Giustizia: stupro di gruppo ed isteria di gruppo… www.camerepenali.it, 5 febbraio 2012 Le reazioni scomposte che si sono prodotte all’esito della recente sentenza della Corte di Cassazione che, in ossequio ai principi più volte espressi dalla Corte Costituzionale, ha stabilito la possibilità, per il Giudice, di applicare misure cautelari meno afflittive del carcere anche per chi è indagato del delitto di violenza sessuale di gruppo, ci impone, per l’ennesima volta, di ribadire alcuni principi che, sebbene ovvi, sembrano non esserlo in questo Paese. In ogni Stato di diritto l’indagato è da considerare innocente sino alla sentenza definitiva. Proprio per questo, la misura della custodia cautelare in carcere è un istituto che deve trovare la sua applicazione in casi assolutamente eccezionali e l’indagato ha il sacrosanto diritto di attendere la definizione della vicenda processuale nella quale è coinvolto in stato di libertà, qualunque sia il delitto che gli venga attribuito. La maggiore o minore “riprovevolezza sociale” del fatto contestato non ha e non può avere alcuna incidenza sulla scelta della misura cautelare eventualmente da adottare, perché il codice impone di graduare tali misure in funzione di parametri tecnici ben definiti tra i quali non è dato rinvenire quello relativo alla dimensione etica dell’incolpazione. Si può perdere la libertà, prima di una sentenza definitiva di condanna, solo quando si inquinano le prove, o vi è rischio di fuga, oppure sussiste un grave rischio di reiterazione del reato. Il carcere, poi, non è l’unica misura che può essere utilizzata per tutelare queste esigenze, poiché’ la legge mette a disposizione del giudice una gamma di misure che vanno dagli arresti domiciliari all’ imposizione di particolari obblighi. Stupisce, dunque, che intorno ad una decisione che non fa altro che confermare elementari statuizioni di minima civiltà giuridica, si possa scatenare un vergognoso battage mediatico che alimenta, con il solito effetto di corto circuito, reazioni istintive, moraliste, fondate sulla ignoranza della legge e dei principi fondamentali della Costituzione. Ancor di più sorprende che la stessa Suprema Corte, attraverso un comunicato ufficiale, abbia sentito il bisogno di tranquillizzare l’opinione pubblica sul fatto che gli indagati coinvolti nella specifica vicenda processuale non lasceranno comunque il carcere sino alla celebrazione del giudizio di rinvio innanzi al Tribunale del Riesame. In un momento in cui si straparla di autonomia ed indipendenza della giurisdizione, a proposito della responsabilità civile dei magistrati, questa espressa manifestazione di conformismo della Corte dimostra che, sul piano della libertà di autodeterminazione della magistratura, ben altri sono i percorsi da intraprendere. Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane Violenza sessuale e misure cautelari: la nota della Cassazione La sentenza della Corte di Cassazione (n. 4377/12 della Terza Sezione penale) non ha determinato alcuna conseguenza immediata sullo stato detentivo degli imputati. Essi restano in carcere fintanto che non si sarà concluso il giudizio di rinvio davanti al Tribunale del riesame di Roma, che potrebbe anche confermare la precedente valutazione di necessità della misura carceraria. Rispetto alla decisione assunta si precisa che l’ordinanza del Tribunale di Roma, che ha ritenuto di confermare la custodia in carcere, è stata in primo luogo annullata per carente motivazione sugli indizi di colpevolezza, posto che, secondo la Corte di Cassazione, non era stato affatto chiarito, sulla base dei dati rappresentati dall’accusa, se una violenza sessuale fosse stata effettivamente realizzata dagli indagati. Inoltre la sentenza della Corte di Cassazione prospetta motivatamente una interpretazione doverosa della sentenza della Corte Costituzionale, n. 265 del 2010, che, pur riferendosi alle fattispecie-base di violenza sessuale, e non specificamente alla fattispecie di violenza di gruppo, ha espresso il principio, fondato anche sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che in materia di misure cautelari, fatta eccezione per i reati di natura mafiosa, non possono valere presunzioni assolute di adeguatezza della sola misura carceraria che prescindano dalla fattispecie concreta. Relativamente a questo secondo aspetto, l’alternativa era verosimilmente quella di investire della questione la Corte Costituzionale: ma la sospensione del procedimento fino alla decisione della Consulta avrebbe potuto determinare la carcerazione degli imputati per decorrenza dei termini di custodia cautelare, caso che non si è verificato proprio a seguito della decisione della corte di Cassazione. Domani ad Uno Mattina si discute della sentenza della Cassazione (Agi) Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa discutere: niente carcere obbligatorio per chi è accusato di stupro di gruppo. Apre così Uno Mattina, il programma in onda lunedì 6 febbraio su Rai1 con Elisa Isoardi e Franco Di Mare, allargando il dibattito anche dopo la decisione della Corte di Assise di Milano che ha condannato a 14 anni di pena il responsabile di un incidente stradale che ha causato la morte di una giovane ragazza. La Corte di Assise di Milano ha - di fatto - ribaltato la sentenza di primo grado che lo aveva condannato ad una pena di 4 anni. Omicidio colposo, questo era il capo di accusa. Giustizia: decreto-carceri; la Lega dà battaglia, pioggia di 400 emendamenti alla Camera Amsa, 5 febbraio 2012 Dopo la battaglia sulla responsabilità civile, la Lega non demorde e sempre sul fronte giustizia apre alla Camera, a stretto giro, un altro fronte. Lo fa sul cosiddetto “svuota carceri”, dove annuncia un’opposizione durissima con una pioggia di emendamenti in commissione Giustizia: secondo quanto si apprende, ne arriveranno infatti circa 400, già lunedì. Ostruzionismo? No, dicono dal Carroccio, ma la richiesta di rivedere un testo che così è sbagliato. Al governo la Lega lancia una proposta: rispettare i tempi di conversione del dl si può fare, basta accogliere alcune modifiche essenziali per poi essere disposti a valutare costruttivamente il resto. La sfida inizia lunedì: alle 5 del pomeriggio, infatti, comincia il voto degli emendamenti nella commissione presieduta da Giulio Bongiorno. Ma cosa chiede il partito di Bossi? Tre sembrano essere i filoni di intervento: estendere i reati dell’emendamento Palma esclusi dai domiciliari; ritornare al testo Alfano e mandare a casa chi ha davanti non 18 ma 12 mesi per il fine pena; dire no alla chiusura degli Opg entro il 31 marzo 2013 perché serve un tempo maggiore e più congruo per valutare il problema. Giustizia: Bernardini (Ri); carceri sono anello terminale di un sistema che non funziona di Francesco Ghidetti La Nazione, 5 febbraio 2012 Dramma-carceri: non passa giorno senza che qualche cattiva notizia non arricchisca un quadro già grave. Basta scorrere “a caso” le agenzie di stampa. Si allarga l’adesione allo sciopero indetto dalla Fimmg a tutela della previdenza dei medici di medicina generale. E anche i camici bianchi penitenziari (Fimmg Amapi) aderiscono alla protesta del 9, 10, 11 e 12 febbraio. “I medici penitenziari ex Sias, convenzionati a tempo determinato, versano i contributi all’Enpam”, ha dichiarato il coordinatore nazionale Fimmg-Amapi, Pasquale Paolillo “per questa ragione condividono la preoccupazione e la protesta dei medici di medicina generale per le ricadute della manovra del Governo sul futuro del nostro Ente di previdenza”. Un caso. Una notizia nel mare del dramma-carceri. Dramma che affrontiamo assieme alla deputata radicale eletta nelle liste del Pd Rita Bernardini. Bernardini, la domanda può apparire banale. Però serve a capire. Perché i così tanti suicidi in carcere? “Le risponderò con le parole che usò lo psichiatra del carcere Due Palazzi di Padova quando lo interpellai in una delle mie tante visite di sindacato ispettivo: “Se capitasse a me di finire in prigione, in queste condizioni, non resisterei più di due giorni”. Le “condizioni” sono: spazi ristretti, ozio forzato, mancanza di igiene e di cure, azzeramento dell’affettività con i propri congiunti”. Quante prigioni lei ha visitato nell’ultimo anno? “Dall’inizio della legislatura, cioè da maggio del 2008 ad oggi, circa 180. Nell’ultimo anno una quarantina”. Qualche cifra per capire il dramma carceri… “66.900 detenuti stipati in 44.500 posti; 7.000 agenti mancanti; nel 2011 all’interno dei nostri istituti di pena si sono verificati 186 decessi, di cui 66 suicidi. In Italia la percentuale delle morti violente in carcere su 10.000 detenuti è pari al 10,24%, negli Stati Uniti del 2,55%: in pratica nelle carceri italiane le morti violente accadono con una frequenza addirittura 4 volte maggiore rispetto a quanto avviene nei famigerati penitenziari americani. Inoltre, non scordiamocelo mai, negli ultimi dieci anni, anche 80 agenti si sono tolti la vita”. Quanta gente è in galera in attesa di giudizio? “27.251 sono i detenuti che soffrono una vera e propria carcerazione preventiva. Di questi ben 13.625 sono in attesa del primo giudizio. Abbiamo il 42% di detenuti privi di una condanna definitiva, una percentuale che è il doppio di quella che si registra in Europa. Tenga presente che, alla fine dei gradi di giudizio, la metà sarà riconosciuta innocente: questo ci dicono tutte le rilevazioni riferite al pregresso”. È vero che la maggioranza dei carcerati è “straniera”? “I detenuti stranieri sono tanti, direi “troppi”, ma non sono la maggioranza. Sono 24.200 su 66.900, cioè il 36,2%. Dico “troppi” perché molti di loro stanno in galera non perché colpevoli ma perché non hanno il denaro per pagarsi gli avvocati e perché non conoscono la lingua italiana”. C’è chi propone di costruire nuove carceri... “Una politica dissennata, visto che oggi ci sono carceri nuove vuote o semi-vuote per mancanza di personale”. Quali i caposaldi della battaglia della pattuglia radicale affinché la situazioni migliori? “In primo luogo c’è da tenere presente che le carceri sono l’anello terminale di una giustizia che non funziona, sia nel civile che nel penale. Il carcere è solo la parte terminale, il risultato di questo “sfascio”. Abbiamo oltre 10 milioni di procedimenti penali e civili pendenti. Nel penale, 170.000 processi muoiono ogni anno per prescrizione, cioè per una forma di amnistia mascherata ed ipocrita di cui nessuna istituzione si assume la responsabilità. Noi radicali, con Marco Pannella, vogliamo l’amnistia (e l’indulto) prevista dall’articolo 79 della nostra Costituzione. L’amnistia e l’indulto, quindi, non rappresentano soltanto una risposta (costituzionale!) d’eccezione e umanitaria al dramma della condizione carceraria, ma costituiscono la premessa indispensabile per l’avvio e l’approvazione di riforme strutturali relative al sistema delle pene, alla loro esecuzione e più in generale all’amministrazione della giustizia. E comunque riteniamo che la loro approvazione sia necessaria per ricondurre entro numeri sostenibili il carico dei procedimenti penali nonché per sgravare il carico umano che soffre in tutte le sue componenti (detenuti, personale amministrativo e di custodia) la condizione disastrosa delle prigioni, perché nessuna giustizia e nessuna certezza della pena possono essere assicurate se uno Stato per primo non rispetta la propria legalità ed è impossibilitato a garantire la certezza del diritto”. Come valuta l’atteggiamento del nuovo Governo di fronte a questa emergenza? “Bravissimo a individuare i problemi, deficitario del tutto nell’affrontarli”. Che voti darebbe ai partiti? Sono coscienti del dramma? “Singole coscienze nei partiti hanno consapevolezza, ma i partiti, nel loro insieme, sono semplicemente inesistenti nel dare risposte politiche: si aggrappano agli ultimi brandelli di una democrazia devastata nella speranza di poter continuare ad accaparrare potere spartitorio. Guardi sul finanziamento pubblico abrogato dagli elettori con un referendum promosso dai radicali: anziché cancellare la legge come volevano i cittadini, hanno quintuplicato gli stanziamenti cambiando semplicemente il nome: lo chiamano rimborso elettorale anche se non lo è”. È vero che in Italia si mette troppo facilmente la gente in prigione o è un luogo comune? “La carcerizzazione è divenuta la risposta al disagio sociale, ma non solo. Capita sempre più spesso che cittadini perfettamente normali e incolpevoli finiscano nelle patrie galere. È in quel momento che si ricordano dei radicali e della loro saggezza nel governo delle situazioni. È accaduto con l’innocente Enzo Tortora dato in pasto ad un’opinione pubblica disinformata come camorrista “cinico mercante di morte”. È accaduto costantemente e continua ad accadere. È il nostro stare vicini agli ultimi, il nostro frequentare i marciapiedi - come fa Pannella da una vita - che ci induce a corrispondere a quel che chiedeva a noi radicali, un giorno prima della sua tragica morte, Pier Paolo Pasolini: “Voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticate subito i grandi successi e continuate imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”. Giustizia: gli psicologi penitenziari si autodenunciano “siamo inadempienti” Ansa, 5 febbraio 2012 Gli psicologi penitenziari si autodenunciano: “siamo inadempienti”, i continui tagli e l’aumento esponenziale dei reclusi ha ridotto le prestazioni a “pochi secondi al mese per ogni detenuto”. Il non poter osservare i cambiamenti della personalità dei reclusi impedisce alla Magistratura di sorveglianza di valutare la pericolosità sociale dell’individuo e limita, di conseguenza, la concessione delle misure alternative alimentando il sovraffollamento. In una lunga lettera al ministro della Giustizia, Severino, gli psicologi chiedono di essere ascoltati per ‘trovare insieme le più opportune soluzioni, finalizzate a ridare alla psicologia penitenziaria sostanza ed a realizzare finalmente un Servizio funzionale ai diritti di salute e riabilitazione degli utenti, il cui rispetto è legata la sicurezza nel qui ed ora all’interno degli istituti e, in prospettiva, dopo la detenzione, quando le persone verranno restituite alla società. “Ci troviamo in una situazione divenuta ormai intollerabile - scrivono - da una parte la pressione (con il rischio concreto di ritorsioni) degli utenti i quali, giustamente, chiedono l’osservazione che gli necessita per avere i benefici previsti dalla legge e che non possiamo garantire, dall’altra le richieste, altrettanto legittime, della Magistratura di Sorveglianza che rimarca la nostra inadempienza. Dal momento che non è più possibile assicurare un numero di prestazioni tali da garantire un livello minimo di assistenza, molti di noi si chiedono - conclude la lettera firmata da Paola Giannelli Segretario nazionale della Società Italiana Psicologia Penitenziaria - se abbia un senso la nostra presenza, se non da un punto di vista solo formale”. Giustizia: IdV Toscana; decreto svuota carceri, le ragioni del nostro “no” www.gonews.it, 5 febbraio 2012 In queste ore la Commissione Affari Sociali della Camera sta discutendo il ddl svuota-carceri e si parla anche di Ospedali psichiatrici giudiziari. Il tema è di quelli scottanti, non solo perché come regione Toscana ci interessa direttamente (suicidi a Sollicciano e al carcere di Lucca, Opg di Montelupo in condizioni terribili, fughe da Pisa e sovraffollamento ovunque), ma perché un occhio sul quadro Europeo può darci meglio il senso della misura. Come segnalato da Emergency, ad esempio, la situazione delle carceri elleniche è preoccupante, al punto che i direttori delle carceri di Atene ed Eubea, hanno inviato una missiva al Ministero di Giustizia e alla magistratura, nella quale informano che gli istituiti da loro diretti sono ormai pieni e, dunque, si vedono costretti a “chiudere”, rifiutandosi di ospitare nuovi arrivi. Il numero di carcerati nelle prigioni greche è di 12.703 a fronte di una capacità di 9.300. Anche in questo caso pare vi sia un collegamento diretto con la crisi economica, vista la lievitazione dei reati: un omicidio ogni due giorni, 265 furti e 19 rapine al giorno. Dato significativo l’aumento dei furti nelle chiese, assestato al momento a un 180 per cento. La situazione italiana, lo sappiamo bene e lo denunciamo da tempo, non è molto differente. Secondo i dati del sito ristretti.it (aggiornati al 19 novembre 2011), il totale dei detenuti presenti all’interno delle carceri è di 68mila unità, ben oltre la capienza regolamentare che si attesta intorno alle 44.412 unità. Semplice dunque a questo punto fare una proporzione: lo sforamento in Grecia è pari al 36%, in Italia si attesta al 53%. Il che vuol dire che la situazione nel nostro Paese, dal punto di vista carcerario, è veramente al limite. Ma allora perché in Grecia i direttori scrivono al ministro e sigillano le porte mentre in Italia si continua a stipare i detenuti in stanze sempre più colme, gestite da un numero sempre minore di personale preposto alla sorveglianza? Il 28 di gennaio, durante l’apertura dell’anno giudiziario 2012, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, Antonietta Fiorillo, e lo stesso Presidente della Corte d’Appello di Firenze, Fabio Massimo Drago, hanno sottolineato la gravissima situazione che da tempo stanno vivendo le carceri toscane: il numero dei soggetti ristretti va ben oltre quello della capienza regolamentare e spesso anche della capienza tollerabile. Il sovraffollamento è il primo problema e tra gli esempi sono stati evidenziati quelli del carcere di Sollicciano, con 974 detenuti presenti rispetto a una capienza regolamentare di 497 al 30 giugno 2011; Prato, 701 detenuti presenti su 476 posti; Livorno, 425 presenti su 284; Pisa, 377 su 225; Lucca, 163 su 113; San Gimignano, 421 su 235; Siena, 79 su 50; Massa Marittima, 36 su 28 posti disponibili. La criticità è acuita dal turn over poiché gli arrestati in flagranza di reato vengono condotti nei penitenziari che non hanno competenza alla custodia di tali soggetti, i quali, peraltro, escono nell’arco di qualche ora o giorno. Le carenze riguardano anche il personale amministrativo e di polizia penitenziaria, nonché l’assistenza sanitaria, che, è stato riferito, si riflette sul piano del disagio psicologico al punto che nell’ultimo anno si sono verificati in Toscana 2009 eventi critici: 498 autolesionismi, 143 tentativi di suicidio, quattro suicidi (a Sollicciano, al Gozzini, a Montelupo, a Livorno), 306 atti di aggressione fra detenuti, 20 aggressioni contro agenti di custodia. La soluzione non può né deve essere un indulto. Chi ha effettivamente commesso dei reati deve scontare la propria pena. Per questo motivo l’Italia dei Valori ha votato contro la conversione del decreto svuota carceri, anche se sono state accolte delle nostre proposte. Abbiamo deciso di votare contro perché, come ha ricordato l’on. Luigi Li Gotti, capogruppo Idv in Commissione Giustizia, riteniamo assurdo che un arrestato in flagranza di reato, casomai dopo un faticoso inseguimento, debba essere accompagnato a casa. Si sarebbe dovuto probabilmente puntare sul sistema del braccialetto elettronico, per cui lo Stato ha pagato a Telecom ben 110 milioni di euro. Inoltre, Idv è contraria alla detenzione domiciliare per i recidivi: la legge in vigore lo vieta, ora si intende derogare con una norma a tempo, ossia sino al 31 dicembre 2013. Una norma che riguarda proprio quei detenuti che hanno più volte commesso delitti. Insomma, per due anni la sicurezza verrà messa da parte. Una storia italiana, direbbe qualcuno. Daniela Sgambellone Responsabile Dipartimento Comunicazione Idv Toscana Ancona: Uil; carcere Barcaglione ancona isolato per il maltempo, viveri in esaurimento Ansa, 5 febbraio 2012 Il carcere di Barcaglione ad Ancona, una contrada rurale coperta di neve, “è praticamente isolato ed inaccessibile ai veicoli, compresi quelli di pronto soccorso”, mentre le scorte “stanno per esaurirsi”. La denuncia è di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari. “Una situazione molto difficile per i 33 detenuti, il comandante e i 5 agenti di polizia penitenziaria. Mentre ieri due agenti hanno raggiunto il carcere a piedi, in piena bufera, per prendere servizio regolarmente. Il riscaldamento c’è, ma le scorte alimentari dovrebbero esaurirsi entro 48 ore”. La Uil Penitenziari ha rivolto un appello alla Prefettura di Ancona e alla Protezione civile, perché intervengano prima delle nuove nevicate, annunciate per metà della prossima settimana. Catania: il Magistrato di Sorveglianza non ammette ricorsi contro “detenzione inumana” La Sicilia, 5 febbraio 2012 Il ricorso al Tribunale di Sorveglianza per detenzione inumana e degradante è stato presentato dall’avvocato Pirrone per conto di un detenuto di 47 anni che condivide la stessa cella di piazza Lanza (dimensioni 26 mq) con altri 10 detenuti. Ecco alcuni punti contenuti nel ricorso: Dieci persone sono detenute in una cella con un solo servizio igienico e un lavabo in cui ci si lava e si lavano gli alimenti, che vengono cucinati nel medesimo spazio; medesimo lavabo per lavare gli indumenti; unica finestra, talvolta ostruita dal letto a castello, che dà luce alla stanza, dove si fa a turno per scendere dal letto e addirittura per poter stare un po’ in piedi. Nella cella i materassi vengono usati senza soluzione di continuità da tutti, senza alcuna disinfestazione (normali norme di igiene, totalmente assenti). Nel bagno della cella, sin dall’inizio del periodo di detenzione, non è funzionante lo scarico dell’acqua del vaso. E si fanno pure i turni per fruire dei materassi che vengono sistemati sul pavimento, dato che per mancanza di spazio è impossibile inserire ulteriori letti. Sullo stato di detenzione inumana e degradante che offre il carcere di piazza Lanza, nello scorso mese di dicembre erano stati presentati due ricorsi con richieste di risarcimento al Tribunale di Sorveglianza di Catania, il primo da parte del Garante dei diritti dei detenuti siciliani, senatore Salvo Fleres e il secondo da un singolo detenuto, rappresentato dal presidente dell’Associazione nazionale forense di Catania avvocato Vito Pirrone. Si chiedeva inoltre che dentro la fatiscente struttura carceraria si ripristinassero condizioni di vita accettabile sotto il profilo dei diritti umani. Il presupposto era quello secondo cui le condizioni in cui detenuti ristretti nella casa circondariale di piazza Lanza sono costretti ad espiare la pena costituiscono inequivocabile violazione delle norme di diritto interno e sovranazionale. I ricorsi, per quanto fondati su dati di fatto oggettivi (sovraffollamento, invivibilità ecc. ecc.) non sono andati a buon fine, e vediamo perché. Il Magistrato di sorveglianza ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata dal Garante Fleres, sostenendo che lo stesso non abbia legittimazione attiva a proporre domande in favore dei detenuti; motivazione contestata dal senatore Fleres, il quale ritiene piuttosto che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza abbia disatteso la specifica norma dell’art. 33 della Legge Regionale Siciliana del 19 maggio 2005 n. 5, comma 3; la norma - ribadisce Fleres - prevede espressamente che il Garante vigili affinché venga garantito l’esercizio dei diritti fondamentali dei detenuti tenendo conto delle loro condizioni di restrizione; e prevede anche che il Garante si rivolga alle autorità competenti segnalando il mancato o inadeguato rispetto di tali diritti e che promuova iniziative sui temi dei diritti umani delle persone private della libertà personale, del loro recupero sociale e della umanizzazione della pena detentiva. Pertanto - secondo il punto di vista dello stesso Garante - è conseguenza logico-giuridica che è compito principale del Garante, quale organo di garanzia in ambito penitenziario, vigilare sull’applicazione delle leggi e dei regolamenti da parte dei giudici e difendere i diritti dei detenuti contro ogni abuso. Quanto al ricorso presentato dal singolo detenuto, che chiedeva un risarcimento simbolico di 1000 euro e il ripristino delle condizioni di legalità circa la sua permanenza nel carcere di piazza Lanza, il magistrato di sorveglianza ha qualificato il ricorso del detenuto come “istanza di scarcerazione”, trasmettendola al giudice del dibattimento. Rigettando la “presunta” richiesta di scarcerazione, il magistrato di sorveglianza ha precisato che “il giudice di sorveglianza non è corresponsabile delle condizioni di carcerazione ed è tenuto solo a valutare le esigenze cautelari secondo le emergenze e le regole relative al processo”. Il ricorso, ha precisato l’avvocato Vito Pirrone, non era affatto una domanda di scarcerazione, “ma trovava fondamento giuridico-normativo sull’effettiva applicazione dell’ordinamento penitenziario, sull’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché sulla sentenza emessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo il 16 luglio 2009, che ha condannato l’Italia in relazione allo stato di detenzione inumana e degradante, statuendo la risarcibilità del danno morale patito, oltre al danno materiale”. Il ricorso esteso dall’avvocato Pirrone evidenziava, tra le altre cose, che il Magistrato di Sorveglianza di Lecce, con ordinanza del 9 luglio 2011 aveva recepito il principio deliberato dalla Corte Europea, riconoscendo la risarcibilità del danno patito dai detenuti. Monza: il servizio di “Housing” per gli ex detenuti compie due anni www.mi-lorenteggio.com, 5 febbraio 2012 La risposta abitativa alle esigenze di reinserimento degli ex detenuti. Da gennaio 2010 accolte 16 persone negli otto appartamenti a disposizione. Il Comune di Monza, consapevole delle criticità che ruotano attorno alla delicata questione dei detenuti durante il percorso di reinserimento sociale, da due anni ha deciso di ampliare la gamma dei servizi offerti - come lo Sportello Sociale e lo Sportello Lavoro - con lo Sportello Housing: un nuovo servizio che si occupa esclusivamente di gestire le risorse abitative messe a disposizione dai Comuni del territorio, assegnando gli appartamenti destinati all’accoglienza di detenuti o ex-detenuti nella fase di post-scarcerazione. Lo Sportello Housing è nato a gennaio 2010 nell’ambito del macro-progetto Lavoro-Casa-Lavoro (ex Dgr 95/02) ed è diventato effettivamente operativo a luglio 2010. Il servizio conta su un “parco abitativo” costituito da otto appartamenti dislocati nei Comuni di Monza, Brugherio, Arcore, Cornate D’Adda, Sulbiate e Vimercate per un totale di 11 posti letto. “L’obiettivo è quello di incanalare correttamente e specificatamente l’emergenza abitativa che spesso accompagna la post-detenzione; un passaggio fondamentale per il successo di un progetto di reinserimento sociale - afferma l’Assessore ai Servizi Sociali Pierfranco Maffè. All’interno dei piani individualizzati di reinserimento dei detenuti, si può verificare, in concerto con gli operatori referenti, l’opportunità della concessione di permessi premio dati dalla Magistratura di sorveglianza. A tal fine lo Sportello Housing offre anche l’opportunità di fruire del permesso all’interno degli appartamenti. La partecipazione al macro-progetto dei soggetti da inserire negli appartamenti è un passaggio fondamentale poiché significa aver avuto modo di approfondire e conoscere accuratamente le persone da inserire, elemento indispensabile per la continuità terapeutica”. L’operatore dello Sportello, dopo una verifica con l’educatore di riferimento, incontra il detenuto (o ex detenuto) e avvia il percorso di reinserimento sociale, mantenendo sempre un rapporto di costante raccordo con l’equipe di lavoro che ha in carico la persona; tutto questo per un puntuale monitoraggio delle varie fasi. Interlocutori dell’operatore dello Sportello Housing sono l’Area Trattamentale, i tecnici dei laboratori interni al carcere, il Sert, l’Ufficio Operativo Carcere e i Servizi Sociali del territorio. Calerno: continua polemica sull’apertura di un Centro per detenuti dimessi dagli Opg La Città di Salerno, 5 febbraio 2012 Hanno destato clamore e sdegno le parole del direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl di Salerno. Antonio Zarrillo, infatti, si è schierato contro il trasferimento a Mariconda dei detenuti rinchiusi negli ospedali psichiatrici giudiziari della provincia di Salerno, quando queste strutture verranno chiuse, come stabilito recentemente dal governo Monti. La posizione più dura arriva da Antonella Albero, direttrice del dipartimento di salute mentale di Oliveto Citra. “Esprimiamo - scrive in una nota - profondo dissenso e disaccordo sul modo grossolano di affrontare la questione. Effetto, si spera, di una totale disinformazione su contenuti e termini del complesso e delicato processo di chiusura e superamento degli Opg”. La Albero critica anche Antonio Malangone, esponente della segreteria provinciale della Uil Fpl, che aveva proposto come soluzioni alternative alla struttura di Mariconda, sia l’ex ospedale di Torre Angellara che la sede di “Soccorso Amico” a Mercatello. A correggere il tiro delle dichiarazioni di Zarrillo è anche il segretario provinciale della Uil Sanità, Raffaele Albano. “Zarrillo - afferma il pediatra - ha posto un problema di ordine pubblico. Il provvedimento è ancora in itinere e, in ogni caso, non si devono vedere queste persone come criminali da isolare. Se facciamo così condanniamo la funzione di recupero della psichiatria”. Contro Zarrillo e le proposte della Uil si scaglia anche la Cisl Fp. “Ipotizzare di spendere altri soldi per ristrutturare e risistemare altre strutture, in questo particolare momento di grave crisi economica - scrive il segretario provinciale Pietro Antonacchio - equivale a menare il can per l’aia, cioè lasciare in carcere persone affette da disagi psichici e che hanno scontato la pena”. E, intanto, la vicenda rischia di finire in tribunale. Le parole di Zarrillo non sono affatto piaciute ai Radicali salernitani che attraverso Michele Capano, membro della direzione nazionale, hanno annunciato una denuncia nei suoi confronti alla Procura della Repubblica. Nuoro: Pannella e Bernardini incontrano Garante detenuti e Sindaco, su Badu ‘e Carros La Nuova Sardegna, 5 febbraio 2012 C’è una tappa importante che Marco Pannella e Rita Bernardini hanno in programma prima di “isolarsi” tra le nevi di Fonni. Ed è un incontro con il sindaco Sandro Bianchi e il nuovo garante dei detenuti del Comune Gianfranco Oppo. Incontro nel quale si parlerà principalmente della situazione del carcere di Badu ‘e Carros. Un appuntamento da non perdere. La deputata romana Rita Bernardini è infatti, senza ombra di dubbio, una delle maggiori esperte nazionali sullo spinoso tema delle carceri, e più in generale sui problemi della giustizia. E Marco Pannella, storico leader dei radicali italiani, “padre” del referendum sul divorzio e sull’aborto, protagonista a colpi di cappuccino di migliaia di battaglie non violente per i diritti civili, ha sempre fatto del rispetto dei diritti dei detenuti una delle rivendicazioni centrali della sua lunga esperienza politica. Entrambi saranno dunque ricevuti dal sindaco di Nuoro Alessandro Bianchi, che accoglierà Pannella a diversi lustri dalla sua ultima visita nel capoluogo barbaricino. L’arrivo della delegazione radicale (meteo permettendo, è in dubbio infatti sia la partenza da Roma che l’arrivo a Olbia) è prevista intorno alle 11.30. Il primo cittadino approfitterà dell’incontro per porre il tema della situazione carceraria in città e per parlare del rapporto tra Nuoro e il penitenziario di Badu è Carros. Un rapporto decisamente migliorato rispetto agli anni ottanta e novanta, i terribili decenni in cui il carcere era un “braciere” che ospitava in un esplosivo mix terroristi, pezzi da novanta della criminalità organizzata nazionale e figure di spicco di quella sarda. Ma un rapporto comunque complicato sia dalle croniche e gravi carenze di organico che da anni vengono denunciate nel carcere barbaricino, che dall’arrivo di un ospite “eccellente” come il boss dei casalesi Antonio Iovine, unico detenuto dell’isola in regime di 41-bis. All’incontro parteciperà anche il nuovo garante dei diritti dei detenuti Gianfranco Oppo, che recentemente ha sostituito il precedente garante Carlo Murgia, con la volontà di proseguire nel rapporto di collaborazione con i vertici del carcere nuorese e del sistema penitenziario regionale. Sarà una occasione per confrontare l’esperienza di “apertura” della città verso il carcere e del carcere verso la città con chi si è occupato di questi temi a livello nazionale e transnazionale. Ma sarà anche l’occasione per discutere della situazione generale dell’Isola e delle zone interne in grande difficoltà per la crisi, e per salutare a nome dei nuoresi i deputati radicali. Aosta: potenziate le caldaie della Casa circondariale di Brissogne www.aostaoggi.it, 5 febbraio 2012 L’impianto è stato revisionato e migliorato per produrre più acqua calda. Il direttore: “È indispensabile non lesinare sulla qualità igienico-ambientale”. “Abbiamo potenziato la caldaia per garantire una maggiore produzione di acqua calda”. Parola di Domenico Minervini, direttore della Casa Circondariale di Brissogne, sostenitore della necessità di aprire le docce ai detenuti ogni giorno. “È una questione di igiene e di sanità pubblica - dice. La doccia giornaliera non rappresenta un lusso, ma una necessità inderogabile. Non è pensabile di lesinare sulla qualità igienico-ambientale. Gli agenti di polizia penitenziaria sono in continuo contatto con la popolazione carceraria ed è, quindi, indispensabile stabilire una pulizia personale accurata”. Per evitare sprechi, la direzione del penitenziario regionale ha previsto la sistemazione di timer regolati su un tempo massimo di 7 minuti. “Un risparmio di energia elettrica con cui funzionano le caldaie”, puntualizza il direttore. I detenuti del carcere regionale hanno la possibilità di usufruire di un locale con tre docce dislocato in ogni sezione detentiva. “Ho sempre curato questo aspetto che ritengo prioritario - continua Domenico Minervini. Anche nel carcere di Asti, dove ho prestato servizio prima di arrivare in Valle d’Aosta, ho stabilito questo tipo di regolamento igienico-sanitario. Dovrebbe essere in vigore in tutte le carceri italiane perché, lo ribadisco, si scongiurano altri pesanti inconvenienti”. Il clima siberiano di questi giorni non origina problemi. L’impianto è stato revisionato e rafforzato con un intervento realizzato a fine estate. La temperatura nelle celle riflette i contenuti della legge. Oggi, nel primo pomeriggio, sono stati accolti 15 detenuti provenienti da Torino Le Vallette. Con questo gruppo, il totale degli ospiti è di 275, a fronte della capienza massima di 290. “Per ora - sottolinea il direttore dell’istituto penitenziario valdostano - non ci confrontiamo con il sovraffollamento. Anzi, stiamo riflettendo su questo trend in leggera diminuzione determinato, forse, dalla modifica della normativa nazionale relativa ai processi per direttissima. Una variazione che annulla la carcerazione, privilegiando la custodia nelle camere di sicurezza della questura”. Minervini manifesta il suo consenso per una scelta idonea a garantire un risparmio consistente di denaro. “Evita la cosiddetta “porta girevole” - spiega. Ovvero l’ingresso in carcere e l’uscita dopo pochi giorni con tutta la prassi e gli esborsi relativi”, conclude. Milano: Renato Vallanzasca riammesso al lavoro esterno, occupato in un’azienda di pc Corriere della Sera, 5 febbraio 2012 Di nuovo libero. Con licenza di lavorare e rientrare in carcere di sera. Da ieri, infatti, Renato Vallanzasca, 62 anni nel giorno di San Valentino, il 14 febbraio, ha coronato il suo desiderio: quello di armeggiare tra computer e hard disc. E lo fa in una ditta di Nerviano, nell’hinterland milanese. L’aria che sa di libertà, anche se frizzante di questi giorni di gelo, il bel René la respira, dopo quattro ergastoli e condanne per 260 anni di carcere, di cui quasi quaranta effettivamente scontati. Usufruisce di un permesso di lavoro all’esterno, in base all’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario. E, come uno studente al primo giorno di scuola, si è presentato puntuale nella ditta informatica Neco srl di via Roma 1, con ingresso in via Milano, proprio di fronte alla fermata dell’autobus che va a Molino Dorino. Di uno sportivo trendy, con tanto di coppola e cravatta a righe tipo regimental su camicia blu. Un pullover robusto e a tracolla il computer. Occhiali da vista e baffi ben curati. Da sabato, il terrore della Comasina, è libero e lo sarà sempre, se non sgarra, dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 21.30. Il sabato, invece, può rientrare tra le sbarre del penitenziario di Bollate, dove è detenuto a vita, alle 24. La domenica e i festivi infrasettimanali, riposa. Naturalmente sulla sua brandina in cella. Avevano già provato a fargli assaporare l’aria di una giornata quasi normale di lavoro in una cooperativa che tratta pellame. Era il marzo del 2010. Ma non durò, pare per una scappatella fuori programma. Tutto sospeso ma non revocato. E lui, abbandonato quell’atteggiamento da quasi invincibile, aveva gettato alle spalle gli anni bui di lacrime e sangue, per tentare ancora di costruire presente e futuro. Così, forte di nozioni imparate a Bollate, il carcere diretto da Lucia Castellano e vanto del sistema penitenziario italiano, l’ex bandito ha continuato a fissarsi in testa l’idea di lavorare ai computer. Un impiego in una ditta di pc. Accontentato di nuovo. Le autorità sono fiduciose: l’uomo che terrorizzava la Milano degli anni Settanta ha del resto già ottenuto diversi permessi per vedere l’anziana madre, per sposarsi, per curarsi e per seguire le riprese milanesi del film che Michele Placido ha realizzato sulla sua vita. Anche Luigi Pagano, soprintendente regionale alle carceri lombarde, ha da sempre elogiato il “percorso coerente di Renato Vallanzasca: in cella ha già lavorato ed è diventato un ottimo grafico su computer, lavorando su commesse della comunità di recupero Saman. Rispetto al bandito dell’evasione da San Vittore, da Novara o dall’Asinara, è un’altra persona, che vuole trasmettere anche qualcosa di positivo alle nuove generazioni, non vuole passare alla storia solo come un bandito”. E ieri sera, intorno alle 18, è uscito dal lavoro. È venuto a prenderlo forse un carabiniere in borghese, con un’Audi grigia. Un caffè al bar di fianco e poi via, in auto, destinazione sconosciuta. Nel permesso che gli è stato dato, l’ex bandito dei banditi, può muoversi solo a piedi, in bicicletta, con l’autobus che da Molino Dorino porta a Nerviano. Gran parte della giornata deve trascorrerla al lavoro e può pranzare in due ristoranti della zona. Niente incontri strani o meglio rincontri con vecchi amici di “bisbocce”. Niente interviste e, naturalmente, niente scappatelle. Porto Azzurro (Li): protesta di un detenuto; trasferitemi subito o mi lascio morire di fame Il Tirreno, 5 febbraio 2012 “O mi trasferite in Sardegna o smetto di mangiare”. Non stava scherzando Antonio Casu, detenuto 55enne di Sassari che deve scontare una pena lunga nel carcere di Porto Azzurro. Da circa 20 giorni l’uomo ha smesso davvero di nutrirsi iniziando - per protesta - uno sciopero della fame e della sete che ha costretto gli amministratori della casa di detenzione a disporre, ieri pomeriggio, il suo ricovero all’ospedale di Portoferraio. Un ricovero, fanno sapere dal carcere, stabilito per motivi precauzionali, dal momento che Casu non accusa, nonostante una repentina perdita di peso, problemi fisici gravi. Il motivo della protesta del 55enne è particolare. Non ce l’ha con il carcere di Porto Azzurro, non si lamenta per le condizioni dell’istituto, bensì Casu sarebbe stanco dei continui e faticosi trasferimenti in Sardegna, dove è coinvolto in alcuni procedimenti penali. “Non è uno sciopero della fame contro di noi - commenta il direttore della casa circondariale Paolo Sanna - ognuno ha il diritto di protestare, anche se non possiamo condividere i motivi della protesta. È un detenuto ostinato, da giorni non si nutre. Così, per evitare rischi, abbiamo deciso di farlo ricoverare”. Una scelta pressoché obbligata dell’amministrazione carceraria, vista l’impossibilità di prestare l’assistenza necessaria al detenuto tra le mura dell’istituto. Casu, in circa 20 giorni di sciopero della fame e della sete, ha perso qualcosa come il 15% del suo peso abituale. Attualmente il detenuto è ricoverato nel reparto di medicina di Portoferraio. L’episodio non fa che alimentare un clima di tensione che, negli ultimi giorni, ha contraddistinto il carcere longonese. L’ultimo episodio è di alcuni giorni fa quando un detenuto, già responsabile di aggressioni ai danni del personale del carcere, ha finto di suicidarsi in cella per poi, una volta soccorso da un agente penitenziario, aggredirlo fisicamente chiudendogli il portone della cella su una mano e, di fatto, mandandolo al pronto soccorso. I sindacati di polizia penitenziaria, ormai da tempo, denunciano una situazione fin troppo tesa all’interno del carcere di Porto Azzurro. Potenza: detenuto ingiustamente per due anni, ottiene 197mila euro di risarcimento Gazzetta del Sud, 5 febbraio 2012 Rocco Russo, arrestato nell’operazione “Turris”, è stato detenuto dal 1996 al 1998. Accogliendo l’istanza dell’avvocato Nicola Gulfo, la sezione penale della Corte di Appello di Potenza ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di 197 mila euro oltre alle spese processuale a titolo di indennizzo per la ingiusta detenzione per due anni di Rocco Russo. L’uomo era stato detenuto dal 1996 al 1998 e successivamente assolto nel febbraio 2006 dal Tribunale di Matera nell’ambito dell’inchiesta denominata “Turris” per reati legati all’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata al traffico di armi, sostanze stupefacenti e alle estorsioni. L’avvocato Gulfo aveva presentato istanza “per ingiusta detenzione” alla Corte di Appello territoriale, che aveva rigettato la richiesta. Da qui il ricorso in Cassazione, accolto e poi la sentenza depositata dalla Corte di Appello a conclusione di una vicenda cominciata nel 1996. Lecce: rissa in cella, detenuto ricoverato in ospedale Ansa, 5 febbraio 2012 Rissa nel carcere di Borgo San Nicola. Un 28enne brindisino, condannato a dieci anni per rapina e furto, è stato aggredito tanto da dover essere ricoverato presso l’ospedale di Brindisi. Stando a quanto pervenuto, durante la rissa, sarebbe stato ferito al volto. I medici gli hanno riscontrato un trauma orbitario all’occhio destro e una frattura al pavimento dell’orbita destra. Al momento il detenuto di trova ricoverato nel reparto di Chirurgia plastica, dove ne avrà per una ventina di giorni. Ancora un mistero, invece, i motivi che hanno fatto scoppiare questo pestaggio. Varese: carceri “Sold Out”, flash mob di giovanissimi fuori dai Miogni Varese News, 5 febbraio 2012 Hanno sfidato il gelo per far sentire la loro voce, proprio di fronte al carcere. Troppi detenuti, troppe persone colpite da legislazioni penali proibizioniste che potrebbero essere convertite in misure alternative alla detenzione. Il risultato è che le carceri scoppiano e i giovani di Varese, una trentina, lo hanno gridato a modo loro. Attorno alle 16 sui marciapiedi di via Morandi i ragazzi hanno sfilato un po’ in silenzio, un po’ a slogan e fischietto per dire: “Carceri Sold out”, tutto esaurito, specialmente ai Miogni dove - si legge in un comunicato firmato da Uisp Sportpertutti e Arci Varese, che hanno sostenuto l’iniziativa - “la Casa Circondariale di Via Morandi, che presenta una situazione tragica da questo punto di vista. La capienza regolamentare dei Miogni è di 53 posti, quella tollerabile di 99: i detenuti presenti sono sempre vicini alle 130 unità. Il 245% della capienza regolamentare e il 131% di quella tollerabile”. Una manifestazione che si è ripetuta in diverse altre città italiane e in molti casi organizzata con lo strumento di Facebook, dove sorgono profili sulla falsariga di “Canapitaly” che rivendica chiaramente una politica più aperta all’antiproibizionismo. I ragazzi che hanno lanciato il flash mob si muovono in particolare contro la legge proibizionista Fini-Giovanardi, i comitati provinciali di Uisp e Arci aderiscono all’iniziativa puntando invece l’attenzione sul fatto che troppo spesso la rigidità della legge non permette di prevenire e risolvere il disagio latente, nascosto sotto una pratica, purtroppo, molto diffusa tra i giovani. Quindi se è sacrosanto criminalizzare lo spaccio, altrettanto sacrosanto diventa ripristinare il Fondo Sociale Dpr 309/90 per mettere in condizione gli enti locali e le associazioni di promuovere azioni per contrastare il traffico e prevenire le dipendenze. Solo così si avrà un’efficace risposta ad una problematica molto diffusa soprattutto in ambito giovanile e che non può essere risolta unicamente con il carcere. Grazie proprio al Fondo Sociale, infatti, Uisp, anni fa, ha potuto realizzare il progetto “Sport contro la droga” per ben 6 anni consecutivi in molte città italiane, permettendo di sviluppare un’efficace campagna di prevenzione e di sensibilizzazione sul tema delle droghe. Roma: al Teatro Valle documentario sul caso Cucchi “148 Stefano mostri dell’inerzia” Dire, 5 febbraio 2012 “148 Stefano mostri dell’inerzia”, il documentario di Maurizio Cartolano sul caso Cucchi lunedì alle 21 sarà presentato al Teatro Valle Occupato a Roma all’interno del ciclo cinematografico ‘Tre film sull’indignazione”, a cura da Mario Sesti e Jacopo Mosca. Alla serata, spiega il Valle in una nota, saranno presenti il regista Maurizio Cartolano, Ilaria Cucchi con i genitori Giovanni e Rita, e i produttori Simona Banchi e Valerio Terenzio. Al termine della proiezione è previsto un incontro con il pubblico presente in sala. Il documentario, che dopo il Festival internazionale del Film di Roma è stato invitato in numerose città italiane e richiesto da festival e rassegne, per il forte impatto e interesse che sta suscitando ha spinto l’associazione Articolo21, che lo patrocina, a lanciare una campagna di sottoscrizione on line per chiedere che sia acquisito e trasmesso dal servizio pubblico radiotelevisivo italiano. Stefano Cucchi, prosegue la nota, è morto “di carcere”. Fino al mese di ottobre 2009 in carcere erano già morte 147 persone. A dicembre dello stesso anno il numero arriverà a 177. Stefano Cucchi è stata la 148esima persona deceduta in un carcere italiano. La causa del decesso di 26 di loro è ancora da accertare. Le responsabilità dello Stato, delle istituzioni, e dei suoi rappresentanti nel caso Cucchi sono pesantissime e al centro di un processo appena iniziato, in cui sono imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti di Polizia penitenziaria. In “148 Stefano mostri dell’inerzia”, si legge infine nella nota, la denuncia prende forma nel racconto attraverso la richiesta legalista di verità e giustizia, dichiarata dalle numerose e diverse testimonianze che nel documentario si susseguono. Soprattutto quelle dei familiari di Stefano Cucchi. Così Cartolano: “Qualcuno che rappresenta e agisce per conto dello Stato ha imbavagliato Stefano. Ancora oggi questo bavaglio è stretto, e noi con il nostro lavoro vogliamo provare a sciogliere quel nodo e ci auguriamo che ciò accada. Sappiamo che non basta un film per cambiare le cose, ma siamo certi che ogni parola, ogni racconto possano essere elementi di una nuova presa di coscienza”. Immigrazione: esposto Arci-Asgi contro il Ministero, per i profughi detenuti a Lampedusa di Vincenzo Ricciarelli L’Unità, 5 febbraio 2012 Esposto dell’associazione dei volontari, spalleggiata da quella di studi giuridici sull’immigrazione, contro il Viminale per “sequestro di persona”. La vicenda l’estate scorsa a Lampedusa. Indagherà la procura di Agrigento. Sequestro di persona: è il reato ipotizzato nell’esposto di Arci e Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) depositato alla Procura di Agrigento contro i vertici politici e amministrativi del Ministero degli Interni che nel luglio scorso (quando il ministro era ancora il leghista Roberto Maroni) disposero la detenzione nel centro di contrada Imbriacola dei profughi che sbarcavano a Lampedusa. Premettendo che si trattava di persone che arrivavano nell’isola siciliana mentre nei paesi di provenienza era in corso una guerra civile, l’Arci ricorda che il Governo italiano di allora “parlò di “invasione”, “drammatica emergenza”, e alimentò un clima di paura, creò le condizioni per giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica, lo scempio di democrazia che si perpetrò in quei mesi ai danni dei migranti, in primo luogo a Lampedusa”. Per giorni in centinaia - denuncia ancora una volta l’Arci - furono “rinchiusi nel centro di prima accoglienza (sic!) di contrada Imbriacola, senza che la privazione della libertà personale trovasse la necessaria convalida giurisdizionale. Per quel Governo e quel ministro, d’altra parte, la Costituzione e la legge sono state in più occasioni null’altro che una variabile dipendente, dagli interessi legati al consenso elettorale innanzitutto. Di quel vulnus democratico ci sono prove documentali e testimoni, come l’avvocato Luca Masera che per alcuni giorni assistette, dall’interno del centro, alle sistematiche violazioni e raccolse le testimonianze dei “detenuti”, mai raggiunti da un provvedimento del giudice di pace, come prevede la legge, che confermasse la legittimità della detenzione”. “Siamo convinti che perché una delle pagine più tristi della nostra democrazia si chiuda e non si ripeta mai più sia necessario - conclude l’Arci - ricostruirne per intero la verità, individuare le responsabilità e ottenere giustizia”. Droghe: Gonella e Corleone; dopo nuove nomine al Dap cambiare dirigenza del Dpa Notiziario Aduc, 5 febbraio 2012 La situazione delle carceri italiane è sempre più grave e fatte le nuove nomine al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si metta mano a quello antidroga “il cui capo è responsabile della svolta repressiva che ha portato in cella tanti tossicodipendentì. A sottolinearlo sono Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, e Franco Corleone, coordinatore dei garanti per i detenuti. “La situazione nelle carceri è tragica. Ieri altri due morti suicidi - dicono Gonnella e Corleone - Le nuove nomine al Dap, di esperienza, apertura e grande professionalità, speriamo portino a una stagione di riforme coraggiose nel segno della Costituzione”. Secondo Gonnella e Corleone vanno rilanciate, infatti, le misure alternative e va contrastata ogni forma di violenza. Inoltre, dicono l’affollamento penitenziario va combattuto non con l’edilizia ma cambiando le leggi sulla recidiva e le droghe. A tal fine è necessario anche un cambio al dipartimento per le politiche antidroga, il cui attuale capo tanta responsabilità ha avuto nell’aver creato le premesse di una svolta repressiva sulle droghe. Ci attendiamo dal ministro della giustizia - concludono - provvedimenti governativi diretti a istituire il garante dei detenuti e a introdurre il crimine di tortura nel codice penale. Egitto: assalto a commissariato, scappano 27 detenuti Agi, 5 febbraio 2012 Almeno 27 detenuti sono riusciti a scappare da un commissariato del Cairo assaltato da un gruppo di uomini armati. Il commissario aggiunto e otto poliziotti sono rimasti feriti nel conflitto a fuoco con gli aggressori. Svizzera: nel carcere di Champ-Dollon due detenuti appiccano fuoco a cella www.ticinonews.ch, 5 febbraio 2012 Due detenuti della prigione di Champ-Dollon, a Ginevra, hanno appiccato il fuoco stasera alla loro cella, condivisa con altre tre persone. Entrambi sono stati ricoverati in ospedale: uno dei due soffre di gravi ferite. Nessuna conseguenza invece per gli altri occupanti. Il personale di sorveglianza, coadiuvato dai pompieri, è riuscito a spegnere l’incendio. Il fuoco è stato volontariamente appiccato, attorno alle 18.20, ai materassi e al mobilio della cella, ha spiegato all’ats il direttore del carcere, Constantin Franziskakis. L’incendio ha sprigionato un denso fumo che ha fatto scattare l’allarme. I circa 200 detenuti nell’ala sud della struttura hanno dovuto essere temporaneamente evacuati. È stata aperta un’inchiesta. Marocco: il re Mohammed VI grazia 458 persone, anche 3 predicatori salafiti Ansa, 5 febbraio 2012 Il re del Marocco, Mohammed VI, ha graziato oggi 458 persone, tra le quali anche tre predicatori della Salafia Jihadia, una branca conservatrice dell’Islam, accusati di attentato contro la sicurezza dello stato e detenute dal 2003. “Il re ha concesso la grazia a 458 persone, di cui alcune in carcere ed altre in liberta”, ha annunciato con un comunicato il ministero della Giustizia, senza fare cenno ai predicatori. La grazia è stata concessa in occasione della festa del Mouled (anniversario della nascita del profeta). Hassan Kettani, Mohamed Rafiki e Omar Haddouchi erano stati condannati nel settembre 2003 rispettivamente a 25, 20 e 30 anni di reclusione per “indottrinamento, associazione a delinquere e minaccia alla sicurezza dello stato”. Le condanne erano avvenute all’indomani di una serie di attentati nel maggio del 2003, a Casablanca, che avevano causato 45 morti, di cui 14 kamikaze.