Giustizia: è proprio l’ora dell’amnistia… ma per favore spiegatelo ai cittadini! di Valeria Centorame Notizie Radicali, 23 febbraio 2012 Non c’è più tempo! non c’è più tempo! L’amnistia è urgente e non più rinviabile, ma parlarne, cercare di far emergere la realtà con le tante manifestazioni, articoli, dibattiti tra noi, tra gli addetti ai lavori, tra le tante associazioni, non porta a soluzioni… Perché? Inutile ripetere in questa nota i numeri (drammatici) dei suicidi in carcere, i numeri delle morti per cause “naturali”, i numeri vergognosi delle persone detenute in attesa di giudizio, i numeri dei tanti agenti penitenziari che si sono tolti la vita, con tutto ciò che concerne il sovraffollamento e la totale mancanza di legalità all’interno delle carceri, sia per chi è ristretto sia per chi vi lavora o per chi presta opera di volontariato. Perché tanto per la “sig.ra Maria” sono solo numeri, non è toccata da questa realtà e non la conosce e non credo che ci si sia trasformati in un popolo di forcaioli in Italia perché lo siamo. Credo piuttosto che la colpa sia delle vergognose campagne demagogiche e populiste, le stesse che invocano “la certezza della pena” quando nel nostro paese (dove vige il processo indiziario) non esiste neanche la “certezza del reato”. Ma questo la “sig.ra Maria” lo ignora, nel senso che non le è data la possibilità di essere informata. Accade allora che come nei detti antichi funzioni purtroppo la regola del “bisogna passarci per capire”. Tutto ciò è avvilente. Nessuno si augura che la “sig.ra Maria” per capire debba finire in un labirinto giudiziario. Basterebbe una seria e corretta informazione. È pur vero che non serve non delinquere per non finire in carcere e che la probabilità che un suo nipote, suo figlio, o che la stessa signora possano diventare vittime della malagiustizia in Italia è elevatissima. Illustri cittadini, giuristi, politici bipartisan, personale penitenziario, associazioni, magistrati sono a favore della proposta radicale di Amnistia per la Repubblica, dell’adozione di quel provvedimento previsto dall’articolo 79 della Costituzione che recita “l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera”, provvedimento posto come apripista ad una altrettanto non rinviabile riforma della Giustizia. Alla “sig.ra Maria” però i nostri dibattiti non arrivano, e non arrivano perché i media non lo rendono possibile. Alla sig.ra Maria è invece arrivato addirittura il messaggio errato e fuorviante: che sia stato varato un decreto legge che “svuoterà le carceri” o peggio ancora che “salverà le carceri”. E la stessa sarà stata addirittura impaurita da politici irresponsabili e demagoghi. Si tratta di una grave, gravissima responsabilità di questo Governo, di chi usa pannicelli caldi, di chi prende in giro anche la “sig.ra Maria” dando un nome a decreti legge che non faranno mai ciò per cui si titolano falsamente! E di chi la impaurisce dicendole che criminali e delinquenti saranno in strada a derubarla. Di chi non parla delle pene alternative, che sempre pena sono. Perché va spiegato alla sig.ra Maria? Perché inconsapevolmente lei stessa rappresenta lo “zoccolo duro”, il consenso popolare che poi si trasforma in voti per questo o quel partito, e pretendere uno scatto di coraggio ed una presa di posizione, nonché di coscienza, della partitocrazia è pura utopia in questo momento in Italia. I partiti hanno paura del consenso elettorale, di perdere voti, elezioni, denari… e lo stesso si può dire per i sindacati. Quindi è più facile informare la “sig.ra Maria” e convincerla, che avere i 2/3 del Parlamento a favore di Amnistia ed indulto, informarla che semplicemente non è un provvedimento di clemenza, ma assolutamente di ripristino della legalità. I 2/3 di questo parlamento, anche se governato “tecnicamente” sono gli stessi del precedente governo e le ipocrite resistenze basate sul consenso elettorale sono quindi le medesime. Sono convinta che se la stessa conoscesse a fondo la realtà verrebbe in piazza con noi, per una giustizia giusta, per delle pene che non sfocino nella vendetta, per avere la certezza del reato e poi quella della pena, per interrompere quella flagranza di reato da parte dello Stato che permette di arrivare alla morte di agenti e detenuti, per eliminare la pena dell’ergastolo ostativo, per ridare dignità e speranza a questo Paese! Se la Sig.ra Maria sapesse che siamo pluricondannati dalla Corte dei Diritti Umani, se sapesse che migliaia di processi vanno in fumo grazie alla prescrizione. Se sapesse che le nostre carceri sono oggi peggio dei lager fascisti, se sapesse che le morti per suicidio hanno avuto un aumento nel decennio 2000-09 del 300% rispetto al decennio 1960-69: sarebbe con noi. Perché lo “zoccolo duro” sono proprio i luoghi comuni, sono la morte della conoscenza e della coscienza e solo la consapevolezza porta alla soluzione. Lo abbiamo visto all’epoca dell’aborto, del divorzio e delle tante battaglie civili e di legalità vinte in Italia: è la coscienza popolare che va smossa con la pura e semplice informazione. Perché ripongo speranza nella coscienza popolare: ho speranza nelle tante sig.re Maria per la salvezza della nostra Democrazia, del nostro Stato di Diritto della nostra Costituzione. Amnistia per la Repubblica! Giustizia: 700 € al mese per chi assume detenuto; ok Commissione Lavoro della Camera Ansa, 23 febbraio 2012 Via libera della Commissione Lavoro della Camera alla proposta di legge che prevede 700 euro di credito di imposta alle aziende che assumono detenuti. Tutti i gruppi, tranne la Lega Nord, hanno votato a favore. Il testo, la cui relatrice è Alessia Mosca del Pd, sarà in Aula alla Camera lunedì prossimo per la discussione generale. “Il lavoro - dice - è il migliore investimento in sicurezza sociale e i dati parlano chiaro: per i detenuti che hanno partecipato a progetti lavorativi nel corso della reclusione e nel primo anno successivo al rilascio la recidiva si abbatte drasticamente. Attualmente però i detenuti che lavorano non sono molti ed ecco perché con questa proposta di legge cerchiamo di ampliarne notevolmente la platea, puntiamo a più che raddoppiarla”. “Questa proposta vuole essere un ulteriore contributo della politica affinché l’esperienza carceraria sia veramente una opportunità di recupero sociale dei detenuti. Una proposta che si aggiunge al decreto Severino salva-carceri per rispondere al dettato costituzionale per cui in carcere si deve dare ai detenuti un’occasione per tornare da protagonisti nella società, favorendo il loro reinserimento sociale e lavorativo”, conclude. Giustizia: ministro Severino; riattivare accordi bilaterali per rimpatrio detenuti stranieri Tm News, 23 febbraio 2012 Per diminuire la presenza degli stranieri nelle carceri occorre “riattivare” le convenzioni bilaterali con i paesi di origine. Lo ha sottolineato il ministro della giustizia Paola Severino, intervistata a “Radio anch’io” su Radio1. Rispondendo a una domanda sul reato di clandestinità come causa di sovraffollamento delle carceri, la guardasigilli ha preferito sottolineare come “sull’alleggerimento della popolazione carceraria costituito da stranieri avrei anche l’idea di riattivare le convenzioni con i paesi di origine, se il carcere è rieducazione e reinserimento sociale, credo fortemente che il reinserimento possa avvenire attraverso il ritorno e l’accoglienza nel paese d’origine. Mi sto attivando per verificare la praticabilità di questo sistema”. Quanto alla responsabilità del reato di clandestinità nel sovraffollamento delle carceri, la guardasigilli si è dimostrata prudente, “è un problema complesso sul quale bisogna intervenire a monte. La clandestinità favorisce una serie di reati di cui si può essere protagonisti o vittime. Il clandestino è un soggetto debole, può essere cooptato dalla criminalità organizzata e andare a commettere reati, o può essere vittima del sistema, pensiamo al recentissimo reato di tratta di persone, che sono spesso donne o minori che vengono privati di qualsiasi diritto da veri e propri schiavisti che sottraggono loro i documenti di identità e li sfruttano in maniera terrificante”. Quindi “evitare a monte la clandestinità credo sia la vera soluzione del problema”. Sul tema della clandestinità ha risposto anche Michele Vietti, vicepresidente del Csm e coprotagonista del faccia a faccia su Radio1. “È stata fatta molta demagogia in questi anni - ha affermato - ci si è raccontato che introducendo il reato si sarebbe risolto il problema, in realtà non lo si è risolto affatto, non sono diminuiti gli immigrati e la corte europea ci ha detto che questo reato era contrario ai diritti dell’uomo, facendo cadere tutta l’impalcatura”. Secondo Vietti “non si risolvono i fenomeni sociali penalizzandoli”, tra l’altro, ha osservato, “nel momento in cui introduco l’immigrato nel circuito giudiziario ritardo la sua espulsione che va casomai risolta per via amministrativa”. Giustizia: ministro Severino; il Piano-Carceri va avanti, presto disponibili nuovi posti Tm News, 23 febbraio 2012 Botta e risposta sul piano carceri a “Radio anch’io” su Radio1 tra il ministro della Giustizia Paola Severino e il vicepresidente del Csm Michele Vietti. Ottimista la guardasigilli, scettico il rappresentante dell’organo di autogoverno della magistratura. “Nel mese di marzo - ha annunciato Severino - ci saranno alcune centinaia di posti in più e nel corso dell’anno questi posti dovrebbero aumentare ancora. È diminuita la dotazione finanziaria ma fortunatamente il piano carceri sta progredendo e stanno aumentando i posti”. “Il cosiddetto svuota-carceri va nella direzione giusta - ha detto dal canto suo Vietti - certo si auspicherebbe qualcosa di più ma è meglio di niente. Invece sono meno ottimista del ministro su piano carceri: dieci anni fa ero sottosegretario e sentivo annunciare nuove carceri ma non le abbiamo viste”. A giudizio di Vietti serve un serio intervento di depenalizzazione: “Oggi tutto è reato e in carcere ci finiscono solo poveri cristi o disadattati sociali e sono così tanti che lo fanno scoppiare. Bisogna cercare misure alternative alla detenzione; e chi resta in carcere non deve essere parcheggiato, deve avere interventi rieducativi tenendo conto di quello che prescrive la Costituzione”. Giustizia: Papa (Pdl); nelle celle detenuti hanno meno spazio vitale di maiali allevamento Adnkronos, 23 febbraio 2012 “In Italia c’è una legge che recepisce la normativa comunitaria in materia di allevamento di maiali: la legge stabilisce un minimo di tre metri quadri perché non si configuri maltrattamento degli animali. Ai detenuti in Italia sono garantiti meno di tre metri quadri”. Lo ha dichiarato il deputato del Pdl, Alfonso Papa, nel corso di “Coffee break” su La7 dedicato ai temi della giustizia e delle carceri. Detenuto per 107 giorni nel carcere di Poggioreale, in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta P4, Papa ritiene ora che “c’è una sostanziale inutilità dell’autorizzazione all’arresto perché oggi si basa esclusivamente su logiche di opportunità politica. Per metterci al passo con i Paesi più civili dovremmo abolire l’autorizzazione all’arresto per i parlamentari, abolire dunque ogni filtro e, nel contempo, abolire la custodia cautelare in carcere, che oggi è anticipazione di pena e nella sostanza un mezzo per estorcere confessioni”. Il parlamentare del Pdl rimarca che un numero molto elevato di detenuti è imputato per reati legati all’uso e allo spaccio delle droghe. “Nelle galere italiane quasi un terzo dei reclusi sono persone giovanissime, semplici assuntori. Occorre con urgenza depenalizzare l’ uso delle droghe leggere. E su questo -assicura in conclusione- c’ è il mio impegno”. Eliminare autorizzazione arresto e carcere preventivo “Da quella esperienza ho maturato una duplice convinzione: la sostanziale inutilità dell’istituto dell’autorizzazione all’arresto così com’è previsto, e che probabilmente a questo punto andrebbe forse eliminato, e la necessità di avviare un sistema in linea coi sistemi più civili nei quali è la carcerazione preventiva a essere sostanzialmente eliminata, abolita. Noi abbiamo una carcerazione preventiva che teoricamente è un’eccezione e di fatto è una regola e un’autorizzazione all’arresto che così com’è diventata si basa più su una valutazione di opportunità e di politica che non sul discernimento”. Così, ospite a “Coffee Break” su LA7, Alfonso Papa, parlamentare del Pdl, finito in carcere nello scorso luglio per presunte attività illecite nell’ambito dell’inchiesta sulla P4 e uscito dal carcere di Poggioreale a ottobre. Giustizia: Quaranta (Consulta), nelle carceri situazione inaccettabile, problema di civiltà Tm News, 23 febbraio 2012 La condizione dei detenuti nelle carceri italiane è “inaccettabile”. Non ha usato mezzi termini il presidente della Corte costituzionale Alfonso Quaranta, rispondendo a una domanda sul tema nel corso dell’incontro annuale della Consulta con i mezzi di informazione. Il sovraffollamento è un fatto “gravissimo”, ha sottolineato Quaranta, anche se, ha aggiunto, “mi rendo conto delle problematiche del Paese, dei problemi della finanza pubblica. Ma è un fatto di civiltà, dovrebbe essere una priorità”. “L’augurio che formulo - ha aggiunto - è che si provveda. A leggere la stampa sembrerebbe che qualcosa si stia muovendo ma occorrerebbe fare di più, non è possibile che in un Paese come il nostro ci siano carceri con problemi così gravi”. Giustizia: Don Spriano (Cappellano Rebibbia); centrale l’opera dei volontari nelle carceri Radio Vaticana, 23 febbraio 2012 I recenti fatti di cronaca hanno confermato che la situazione negli Istituti di pena è resa drammatica per lo più dal sovraffollamento. Le condizioni di vita dei detenuti sono spesso insostenibili, ma ad alleviare le loro sofferenze c’è ogni giorno un esercito silenzioso che si occupa di loro: i volontari. Ce ne parla Davide Dionisi. Il successo a Berlino del film “Cesare deve morire” - la pellicola dei fratelli Taviani interamente girata tra le mura di Rebibbia - ha riproposto con forza il tema della valorizzazione e del reinserimento sociale delle persone detenute. Ruolo affidato per lo più al volontariato che, attraverso un incessante impegno quotidiano, accompagna tanti uomini e donne, durante l’espiazione della pena, nella delicata fase di transizione da modelli comportamentali delinquenziali all’adesione ai corretti modelli della civile convivenza. Ci spiega come don Sandro Spriano, cappellano del carcere: R. - Oggi, i volontari che riescono a offrire un servizio ai detenuti, sono davvero preziosissimi, perché i numeri del sovraffollamento tolgono potere a tutti gli operatori istituzionali, in quanto non si riesce a seguire individualmente le persone come prevede la Costituzione, la legge, e quindi dare loro un trattamento individualizzato. E quindi, il fatto che ci siano volontari che possano fare sia da “centro di ascolto” ai singoli detenuti che hanno bisogno di parlare, di avere delle risposte, di avere dei collegamenti , sia portare avanti delle iniziative a sfondo religioso e creativo, rappresentano oggi il respiro del carcere. Altrimenti, sarebbe davvero una situazione piuttosto tombale. Quando il pomeriggio del sabato, la domenica mattina, in carcere non ci sono tanti operatori, anzi ce ne sono pochissimi, c’è un silenzio impressionante e davvero si comprende l’abbandono, la solitudine e anche il disinteresse della nostra società. D. - Considerato che la potenzialità rieducativa del carcere è connessa con le opportunità che tale istituzione offre per realizzare scambi interpersonali, l’azione del volontario in questo senso assume un ruolo chiave… R . - Sì, anche se purtroppo poi non si riesce nemmeno con l’aiuto dei volontari, che non neanche sono un’infinità. Diciamo che le nostre carceri - circa 210 - non hanno tutte la stessa presenza di volontari. Nelle grandi città, si riesce a esprimere questo volontariato, mentre nei posti piccoli non c’è quasi niente. E anche qui, nelle grandi città, devo dire che la maggior parte del volontariato puro è espresso proprio dalla Chiesa di Roma. Però, questa presenza riesce davvero a fare un controllo sociale, perché tante cose che non funzionano possono essere da noi denunciate, cercando di risolverle. Normalmente, il detenuto non ha questa possibilità normalmente. D. - Non pensa che si debbano determinare, così come avviene per gli altri operatori penitenziari, settori di specializzazione anche tra i volontari che operano nel carcere? Penso, per esempio, ai detenuti tossicodipendenti... R. - Fino ad un certo punto. Intanto, io non credo che noi dobbiamo sostituire ciò che lo Stato ha come compito primario, cioè quello di trattare i singoli condannati. E già qui, c’è una grande distinzione, perché i condannati sono la metà dei detenuti, gli altri sono in attesa di giudizio. Giustizia: Luigi Pagano nuovo vicecapo del Dap; direttore “illuminato” di S. Vittore per 16 anni Tm News, 23 febbraio 2012 Luigi Pagano, il Provveditore delle carceri lombarde e in passato per 16 anni direttore di San Vittore, infaticabile organizzatore di iniziative illuminate per la rieducazione dei detenuti e l’umanizzazione della pena, lascia Milano per andare a fare il vice al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria a Roma. Dopo oltre 20 anni Luigi Pagano, l’ormai ex provveditore regionale lombardo alle carceri, lascia Milano per andare a Roma per assumere il ruolo di vicepresidente del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, affiancando così l’ex presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma, Giovanni Tamburino, che ha preso il posto di Franco Ionta. “È essenziale aprire il carcere al mondo esterno, perché il carcere chiuso in se stesso genera criminalità”, ha affermato Pagano, visibilmente emozionato, nel corso di un saluto informale a Palazzo di Giustizia di Milano, alla presenza del procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, del presidente del Tribunale Livia Pomodoro, del Questore Alessandro Marangoni, del Comandante provinciale dei Carabinieri, col. Salvatore Luongo, del capo della squadra mobile Alessandro Giuliano, del generale Attilio Iodice, comandante provinciale della Gdf, dell’assessore alla Sicurezza di Milano, Marco Granelli, e altre autorità. In apertura è stato lo stesso procuratore Bruti Liberati a voler rivolgere i suoi ringraziamenti per l’attività di Pagano, arrivato a Milano nell’89, dove è stato direttore del carcere di San Vittore per quasi 16 anni fino al 2004, prima di diventare provveditore regionale. “Pagano - ha raccontato Bruti Liberati - ha dato un segnale netto, riuscendo a tenere insieme la tutela dell’ordine e della sicurezza nelle carceri con la prospettiva di rieducazione e reinserimento dei detenuti. Ci dispiace molto che lasci Milano”. E Pagano con un sorriso: “Nonostante il mio accento napoletano, ho Milano nel cuore, è la mia prima città”. Poi l’intervento di Livia Pomodoro, la quale ha voluto ricordare come “oggi la situazione delle carceri sia molto grave, di grave degrado non solo per il sovraffollamento, ma anche a causa di quei tanti progetti fatti in passato e poi abbandonati non solo per mancanza di mezzi, ma anche per forte insipienza culturale”. Lettere: diritti negati non solo ai detenuti ma anche ai loro familiari di L. B. - Milano Notizie Radicali, 23 febbraio 2012 Pubblichiamo di seguito la lettera arrivata all'Associazione Il Detenuto Ignoto. "Buongiorno, vi scrivo perché vorrei poter raccontare la mia storia che è la storia di tante altre persone che come me sono familiari di Persone detenute. Dei familiari dei detenuti se ne parla poco e io vorrei poter dare voce alle tante persone come me, che cercano disperatamente e dolorosamente, di dare conforto, affetto e calore ai loro cari, seppur detenuti. Sono molte le madri, i padri, le sorelle, i fratelli, i figli, le compagne ed i compagni che si recano presso le carceri di questo Paese con il solo scopo di poter stare vicino ai loro cari. Io sono una di quelle: sono la compagna di una persona detenuta. Per poterlo andare a trovare ho dovuto produrre Casellario Giudiziale e Carichi Pendenti, poi, come molte altre persone come me, poco alla volta, ho scoperto quali sono le regole dell’Ordinamento Penitenziario. Per i colloqui ci sono 6 ore al mese, della durata di 1 ora a colloquio, qualche volta (a discrezione del personale penitenziario) di 2 ore; gli orari, almeno nel carcere che io ho visitato, sono dal lunedì al sabato. Non sono previsti colloqui la domenica, né i giorni festivi (né Natale, né Pasqua). Il sabato è il giorno nel quale c’è più gente … inviterei la Stampa a recarsi all’alba davanti ad alcuni carceri, vi troverà una folla silenziosa e ordinata che pazientemente attende ore, al freddo o al caldo, carica di pacchi. Ore di attesa per poter vedere la persona cara per una sola ora. Anziani, donne e bambini sottoposti a perquisizione e a volte persino spaventati da cani antidroga che ti si avventano contro… Per le telefonate, il detenuto ha “diritto” a 10 minuti alla settimana, può chiamare solo un numero fisso e in determinati orari che, purtroppo, non sempre coincidono con l’attività lavorativa del parente, non è consentito chiamare telefoni cellulari. Per i pacchi sono consentiti 20 Kg. al mese. Esiste un elenco di cose consentite e di cose non consentite, ma spesso è a discrezione del personale penitenziario, così, a volte, le cose che hai portato te le riporti a casa. Viene negata ogni affettività, vengono negati abbracci e baci troppo “calorosi” e la corrispondenza – per motivi di sicurezza (?) - viene aperta dal personale penitenziario e spesso il detenuto assiste inerme all’umiliazione di chi aprendo la corrispondenza si permette di fare battute di ogni tipo. Se il detenuto viene trasferito da un carcere ad un altro, nessun familiare viene informato – per motivi di sicurezza – e deve aspettare la telefonata o la lettera del tuo caro che te lo dica. Molte volte ho visto familiari arrivare e il detenuto non era più in quel carcere. Se il detenuto si sente male e viene ricoverato in ospedale, nessun familiare viene informato - per motivi di sicurezza. Sto seguendo con apprensione tutto ciò che riguarda la situazione delle carceri Italiane, gli inarrestabili suicidi dei detenuti e del personale penitenziario. Sto seguendo la richiesta del Partito Radicale di Amnistia e il decreto legge appena approvato denominato “svuota carceri”, che tutto fa tranne che svuotare le carceri, proponendo gli arresti domiciliari a carico completo delle famiglie, sulle famiglie, per chi le ha. Così come per l’Amnistia, di nuovo a completo carico delle famiglie. E nonostante questo io credo nella Giustizia, credo che chi ha sbagliato debba pagare, ma credo anche che la Pena peggiore che si possa infliggere ad un Essere Umano, sia privarlo della Libertà, nel nostro Paese però, non viene tolta solo la Libertà, viste le condizioni disumane di sovraffollamento e fatiscenza delle carceri del nostro Paese. Il detenuto viene privato della Dignità di essere Umano e insieme a lui, con lui, ne viene privata anche la famiglia del tutto innocente. Chiedo a chi lo può, di dare voce al Popolo silenzioso e ordinato dei familiari dei detenuti, facendo proposte di Legge che permettano più ore per i colloqui, maggiore disponibilità in orari e giorni; maggiore disponibilità per le telefonate, insomma di modificare l’attuale Ordinamento Penitenziario e le sue regole. L’affettività per una persona detenuta è l’unico contatto con la realtà “normale”, è l’unica cosa che gli permette di poter guardare al futuro e alla speranza di una vita diversa, e se questo non è possibile, i suicidi continueranno. Grazie". Lettere: privatizzazione delle carceri; le organizzazioni criminali ringraziano sentitamente di Teresa Mariotti (Responsabile problematiche sociali, IdV) www.unonotizie.it, 23 febbraio 2012 Nell’ultimo decreto approvato dal governo Monti in mezzo a tante altre liberalizzazioni è stato introdotta nell’art. 44 una norma sul project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie, con la quale si introduce per la prima volta la possibilità per i privati di costruire gli istituti penitenziari e, come recita l’articolo stesso, “al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario dell’investimento, al concessionario è riconosciuta, a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell’infrastruttura e per i servizi connessi, ad esclusione della custodia”. Inoltre, “il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il 20 per cento del costo di investimento”. Dietro queste due apparenti ed innocenti frasi si nasconde una vera rivoluzione. Infatti, il luogo di espiazione della pena diviene luogo di lucro sia per la sua costruzione che per il suo mantenimento e viste le infiltrazioni di natura criminale proprio nel settore dell’edilizia non ci si stupirà di poter trovare associazioni a delinquere interessate a partecipare all’affare. La cosa più grave è che tale decisione sia stata presa senza una benché minima discussione nelle aule parlamentari con una vera cessazione del potere democratico. Ci domandiamo come sia possibile che l’attuale governo, ed in generale la politica che lo sostiene, consideri il delicato sistema di espiazione delle pene come una qualsiasi altra liberalizzazione di prodotti commerciali, il tutto passato sotto il più totale silenzio. Per fortuna alcune associazioni di volontariato attive da molti anni nel mondo del carcere, quali Antigone ed altre, si stanno muovendo per dare voce a questo scandaloso modo di governare il paese trattando ogni settore della vita pubblica come un settore commerciale da privatizzare, organizzando incontri a vari livelli per spiegare come questa estrema logica privatistica non abbia fornito i risultati attesi negli altri paesi del mondo che l’hanno adottata. L’Idv sostiene fortemente queste iniziative e si augura che anche altre forze politiche aderiscano alle iniziativa. Sardegna: Pili (Pdl); no a trasferimento detenuti in carceri regione, favorire invece rientro agenti Adnkronos, 23 febbraio 2012 “Il Ministro della Giustizia deve bloccare tutti i trasferimenti di detenuti in Sardegna e preventivamente deve predisporre un piano organico di rientro in Sardegna di tutti gli agenti penitenziari sardi che vogliono rientrare nella loro terra”. Lo afferma il deputato sardo Mauro Pili (Pdl) replicando alle posizioni attribuite al Ministro della Giustizia dopo un incontro con le organizzazioni sindacali di polizia penitenziaria alle quali il Ministro avrebbe “confermato il piano di apertura delle carceri sarde risulta assolutamente inaccettabile che venga affermato che non ci sarà nessun aumento di personale. Questo significa mettere il sistema carcerario sardo in ginocchio”. “L’affermazione secondo la quale saranno aperti i nuovi carceri senza nessun incremento di personale - sostiene Pili - non solo mortifica le attese di quei tanti agenti sardi sparsi per la penisola e che attendevano un’occasione di rientro ma rischia di trasformare le nuove strutture in un boomerang per il sistema carcerario sardo”. “I dati che emergono dall’incontro di ieri con il Ministro - sostiene Pili - confermano totalmente il Piano che ho denunciato e a cui il Ministero sta lavorando. Vengono confermati i 300/350 posti del nuovo carcere di Nuchis e di Massama. E facendo una semplice sottrazione si comprende che rispetto agli attuali 140 detenuti tra il carcere di Oristano e quello di Tempio, sono disponibili 560 nuovi posti. A questi vanno aggiunti i 200 della nuova ala di Badu e Carros di Nuoro, i 1.100 di Uta dai quali vanno scomputati gli attuali 500 detenuti di Buon Cammino e i 900 nuovi posti di Bancali da cui vanno sottratti i duecento attuali detenuti di San Sebastiano. Il dato finale è inequivocabile: 2160 detenuti in più verso le carceri sarde”. “Per questo motivo - sostiene Pili - il piano di trasferimento dei detenuti deve essere bloccato. La Sardegna, a partire dalla Regione, devono imporre al governo un piano di rientro degli agenti penitenziari dislocati nelle carceri del nord Italia e nel resto della penisola per consentire una gestione accettabile delle nuove strutture carcerarie. Il Ministro - ha concluso Pili - ha il dovere di dare risposte e non deve pensare che la Sardegna sia la regione dove scaricare le tensioni della crisi del sistema carcerario nazionale. Per questo motivo chiederò al governo un’informativa urgente in aula proprio per spiegare quali sono i suoi piani sulla Sardegna”. Foggia: detenuto di 36 anni si impicca, da inizio anno 11 suicidi nelle carceri e 1 in questura Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 Da inizio anno sono 11 i detenuti che si sono tolti la vita negli Istituti penitenziari e 1 nella cella di sicurezza della Questura di Firenze. Un uomo di 36 anni di Polignano, in provincia di Bari, Ottavio Mastrochirico, si è ucciso nel carcere di Foggia dove era detenuto dal 2010 per una condanna a 26 anni per un omicidio. Il 36enne da qualche giorno si trovava da solo in cella, dopo aver avuto dei problemi con gli altri detenuti. L’altra sera si è impiccato con il cordoncino della sua tuta. Un agente di polizia penitenziaria è intervenuto cercando di salvarlo ma per il detenuto non c’è stato nulla da fare. L’ultimo suicidio avvenuto nel carcere del capoluogo dauno risale al novembre 2010, quando il 41enne Raffaele Ferrantino si tolse la vita trasformando i lembi dei pantaloni in un cappio. E nei giorni scorsi il carcere di Foggia è stato oggetto di un ulteriore sopralluogo da parte del presidente della Camera penale, Gianluca Ursitti, del segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati di Foggia, Antonio Laronga, e del presidente dell’ordine degli Avvocati di Foggia, Tonio Ciarambino, per verificare le condizioni di vivibilità dei detenuti. “Grande rammarico - ha commentato il segretario nazionale dell’Osapp, il sindacato della Polizia penitenziaria, Domenico Mastrulli - quando si è costretti nell’indifferenza generale delle istituzioni a contare un’altra vita umana”. A Foggia sono in servizio 310 agenti, divisi nei quattro turni lavorativi, mentre ne servirebbero 420-430. Un carcere, quello del capoluogo dauno, che dovrebbe contenere secondo quanto previsto dalla legge 371 detenuti “e, invece, - ha aggiunto Mastrulli - a volte ne conta anche 800”. Milano: misure alternative per 685 condannati… il bilancio dell’attività dell’Uepe Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 In particolare, 319 sono in affidamento ai servizi sociali, 292 agli arresti domiciliari, 15 in “articolo 21” (che durante il giorno lavorano fuori) e 59 in libertà vigilata. A questi, si aggiungono i 161 “osservati in istituto”. Nel comune di Milano ci sono 685 detenuti in regime di misure alternative al carcere : in particolare, 319 sono in affidamento ai servizi sociali, 292 agli arresti domiciliari, 15 in “articolo 21” (che durante il giorno hanno la possibilità di lavorare esternamente all’istituto; ndr) e 59 in libertà vigilata. I dati, che fotografano la situazione al 15 febbraio, sono stati resi noti da Severina Panarello, direttrice dell’Uepe (ufficio esecuzione penale esterna) di Milano, nel corso di un’audizione alla Sottocommissione carceri di Palazzo Marino. A questi, si aggiungono i 161 “osservati in istituto” e i 390 sui quali è in corso un’indagine socio-familiare (per stabilire le condizioni che possono favorire il reinserimento del detenuto a fine pena nel suo territorio). In totale, sul territorio comunale l’Uepe ha in carico 1.236 detenuti, oltre un terzo dei 3.300 di quelli in carico su tutto il territorio di competenza, che comprende i comuni delle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza. “Per completezza, va detto che ci sono anche gli oltre 100 detenuti in articolo 21 del carcere di Bollate, di cui noi dell’Uepe non ci occupiamo se non per accertamenti in caso di cambiamento di lavoro, perché vengono seguiti dal pool di polizia penitenziaria dell’istituto”, ha precisato Panarello. Un’altra attività che dal 2010 ha coinvolto l’Uepe, in collaborazione con il Tribunale ordinario, riguarda i lavori di pubblica utilità per chi viene fermato in strada e trovato con un tasso alcolico più alto del consentito (in base ai nuovi articoli 186 e 187 del Codice della strada, ndr). “Con la nuova legge, la pena e l’ammenda previste per i fermati possono essere convertite in lavoro di pubblica utilità, in base a convenzioni che il Tribunale ordinario ha stabilito con enti pubblici e privati”, prosegue Panarello. Ogni ammenda da 250 euro può quindi essere convertita in 2 ore di lavoro per la manutenzione del verde, il controllo delle scuole, l’accompagnamento dei disabili, la distribuzione di buoni pasto. Tra i diversi enti pubblici e privati che hanno siglato la convenzione con il Tribunale, non c’è ancora il Comune di Milano. Altri comuni dell’hinterland, come Cesano Boscone, hanno invece stretto la convenzione con il Palazzo di Giustizia. “I nuovi articoli del Codice della strada stanno avendo effetti molto forti - prosegue Panarello: il Tribunale ha tantissime richieste, che però non possono essere soddisfatte perché non ci sono posti a disposizione. Sarebbe auspicabile che anche il Comune di Milano stringesse questo accordo”. Quello dell’Uepe di Milano è un grande carico di lavoro, portato avanti da soli 40 assistenti sociali: “Siamo a metà organico rispetto a quello che ci servirebbe - dice Panarello - e questo riguarda tutte le figure professionali dell’ufficio”, tra cui personale di supporto, di back office e di polizia penitenziaria. Di recente, tuttavia, una piccola boccata d’ossigeno è arrivata dal “progetto Master”, che ha consentito all’Uepe milanese di avere a disposizione altri 6 assistenti sociali in qualità di esperti, grazie a un finanziamento della Cassa ammende. Catania: detenuto non può partecipare ai funerali del figlio… “questioni di ordine pubblico” di Carmelo Caruso La Repubblica, 23 febbraio 2012 Neanche la morte tragica del figlio e del fratello quattordicenne ha indotto il magistrato a concedere il permesso per farli partecipare al funerale. Così, Orazio e Vito Cunsolo, padre e fratello di Giuseppe Cunsolo, tredicenne travolto da un’auto pirata a Catania il 28 gennaio, si sono visti negare il permesso da parte del magistrato di sorveglianza, Carmelo Giongrandi, e dare l’ultimo saluto al piccolo nel giorno del suo funerale. I due, infatti, stanno scontando delle pene in carcere per reati diversi, Orazio (il padre) prima detenuto all’Ucciardone di Palermo e poi trasferito a Catania, sta finendo di scontare una condanna per rapina e reati contro il patrimonio, mentre Vito (fratello del piccolo Giuseppe) è detenuto nella casa circondariale Piazza Lanza sempre a Catania. La tragica morte del piccolo Giuseppe era avvenuta il 28 gennaio nel viale Castagnola, dopo una lunga battaglia per non morire finita il 14 febbraio con la decisione da parte dei genitori di donare gli organi. Sia il padre che il fratello avrebbero voluto partecipare ai funerali che si sono svolti ieri mattina nella chiesa di Santa Chiara di Librino, quartiere dove risiedeva la famiglia, ma ad impedire la partecipazione dei due è stato il magistrato di sorveglianza, Giongrandi, il quale ha rigettato l’istanza inoltrata dal legale dei Cunsolo, Dario Polizza Favaloro. Una decisione che va in controtendenza con quanto aveva deciso tempo addietro il gip Santino Mirabella, il quale aveva accordato il permesso a una precedente richiesta nel periodo in cui il piccolo era ricoverato in ospedale. Una decisione controversa che il magistrato avrebbe preso per motivi di ordine pubblico. Bolzano: tre agenti sotto inchiesta per peculato, avrebbero rubato vincita lotto a un detenuto di Susanna Petrone Alto Adige, 23 febbraio 2012 Sono accusati di avere rubato ad un detenuto - al momento del suo ingresso in carcere - una schedina vincente del Superenalotto, incassando 800 euro. Tre guardie sono indagate per peculato. Sta facendo due chiacchiere con il suo amico della tabaccheria, quando vede entrare le forze dell’ordine. Aspettano che finisca di pagare la sua giocata al lotto, prima di chiedergli nome e cognome. Subito dopo viene dichiarato in arresto. Contro di lui è stata firmata un’ordinanza di custodia cautelare. Deve scontare una pena di qualche mese. Rassegnato, l’uomo mette in tasca la sua schedina, che gioca ogni settimana. I numeri? Sono sempre gli stessi. Spera che prima o poi gli porteranno fortuna. Le forze dell’ordine compilano i documenti da consegnare alle guardie del carcere appena oltrepassato il cancello d’ingresso. Scrivono: “arrestato mentre si trovava all’interno di un’edicola-tabaccheria, subito dopo avere giocato al lotto”. Punto. Come previsto dalla legge, il detenuto deve lasciare in una cassetta di sicurezza tutti gli oggetti personali: cellulare, soldi, sigarette e “vari fogliettini”. Tra questi fogliettini c’è anche la giocata al lotto. Passano i mesi e il detenuto può lasciare il carcere. La prima cosa che fa? Torna a trovare l’amico della tabaccheria per controllare i numeri. Il bolzanino è felice di vederlo e gli dice: “Il giorno dopo che sei stato arrestato, hai vinto 800 euro. Dammi la schedina, così almeno puoi iniziare con ottimismo a goderti la libertà”. L’ex detenuto tira fuori il sacchetto con i “vari fogliettini” che gli è stato consegnato all’uscita dal carcere. Controlla e ricontrolla, ma della schedina vincente non vi è traccia. Ha un unico pensiero: “Una delle guardie mi ha rubato la schedina del Superenalotto”. Si presenta in Procura e presenta denuncia contro tre agenti di custodia. Sono gli uomini che lo hanno preso in consegna il giorno del suo arresto. L’ex detenuto viene sentito dal sostituto procuratore Igor Secco. Viene avviata un’indagine. Dalla documentazione delle forze dell’ordine che lo hanno tratto in arresto, emerge che è realmente stato arrestato subito dopo aver giocato al lotto. E dai numeri risulta che avrebbe vinto 800 euro. Per questo motivo le tre guardie del carcere vengono indagate per peculato. Nei prossimi giorni verranno sentite dal giudice Carlo Busato. Milano: “La morte del cigno”, convegno-spettacolo organizzato dal Gruppo della Trasgressione Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 Tavola rotonda curata dal Gruppo della Trasgressione in programma sabato 25 febbraio al carcere di Opera. La mattinata, aperta al pubblico previa prenotazione, inizierà con un monologo del comico Renato Converso. Un convegno-spettacolo per parlare di carcere in modo diverso. Si intitola “La morte del cigno” la tavola rotonda curata dal Gruppo della Trasgressione in programma sabato 25 febbraio al carcere di Opera, dalle 10 alle 13. La mattinata, aperta al pubblico previa prenotazione, inizierà con un monologo del comico Renato Converso, che interpreta la storia di un un ballerino, disoccupato da molti anni, che all’improvviso ottiene una parte nello spettacolo “La morte del cigno”. Una volta riconquistato il palcoscenico, però, il ballerino non ne vuole sapere di far morire il suo personaggio, attraendosi le ire del pubblico. Un canovaccio narrato in chiave umoristica, che diventa occasione per riflettere su temi complessi. Secondo gli organizzatori, la vicenda del cigno che non vuole morire e dell’uomo che non vuole uscire di scena è emblematica di come la ricerca del riconoscimento da parte degli altri, se non è ben gestita, possa portare ad esiti negativi. “Quando l’adolescente teme di non poter accedere a un futuro da adulto e non si sente sostenuto dalle sue guide naturali e dalle autorità istituzionali - dicono gli organizzatori, il suo desiderio di conferme rischia di degradarsi e di trasformarsi in uno dei tanti surrogati che abbondano sulla via della seduzione: la bulimia di potere, di soldi, di oggetti da consumare e di esperienze con cui tappare i propri buchi”. Così, lo spettacolo diventa lo spunto per discutere di risorse e metodi utili alla “rieducazione” del condannato e per la prevenzione di quei disagi adolescenziali che portano a droga e bullismo. Su questi temi interverranno alcuni detenuti del Gruppo della Trasgressione delle tre carceri milanesi (Opera, San Vittore e Bollate) e quelli del gruppo esterno sostenuto dall’Asl di Milano; Guido Podestà, presidente della Provincia di Milano; Angela della Costanza Turner, console onorario per l’Italia negli Stati Uniti e Giacinto Siciliano, direttore del carcere di Opera.La giornata, che verrà ripresa da due troupe di Rai News, ha come destinatari ideali docenti, dirigenti e operatori che lavorano nei settori scolastico e penitenziario. Per informazioni, scrivere a redazione@trasgressione.net o a redazione@vocidalponte.it. Televisione: Mister Media; troppi stereotipi sul rapporto tra minoranze e devianza Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 Secondo una ricerca che ha monitorato l’intera offerta informativa radiotelevisiva per 275 giorni, analizzando oltre 7 mila file, migranti, rom e persone lgbt compaiono solo in casi di cronaca. E prevale un’immagine negativa. Marginalità, semplificazione, distorsione e stereotipi. Sono le caratteristiche dello spazio che hanno le minoranze a rischio discriminazione sui media italiani. Lo afferma la ricerca Minorities Stereotypes on Media (Mister Media), progetto nato dalla collaborazione tra il Centro D’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva e il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, e con il supporto di Open Society Foundations. La ricerca si basa un monitoraggio effettuato 24 ore su 24 dell’intera offerta radiotelevisiva di informazione - le news, i programmi di approfondimento e attualità in un periodo di rilevazione che va dal 1 luglio al 31 dicembre 2010 e dal 1 aprile al 30 giugno 2011, per un totale di 275 giorni. Il totale dei “file” (servizi tg o gr, trasmissioni tv o radio) analizzati è di 7.153 (circa l’80% dei quali sono contenuti radiofonici), vale a dire una media di circa 26 “passaggi” al giorno in cui sono state trattate minoranze o eventi che coinvolgessero appartenenti a minoranze. Nella ricerca si intendono per minoranze alcuni gruppi sociali soggetti a discriminazione, vale a dire gli immigrati, rom e sinti, gay lesbiche e transessuali, religioni minoritarie e ex tossicodipendenti ed ex detenuti. “Le minoranze sembrano risentire di una marginalità informativa, a prima vista derivante da una semplicistica, e quindi discutibile, equazione concettuale in base a cui, riguardando una porzione ridotta della società, esse sono destinate a suscitare un’attenzione ridotta da parte della maggioranza del corpo sociale” si legge nel rapporto. Sotto accusa finiscono il modo di selezionare le notizie nelle redazioni radiotelevisive italiane, il linguaggio utilizzato e la scarsa conoscenza dei fenomeni sociali da parte di chi fa informazione. I giornalisti italiani scelgono le notizie in base a ciò che ritengono di maggiore interesse per il pubblico e quindi le minoranze, proprio perché tali, restano sullo ‘sfondò del panorama informativo italiano. “Soltanto quando gli eventi legati alle minoranze sono considerati il frutto di comportamenti “devianti” questi sembrano assumere una maggiore visibilità, riuscendo a soddisfare altre regole dell’informazione (ad esempio bad news good news)” continua l’analisi Minorities Stereotypes on Media, presentata oggi a Roma. Migranti, rom, tossicodipendenti o omosessuali diventano temi “appetibili” per i mass media italiani soltanto quando compiono atti devianti e finiscono nel calderone della cronaca nera. “L’esito finale che spesso ne deriva è la proliferazione di argomenti simili, caratterizzati da linguaggi ripetitivi, capaci di alimentare e perpetuare luoghi comuni e stereotipi - conclude la ricerca. Le minoranze, sono una parte della realtà sociale ritenuta “diversa” perché poco conosciuta”. Ad esempio l’immigrazione “spesso fa notizia quando diventa problema o emergenza: così i migranti, o più semplicemente gli immigrati, si trasformano in una minaccia costante alla sicurezza e alla cultura degli italiani”, si legge nel rapporto Mister Media. Lo stesso trattamento viene riservato anche a molte altre minoranze, producendo l’equazione fra devianza e minoranza, con effetti deleteri che influenzano la percezione del pubblico. La ricerca è stata sia quantitativa che qualitativa e si è avvalsa di alcuni focus group, uno dei quali si è tenuto con giornalisti delle principali testate italiane fra radio, tv e agenzie di stampa. Dall’incontro è emerso che “un ruolo decisivo viene giocato anche dalla politica; in particolare, osservando il ritratto radiotelevisivo delle minoranze è evidente la stretta interdipendenza tra l’agenda dei media e i temi “caldi” della politica”. I media italiani risultano conformisti rispetto alle versioni della realtà sociale fornite dai politici quando si parla di minoranze. “In questo ambito - conclude la ricerca - il discorso giornalistico incontra non poche difficoltà nella creazione di un racconto autonomo della realtà, risentendo in molti casi dei desiderata e dei protagonismi della politica”. Immigrazione; Corte europea dei diritti umani condanna l’Italia per i respingimenti in Libia di Bartolo Scifo www.linkontro.info, 23 febbraio 2012 La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sentenziato che, rimandando i migranti verso la Libia, l’Italia ha violato la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, e in particolare il principio di non respingimento che proibisce appunto di respingere migranti verso Paesi dove possono essere perseguitati o sottoposti a trattamenti inumani o degradanti. La sentenza riguarda il caso “Hirsi e altri contro Italia”, relativo alla prima operazione di respingimento italiana effettuata nel maggio 2009. Le autorità del nostro Paese avevano intercettato in acque internazionali una barca con a bordo circa 200 persone (somali ed eritrei), tra cui bambini e donne in stato di gravidanza. Accolti a bordo di una imbarcazione italiana, i migranti sono poi stati respinti verso Tripoli e riconsegnati, contro la loro volontà, alle autorità libiche. Alcuni di questi migranti, assistiti in Libia dal Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), hanno presentato un ricorso alla Corte Europea contro l’Italia. La Corte oggi ha pienamente condannato il nostro Paese per la violazione di 3 principi fondamentali della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo: il divieto di sottoporre a tortura e trattamenti disumani e degradanti, l’impossibilità di ricorso e il divieto di espulsioni collettive. La Corte, quindi, per la prima volta ha equiparato il respingimento collettivo alla frontiera e in alto mare alle espulsioni collettive nei confronti di chi è già nel territorio. L’organismo europeo ha colto l’occasione per denunciare anche che i diritti dei migranti, in transito in Libia per raggiungere l’Europa, sono sistematicamente violati e inoltre la Libia non ha offerto ai richiedenti asilo un’adeguata protezione contro il rischio di essere rimpatriati nei Paesi di origine, dove possono essere perseguitati o addirittura uccisi. Nel difendersi, il Governo italiano aveva a suo tempo sostenuto che la Libia dovesse considerarsi un “luogo sicuro” e che, inoltre, i ricorrenti non avrebbero in alcun modo manifestato agli ufficiali di bordo la loro volontà di richiedere asilo o un’altra forma di protezione internazionale. La Corte però ha respinto integralmente le memorie difensive del Governo italiano, ritenendo che ai migranti intercettati in acque internazionali non sia stata offerta alcuna possibilità effettiva di ottenere una valutazione individuale delle loro situazioni, al fine di beneficiare della protezione accordata ai rifugiati dal diritto internazionale e comunitario, in violazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. A causa di questa politica, secondo le stime dell’Unhcr (Agenzia dell’Onu per i Rifugiati) circa 1.000 migranti, incluse donne e bambini, sono stati intercettati dalla Guardia Costiera italiana e forzatamente respinti in Libia senza che prima fossero verificati i loro bisogni di protezione. “Questa sentenza prova che nelle operazioni di respingimento sono stati sistematicamente violati i diritti dei rifugiati, l’Italia ha infatti negato la possibilità di chiedere protezione e ha così respinto in Libia più di mille persone che avevano il diritto di essere accolte in Italia. Vogliamo che questo messaggio arrivi in maniera inequivocabile al Governo Monti: nel ricontrattare gli accordi di cooperazione con il Governo di transizione libico, i diritti dei rifugiati non possono essere negoziati, su questo tema ci aspettiamo dal nuovo esecutivo posizioni chiare e più forti di quelle che abbiamo rilevato in queste settimane”, ha dichiarato Christopher Hein, direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati. Immigrazione: Fnsi; su tema respingimenti esempio di cattiva informazione e cattiva politica Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 Il presidente del Sindacato giornalisti, Roberto Natale, commenta la sentenza di condanna all’Italia: i giornalisti non misero in discussione la versione fornita dall’ex ministro Roberto Maroni all’epoca degli accordi con la Libia. “Stamattina l’Italia è stata condannata a Strasburgo per la legge sui respingimenti. La cattiva informazione è legata al fatto che io ricordo le parole di Maroni che diceva “pensate a quante vite abbiamo salvato”, non ricordo nessuno che abbia chiesto: ministro le abbiamo salvate o le abbiamo condannate a morire nel Mediterraneo o nelle carceri libiche? Questo è un esempio della cattiva informazione con la cattiva politica”. È quanto ha affermato il presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, Roberto Natale, nel suo intervento durante la presentazione del rapporto Minorities Stereotypes on Media (Mister Media), progetto nato dalla collaborazione tra il Centro D’Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva e il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, e con il supporto di Open Society Foundations. Dalla ricerca emerge un atteggiamento fortemente negativo e discriminatorio soprattutto della televisione nei confronti dei migranti. “Dobbiamo aggredire l’idea che solo la cattiva notizia sia vera notizia. Questo ha conseguenze al fondo devastanti anche quando nasce da buoni propositi professionali - ha detto Natale, commentando i risultati della ricerca - La radio indica che c’è speranza perché ha un atteggiamento diverso rispetto alla televisione e l’incremento dell’uso della parola rifugiato è positiva”. Immigrazione: Cgil; no bandi a ribasso per gestione Cie Modena, rischio peggiorare qualità vita Redattore Sociale, 23 febbraio 2012 La denuncia della Cgil di Modena: “Previsti tagli del 70%, il rischio è che si diminuisca ulteriormente la qualità di vita nei Cie”. 60 i reclusi e 70 i lavoratori. “Il rischio è che si diminuisca ulteriormente la qualità di vita nei Cie”. C’è preoccupazione alla Cgil di Modena per le sorti dei 60 reclusi e dei 70 lavoratori del Cie della città dopo avere appreso dell’iniziativa del governo di emanare un nuovo bando per la gestione del Centro, che adesso è curata dalla Confraternita della Misericordia presieduta da Carlo Giovanardi. La notizia che nel documento si opta per l’appalto al massimo ribasso è stata accolta con allarme dalla sezione modenese del sindacato, che in attesa di conoscere i dettagli chiede spiegazioni in merito alla decisione di tagliare del 70% i fondi dedicati all’amministrazione della struttura. Tania Scacchetti, della segreteria della Cgil di Modena, esprime le sue critiche verso un provvedimento di cui si possono solo intuire le implicazioni. “Dobbiamo ancora studiare il bando con attenzione, ma sentiamo dire che la cifra contabilizzata come base d’asta è di soli 30 euro al giorno per ogni immigrato, contro i 75 garantiti dal precedente appalto - spiega - vorremmo capire come sarà possibile per il centro, se questa riduzione del budget avrà luogo, continuare a mantenere tutti i servizi che offre attualmente”. La quota giornaliera di cui parla Tania Scacchetti dovrebbe servire a coprire la totalità dei bisogni degli uomini rinchiusi all’interno del Cie, ma anche a pagare il lavoro del personale che vi è impiegato. Quanti sono? Il sindacato si aspetta risposte chiare da parte del governo in merito alle motivazioni del taglio dei finanziamenti. “Siamo convinti - continua Scacchetti - che un cambiamento del genere non possa essere giustificato dai risultati delle recenti indagini che classificavano il Cie di Modena tra i più costosi d’Italia. Il budget attualmente utilizzato dal centro della nostra città è più elevato della media italiana perché è adeguato alla qualità del trattamento riservato alle persone che vi sono detenute, all’insegna del rispetto della loro dignità. Un servizio di estrema delicatezza, come questo, non può essere portato avanti a costi tanto bassi. Ci chiediamo se dietro alla decisione del governo non ci sia un ripensamento sulle modalità con cui il centro fa il proprio lavoro”. Quello di Modena è uno degli 11 centri di identificazione ed espulsione situati sul territorio italiano, spesso utilizzati per la semplice detenzione degli immigrati irregolari, che vi rimangono per tutta la durata del periodo limite stabilito dall’ultimo pacchetto sicurezza, cioè 18 mesi. La modalità dell’appalto al massimo ribasso non è adatta, secondo la segreteria della Cgil, alle esigenze di gestione di una realtà già molto critica, ma dovrebbe essere abbandonata in favore del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che tutela la trasparenza e la legalità. Tania Scacchetti sottolinea inoltre che la notizia ha suscitato l’allerta dei lavoratori del Centro. “Quali saranno per loro le conseguenze della riduzione del corrispettivo? - si chiede - Il Cie smetterà di impiegarli per rivolgersi a personale volontario? Non abbiamo un’analisi dettagliata del bando, ma ci si è accesa una lampadina. Attendiamo delucidazioni al più presto”. Droghe: incontro Italia-Usa su misure alternative al carcere Agi, 23 febbraio 2012 Pochi giorni la dopo la visita del premier Monti al presidente Obama, i diretti rappresentanti di alto livello dell’Ufficio esecutivo del Presidente degli Stati Uniti, in materia di tossicodipendenze inviati dalla Casa Bianca, hanno preso parte al workshop organizzato dal Dpa, la cui delega è affidata al ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, incentrato sull’esperienza americana dei tribunali speciali (Drugs Courts), nella prevenzione dell’uso di droghe e del nuovo modello riabilitativo di misure alternative al carcere per le persone tossicodipendenti che hanno commesso reati. Nel corso della due giorni è stato possibile approfondire la strategia elaborata dai due paesi, per la gestione dei programmi di prevenzione e i modelli alternativi al carcere per le persone tossicodipendenti, attualmente in uso negli Stati Uniti, e scambio di buone pratiche e programmi innovativi di prevenzione, trattamento e reinserimento delle persone tossicodipendenti. Quanto all’argomento carceri si è di nuovo puntualizzato così come ha dichiarato il ministro Riccardi “la necessità di valorizzare ancora di più, con gli attuali sistemi di cura e riabilitazione, il pieno recupero e reinserimento sociale e lavorativo della persona tossicodipendente anche e soprattutto attraverso l’offerta di servizi e misure alternative al carcere a quelle persone che hanno commesso reati in relazione al consumo di droga”. Stati Uniti: detenuto di Guantánamo testimonierà in cambio riduzione di pena Adnkronos, 23 febbraio 2012 Per la prima volta un detenuto di Guantánamo ha raggiunto un accordo extragiudiziale con la procura militare che lo impegna a testimoniare in altri processi in cambio di una importante riduzione della pena. Il detenuto, Majid Khan, comparirà la settimana prossima in tribunale e si dichiarerà colpevole. Fonti del Washington post hanno spiegato che l’uomo si è reso disponibile a testimoniare ai processi militari nei prossimi quattro anni, rendendo così possibile un suo successivo trasferimento in Pakistan da uomo libero. Cittadino pachistano per anni residente a Baltimora, il 31enne Khan è stato poi catturato in Pakistan nel marzo 2002. È poi rimasto a lungo nelle prigioni segrete della Cia, fino a quando l’allora presidente George Bush ha annunciato nel 2006 il suo trasferimento a Guantánamo nell’ambito di un gruppo di 13 detenuti di alto valore, fra cui Khalid Sheikh Mohammed, il “cervello” degli attentati dell’11 settembre. Khan era stato scelto da Mohammed perché, avendo frequentato la high school di Baltimora, parlava come un americano. Per questo, secondo le accuse, Khan doveva avere un ruolo in successivi attentati da perpetrare negli Stati Uniti dopo l’11 settembre. Khan sarebbe stato “testato” con due falsi tentativi di attentato suicida ai danni del presidente pachistano Pervez Musharraf e avrebbe materialmente consegnato 500mila dollari all’organizzazione terroristica asiatica Jemaah Islamiyah per finanziare l’attentato al Marriott Hotel di Giacarta nell’agosto 2003. Tutte accuse per le quali rischiava l’ergastolo. Siria: Onu; il Governo ha commesso crimini contro l’umanità Agi, 23 febbraio 2012 Il governo siriano “ha commesso crimini contro l’umanità” con il consenso dei più alti livelli dello Stato. Lo afferma il rapporto della Commissione di inchiesta Onu sulla Siria pubblicato oggi a Ginevra in cui si afferma che “gli ordini per effettuare queste violazioni avevano origine da direttive emesse dalle cariche più alte dello Stato e delle forse armate”. La Commissione, creata lo scorso settembre dal Consiglio dei Diritti umani dell’Onu, documenta anche “gravi abusi dei diritti umani commessi da vari esponenti dell’Esercito. “La Commissione - si legge - ha ricevuto prove credibili ed effettive che identificano membri di alto e medio livello dell’esercito che hanno ordinato ai loro subordinati di sparare su manifestanti disarmati, di uccidere i soldati che si rifiutavano di obbedire a tale ordine, di arrestare persone senza alcun motivo, maltrattare i detenuti e attaccare indiscriminatamente quartieri abitati da civili”. Si legge nel rapporto. La Commissione, guidata dal brasiliano Paulo Pinheiro, ha anche consegnato all’Alto Commissario per i Diritti Umani una lista con i nomi di responsabili militari e governativi siriani sospettati di aver commesso crimini contro l’umanità. I nomi di questi individui sono stati inseriti in una lista consegnata in busta chiusa all’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani per l’attivazione di eventuali procedimenti giudiziari. La commissione esorta anche a un urgente dialogo politico inclusivo e sollecita la convocazione al più presto di una conferenza internazionale di pace. Ucraina: l’ex premier e leader dell’opposizione Timoshenko visitata fuori da prigione Ansa, 23 febbraio 2012 La leader dell’opposizione ucraina, Iulia Timoshenko, è stata visitata in una clinica di Kharkiv fuori dalle mura del carcere in cui è richiusa. Lo fa sapere l’amministrazione penitenziaria specificando che l’ex premier è stata sottoposta, “su sua richiesta”, a una radiografia, a una tomografia e a una risonanza magnetica. L’eroina della Rivoluzione arancione soffre di forti dolori alla colonna vertebrale che la costringono a letto da mesi. La settimana scorsa è stata visitata in carcere da una commissione sanitaria composta da due medici tedeschi, tre canadesi e due ucraini. La diagnosi dei medici non è stata resa pubblica. Ievhen Pedacenko, uno dei due medici ucraini inviati a visitare la Timoshenko dal governo di Kiev, ha però affermato che l’ex premier non ha bisogno di essere sottoposta a un intervento chirurgico. Di tutt’altro parere il neurologo tedesco Karl Max Einhaeupl e il medico generico canadese Peter Kujtan, entrambi membri della commissione sanitaria, secondo cui l’ex lady di ferro sarebbe in gravi condizioni di salute. Dietro le sbarre da più di sei mesi, a ottobre la Timoshenko è stata condannata a sette anni di reclusione per un controverso contratto per le forniture di gas siglato con Mosca. Indonesia: seconda notte rivolte in carcere Bali, al via evacuazione detenuti La Presse, 23 febbraio 2012 Le autorità indonesiane si stanno preparando a evacuare una prigione sovraffollata di Bali scossa da rivolte dei detenuti per la seconda notte consecutiva. Diverse persone sono rimaste ferite negli scontri, iniziati ieri e sedati solo dopo l’intervento di polizia ed esercito. “Vogliamo che lascino il carcere immediatamente per la loro incolumità”, ha riferito il colonnello Wing Handoko, portavoce militare. “Dobbiamo assicurare che detenuti non utilizzino altri prigionieri per catturare l’attenzione internazionale, ad esempio prendendoli in ostaggio”, ha spiegato il colonnello, aggiungendo che in aggiunta ai detenuti uomini, saranno trasferiti oltre 120 donne e 13 bambini. Le violenze nel carcere Kerobakan, che ospita oltre mille prigionieri tra narcotrafficanti, molestatori sessuali e altri criminali violenti, sono scoppiate nella notte tra martedì e mercoledì a causa di una rissa della settimana scorsa, in cui un detenuto è stato accoltellato. I prigionieri hanno dato il via alla rivolta perché infuriati con le guardie, la cui incompetenza è, secondo loro, il motivo per cui un coltello è riuscito a entrare nella struttura. Ieri sera i detenuti erano riusciti a cacciare tutte le 13 guardie presenti e a prendere il controllo completo del carcere, ha reso noto il capo della polizia locale, Beny Arjanto. Intorno a mezzanotte, alcuni prigionieri in rivolta sono saliti sulla torre di guardia e hanno iniziato a lanciare pietre e bombe molotov contro i circa 500 soldati e poliziotti dispiegati all’esterno. Le forze di sicurezza hanno risposto con il lancio di gas lacrimogeni e sparando in aria.