Giustizia: le carceri sovraffollate e quelle (38) rimaste vuote di Alessandro Calvi Il Riformista, 10 gennaio 2012 Troppo facile entrare in carcere; troppo difficile uscirne. E le carceri sono troppo poche e troppo affollate. Per non dire di quelle esistenti ma non utilizzate, magari perché manca una strada per arrivarci. Altro che Kafka, è un labirinto prodotto da scelte contraddittorie nel quale è facile perdersi, a volte per sempre. I mattoni con i quali è costruito questo labirinto sono le scelte, spesso contraddittorie, del Parlamento. Infatti, a spiegare i numeri da paura che nell’insieme rappresentano l’emergenza carceri c’è anche una miscela tossica composta dalla legge Fini-Giovanardi e dalla legge Cirielli. “L’emergenza carceri - spiega infatti Stefano Anastasia, presidente onorario di Antigone - non è determinata da uno o più avvenimenti in particolare, come capita appunto con le emergenze, ma è il frutto di alcune scelte politiche. È per questo che l’Italia, che per quarant’anni ha avuto una popolazione di detenuti oscillante tra le 24mila e le 45mila unità, ora fa i conti con numeri molto più alti”. “Dal punto di vista normativo - dice ancora Anastasia, il quale collabora anche con A Buon Diritto di Luigi Manconi - il problema principale è la legge sulla droga, che produce molti ingressi negli istituti. Poi, le modifiche della legge Cirielli sulla recidiva hanno bloccato l’applicazione di misure alternative”. Insomma, da un lato si gettano sempre più persone in cella, dall’altro si rende sempre più difficile che queste possano uscire. Come stupirsi, dunque, se i numeri sono da allarme civile? Non si può. E i numeri è ancora l’associazione Antigone a fornirli. Ripeterli non è male. Al 30 settembre 2011 i detenuti erano 67.428 dei quali soltanto 37.213 condannati in via definitiva - per una capienza complessiva pari a 45.817 e ben 23.915 detenuti in eccesso. Da questo punto di vista la maglia nera spetta al carcere di Lametia Terme: 30 posti e 91 detenuti, con un indice di sovraffollamento che sfonda quota 300%. Ma sono 22 le strutture in cui si affollano molto più del doppio dei detenuti che potrebbero ospitare. A scorrere la lista si fa il giro d’Italia: da Brescia a Varese, da piazza Armerina a Pozzuoli, da Milano San Vittore ad Ancona; e poi, ancora: Mistretta, Locri, Lecce, Taranto, Treviso, Castrovillari, e ancora tante altre. Peraltro, non è più un segreto - ma lo era soltanto per chi aveva voglia che tale rimanesse - che vi è una stretta relazione tra sovraffollamento e suicidi. Quella che si consuma silenziosamente dietro le sbarre è una strage che, tranne qualche caso, non fa notizia, seppure ultimamente - sarà l’insistenza dei radicali, saranno i ragionamenti di voci impossibili da non ascoltare come quella di Giorgio Napolitano e Benedetto XVI - qualcosa, forse, sta cambiando. Fatto sta che nel 2011 i detenuti morti in cella sono stati 186, di questi, 66 sono stati sicuramente suicidi; età media: 38 anni. Soltanto in un caso su 186 c’è la certezza che si sia trattato di omicidio. Se tutto ciò è vero, ecco però che la risposta dei governi è stata spesso una soltanto: piano carceri. Bene. Ma non può essere soltanto l’edilizia la via d’uscita. Si devono valutare anche altre strade. Spiega ancora Stefano Anastasia: “Si potrebbe scegliere di ridurre la pressione penale su alcune condotte e, insieme, superare la monocultura del carcere”. Ossia: “Per alcuni reati si potrebbe non pensare alla sanzione del carcere in via principale e immaginare altre forme di reintegrazione sociale del danno, limitando il carcere ad alcuni reati che denotano una reale pericolosità”. E poi c’è il nodo della custodia cautelare in carcere. Bene le intenzioni del governo sulla eliminazione delle cosiddette porte girevoli, osserva Anastasia, anche se restano le obiezioni sulla carenza di strutture; e non ci si deve dimenticare che “oggi c’è comunque un momento di controllo e garanzia rappresentato anche dalla semplice visita medica. Di uno che resta in camera di sicurezza, invece, rischiamo di non sapere più nulla”. E, ancora: se pure si costruissero nuove strutture, continuerebbe a mancare il personale del quale, spiega Anastasia, non si tiene mai conto quando si scrivono i piani di edilizia carceraria, neppure dal punto di vista delle previsioni di spesa. La storia del carcere di Gela, in questo senso, è esemplare. Progettato nel 1959, costruito a partire dal 1979, è stato inaugurato già tre volte ma è sempre rimasto chiuso: manca il personale per farlo funzionare. Ma ci sono storie ancor più assurde. Le carceri fantasma - quelle costruite negli ultimi vent’anni ma inutilizzate o decisamente sotto utilizzate - sono tante: 38. E alla mancanza di personale si aggiungono particolari che ci sarebbe da ridere, se ancora qualcuno ne avesse voglia. Il carcere di Arghillà in Calabria è pronto. È addirittura all’avanguardia. Peccato non ci sia la strada per arrivarci. Il carcere di Cropani è occupato dal solo custode; quello di Irsina ha funzionato un anno, ora è un deposito del Comune. Si potrebbe andare avanti per molto. Ma è meglio fermarsi qui e chiedersi: a chi giova costruire ancora? Le risposte potrebbero raccontare qualcosa della recente storia italiana. Giustizia: il ministro Severino; sì a emendamento Pdl-Pd su domiciliari per arrestati Il Velino, 10 gennaio 2012 Nessuna riserva di carattere “ideologico”, semmai qualche problema potrebbe esserci nella fase di attuazione. Questa la posizione del ministro della Giustizia Paola Severino rispetto ai contenuti dell’emendamento annunciato dai due relatori al Senato al decreto sul sovraffollamento delle carceri (Filippo Berselli del Pdl e Alberto Maritati, Pd) che sposterebbe ai domiciliari, invece che nelle camere di sicurezza di caserme e nei commissariati, una parte degli arrestati in flagranza per reati minori. “Dal punto di vista della deflazione” la misura potrebbe avere effetti “positivi” e “i problemi - sottolinea il ministro - possono essere solo attuativi ma certamente non di ordine ideologico”. Problemi che Severino si auspica possano essere “risolvibili” mentre mette in evidenza l’importanza della rapidità con la quale governo e Parlamento stanno affrontando la questione carceraria: “Questo sottolinea come tutti abbiamo percepito l’emergenza della situazione e la necessità di provvedimenti”. La scadenza per la presentazione degli emendamenti al decreto sul sovraffollamento delle carceri è fissata a domani alle 12,30. Giustizia: l’ennesimo “piano carceri” di Ionta… 17 nuovi padiglioni e 4mila nuovi posti di Lorenzo Alvaro Vita, 10 gennaio 2012 È necessario mettere i detenuti in “strutture penitenziarie dignitose” e con il piano carceri del governo saranno disponibili altri 4 mila posti entro il 2012. Lo ha annunciato il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nonché Commissario delegato per il Piano Carceri, Franco Ionta nell’audizione in Commissione giustizia del Senato dove ha illustrato l’enesimo piano carceri del suo lungo mandato. “Ho proposto l’utilizzo di fondi”, ha aggiunto Ionta, “che erano inizialmente stanziabili per le carceri di Nola e Bari per andare ad intervenire su 17 padiglioni che sono in avanzato stato di costruzione e che possono trovare completamento entro il 2012”. Ionta ha affrontato il problema delle carceri dismesse evidenziando che la vicenda di Reggio Calabria è “uno scandalo” in quanto “le prime operazioni per la costruzione del carcere risalgono alla fine degli anni 80” per un costo di “80-90 milioni di euro”. Al contrario le strutture di Tempio Pausania e Oristano, ha proseguito Ionta, “sono praticamente pronte e in primavera potrebbero essere aperte. Ci sono inoltre in via d’ultimazione le carceri di Cagliari e Sassari. Già con questa manovra avremo circa 4 mila nuovi posti”. Ionta ha infine annunciato che è stato aperto l’istituto di Gela che “si trascinava da moltissimi anni” e Trento, “struttura di grande dignità e di grande tecnologia”. Non si sono fatte attendere però le critiche. “A differenza di quanto affermato dal capo del Dap Franco Ionta, non troviamo nella norma sulle celle di sicurezza alcun equilibrio ma una forzatura a carico delle polizia”. Così infatti Enzo Marco Letizia, segretario nazionale dell’Anfp, Associazione nazionale funzionari di polizia, commenta le dichiarazioni del capo del Dipartimento per l’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, ascoltato questa mattina dalla commissione Giustizia del Senato. “Nel dl svuota carceri si prevede che l’arrestato non può essere condotto nella casa circondariale del luogo dove l’arresto è stato eseguito, nè presso altra casa circondariale. Quale bisogno c’era di rafforzare l’attuale sistema normativo con l’intervento del Pm”, chiede Letizia, “forse la polizia in questi vent’anni non ha collaborato e non ha fatto la sua parte? Su questo punto il Capo del Dap chiarisca e spieghi quanto incidono mediamente al giorno coloro che dalla libertà entrano in carcere e vi restano fino a tre giorni”. “Analizzando bene i dati del Dap”, osserva ancora Letizia, “risulta evidente che il sovraffollamento è determinato dalle detenzioni superiori ai 6 mesi per cui servono nuove carceri ed un ricorso sistematico agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Quest’ultimo strumento finora ha fallito perché esso può essere utilizzato solo su base volontaria e ad un tipo di braccialetto acquistato agli inizi degli anni 2000 laddove la fibra ottica per la rete telefonica non era diffusa su tutto il territorio nazionale”. “Si modifichi dunque l’art. 275 bis del codice di procedura penale e si utilizzi una tecnologia moderna, che oggi non comporterebbe i costi eccessivi di quella passata”, è l’invito del segretario Anfp. “Un braccialetto elettronico non dovrebbe costare più di un ipod, essendo dotato della stessa tecnologia peraltro con minori funzioni, cui va aggiunto un semplice impianto da collegare al telefono di casa, simile a quello tipico di tutti i sistemi di allarme delle nostre abitazioni”. Rendere le carceri dignitose, le forze di polizia siano unite Se è vero che “la priorità” è il sovraffollamento delle carceri allora “ciascuno deve fare uno sforzo per consentire la deflazione” e arrivare ad “una situazione più ragionevole e dignitosa”. Lo dice il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, nel corso di una audizione in commissione Giustizia al Senato. Ionta dice di comprendere “le resistenze delle altre forze di polizia” però se “ognuno si arrocca” sulle proprie posizioni allora “il carcere diventa un ricettaccolo delle deficienze di tutti e questo è intollerabile”. “Pregherei di guardare con attenzione e riflessione ai provvedimenti che non sono nè estemporanei nè estranei al sistema, ma fatti con equilibrio e saggezza per ripristinare le condizioni di dignità della detenzione e della stessa polizia penitenziaria”, ha aggiunto Ionta, riferendosi alle misure contenute nel decreto del governo. Senza “sconto” di 12 mesi in cella 5 mila detenuti in più Senza la misura che prevede di scontare gli ultimi 12 mesi della pena ai domiciliari la popolazione carceraria sarebbe arrivata a “73 mila detenuti”, una cifra “intollerabile”. Lo rileva, Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel corso di una audizione in commissione Giustizia al Senato. Il numero uno del Dap ricorda che al 31 dicembre del 2011 la popolazione carceraria ammontava a “66.897 unità” e senza il provvedimento sul fine pena sarebbe aumentata di 5.280 persone. Nelle misure del governo saggezza ed equilibrio “Pregherei di guardare con attenzione e riflessione ai provvedimenti che non sono nè estemporanei né estranei al sistema, ma fatti con equilibrio e saggezza per ripristinare le condizioni di dignità della detenzione e della stessa polizia penitenziaria”. Lo afferma il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, nel corso di una audizione in commissione Giustizia al Senato, riferendosi alle misure contenute nel decreto del governo. Giustizia: Si.Di.Pe.; da anni diciamo che il sistema non ce la fa… Comunicato stampa, 10 gennaio 2012 Troppo facile e troppo comodo “scaricare” il peso insopportabile di un sovraffollamento di detenuti (oltre 68 mila) la cui genesi e progressività nei numeri sarebbe tutta da studiare, analizzare, setacciare, interpretare e capire. Il carcere non può essere lo sfogatoio delle turbe e delle fobie di una strana sicurezza che, mentre registra il ritorno della città di Roma agli anni della criminalità violenta, riempie contestualmente gli istituti penitenziari di soldati permanenti effettivi del disagio, dell’immigrazione, della droga, delle pensioni da fame e della disoccupazione. È evidente che le nuove disposizioni in materia di arresto e custodia presso le camere di sicurezza che devono essere adibite nelle questure e nelle caserme costituiscono un problema di non poco conto, ma non è ribaltandole sull’amministrazione penitenziaria, già sottoposta da anni a tagli dolorosi della spesa e che non riesce ad assumere altri dirigenti penitenziari ed altro personale specialistico, che la questione può essere risolta o, forse, “tumulata”. Tra l’altro è singolare che solo nel momento in cui si decide che le persone arrestate debbano sostare per le prime 48 ore presso le camere di sicurezza ci si rende conto che questo costituisce un costo, una emorragia di risorse umane per la sorveglianza, una spesa economica per l’approntamento dei locali, per la loro messa a norma, per i servizi che devono prevedersi (dagli impianti igienici a quelli elettrici e di sicurezza, da quelli della fornitura dei pasti all’assistenza sanitaria, etc.). Certo che tutto questo ha un costo ma di esso si scopre l’esistenza solo quando non è più a carico dell’amministrazione penitenziaria, ed allora improvvisamente si scopre l’importanza della dignità della persona, del rispetto che si deve ad essa, tanto più in un momento in cui, in punto di diritto, potrebbe essere innocente ed essersi trovata, per i mille dispetti della sorte, in condizioni di non apparirlo subito. Improvvisamente si scopre il rischio suicidario, l’autolesionismo, le malattie infettive, le eventuali cure mediche interrotte, il pericolo di intolleranze alimentari e di allergie, etc. etc. Ma, scusate, quando queste cose le raccontavano i direttori penitenziari, gli educatori, i poliziotti penitenziari, allora non erano ugualmente importanti? Sono ormai da anni che Noi direttori, con gli operatori penitenziari tutti, stiamo dicendo che il sistema penitenziario, con le risorse di cui dispone non può farcela, che esso è piegato da un catalogo di reati e di pene esagerato, il cui numero cresce di giorno in giorno, di legislatura in legislatura, che ogni fatto di cronaca nera partorisce la nascita di una nuova più articolata fattispecie, ragione per cui sta oramai esplodendo e che impone, necessariamente e velocemente, di rivedere nel suo complesso, le strategie della Sicurezza, in quanto in un sistema dove tutto diventa penale inevitabilmente assolve ogni cosa e rischia di far rimanere imbrigliati solo i più deboli ed ingenui manovali del crimine e del disagio. Ma perché non ci hanno dato ascolto? Ma perché noi direttori penitenziari, in qualunque momento della giornata, che sia festiva o feriale, che sia giorno oppure notte, dobbiamo sentire la spina dorsale vibrare ad ogni trillo di telefono, temendo di sentire: “è morto un detenuto”, oppure “hanno preso in ostaggio un agente”, oppure “c’è un incendio”, oppure “ci sono i familiari del ragazzo morto ieri notte che vogliono vederla...”, oppure “questa notte, a motivo di improvvise malattie di agenti, non potremo assicurare la vigilanza esterna ed un solo agente dovrà vigilare su oltre 100 detenuti”, ed altri onorevoli servitori dello Stato, che siano rappresentanti dell’ordine o magistrati, non debbano, per le sole prime 48 ore, vivere analoghe ansie? Ma perché nelle carceri deve essere scontato che le celle debbano essere luride e non si possa in qualche modo alleggerirne il peso rendendole appena un poco più vivibili? Certo, ci rendiamo conto che la custodia di una persona, soprattutto in periodi di vacanze natalizie o pasquali oppure estive, può determinare un qualche serio problema di organizzazione delle meritate ferie per gli appartenenti alla polizia di Stato, carabinieri, forestali, finanzieri, etc., così come per i riposi settimanali, ma questo è un problema con il quale, nelle carceri, i poliziotti della polizia penitenziaria convivono da anni, dove lo stress si misura con le malattie professionali e con i suicidi degli stessi operatori. Allora, per favore, se lo Stato non è in grado di fornire le necessarie risorse finanziarie e di organici all’amministrazione penitenziaria, se lo Stato non è in grado di rivedere, al ribasso, il suo sistema di norme penali e processuali, se lo Stato ritiene dissacrante sgombrare il tavolo dei magistrati di faldoni che rischiano la prescrizione, attraverso una calibrata e ragionata amnistia che preveda forme di risarcimento per le vittime dei reati e restituisca risorse sonanti al sistema della giustizia e delle carceri, ebbene dividiamo l’amaro calice tra tutti. In caso contrario dateci quel che ci è dovuto affinché i direttori non debbano iniziare le loro giornate di lavoro: con bollette non pagate per luce, acqua e gas; oppure senza poter assicurare gli anticipi di missione per il personale di polizia penitenziaria comandato di trasportare per il “Giardino d’Europa” le migliaia di detenuti che devono partecipare ai processi; o, ancora, assicurare la guida simultanea di due, tre, quattro istituti penitenziari o di altrettanti uffici dell’esecuzione penale esterna in quanto privi di direttori titolari; oppure senza essere in grado di acquistare dei p.c., o delle risme di carta; oppure senza essere in grado di tenere pulite le carceri e far tinteggiare periodicamente le celle, far sistemare docce e wc, sostituire i vetri rotti delle finestre… perché altro è e dovrebbe essere il loro lavoro, così come vorrebbero la Costituzione Italiana e le convenzioni internazionali. E, per favore, non dimenticate di dare a noi direttori il contratto di lavoro che ci spetta, il nostro primo contratto, quel contratto che aspettiamo da oltre sei anni. Insomma, non pigliateci in giro! Giustizia: Berselli (Pdl); senza legge Gozzini le carceri scoppierebbero, avremmo rivolte Dire, 10 gennaio 2012 “Se eliminassimo la legge Gozzini le carceri scoppierebbero davvero, avremmo delle rivolte, non c’è niente da fare”. Lo dice il senatore Filippo Berselli (Pdl), presidente della commissione Giustizia al Senato, intervenendo sulla polemica suscitata dalla concessione della semilibertà a Marino Occhipinti, ex componente della Uno bianca condannato all’ergastolo. Sulla decisione del Tribunale di Venezia, Berselli non si esprime, anche perché non conosce bene la vicenda. Dice però: “Se il Tribunale di Venezia ha deciso così significa che ha valutato che ci fossero le condizioni. E, se l’ordinamento penitenziario prevede che questo sia possibile, è inutile urlare alla luna”, afferma. Dal canto suo, prosegue, non è d’accordo. Ma questo conta poco, fa intendere il senatore. “Condivido le proteste dei familiari delle vittime e anche io sono dalla parte di chi dice che queste cose non dovrebbero succedere, ma bisogna stare molto attenti a decidere sull’onda emotiva. Dobbiamo renderci conto che la situazione drammatica delle carceri non ci consente di rivedere la legge Gozzini” dice il senatore. Abolire questa legge, prosegue Berselli, “significherebbe far venire meno tutti i benefici, gli sconti, i permessi premio, l’affidamento in prova, la liberazione anticipata”. E le conseguenza sarebbero catastrofiche, Berselli ne è certo: “Se domattina eliminassimo la Gozzini, avremmo le carceri in rivolta. Non solo, ci troveremmo di fronte a un numero altissimo di detenuti che non riuscirebbero neanche a entrarci. Ora i detenuti sono 68.000, senza la Gozzini diventerebbero 80.000”. Ecco perché, dice Berselli, “dobbiamo cercare di favorire la fuoriuscita di chi ha tenuto una condotta esemplare e appare reinseribile nella società”. La legge Gozzini, ricorda ancora Berselli, “è nata per favorire il reinserimento dei condannati nella società. Per un Occhipinti che desta scandalo, ce ne sono altri 100 che escono nel silenzio e nessuno dice niente”. Del resto, della bontà di alcuni benefici previsti dalla Gozzini, Berselli ha avuto una riprova proprio oggi pomeriggio, nel corso della seduta della commissione Giustizia che sta analizzando il progetto di legge sulle carceri. “Oggi abbiamo ascoltato Franco Ionta, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Ci ha detto che la percentuale degli evasi tra coloro che ottengono di scontare la pena agli arresti domiciliari è dell’1%. Significa che il 99% si comporta bene”, ragiona Berselli. “Io stesso - ricorda il senatore Pdl - ho presentato più volte un disegno di legge che potrei definire forcaiolo, ma se ne sta chiuso in un cassetto da anni. Anche io sono per le pene scontate per intero, ma bisogna capire che esistono delle norme finalizzate a non far esplodere le carceri, la cui situazione oggi è davvero invivibile e drammatica”. Giustizia: verso ok a chiusura Opg; domani emendamento a Senato Ansa, 10 gennaio 2012 Potrebbe avere il via libera domani dalla commissione Giustizia del Senato l’emendamento al disegno di legge ‘svuota-carcerì presentato dal relatore, Alberto Maritati, per la chiusura, entro il 31 marzo di quest’anno degli Ospedali psichiatrici giudiziari. L’emendamento, frutto del lavoro della commissione d’inchiesta guidata da Ignazio Marino, prevede per i pazienti non socialmente pericolosi il riaffidamento alle cure delle Asl; per gli altri pazienti invece gli Opg dovranno essere sostituiti da strutture sanitarie con standard ospedalieri e compiti di sicurezza affidati sempre alla polizia penitenziaria ma all’esterno delle strutture. Il senatore del Pd, peraltro, auspica che la proposta trovi “l’accordo di tutte le forze politiche” visto che si tratta “del superamento di strutture, gli ospedali psichiatrici giudiziari, che sono state definite recentemente dal presidente della Repubblica indegne di un Paese appena appena civile”. Nel testo dell’emendamento si prevede anche che gli Opg che non saranno riconvertiti “ad altra funzione penitenziaria” siano venduti, usando i proventi per “la realizzazione di strutture territoriali residenziali e di centri diurni con attività riabilitative, destinati ai malati mentali”. Giustizia: disabili in carcere; 11 sezioni attrezzate, 175 i posti, ma ben 90 sono inagibili Redattore Sociale, 10 gennaio 2012 I dati (al 2006) parlano di 483 detenuti con disabilità motoria o sensoriale, e per il 2007 una rilevazione analoga è assente. La regione con il maggior numero di reclusi disabili è la Lombardia (121). Sono 11 le strutture che dispongono di sezioni attrezzate per detenuti con disabilità motoria (disabili o, nei casi meno gravi, “minorati fisici”, come sono tuttora definiti nelle classificazioni ufficiali). Sono 175 i posti complessivi di cui queste sezioni dispongono, di cui però ben 90 ancora inagibili. Molti di più i detenuti che, per le loro condizioni fisiche, soffrono di un’autonomia limitata e pertanto richiedono un’assistenza particolare. Della disabilità dietro delle sbarre, dunque, si sa poco e niente, sebbene il fenomeno non sia affatto marginale, né dal punto di vista quantitativo (il numero dei detenuti disabili) né dal punto di vista qualitativo (le difficoltà e i problemi che la disabilità incontra all’interno del carcere). Ma è il concetto stesso di disabilità che, nell’ambito del carcere, deve essere riconsiderato: una banale frattura al menisco, un trauma riportato in una partita di calcetto, una lesione: tutto questo, in carcere, può produrre disabilità, in molti casi anche permanente. Nel dicembre del 2006 nelle carceri italiane erano presenti 483 detenuti con disabilità motoria o sensoriale (55.960 sono in tutti i detenuti in Italia rilevati al 7 settembre 2008). Questo il dato più recente sulla presenza della disabilità in carcere in possesso dell’Ufficio Servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Un’identica rilevazione per il 2007 manca. La regione italiana con il maggior numero di detenuti disabili risulta essere la Lombardia: alla fine del 2006 negli istituti di pena della regione risultavano reclusi 121 detenuti con disabilità fisica e motoria, di cui 13 a San Vittore e 82 a Opera. Fra le regioni più “affollate” anche la Campania con 96 detenuti, il Lazio (51), le Marche (34, di cui 28 ipovedenti detenuti nella struttura di Fossombrone) e la Toscana (31). Seguono Sicilia (34), Piemonte e Valle d”Aosta (23), Veneto, Trentino e Fvg (20), Puglia (17), Emilia-Romagna (16), Sardegna (16), Calabria (14), Umbria, Abruzzo-Molise, Liguria (tutte con 3 detenuti) e, infine, Basilicata (1). Parzialmente diversi gli esiti di una seconda indagine relativa alla sola disabilità motoria, svolta sempre nel 2006 ma in cui periodo dell’anno non specificato. Con 65 detenuti, la Lombardia resta la prima regione nella classifica della numerosità, ma è stavolta seguita dalla Sicilia, con 51 detenuti disabili, dalla Sardegna, con 42 detenuti, e poi da Campania (37), Lazio (36), Emilia-Romagna (30), Puglia (26), Piemonte e Abruzzo-Molise (25), Marche (17), Toscana (15), Basilicata (11), Veneto (10), Umbria (6), Calabria (4) e Liguria (1). Minorati fisici. Secondo le classificazioni del Dap, per i minorati fisici sono attrezzate quattro strutture in tutta Italia, per una capienza complessiva di 143 posti e 21 presenze oggi registrate: per la precisione, Castelfranco Emilia, con una capienza di 90 posti ma attualmente inagibile; Parma, con una capienza di 25 posti e 6 presenze; Ragusa, con capienza 14 e 12 presenze; Turi, con 14 posti e 3 presenze. Disabili fisici. Per i detenuti con disabilità fisica esistono sezioni attrezzate in 7 istituti, per una capienza complessiva di 32 posti e 16 presenze: Udine, con 3 presenze, pari alla sua capienza; Pescara, con 4 presenze e due posti; Parma, con 9 posti e 9 presenze. A queste si aggiungono 4 strutture le cui sezioni attrezzate risultano attualmente vuote: Perugia, Fossano, Castelfranco Emilia e Brindisi. Internati in sezioni di osservazione. Le sezioni di osservazione sono destinate a detenuti con problemi psichici e sono funzionanti presso alcuni istituti: Bologna (2 presenze), Castelfranco Emilia (76), Favignana (37), Firenze Sollicciano (19), Isili (21), Livorno (8), Milano San Vittore (14), Modena Saliceta S. Giuliano (100), Monza (5), Napoli Secondigliano (9), Palermo Pagliarelli (5), Reggio Calabria (4), Roma Rebibbia (13), Sulmona (108), Torino Lo russo e Cutugno (35), Trani (0) e Venezia Giudecca (9). Giustizia: Calisto Tanzi a processo; dimagrito e in manette, ha un malore in aula di Francesco Alberti Corriere della Sera, 10 gennaio 2012 L’uomo del crac più devastante nella storia dell’imprenditoria privata europea, una bancarotta fraudolenta che ha provocato un buco da 14 miliardi di dollari, trasformando in carta straccia il valore dei bond di 35 mila piccoli risparmiatori, ha oggi l’aspetto di chi sta vivendo un crac personale, doloroso quanto pubblico. Mai come ieri mattina, nell’aula della terza sezione penale della corte d’Appello di Bologna, i 73 anni di Calisto Tanzi, l’ex patron della Parmalat che trattava alla pari con i potenti della Prima e pure della Seconda Repubblica, foraggiando banche e facendo incetta di onori, sono apparsi in tutta la loro inaspettata pesantezza. Quasi irriconoscibile, smagrito, lo sguardo sperduto e l’incedere faticoso, l’uomo che per decenni è stato un simbolo di Parma e un’eccellenza del made in Italy nel mondo, ha varcato la soglia dell’aula Bachelet con le manette ai polsi, proveniente dal carcere di Parma a bordo di un cellulare della polizia penitenziaria, guardato a vista da alcuni agenti. Solo in aula gli sono state tolte le manette ed è stato fatto sedere al fianco di uno dei suoi legali, Giampiero Biancolella. Una presenza, quella di Tanzi, durata poco più di un’ora. Il primo ad accorgersi che qualcosa non andava è stato il presidente Francesco Maddalo, che, vedendo l’imputato ondeggiare in avanti, gli occhi semichiusi e il respiro affannoso, ha sospeso per una decina di minuti l’udienza. Accompagnato fuori quasi di peso dagli agenti, Tanzi ha poi chiesto di rientrare, ma dopo neanche mezz’ora è risalito sul furgone della polizia con destinazione il carcere di via Burla a Parma. “Temiamo per la sua vita, il regime carcerario è del tutto inadeguato nel suo caso”, ha detto l’avvocato Biancolella. È un mezzo evento la presenza di Tanzi in tribunale. Da quando è venuto alla luce il crac Parmalat, nel 2003, l’ex re del latte ha spesso evitato di partecipare alle udienze, anche se ciò non gli ha risparmiato una montagna di condanne. La sua attuale situazione giudiziaria contempla una pena definitiva a 8 anni per aggiotaggio, 18 anni in primo grado per bancarotta fraudolenta e 9 anni e 2 mesi (sempre in primo grado) per il fallimento di Parmatour. Il processo a Bologna è il secondo grado della condanna a 18 anni. La scelta di Tanzi di essere presente nasce da una strategia processuale che punta a far ottenere all’ex Cavaliere del lavoro (titolo revocato dal presidente Napolitano) gli arresti domiciliari. “Uno dei motivi - ha spiegato Biancolella - per cui non è stata concessa la detenzione domiciliare è stata l’assenza del nostro cliente alle udienze. Questa volta è venuto e non si è sentito bene”. Una battaglia che i legali stanno combattendo dal 5 maggio scorso quando Tanzi venne prelevato dalla sua villa alle porte di Parma (piscina e campi da tennis) e trasferito in carcere, dove è sottoposto a regime detentivo attenuato (cella singola e costante monitoraggio). Il 15 giugno scorso, lo trovarono a terra svenuto: si parlò di attacco ischemico. I suoi avvocati hanno presentato l’ennesima richiesta dei domiciliari, ma la decisione non arriverà prima di marzo. L’avvocato Fabio Belloni parla chiaro: “Dopo 5 ricoveri e 5 ritorni in carcere, viene da pensare che lo scopo di ogni ricovero sia solo il ritorno in carcere”. Lettere: dall’indifferenza all’incrudelimento… di Gemma Brandi (Psichiatra psicoanalista, Direttore de “Il reo e il folle”) Ristretti Orizzonti, 10 gennaio 2012 Chiunque abbia battuto, per ragioni diverse, il marciapiede del carcere e lo abbia fatto pensando e non dimenticando al di qua delle sbarre cuore e cervello, sa che quel luogo è l’osservatorio avanzato dei problemi in divenire di una società, in quanto lì vi si concentrano e vi vengono distillati in attesa di assumere le dimensioni che li renderanno visibili all’esterno. Dopo avere annunciato di volta in volta, nella scarsa considerazione dei più, problemi poi dilagati in una società impreparata a fronteggiarli, quali tossicodipendenza, Aids, immigrazione di massa, qualche anno or sono i penitenziari mostrarono l’imporsi di un fenomeno preoccupante: l’indifferenza e l’anestesia sociale, con cui il nostro Paese sta facendo i conti. Ne sono figli l’astensionismo e la perdita di speranza, ma anche la disperazione che arma la mano dell’uomo contro sé stesso, in quel togliersi di mezzo silenzioso che è il suicidio, una inclinazione che dal carcere trasuderà nella società civile, se questa non saprà imparare dall’insegnamento che i reclusori impartiscono inascoltati. Oggi sono due le nuove creature che stanno prendendo forma: la decadenza istituzionale del sistema penitenziario e l’incrudelimento. Sarebbe una semplificazione liquidare la prima come il derivato di una carenza di risorse. È il caso di parlare piuttosto di pessimo uso delle poche risorse residue - ciascuno, a tal proposito, è testimone di quanto riesce a vedere di persona intorno a sé - di un uso delle risorse, cioè, che anziché tener conto delle vacche magre punta all’arrembaggio dell’ultima nave di viveri per depredarla. Troppi i poco lungimiranti che pensano a sé stessi come all’ape arraffona e si disinteressano al destino dell’alveare, che sarà poi il loro destino. Occorre vincere la battaglia per arginare la frana istituzionale partita dal carcere, anche al fine di mettere in sicurezza altre realtà civili, minacciate dallo stesso destino. Ma è sull’incrudelimento che vorrei richiamare l’attenzione. Questo è figlio dello scandalo di chi lavora per sé stesso/l’ape a detrimento dell’alveare, nel senso che, nel terremoto istituzionale determinato dall’improvvisa povertà, tendono ad attecchire le inclinazioni stolidamente o astutamente perverse di chi spaccia per effetto della mancanza di risorse l’esercizio di gratuiti attacchi ai soggetti in posizione di debolezza. Dico gratuiti in quanto non necessari, ma si tratta al contrario, sotto il profilo dei costi, di lussi che assorbono le energie residue, messe al servizio del puro piacere di far male. Chi ha la responsabilità di gestire non può chiudere un occhio e magari due su episodi di perversione istituzionale per quieto vivere, appellandosi alla reciproca lealtà tra poteri in abusato nome del bene comune, pena il ritrovarsi futura vittima della inevitabile diffusione dell’incrudelimento. Toscana: 670 mila euro per trasferire i detenuti tossicodipendenti in comunità Dire, 10 gennaio 2012 È quanto ha stanziato la regione con l’intento di allentare il sovraffollamento in cui versano molti istituti penitenziari toscani. Corleone: “Possono uscire subito”. Scaramuccia: “In carcere ci sono circa 1.500 tossicodipendenti” Seicento settantamila euro in favore della aziende sanitarie toscane per la presa in carico dei detenuti tossicodipendenti e alcoldipendenti che possono usufruire delle misure alternative al carcere. È quanto ha stanziato la regione Toscana con l’intento di allentare il sovraffollamento in cui versano molti istituti penitenziari toscani. “Come ho avuto già modo di dire in altre occasioni - ha commentato l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - il diritto alla salute non fa eccezioni: che si tratti di liberi cittadini o di persone costrette a limitazioni della libertà per reati commessi. Il problema della tossicodipendenza all’interno delle strutture detentive toscane riguarda circa un terzo della popolazione carceraria, quasi 1.500 persone complessivamente. Senza dimenticare che la situazione di sovraffollamento di varie realtà, costituisce uno degli ostacoli principali all’adozione di efficaci misure di prevenzione. Occorre individuare percorsi alternativi - ha concluso l’assessore - affinché venga garantita a queste persone la possibilità di avere il programma di riabilitazione più idoneo in base al tipo e alla gravità della dipendenza, alla fase della malattia, al grado di motivazione ad uscirne, alle aspettative e condizioni socio-relazionali”. Secondo Franco Corleone, garante dei detenuti del comune di Firenze, i detenuti che possono effettivamente usufruire della possibilità di trasferimento in comunità ammonterebbero a circa 500, che potrebbero uscire sin da ora. Non tutti i reclusi possono infatti sfruttare questa possibilità: ne sono esclusi quelli con una pena superiore ai tre anni e quelli recidivi. Nell’ultima seduta dell’anno, la giunta regionale ha approvato una delibera che individua la procedura per l’accesso, da parte di detenuti alcol e tossico dipendenti, a percorsi terapeutico-riabilitativi alternativi al carcere. Gli obiettivi sono: garantire alle persone in situazione di bisogno diagnosi tempestive e corrette, cure e percorsi di reinserimento sociale e un miglioramento delle condizioni di vita specialmente quando, a causa dell’eccessivo affollamento delle strutture, questo non sia possibile. Il funzionamento del sistema si poggia sul coinvolgimento di tutti gli operatori che a vario titolo hanno rapporti con i detenuti: dagli operatori sanitari (Sert) alla polizia penitenziaria, dal personale del tribunale di sorveglianza a quello Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna), per arrivare agli operatori di enti ausiliari, cooperative sociali, associazioni di volontariato, gruppi di mutuo auto aiuto. I principi che caratterizzano il percorso sono il passaggio da un sistema di attesa a uno “di iniziativa” (incoraggiando i detenuti a presentare propri progetti), l’importanza della diagnosi, che deve essere accurata e tempestiva, l’individuazione del percorso riabilitativo da seguire, i programmi terapeutici da adottare e le strutture che devono attuarli. Cagliari: Sdr; sulle vicende del nuovo carcere assurdo silenzio Ministero Infrastrutture Comunicato stampa, 10 gennaio 2012 “Il Ministero delle Infrastrutture non può mantenere l’attuale assurdo e assordante silenzio sulle vicende legate al nuovo carcere di Cagliari, in fase di realizzazione nel territorio del Comune di Uta”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme denunciando la necessità di chiarimenti su un’opera che ha richiesto ingenti fondi di denaro pubblico. Al di là dell’iniziale “forzata” secretazione degli atti, sono infatti necessari - precisa Caligaris - urgenti chiarimenti sull’atteggiamento della società “Opere Pubbliche” in continuo conflitto con gli operai che chiedono di essere pagati regolarmente; sui ripetuti rinvii della data di ultimazione dei lavori, in ritardo di oltre due anni; sull’assenza di qualsiasi dialogo con il Comune sul quale grava l’imponente servitù penitenziaria e con la Provincia di Cagliari competente per l’assetto viario e, infine, sul pagamento degli espropri e sugli appalti di opere da realizzarsi per conto del Ministero della Giustizia nonché sulla mancata conferenza dei servizi dopo quella svoltasi nel 2005. Per esempio - continua la Presidente di Sdr - non si nulla sull’appalto per la fornitura di Gas Propano Liquido da riscaldamento, acqua sanitaria e cucine con comodato d’uso gratuito dei serbatoi da interro tipo “tubero” previsto per il nuovo complesso penitenziario. L’appalto era previsto per il 2010-2012 per un importo presunto a basa d’asta di complessivi 380.000,000 euro oltre l’Iva al 20%. Così come non si conoscono l’importo delle somme previste per l’esproprio dell’area dove sta sorgendo il carcere e se la liquidazione spetta all’impresa costruttrice o direttamente al ministero. Nessuna notizia infine sui due ampi vasconi pieni d’acqua per irrigazione dei campi limitrofi al muro di cinta del penitenziario. Nulla peraltro è stato portato a conoscenza dell’opinione pubblica sui rapporti tra Ministero delle Infrastrutture e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in relazione ai lavori straordinari per le modifiche che si sarebbero rese necessarie in corso d’opera. È indispensabile, che trattandosi dell’appalto di un’imponente opera pubblica, l’impresa - conclude Caligaris - regolarizzi i rapporti con gli operai pagando i salari arretrati e gli uffici del Ministero, in controtendenza rispetta a quanto avvenuto in questi anni, avviino un processo di trasparenza nei confronti dell’opinione pubblica e di collaborazione con gli Enti Locali interessati. Sono richieste che non possono essere ignorate con la giustificazione della “secretazione” degli atti imposta dall’urgenza per l’”emergenza carceri” che peraltro continuerà a luogo. Napoli: Amendola e Vaccaro (Pd); situazione Poggioreale esplosiva, chiederemo incontro a Ionta Adnkronos, 10 gennaio 2012 “La situazione a Poggioreale è esplosiva. Chiederemo un incontro a Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”. A dichiararlo in una nota congiunta sono Enzo Amendola, segretario regionale del Pd Campania, e Guglielmo Vaccaro deputato democratico, che oggi pomeriggio si sono recati presso la casa circondariale napoletana per verificare le condizioni in cui vivono i detenuti. Dopo le ultime visite nel periodo delle feste natalizie, quando denunciarono l’assenza completa dei riscaldamenti, Amendola e Vaccaro sono tornati nel carcere: “La situazione è migliorata in un padiglione, mentre rimane ingestibile nel resto dell’ istituto anche per la pesante condizione di sovraffollamento”. Vaccaro con Andrea Orlando, responsabile nazionale giustizia Pd, ha presentato già un’interrogazione parlamentare, “ma a questo punto, pure apprezzando gli sforzi della direzione del carcere - concludono Amendola e Vaccaro - abbiamo deciso con Orlando di andare da Ionta per invitarlo a intervenire immediatamente con il supporto del Ministro della Giustizia Paola Severino”. Porto Azzurro (Li): Sappe; agenti aggrediti, la situazione rischia di degenerare ulteriormente Comunicato stampa, 10 gennaio 2012 Ancora un’aggressione a danno di poliziotti penitenziari nei carceri della Toscana. Tre appartenenti alla Polizia Penitenziaria sono stati aggrediti nel primo pomeriggio nel carcere di Porto Azzurro da un detenuto magrebino. Gli agenti sono ricorsi alla cure del Pronto Soccorso del nosocomio isolano, dove sono stati dimessi con prognosi di alcuni giorni. “È una aggressione annunciata. Proprio nel mese di dicembre avevamo denunciato il sovraffollamento dell’Istituto elbano, che può ospitare circa 200 detenuti e ne ospita invece circa 340. È stata un’aggressione violenta e ingiustificata, avvenuta di sorpresa e senza alcun motivo, e purtroppo è l’ennesima che si verifica a Porto Azzurro e in Toscana. È necessario adottare opportuni provvedimenti, l’effetto domino è oramai inarrestabile”. Pasquale Salemme, segretario nazionale del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), il Sindacato più rappresentativo dei Baschi Azzurri in Italia e in toscana, commenta così l’aggressione ai tre agenti di Polizia Penitenziaria avvenuta nel primo pomeriggio alla Casa di Reclusione di Porto Azzurro. “Non più tardi di qualche mese fa” prosegue il sindacalista del Sappe “altri due colleghi sono stati aggrediti nel carcere di Sollicciano e ieri altri 5 colleghi sono stati refertati al carcere minorile di Firenze per intossicazione da fumi. Gli Istituti penitenziaria della Toscana soffrono, alla pari del sistema carcere nazionale del sovraffollamento e della carenza del personale di polizia penitenziaria. Attualmente, a fronte di un organico di Polizia Penitenziaria previsto in 3.021 unità per i 19 penitenziari regionali, abbiamo in servizio circa 2.300 uomini e donne appartenenti al Corpo. Il numero di poliziotti penitenziari impiegati nel servizio di sorveglianza all’interno dei Reparti detentivi dell’Istituto è, in proporzione ai detenuti presenti, veramente insufficiente. La situazione rischia di degenerare ulteriormente. Napoli: al via corso di giornalismo investigativo con una lezione sul carcere Il Velino, 10 gennaio 2012 Folla nell’aula al pianterreno della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Parthenope di via Monte di Dio a Napoli per l’inaugurazione del corso di giornalismo investigavo. Al centro del dibattito, il tema dell’affollamento nelle carceri, la prevenzione e il recupero dei detenuti. La prima lezione è stata tenuta dal criminologo Francesco Bruno, il generale dell’Arma dei Carabinieri della Campania, Carmine Adinolfi e il docente di Diritto Penale, Alberto De Vivo. Ha moderato l’incontro la giornalista Cristiana Barone. “Le carceri in Italia non favoriscono il recupero dei criminali”, ha affermato Bruno, che ha bacchettato la mancanza di psicologi all’interno dei penitenziari: “Abbiamo laureati di psicologia a spasso, quando nelle carceri c’è bisogno di chi segue i detenuti sotto il profilo psicologico, quelli che ci sono, non bastano”. Secondo un dato statistico, è stato calcolato che per il 60% dei reclusi, le carceri non producono nulla di positivo, per 40% invece, avviene il recupero. Dati che trovano riscontro nella realtà, perché è statisticamente accertato che chi ha scontato una pena in un ambiente ai limiti della sopravvivenza, come ad esempio il carcere di Poggioreale, c’è una percentuale alta di probabilità che possa ritornare a delinquere. Per Adinolfi, la parola d’ordine è prevenzione e dialogo: “Io immagino quei ragazzi che vivono nei quartieri del degrado, è lì che bisogna agire con un programma di prevenzione, sensibilizzazione, dialogo, al fine di ridurre ridurre il bacino della droga, dell’alcolismo”. L’arma dei Carabinieri da tempo sta portando avanti un progetto nazionale sulla legalità, per cui ci sono stati a Napoli incontri e dibattiti nelle scuole, nelle parrocchie e fondazioni di recupero per minori a rischio. “Ben 50mila giovani hanno aderito - ha continuato il generale - perché è importante la comunicazione e il dialogo nelle famiglie, dobbiamo partire da questo principio, nessuno nasce delinquente”. Sul sistema carcerario, Adinolfi ha aggiunto: “Si sta facendo tanto in termini di riabilitazione del detenuto”. Proprio sul tema del recupero, ha puntato l’accento De vivo, che ha sottolineato: “Se non c’è un buon lavoro di recupero all’interno delle carceri, dopo è peggio”. Norvegia: strage di Oslo; per rapporto medico Breivik non è pazzo Ansa, 10 gennaio 2012 “Breivik non è pazzo”. A sostenerlo non sono più solo gli amici e i conoscenti del 32enne responsabile della strage di Oslo e dell’isola di Utoya, ma adesso anche un rapporto medico. Gli psicologi, gli psichiatri e i medici carcerari della prigione di Ila, dove Breivik è rinchiuso, dicono di non aver mai notato segni di squilibrio mentale. Gli avvocati delle parti civili hanno chiesto una nuova perizia psichiatrica sull’autore del massacro (77 morti), convinti che Breivik non sia affetto da “schizofrenia paranoie” come ha invece stabilito la perizia ufficiale. Il dibattito sulla responsabilità penale dell’assassino norvegese ha del sorprendente. Questo nuovo rapporto contraddice in maniera clamorosa la perizia dello scorso 29 novembre che, dopo uno studio del suo stato mentale, dichiarava Breivik incapace di intendere e di volere. L’indagine, condotta da esperti incaricati dal carcere, è in netto contrasto con il precedente parere medico. Secondo loro l’uomo non è uno schizofrenico, non ha bisogno di farmaci e non mostra tendenze suicide. La conseguenza? Gli esperti ritengono che Breivik possa essere detenuto e non necessiti di ricovero in una struttura psichiatrico. Potrebbe quindi venire processato normalmente per i suoi delitti. Il procuratore Svein Holden ha dichiarato a Tv2 che la nuova documentazione sarà inviata questa settimana alla Corte distrettuale di Oslo. Intanto la procura di Oslo ha negato una seconda perizia dell’uomo come richiesto dai familiari della vittima spiegando che una nuova valutazione “non è necessaria”. Breivik, reo confesso, non ha mai ammesso di essere colpevole dichiarando invece di aver compiuto degli atti “atroci ma necessari”. Il processo all’assassino norvegese si terrà il prossimo 16 aprile. Anders Behring Breivik, il 22 luglio scorso fece esplodere una bomba al quartiere governativo nel centro di Oslo e poi sulla vicina isola di Utöya uccise 69 partecipanti al campo estivo dei giovani socialdemocratici. Iran: 41 esecuzioni “inaugurano” il nuovo anno Ansa, 10 gennaio 2012 Anche il 2012 è iniziato in Iran con una serie di esecuzioni di massa, con almeno 41 impiccagioni nella prima settimana del nuovo anno, tra cui 37 per reati legati alla droga e 4 effettuate in pubblico. Tra il 2 e il 3 gennaio 2012, almeno 25 persone sono state impiccate per traffico di droga nelle carceri di Arak, Teheran e Zanjan. Il 4 gennaio, 11 persone sono state impiccate sempre per droga nelle prigioni di Semnan, Kerman, Bam e Zanjan. Il 5 gennaio, un uomo è stato impiccato nel carcere Khorin di Varamin per reati di droga. Il 5 gennaio, tre prigionieri sono stati impiccati pubblicamente in Piazza Azadi (Libertà) di Kermanshah, ha riferito l’agenzia di stampa statale FARS, che ha identificato i prigionieri come Alireza Ahamdi, di 48 anni, Sadegh Eskandari, 33 e Sasan Basami, 36. Erano stati condannati per rapina a mano armata di una banca nel mese di agosto 2011. Il 7 gennaio, un uomo, che non è stato identificato per nome, è stato impiccato in pubblico in un villaggio vicino Gachsaran (Iran occidentale), ha riportato l’agenzia di stampa iraniana Isna. L’uomo era stato condannato per stupro.