Giustizia: Tamburino nominato a capo del Dap. Il saluto amaro di Ionta Redattore Sociale, 3 febbraio 2012 Ionta: “Ho bisogno di dire alcuni grazie doverosi, anche alla luce di articoli di stampa denigratori contro i quali reagirò nelle sedi giudiziarie”. Vice di Tamburino potrebbe essere nominato Luigi Pagano, attuale provveditore alle carceri lombarde. Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri ha ufficializzato la nomina di Giovanni Tamburino a capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), cioè responsabile delle strutture carcerarie, arriva il saluto del direttore uscente, Franco Ionta. “Sento il bisogno in questo momento così difficile della mia vita professionale di dire pubblicamente alcuni grazie che ritengo doverosi, anche alla luce di articoli di stampa denigratori e offensivi, contro i quali reagirò con tutta la fermezza possibile nelle sedi giudiziarie”. Inizia così, in maniera dura e amara al tempo stesso, la lettera di saluto di Ionta, un saluto rivolto a tutte le componenti dell’Amministrazione penitenziaria, alle organizzazioni sindacali e al mondo dell’associazionismo penitenziario. Afferma Ionta: “Il mio primo grazie va al Governo che mi ha nominato e al ministro Alfano che mi ha sempre dato la sua fiducia e il suo sostegno nell’arduo compito di gestire il sistema penitenziario nella contingenza più difficile che si è trovato ad affrontare dal dopoguerra. Un grazie particolare devo poi alla Polizia penitenziaria, che mi ha sentito quale capo del Corpo vicino alle loro esigenze, ai loro problemi, alle loro tante quotidiane sofferenze”. La lettera di Ionta continua citando il suo staff, i sindacati (“che in questi anni hanno dimostrato lealtà, sia pure nella dialettica per il bene dell’amministrazione e per la salvaguardia dei diritti di tutti i lavoratori”) e le varie componenti del mondo penitenziario, “che con la loro sagace opera hanno mostrato condivisione del mio progetto volto alla stabilizzazione del sistema e a rendere migliori le condizioni di vita delle persone detenute, nei confronti delle quali ho profuso - sottolinea Ionta - ogni sforzo per garantire la vita, la salute e la dignità, sia con provvedimenti amministrativi che con sollecitazioni al ministro e al Parlamento, per adottare, e in molti casi ciò è avvenuto, provvedimenti legislativi volti a favorire la fuoriuscita progressiva dei detenuti verso una vita normale dopo il crimine”. Un grazie, infine, Ionta lo riserva “alle tante associazioni di volontariato e di coscienza critica dell’Amministrazione, con cui ho sempre avuto rapporti proficui e significativamente emozionanti”. “Ho potuto conoscere in questa esperienza - conclude - un mondo ricco e variegato che mi ha arricchito e che porterò sempre con me”. Chiusa l’era Ionta, si apre quella di Giovanni Tamburino, fino a oggi presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Vice dovrebbe essere l’ex direttore del carcere di San Vittore, e attuale provveditore regionale per le carceri lombarde, Luigi Pagano. Ionta lascia il Dap fra ringraziamenti e azioni giudiziarie (Adnkronos) “Ho potuto conoscere in questa esperienza un mondo ricco e variegato che mi ha arricchito e che porterò sempre con me: sicuramente avrei potuto fare di più e meglio ma ogni uomo, anche il più valente, ha i suoi limiti”. È quanto scrive il capo del Dap, Franco Ionta - prossimo a lasciare l’incarico - nel suo saluto rivolto a tutte le componenti dell’amministrazione penitenziaria, alle organizzazioni sindacali e al mondo dell’associazionismo. “Sento il bisogno - spiega subito Ionta - in questo momento così difficile della mia vita professionale, di dire pubblicamente alcuni grazie che ritengo doverosi, anche alla luce di articoli di stampa denigratori e offensivi contro i quali - anticipa - reagirò con tutta la fermezza possibile nelle sedi giudiziarie”. Il suo primo grazie va “al governo che mi ha nominato e al ministro Alfano che mi ha sempre dato la sua fiducia e il suo sostegno nell’arduo compito di gestire il sistema penitenziario nella contingenza più difficile che si è trovato ad affrontare dal dopoguerra”. “Un grazie particolare devo poi alla Polizia Penitenziaria che mi ha sentito quale Capo del Corpo vicino alle loro esigenze, ai loro problemi, alle loro tante quotidiane sofferenze. Un grazie alle persone del mio Staff che sono state al mio fianco nel gravoso impegno di assicurare l’azione amministrativa nel rispetto delle regole e della legalità. Grazie ancora ai Sindacati che in questi anni hanno mostrato lealtà sia pure nella dialettica per il bene dell’Amministrazione e per la salvaguardia dei diritti di tutti i lavoratori. Ancora grazie alle varie componenti del mondo penitenziario che con la loro sagace opera hanno mostrato condivisione del mio progetto volto alla stabilizzazione del sistema e a rendere migliori le condizioni di vita delle persone detenute, nei confronti delle quali ho profuso ogni sforzo per garantire la vita, la salute e la dignità, sia con provvedimenti amministrativi che con sollecitazioni al Ministro e al Parlamento, per adottare, e in molti casi ciò è avvenuto, provvedimenti legislativi volti a favorire la fuoriuscita progressiva dei detenuti verso una vita normale dopo il crimine. Grazie ai tanti uomini e donne in divisa che ho personalmente e senza formalità conosciuto e incontrato nelle visite ai tanti istituti che ho effettuato. Grazie ancora alle tante associazioni di volontariato e di coscienza critica dell’Amministrazione con cui ho sempre avuto rapporti proficui e significativamente emozionanti. Ho potuto conoscere in questa esperienza un mondo ricco e variegato che mi ha arricchito e che porterò sempre con me. Sicuramente avrei potuto fare di più e meglio ma ogni uomo, anche il più valente, ha i suoi limiti. Spero di lasciare un piccolo segno nei vostri cuori. Viva la Polizia Penitenziaria. Viva l’Amministrazione Penitenziaria”. Comunicato della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia (Ristretti Orizzonti) La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia esprime soddisfazione per la nomina di Giovanni Tamburino come Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e di Luigi Pagano come Vice Capo Dipartimento. La loro lunga e fruttuosa esperienza maturata nei rispettivi ambiti professionali, la capacità di lavorare in rete con tutti coloro che gravitano attorno al mondo della pena, il solido e proficuo rapporto con gli Enti Locali ed il Volontariato si configurano come un grande arricchimento per l’Amministrazione, che può così porre le basi per un nuovo corso che privilegi sostanzialmente e fondamentalmente l’attenzione alla persona detenuta, le condizioni della detenzione, le garanzie del rispetto dei diritti e dei bisogni fondamentali, l’implemento del lavoro all’interno ed all’esterno degli istituti, dando quindi vita alle necessarie riforme da porre in essere per l’implemento delle misure alternative. Un nuovo corso, pertanto, che allarghi la prospettiva e lo sguardo ad esperienze e a progetti innovativi capaci di realizzare modelli differenti dall’unico detentivo attuale, differenziati per caratteristiche delle persone ristrette e più consoni alle esigenze della popolazione detenuta. L’auspicio è, inoltre, che venga rivisto sostanzialmente e criticamente il piano carceri nella sua parte dell’implemento dell’edilizia penitenziaria, in modo particolare l’ipotesi del project financing ai privati, investendo invece i fondi destinati sia dall’8 per mille che della Cassa delle Ammende per il potenziamento delle risposte sul territorio, per progetti di risocializzazione, vero volano per la deflazione del sovraffollamento e vera realizzazione delle riforme e delle leggi penitenziarie che hanno disegnato un carcere in linea con il principi costituzionali. La Conferenza Nazionale ribadisce, come sempre, la massima disponibilità alla collaborazione, che si auspica costante e proficua. Ai nuovi vertici, che auspichiamo di incontrare quanto prima, i migliori auguri di Buon Lavoro Elisabetta Laganà, presidente Comunicato del Garante dei detenuti di Firenze, Franco Corleone (Ristretti Orizzonti) Leggo sulle agenzie, sul Sole 24 Ore la notizia di una rivoluzione ai vertici del Dap con la estromissione di Franco Ionta e l’arrivo di Giovanni Tamburino e di Luigi Pagano. Lo stato delle carceri è di eccezionale gravità a causa delle leggi come quella sulle droghe che provocano il cosiddetto sovraffollamento. Occorre un cambio di politica. Non abbiamo bisogno di capri espiatori ma di scelte discusse e condivise. I garanti e le associazioni devono essere coinvolte nel nuovo progetto, se esiste, con assoluta trasparenza. Il cambio di passo deve cominciare dal metodo. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (e anche il Dipartimento antidroga) hanno bisogno di una radicale riforma frutto di un confronto pubblico che potrebbe avere come sbocco la presentazione di candidature tra cui il ministro sceglierebbe con piena responsabilità. Mi pare che per una reale discontinuità l’appuntamento è rinviato. Franco Corleone Giustizia: Ionta lascia il Dap ma replica “la casa di lusso non è mia” di Eleonora Martini Il Manifesto, 3 febbraio 2012 Con l’inchiesta sulle “Carceri d’oro” che L’Espresso pubblica oggi sul numero in edicola, cala il sipario su Franco Ionta, l’ex capo del pool antiterrorismo della procura di Roma che da oggi - se il consiglio dei ministri formalizzerà la decisione della Guardasigilli Paola Severino - sarà sostituito al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ruolo che ricopriva dal 2008 per volere di Angelino Alfano. Al suo posto andrà non un altro pubblico ministero, com’era d’uso negli ultimi tempi, ma l’attuale presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma, Giovanni Tamburino, che al Dap è già passato come direttore dell’ufficio studi e ricerche dal 1999 al 2005. Giudice istruttore negli anni 70 a Padova, condusse inchieste sull’eversione neofascista nel Veneto e anche sul Sid, il servizio segreto della difesa. Fu Tamburino a scoprire l’organizzazione segreta “Rosa dei Venti”, ma i sindacati di polizia penitenziaria - che pure in questi anni hanno più volte criticato Ionta - oggi non sembrano gioire di questa nuova nomina: “Non ci servono teorici del diritto - ha protestato Donato Capece, segretario del Sappe - ma magistrati con esperienze di sicurezza sul campo”. Alla decisione del ministro Severino parrebbe aver contribuito l’inchiesta già anticipata sul sito dell’Espresso che rivelerebbe lo “scandalo” di un mega appartamento di 170 metri quadri su due livelli con terrazzo “in una delle zone più belle di Roma, tra via Giulia e Piazza Farnese” ristrutturato al costo di oltre 400 mila euro e destinato come residenza “di lusso” al capo del Dap, ma mai utilizzato da Ionta. Ma in realtà lo scoop giornalistico sembrerebbe più che altro un pretesto. “Un normale avvicendamento”, l’ha definito la ministra Severino convocando con urgenza mercoledì pomeriggio Franco Ionta che fino a pochi giorni prima sembrava riconfermato al suo posto, malgrado le frizioni con il nuovo esecutivo emerse fin dai primi giorni del governo Monti. Era la fine di dicembre, infatti, quando il consiglio dei ministri lo aveva già sollevato dall’incarico di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, sostituendolo con il prefetto Angelo Sinesio, ex funzionario dell’Amministrazione Civile del ministero dell’Interno. Un ruolo che Ionta aveva svolto con tale entusiasmo da mettere a punto in breve tempo un piano per la costruzione di 20 nuovi padiglioni da aggiungere in alcune delle 206 carceri italiane e di 11 nuovi istituti penitenziari dislocati nei territori “più a rischio”, secondo lo stesso estensore del piano. Un progetto da parecchie centinaia di milioni di euro e per un totale di 9.150 posti detentivi. Insomma il cambio al vertice del Dap sembra sia stato influenzato, più che dagli sprechi sul mega-appartamento di lusso, dallo stesso piano di edilizia carceraria di Ionta che - sussurrano voci di corridoio del Dap - non ha mai fatto breccia nel cuore del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale peraltro ha più volte richiamato l’attenzione sull’emergenza del sovraffollamento carceraria definendolo “una vergogna per l’Italia”. Ieri però Ionta ha comunque emesso una nota per ribattere punto per punto alle accuse dell’Espresso. Nell’appartamento di servizio di cui è destinatario “per ragioni di sicurezza”, spiega, “non ho mai abitato, né vi avrei potuto abitare poiché la disponibilità formale dello stesso data 24 ottobre 2011”. Ionta ricostruisce la storia della ristrutturazione di quelli che una volta erano alloggi “modestissimi”, come conferma al manifesto Sandro Margara che come capo del Dap ci alloggiò nel 1998. Ma erano altri tempi. Poi, secondo l’inchiesta dell’Espresso, quegli alloggi “modestissimi” sarebbero stati trasformati in una mega-casa da casta. Giustizia: se Voltaire entrasse in carcere di Bruno Manfellotto L’Espresso, 3 febbraio 2012 Privilegi, auto blu, sprechi, consulenze agli amici degli amici. L’ennesima casta di apparato cresce a spese nostre e di detenuti che vivono in cella stipati come polli. Se da questo si misura la civiltà di un paese… Scrive un lettore a “l’Espresso” che governi e parlamento non si occupano dello scandalo di carceri disumane per una semplice ragione: delle patrie galere, in fondo, non interessa a nessuno anche perché, sotto sotto, molti italiani, molti elettori - spiega quel lettore - si augurano che il carcerato resti dietro le sbarre e sia trattato male, magari peggio, perché altro non merita. Di fronte a un così agghiacciante sospetto viene alla mente quello che disse due anni fa il deputato leghista Gianluca Buonanno dopo il suicidio di un detenuto, e cioè che se altri avessero seguito il suo esempio non sarebbe poi stato tanto male. Se le cose stessero davvero così, è ancora più encomiabile l’impegno di chi si batte contro carceri stipate come pollai da detenuti in attesa di giudizio, immigrati e tossicodipendenti. Il pensiero corre a Marco Pannella che con i suoi ripetuti scioperi della fame e della sete - sfidando il suo corpo e allo stesso tempo la reiterazione di un gesto radicale che può diventare mal sopportata routine - mette la sua vita a disposizione di una battaglia di civiltà. E naturalmente il pensiero va anche a Giorgio Napolitano che in questi anni non ha perso occasione per spingere governi e parlamento ad affrontare una realtà divenuta insostenibile con parole come queste: “Una situazione che ci umilia in Europa e ci allarma per la sofferenza quotidiana”. Del resto, venerdì 27 gennaio, inaugurando l’anno giudiziario a Catania, è stato lo stesso ministro della Giustizia Paola Severino a ricordare - evocando Voltaire senza citarlo - che è proprio dallo stato delle carceri che si misura il tasso di civiltà e democrazia di un paese. Se prendessimo questo principio alla lettera, l’Italia precipiterebbe nel fondo di ogni classifica, appunto, di civiltà e democrazia. Lo dicono ì numeri e ciò che può vedere chiunque visiti un penitenziario. Mentre il Parlamento ignorava il problema e si occupava di leggi ad personam e di cancellare il falso in bilancio, le carceri si sovraffollavano anche in conseguenza della nuova legislazione sugli immigrati, sul possesso di stupefacenti e sui termini di prescrizione. Così, secondo un rapporto dell’associazione Antigone, le prigioni italiane rinchiudono oggi almeno 26 mila persone in più di quante ne potrebbero sopportare; più prudente, ma poi non tanto, il ministero della Giustizia che ha calcolato in 44mila 218 il numero accettabile di detenuti e in 67mila 593 quelli che realmente vi sono ospitati: almeno 23mila di troppo. Evidenti condizioni di invivibilità provocano morti precoci - quasi 600 dal 2009 a oggi - e un’ondata di suicidi: 72 nel 2009, 66 sia nel 2010 che nel 2011, quattro già nel primo mese del 2012. E neppure questo basta. “L’Espresso” ha svolto una sua inchiesta e, a fronte della realtà che abbiamo appena riassunto, ha anche scoperto un’incredibile voragine di sprechi, privilegi, investimenti mancati, auto blu, consulenze e appartamenti a ministri, politici e amici degli amici. Roba anche qui da casta e da cricca - che sembra aver avuto come unico scopo quello della propria comoda conservazione e non lo svolgimento del proprio dovere - per di più in un ambito che esigerebbe per mandato non solo quella sobrietà divenuta proverbiale al tempo di Monti, ma soprattutto un quotidiano impegno morale e civile. Niente di tutto questo. Qui l’inefficienza sfocia nella mala amministrazione se non nel malaffare, il dovere sociale nel tornaconto personale, l’impegno nella negligenza. Mentre le carceri esplodono. Questo governo - come spiega Ignazio Marino che tanto si è battuto per questa storica conquista -ha avuto il coraggio di chiudere finalmente gli Ospedali psichiatrici giudiziari, quelli che una volta si chiamavano più crudamente manicomi criminali. Speriamo che ora trovi la forza e le risorse per affrontare finalmente lo scandalo delle carceri. Che umilia questo paese e lo regredisce al grado zero della civiltà. Giustizia: galera sprecona… di Lirio Abbate L’Espresso, 3 febbraio 2012 In celle vecchie e sporche 70 mila detenuti. Mentre dirigenti e ministri della Giustizia spendono. Per case, auto blu e privilegi. Il livello di civiltà di un Paese? Per Paola Severino si misura “dallo stato delle carceri”. Il nuovo ministro della Giustizia vuole risolvere il problema del sovraffollamento e delle pessime condizioni di detenzione. E ha promesso di “dimostrare anche ai criminali della massima pericolosità rinoma diversità tra la legalità della nostra democrazia ed ogni forma dì intollerabile arbitrio”. Una sfida che potrebbe cominciare dall’esame di quello che hanno combinato i suoi predecessori. Da più di un anno il numero dei detenuti nei 207 istituti è stabile sui 67-68 mila, cioè 23 mila presenze in più rispetto alla capienza regolamentare. Con continui suicidi di detenuti e agenti penitenziari. Con continue chiusure per ristrutturazioni, o per mancanza di personale che ne fanno diminuire la capienza. Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, nella gran parte dei penitenziari i detenuti vivono in tre in celle di nove metri quadrati, mentre tra le otto e le quindici persone in cameroni dai 10 ai 18 metri quadrati. I predecessori della Severino negli scorsi anni a parole denunciavano il dramma, nei fatti hanno permesso sprechi scandalosi. Dal terrazzo pensile da reggia babilonese del leghista Roberto Castelli alle consulenze per gli amici di Angelino Alfano; dalle Jaguar usate come auto blu, alle ristrutturazioni d’oro per l’alloggio del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. E poi agenti penitenziari “fantasma” imboscati negli uffici, e appalti affidati sempre alle stesse dieci imprese edili. Per non parlare di una società, sulla quale sono in corso accertamenti, che si occupa della mensa in un carcere campano, che ha fissato nell’istituto la propria sede. Un fiume di soldi buttati per privilegi e camarille, mentre nelle celle spesso viene negato il minimo necessario al rispetto della dignità umana. Il ministro verde Anche l’appartamento riservato ai Guardasigilli in carica, una splendida residenza nel cuore di Roma, grava sul budget dei penitenziari (la Severino però non ci abita). Nel 2004 l’allora ministro Castelli pretese un sipario verde e fece allestire in terrazzo una piccola selva: furono acquistate piante per oltre 100mila euro. Nessuno si scandalizzò per la richiesta dell’ingegnere lecchese, che ha finanziato studi e progetti carcerari producendo solo consulenze e cause legali. Il parco continua a prosperare, affidato alle cure di un giardiniere pagato 800 euro al mese. In otto anni sono stati spesi fino ad oggi quasi 78mila euro per rendere più liete le ore d’aria di ministri e ospiti. Alloggi all inclusive Anche alcuni dei vertici del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria da cui dipende la vita dei reclusi, e qualcuno del ministero della Giustizia, non si trattano male. Hanno a disposizione, per decreto legge, ben otto appartamenti. E i contribuenti si tanno carico anche delle governanti: la voce di spesa e inserita come “pulizie” e costa 6 mila euro al mese. Secondo quanto risulta a “l’Espresso”, uno dei massimi dirigenti avrebbe usufruito in alcune occasioni mondane - feste a piccoli ricevimenti privati - anche di un cuoco a domicilio. Alla faccia del rancio distribuito nei raggi. Cinque stelle per il gran capo In una delle zone più belle di Roma, tra via Giulia e piazza Farnese, c’è l’appartamento riservato al capo del Dap. Una dimora di 170 metri quadrati su due livelli con terrazzo, con un valore immobiliare superiore ai tre milioni di euro. Nel 2008 appena nominato al vertice, il magistrato Franco Ionta ne ha subito disposto la ristrutturazione. I lavori furono affidati ad una impresa che di solito esegue lavori nei penitenziari ma qui ha sfoggiato altro lusso: stucchi e persino scale in vetro, il tutto per un costo che ha sfiorato il mezzo milione di euro. Una cifra sproporzionata per il mercato edile romano. Ma il risultato poco importa perché Ionta ha preferito non abitarci: l’appartamento è rimasto vuoto, senza essere assegnato ad altri. Il garage dei desideri In fatto di vetture il Dipartimento penitenziario ha fatto scelte particolari. Nell’autoparco spiccano una Jaguar (auto preferita da una direttrice), una Phaeton Volkswagen da 80mila euro e Bmw full optional. Singolare la scelta di acquistare 70 Subaru dallo stesso concessionario che - secondo quanto risulta a “l’Espresso” - per una coincidenza ne avrebbe vendute altre quattro a prezzi scontati a persone che sarebbero vicine a dirigenti del Dap. Acquisto che è oggetto di un’ispezione interna. Fra gli ultimi arrivi anche 34 Land Rover blindate destinate al trasporto dei collaboratori di giustizia. Ognuna costa 140mila euro e sono super accessoriate: dai sedili in pelle riscaldati al magnifico impianto stereo Harman-Kardon. Piccolo problema: 12 di questi gioielli sono fermi perché non hanno ancora superato il collaudo. Uno spreco niente male se confrontato con la situazione delle prigioni dove scarseggiano i mezzi per il trasporto dei detenuti: da Firenze a Trapani, i cellulari sono rimasti fermi per carenza di benzina o di ricambi. E cos’i in alcune occasioni sono pure saltate udienze e processi anche di mafia. Ma vai al Caga Non è un insulto, ma un privilegio a cui ambiscono gli agenti penitenziari, il Caga, sigla che sta per “Centro amministrativo Giuseppe Altavista” è l’ufficio dei desaparecidos: gli agenti assegnati lì, spariscono negli uffici, sono migliaia i poliziotti provenienti da tutti gli istituti di pena che sono finiti al Caga grazie a raccomandazioni e segnalazioni, sguarnendo l’organico delle carceri e provocando la conseguente riduzione dei posti per i detenuti, nonostante la grande capienza degli istituti. A Rieti, ad esempio, la nuova struttura penitenziaria può contenere 400 detenuti, ma a causa della carenza di agenti ne ospita solo 80. Niente guardie, niente reclusi obbligati a restare in prigioni stracolme. Invece al Caga c’è sempre la fila di agenti perché da lì si imboscano nelle comode stanze del potere: al ministero della Giustizia, dove svolgono ruoli di commesso o assistenti alle varie segreterie dei dirigenti; negli uffici della sede centrale o dì quelle regionali dello stesso Dap e persino al Consiglio superiore della magistratura. Una legione perduta “Al Dap ci sono circa 1.200 agenti imboscati, ma il numero esatto, che potrebbe essere più alto, non lo conosce nessuno. Perché il ministro Severino non lo chiede al capo dell’amministrazione lenta?”. La denuncia arriva da Donato Capece, segretario del Sappe, il maggior sindacato della polizia penitenziaria: “Oltre agli agenti imboscati, negli uffici del Dipartimento sono stati trasferiti pure 56 direttori di carcere, mentre negli istituti mancano. Così se negli uffici del Dap si vive bene, nelle carceri soffrono impiegati, agenti e detenuti. Se ci fossero in organico pure gli “imboscati” si sarebbe potuto disporre, tanto per cominciare, dei 400 posti di Rieti e dare man forte a Regina Coeli e Rebibbia che scoppiano di detenuti e sono poveri di guardie”. Secondo il sindacato su circa 8mila agenti in servizio a Roma, 3mila sono negli uffici. Chiuso per ristrutturazione Le condizioni di manutenzione degli edifici sono “quasi ovunque scadenti” e nel corso degli anni le risorse destinate agli interventi ordinari si sono progressivamente ridotte “fino a rendere impossibile anche forme di intervento minimo di conservazione”. Per questo motivo sono moltissimi gli spazi chiusi per inagibilità o per ristrutturazione straordinaria. Questo problema potrebbe mettere a rischio, secondo quanto apprende “l’Espresso” da fonti del Dap, già nei prossimi mesi 40 mila posti. Oggi sono in attività 207 strutture, un quinto delle quali costruite tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo: monasteri e fortezze soggette a vincoli dei Beni culturali. Più consulenze che celle Il piano varato due anni fa dall’allora ministro Alfano prevedeva la realizzazione di 9.150 posti per una spesa di quasi 700 milioni di euro. Dovevano essere realizzati 11 nuovi istituti e ampliati padiglioni di alcune carceri. Il piano non ha avuto grande successo, tranne che per i consulenti: gran parte dei quali sono stati nominati dal commissario straordinario Franco Ionta su indicazione di Alfano. I cantieri non sono stati aperti: sono partiti solo tre bandi di gara e lo scorso settembre il governo Berlusconi ha revocato il mezzo miliardo, stanziato ma non utilizzato. Per i consulenti invece sono stati bruciati un milione e 300 mila euro. Professionisti che sembrano scaturire in gran parte da un intreccio familiare e politico. Fra i soggetti attuatori del piano, come responsabile della tesoreria è stata nominata la fiorentina Fiordalisa Bozzetti (per sei mesi 100 mila euro), moglie dell’architetto Mauro Draghi, in servizio al Dap e responsabile del gruppo tecnico. Per il settore giuridico è stato scelto l’avvocato palermitano Andrea Gemma (100 mila euro da luglio a dicembre 2010), amico di Alfano, e commissario nominato in altre importanti società come Valtur e Alpi assicurazioni. Infine l’ingegnere Mauro Patti, testimone di nozze di Alfano, nominato soggetto attuatore per il settore tecnico con un compenso di 100 mila euro per sei mesi. Tutti in gattabuia Anche le carceri non pagano la bolletta. Privi di fondi, gli istituti di pena hanno accumulato una morosità record per le forniture di luce, acqua e gas che sfiora i 90 milioni di euro. Rischia di chiudere il carcere di Cuneo perché da mesi non paga il canone idrico e la società che la eroga si è già mossa con decreti ingiuntivi: l’ultimo passo prima di tappare i rubinetti. Affitti d’oro In compenso, le sedi regionali del Dipartimento, e in particolare l’Uepe (Ufficio esecuzioni penale esterna) sono tutti in affitto per una spesa complessiva di 5 milioni e 800 mila euro. Dai documenti ottenuti da “l’Espresso” si nota che per alcuni immobili si paga un canone doppio rispetto al valore di mercato. In alcuni casi è stato moltiplicato anche cinque volte, come a Palermo dove per 200 metri quadrati al piano ammezzato in via Damiani Almeyda, il Dap paga 5.242 euro al mese, quando nella stessa zona alloggi dì lusso vengono affittati a 1.500 euro. La proprietaria è la signora Lorenza Pisciotta che possiede molti immobili in città. A Roma, invece, per un grande appartamento in via Ostiense di proprietà della Finimvest III, società lussemburghese, il canone annuo è di 254 mila euro. A Bologna gli uffici del provveditorato e quelli dell’Uepe costano ogni anno 367 mila euro. La società Sicily Real estate srl incassa per due uffici a Catania 133 mila euro; a Catanzaro si spendono 171 mila euro. Carceri liberalizzate La soluzione scelta dal governo Monti può suonare come un controsenso: liberalizzare le carceri. Lo Stato si affida a banche e imprenditori per avere nuovi penitenziari e li incarica anche della gestione dei servizi, tranne la custodia. L’operazione, suggerita dal ministero delle Infrastrutture, prevede il project financing per la realizzazione di nuove prigioni. Una norma particolare che, secondo un pm antimafia, “rischia di esser violata dall’infiltrazione della criminalità organizzata che andrebbe a gestire le carceri”. Di fatto, però, il decreto mette nelle mani delle fondazioni bancarie il sistema carcerario. I privati, quindi, realizzeranno gli istituti di pena che daranno in concessione allo Stato per 20 anni. E dallo Stato si faranno pagare cento euro al giorno per ogni detenuto. Oggi costa all’amministrazione 120 euro, di cui cento per la custodia e i servizi amministrativi (che dovranno continuare ad essere assicurati dallo Stato), e 20 euro per il vitto e l’alloggio. Se non cambieranno questi parametri, la collettività si ritroverà a pagare 200 euro per ogni detenuto. Una soluzione, forse, ma a caro prezzo. Giustizia: finalmente via gli Opg, ma il difficile viene ora di Maria Antonietta Farina Coscioni Europa, 3 febbraio 2012 La decisione non può, evidentemente, che rallegrare: entro, e non oltre, il 31 marzo del prossimo anno tutti gli Ospedali psichiatrici giudiziari in Italia saranno chiusi. I detenuti, 1500 persone circa, saranno trasferiti in centri, finalmente, adeguati alla cura delle patologie che li affliggono. Avrà così finalmente fine quello che il presidente della repubblica Napolitano ha definito “l’estremo orrore dei residui Opg, inconcepibile in qualsiasi paese appena civile”. Gli Opg sono un luogo di indicibile sofferenza. Nel corso delle mie visite ispettive sono venuta a conoscenza di una quantità di storie penose e atroci: un uomo di 58 anni, rinchiuso da otto nell’Opg di Aversa, che con un lenzuolo si impicca; aveva saputo che la sua pena era stata prorogata ancora una volta e che, nonostante da tempo fosse stato giudicato non più “socialmente pericoloso”, sarebbe rimasto rinchiuso lo stesso; un altro caso, quello di M., 30 anni: nel 2004 è arrestato per aver guidato contromano con il motorino. Finito in un Opg, di proroga in proroga sono passati sei anni. La questione, insomma, non può essere risolta con un mero tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé. È vero: per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità è annullata. Il parlamento ha fatto un importante passo verso la chiusura; ma ora? Esperti e personale sanitario che ho consultato per la realizzazione del mio Matti in Libertà. L’inganno della legge Basaglia, unanimi mi hanno detto che per circa il 40 per cento degli internati la pericolosità sociale non c’è, potrebbero uscire. Il problema è che i magistrati di sorveglianza non sanno dove mandarli; per questo prorogano all’infinito la loro permanenza. Manca, insomma, quella rete di assistenza e sostegno indispensabile perché il malato non si trovi abbandonato a se stesso. Si pensa, si ipotizzano strutture territoriali a carico del Sistema sanitario nazionale. Con quali risorse, energie, mezzi? Il rischio che pavento, è quello di una replica di quanto avvenne alla fine degli anni ‘70, quando si varò frettolosamente quella che poi è diventata per tutti la “legge Basaglia”, unicamente per evitare il referendum radicale con il quale si intendevano abrogare alcune parti della vecchia legge manicomiale del 1904. Una “riforma” che lo stesso Basaglia criticò duramente: “Attenzione alle facili euforie. Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi del malato di mente...Negli ospedali ci sarà sempre il pericolo dei reparti speciali, del perpetuarsi d’una visione segregante ed emarginante...”; aveva ben presente che - lo diceva nel 1978 - era necessario lottare per superare i “tanti aspetti farraginosi, ambigui, contraddittori di questa legge perché siano portati alla ribalta e corretti”. E ci metteva in guarda dal fatto che un episodio drammatico, un comportamento di estrema violenza di un malato, enfatizzato (e magari strumentalizzato) dalla stampa, poteva farci riprecipitare indietro, azzerare tutto il buono che si è riusciti a fare finora. Occorre, insomma, trovare dei contravveleni alle mille speculazioni che non si mancherà di porre in essere. Psichiatria Democratica, che da sempre si batte per il superamento di queste istituzioni, attraverso i suoi dirigenti, Luigi Attenasio, Cesare Bondioli ed Emilio Lupo ci mette in guardia dai facili entusiasmi. Non ci si nasconde che la nuova fase è l’inizio di un percorso non privo di difficoltà e ostacoli; forti dell’esperienza maturata elencano punti che ritengono indispensabili: 1) Individuare nella Conferenza stato-regioni il fulcro ed il punto di raccordo dove incardinare i programmi operativi degli attuali sei Opg da chiudere. 2) Assicurare risorse economiche certe, stabilizzando in bilancio anche i fondi erogati dal ministro della salute e quelli provenienti dal ministero di giustizia, vincolando parte delle attuali risorse della Cassa ammende. 3) Assicurare il ruolo centrale dei Dsm territoriali, nel definire e attuare i progetti individualizzati di dimissione per ciascuna persona internata, coinvolgendo famiglie, istituzioni, enti locali. Non solo. Elenco alcuni “nodi” che attendono di essere sciolti. a) Occorre metter mano a una riforma degli articoli del codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg, e quindi, d’ora in poi, l’invio alle nuove “residenze psichiatriche”. Residenze non meglio qualificate, il cui numero dovrà stabilito dalle regioni (sulla base di quali criteri?). b) È fin troppo facile prevedere la moltiplicazione di queste residenze, ciascuna delle quali doveva essere inizialmente dotata di 20 posti letto: numero poi scomparso, in sede di definitiva approvazione del decreto in aula. L’allestimento di “nuove residenze psichiatriche”, che si potranno supporre più appropriate sotto il profilo logistico, e più assistite sotto il profilo sanitario, legittimerà le varie istanze sanitarie e giudiziarie ad abbassare la soglia di accesso ai nuovi surrogati degli Opg. E mentre è facile prevedere un notevole aumento del numero degli internamenti, nulla garantisce che l’abnorme sistema di proroghe delle misure di sicurezza, attualmente utilizzato, venga a cessare. c) La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, riconsegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il nesso cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode. d) Si continua a non stabilire garanzia alcuna per l’internato, a differenza del regime carcerario, in cui quanto meno una serie di garanzie per i detenuti - in primis la certezza di fine pena - esistono in misura molto articolata. In altre parole, si rifondano nel 2012 misure specifiche per i “folli rei”: da un lato si ribadisce un nesso inaccettabile, riproponendo uno stigma di carattere generale; dall’altro ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. Il ministro della giustizia Severino ha assicurato che i malati socialmente pericolosi non saranno lasciati liberi, mentre quelli non particolarmente pericolosi saranno sorvegliati discretamente da agenti penitenziari e da infermieri. Bisogna però uscire dal vago, definire percorsi, risorse, mezzi. Troppe volte abbiamo visto ambiziose riforme naufragare per la mancata attuazione delle necessarie strutture. Giustizia: quei detenuti sono prima malati di Ignazio Marino L’Espresso, 3 febbraio 2012 Una riforma deve essere meditata ed attuabile. Certo deve esserlo la riforma di un sistema complesso come quello degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). La loro chiusura nel marzo 2013, prevista dai nuovo decreto sulle carceri, è stata giudicata avventata e irresponsabile da alcuni: da altri, il frutto acerbo di un mancato confronto con gli esperti del mondo psichiatrico e giudiziario. È vero, i tempi perché le Regioni approntino soluzioni alternative agli attuali manicomi criminali, possono apparire strettì. Ma troppo lunghi sono stati gli ultimi trent’anni, passati da molti a tentare di illuminare quel cono d’ombra lasciato dalla legge voluta da Franco Basaglia nel 1978. La cosiddetta 180, fondamento dei moderni metodi di cura psichiatrica in Italia, non aveva infatti sciolto il nodo dell’assistenza e della tutela delle persone che, ammalate di patologia psichiatrica, avevano commesso un reato. Trent’anni che diventano più di ottanta, se si guardano le fotografie sbiadite che ritraggono il ministro delia Giustizia Alfredo Rocco mentre inaugurava uno dei primi manicomi criminali italiani nei 1925. Il Senato ha approvato pochi giorni fa la proposta di riforma. Se la Camera confermerà tale orientamento, che cosa accadrà da qui al 31 marzo 2013? Gli ospedali psichiatrici giudiziari diverranno ciò che non sono mai stati: veri luoghi di cura. Nuove e diverse strutture al posto delle vecchie, degradate e fatiscenti, che saranno definitivamente chiuse. Perché non è tollerabile un ospedale in cui bisogna scegliere se usare l’acqua per il sistema antincendio o per lo sciacquone dei bagni; dove le lenzuola non vengono cambiate per settimane e. a volte, sono gli stessi operatori a portarle generosamente da casa; dove in inverno il riscaldamento non funziona; dove l’assistenza medica viene gestita da un infermiere ogni trenta internati e l’assistenza psichiatrica viene garantita per meno di trenta minuti al mese. Ma dove finiranno quelle persone? Al posto degli Opg sorgeranno piccole strutture da 30 o 40 posti letto, dotate di tutta l’attrezzatura necessaria per l’assistenza ai pazienti, con infermieri, medici, psichiatri ed esperti di riabilitazione che possano finalmente fare il loro mestiere: curare la mente e il corpo. Non è stata sottovalutata, tuttavia, la necessità dì garantire la sicurezza, per cui all’esterno dei centri di cura la sorveglianza sarà assicurata dalla polizia penitenziaria. Questa riforma sarà finanziata con 273 milioni in due anni, di cui 180 destinati alla realizzazione dei nuovi luoghi di cura e 93 all’assunzione di personale qualificato. Negli attuali Opg, secondo i dati della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario, ci sono circa 1.400 persone di cui più di 900 riconosciute ancora pericolose per sé e per gli altri: saranno loro ad essere trasferite nelle nuove strutture. Altre 500 circa, invece, sono ritenute non più socialmente pericolose e hanno il diritto di uscire ma, di fatto, non riescono a varcare la soglia dell’Opg, dove alcuni sono chiusi contro la legge anche da trent’anni. Veri ergastoli bianchi. Non hanno un posto dove andare e continuano ad aspettare che lo Stato, la Regione o il Comune si ricordi dì loro e li accolga in una struttura. Per loro deve valere un principio essenziale, affermato dalla Corte costituzionale: le esigenze di tutela della collettività non possono mai giustificare misure tali da recare danno alla salute del malato, quindi la permanenza negli ospedali psichiatrici giudiziari che aggrava la salute psichica dell’infermo non può proseguire. Queste persone dovranno essere dimesse e assistite sul territorio dai dipartimenti di salute mentale. Parliamo di meno dì venticinque persone, in media, per Regione. Non è una missione impossibile, ma se tale si dovesse rivelare per alcune Regioni, lo Stato interverrà, individuando una soluzione per ciascun paziente. Ecco cosa vuol dire chiudere gli Opg. Una sanità degna di questo nome e la garanzia di una sorveglianza esterna, nel pieno rispetto della comunità e delle vittime dei folli autori eli reato. Questa non è una riforma “per i criminali”, come qualche senatore della Lega ha urlato. È una riforma per tutti noi, per riconoscerci in uno Stato che offre il rispetto che chiede. Perché la malattia mentale non resti uno stigma de! quale avere paura. Giustizia: sondaggio Swg; 77% degli italiani considera problema delle carceri prioritario www.clandestinoweb.it, 3 febbraio 2012 L’emergenza carceri finisce in un sondaggio dell’Istituto di ricerca Swg che indaga quanto sia sentita come priorità da parte degli italiani. La domanda posta agli intervistati è: “Si parla molto del sovraffollamento delle carceri e della necessità di affrontare questo problema. Con chi sostiene che per il Paese si tratta di una vera priorità alla quale vanno dedicate molte risorse lei è….” La maggior parte degli italiani è d’accordo con questa affermazione (62%). Di questi una percentuale del 13% si dice “del tutto d’accordo” e considera la risoluzione del problema penitenziari una priorità assoluta da risolvere. In disaccordo, secondo lo studio condotto dall’Istituto di ricerche Swg, il 25% e “del tutto in disaccordo” il 13%. Scorporando il dato a seconda dell’orientamento politico degli intervistati emerge che: ad essere più sensibili al problema carceri sono gli elettori di centrosinistra (77%); seguiti da quelli del Terzo polo (76%). Quelli del centrodestra lo considerano un problema prioritario nel 48% dei casi. (altro/non collocati si reputano d’accordo al 58%). Giustizia: magistrato “dimentica” detenuto in cella per 127 giorni, prosciolta dal Csm Adnkronos, 3 febbraio 2012 Il giudice Jole Maria Celeste Milanesi è stata prosciolta dalla sezione disciplinare del Csm dall’accusa di aver omesso di controllare con “negligenza inescusabile” i termini di scadenza della carcerazione di un detenuto, con la conseguenza che è rimasto in carcere 127 giorni in più del dovuto. La decisione accoglie la richiesta di non luogo a procedere avanzata sia dal procuratore generale della Cassazione sia dal difensore, l’avvocato Giuliano Pisapia. Celeste Milanesi era accusata dal ministro della Giustizia di aver omesso “il controllo sulla scadenza del termine di durata della misura cautelare applicata” a uno straniero condannato a 2 anni e 4 mesi, che avrebbe dovuto essere scarcerato il 17 aprile 2007, ma che è rimasto detenuto fino al 25 luglio successivo. Ma la colpa, secondo il Csm, è “di una lacuna del regolamento di organizzazione del giudizio direttissimo all’epoca in vigore”. Giustizia: Cassazione; stupro di gruppo, custodia cautelare in carcere non è obbligatoria di Alessandra Arachi Corriere della Sera, 3 febbraio 2012 Per i ragazzi del branco imputati di stupro non si devono spalancare le porte del carcere. Non necessariamente. Il giudice può applicare misure cautelari alternative, se lo ritiene opportuno. Anche gli arresti sotto il tetto di casa, per esempio. Lo ha stabilito ieri la Corte di cassazione. E ha spalancato, quelle sì, le porte delle polemiche. Di tutte le donne, con una trasversalità che non ha guardato l’appartenenza politica. In punta di diritto, per capire questa sentenza bisogna andare a vederne un’altra, quella della Corte costituzionale del 2010, la numero 265. Fu con quel pronunciamento che la Consulta decise che per il singolo stupratore non era obbligatorio il carcere. E affossò così il decreto presentato nel febbraio del 2009 dall’allora ministro degli Interni Roberto Maroni e rapidamente trasformato in legge dal Parlamento. C’era stata una escalation di stupri, in quei mesi. Un allarme sociale che aveva fatto scattare la protezione politica. Per questo in quel decreto legge si diceva, chiaro: per i delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni non è consentito al giudice di infliggere misure cautelari diverse (e meno afflittive) del carcere. Un’esultanza femminile in Parlamento, e fuori. Durata poco. L’anno dopo l’accetta dei giudici togati. Ieri il verdetto della Suprema corte. C’è uno stupro di una ragazzina in un paese vicino Frosinone, alla base della nuova sentenza, il Tribunale del riesame di Roma non aveva esitato, al momento: aveva confermato il carcere ai due autori della violenza sessuale. Del resto la sentenza della Consulta non aveva parlato del branco. Lo ha fatto ieri la Cassazione. “E ha emesso una sentenza impossibile da condividere”, sbotta Mara Carfagna, oggi deputato del Pdl, ieri ministro delle Pari opportunità che aveva sostenuto a spada tratta il carcere per gli stupratori e consegnato il suo disegno di legge in proposito nelle mani del collega Maroni. Dice ora Mara Carfagna: “Le aggravanti per i reati di violenza sessuale furono introdotte proprio per evitare lo scempio della condanna senza un giorno di carcere per chi commette un reato grave come questo. Il messaggio era chiaro: tolleranza zero contro la violenza sulle donne, che non è un reato di serie B”. Le parole di Mara Carfagna sono soltanto la stura a un profluvio di polemiche che da sempre in tema di violenza sessuale ricompattano le donne di ogni parte politica. E infatti anche Barbara Pollastrini, Pd, già ministro delle Pari opportunità con il governo Prodi, è schizzata contro una sentenza che ha definito “lacerante”. Ha detto: “Bisogna capire che il punto non è volersi vendicare, ma poter avere fiducia che si compia sino in fondo giustizia”. Alessandra Mussolini, deputata Pdl, non usa mezzi termini: “È aberrante applicare misure alternative al carcere per lo stupro di gruppo. La Cassazione ha lanciato una bomba a orologeria pronta a esplodere”. Alla Mussolini fa eco la sua collega di partito, Barbara Saltamartini che per definire la sentenza usa proprio lo stesso termine “aberrante”. E subito dopo aggiunge: “In questo modo si violenta doppiamente la vittima di un abuso così atroce”. È un’eco che rimbalza sulla bocca di Teresa Bellanova, Pd: “Questa sentenza rischia di vanificare lo sforzo sovrumano di tante donne che, credendo fermamente nella giustizia, hanno avuto il coraggio di denunciare e di ripercorrere quel percorso di dolore”. Maroni: così si lasciano più sole le vittime Roberto Maroni era ministro dell’Interno in quei mesi a cavallo fra il 2008 e il 2009. Di violenza sessuale si parlava tutti i giorni sulle pagine dei giornali. Cerano stupri a ripetizione. Orribili. Chissà se si era generato un processo di emulazione. Comunque un fenomeno che il governo volle prendere di petto subito. Racconta adesso il leghista Maroni: “Quando nel febbraio del 2009 mi presentai a Palazzo Chigi con il pacchetto sulla sicurezza, dentro ci avevo messo anche lo stalking e quell’aggravante sull’obbligatorietà del carcere per il reato di violenza sessuale. Aveva voluto tutto Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità”. Un decreto legge che diventa legge rapidamente e che altrettanto rapidamente perde la sua validità: la Corte costituzionale allargò le maglie e concesse agli imputati di stupro di poter usufruire di misure cautelari alternative. “E adesso la Corte di cassazione ha esteso questo beneficio agli autori di stupro in branco”, scuote la testa Roberto Maroni. Poi dice: “Non posso che giudicare questa sentenza come una sentenza brutta. Di più: pericolosa. Perché dopo questa sentenza si profilano due rischi, tutti e due molto gravi: che gli stupratori si sentano legittimati a compiere il reato. E che le donne abbiano paura a denunciarli, temendo le loro ritorsioni”. La voce maschile dell’ex ministro dell’Interno è in perfetta sintonia con le voci femminili che trasversalmente, in un coro, ieri hanno condannato in toto questa sentenza della Suprema corte. Si sono dovuti aspettare decenni perché una legge dello Stato stabilisse che il reato di violenza sessuale fosse considerato un reato contro la persona. Fino ad appena vent’anni fa era rimasto in vigore in Italia il codice Rocco (fascista) che relegava a reato contro la morale uno stupro nei confronti di una donna. Un reato che ha fatto sempre discutere. Soprattutto per le sentenze delle Corti. Quella sui blu jeans, è forse la più emblematica. Come è successo ieri questa sentenza riuscì a ricompattare in un solo fronte tutte le donne di ogni estrazione politica: la Consulta stabilì che una donna che indossava i jeans non poteva essere considerata una donna stuprata. “Adesso però sarà bene che i ministri della Giustizia e dell’Interno prendano un’iniziativa legislativa per intervenire dopo questa sentenza della Corte di cassazione”, dice con convinzione Roberto Maroni. E spiega: “Se si lasciano le cose così si fanno troppi passi indietro. Se non si propone un’altra legge finirà che Caino vincerà su Abele”. Alessandro Pace: la Carta più importante del pacchetto sicurezza “La pressione dell’opinione pubblica non deve indurre in errore il legislatore, mandando il presunto colpevole in carcere senza processo. La Costituzione è più importante dei pacchetti sicurezza”. Insomma, niente grida manzoniane, che poi alla fine si risolvono in nulla, creando aspettative infondate tra la gente. Decreti che promettono il classico giro di vite giudiziario “impossibile” perché “insostenibile” in base ai principi della nostra Carta fondamentale. Alessandro Pace, costituzionalista, professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, fondatore dell’Associazione dei costituzionalisti italiani, avvocato, spiega perché la Corte costituzionale nella sentenza 265 dell’anno 2010 ha “smontato” il decreto Maroni del 2009 che prevedeva il carcere obbligatorio per chi era sospettato di reati particolarmente odiosi, e in particolare violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo, prostituzione minorile e pedopornografia, turismo sessuale. Per questo genere di reati prima della sentenza della Corte costituzionale bastava una denuncia non palesemente infondata per far scattare il regime carcerario. Adesso non più, dal momento che la Cassazione ha “applicato” quella sentenza a un caso concreto, facendo scuola. Professor Pace, quali sono i principi stabiliti dalla Consulta? “Bisogna dire chiaramente che si tratta di principi ribaditi dalla Corte nel 2010, ma che sono stari sempre costantemente affermati nel corso dei decenni dalla giurisprudenza costituzionale”. Ad esempio? “La presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva e l’impossibilità che consegue dall’articolo 27, secondo comma della Costituzione (che questa presunzione di non colpevolezza prevede) “di assimilare la coercizione processuale penale alla coercizione propria del diritto penale sostanziale”. In sostanza il carcere preventivo non può essere un’anticipazione della pena. Il che vuol dire che la pressione dell’opinione pubblica non deve indurre il legislatore a mandare il presunto colpevole in carcere senza processo”. Se la Costituzione è più importante dei pacchetti sicurezza perché le nostre carceri sono piene in gran parte di detenuti in attesa di giudizio? “Naturalmente la Costituzione è più importante. E la Corte l’ha sempre sostenuto, già nella sentenza 64 del 1970, e poi ancora nella sentenza numero 1 del 1980. Entrambe richiamate nella sentenza 265 del 2010. È un grande dolore vedere le carceri piene di detenuti in attesa di giudizio. In ogni caso deve essere il giudice a valutare se esiste il pericolo di fuga o di inquinamento delle prove. Invece nel pacchetto Maroni il carcere era previsto obbligatoriamente per le violenze sessuali e gli altri reati”. Ci sono però i reati di associazione mafiosa per cui il carcere preventivo è di rigore... “Si tratta di un’eccezione alla regola generale, ma per questo non può essere estesa ogni volta che c’è una pressione dei mass media. Del resto nell’associazione mafiosa il carcere serve a “bloccare” il ripetersi del reato, rompendo il vincolo associativo: non equivale a comminare una pena senza processo. È questo il pericolo negli altri casi. Posso aggiungere una mia valutazione”. Quale? “Ormai non c’è più solo il carcere senza processo, siamo arrivati alla gogna mediatica senza processo. Come avviene il lunedì sera nel salotto di Vespa. Vede, quel povero comandante Schettino è già colpevole di tutto quello che è successo senza che ci sia stata neppure la sentenza di primo grado”. Giustizia: intervista a Saltamartini (Pdl); no all’amnistia, ridurre carcerazione preventiva di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 3 febbraio 2012 In linea di principio sono contrario all’amnistia. Lo ha detto alla “Voce Repubblicana” il senatore del Pdl Filippo Saltamartini. Senatore Saltamartini, cosa pensa della situazione del sistema penitenziario? “Io ho una visione molto negativa del sistema penitenziario italiano. Anche per i miei trascorsi professionali, posso dire che il carcere italiano è criminogeno in sé. Il sistema penitenziario è una vera e propria università del crimine. Secondo il mio giudizio dovremmo intervenire con leggi di depenalizzazione, soprattutto limitare mollo la custodia cautelare. Peraltro, la lunghezza dei processi comporta che, quando una persona viene incarcerata, è cambiata. Un procedimento giudiziario di sei o sette anni è un affare molto complicato. Anche come sindaco, devo dire che il mio ente ha sempre cercato di aiutare e sostenere coloro che si sono trovati in una condizione di difficoltà. Io non riesco a capire come un problema così vasto, come quello del reinserimento sociale dì una persona che ha scontato la sua pena, non possa essere affrontato con la cooperazione delle Provincie, dei comuni e delle Regioni. Non è pensabile che questi temi siano confinati solo al sistema giudiziario italiano. In un sistema federale tutti devono farsi carico di questi problemi”. Cosa pensa del decreto svuota carceri? “Io sono contrario all’applicazione della norma per cui, in caso di arresto in flagranza, ci debbano essere gli arresti domiciliari. Io sono uno di quei senatori che ha richiesto a gran forza l’emendamento, poi approvato, che prevede la presenza del giudice d’udienza tutti i giorni. Se questo provvedimento passerà alla Camera, avremmo tutti i giorni un giudice d’udienza. Se passerà questo emendamento, ci sarà l’applicazione del cosiddetto Bill of right che prevede per il cittadino la possibilità di essere portato davanti ad un giudice per stabilire la limitazione delle libertà individuali. Quindi, in questo provvedimento, si può ragionare se predisporre, in attesa dell’udienza dal giudice, una sala dove tenere questa persona accusata per garantire fino all’udienza la sua libertà personale, hi questo caso noi saremmo riusciti a coniugare due esigenze: ta sicurezza e la giustizia”. La polizia può svolgere funzioni custodiali? “Ho lavorato tanti armi in molti commissariati. Questo compito può essere svolto dalla polizia. In questa funzione si intersecano funzioni investigative e custodiali che non possono essere svolte contemporaneamente da chi svolge le indagini sul caso in questione. Questo lo dico per l’interesse della difesa e non per altro”. L’amnistia? “Io sono, in linea di principio, contrario all’amnistia. Si possono valutare una serie dì articoli che permettono ai magistrati, in caso di procedimenti indiziari, di evitare la carcerazione preventiva” Giustizia: minori; 1.200 detenuti in Istituti penali e 2mila nei Centri di prima accoglienza Dire, 3 febbraio 2012 Ben 2.293 ingressi nei centri di prima accoglienza a seguito di arresto, fermo o accompagnamento; 1.224 ingressi negli istituti penali per minorenni, con una presenza media giornaliera di 482 ragazzi; 1.831 collocamenti nelle comunità e 13.500 minori non presenti in strutture residenziali (Cpa, Ipm, Comunità), ma seguiti comunque dagli uffici di Servizio sociale. Questi i dati forniti dal Dipartimento per la giustizia minorile, nel periodo dicembre 2010 - novembre 2011, e forniti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Le cifre mostrano un aumento della presenza di minori italiani rispetto agli stranieri, sia nei Centri di prima accoglienza che negli istituti penali. I minori stranieri provengono in maggioranza dall’Est europeo e dal Nord Africa. Nel 93% dei casi si tratta di ragazzi maschi che hanno un’età compresa tra l 16 e i 17 anni. Tra i reati contestati il 60% riguarda quelli contro il patrimonio (furti e rapine), mentre le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze coinvolge il 10% dei fermati. In generale il 18% dei reati ha a che fare con lesioni personali volontarie. Le grandi città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Firenze e Catania, registrano il maggior numero di ingressi nei centri di prima accoglienza, mentre l’80%, dei collocamenti nelle Comunità avviene nelle strutture del privato sociale, data l’esiguità dei posti nelle comunità dell’amministrazione della Giustizia. I provvedimenti di messa in prova sono aumentati e sono stati rivolti per il 40% dei casi a giovani adulti. La giustizia minorile è stata esercitata rafforzando la collaborazione con gli Enti e le Amministrazioni locali e con il Terzo settore, con il mondo dell’associazionismo e dell’imprenditoria. Gli interventi di mediazione penale si sono caratterizzati sempre più positivamente per la valenza sociale ed educativa. Lettere: la percezione di sicurezza e la sicurezza nelle carceri di Susanna Marietti www.linkontro.info, 3 febbraio 2012 Mentre il Partito Democratico si preoccupa della percezione della sicurezza da parte dei cittadini romani governati dall’amministrazione Alemanno, dimostrando così di scendere ancora una volta sullo stesso terreno infido utilizzato da ogni destra per guadagnarsi piazze di consenso, nessuno dice niente sulla “percezione” di calci, pugni e altre amenità varie da parte di due detenuti che originalmente (di solito non si usa) hanno avuto il coraggio di denunciarli. Di queste storie, si sa, si parla poco. Il caso Cucchi è una parentesi già dimenticata, visto che il processo va avanti in queste ore lontano dall’attenzione di chiunque. Ci proviamo noi, in un piccolo giornale indipendente, a raccontarvi in due parole l’accaduto. E soprattutto il recentissimo epilogo. Claudio Renne e Andrea Cirino nel 2004 erano detenuti nel carcere di Asti. A seguito di una lite con un agente di polizia penitenziaria, i due sono stati portati in una cella di isolamento e qui, usando la parola tecnica precisamente definita dalle Nazioni Unite, torturati. La parola non esiste tuttavia nel codice penale italiano, e diremo allora che i due uomini sono stati maltrattati. Per vari giorni vengono tenuti in pieno inverno in una cella senza vetri alle finestre. Di tanto in tanto i poliziotti entrano e danno una ripassatina. A uno dei due viene strappato di netto il codino nel quale raccoglieva i capelli. Il poliziotto offrirà poi il trofeo a un amico “per appenderlo all’albero di Natale”. Cinque agenti vengono rinviati a giudizio. L’associazione Antigone chiede la costituzione di parte civile. Il giudice la accorda, riconoscendo così che i fatti in questione hanno una rilevanza sociale che travalica quella degli stretti soggetti coinvolti. L’eventualità di venire torturati quando si è nelle mani dello Stato è qualcosa da cui qualunque cittadino deve sentirsi al sicuro (percezione di sicurezza…). Le udienze si susseguono veloci, il giudice sembra intenzionato a non rischiare la prescrizione. Si lavora anche durante il periodo natalizio. La situazione in aula è tesissima. Alla fine del mese scorso arrivano le richieste dell’accusa per quattro dei cinque imputati. Pesanti. Almeno per le usanze italiane. Vanno dai due anni ai tre e mezzo. Pensando a quanto hanno preso i massacratori di Federico Aldrovandi, il pubblico ministero è andato giù duro. E arriva finalmente il giorno della sentenza. Tutti assolti. E voilà. Qual è il trucco del giudice prestigiatore? Presto detto: la tortura in Italia non è reato; quel che due dei quattro poliziotti hanno compiuto non è stato un maltrattamento bensì un abuso di autorità. Dunque: tempi di prescrizione già superati. E veniamo agli altri due, dove l’abilità illusionista è stata ancora maggiore: per loro si è trattato di lesioni personali lievi (e che ci vuole a far ricrescere un codino?). E allora il processo non doveva proprio cominciare, perché questo reato è perseguibile solo a querela di parte. Tutto il processo, insomma, è stato un’illusione! Ma non lo si poteva decidere mesi fa, quando invece si andò al dibattimento? Non c’erano già allora le perizie mediche e tutto il resto? Quanti soldi lo Stato ha gettato al vento in questo strano cambiamento di opinione del giudice di Asti? E cosa sarà accaduto nel frattempo, da quando le udienze venivano fissate a tambur battente a quando tutto si è risolto nel niente? Strane cose. Un modo di operare che ha esempi non illustri in giro per l’Europa, quello di derubricare i reati a scopi assolutori. Se mai riusciremo a introdurre il reato di tortura in Italia, come l’Onu pretende da decenni in ottemperanza ai nostri impegni internazionali, quante volte lo vedremo davvero utilizzare? Teramo: detenuto di 38 anni si impicca, un altro viene salvato dalla polizia penitenziaria Ansa, 3 febbraio 2012 Un detenuto di origini siciliane si è ucciso impiccandosi, nel pomeriggio di ieri nel carcere di Castrogno. Si chiamava Gianfranco Farina e aveva 38 anni. Avrebbe finito di espiare la pena nel 2017 per reati di mafia. L’uomo verso le 17 di ieri ha tagliato alcune strisce del lenzuolo del suo letto e le ha assicurate alle sbarre della finestra, lasciandosi poi cadere da una sedia. Il suicidio è avvenuto in presenza del compagno di cella del detenuto che però, inspiegabilmente, non si è accorto di nulla. Quando è stato dato l’allarme non è stato possibile fare nulla per il detenuto, che era già senza vita. Il tempestivo interventi degli agenti di polizia penitenziaria, è stato provvidenziale invece la scorsa notte per salvare invece la vita a un altro detenuto, M.P., teramano ventenne, rinchiuso nella sezione tossicodipendenti che ha tentato il suicidio anche lui impiccandosi. È accaduto dopo la mezzanotte: in questo caso, gli agenti sono intervenuti e hanno strappato dalle sbarre il giovane, soccorrendolo: è fuori pericolo di vita. Comunicato stampa di Giulio Petrilli (Pd L’Aquila) In una giornata così fredda, dove la neve cade copiosa come da tanti anni non accadeva e da un verso può procurare disagi ma da un altro dà un grande senso di libertà. Forse un po’ anche per chi è recluso, ma non per chi non riesce più a reggere la vita dentro carceri inumane, totalmente inadeguate ai minimi principi del rispetto dei diritti umani. Il carcere di Teramo è uno di questi, dove il sovraffollamento raggiunge quasi il doppio della capienza abilitata, dove la vita scorre senza senso, senza una minima prospettiva di reinserimento e il tempo non passa mai e non puoi alzarti dal letto perché non hai lo spazio per stare in piedi, per camminare. Dove per tanti l’unica libertà possibile è il suicidio e molti scelgono questa soluzione. Ieri sera, in quel carcere un altro detenuto si è suicidato e uno è stato salvato in extremis. Il Ministro della Giustizia Severino, all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha detto che la civiltà di una nazione si giudica dallo stato delle proprie carceri. Quelle italiane si trovano ad un livello di degrado molto forte, alcuni provvedimenti stanno per essere presi dal parlamento, ma bisogna costruire una prospettiva radicalmente nuova per la vita dentro le carceri. Primo un provvedimento di amnistia che alleggerisca la situazione e secondo investire in strutture idonee e vivibili, chiudendo le tante carceri fatiscenti tuttora operative. Un piccolo passo questo che potrebbe salvare la vita a tante persone che già pagano con la privazione della libertà personale. Nella nostra regione, la situazione delle carceri non è dissimile da quella nazionale, ma le carceri di Sulmona e Teramo sono tra quelle in Italia che hanno avuto più suicidi. Un dato che deve far riflettere e richiede anche un intervento delle istituzioni locali a iniziare dalla Regione. Genova: detenuto 24enne muore dopo aver inalato gas; suicido, o sballo finito in tragedia www.rassegna.it, 3 febbraio 2012 Nella tarda serata di ieri un detenuto extracomunitario di 24 anni, A.K., è deceduto nel carcere di Genova Marassi. Lo riferisce stamani l’Ansa. A quanto si apprende, l’uomo ha inalato gas da una bombola da campeggio che si era procurato. Un’ulteriore e grave conferma della grave situazione in cui versa il nostro sistema penitenziario. A gennaio, nello stesso carcere di Marassi, era già stato bloccato un doppio tentativo di suicidio. Il 17 gennaio un detenuto marocchino di 36 anni ha tentato di impiccarsi in cella, è stato salvato quando erano già evidenti i segni del soffocamento. Un algerino di 42 anni ha provato a compiere lo stesso gesto, ma anche per lui gli agenti sono intervenuti in tempo. Marassi ha una capienza di 450 detenuti, ma ne sono presenti 805. E il problema del sovraffollamento potrebbe peggiorare negli istituti penitenziari, dopo l’approvazione del dl liberalizzazioni che autorizza l’iniziativa privata. È la denuncia arrivata nei giorni scorsi dalla Fondazione Antigone. Con la privatizzazione, ha sottolineato l’organizzazione, i rischi sono “l’esplosione del sovraffollamento avendo i privati interesse economico ad avere carceri piene, corruzione dei giudici per tenerle piene, discriminazione dei detenuti a seconda di chi gestisce il carcere privato, esplosione della violenza e assoggettamento a lavoro forzato”. Sappe: vietare bombolette di gas nelle celle “L’ennesimo morte di un detenuto morto dopo aver inalato il gas della bomboletta, avvenuto nella notte nel carcere di Genova Marassi, impone a nostro avviso di rivedere la possibilità che i ristretti continuino a mantenere questi oggetti nelle celle. Il detenuto deceduto è di nazionalità marocchina, classe 1989, con posizione giuridica “giudicabile” per il reato di rapina. Ogni detenuto può disporre di queste bombolette di gas per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande come prevede il regolamento penitenziario, ma spesso servono o come oggetto atto ad offendere contro i poliziotti, come metodo alternativo per sniffarne il contenuto o come veicolo suicidario. Riteniamo che sia giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario, al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione fornisce comunque il vitto a tutti i detenuti”. È il commento di Roberto Martinelli, Segretario Generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa Organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione a quanto avvenuto questa notte a Genova Marassi. “Allo stato si sta accertando se si tratta di un suicidio o, come è più probabile, di una morte dovuta ad un “eccesso di sballo” dopo avere inalato del gas, ma riteniamo che sia davvero giunto il momento di rivedere il regolamento penitenziario al fine di vietare l’uso delle bombolette di gas, visto che l’Amministrazione assicura il vitto a tutti i detenuti. Purtroppo è una pratica estremamente diffusa tra i detenuti di tutte le carceri: sniffare gas dalle bombolette che si usano in cella per cucinare. Uno “sballo” artigianale, un “viaggio” di euforia artificiale che stanotte, a Marassi, è costato la vita a un detenuto di 23 anni. È la droga dei poveri, capace di provocare gli stessi effetti dell’eroina. Sniffing, il fenomeno si chiama così. Non ha statistiche, è una sorta di fantasma che ha già ucciso parecchie volte nelle galere italiane. I detenuti possono acquistare le bombolette di gas, il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sanno che se ne fa altro uso, oltre quello di cucinare i cibi. Insomma, la prassi dello sballo è conosciuta e da noi sistematicamente denunciata. Ma la sostituzione con le piastre elettriche come da tempo suggerito dal Sappe non è mai avvenuta”. “Quello di Marassi” conclude Martinelli “è un penitenziario con molte criticità, nonostante l’encomiabile lavoro che ogni giorno svolge il Personale di Polizia penitenziaria. Infatti, a fronte di una capienza regolamentare di circa 430 posti, sono presenti sistematicamente oltre 800 detenuti, il 60% dei quali sono stranieri. Mancano oltre 140 unità negli organici della Polizia Penitenziaria, e questo determina carichi di lavoro pesanti e stressanti per gli agenti in servizio, che pure sistematicamente devono fronteggiare molti eventi critici come lo sventare numerosi tentativi di suicidio, fronteggiare risse ed aggressioni”. Bolzano: accordo per il nuovo carcere tra Provincia e Amministrazione penitenziaria Asca, 3 febbraio 2012 Dopo l’esproprio delle aree a Bolzano sud, la gara entro marzo e l’affidamento dei lavori in autunno: questa la tabella di marcia per la realizzazione del nuovo carcere, discussa ieri sera a Roma dal presidente della Provincia Luis Durnwalder con il nuovo commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, il prefetto Angelo Sinesio. Come ultima tappa della sua giornata nella capitale il presidente Durnwalder ha incontrato ieri sera il prefetto Angelo Sinesio, nuovo commissario del piano straordinario per l’emergenza carceri. Il commissario delegato Sinesio, che prende il posto di Franco Ionta, è capo della segreteria tecnica del ministro dell’Interno Cancellieri. Nel primo colloquio con Sinesio il presidente della Giunta provinciale ha fatto il punto sull’iter di costruzione del nuovo istituto penitenziario di Bolzano. “Ho spiegato al prefetto che dopo l’esproprio delle aree a Bolzano vicino all’aeroporto, contiamo di avviare il bando di gara entro marzo e i lavori in autunno”. Il futuro istituto migliorerà le condizioni di vita dei detenuti e di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria: Durnwalder ha ricordato a Sinesio la recente rivolta verificatasi nella vecchia e inadeguata struttura di via Dante e ha ribadito che “la realizzazione del nuovo carcere è da anni uno dei temi centrali dell’agenda politica in Alto Adige, perché i limiti strutturali di quella attuale non permettono di svolgere quelle attività considerate fondamentali per il recupero della persona”. Dal commissario governativo è arrivata la conferma del pieno appoggio dello Stato alla Provincia in tutti i passi necessari per la realizzazione dell’opera pubblica, che sostituirà l’attuale carcere di via Dante, avrà una capienza di 220 persone e una sezione femminile. La Provincia, secondo l’intesa con lo Stato, applica la propria normativa sulle procedure urbanistiche e sugli atti di esproprio e liquidazione. L’opera sarà infatti finanziata ricorrendo a parte dei fondi messi a disposizione dalla Provincia nel quadro dell’Accordo di Milano, utilizzabili per lavori pubblici di interesse sia locale che nazionale. A fronte del contributo provinciale lo Stato trasferisce alla Provincia l’area su cui sorge l’attuale carcere, destinata alla costruzione di opere pubbliche. Firenze: il Garante dei detenuti; “problemi di gelo” a Sollicciano, per carenze strutturali Dire, 3 febbraio 2012 “Sono arrivate segnalazioni di mancanza di acqua calda in determinati reparti e sezioni. Problemi anche nei corridoi e negli spazi comuni”. “Problemi di gelo” nel carcere di Sollicciano. A denunciarli, a margine della presentazione del suo libro “Il corpo e lo spazio della pena”, è stato il Garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone. “Sono arrivate segnalazioni di mancanza di acqua calda in determinati reparti e sezioni - ha detto. Inoltre, con queste temperature, in corridoi ed altri spazi comuni vi sono notevoli criticità”. Corleone ha spiegato che si tratta, in “larga parte, di situazioni legate a carenze storiche, e strutturali, del penitenziario”. A confermare che nel carcere di Sollicciano vi è una “situazione problematica” legata al gelo è stato anche il garante dei detenuti per la Regione Toscana, Alessandro Margara: “Nonostante questo freddo sia senz’altro speciale - ha detto - ci risulta che attualmente, da questo punto di vista, a Sollicciano vi siano delle difficoltà”. Assessore regionale Allocca: il decreto svuota carceri non funzionerà “Il decreto svuota carceri annunciato dal governo non risolverà il problema del sovraffollamento cronico nei penitenziari”. Ne è convinto l’assessore alle politiche sociali della Regione Toscana, Salvatore Allocca, che ha espresso la sua opinione questo pomeriggio, a margine di una iniziativa a Firenze. “Il problema del sovraffollamento carcerario è talmente pesante che nemmeno il decreto promesso dall’esecutivo avrà la forza di dare una svolta netta a questa situazione”, ha rimarcato Allocca. “In Toscana il sistema penitenziario è molto appesantito a causa di questa difficoltà, e per di più l’afflusso di detenuti e continuo, non si ferma mai - ha portato ad esempio Allocca - come Regione, ovviamente non smettiamo di lavorare per far fronte a questi problemi; ma con una situazione del genere, possiamo solo alleviarli, non certo risolverli”. Bologna: Garanti sull’Ipm Pratello; non è sovraffollato, ma servono più assistenti sociali Redattore Sociale, 3 febbraio 2012 Summit dei garanti regionali per i detenuti e per l’infanzia con i nuovi vertici del Pratello. Tra le carenze segnalate, l’assistenza psicologica ai ragazzi. Attualmente nell’Istituto sono presenti 19 ragazzi, più 9 nella comunità ministeriale. Il carcere minorile del Pratello non è sovraffollato, ma di carenze ne ha soprattutto per l’assistenza psicologica ai ragazzi. E in particolare per ciò che riguarda l’accoglienza e il primo colloquio. Basta pensare che gli assistenti sociali che si occupano dei giovani hanno circa 70 casi a testa da dover gestire. Sono queste le prime impressioni di Desi Bruno e Luigi Fadiga, rispettivamente garante regionale dei detenuti e garante regionale per l’infanzia, che hanno incontrato i nuovi vertici del carcere minorile di Bologna, dopo i casi di abusi e le indagini che si sono aperte sull’Istituto. I garanti auspicano “che si torni a lavorare nell’interesse dei minori. Che i ragazzi tornino al centro di un vero percorso di recupero e reinserimento, nel quale si riduca sempre di più l’area legata alla detenzione”. E non nascondono la speranza che ciò avvenga: “Abbiamo infatti riscontrato concretezza, una buona visione delle problematiche esistenti e la giusta volontà di operare”. A Fadiga e Bruno sono giunte rassicurazioni sul fatto che al momento non c’è sovraffollamento, e che il personale è sufficiente. Al momento, al Pratello ci sono 19 ragazzi, cui aggiungere i 9 ospitati nella comunità ministeriale. Nessuno all’interno del Centro di prima accoglienza. Quanto al ventilato trasferimento di 27 agenti di polizia penitenziaria, sui 36 complessivi, dopo i casi di maltrattamento denunciati e il conseguente cambio dei vertici del Pratello, al momento è stato sospeso. Secondo i vertici della struttura, però, occorre una migliore definizione del rapporto con il Servizio sanitario regionale, così come servono mediatori culturali preparati e seri, e non interpreti. Ai garanti è anche stato chiesto di definire un protocollo con la Regione su linee guida che considerino il percorso complessivo di sostegno e recupero del ragazzo, di cui l’aspetto penale deve essere solo una parte. Aiuto che va garantito anche dopo il 18esimo anno d’età, quando si ricorre a un sotterfugio, l’inizio di un procedimento amministrativo, per la presa in carico del giovane. Rispetto al passato, commenta Fadiga, l’impressione è che all’interno della struttura “regnasse un clima, sedimentatosi nel corso degli anni, caratterizzato dalla carenza di aspetti educativi, per cui alla fine vigeva sempre la legge del farsi giustizia da sé”. E comunque quello dei ragazzi del Pratello è ormai un marchio non positivo, “bisognerà lavorare per cancellarlo”. L’importante, ora, per la collega Bruno, è che “si mettano al centro le condizioni del minore, non altro. Che si lavori per ridurre ulteriormente l’area della detenzione minorile e per una complessiva presa in carico dei minori portatori di disagio”. Foggia: nel carcere degrado e sporcizia, 5-6 detenuti per cella e mancanza di personale Gazzetta del Sud, 3 febbraio 2012 Una situazione disumana e incivile si registra nel carcere di Foggia: 736 detenuti anziché 297 come previsto in pianta organica, 3 unità nell’area educativa anziché 22, due medici di base, due in guardia medica e 10 infermieri, è questa la realtà constatata ieri dal consigliere regionale de “La Puglia per Vendola” Anna Nuzziello e del consigliere provinciale Antonio Vannella durante una visita guidata. “È stata ritrovata nel carcere una carenza di personale, recando disagi ai detenuti, presente anche nell’ufficio matricola che è il nucleo amministrativo del carcere e si occupa del percorso processuale dei carcerati, che restano dietro le sbarre anche dopo aver scontato la pena, perché le posizioni non sono aggiornate in tempo utile. Una situazione che si scontra con la costituzione italiana e con tutte le norme che tutelano l’uomo. Anche l’ambito sanitario lascia a desiderare, il carcere di Foggia ha anche il ruolo di Centro Diagnostico Terapeutico Pugliese, ma è carente di medici e infermieri. Le attese per ricevere una visita sono lunghissime, spesso i detenuti iniziano terapie senza completarle, avendo poi problemi di salute, non per colpa dei medici ma per i farmaci che scarseggiano. Le carceri hanno raggiunto picchi di degrado e violenza mai raggiunti, le celle sono di uno squallore unico, la struttura è sovraffollata. In pochi metri sono rinchiusi da 5 a 6 detenuti, in spazi sporchi, con servizi igienici indecorosi e acqua fredda, le carceri sono diventate delle discariche umane che distruggono quello che di buono c’è in un essere umano, che dovrebbe andarci per recuperare e pagare in modo civile il proprio debito nei confronti della società. Le istituzioni hanno un ruolo fondamentale nel sollecitare una riflessione profonda e cambiare lo stato delle cose, con la speranza che la riforma annunciata dal governo Monti possa assumere un carattere di urgenza, come merita un Paese civile e moderno”. È questo lo sfogo raccolto del consigliere Nuzziello, circa i problemi ritrovati nel carcere foggiano, con l’intento che qualcosa inizi a cambiare. Salerno: polemiche sul Centro per detenuti psichiatrici; a rischio la sicurezza del quartiere La Città di Salerno, 3 febbraio 2012 Antonio Zarrillo, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl di Salerno, critica fortemente la decisione dell’azienda di ospitare i detenuti degli ospedali psichiatrici giudiziari di tutta la provincia, nella struttura di via Martin Luther King a Mariconda. Alcuni giorni fa il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, si era già scagliato contro la decisione dell’Asl definendola “grave ed inaccettabile”. Ora anche il responsabile del dipartimento - noto negli ambienti politici per essere avversario dello stesso De Luca - concorda con il suo “antagonista” politico. “Questa volta - dice a sorpresa - mi trovo d’accordo con il sindaco. Nella struttura, se il provvedimento diventerà effettivo, arriverebbero numerosi criminali da tutta la provincia che, pur di sfuggire al regime detentivo, si faranno rinchiudere negli ospedali psichiatrici. Nel quartiere non ci sarebbe più sicurezza”. Attualmente, la struttura della zona orientale, accoglie sedici pazienti in regime residenziale psicogeriatrico, il day hospital psichiatrico, l’unità operativa di emergenza per la salute mentale e diversi uffici amministrativi. “Operatori e pazienti - continua Zarrillo - avrebbero una convivenza difficile con soggetti socialmente pericolosi”. Gli sforzi dell’amministrazione comunale, da anni impegnata nel recupero sociale della zona di Mariconda, verrebbero vanificati in pochissimo tempo con la presenza dei detenuti. Aldilà del “colpo di mano” di qualche dirigente, come denuncia Zarrillo, che avrebbe presentato spontaneamente il progetto senza un confronto con il dipartimento e le organizzazioni sindacali, a preoccupare è la sicurezza dei cittadini. “A Mariconda non ci sarebbe più tranquillità. Eppure - continua - la legge che prevede la chiusura dal 2013 degli Opg, farebbe risparmiare allo Stato tantissimi fondi che potrebbero essere reinvestiti per la costruzione di nuove strutture ad hoc”. Oppure per ristrutturare quelle già esistenti. E in città, sia l’Asl che l’azienda ospedaliera “Ruggi d’Aragona” ne hanno a disposizione alcune, quasi totalmente dismesse. A sottolineare questo aspetto è Antonio Malangone della segreteria provinciale Uil Fpl. “Portare a Mariconda tutti i detenuti degli Opg della provincia - attacca - è una scelta gravissima. Si potrebbero, invece, ristrutturare o rimettere in funzione strutture già esistenti. L’Asl e il Ruggi si mettano d’accordo”. Malangone ne cita due su tutte: la prima è l’ex ospedale di Torre Angellara, dove ha sede il Sert, vicino all’Arechi. Da mesi è in atto una battaglia politica e sindacale per chiedere una ristrutturazione dello stabile o una delocalizzazione. Lì potrebbero essere accolti detenuti e tossicodipendenti. Un’altra struttura disponibile è la vecchia sede di Soccorso Amico, a Mercatello. Pisa: carcere Don Bosco; lunedì prossimo se ne occupa la Seconda commissione comunale Il Tirreno, 3 febbraio 2012 Dopo la fuga dei due detenuti (entrambi poi ripresi) avvenuta il 9 gennaio scorso, e dopo la conseguente sostituzione del Direttore del carcere e del Comandante del reparto di Polizia Penitenziaria e le proteste degli stessi agenti di polizia Penitenziaria, la città ora s’interroga sul suo carcere. Lunedì prossimo, 6 febbraio, alle ore 17,30, si riunirà la 2° Commissione “Politiche sociali”, dove parteciperà anche l’avvocato Andrea Callaioli, garante dei diritti dei detenuti presso la casa Circondariale Don Bosco. Poi un Consiglio Comunale al quale saranno invitati il nuovo Comandante e una rappresentanza degli agenti di polizia penitenziaria. “Proprio oggi - ha così commentato Michele Di Lupo(PD), presidente di questa 2° Commissione - il Consiglio Comunale si è infatti pronunciato sul rinvio della discussione degli atti ispettivi d’intesa con i presentatori - i consiglierei comunali Branchitta (Pd) Bedini e Petrucci (Pdl) e Bini (Rc) - con oggetto le questioni del “Don Bosco” per calendarizzare una seduta specifica - sollecitata dal gruppo Pd - dello stesso Consiglio Comunale entro questo mese di febbraio. Ma prima di questo - così conclude Di Lupo - l’appuntamento più importante si terrà lunedì prossimo, 6 febbraio, con la riunione della Commissione Politiche sociali dove parteciperà l’avvocato Callaioli il quale ci illustrerà l’attività svolta negli ultimi due anni e in particolare il problema del sovraffollamento e i progetti dell’inserimento dei detenuti sul territorio. Sarà anche presente l’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Pisa, Maria Paola Ciccone”. La riunione - aperta al pubblico - si terrà presso la sala Dei Gruppi di maggioranza 3° piano di Palazzo Mosca, piazza XX Settembre. Roma: nuovo personale sanitario al carcere di Velletri, parola della Polverini Dire, 3 febbraio 2012 La Presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, stamane si è recata in visita alla casa circondariale di Velletri per costatare di persona le condizioni di vita dei detenuti. Ad accompagnarla la direttrice del carcere veliterno, Donata Iannantuono, alcuni esponenti della Polizia Penitenziaria e una folta schiera di giornalisti e fotografi. Primo step della passeggiata mattutina il nuovo padiglione, un’ala di quattro piani moderna e spaziosa. La leader della Pisana è rimasta piacevolmente colpita della bellezza e la pulizia dei nuovi locali, che dispongono di biblioteca, cappella, palestra, aule scolastiche, cucina, medicheria e sala teatro. Tutto splendido se non fosse che solamente un piano della neonata sezione sia funzionante e ospiti una settantina di detenuti. Per il resto gli operatori scarseggiano e numerose attività ludiche e formative procedono a singhiozzo. Basti pensare che l’istituto nella sua interezza ha circa 430 detenuti e un personale (tra medici, infermieri, assistenti sociali e guardie carcerarie) di 197 unità quando solo nel vecchio padiglione il numero necessario è di 225 dipendenti. E il futuro, in questo senso, non presagisce notizie liete visto che assunzioni e turn over (chi va in pensione non viene rimpiazzato) proceda a regime minimo. Inoltre l’età media del corpo penitenziario è molto alto, con il conseguente aumento del rischio di malanni e affaticamenti sul posto di lavoro, di per sé già duro e impegnativo. E poi le condizioni precarie di tanti reclusi, che hanno colto l’occasione per manifestare la propria angoscia e la propria rabbia verso un carcere che stenta a decollare in termini di vivibilità e dignità. Concetto ribadito anche dalla Iannantuono, che giornalmente si batte per migliorare lo stato della struttura di via Campoleone. Da sottolineare l’umanità di tutto il personale e della stessa direttrice, sempre sorridenti e pronti ad aiutare il prossimo. Pure la Polverini, che non ha risparmiato chiacchierate, strette di mano e foto di gruppo, ha carpito il bisogno di intervenire in attesa che il Ministero faccia il suo dovere: “Siamo qui - ha detto la Presidente della Regione - su richiesta del Provveditore regionale per integrare il personale sanitario in deroga. Saranno assunti a tempo indeterminato 3 medici e 4 infermieri e questo, non consentirà solo di curare meglio i detenuti attualmente presenti ma permetterà l’apertura del nuovo padiglione, più moderno e confortevole; credo che il carcere meriti questo intervento. In futuro concorderemo con il direttore Iannantuono ulteriori azioni in base a quanto segnalato dai detenuti: mi riferisco soprattutto alla sezione doccia, che renderemo più dignitosa, e il campo sportivo, ormai fermo da una anno e mezzo. Destineremo delle risorse regionali alla casa circondariale di Velletri per darle una dignità lavorativa e umana più consona”. Asti: convegno “Crimini stradali, giustizia e civiltà”, domenica 5 febbraio www.giornal.it, 3 febbraio 2012 È proprio di questi giorni la sentenza della Prima Corte d’appello di Milano che emette condanna per “omicidio stradale” per Alessandro Mega che tre anni fa ha investito e ucciso una giovane perché era sotto effetto i droga e alcol. Un tempo questi vizi sarebbero stati un’attenuante alla pena perché il tipo veniva considerato con una volontà inibita dalle droghe. Oggi la cultura sta cambiando come sottolineato dai consiglieri del Comune di Alessandria Ivaldi e Sestini che hanno raccolto le firme per “omicidio stradale”. Hanno incontrato non solo la sensibilità di 56 mila persone ma anche quella dell’allora Ministro Maroni come ha ricordato Piercarlo Fabbio, sindaco di Alessandria, ma soprattutto amico del compianto Pierpaolo Cuniolo e dei fondatori l’associazione a lui dedicata. Alessandrini segnati dal dolore come Bressan che presiede oggi l’associazione familiari vittime della Strada e domenica insieme a Cristine Loren marcerà verso la Prefettura. L’iniziativa “Crimini stradali: giustizia e civiltà”, che avrà luogo il 5 febbraio 2012 alle ore 9,30 presso la sede dell’Enaip, offre l’occasione per uno spunto di riflessione sul tema della mancanza del senso di responsabilità. In una società che educa all’eccesso si chiede Efrem Bovo Come non cadere in tentazione? L’enorme fatica che si dovrebbe fare è quello di conquistarsi l’autocontrollo, ma questo ha un prezzo alto da pagare: lo sforzo. “Costruiamo architetture del comportamento” dice Fabbio e “promuoviamo la coscienza. Le gomme anti-neve sono uno step individuale verso la sicurezza”. È un lavoro su se stessi importante, lungo e doloroso ma solo ciò può aiutare ad evitare un colossale fallimento dell’autocontrollo di un’intera generazione. “Aiutateci e costruiamo una rete virtuosa. Facciamola noi una sorta di pubblicità progresso. Fermiamo le stragi anche con la legge sull’omicidio stradale ma noi non vogliamo più detenuti ma meno vittime” ha detto Bressan. Siria: Hrw denuncia; esercito e forze di sicurezza hanno torturato bambini Adnkronos, 3 febbraio 2012 L’esercito e le forze di sicurezza siriane “hanno arrestato e torturato” alcuni bambini durante la repressione della rivolta contro il presidente siriano Bashar al-Assad, iniziata a metà marzo. È quanto ha denunciato Human Rights Watch, che ha invitato il Consiglio di Sicurezza ad agire nei confronti di Damasco, chiedendo di “mettere fine a tutte le violazioni dei diritti umani”. “I bambini non sono stati risparmiati dall’orrore della repressione in Siria”, ha affermato Lois Whitman, responsabile di Hrw per i diritti dei bambini. “Le forze di sicurezza hanno ucciso, arrestato e torturato i bambini nelle loro case, nelle scuole o in strada”, ha precisato Whitman. “In molti casi - ha aggiunto - le forze di sicurezza hanno colpito i bambini allo stesso modo di come hanno fatto con gli adulti”. Secondo l’organizzazione che ha sede a New York sono almeno 12 i casi documentati di bambini detenuti e torturati oppure uccisi in casa o nelle strade in Siria. In Siria dall’inizio delle rivolte anti-governative molte scuole hanno chiuso, trasformandosi in centri di detenzione per le migliaia di rivoltosi, sorvegliati a vista dai cecchini sui tetti. Una 17enne di Latakia ha raccontato all’Ong che nel mese di maggio dell’anno scorso, le forze di sicurezza sono entrate con forza nella scuola e arrestato tutti i maschi presenti, dopo averli interrogati sulle scritte anti-regime dipinte sui muri della scuola. Per questo Hrw esorta il Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite di chiedere fermamente al governo siriano di porre fine a qualsiasi forma di violazione dei diritti umani. Secondo le nazioni Unite, centinaia di bambini hanno perso la vita dall’inizio delle rivolte contro il regime degli Assad. Cambogia: condannato all’ergastolo il “comandante Duch” dei Khmer Rossi Adnkronos, 3 febbraio 2012 Kaing Guek Eav, noto come il famigerato comandante Duch a capo dei campi di sterminio di Pol Pot, è stato condannato all’ergastolo nel processo di appello condotto dal tribunale cambogiano che, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stato istituito per il genocidio dei Khmer Rossi. Il presidente della corte, Kong Srim, ha descritto i crimini commessi da Duch, ritenuto responsabile della morte di almeno 12.272 detenuti uccisi tra il 1976 e il 1979 nei 21 campi che supervisionava, come “orrendi e sconvolgenti”, definendoli “un’offesa all’intera umanità”. In primo grado Duch era stato condannato, nel luglio del 2010, a 35 anni di prigione. Ucraina: figlia Tymoshenko; mia madre in carcere rischia la vita, boicottate europei Adnkronos, 3 febbraio 2012 “Mia madre rischia la via, chiedo ai vostri leader di boicottare gli Europei”. Questo l’appello lanciato, in un’intervista al Corriere della Sera, da Yevhenia Car Tymoshenko, la figlia di Yulia, l’ex premier ucraino condannata lo scorso ottobre a sette anni di carcere per abuso di potere in relazione all’accordo sul gas sottoscritto con la Russia nel 2009. Una condanna, sostiene l’opposizione, orchestrata dal presidente Viktork Yanukovich per eliminare la sua principale rivale politica in vista delle elezioni del prossimo autunno. L’appello arriva dopo che la 31enne lo scorso mercoledì ha parlato al Senato americano per chiedere “di aiutarci a porre fine a questo regime che non rispetta il sistema giudiziario con metodi sovietici, viola i i diritti fondamentali ed esercita ogni forma di pressione sui dissidenti, la dittatura di Yanikovich è una vergogna per l’Ucraina”. Per questo Yevhenia chiede all’Occidente di “boicottare gli Europei di calcio”, che si dovranno svolgere il prossimo giugno in Ucraina: “speriamo nella mobilitazione dei tifosi - afferma - i leader non dovrebbero legittimare con la loro presenza nei nostri stadi il presidente Yanukovich”. Riguardo alle condizioni della madre rinchiusa in un carcere di Kiev, la figlia dice che “sta molto male, non è in grado di alzarsi dal letto, soffre di forti dolori alla schiena”. La Tymoshenko “non riceve cure adeguate, anche questa è una forma di tortura”, le viene impedito di farsi visitare da medici indipendenti e di fare esami del sangue attendibili, afferma ancora la figlia che crede che la vita della madre sia in pericolo e che non esclude possibili avvelenamenti: “non ci sono prove ma in quelle condizioni si ha paura di tutto”.