Giustizia: consigli al nuovo capo del Dap… di Patrizio Gonnella (Presidente dell’Associazione Antigone) Il Manifesto, 6 febbraio 2012 Secondo un sondaggio Swg la maggior parte degli italiani ritiene prioritaria la soluzione del problema del sovraffollamento delle carceri. I più sensibili sono gli elettori di centrosinistra. Per anni abbiamo ascoltato urla bipartisan che invocavano galera per poveri, stranieri, lavavetri, malati vari, consumatori di droghe. Il diritto penale adesso giudica le persone - i nemici - piuttosto che i fatti. E così ci ritroviamo 67 mila detenuti, condizioni intollerabili di vita nelle prigioni, trattamenti inumani e degradanti, il ritorno delle squadrette che maramaldeggiano in alcuni istituti. Nei giorni prossimi sarà varato un pacchetto di misure voluto dal governo, impropriamente definito svuota carceri. Non svuoterà nulla. Al limite fermerà la crescita di detenuti. Mancheranno ancora 22 mila posti letto. Un gap che potrebbe crescere se mai il governo dovesse dar seguito al piano di privatizzazione delle carceri. Negli Usa il numero di detenuti è raddoppiato da uno a due milioni dopo l’avvio in era reaganiana del correctional business. Qualche anno fa, quando dirigeva l’ufficio studi dell’amministrazione penitenziaria, il neo nominato capo del Dap Giovanni Tamburino affermò che era inaccettabile utilizzare nel sistema carcerario italiano il project financing. Sollevò obiezioni di principio. Oggi la nuova dirigenza penitenziaria, che per esperienza e professionalità ben conosce i problemi, ha la copertura del Capo dello stato, della ministra Severino e anche dell’opinione pubblica per dare una sterzata a un sistema al collasso. Vanno subito spiegate le cause primarie del sovraffollamento: eccessivo uso della custodia cautelare, legge sulla recidiva, legge sull’immigrazione, legge sulle droghe che da sola produce oltre un terzo degli ingressi carcerari. A questo punto ben ci starebbe la rimozione del capo del dipartimento droghe che ha la responsabilità di aver alimentato una cultura fondata sulla repressione degli stili di vita individuali. La legge Fini-Giovanardi va abrogata. Chi l’ha scritta e sponsorizzata non può essere fedele collaboratore di un governo che intende tornare alla legalità penitenziaria. Dal nuovo capo Dap ci aspettiamo un segnale di rilancio delle misure alternative, uno stop ai piani di edilizia, un utilizzo dei milioni della Cassa delle ammende per fini autentici di recupero sociale, una nuova attenzione alle professioni sociali ed educative, un progetto di riorganizzazione del Dap che valorizzi le competenze professionali. Ci aspettiamo anche che smantelli i poteri locali che non rispettano le leggi. Il 30 gennaio ad Asti quattro agenti di polizia penitenziaria, accusati di violenze brutali nei confronti di due detenuti, sono stati assolti dal giudice. In due casi ciò è avvenuto per prescrizione e in altri due per mancanza di querela. Il giudice ha ridimensionato il reato di maltrattamenti consentendo la fine ingloriosa del processo. Eppure c’erano intercettazioni, testimonianze di coraggiosi operatori penitenziari, prove. Dal nuovo capo Dap ci aspettiamo un segnale forte di natura disciplinare ma anche una parola sulla necessaria introduzione del reato di tortura nel codice penale nonché sulla istituzione di una autorità indipendente di controllo dei luoghi di detenzione. Giustizia: l'inchiesta dell’Espresso sugli sprechi al Dap non è arrivata fino in fondo... www.poliziapenitenziaria.it, 6 febbraio 2012 Sull’ultimo numero de L’Espresso, in edicola venerdì scorso, è stata pubblicata un’inchiesta sugli sprechi del Dap che ha conquistato addirittura gli onori della copertina dove – con il titolone “Carceri d’oro” – campeggia l’immagine di una poltrona in stile Luigi XV fotomontata all’interno di una sezione detentiva. Il fotomontaggio realizzato per la copertina dell’Espresso sembra rappresentare la summa di tutto quello che il Sappe denuncia da anni. L’inchiesta, che riportiamo integralmente sul sito del Sappe, mette il dito nella piaga degli sprechi e dei privilegi dei Grand Commis del Dap in contrapposizione alle condizioni da terzo mondo delle carceri e alle condizioni di estremo disagio lavorativo dei poliziotti penitenziari. Tuttavia, lo scoop dell’Espresso, pur se abbastanza dettagliato e senza alcun timore reverenziale verso chicchessia, non ha scoperchiato completamente il pentolone delle ingiustizie, delle prevaricazioni, dei privilegi e degli indebiti benefici di cui si sono appropriati i dirigenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, soprattutto quelli che occupano da tantissimi anni le stesse poltrone di potere. Lirio Abbate, il redattore che ha realizzato l’indagine giornalistica, non è riuscito a raggiungere il fondo del pozzo nero degli sprechi dipartimentali, un po’ perché reticenze e omertà hanno ammantato parecchie sacche di privilegio e un po’ perché una fotografia a 360 gradi della situazione non sarebbe mai entrata nelle poche pagine dell’inchiesta ma avrebbe richiesto la pubblicazione di un libro. Se il giornalista avesse davvero raggiunto il fondo, sarebbero emersi altri scandali come, ad esempio, quello della Rivista patinata del Dap che non legge nessuno (spesso finisce ancora impacchettata nei bidoni dell’immondizia) ma che è costata, fino ad oggi, più di 5 milioni di euro e continua ad essere pubblicata al prezzo di due/trecentomila euro l’anno, ovviamente fondi pubblici. Abbate avrebbe anche potuto raccontare della lussuosa ristrutturazione del palazzone di largo Daga, dove è stata realizzata una hall lastricata di marmi pregiati e tappezzata di legno massello , degna dei migliori alberghi a cinque stelle, o scoprire che all’interno del Dap è stata costruita, ovviamente a spese dell’amministrazione penitenziaria, una Cappella per le cerimonie religiose (???). Avremmo potuto scoprire i motivi e le ragioni per le quali certi dirigenti, generali e non, sono stanziali al Dap da più di vent’anni, dove ricoprono da sempre gli stessi incarichi come fossero fisiologici alla persona. Avremmo potuto scoprire i motivi per i quali alcuni direttori generali e vice capi dipartimento sono presenti in tutti (ma proprio tutti) i Consigli d’Amministrazione, Comitati di Indirizzo, Comitati di Vigilanza e qualsiasi altra Commissione di controllo e di garanzia nonostante l’assurda commistione tra controllore e controllato (senza parlare poi dei gettoni di presenza…). E avremmo avuto modo di comprendere come alcuni Consigli Direttivi, già composti in maggioranza dagli stessi dirigenti che dirigono le strutture alle quali si riferiscono, si riscrivono da soli gli statuti ed epurano quei pochi consiglieri che non appartengono alla casta. Insomma, se il bravo giornalista dell’Espresso fosse riuscito ad arrivare fino in fondo, avrebbe svelato tantissime altre ingiustizie di kafkiana memoria che trovano nel dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il loro habitat naturale. Chissà, però, che Lirio Abbate non raccolga la sfida e voglia davvero realizzare un istant-book sulla vicenda? Giustizia: strutture alternative per i detenuti, un progetto di 30 anni fa di Diego Novelli Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2012 Per dieci anni (1975-1985) mi sono occupato di carceri con maggiore interesse di quanto non avessi avuto occasione di fare nella mia lunga esperienza di cronista. Più volte ho seguito vicende che riguardavano la Casa circondariale di Torino e il carcere minorile Ferrante Aporti. In quegli anni erano frequenti le rivolte grazie alla legge Gozzini (che cancella ai detenuti possibilità di avere permessi di uscita e altri piccoli benefici in base alla buona condotta). Nel momento in cui ho assunto la responsabilità di sindaco la mia amministrazione ha considerato i detenuti a Torino ed i senza fissa dimora cittadini che non potevano essere catalogati tra gli extraterritoriali. Con l’aiuto in modo particolare del cappellano del carcere, padre Ruggero, e del direttore della casa circondariale dottor Suraci abbiamo contribuito alla realizzazione di due laboratori (falegnami e meccanici) frequentati a turno dalla maggioranza dei detenuti. Successivamente per due anni (ogni venerdì dalle 15 alle 17.30) ho tenuto con il professor Tranfaglia un corso di storia contemporanea ad un gruppo di giovani “dissociati” dal terrorismo. Ma il lavoro più importante l’abbiamo svolto grazie alla collaborazione dei volontari della San Vincenzo, coadiuvati da Carlo Castelli. Dopo anni di presenza quotidiana alle Nuove questi volontari mi proponevano di esaminare la possibilità di realizzare dei luoghi diversi dalle carceri tradizionali differenziando i detenuti in base alla pena e alla pericolosità sociale. Infatti, per fortuna gli oltre settantamila detenuti in Italia non sono dei criminali, dei delinquenti abituali, persone pericolose per la comunità. Ci sono decine di migliaia di ospiti nelle nostre carceri che hanno commesso reati minori, oppure sono semplicemente indagati o in attesa di giudizio. Con la collaborazione degli uffici comunale fu elaborato un progetto per la realizzazione di case per detenuti a rischio attenuato comprendente anche i “cosiddetti fine pena” . In breve si trattava di realizzare delle strutture (edifici da restaurare, scuole in disuso, e anche immobili nuovi da acquistare). Il progetto tecnico fu redatto dall’architetto Mario De Orsola e prevedeva una struttura adeguatamente attrezzata (cucina, refettorio, servizi igenici, sale di lettura, e per gli agenti di custodia) con una capienza di una quarantina di detenuti in edifici di quattro piani, con una distribuzione di due tre al massimo per stanza, con un tempo di realizzazione di sei mesi. Il progetto lo presentammo al ministero di via Arenula, per primo al ministro Martinazzoli e poi a tutti i suoi successori sino a Vassalli. Dopo di che tutto tacque. Correva l’anno 1988. Il problema lo risollevai in Parlamento (governo Berlusconi) dove il ministro Biondi si dimostrò interessato anche sotto l’emozione di una tragedia scoppiata alle Vallette dove oggi sono ospitati oltre 1.100 detenuti a fronte di una capacità recettiva di meno di seicento. Nel reparto femminile super affollato, allora come oggi morirono quattro ragazze per un incendio. Dopo di che tutto tacque. Quando la nuova ministra della Giustizia del governo Monti prese in considerazione appena nominata il disumano sovraffollamento delle carceri italiane, le inviai un piccolo dossier contenente tutta la documentazione. Non ho ricevuto nessun riscontro. La legge in corso di approvazione in Parlamento non solo mi appare pericolosa per la collettività, ma non risolvibile il problema. Sicché il progetto risalente a trenta anni fa potrebbe oggi decongestionare le carceri italiane di almeno venti mila detenuti. Giustizia: Schifani; superare emergenza delle carceri o sarà fallimento istituzioni Italpress, 6 febbraio 2012 Una visita di oltre un’ora a Regina Coeli per portare ai 1250 detenuti la solidarietà delle istituzioni e ribadire la necessità che politica si impegnerà per contro il sovraffollamento delle carceri, “un’emergenza che riguarda i detenuti, come gli agenti di polizia penitenziaria che ringraziamo e che operano in condizioni non sempre facili”. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha visitato oggi lo storico penitenziario del centro di Roma, accompagnato dal direttore Mauro Mariani e dal vicecapo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Simonetta Matone. Schifani si è recato nelle sezioni 2, 3 e 4 di Regina Coeli parlando anche direttamente con una rappresentanza dei detenuti ed entrando direttamente nelle loro celle per capire le gravi difficoltà in cui versano. La seconda carica dello Stato ha sottolineato come la politica debba impegnarsi per risolvere il dramma dell’emergenza carceri “oppure è giusto che ciascuno faccia un passo indietro” in quanto è “ormai un problema ineludibile, improcrastinabile, da cui ne dipende l’intero senso di civiltà del nostro Paese”. Tutti si devono dunque impegnare per migliorare la situazione dei penitenziari italiani nei quali, aggiunge Schifani, “si può privare della libertà un individuo che sbaglia, ma non privarlo della sua dignità di essere umano”. E proprio per questo l’inquilino di palazzo Madama chiederà all’esecutivo “un nuovo dibattito sull’emergenza carceraria in Senato, che segua quello che già ci fu nell’estate scorsa, e che possa recepire legislativamente provvedimenti che dotino di ulteriori risorse la polizia penitenziaria a cui non possiamo che dire grazie”. Il carcere romano visitato oggi da Schifani è perfettamente rappresentativo del problema nazionale: sono 1.250 detenuti rispetto ad una capienza massima di 750 - 800, con una media di tre persone per cella. È un carcere maschile dove coloro che scontano la pena sono per quasi il 60% stranieri e il 30% è in cella a causa di reati connessi alla droga. Difficoltà che mettono a dura prova il lavoro degli agenti della Polizia Penitenziaria che Schifani ha ringraziato per “il servizio che rendete in condizioni difficili”. Schifani si è anche detto “soddisfatto delle modifiche apportate dal Senato al decreto svuota carceri” visto che proprio lui aveva espresso “perplessità sull’uso delle camere di sicurezza” e quanto all’amnistia ha sottolineato che è compito della seconda carica dello Stato dare la linea: “È un diritto sovrano del Parlamento per il quale occorre una maggioranza qualificata. Ma è giunto il momento che ognuno faccia la propria parte perché siamo quasi ad un punto di non ritorno. Ha ragione il ministro Severino: lo stato di civiltà di un Paese si riconosce anche dallo stato delle proprie carceri”. Sappe: bene Schifani, attivare tavoli tecnico-politici sul sovraffollamento “Esprimiamo vivo apprezzamento alle dichiarazioni rilasciate oggi dal Presidente del Senato della Repubblica Schifani che ha voluto ringraziare la Polizia Penitenziaria per quello che quotidianamente fa nelle carceri del Paese. Faccio mio il suo appello a mantenere alta l’attenzione sulle questioni penitenziarie ed auspico che si attivino presto tavoli politici e tecnici per trovare, insieme, soluzioni al grave problema del sovraffollamento penitenziario”. Lo ha dichiarato, fra l’altro, Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, commentando le dichiarazioni odierne del Presidente del Senato della Repubblica Renato Schifani nel corso di una visita al carcere romano di Regina Coeli. Giustizia: sul decreto-carceri ostruzionismo della Lega alla Camera, 500 emendamenti Dire, 6 febbraio 2012 Alla Camera parte l’ostruzionismo della Lega sul decreto legge svuota carceri. In commissione Giustizia sono stati depositati infatti 515 emendamenti, di cui 500 del Carroccio. Il capogruppo in commissione Nicola Molteni spiega: “Faremo un’opposizione durissima. Riteniamo questo provvedimento da un lato assolutamente inutile” per risolvere l’emergenza dei detenuti “e dall’altro lato fortemente dannoso perché cancella il principio di sicurezza per i cittadini essendo in realtà un indulto mascherato”. La Lega, aggiunge Molteni, chiederà in aula anche un suo relatore di minoranza “per dire in maniera netta no a questo decreto”. I due relatori di maggioranza in commissione sono Donatella Ferranti (Pd) e Luigi Vitali (Pdl). Oggi pomeriggio verranno ascoltati i sindacati dei lavoratori di polizia e della polizia penitenziaria. Alle 17 riprenderà l’esame del dl in sede referente con eventuale prosecuzione notturna se sarà necessario per le votazioni sulle proposte di modifica. Gli altri 15 emendamenti depositati sono alcuni del Pd, alcuni dei radicali e qualche altro dell’Idv. Nessuno dal Pdl. I due relatori stanno valutando in queste ore se presentare loro proposte. Ma vista l’intenzione del governo di non procedere a modifiche per evitare una terza lettura in Senato (il dl scade il 20 febbraio) è molto probabile che rimandino la questione a un confronto con il ministro alla Giustizia Paola Severino. Il provvedimento sulle carceri è già calendarizzato in aula per domani pomeriggio. Giustizia: Sappe; bene le misure del governo, convertire rapidamente il decreto-carceri Il Velino, 6 febbraio 2012 “Ci sembrano positive e significative per deflazionare le sovraffollate carceri italiane le misure varate dal governo con le quali affrontare l’emergenza penitenziaria”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che ha partecipato all’audizione oggi alla Camera dei Deputati, presso la Commissione Giustizia, in relazione all’esame in sede referente del decreto legge 211/2011, concernente interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri. “In particolare - continua -, atteso che già oggi più del 40 per cento dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo, è importante la misura finalizzata ad evitare il meccanismo delle porte girevoli, cioè gli ingressi e le uscite dal carcere per soli pochi giorni: si stima, infatti, che ogni anno oltre 20 mila persone entrano ed escono dagli istituti penitenziari nell’arco di tre giorni. Ed oltre 33mila sono stati i nuovi giunti dalla libertà con permanenza in carcere fino a tre mesi”. “Auspichiamo quindi - dice Capece - una rapida conversione in legge del decreto, certamente utile a ridurre sensibilmente un fenomeno che negli anni ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare il peggioramento delle condizioni di vita negli istituti penitenziari e di chi in esso lavora (e penso principalmente alle donne ed agli uomini della polizia penitenziaria) nonché ad acuire il già grave problema del sovraffollamento. Anche l’allargamento della detenzione domiciliare, cui si farebbe ricorso anche per chi ha ricevuto condanne definitive, almeno per il residuo pena fino a 18 mesi, può essere una risposta utile a ridurre il sovraffollamento. Con il limite attuale del residuo pena di 1 anno, fino ad oggi la legge ha inciso poco sulle criticità del sistema, anche per il richiesto requisito dell’idoneità del domiciliò, tanto che le persone uscite dalle carceri sono state poco più di quattromila. Oggi, con l’innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena detentiva che può essere scontata presso il domicilio del condannato anziché in carcere, i beneficiari potrebbero essere molti di più”. “Ma è evidente - osserva il segretario generale del Sappe - che, in virtù di questi provvedimenti, si deve potenziare il ruolo della polizia penitenziaria incardinandolo negli Uffici per l’esecuzione penale esterna per svolgere in via prioritaria rispetto alle altre forze di polizia la verifica del rispetto degli obblighi di presenza che sono imposti alle persone ammesse alle misure alternative della detenzione domiciliare e dell’affidamento in prova. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, cui sarà opportuno ricorrere con maggiore frequenza. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene”. Giustizia: Sindacati Polizia; poche camere di sicurezza, da decreto aggravio per personale Dire, 6 febbraio 2012 Il problema sovraffollamento delle carceri va affrontato ma le camere di sicurezza non sono la soluzione. I sindacati di polizia portano alla Camera le loro perplessità sul decreto del ministro Paola Severino: le diverse sigle ascoltate in commissione Giustizia affrontano i tanti capitoli del testo già approvato dal Senato e concentrano le loro critiche sull’ampliamento dell’uso delle camere di sicurezza. Il Sappe (sindacato autonomo) giudica “positive e significative” le misure del governo contro l’emergenza ricordando che “oltre il 40% dei detenuti è in attesa di un giudizio definitivo”. Bisogna quindi, si legge nel testo depositato, “puntare maggiormente sulle misure alternative”. Ma allora “si deve potenziare il ruolo della polizia penitenziaria”. Il sindacato autonomo di polizia (Sap) sottolinea che “strutture e organici della polizia sono del tutto insufficienti a garantire il progetto legislativo” e in particolare le camere di sicurezza (un totale di 327) sono “assolutamente insufficienti a contenere un numero sempre crescente di persone”. Anche il Silp per la Cgil osserva che il decreto degenera un “aggravio operativo per le forze di polizia” e l’utilizzo delle camere di sicurezza “non consente di garantire un trattamento rispettoso della dignità delle persone”. Quindi si chiede di accompagnare il testo con lo stanziamento di risorse maggiori da destinare alle realizzazione e sistemazione dei luoghi si custodia delle persone arrestate. Infine il Siulp (sindacato unitario) ritiene che l’uso delle camere di sicurezza “costituisce senz’altro un processo involutivo nell’ambito della civiltà giuridica e delle politiche sanzionatorie e carcerarie”. Lettere: carceri, amnistia e investimenti di Giulio Petrilli (Pd L’Aquila) Il Centro, 6 febbraio 2012 In giornate così fredde, dove la neve cade copiosa come da tanti anni non accadeva e da un verso può procurare disagi ma da un altro dà un grande senso di libertà. Forse un po’ anche per chi è recluso, ma non per chi non riesce più a reggere la vita dentro carceri inumane, totalmente inadeguate ai minimi principi del rispetto dei diritti umani. Il carcere di Teramo è uno di questi, dove il sovraffollamento raggiunge quasi il doppio della capienza abilitata, dove la vita scorre senza senso, senza una minima prospettiva di reinserimento e il tempo non passa mai e non puoi alzarti dal letto perché non hai lo spazio per stare in piedi, per camminare. Dove per tanti l’unica libertà possibile è il suicidio e molti scelgono questa soluzione. L’altra sera, in quel carcere un altro detenuto si è suicidato e uno è stato salvato in extremis. Il Ministro della Giustizia Severino, all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che la civiltà di una nazione si giudica dallo stato delle proprie carceri. Quelle italiane si trovano ad un livello di degrado molto forte, alcuni provvedimenti stanno per essere presi dal parlamento, ma bisogna costruire una prospettiva radicalmente nuova per la vita dentro le carceri. Primo un provvedimento di amnistia che alleggerisca la situazione e secondo investire in strutture idonee e vivibili, chiudendo le tante carceri fatiscenti tuttora operative. Un piccolo passo questo che potrebbe salvare la vita a tante persone che già pagano con la privazione della libertà personale. Nella nostra regione, la situazione delle carceri non è dissimile da quella nazionale, ma le carceri di Sulmona e Teramo sono tra quelle in Italia che hanno avuto più suicidi. Un dato che deve far riflettere e richiede anche un intervento delle istituzioni locali a iniziare dalla Regione. Sicilia: degrado e affollamento a Piazza Lanza; Garante detenuti e Anf ricorrono in Cassazione Redattore Sociale, 6 febbraio 2012 Per lo stato di degrado del carcere di Piazza Lanza, ricorreranno in Cassazione il Garante dei detenuti della Sicilia Salvo Fleres e l’avvocato dell’Anf Vito Pirrone. Dopo le recenti ordinanze del giudice di sorveglianza, infatti, che ha respinto due ricorsi riguardanti la detenzione inumana a cui sono costretti i detenuti di Piazza Lanza, i promotori delle istanze - il garante dei detenuti e l’avvocato della sezione catanese dell’Anf hanno proposto ricorsi specifici in Cassazione. Il magistrato di sorveglianza ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dal garante Fleres, sostenendo che lo stesso non abbia legittimazione attiva a proporre domande in favore dei detenuti; motivazione contestata dal senatore Fleres, il quale ritiene piuttosto che il provvedimento del magistrato di sorveglianza abbia disatteso la specifica norma dell’art. 33 della legge Regionale Siciliana del 19 maggio 2005 che prevede espressamente che il garante vigili affinché venga garantito l’esercizio dei diritti fondamentali dei detenuti tenendo conto delle loro condizioni di restrizione. Quanto al ricorso presentato dal singolo detenuto, che chiedeva un risarcimento simbolico di 1000 euro e il ripristino delle condizioni di legalità circa la sua permanenza nel carcere di Piazza Lanza, il magistrato di sorveglianza ha qualificato il ricorso del detenuto come “istanza di scarcerazione”, trasmettendola al giudice del dibattimento. Rigettando la “presunta” richiesta di scarcerazione, il magistrato di sorveglianza ha precisato che “il giudice di sorveglianza non è corresponsabile delle condizioni di carcerazione ed è tenuto solo a valutare le esigenze cautelari secondo le emergenze e le regole relative al processo”. Il garante dei detenuti Fleres ribadisce la propria legittimazione a sottoporre alla magistratura di sorveglianza ogni situazione che sia di ostacolo alla corretta applicazione del dettaglio costituzionale di cui all’art. 27 ed alla applicazione delle norme previste dall’ordinamento penitenziario. L’avvocato Pirrone che è anche consulente della commissione diritti umani del Senato della repubblica sottolinea la precisa competenza del giudice di sorveglianza ai sensi dell’69 dell’ordinamento penitenziario a vigilare sull’organizzazione degli istituti, all’attuazione del trattamento per assicurare che l’esecuzione della custodia sia attenuata in conformità dall’art.3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nell’ipotesi in cui anche la Cassazione dovesse respingerli i ricorsi saranno presentati alla Corte di Giustizia europea per i diritti umani. L’organo di giurisdizione europea potrebbe essere messo nelle condizioni, infatti, di riconoscere quanto degradante sia la detenzione all’interno del carcere catanese. La situazione del carcere di Piazza Lanza è stato già oggetto di denunce ed interpellanze parlamentari. Il sottosegretario alla giustizia Elisabetta Alberti Casellati, in occasione di un recente convegno sulle carceri, organizzato dall’Associazione Nazionale Forense, visitando il carcere catanese, aveva manifestato il suo stupore per la condizione di precarietà e lo stato di degrado di alcuni reparti del penitenziario. Il ricorso al Tribunale di Sorveglianza per detenzione inumana e degradante è stato presentato dall’avvocato Pirrone per conto di un detenuto di 47 anni che condivide la stessa cella di Piazza Lanza (dimensioni 26 mq) con altri 10 detenuti. “Dieci persone sono detenute in una cella con un solo servizio igienico e un lavabo in cui ci si lava e si lavano gli alimenti - si legge in una parte del ricorso -, che vengono cucinati nel medesimo spazio; medesimo lavabo per lavare gli indumenti; unica finestra, talvolta ostruita dal letto a castello, che dà luce alla stanza, dove si fa a turno per scendere dal letto e addirittura per poter stare un po’ in piedi”. “Nella cella i materassi vengono usati senza soluzione di continuità da tutti, senza alcuna disinfestazione (normali norme di igiene, totalmente assenti) - si legge ancora nel ricorso. Nel bagno della cella, sin dall’inizio del periodo di detenzione, non è funzionante lo scarico dell’acqua del vaso. E si fanno pure i turni per fruire dei materassi che vengono sistemati sul pavimento, dato che per mancanza di spazio è impossibile inserire ulteriori letti”. Basilicata: sanità penitenziaria, protocollo di intesa tra Regione e Amministrazioni giustizia www.basilicatanet.it, 6 febbraio 2012 Oggi la firma di un protocollo d’intesa articolato su salute, prevenzione, formazione e articolazione del disagio per detenuti e internati nei centri minorili. Martorano: “Salute costituzionalmente garantita a tutti”. Garantire a quanti scontano periodi di detenzione presso gli Istituti di Pena o i Centri per la Giustizia Minorile elevati standard di tutela della salute, occupandosi non solo della cura di eventuali patologie e dipendenze, ma anche di prevenzione, educazione sanitaria, formazione a una corretta igiene. È lo scopo che si propone un protocollo d’intesa sottoposto questa mattina alla firma di Regione Basilicata, nella persona dell’assessore alla Salute Attilio Martorano, Provveditorato Regionale dell’amministrazione penitenziaria, rappresentato dal provveditore Salvatore Acerra e Centro per la Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata, rappresentato dal Direttore Angelo Meli. Il protocollo, che si inquadra nel passaggio alle Regioni di tutte le funzioni sanitarie svolte prima in questo settore da organismi del Ministero della Giustizia, è stato definito a seguito di un confronto che si è sviluppato all’interno dell’Osservatorio permanente sulla Sanità Penitenziaria e a cui hanno contribuito, oltre all’assessorato e alle amministrazioni che hanno sottoscritto l’intesa, le due Aziende Sanitarie Locali di Potenza e Matera. In particolare, il Protocollo prevede che all’interno delle strutture penitenziarie e nel quadro delle competenze dei Servizi della Giustizia Minorile, vengano attivati tutti gli interventi idonei alla tutela della salute delle persone detenute, degli internati, e dei minori sottoposti a procedimento penale. Gli interventi vengono predisposti a cura delle Asl con le amministrazioni del Ministero della Giustizia che collaboreranno per quanto di propria competenza e, in particolare, il personale medico opererà nella piena autonomia professionale, rispettando però le norme in materia di sicurezza che saranno dettate dalle amministrazioni della Giustizia. Sul versante più direttamente operativo, il protocollo prevede che all’interno degli istituti ci sia un servizio medico ed un servizio infermieristico entrambi attivi 24 ore su 24, che tutte le prestazioni sanitarie erogabili in loco siano erogate direttamente all’interno della struttura e che per i ricoveri ospedalieri ci siano spazi appositi e specifici servizi di sorveglianza. Lo stesso protocollo prevede anche l’erogazione di assistenza e cure per la salute mentale e contro le dipendenze da alcol e droga e specifici programmi per la tutela della salute dei detenuti disabili e portatori di handicap. Tra glia ltri servizi previsti dal protocollo anche uno dedicato ai nuovi giunti negli istituti e a ridurre il disagio psicologico dei ristretti. In particolare è previsto un percorso di informazione, presa in carico ed accompagnamento interprofessionale rivolto ai nuovi giunti al fine di garantire standard minimi di vivibilità in una realtà sconosciuta e certamente non scelta. Per questo il protocollo prevede che “allo scopo di tutelare concretamente la dignità dei detenuti e l’umanità della pena. Dovranno essere previste una serie di iniziative volte a favorire il migliore inserimento degli stessi nel contesto detentivo”. Inoltre, per i minorenni sottoposti a provvedimento penale e che abbiano problemi di tossicodipendenza, alcolismo o disagio psichico, è stato previsto l’invio in comunità terapeutiche che saranno individuate dalla Regione che provvederà pure al pagamento delle relative rette. Congiuntamente Asl e Centro per la Giustizia minorile, definiranno il programma terapeutico e socio riabilitativo per ciascuno di questi ragazzi, assicurando anche i trattamenti diagnostici specialistici e farmacologici del caso. “Il diritto alla salute - ha spiegato l’assessore Martorano commentando l’intesa è un bene costituzionalmente garantito e anche i cittadini temporaneamente ristretti hanno uguale diritto all’assistenza sanitaria. Il protocollo che oggi firmiamo con l’amministrazione penitenziaria risponde a questo disegno. Con il trasferimento delle competenze alle Regioni andavano definite le modalità per condividere organizzazione, luoghi e tecnologie, nello sforzo di garantire equità nell’erogazione del servizio e pur tenendo in considerazione che gran parte delle attività saranno svolte in luoghi non vocati all’attività sanitaria. Uno sforzo particolare sarà quindi indirizzato a superare questo deficit infrastrutturale”. Imperia: autopsia su detenuto morto; Fabio Parodi ucciso da un mix di metadone e farmaci Secolo XIX, 6 febbraio 2012 Un mix fatale di metadone e farmaci tipo Gardenale. È stato quello che ha ucciso Fabio Parodi, il savonese di 28 anni morto il 16 gennaio scorso nel carcere di Imperia, dove era detenuto. A confermarlo è il patologo forense Andrea Leoncini, dell’Università di Genova, che aveva eseguito l’autopsia alcuni giorni dopo il decesso. Nel frattemo l’indagine per omicidio colposo, condotta dal pubblico ministero della Procura di Imperia Lorenzo Fornace, non si ferma. I magistrati stanno cercando di accertare chi ha consegnato a Parodi la dose mortale di metadone. Il mirino della Procura per ora è puntato contro un detenuto imperiese M.Z., anch’egli con un passato di tossicodipendenza, ora trasferito in un altro carcere, con cui la sera prima la vittima aveva cenato durante una serata conviviale tra detenuti, permessa dal regolamento. L’inchiesta potrebbe però coinvolgere anche le infermiere del carcere a cui spetta la somministrazione del metadone ai reclusi con alle spalle problemi di droga. Sono già state sentite come persone informate sui fatti dagli agenti del Nuclei investigativo locale della polizia penitenziaria. Gli inquirenti hanno interrogato anche i due medici del carcere. Nuoro: Bernardini (Radicali); il carcere di Badu ‘e Carros è una vergogna La Nuova Sardegna, 6 febbraio 2012 “Del carcere di Badu ‘e Carros parlo dopo che sono andata a vederlo. Perché ora ci andiamo vero?”. Non è certo una che si tira indietro Rita Bernardini. Arrivata ieri mattina a Nuoro nonostante Roma in tilt. Pronta a partire per Fonni per la scuola di Chimera, dopo una lunga chiacchierata con sindaco, presidente della Provincia, garante dei detenuti. E giornalisti. Non è certo una che si tira indietro. E, sottolineato “il piacere di essere a Nuoro”, “l’importanza dell’aver trovato una città e un’amministrazione comunale e provinciale sensibile al problema carceri”, e “la battaglia da combattere contro l’illegalità di Stato e le condizioni delle carceri che lo stesso ministro della Giustizia ha definito luoghi di tortura”, saluta tutti e si fa portare dalla Digos al carcere di Badu ‘e Carros. Dove, insieme al garante dei detenuti del Comune Gianfranco Oppo, rimane fino alle 16.30. All’uscita il suo racconto è desolante: “Ci sono 199 detenuti uomini e 15 donne. Gli uomini sono divisi tra “comuni” e “Alta sicurezza”. Soprattutto tra i comuni la situazione è drammatica, sezioni fatiscenti, celle con sei, sette persone. In alcune acqua fredda e termosifoni che funzionano male. Su 216 agenti previsti solo 172 assegnati, 165 presenti e solo 71 effettivamente in servizio nelle sezioni, su quattro turni, visto che gli altri sono divisi tra nucleo traduzioni e uffici. Cinque educatori, che fanno i miracoli. Un solo psicologo che, per i tagli del Ministero, lavora solo otto ore al mese, e una criminologa. Una carenza di personale drammatica che inevitabilmente si traduce in una limitazione feroce delle possibilità di lavoro e di “aria” dei detenuti. E un rischio sicurezza per chi li controlla”. A rendere tutto ancora più paradossale un dato incredibile: “Da Badu ‘e Carros - spiega la deputata radicale - fanno mille traduzioni all’anno. Ognuna comporta lo spostamento di tre detenuti e tre agenti in giro per l’Italia. Per processi che magari nemmeno si celebrano. Il costo è di 5 milioni”. “Una cifra assurda - le fa eco Oppo - che potrebbe essere risparmiata se solo si applicasse il sacrosanto diritto alla territorialità della pena. Una situazione della quale tutti sono vittime. La polizia penitenziaria, gli operatori, la direzione. Disponibili, collaborativi, aperti, professionali, ma anche loro ostaggio di un sistema che non sembra in grado di individuare criticità lampanti e risolvibili anche con interventi di semplice buon senso. La speranza di tutti è che con il nuovo braccio in costruzione, oggettivamente all’avanguardia, la situazione attuale si risolva. Temi come la territorialità della pena rimangono comunque imprescindibili”. Prima della visita su Badu ‘e Carros si erano espressi anche il sindaco Bianchi e il presidente Deriu. “Accogliamo con grande piacere Rita Bernardini - ha spiegato Bianchi - che ben conosciamo per il suo costante impegno sul tema dei diritti, soprattutto dei carcerati. Nuoro sta faticosamente e con grande impegno cercando di aprire e aprirsi al carcere. Preoccupata per il possibile arrivo di altri detenuti in 41-bis oltre a Iovine, che rischiano di far calare una cappa di piombo su una struttura che invece noi vogliamo far comunicare con la città. Siamo orgogliosi di aver istituito il garante per i detenuti. E attenti ai temi fondamentali della territorialità della pena e del rientro in Sardegna dei nostri poliziotti penitenziari sparsi in tutta Italia. C’è molto da fare, e visite come quella di oggi ci aiutano nel nostro lavoro”. “I diritti fondamentali dei detenuti - ha ricordato Deriu - sono sanciti nella nostra Costituzione grazie al contributo del costituente nuorese Francesco Murgia, ricordato di recente dalla nostra associazione “Innamorati della Costituzione”. Rita Bernardini e le sue battaglie sono dunque ben accolte e comprese in una città e un territorio sensibile a questi temi. Sorprendente nella produzione di geni, e spesso anticipatore nel diritto”. Ancona: la denuncia della Uil; carcere ancora isolato dalla neve, i viveri sono in esaurimento Il Resto del Carlino, 6 febbraio 2012 Da alcuni giorni il carcere anconetano, che si trova nella contrada rurale di Barcaglione, è praticamente isolato ed inaccessibile ai veicoli, compresi quelli di pronto soccorso. A denunciare la situazione è Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Penitenziari. “È una situazione delicata e difficile - spiega Sarno - per il Comandante, per i cinque agenti in servizio e per i 33 detenuti attualmente ristretti a Barcaglione. Il carcere è praticamente isolato considerato che nessuno ha provveduto a liberare dalla neve la strada di accesso. Il Comandante e tre agenti penitenziari sono in servizio ininterrotto da circa trentasei ore. Due unità di polizia penitenziaria invece, ieri, hanno raggiunto a piedi, nel bel mezzo della bufera, l’istituto per garantire il servizio. Sebbene sia garantito il riscaldamento della struttura vi sono fondate preoccupazioni per la somministrazione del vitto. Le scorte alimentari sono in esaurimento e da quanto abbiamo potuto apprendere entro 48 ore saranno esaurite. Viste le previsioni meteo che riferiscono di ulteriori nevicate tra martedì e mercoledì o si garantisce l’approvvigionamento di derrate alimentari entro le prossime 24 ore o la situazione potrebbe precipitare. Facciamo appello - conclude il Segretario Generale della Uil Penitenziari - alla Prefettura ed alla Protezione Civile affinché la difficile situazione del carcere di Ancona Barcaglione possa trovare la dovuta attenzione e si provveda a garantire gli interventi necessari. Intendiamo rivolgere un sentito plauso al contingente di polizia penitenziaria che, in ogni caso, sta garantendo la funzionalità della struttura. Così come non possiamo non far giungere ai due stoici colleghi che hanno raggiunto la sede di servizio a piedi sfidando gli agenti atmosferici avversi i nostri più alti attestati di stima e riconoscenza. Catanzaro: Lo Moro (Pd); grave abbandono Centro diagnostico terapeutico Casa Circondariale Ansa, 6 febbraio 2012 Il deputato del Pd Doris Lo Moro ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e della Salute sul Centro diagnostico terapeutico della Casa circondariale di Catanzaro. “Il presidente della Corte d’Appello di Catanzaro Gianfranco Migliaccio - afferma Lo Moro - nella relazione sull’Amministrazione della Giustizia ha denunciato lo stato di abbandono in cui si trova il Centro diagnostico terapeutico, una struttura d’eccellenza, dotata di strumentazione di valore che rischia di subire danni proprio in virtù dell’inutilizzo”. Lo Moro, nell’interrogazione, parla di una situazione grave e inaccettabile rilevata, prosegue, al fine di portare la situazione all’attenzione del governo per trovare presto una soluzione. Si parla di inefficienza della giustizia eppure in casi come questi la politica dovrebbe semplicemente raccogliere le istanze che arrivano dai territori per permettere alle eccellenze che già ci sono di funzionare correttamente. Non è dato sapere - aggiunge Lo Moro - se la mancata attivazione della struttura abbia a che fare con i lavori di realizzazione della stessa o con problemi inerenti l’organizzazione sanitaria, di competenza della Regione, allo stato commissariata e soggetta a piano di rientro. Napoli: Garante detenuti della Campania e Procura della Repubblica in visita a Poggioreale Apcom, 6 febbraio 2012 Su iniziativa del Garante dei detenuti Adriana Tocco e in accordo con la Procura della Repubblica di Napoli, una delegazione di ventidue PM, ha visitato il Carcere di Poggioreale. Un’iniziativa promossa per corrispondere ad un’obiettiva esigenza di approfondimento analitico delle obbiettive relazioni sussistenti fra modalità di amministrazione della giustizia penale e realtà della condizione carceraria, secondo modelli di cooperazione istituzionale già positivamente sperimentati da altri uffici giudiziari italiani. Proprio su questo tema, la Garante Adriana Tocco ha tenuto a ricordare come “L’iniziativa nasca dall’esigenza di far incontrare due mondi che dovrebbero necessariamente conoscersi, ma che in realtà sono distanti. In un momento in cui tanto si discute di custodia cautelare e misure alternative, la conoscenza diretta della realtà penitenziaria da parte di chi propone tali misure, può fornire utili elementi di riflessione”. Nel corso della visita, la Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, ha voluto porre all’attenzione dei magistrati presenti, tra cui il Procuratore della Repubblica Alessandro Pennasilico, gli aggiunti Giovanni Melillo e Aldo De Chiara e gli altri 19 pm, le drammatiche condizioni in cui i detenuti sono costretti a vivere. Bologna: Sappe; detenuto allontanato dalla messa perché disturba, aggredisce un agente Comunicato stampa, 6 febbraio 2012 “Ieri mattina un sovrintendente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere bolognese della Dozza è stato aggredito da un detenuto”. È quanto afferma Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria. “Il detenuto - spiega Durante - era stato allontanato dalla messa perché dava fastidio e, mentre la polizia penitenziaria lo stava riaccompagnando nella sua cella, l’uomo ha aggredito il sovrintendente che, adesso, si trova in ospedale per le cure del caso”. “Si tratta di un fatto grave - prosegue l’esponente del Sappe - che stigmatizziamo e chiediamo all’amministrazione di assumere le iniziative disciplinari previste dall’ordinamento penitenziario. Non è tollerabile che il personale di polizia penitenziaria debba subire anche le aggressioni dei detenuti, i quali non rispettano le regole previste dall’ordinamento. Infatti, nelle 206 carceri italiane gli eventi critici variano dai 200 ai 250 al giorno”. “Tutto ciò - conclude Durante - non fa che aggravare il lavoro della polizia penitenziaria, già sotto organico: a livello nazionale mancano 6500 unità, in Emilia Romagna ne mancano 650 e a Bologna delle 570 unità ce ne sono solo 370”. Cagliari: Sdr; nasce a Buoncammino il settimo libro di Annino Mele Ristretti Orizzonti, 6 febbraio 2012 Sta nascendo nella Casa Circondariale di Cagliari il settimo libro dell’ergastolano di Mamoiada Annino Mele, rimasto fuori dall’isola 23 anni e trasferito a Buoncammino per poter effettuare regolari colloqui con i familiari e realizzare la nuova pubblicazione. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha effettuato, con il segretario Gianni Massa, alcuni colloqui con lo scrittore detenuto da 25 anni, 23 dei quali trascorsi in diversi penitenziari della penisola. “Sebbene appena abbozzato, il lavoro di Mele - sottolinea la presidente di Sdr - lascia intravedere una trama originale che accanto alle diverse e laboriose fasi della preparazione della materia prima e delle successive tappe per la realizzazione delle classiche ceste e dei canestri d’asfodelo, delinea attraverso i ricordi della zia Barbara Meloni, 85 anni, la lingua, le tradizioni, i valori di diversi paesi della Barbagia, a cavallo tra due secoli. Particolarmente significative le prime pagine che nel dipingere con parole schiette l’ambiente, propongono la storia di una identità utilizzando anche la lingua madre”. “La nostra - ricorda la zia Barbara nel lavoro di Mele - era una famiglia modesta. Mamma casalinga e babbo agricoltore. Lui era stato insignito della Medaglia al Valore, ma derubato della vista all’occhio destro perso al fronte, nel Monte Sief, nell’agosto 1916. Sono nata a Olzai il 27 ottobre 1927. Da mamma ho imparato a lavorare s’iscraria. Un arbusto tipicamente primaverile, particolarmente elegante, che raccolto quando lo stelo è giovane e il fiore è in boccio regala gioielli di artigianato artistico a chi lo sa trattare”. “L’impegno letterario di Annino Mele - evidenzia Caligaris - conferma quindi la sua presenza a Cagliari non solo come un gesto umanitario nei confronti di una persona che sta scontando, da quasi cinque lustri il suo debito con la giustizia, non avendo mai usufruito prima di periodi di avvicinamento colloqui. Acquista un significato sociale e rieducativo in quanto s’inserisce nel percorso personale di crescita e nella volontà di recuperare e valorizzare la cultura della comunità d’origine che peraltro - conclude Caligaris - ha sempre mantenuto viva con lavori di artigianato realizzati durante la detenzione. Autore di sei libri, Annino Mele, oltre a dedicarsi alla ricerca sui cestini di asfodelo, è coinvolto in un vero e proprio progetto didattico con due classi terminali del Liceo Scientifico e Classico “Marie Curie” - Meda (Mb), con periodiche lettere individuali e/o collettive che rispondono a quesiti posti dagli studenti. Iraq: comminate 23 condanne a morte per detenuti sospettati di terrorismo Adnkronos, 6 febbraio 2012 “La presidenza del consiglio iracheno ha approvato oggi il verdetto della pena capitale comminata a 23 detenuti, tra cui tre provenienti da differenti Paesi arabi”. Lo ha riferito la tv di Stato irachena precisando che i detenuti sono stati riconosciuti colpevoli di coinvolgimento in atti terroristici. Secondo la legge irachena, i verdetti di esecuzione debbono essere firmati dal presidente Jalal Talabani, ma questi non approva dal punto di vista morale la pratica di questo tipo di condanna e puntualmente si rifiuta di firmare i provvedimenti, delegando ai suoi vice la possibilità di poterlo fare al suo posto. In questa occasione i verdetti sono stati firmati dal vicepresidente sciita Khudair al-Khuzaie. Il 10 giugno del 2003 Paul Bremer, l’allora amministratore Usa per l’Iraq, aveva sospeso la pratica della pena di morte nel Paese, ma il governo iracheno l’ha reintrodotta l’8 agosto del 2004 sostenendo che avrebbe aiutato a prevenire episodi di violenza terroristica. Da allora decine di persone sono state giustiziate tra cui, il 30 dicembre 2006, l’ex rais Saddam Hussein. Russia: Putin; non ci sono prigionieri politici, attivisti sono stati detenuti 15 giorni, poi liberati Tm News, 6 febbraio 2012 “Non ci sono prigionieri politici in Russia”: lo ha dichiarato il premier Vladimir Putin, rispondendo così al movimento di opposizione che sabato, nell’ennesima ondata di proteste anti-governative, ha chiesto riforme politiche e la liberazione dei detenuti politici. “Ringraziando Dio - ha dichiarato il premier e candidato favorito alle presidenziali di marzo - non abbiamo prigionieri politici sebbene alcuni continuino a dire l’opposto senza peraltro fare nomi”. Senza citarlo esplicitamente, la piazza faceva riferimento in primis a Mikhail Khodorkovsy, ex oligarca a capo del colosso petrolifero Yukos, condannato nel 2003 per appropriazione indebita e riciclaggio in un processo che molti ritengono “politicamente” motivato. Marocco: indulto a presunti ideologi stragi, dopo polemiche Ong su false accuse e torture Ansa, 6 febbraio 2012 Il re del Moracco, Mohamed VI, ha concesso l’indulto a tre presunti leader del gruppo terrorista Salafia Jihadia, responsabile degli attentati di Casablanca nel 2003 contro vari obiettivi, inclusa la Casa di Spagna, nei quali morirono 45 persone. Ne dà notizia un comunicato del ministero di Giustizia e Libertà, citato dall’agenzia Europa Press. Gli indulti e le riduzioni di condanne, concessi in occasione della festività musulmana di Mawlid, che celebra la nascita del profeta Maometto, hanno riguardato complessivamente 458 persone. Fra i detenuti che hanno ottenuto i benefici, Hasan Ketani, ritenuto uno dei leader ideologici del gruppo Salafia Jihadia, che stava scontando una condanna a 20 anni di reclusione; e Mohamed Rafiki e Omar Haduchi, condannati ciascuno a 30 anni di carcere per presunta appartenenza allo stessa organizzazione terrorista. Per anni, gruppi di attivisti per i diritti umani marocchini e internazionali hanno denunciato che, dopo gli attentati, erano stati arrestati dalle autorità marocchine centinaia di islamici con false accuse e che, in alcuni casi, erano state ottenute confessioni forzate dopo aver sottoposto i detenuti a tortura. L’indulto è stato interpretato dall’opinione pubblica marocchina come un gesto di distensione dopo l’insediamento del governo di coalizione guidato dal primo ministro Abellillah Benkirane, leader del partito islamico moderato per la Giustizia e lo sviluppo (Pjd), uscito vincitore alle elezioni del novembre scorso. Mustafà Ramid, il nuovo ministro di Giustizia, del Pjd, aveva annunciato un mese fa la sua intenzione di chiedere l’indulto per attivisti ingiustamente detenuti. Ucraina: le carceri sono lo specchio della democrazia che non c’è più di Marco Del Ciello Notizie Radicali, 6 febbraio 2012 L’arresto e la detenzione di Julija Tymoshenko, ex primo ministro e già leader della Rivoluzione Arancione del 2005, hanno acceso i riflettori sulle carceri ucraine, ma i detenuti politici sono solo una piccolissima percentuale della popolazione carceraria del paese. L’Ong International Centre for Prison Studies (www.prisonstudies.org) ci fornisce un quadro aggiornato all’estate 2011 della situazione complessiva: il Servizio Penitenziario Statale dispone di 183 istituti, di cui 10 riservati ai minori, per una capienza totale di 157.984 posti. A fronte di una disponibilità di strutture così ampia, il numero delle persone private della libertà è però altrettanto impressionante: ben 157.886 su una popolazione stimata di 45 milioni e mezzo di abitanti. Per dare un termine di paragone, il tasso di incarcerazione è pari a 347 detenuti per 100.000 abitanti, una cifra che colloca l’Ucraina molto al di sopra degli altri paesi europei, che normalmente oscillano tra i 73 della Norvegia e i 154 del Regno Unito (l’Italia ne ha 113), e la avvicina invece ai 534 della Russia. Anche se il numero di posti corrisponde quasi perfettamente al numero di detenuti, il sovraffollamento è un problema grave anche in Ucraina. L’Ong inglese Penal Reform International (www.penalreform.org), che opera nel paese dal 1998, ci offre una spiegazione: i detenuti in attesa di giudizio sono ospitati in istituti dedicati solo a loro e distinti da quelli per i condannati. Questi istituti sono solo 32 su 183, mentre la carcerazione preventiva riguarda circa il 25% dei detenuti e proprio questo squilibrio crea situazioni locali di sovraffollamento: nel centro Lukyanivsky di Kyiv, ad esempio, ci sono 3.900 detenuti in uno spazio pensato per soli 2.850. Paradossalmente sono quindi i presunti innocenti a sopportare le condizioni peggiori in termini di violazione dei diritti umani. Penal Reform International segnala però anche un’altra categoria che vive una situazione difficile: gli ergastolani. Nel 2000 l’Ucraina ha abolito la pena di morte e l’ha sostituita con la condanna a vita. Questa pena, comminata anche per reati non gravi, non prevede in nessun caso possibilità di liberazione e rende quindi necessario tenere i 1.696 ergastolani in carceri di massima sicurezza, spesso anche in isolamento. Questa fotografia non sembra particolarmente drammatica - specialmente se mettiamo a confronto l’Ucraina con gli altri paesi europei - ma prima di dare un giudizio dobbiamo anche osservare l’evoluzione nel corso del tempo. Sempre affidandoci ai dati di International Centre for Prison Studies, vediamo che il numero dei detenuti raggiunge un picco di 218.800 (443 su 100.000) nel 2000, per poi diminuire costantemente e regolarmente fino ai 145.946 (318) del 2009. Una tendenza che si inverte bruscamente nel 2010, quando il numero ricomincia invece a crescere fino agli attuali 157.866 (347). Variazioni che sono naturalmente indipendenti dall’aumento o dalla diminuzione dei crimini commessi. Anche il numero dei detenuti in attesa di giudizio sta salendo e a causa di scelte politiche molto precise: dal 2009 la legge prevede l’arresto obbligatorio per i recidivi e la possibilità di carcerazione preventiva anche per furti del valore di pochi euro; nel 2010 i giudici hanno perso la loro autonomia, passando sotto la direzione del ministero della Giustizia, e da allora sono riluttanti a usare misure cautelari alternative, per timore di scontentare i politici da cui dipendono le loro carriere. Il dato più inquietante è però quello degli ergastolani, che negli ultimi tre anni sono aumentati del 12,9%. Assistiamo quindi a un miglioramento negli anni tra il 2000 e il 2008 e poi a un rapido peggioramento dal 2009 a oggi. Se confrontiamo questi numeri con i rapporti della Ong americana Freedom House (www.freedomhouse.org) sui diritti civili e politici, ci accorgiamo che la realtà delle carceri rispecchia in ogni momento e in modo accurato lo stato della democrazia nel paese: la Rivoluzione Arancione del 2005 ha dato agli ucraini più libertà e al tempo stesso migliori condizioni di vita e di lavoro nelle carceri; il ritorno dell’autoritarismo, sanzionato dalla vittoria di Viktor Yanukovich nelle elezioni presidenziali del febbraio 2010, ha distrutto anche i progressi raggiunti in campo penale. Guardando l’Ucraina e parafrasando Voltaire, possiamo quindi dire che il grado di democrazia di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri. Medio Oriente: 700 detenuti palestinesi di Ramon proclamano lo sciopero della fame InfoPal, 6 febbraio 2012 Circa 700 detenuti palestinesi della prigione israeliana di Ramon hanno proclamato lo sciopero della fame per protestare contro le detenzioni arbitrarie e contro gli abusi dell’amministrazione carceraria. Partirà con uno sciopero graduale, dapprima il martedì di ogni settimana, per poi aumentarne la frequenza. I detenuti palestinesi scioperano contro abusi e detenzioni in isolamento, divieto di visita dei familiari, divieto di comunicazione con l’esterno, del diritto allo studio; contro la negligenza medica, le punizioni nelle forme materiali (i raid nelle celle) e le sanzioni di natura pecuniaria. Essi chiedono il miglioramento delle condizioni igieniche, degli alimenti, la reintroduzione dei canali satellitari. Inoltre, il ripristino di tutti i diritti, gli stessi che sono esposti a gravi violazioni nell’ambito della legge Shalit, un pacchetto di provvedimenti voluti da Israele per mortificare i detenuti palestinesi. Corea del Sud: robot come guardie carcerarie, arriva la sorveglianza hi-tech di Ludovica Amoroso La Repubblica, 6 febbraio 2012 Seul lancia la sperimentazione delle sentinelle androidi da marzo: alti un metro e mezzo, peso di 70 chili, mobilità su quattro ruote. Grazie ai sensori possono individuare nei prigionieri quei comportamenti anomali, autolesionisti o violenti. “Non è un giro di vite, sono degli aiutanti” Ci siamo. È questa l’era dei droidi. Dalla difesa al commercio, sempre più spesso sofisticati automi di vario genere vengono creati per essere inseriti nella vita quotidiana e prendere il posto degli umani. E dalla Corea del Sud arriva un’ulteriore significativa notizia nella sperimentazione robotica: si tratta di sentinelle hi-tech, un progetto che partirà a marzo - per la durata di un mese - per quelle che a tutti gli effetti verranno considerate le prigioni del futuro. Occhi grandi, un simpatico sorriso stampato, ma soprattutto capace di parlare. Non c’è nulla d’inquietante nell’aspetto di questi secondini-robot. Il tutto per un’altezza di un metro e mezzo, 70 kg di peso, sebbene ancora su quattro ruote. Le tre insolite sentinelle del progetto pilota - in questo numero solo per la prima fase - inizieranno i loro turni nel penitenziario di Pohang, a sud est di Seul, nell’Est del Paese. L’obiettivo sarà generare un concreto aiuto per le guardie del carcere, evitando il lavoro più duro, come i turni intensivi soprattutto di notte. Questione di sensori. A metà tra Casper, il celebre fantasmino della Famous Studio e Wall-e, il cartone animato della Pixar, i secondini-robot avranno il compito di stabilire una comunicazione a distanza tra detenuti e agenti penitenziari, grazie ad un sistema radio. Un costante rapporto via wireless, insomma, di massima precisione, per via di particolari sensori elettronici di cui sono stati dotati, proprio per individuare nei prigionieri quei comportamenti anomali, autolesionisti o violenti, segnalandoli di conseguenza agli agenti di permanenza. E se l’esperimento dovesse dare risultati positivi, presto i robot aumenteranno di numero, insinuandosi anche nelle altre carceri del Paese. Obiettivo: sorpassare il Giappone. Il progetto fa parte dell’enorme investimento che la Corea del Sud sta già da tempo sostenendo per primeggiare nel settore e superare le acquisizioni tecnico-scientifiche raggiunte fino ad oggi dal suo più grande rivale: il Giappone. Basti pensare che negli ultimi due anni, stando ai dati pubblicati dall’agenzia sudcoreana Yonhap ad ottobre del 2011, il mercato della sperimentazione robotica è aumentato del 75%. Il Paese ha, infatti, investito in tutti i settori della vita dei suoi connazionali. Un esempio tra tanti: lo scorso anno avevamo assistito all’inserimento di docenti d’inglese robotizzati nelle scuole medie di Daegu, vicino Seul. Oggi è il turno degli automi carcerari. L’idea è stata realizzata dall’ “Asian Forum For Corrections”, un gruppo di ricercatori specializzato in criminalità e politiche carcerarie, con il supporto del Ministero della Giustizia e del Ministero dell’Economia e Conoscenza, che hanno stanziato circa 674 mila euro (più o meno un miliardo di won) per vedere la nascita di questi robot. Quanti dubbi. Ci sono, e non sono roba da poco. Dalle accuse di spersonalizzazione dei rapporti umani all’interno dei penitenziari, a previsioni di scenari ancora più terrorizzanti: una materializzazione di Robocop o Terminator, per intenderci. Ci si chiede in questo caso se i droidi arriveranno a prendere il posto degli umani nelle carceri. Per tutta risposta gli esperti vociferano: “Se i costi per la loro progettazione dovessero scendere, il governo potrebbe optare per questa soluzione”. Ma al di là del cattive interpretazioni, ha spiegato il professor Lee Baik-Chul dell’Università di Kyonggi (Seul), che ha diretto la sperimentazione, questi automi sono programmati per essere più accoglienti e gentili rispetto ai loro colleghi umani. Ed in una dichiarazione al Wall Street Journal, ha rassicurato i detenuti per quanto riguarda l’uso di armi o altri comportamenti lesivi: “I robot non sono sterminatori. Il loro lavoro non è il giro di vite sui prigionieri violenti. Sono degli aiutanti. Quando un recluso si trova in pericolo di vita o è gravemente ammalato, può essere soccorso più velocemente”. Sarà vero? Lo scorso agosto la stampa sudcoreana diffuse la notizia della comparsa nei negozi dei primi robot commessi prodotti dalla società Showbo: una gara in termini economici rivolta principalmente al Giappone che aveva investito, qualche tempo prima, nello stesso progetto ma ad un costo dieci volte superiore. La Corea del Sud realizzava così lo stesso “androide” del rivale: in tailleur e caschetto nero, disponibile in due versioni, una per interni e una per esterni, con la capacità di interloquire con i clienti, spiegando loro le offerte e descrivendo i prodotti presenti. La sfida per il futuro. Si parla già dello sviluppo di droidi da utilizzare come badanti per gli anziani o come assistenti personali. Ma la novità più straordinaria sarà realizzata a breve. Per celebrare l’enorme successo in termine di innovazione e sperimentazione robotica, il Paese darà luogo all’apertura, nell’aprile del 2014, di un parco a tema, Robot Land, il primo al mondo, nei pressi della città Nord-occidentale di Incheon. Si tratterà di un centro multifunzionale dedicato all’educazione e alla ricerca tecnologica, realizzato soprattutto grazie al sostegno economico di aziende private, per un costo totale di 784.5 miliardi di won, circa 530 milioni di euro. Come concordato con il Ministero dell’Educazione coreano, il complesso vedrà la presenza di 340 robot, di un centro di ricerca e di una scuola di specializzazione: generando 19 mila nuovi posti di lavoro. Un ulteriore enorme giro d’affari, insomma, per la Corea del Sud: un luogo, Robot Land, che, come stima lo stesso sito in costruzione, potrebbe attirare 2,8 milioni di visitatori l’anno.