando 1.198 volumi a 234 detenuti. Inoltre, grazie agli oltre 3.500 libri donati da cittadini e associazioni, è stato possibile, in collaborazione con le autorità carcerarie, arricchire le biblioteche nella sezione penale, giudiziaria e femminile del carcere - ciascuna formata da 2.000 volumi - e crearne una ex novo con 100 libri presso l’infermeria. Lo scorso anno, alla Dozza, si è tenuta anche la terza edizione di “Parole in libertà”, un laboratorio di scrittura che ha visto 38 carcerati cimentarsi nella creazione di poesie, saggi, racconti, che gli autori hanno letto nel corso di una giornata, dedicata all’iniziativa, organizzata alla casa circondariale. Infine, anche per il 2011, la manifestazione “Ad alta voce” è tornata con un momento di lettura condivisa presso l’istituto carcerario. Droghe: cambiare la legge… cambiare la politica Notizie Radicali, 11 gennaio 2012 Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’associazione “Antigone”, in un pezzo pubblicato da “Notizie Radicali” lo scorso 28 dicembre ha scritto : “C’è una via maestra per superare in modo duraturo il problema della sovrappopolazione carceraria. Essa consiste nell’abrogare la legge sulle droghe”. In poche parole e in maniera molto chiara, Gonnella scrive quello che con altrettanta chiarezza ben sanno tutti coloro che cercano davvero una soluzione al sovraffollamento carcerario: se non si mette mano alle leggi che quel sovraffollamento hanno contribuito a determinare - insieme a quella sulle droghe, quella sull’immigrazione e le norme sulla recidiva - nessun provvedimento per quanto importante, nemmeno l’indulto e l’amnistia, potrà impedire il collasso delle carceri. Senza toccare quelle leggi, esauriti gli effetti degli interventi immediati, prima o poi ci si ritroverà con le carceri strapiene. “In un Paese autenticamente liberale, senza pregiudizi, bisognerebbe avere il coraggio di sedersi intorno a un tavolo e capire se una svolta antiproibizionista aiuterebbe a togliere il respiro alle mafie e a far risparmiare denaro pubblico allo Stato”, scrive ancora Gonnella, aggiungendo che “intorno al tavolo dovrebbero sedersi poliziotti, magistrati, esperti, rappresentanti dei servizi delle tossicodipendenze, statistici e criminologi. Bisognerebbe fare un lavoro comparato. Vedere i buoni risultati che l’anti moralismo antiproibizionista ha prodotto qua e là in giro per il mondo”. Cioè l’esatto contrario di quanto ha fatto il governo Berlusconi per mano dell’ormai (per fortuna) ex-sottosegretario con delega alla lotta alla droga, Carlo Giovanardi, e del suo “braccio destro (armato)”, il capo del Dipartimento antidroga, Giovanni Serpelloni, tutt’ora in carica. Può essere anche vero, come insiste a dire Giovanardi, che in Italia nessuno è in carcere solo per aver fumato spinelli. L’ex-sottosegretario e quelli come lui, però, fanno finta di non sapere che qui da noi si può finire in galera - e ci si finisce - per aver ceduto un po’ di cannabis ad un amico, perché ci si è fatti una scorta personale superiore a quanto consentito o magari perché si è deciso di coltivare qualche pianta per non doversi più rivolgere al mercato illegale e finanziare le narcomafie: tutti comportamenti che l’attuale normativa considera reati e per i quali si può subire una condanna penale. E finire dietro le sbarre. E se è vero che in questi anni dalla magistratura sono venute innovative sentenze al riguardo, è altrettanto vero che la giurisprudenza in materia resta molto contraddittoria e poco garantista. Tuttavia, cambiare le norme in vigore, depenalizzare, promuovere politiche di riduzione dei danni, pur essendo tutte misure assolutamente necessarie, non è sufficiente. Come scrive ancora Patrizio Gonnella, dal nuovo governo e dal ministro Andrea Riccardi, a cui è stata data la competenza ministeriale sulle droghe, dovrebbe venire “un cambio di paradigma”. Se non si cambia l’approccio complessivo, non si riuscirà, infatti, né a comprendere, né tanto meno a governare un fenomeno che è sempre più diffuso, articolato e complesso ed è strettamente connesso ai cambiamenti sociali in atto e alle scelte di vita individuali e collettive. Oggi, invece, il paradigma repressivo e intollerante è ancora quello prevalente, soprattutto come risposta alle comprensibili paure dell’opinione pubblica. Ma, come è stato scritto, “il sonno della ragione genera mostri” e, nel nostro caso, la paranoia repressiva in nome di una presunta “sicurezza” finisce per produrre aberrazioni ingiustificabili come le inaccettabili morti di Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi o Giuseppe Uva. Senza per questo migliorare la qualità della vita della società nel suo complesso. Anzi, ottenendo esattamente il contrario. Per avviare una riforma della normativa e delle politiche in materia di droghe, occorre però una volontà che francamente non sappiamo quanto sia diffusa oggi nell’attuale parlamento, al di là delle opinioni e della buona volontà di singoli deputati e senatori. Chissà se il “governo dei tecnici” vorrà mostrare anche in questo ambito la stessa determinazione e la stessa concretezza che sta mostrando su altri temi importanti. Chissà se l’intenzione di voler affrontare la questione della giustizia e del carcere in maniera prioritaria spingerà il ministro Paola Severino, ed il presidente del consiglio Mario Monti, ad agire pragmaticamente e a metter intorno ad un tavolo esperti veri, preparati e competenti, che senza pregiudizi studino i buoni risultati che politiche diverse da quella proibizionista hanno prodotto in altre parti del mondo e facciano proposte concrete e praticabili per togliere il respiro alle mafie, far risparmiare denaro pubblico allo Stato, decongestionare le carceri, rispettare le libere scelte personali e offrire a chi soffre di una dipendenza patologica strumenti concreti e scientificamente validati per la cura ed il recupero. Per far questo non bisogna, necessariamente legalizzare le droghe qui e ora. Si potrebbe intanto rilanciare e sostenere una politica di intervento che, pur con limiti e contraddizioni, è stata costruita nel nostro Paese, ma che è stata fortemente osteggiata dalle scelte politiche del governo Berlusconi. E si dovrebbe ragionare solo sulla base della validità scientifica degli interventi e della “best practice”. Si potrebbe, per esempio, ripartire da Genova, dalla conferenza nazionale sulla droga del 2000. Magari convocando fin da ora la nuova conferenza a tre anni, come prescrive la legge, dalla buffonata di Trieste del 2009. Una conferenza scientifica di alto livello. Se dal governo e dal ministro Riccardi venisse un annuncio del genere sarebbe un buon inizio e non solo per l’anno appena cominciato. Stati Uniti: Guantanamo; 10 anni di diritti calpestati e torture, nel recinto dei “colpevoli” La Repubblica, 11 gennaio 2012 Amnesty International ha diffuso un’analisi sul centro di detenzione nella base militare Usa a Cuba. Sono ora 48 i detenuti che non potranno essere processati né rilasciati, ma dovranno rimanere rinchiusi a tempo indeterminato, senza accusa né processo penale, in base a un’interpretazione unilaterale delle leggi di guerra. La mancata chiusura del centro di detenzione di Guantánamo da parte del governo degli Usa sta lasciando un’eredità velenosa ai diritti umani. Lo ha dichiarato oggi Amnesty International 2, pubblicando il rapporto “Guantánamo: un decennio di danni ai diritti umani”, in coincidenza col decimo anniversario del trasferimento dei primi detenuti. Il rapporto di Amnesty International mette in luce il trattamento illegale subito dai detenuti di Guantánamo e spiega le ragioni per cui il centro di detenzione continua a rappresentare un attacco ai diritti umani. Un luogo-simbolo. Guantánamo ha finito per diventare il simbolo di 10 anni di sistematica mancanza di rispetto per i diritti umani da parte degli Usa nella loro reazione agli attacchi dell’11 settembre. Il governo statunitense ha violato i diritti umani dal primo giorno di apertura del centro di detenzione e continua a violarli ora che entriamo nell’undicesimo anno - ha dichiarato Rob Freer, ricercatore di Amnesty International sugli Usa. L’impegno di Obama. Nonostante l’impegno del presidente Obama a chiudere Guantánamo entro il 22 gennaio 2010, alla metà dello scorso dicembre vi rimanevano 171 uomini, di cui almeno 12 trasferiti l’11 gennaio di 10 anni fa: uno di essi sta scontando una condanna all’ergastolo inflitta da una commissione militare nel 2008, gli altri 11 non sono mai stati incriminati. Retaggio della “guerra globale” di Bush. L’Amministrazione Obama (quanto meno, ampi settori delle tre branche del governo federale) ha adottato l’architettura della “guerra globale” disegnata sotto la presidenza Bush. L’attuale Amministrazione, nel gennaio 2010, ha asserito che 48 detenuti di Guantánamo non potranno essere processati né rilasciati, ma dovranno rimanere in detenzione militare a tempo indeterminato, senza accusa né processo penale, in base a un’interpretazione unilaterale delle leggi di guerra. “Fino a quanto gli Usa non considereranno queste detenzioni come una questione di diritti umani, l’eredità di Guantánamo sopravvivrà, a prescindere se verrà chiuso o meno” - ha commentato Freer. Gente sparita e sottoposta a tortura. Il centro di detenzione, situato in una base navale statunitense a Cuba, è diventato simbolo di torture e maltrattamenti da quando è stato aperto, quattro mesi dopo gli attacchi dell’11 settembre. Tra coloro che sono tuttora detenuti a Guantánamo, vi sono persone che gli Usa hanno sottoposto a torture e a sparizione forzata prima di essere trasferite nel centro di detenzione. Vi è stata scarsa, se non nulla, assunzione di responsabilità per questi crimini di diritto internazionale, commessi nel contesto di un programma di detenzioni segrete portato avanti sotto l’autorità presidenziale. Il governo Usa ha sistematicamente impedito ogni tentativo, da parte degli ex detenuti di Guantánamo, di ottenere una riparazione per queste violazioni dei diritti umani. Su 779, solo uno è stato processato. In 10 anni, solo uno dei 779 detenuti di Guantánamo è stato trasferito negli Usa per essere processato da una corte federale civile. Altri hanno subito processi iniqui da parte delle commissioni militari. L’Amministrazione Usa intende chiedere la pena di morte nei confronti di sei detenuti attualmente sotto processo. L’Amministrazione Obama ha attribuito la mancata chiusura di Guantánamo al Congresso, che a sua volta è venuto meno al suo dovere di ottemperare ai principi del diritto internazionale dei diritti umani da applicarsi in questo contesto. Soluzioni, non alibi. “In base al diritto internazionale - ha concluso Freer - le leggi e le politiche nazionali non possono essere invocate per giustificare il mancato rispetto degli obblighi derivanti dai trattati. È un modo inadeguato di rispondere, quello di una branca del governo che addossa a un’altra un fallimento in tema di diritti umani. Il diritto internazionale richiede che siano trovate soluzioni, non alibi”. Congo: carceri fatiscenti e continue evasioni di detenuti Ansa, 11 gennaio 2012 Permane grave e allarmante l’attuale conflittualità sociale e politica nella Repubblica Democratica del Congo, specie dopo le elezioni del 28 novembre scorso, elezioni su cui grava l’ombra di brogli certi e quindi di assoluta mancanza di trasparenza. E, come se non bastasse, dal carcere centrale della città di Bukavu, nella provincia orientale del Sud - Kivu, il giorno di capodanno c’è stata un’evasione di massa con ben 9 vittime e 47 feriti sul terreno. La notizia è di Radio Opkapi, la radio locale dell’Onu. I morti, secondo l’emittente radiofonica, sarebbero stati tutti detenuti e la motivazione degli scontri interni e dei ripetuti tentativi di fuga sono da imputarsi a disaccordi sulla rappresentanza interna nei confronti dell’autorità carceraria ma, soprattutto, alle pessime condizioni di vivibilità in cui sono costretti a soggiornare coloro che devono scontare la pena. Comunque le fughe incontrollate e incontrollabili dalle carceri congolesi si ripetono e tutti i mezzi e tutte le astuzie sono buone per metterle in atto. Per esempio travestirsi da preti ed entrare e uscire dai luoghi di detenzione senza suscitare alcun sospetti. Morale della storia? Anche per la Repubblica Democratica del Congo la pace vera, se ci fosse, significherebbe poi, in definitiva, una tregua finalmente alle continue sofferenze della gente e l’inizio di un graduale sviluppo che passa anche attraverso il porre riparo a condizioni di vita ogni giorno più precarie, dentro e fuori le carceri, e al provvedere alla sostituzione d’infrastrutture ormai vetuste. E non si stanno chiedendo di certo miracoli, considerando le enormi disparità di ceto e di benessere economico esistenti in questo Paese e un po’ nell’Africa tutta, dove ai governanti non mancano di sicuro lusso e agiatezze. Accanto, ovviamente, al solito pingue conto in banca all’estero e ai cosiddetti “beni rifugio” come immobili di lusso sparsi ovunque, in diverse parti del mondo. Marocco: re Mohammed VI grazia 306 detenuti per festa indipendenza Adnkronos, 11 gennaio 2012 Il re marocchino Mohammed VI ha graziato 306 detenuti in occasione della festa per la “richiesta dell’indipendenza”. Secondo quanto riporta il quotidiano marocchino Hespress, in occasione della festività il monarca Mohammed VI ha deciso di concedere la grazia a un gruppo di detenuti per celebrare il 68esimo anniversario dell’indipendenza del Paese. Altri detenuti, in particolare alcuni condannati all’ergastolo, hanno visto ridurre la loro pena. Il Marocco celebra la data dell’11 gennaio 1944, anche se l’indipendenza è stata proclamata solo nel 1956. In quella data Mohammed V, nonno dell’attuale monarca, presentò una petizione alla comunità internazionale firmata da 66 dignitari marocchini per chiedere l’indipendenza del Marocco. Una copia fu inviata al governo francese e ai rappresentanti diplomatici di Stati Uniti e Gran Bretagna a Rabat.