Giustizia: amnistia… un promemoria di Valeria Centorame Notizie Radicali, 1 febbraio 2012 Il Partito Radicale sta conducendo una lotta per la giustizia e la legalità proponendo l’Amnistia per la Repubblica, come apripista ad una vera e seria riforma della Giustizia. La maggior parte dei cittadini volutamente poco informati e disinformati dai media non ne conosce i dettagli, non ne conosce le motivazioni, non ne conosce le ragioni. I cittadini non hanno modo perciò di crearsi “una propria opinione” nel merito, a causa del silenzio vergognoso dell’informazione pubblica che non da spazio ad un democratico dibattito sul tema. Ho raccolto dopo una ricerca, alcune recenti dichiarazioni rilasciate sul tema Amnistia, indulto e sovraffollamento carcerario, citando di volta in volta la fonte e virgolettando le testuali parole utilizzate da alcune autorevoli voci del panorama italiano. Credo che la lettura delle dichiarazioni, avulse volutamente da commenti, possa chiarire un pochino le idee del perché un provvedimento del genere susciti invece la vicinanza e l’adesione di molte autorevoli personalità e della maggior parte degli addetti del settore, cioè di chi non ha bisogno di approfondimento mediatico proprio perché il problema lo conosce da vicino. Sono oltretutto convinta che con la giusta informazione la maggior parte della società civile appoggerebbe tale proposta per tutte le ragioni che ad oggi le è negato conoscere. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica italiana: “… il sistema carceri e giustizia riconosciuto al collasso… una realtà che ci umilia in Europa, L’emergenza va affrontata esaminando ogni possibilità di intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. (Intervento al convegno “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”) Carlo Federico Grosso, professore di diritto penale nell’Università di Torino, avvocato ed ex Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura: “Mi si chiede, infine, quali interventi ulteriori potrebbero essere utili e/o necessari allo scopo di risolvere l’emergenza carcere. Sul punto non ho dubbi: le uniche misure “svuota-carceri” efficaci nei confronti di tale emergenza sarebbero l’amnistia e l’indulto. Conosco le obbiezioni alle quali una simile proposta va incontro. Nondimeno insisto poiché, altrimenti, in tempi brevi non potrà esservi rimedio alla condizione carceraria ormai insostenibile. Naturalmente, se si vuole evitare di ripetere gli errori del passato, occorrerebbe che la scelta d’utilizzare ancora una volta (impropriamente) gli istituti di clemenza allo scopo di sfoltire la popolazione carceraria sia accompagnata da una forte iniziativa riformatrice di carattere generale. Il provvedimento di amnistia e d’indulto dovrebbe essere, in altre parole, accompagnato dall’impostazione di quella “riforma complessiva ed organica del sistema penale” che si auspica da anni per superare la crisi della giustizia italiana, ma che mai, fino ad ora, le forze politiche sono state in grado anche soltanto d’impostare: riforme di organizzazione del sistema giudiziario, riforma del codice penale, riforma del codice di procedura penale, accelerazione nella costruzione di nuove carceri, e via dicendo”. (Intervista da penalecontemporaneo.it) Alberto Gargani, professore ordinario presso il Dipartimento di Diritto Pubblico Membro della Facoltà di Giurisprudenza Settore scientifico disciplinare Diritto Penale Ius/17: “Siamo di fronte ad un fatto conforme al tipo legale materialmente lesivo di beni penalmente protetti, che presenta peraltro una peculiare nota distintiva: il carattere massivo e seriale dell’offesa le condizioni inumane e degradanti in cui si traduce il sovraffolamento danno luogo ad una situazione tipica ed antigiuridica, espressione di un travalicamento dei limiti oggettivi del dovere, per cui l’insieme determina la circostanza che il carcere sia definibile, oggi, in Italia, un’ istituzione criminale”. Non criminogena, quello lo è sempre stata da quando è stata inventata, è un’istituzione criminale”. (dal saggio sul Sovraffollamento carcerario e violazione dei diritti umani: un circolo virtuoso per la legalità dell’esecuzione penale) Tullio Padovani, ordinario di diritto penale alla Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa: “La tortura accettata come una normalità. Una normalità che diventa normativa e che si fa regola in qualche modo, e si fa regola ad esempio attraverso quella strana formula che è la capienza tollerabile degli istituti penitenziari. In realtà non si tratta di una situazione normativa, non si tratta di una situazione che sia regola, ma è una situazione che ha un altro nome. Chiaro, univoco, indiscutibile: si chiama delitto di maltrattamenti in base all’art. 572 del codice penale”. (da “Relazione sullo stato dell’amministrazione penitenziaria”) Antonio Buonaiuto, Presidente della Corte di Appello di Napoli (distretto giudiziario più grande d’Italia): “… il rimedio principe sarebbe un’amnistia, per eliminare il grosso carico di arretrati. È un fardello, un debito pubblico, un debito giudiziario che ci portiamo dietro. Naturalmente questa amnistia lascerebbe fuori i reati maggiori, quelli più gravi, ma bisogna avere il coraggio di dire queste cose. La crisi economica e le azioni di contrasto hanno fatto venir meno le tradizionali vie criminali di approvvigionamento, quelle delinquenziali tipiche, basti pensare all’azione di contrasto all’usura, al pizzo e simili. Di riflesso, sul piano del crimine si compensa con il furto, la rapina etc.”. (Intervista rilasciata al “TGR Campania il 25 gennaio 2012) Ferdinando Imposimato, già magistrato e parlamentare. Avvocato penalista, presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. Invocando l’amnistia come soluzione al problema carcerario ha inoltre sostenuto che: “…oggi in carcere c’è per la maggior parte microcriminalità che non rappresenta una minaccia allo stato sociale”. (Intervista a “La vita in diretta”, 10 gennaio 2012) Giovanni Palombarini, Magistratura Democratica: “… Il numero dei detenuti, molti dei quali non sono neppure condannati in via definitiva, continua ad aumentare, come quello dei suicidi. Magistratura Democratica, io penso, dovrebbe fare propria la proposta di amnistia e indulto, affiancandosi pubblicamente, anche con una sua iniziativa, a coloro che nella società insistono per l’amnistia”. (da “Magistraturademocratica.it) Giovanna Di Rosa responsabile per le carceri del Consiglio superiore (Csm): “… sì all’amnistia… e poi non lasciamoli in mezzo a una strada. È indispensabile intervenire, è un rimedio estremo, ma da adottare. Questa misura va accompagnata alla costruzione di una rete sul territorio, perché in carcere ci sono i cittadini più poveri, e non devono trovarsi fuori, in mezzo a una strada, senza un soldo”. (da “Ristretti Orizzonti”) Enrico Sbriglia, Direttore di Istituto Penitenziario e Segretario del sindacato più rappresentativo dei direttori penitenziari: “La situazione nelle carceri è così critica…che richiede una soluzione straordinaria: non possiamo aspettare la revisione del codice penale; occorre avere il coraggio di tagliare, con un’amnistia, l’enorme numero della popolazione detenuta che ormai viaggia verso le 68.000 unità”. (da “Ristretti Orizzonti”) Ada Palmonella psicologo esperto del Tribunale Penale e Civile di Roma, esperto del Ministero di Giustizia per gli Istituti Penitenziari: “… Dopo un solo pomeriggio trascorso a Regina Coeli… penserebbe che ci sono, evidenti, le condizioni per l’amnistia”. Quell’amnistia su cui non c’è accordo politico e per questo considerata impraticabile. Ma allora, a meno di un accordo per continuare a tenere migliaia di detenuti in carceri sempre più simili a cloache, la politica si impegni seriamente a trovarne uno su interventi alternativi ma sostanziali, in grado di decongestionare rapidamente il sistema carcerario. Perché ogni giorno che passa senza soluzioni, né proposte è una prova in più che inchioda la classe dirigente alle proprie responsabilità di fronte a questa tortura di Stato”. (da “Lettera aperta al presidente della Repubblica”) Filippo Facci giornalista e scrittore: “… Sono favorevole a un’amnistia. In un Paese civile, l’obiettivo dovrebbe essere la giusta oscillazione tra la cultura della legalità e il rispetto delle garanzie, ma da noi - è destino, pare - tutto si traduce nell’oscillazione tra il peggior forcaiolismo e il garantismo più peloso, per fare l’amnistia ci vorrebbe un governo meno ossessionato dal consenso”. (da “Tempi”) Enrico Mentana, giornalista: “In generale è criminale l’assenza totale di dibattito tra le forze parlamentari, escluso chi, come i radicali, meritoriamente lo fa da sempre sul tema della condizione nelle carceri. Purtroppo un quindicennio di botte da orbi tra guelfi e ghibellini sui temi della giustizia soltanto centrati su una persona hanno portato a dimenticare e distorcere completamente tutti i problemi della condizione carceraria, quindi ogni iniziativa è assolutamente benemerita”. (da “Ristretti Orizzonti”) Antonio Socci giornalista e scrittore: “Aderisco a questa idea di una pacificazione che riguardi tutta la nostra società, oltre a quella politica e che metta in primo piano i nostri amici, fratelli carcerati, che sono costretti a vivere in una situazione drammatica, per cui è saggio e sacrosanto riprendere l’antico appello di Giovanni Paolo II, che ci esortava a una misura di clemenza che sani una situazione davvero intollerabile”. (da “Ristretti Orizzonti”) Roberto Saviano giornalista, scrittore : “… In carcere un suicidio ogni cinque giorni. Le condizioni di vita sono spesso disumane. “I detenuti in Italia sono cresciuti dell’80% in 10 anni e le strutture rimaste invariate: 80mila detenuti per 50mila posti…È dal funzionamento di carceri e sistema giudiziario che si misura la democraticità di un Paese. E l’Italia ha molta strada da fare”. (dalla sua pagina su Facebook e Twitter) Andrea Oliviero Presidente Nazionale delle Acli : “… non possiamo accettare che si scenda sotto i livelli del rispetto della dignità umana. Bisogna avere il coraggio di affrontare un provvedimento d’urgenza nel nostro paese, perché la situazione delle carceri sta diventando esplosiva. È importante che non si proceda in maniera scoordinata, come avvenne l’ultima volta che si scelse per un provvedimento di indulgenza. Si tratta di scelte di civiltà, che vanno fatte spiegandole al Paese, dati alla mano. Anche perché la Lega Nord, che è all’opposizione, remerà contro. Tutta la società civile deve assumersi questa responsabilità, perché l’amnistia non va vissuta come se fosse un colpo di spugna: bisogna inserire collateralmente un elemento rieducativo, che nelle nostre carceri non è quasi mai presente”. (da “Ristretti Orizzonti”) Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori: “…un’amnistia selezionata, legata ad alcuni tipi di reato. Bisogna assolutamente affrontare il tema. Il Vaticano ha definito quella di Monti una bella squadra e la presenza cattolica in questo nuovo esecutivo credo possa contribuire in maniera positiva a una valutazione serena, e non ideologica. È una carta in più, che non va sprecata: quando il tema dell’amnistia è stato trattato in passato ha subito opposte partigianerie. Occorre invece fare un discorso nazionale, pragmatico, pacifico”. (da “Ristretti Orizzonti”) Di seguito invece alcuni degli aderenti all’appello a sostegno della lotta nonviolenta di Marco Pannella che invita a prendere in considerazione anche la possibilità di un’amnistia “per la repubblica, per la giustizia e per la legalità”: 270 Deputati e 101 Senatori - ovvero il 39% dei 954 parlamentari totali - hanno dunque sottoscritto l’appello di Pannella: si tratta del 43% della Camera e del 31 % del Senato. A loro si aggiungono 13 Europarlamentari, 19 Sindaci, 5 Presidenti di Provincia e 2 Presidenti di Regione. Tra i firmatari Dal mondo della politica: Ministro Gianfranco Rotondi per l’attuazione del programma del Governo, Rosy Bindi, Paola Binetti, Anna Paola Concia, Benedetto Della Vedova, Walter Veltroni, Clemente Mastella, Rita Borsellino, Deborah Serracchiani, Nichi Vendola, Giuliano Pisapia. Numerosi direttori ed operatori penitenziari (dagli educatori agli psicologi) che non citeremo per il grande numero. E poi giuristi, intellettuali, giornalisti, personalità dell’arte e dello spettacolo come Lucio Dalla, Maurizio Costanzo, Vittorio Feltri, Dario Fo, Clemente Mimun, Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma; Angelo Panebianco, Franca Rame, Ilona Staller, Luigi Frati Rettore Univ. di Roma “La Sapienza”, Renzo Arbore, Franco Battiato, Ennio Morricone, Ornella Vanoni, Vittorio Sgarbi, Oliviero Toscani, Paolo Villaggio, Claudio Bisio, Marco Berry delle Iene”. La marcia del Natale del 2005 per la richiesta di Amnistia (che non fu varata, e ne rimase orfano invece l’indulto nel 2006) vide partecipi tra gli altri Giorgio Napolitano, Don Andrea Gallo, la suddetta marcia promossa da Marco Pannella, ebbe un lunghissimo elenco di adesioni bipartisan come Andreotti, Cossiga, Bertinotti, Macaluso, Ferrara e Rodotà, Manconi, D’Alema, Brutti, Macaluso, Russo Spena, Taradash, Paolo Cento, Franco Giordano e Leo Solari; molti socialisti, fra cui Villetti, De Michelis, il presidente della Regione Abruzzo Del Turco ed Boselli. Hanno partecipato alla marcia anche alcuni giornalisti, tra i quali Lucia Annunziata, il direttore dell’Unità, Antonio Padellaro, e Valentino Parlato. Ormai ed anche grazie alla battaglia radicale, (e di cui in Senato si è dibattuto sempre grazie all’autoconvocazione promossa dai radicali) ogni tanto sui media passa la notizia per qualche secondo del drammatico sovraffollamento carcerario. La parola “amnistia” viene ogni tanto pronunciata, ma senza fornire agli ascoltatori delucidazioni ed approfondimenti su cosa significhi realmente e perché la si sta chiedendo. I radicali vengono volutamente dipinti come “una manica di pazzi che vuole mettere in circolazione i delinquenti”... di suicidi non se ne parla più (nonostante ne avvenga uno ogni 5 giorni) qualche ascoltatore in più ha saputo che in Italia ci sono oltre 28.000 persone detenute in attesa di giudizio, (di cui la metà già sappiamo che uscirà innocente) qualcun’altro tra qualche titolo e notizia di nera, tra qualche plastico ed in orari improponibili ha potuto vedere qualche immagine di reportage dalle carceri. Quasi nessuno è stato mai informato delle tante multe e denunce che riceviamo dall’Europa e dalla Corte Europea per i Diritti Umani. Poco affinché si crei una vera coscienza sociale del problema. Nulla affinché non sia violato il diritto all’informazione di cui i cittadini dovrebbero godere. Oggi la disparità sociale maggiore avviene proprio nelle carceri, divenute veri e propri nuclei di shoah... dove vengono relegati gli ultimi, dove non si crea rieducazione e quindi sicurezza, dove vengono violati costantemente i diritti umani. In Italia non è previsto ancora normativamente il “reato di tortura”, mentre si continua a comminare la pena all’ergastolo che è contraria alla Costituzione e alle Carte internazionali dei diritti dell’uomo”. L’ergastolo ostativo inoltre come una morte bianca... è un fine pena mai. Purtroppo demagogicamente si usa ormai lo slogan della “certezza della pena”... quando in Italia non riusciamo ad avere nemmeno la “certezza del reato” con migliaia di innocenti dietro le sbarre... né la “certezza del diritto”, perché le migliaia di prescrizioni, unite all’obbligatorietà dell’azione penale fanno si che i cittadini “non siano uguali di fronte alla legge”. Giustizia: a proposito della “prepotente urgenza…” di Matteo Marchesini Corriere di Bologna, 1 febbraio 2012 Ogni tanto gli sembra di sentire gli elicotteri sopra la Dozza. “Ci siamo”, pensa dando lo straccio alla cella con una vecchia maglia, mentre Marco si addossa alla latrina gelida e Faruk poltrisce sul letto a castello. “Il Presidente è qua”. Ripete tra sé le parole dure e giuste pronunciate da Napolitano a fine luglio e ascoltate con Totò, un ragazzo preso con un po’ di droga. Le latrine allora puzzavano assai, ci si scioglieva dal caldo, e la radio diffondeva in cella un filo di speranza. Ma poi Totò si era impiccato, a un mese dalla libertà. Però quel giorno, quando il Presidente disse che le carceri erano una “prepotente urgenza”, entrambi gioirono. Poi passarono i mesi, uguali sempre, fino a gennaio. Adesso il Presidente è qui, e il prigioniero continua ad aggrapparsi alle sue sagge parole, sperando che i partiti gli obbediranno e le tradurranno nella clemenza che evocano. Sente che può accadere davvero, ora che a Bologna capita di tutto in poche ore: visite illustri e arte, beneficenza e scioperi, terremoti e grandi pulizie. “Prepotente urgenza” ripete più volte prima del sonno. Ma teme che stia diventando un’idea fissa, e che presto dovranno sedarlo come il mese scorso, quando credeva di udire ovunque la voce di Totò. Giustizia: chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, i rischi della riforma di Ennio Fortuna Il Gazzettino, 1 febbraio 2012 Nel corso della discussione per l’approvazione del cosiddetto decreto svuota-carceri il Senato con il consenso del Governo ha inserito nel testo un emendamento di poche righe ma di enorme significato culturale. Si è in pratica prevista a breve termine (entro il 2013) l’eliminazione degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) dove sono internati gli assolti per totale infermità di mente che si siano resi autori di gravi delitti. Dopo l’abolizione dei manicomi civili (nel 1978) si tratta di un passo atteso, quasi obbligato (infatti è previsto in tutti i progetti di riforma del codice). Ovviamente il problema non è teorico, o almeno non è solo teorico. Si può essere d’accordo o no sull’abolizione degli ospedali psichiatrici, ma ci si deve subito chiedere che fine faranno gli internati una volta rilasciati dalle attuali strutture dove sono custoditi e curati, per la verità più custoditi che curati, il Ministro Severino ha prontamente replicato che i folli socialmente pericolosi non saranno lasciati liberi, mentre i malati di mente non particolarmente pericolosi (sono la maggior parte) saranno sorvegliati discretamente da agenti penitenziari e da infermieri. Spero molto che la riforma vada in porto, ma una volta tanto che sia preceduta da una attenta programmazione e verifica delle attuali condizioni delle strutture e di quelle che andranno a sostituirle. Quando si abolirono i manicomi, lo si fece più in base ad una filosofia etica allora prevalente (e probabilmente ancora oggi seguita dalla maggioranza), ma si fece assai poco sotto il profilo pratico. Tanto è vero che molti, più o meno apertamente, rimpiangono i vecchi istituti, dove i malati venivano curati poco e male, ma almeno non erano, come ora, di peso alle famiglie. Nel caso degli Opg il problema è ancora più grave perché si tratta di malati spesso assai gravi e che difficilmente guariscono, e che devono anche essere custoditi e guardati a vista, perché potrebbero commettere altri delitti senza poi risponderne. Al primo caso di crimine commesso da un infermo di mente, già ospite di un Opg, l’opinione pubblica reagirebbe violentemente rievocando e rimpiangendo l’attuale sistema. Non c’è ragione obiettiva per questo, ma certamente occorre evitare incidenti del tipo indicato. Il ministro della giustizia assicura che ciò non accadrà, ma abbiamo visto troppe volte riforme anche ambiziose naufragate per la mancata predisposizione delle strutture necessarie. Sono perciò del parere che l’aspetto pratico della riforma venga curato con particolare attenzione, e che l’opinione pubblica ne venga adeguatamente e tempestivamente informata. A scanso di reazioni emotive e di nostalgiche richieste di un richiamo in vita di un sistema obiettivamente da eliminare radicalmente e senza alcun rimpianto. Giustizia: accelerato l’iter del decreto-carceri, in aula alla Camera il 7 febbraio Tm News, 1 febbraio 2012 Il decreto sull’emergenza carceri, approvato al Senato, approderà in Aula alla Camera martedì prossimo 7 febbraio per la discussione generale. Lo ha stabilito la conferenza dei capigruppo. Il relatore Vitali: evitare una norma-manifesto che si applichi a pochi (Gazzetta del Sud) Al via alla Camera, in commissione Giustizia, l’iter di approvazione del dl sul sovraffollamento carcerario che il Senato ha licenziato, in prima lettura, il 25 gennaio scorso. L’orientamento della maggioranza è quello di evitare un secondo passaggio a Palazzo Madama, ma non è escluso che per rendere più efficace il provvedimento si possa pensare alla presentazione di ordini del giorno che, impegnando il governo, consentano di specificare alcuni elementi o di intervenire su alcuni passaggi. “Riteniamo che questo provvedimento sia un segnale importante, in coerenza con gli obiettivi evidenziati dal governo. È evidente che esistono alcune criticità, ma la correzione di una norma del genere non deve allungare i tempi di esame del provvedimento”, ha detto Enrico Costa, capogruppo Pdl in commissione, nella seduta cui ha preso parte anche il Guardasigilli, Paola Severino. “È importante dare un segnale di compattezza”. Nel bilanciamento degli interessi “molto probabilmente” il segnale politico è più importante della valutazione nel merito di aspetti che la commissione non ritenga rilevanti. “Anche se per le modifiche - ha aggiunto - i tempi ci sono”. A prendere la parola ieri sono stati i due relatori del testo, Donatella Ferranti (Pd) e Luigi Vitali (Pdl), già sottosegretario alla Giustizia, che ha, fra l’altro, puntato il dito contro la modifica, inserita al Senato, che esclude dai domiciliari gli arrestati per furto in abitazione, furto con strappo, rapina ed estorsione semplice, sostenuta invece dall’ex Guardasigilli Nitto Palma. “Se si tolgono i domiciliari agli scippatori e ai ladri in appartamento “chi va agli arresti a domicilio? Rischia di non andarci più nessuno”, ha detto Vitali denunciando il rischio “di una norma manifesto che si applichi a poche persone”. Vitali ha esordito spiegando di voler segnalare “con spirito collaborativo” alcune incongruenze, in una materia così delicata: “Anche se abbiamo l’emergenza dietro la porta credo opportuno licenziare un provvedimento che risolva problematiche e non diventi uno slogan”. Vitali ha parlato “di importante salto culturale” la predisposizione per i domiciliari nei casi che si risolvono in un breve arco di tempo, ha indicato di trovare le risorse per le forze dell’ordine impegnati, con l’utilizzo delle celle delle questure e delle caserme in compiti suppletivi di custodia. Ed ha sottolineato la possibilità di farlo creando un fondo specifico con una parte dei 380mila euro al giorno che si risparmierebbero evitando l’effetto “porte girevoli” nelle carceri. Attenzione puntata anche sulla chiusura degli ex manicomi criminali: “Era questa la sede in cui intervenire? Credo di no - ha detto ancora Vitali - in un anno siamo in grado di sostituire un sistema che tutti abbiamo criticato?”. Si è chiesto ancora, non mancando comunque di sottolineare la necessità di intervenire sugli Opg. Quindi ha aggiunto: “sono disponibile a rivedere alcune perplessità a fronte di altre esigenze”. L’idea sarebbe però di intervenire magari in raccordo con il Senato. I Radicali, con Rita Bernardini, hanno riportato l’attenzione sull’amnistia per evitare “a monte” quello che sta paralizzando la giustizia ed hanno aggiunto: “Non ci è stato proposto qualcosa di adeguato per rimuovere la paralisi e l’illegalità esistente in Italia”. Giustizia: cambio al vertice del Dap; Giovanni Tamburino prenderà il posto di Franco Ionta Agi, 1 febbraio 2012 Cambio al vertice del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: il giudice Giovanni Tamburino, secondo quanto apprende l’Agi, dovrebbe essere nominato al vertice del Dap al posto dell’attuale capo del dipartimento Franco Ionta. La nomina dovrebbe essere ufficializzata nel prossimo Consiglio dei Ministri. Tamburino attualmente è presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Sappe: serve guida forte e autorevole, Tamburino non è volto nuovo del Dap “L’Amministrazione Penitenziaria ha bisogno di una guida autorevole e forte, che nell’attuale contesto emergenziale privilegi più gli aspetti della sicurezza che non quelli del trattamento, atteso che allo stato parlare di un carcere trattamentale e rieducativo - con 68mila detenuti stipati in celle idonee per accoglierne 42mila - è una presa in giro. Per questo, di fronte alle indiscrezioni dell’ultima ora che indicano l’attuale Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma Giovanni Tamburino quale probabile successore di Franco Ionta alla guida dell’Amministrazione Penitenziaria, il Sappe esprime tutte le proprie perplessità”. Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Giovanni Tamburino” aggiunge il Sappe “non è un volto nuovo del Dap. È stato infatti dirigente dell’Ufficio Studi e Ricerche dell’Amministrazione Penitenziaria sotto la direzione di Alessandro Margara, che è stata probabilmente la più fallimentare dalla riforma del 1990. Oggi le carceri sono sul rischio di implodere e per questo serve una guida forte ed autorevole. E quindi non ci servono teorici del diritto ma magistrati con esperienze sul campo della sicurezza”. Giustizia: la Cancellieri proroga contratto per i “braccialetti elettronici”; contraria la Severino di Liana Milella La Repubblica, 1 febbraio 2012 L’hanno saputo “del tutto casualmente” al ministero della Giustizia. Da una “soffiata” del Dap. Così, a metà gennaio, il Guardasigilli Paola Severino ha appreso che la collega dell’Interno Annamaria Cancellieri aveva firmato sola soletta la convenzione con Telecom - ben cento milioni di euro - per confermare vari servizi di comunicazione elettronica, tra cui anche quello dei braccialetti da mettere alla caviglia di è agli arresti domiciliari. Sì, proprio loro. Quelli costati, dal 2001 al 2011, 110 milioni di euro per controllare otto detenuti. Non è una barzelletta, sono i dati del Viminale. E che succede adesso? Che quella convenzione è stata rinnovata. Nel palazzo delle polizie lo staff del ministro minimizza, “il corrispettivo per i soli braccialetti pesa sull’intera economia del contratto per poco più di 9 milioni di euro”. E poi, aggiungono, nessuna “proroga”, ma “un nuovo accordo”. In via Arenula sono davvero basiti. La querelle Severino-Cancellieri sarebbe rimasta riservata se non fosse spuntato l’ex ministro Nitto Palma che al Senato, durante un’audizione dell’ex commissario di Bologna, le ha chiesto conto del contratto Telecom. Che ha messo in imbarazzo la Severino, impegnata pubblicamente a non confermare la convenzione senza verificare prima l’effettiva utilità dei braccialetti. Con l’uscita di Palma, a quel punto, sono saltati fuori anche i retroscena di un irritato carteggio tra via Arenula e il Viminale che ha per oggetto l’opportunità di continuare a pagare Telecom per un servizio che non ha mai funzionato. Come ha detto il vice capo della polizia Francesco Cirillo il 4 gennaio al Senato, “se fossimo andati da Bulgari avremmo speso di meno”. Visto che in media un anello alla caviglia - perché questo è il meccanismo antifuga da un arresto domiciliare - è costato migliaia e migliaia di euro. Per giunta senza funzionare. Ricostruire la collera della Severino non è difficile. Facendo una premessa: quando la convenzione stava per scadere lei aveva garantito che non si sarebbe ripartiti senza una puntuale verifica del rapporto costi-benefici. Ecco che a metà gennaio, a sorpresa, dal Dap le dicono che Telecom è di nuovo in campo. Lei scrive alla Cancellieri. Mette in chiaro che si aspettava di essere sentita prima della nuova firma, che non era possibile rinnovare un servizio in presenza di gravi criticità. Chiede, soprattutto, di ripensarci e di bloccare tutto. Troppo tardi. Dal Viminale cercano di rassicurarla. Spiegano che la convenzione è omnicomprensiva, che riguarda “tutti i servizi di comunicazione elettronica essenziali per la sicurezza del paese”. Dentro c’è pure la famosa “batteria” che smista le telefonate dei vip. Poi aggiungono che i braccialetti, da 400 che erano, diventeranno duemila, di cui 200 dotati anche di un sistema gps. Poi quell’aspetto polemico che diventa anche una stoccata ai giudici e che finisce nella nota ufficiale per contraddire Palma. Non si poteva non “dare continuità a un servizio previsto per legge” - quella del 17 gennaio 2001, premier D’Alema, ministro dell’Interno Enzo Bianco - e “come tale obbligatorio”. Una frecciata contro la magistratura: “Se finora l’utilizzo è stato limitato ciò è dipeso dalla scarsità delle richieste da parte dell’autorità giudiziaria”. Ma la Severino mantiene intatta tutto il fastidio, l’irritazione, la meraviglia che ha confidato ai suoi con una battuta: “Ma lo sanno al Viminale che la responsabile delle carceri sono io?”. E in questa veste, per quei “poco più di nove milioni di euro l’anno” che invece a lei non sembrano affatto pochi, voleva e vuole dire la sua. Bastava stralciare dalla convenzione il servizio dei braccialetti. Metterlo prima a regime. Tant’è che il Guardasigilli non l’ha inserito nelle misure svuota-carcere. Ma a questo punto i giochi sono fatti. Giustizia: Cancellieri; per arrestati in flagranza a disposizione 1.057 camere di sicurezza Ansa, 1 febbraio 2012 Sono 1.057 le camere di sicurezza delle forze di polizia (327 polizia, 658 carabinieri e 72 della guardia di finanza) disponibili ad ospitare arrestati in flagranza di reato come prevede il cosiddetto decreto svuota carceri. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, nel corso di un’audizione alla commissione Affari costituzionali della Camera. “Conosco bene le preoccupazioni dei sindacati di polizia che chiedono un adeguamento dell’organico - ha aggiunto - ma si tratta di dare una risposta alla congestione del circuito carcerario”. Giustizia: al volante dopo aver fumato uno spinello uccide ragazza, condannato a 14 anni Tm News, 1 febbraio 2012 Ha travolto e ucciso Roberta Caracci, una ragazza di 24 anni che si era appena laureata, mettendosi al volante senza patente, dopo aver fumato uno spinello e aver assunto un sonnifero. Per questo merita 14 anni di reclusione per omicidio volontario. Lo hanno stabilito oggi i giudici della prima corte d’assise d’appello, ribaltando a sorpresa, e contro il parere del sostituto procuratore generale, la sentenza con cui in primo grado l’11 dicembre 2009 l’operaio Alessandro Mega era stato condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere per omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente e della previsione dell’evento. I giudici d’appello, pur applicando lo sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato scelto dall’imputato, hanno inflitto una condanna ben più alta persino di quella chiesta due anni fa il pubblico ministero Ester Nocera. La titolare dell’inchiesta, infatti, aveva invocato una pena di 9 anni e 4 mesi per omicidio volontario con dolo eventuale, ma si era vista derubricare il reato contestato. Giustizia: Cassazione; agli arresti domiciliari si può navigare su internet, ma niente Facebook Adnkronos, 1 febbraio 2012 Chi si trova agli arresti domiciliari può tranquillamente navigare sul web a “scopo conoscitivo”. Lo rileva la Cassazione nello spiegare quali sono i limiti telematici entro i quali può muoversi chi è agli arresti. Spiega la Suprema Corte che mentre la navigazione per informarsi è consentita, è invece off-limits la comunicazione via Facebook. In particolare, la Quarta sezione penale ha dichiarato inammissibile il ricorso di Alfonso L., un 24enne pugliese che si era visto revocare i domiciliari perché era stato sorpreso in una conversazione su Facebook con un coimputato. Per la Cassazione, “il divieto di comunicare con terze persone, estranee ai familiari conviventi vale anche per le comunicazioni tramite Internet sul sito Facebook, ma l’uso di Internet non è illecito quando assume una mera funzione conoscitiva”. In questo caso, l’utilizzo di Internet da parte di Alfonso L., nei confronti dei quali è stata ripristinata la custodia in carcere per violazione del divieto di comunicare con persone diverse da quelle con lui coabitanti, non aveva una finalità conoscitiva ma era finalizzato alla preparazione del programma criminoso da attuare in occasione della liberazione di altro complice ristretto in carcere”. Ecco perché piazza Cavour ha convalidato la decisione del tribunale della libertà di Lecce del 20 maggio 2011. Giustizia: ex brigatista rivendica il “diritto all’oblio”, contraria l’On. Sabina Rossa (Pd) di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 1 febbraio 2012 Ha fatto il brigatista rosso quando non aveva ancora vent’anni, dopo una precoce militanza nei grappi che praticavano gli “espropri proletari. A ventuno ha sparato alle gambe del segretario di una sezione democristiana della periferia romana, partecipato “all’inchiesta” su un obiettivo da colpire e ospitato qualche riunione del comitato esecutivo delle Br in casa dell’ignara nonna. Nel 1982, a ventitré anni, è stato arrestato e ha subito cambiato strada: s’è pentito, ha fatto arrestare diversi suoi ex compagni, ha avuto gli sconti di pena previsti dalla legge. Ripresi gli studi in economia s’è laureato, e appena uscito dal carcere ha intrapreso la carriera accademica e frequentato corsi all’estero. È diventato professore associato in una università della Toscana, il suo curriculum conta decine di pubblicazioni. E oggi chiede che il suo passato di brigatista venga cancellato dagli archivi telematici, invocando la legge sulla privacy e il “diritto all’oblio” per “non vedere incrinata 0 distrutta la propria riconquistata considerazione sociale”. È l’inedita e curiosa iniziativa di M.B., 53 anni, ex “soldato” della colonna romana delle Br, il quale ha scritto al Centro di documentazione “Archivio Flamigni” - la fondazione che conserva forse il più completo archivio sul terrorismo e l’eversione in Italia - intimando di eliminare il suo nome dagli indici e comunicando di opporsi “al trattamento dei dati” connessi ai suoi trascorsi sovversivi. Che peraltro, sostiene, “appartengono ormai al passato, sono già stato resi noti all’epoca e hanno perso quel carattere di attualità che ne potrebbe giustificare l’ulteriore pubblicazione”. Il professore si appella alle norme che proteggono la riservatezza lamentando il fatto che digitando il proprio nome sui motori di ricerca telematica “compaiono numerosi articoli pubblicati anche negli anni recenti su archivi on line di quotidiani e siti internet, nonché diversi blog di discussione, in cui viene offerta una connotazione negativa dello scrivente, denominato “ex brigatista” o “terrorista rosso”, e posto in diretta relazione” con episodi e avvenimenti di trent’anni fa. Tutto questo è ingiusto, si lamenta l’interessato che ha scontato la pena, ha chiuso da tempo i suoi conti con la giustizia ed è stato definitivamente riabilitato dai tribunali: “Gli errori del passato non possono costituire segni indelebili dell’identità”. Ed è dannoso per lui che vede “alterata e danneggiata la rinnovata ed attuale identità personale, il proprio onore e la propria ricostruita reputazione”, giacché gli eventi del passato “caricano la sua persona di una connotazione negativa”. Le vesti dell’ex brigatista, insomma, non gli stanno più addosso e non devono essere rievocate quando si parla del professor B. Tanto più adesso che “ha stretto un legame affettivo stabile e tra pochi mesi diventerà padre”, come scrive il suo avvocato, segnalando che la “illegittima divulgazione” delle sue gesta giovanili può “arrecare danno al benessere e alle relazioni interpersonali non solo della compagna ma anche del prossimo nascituro”. Di qui “l’invocazione e l’esercizio del diritto all’oblio”, con l’avvertimento che se non sarà rispettato si rivolgerà alla magistratura o al garante della privacy per ottenere di depennare dalle sue biografie la militanza nelle Brigate rosse. Il problema è che la storia di M.B. - insieme a quelle di centinaia di altri ex terroristi, soprattutto quelli che hanno collaborato con la giustizia - fa parte della storia collettiva del Paese. Basti pensare che i suoi verbali d’interrogatorio, sono stati acquisiti dalla commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Moro, e sono conservati nell’archivio storico della Camera e del Senato. Anche quelli in cui ha raccontato di aver sparato alle gambe di Domenico Gallucci, il dirigente della sezione democristiana del quartiere romano di San Basilio ferito il 19 maggio 1980. Lo aspettarono sotto casa alle 7,30 del mattino, quando uscì per portare fuori il cane. I brigatisti lo affiancarono a bordo di una macchina, dal finestrino uno si sporse e lo chiamò con la scusa di chiedergli un’informazione. “In quel momento - ha raccontato B. al pubblico ministero Domenico Sica - io che ero sul sedile posteriore ho fatto fuoco, il primo colpo è andato a vuoto, Gallucci è scappato. Ho sparato ancora. Correndo Gallucci è caduto. Allora io sono riuscito a colpirlo”. Di fronte all’originale pretesa del professore, la deputata del Pd Sabina Rossa - figlia dell’operaio comunista Guido Rossa, ucciso dalle Br nel 79 - ribatte che “la memoria non si può privatizzare, è un atto pubblico che serve a dare voce e vita a quelle persone che sono morte senza un perché ma non a caso e non invano, bensì per affermare dignità e valori che fanno di noi oggi persone libere”. L’onorevole Rossa è una decisa sostenitrice del reinserimento degli ex terroristi ed ex detenuti, ma pensa che il brigatista divenuto affermato docente ed economista “abbia il dovere, nelle occasioni pubbliche e soprattutto se di fronte ad una platea di studenti, di premettere ciò che è stato e quali furono i suoi errori. Se vogliamo davvero ricomporre le fratture di quegli anni, nessuno può permettersi di dimenticare e invocare l’oblio, perché la democrazia non dimentica e non paga prezzi a nessuno”. Giustizia: se viene voglia di tifare per il “Madoff dei Parioli” di Massimo Bordin Il Riformista, 1 febbraio 2012 Raccontano che Eduardo De Filippo ogni tanto accompagnava in tribunale l’avvocato Porzio, un principe del foro dell’epoca, e seguendo le cause traeva ispirazione per le sue opere teatrali. Un processo può ben essere un dramma o una commedia, talvolta perfino una farsa. A quest’ultimo genere sembra somigliare il processo romano al cosiddetto “Madoff dei Parioli”, Gianfranco Lande accusato di aver fatto sparire 300 milioni affidatigli da risparmiatori dell’elegante quartiere romano. Ieri i giornali raccontavano dell’ultima udienza che ha visto protagoniste due singolari “parti lese”. Un prete, che affidava a Lande i soldi guadagnati per avviare le pratiche di santificazione. Deve rendere bene, perché il prete ha investito settecentomila euro. Che non ha più visto. “Mi garantiva interessi fino al 20 per cento” lamenta, senza essere sfiorato dal pensiero che di fronte a tassi del genere non si chiama la propria banca ma i carabinieri. Ancora meglio la seconda “vittima” l’attore David Riondino, fustigatore dei berlusconiani su Rai 3 ma fruitore dello scudo tremontiano per i capitali all’estero. Un mostro di doppiezza? Forse solo un tipo un po’ confuso. Ha raccontato che Lande gli pareva serio e rassicurante: “Parlava dei rapporti fra la crisi economica e gli astri. E prometteva il 17 per cento”. De Filippo sarebbe stato felice, una farsa formidabile. Resta un problema: si può parlare davvero di “vittime”? Forse sì, ma viene voglia di fare il tifo per “il Madoff dei Parioli”. Lettere: nel carcere di Firenze subiamo una vita disumana e siamo trattati peggio degli animali www.radiocarcere.com, 1 febbraio 2012 Carissima Radiocarcere, ti scriviamo perché ormai siamo davvero stanchi di questo sistema carcerario che giorno dopo giorno ci toglie la nostra dignità, dignità che ormai non esiste più. Pensa che siamo chiusi in 5 o in 6 persone dentro piccole celle e siamo costretti ad una vita disumana, tanto che gli animali nelle loro gabbie hanno molta più libertà di muoversi di noi che abbiamo solo un mq a testa per vivere. Purtroppo anche qui a Sollicciano c’è chi è più debole e non resiste a questa vita disumana e così un giorno decide di farla finita. Esattamente quello che è successo qui il 19 gennaio quando un nostro compagno, che aveva solo 29 anni, si è impiccato ed è morto e quello che è accaduto il 7 gennaio quando un altro nostro compagno si è impiccato. Insomma due suicidi nel giro di pochi giorni che la dicono tutta sulla vita che ci fanno fare qui a Sollicciano. Ma non basta, ti informiamo anche che siamo arrivati al punto che non possiamo neanche più fare una doccia, non diciamo calda come in albergo, ma almeno tiepida. E la conseguenza è che sempre più detenuti del carcere di Sollicciano si ammalano per il freddo che prendono. Malattie, come una semplice influenza o un semplice raffreddore, che qui non vengono curate in quanto non hanno neanche una banale aspirina da darci. Ma la cosa che ci indigna di più è che se uno di noi protesta per questo trattamento illegale, viene preso dalla squadretta punitiva composta da agenti e viene picchiato senza pietà…per poi essere messo in una cella di isolamento, nell’attesa che passino i lividi e le ferite causate dalle botte. La verità è che se una persona finisce a Sollicciano né uscirà una persona peggiore e non migliore rispetto a quando ha varcato questo brutto cancello. Carmelo, Fabio, Miki, Bruno e Pierino dal carcere Sollicciano di Firenze Lettere: bambini in carcere; appello al Ministro della Giustizia e al Ministro dell’Interno Il Manifesto, 1 febbraio 2012 Le donne e gli uomini che il 14 gennaio 2012 hanno partecipato presso il Museo storico della Liberazione di via Tasso a Roma all’incontro su questo tema si rivolgono a lei perché consideri con particolare attenzione e sensibilità quanto segue. Le donne rinchiuse in carcere attualmente in Italia sono circa 2.600, il 4% dei detenuti. Di queste poco più di 60 sono internate insieme ai loro figli che ad oggi risultano essere 70, di età inferiore ai 3 anni . Le detenute in stato di gravidanza oscillano intorno alle 20-30 unità. In Italia sei sono le carceri interamente femminili e sedici gli asili nido funzionanti. Molti studi condotti sulle donne detenute in Europa e in Italia sottolineano che la tipologia prevalente dei reati commessi dalle donne - violazioni della legge sulla droga e contro il patrimonio - rende chiara la marginalità che spesso segna le loro vite; le donne sono spesso recidive e ritornano in carcere per ripetuti e brevi periodi. Il problema delle detenute non è tanto quantitativo ma qualitativo. Le donne hanno molti più problemi nell’affrontare la detenzione, problemi che investono sia la sfera psicologica che quella materiale; la vita detentiva, sviluppatasi su criteri espressamente maschili, mette a dura prova le donne in generale e si aggrava se le stesse sono madri. Quasi inesistenti sono le considerazioni di quanto la vita carceraria influisca sulla maternità, sia che i figli siano dentro il carcere, sia che siano fuori, troppo poca è l’attenzione di istituzioni e società ai motivi stessi, spesso legati alla loro specificità femminile, che portano le donne in carcere, troppo poca è l’attenzione all’impatto che il carcere ha sulle donne e sulla loro vita. Una maternità interrotta quella nelle carceri, così come interrotta è l’infanzia di quei bambini che tra 0 e i 3 anni vivono reclusi nel carcere, così come segnata per sempre è la vita dei figli fuori con le madri in carcere. Questi figli dietro e fuori le sbarre restano invisibili come le loro madri per la società e le istituzioni. Oggi è ancora difficile parlare di maternità in detenzione. Le donne detenute vengono considerate cattive madri e incapaci di portare avanti il proprio ruolo materno e così sulle loro maternità cala il silenzio. La legge consente alle madri di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni ma il carcere, anche nelle strutture in cui sono state realizzate sezioni nido, rimane un luogo incompatibile con le esigenze di relazione tra madre e figlio e di un corretto sviluppo psicofisico del bambino stesso. Non vi è dubbio che la detenzione domiciliare sia una modalità meno afflittiva di esecuzione della pena. Appare,quindi, opportuno quanto necessario estendere la tutela previste per le madri detenute e garantire ad ogni bambino la continuità dei rapporti con i propri genitori laddove si consideri che sono 800.000 in Europa i bambini figli di genitori detenuti di cui 43.000 sono italiani. Non si tratta quindi di un piccolo problema, eppure sono ancora molto piccole, molto limitate le realtà organizzate che si occupano in Italia di garantire ad ogni bambino la possibilità di salvare, non interrompere, non veder disintegrare i rapporti con i suoi genitori. “La pena”, dice l’art. 27 della Costituzione Italiana, “non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Una pena che divide traumaticamente una donna da suo figlio o li costringe all’unione solo in condizioni di restrizione, è una pena disumana non soltanto per una, ma per due persone. Anche l’Europa è intervenuta sul tema e ha emesso una risoluzione dal titolo “Resolution on socio-labour reinsertion of female ex prisoners”. Alcuni elementi relativi alla condizione femminile nelle carceri vengono indicati come obiettivi da perseguire dagli Stati europei, come ad esempio che la detenzione per le donne deve essere considerata come ultima soluzione o che è necessario promuovere misure alternative e sostitutive alla detenzione in particolare per donne con bambini, favorire i regimi detentivi aperti per le donne e che ogni stato membro dovrebbe promuovere ricerche studi e riflessioni sui bisogni specifici delle donne detenute. Le chiediamo signora Ministro di adoperarsi nei modi che riterrà più efficaci perché quanto richiesto dalla Comunità Europea si possa attuare in Italia. Perché nessuna madre e nessun bambino siano più dietro le sbarre. Comitato Madri per Roma Città Aperta Torino: col protocollo cerca-ovuli Uche sarebbe ancora vivo La Repubblica, 1 febbraio 2012 Il Procuratore aggiunto Paolo Borgna non ha dubbi: se il protocollo d’intesa per il trattamento ospedaliero dei soggetti arrestati con il sospetto di aver ingerito ovuli contenenti droga, firmato qualche settimana fa tra Regione Piemonte, Procura della Repubblica e Procura minorile fosse già stato operativo, Uche Chidi, il nigeriano di 33 anni morto sabato nel carcere delle Vallette, sarebbe ancora vivo. Manuel Perga, legale del giovane detenuto, ha parlato di “realtà abominevole” spiegando: “Il sistema va rivisto: dopo la visita radiologica che rivela la presenza di ovuli nello stomaco, la persona viene rinchiusa in un locale in attesa che li elimini con le feci. Così è abbandonata al suo destino: o espelli gli ovuli o muori”. In realtà il procuratore capo Giancarlo Caselli si era già posto il problema e aveva affidato all’aggiunto Paolo Borgna il compito di trovare una soluzione per ovviare ad una situazione che, sino a quel momento, era improntata nella maggioranza dei casi all’improvvisazione. Così è stato ideato il protocollo stipulato con la Regione che prevede una normativa precisa secondo la quale la persona sospettata di avere nell’intestino ovuli contenenti droghe (un solo grammo di cocaina è letale se ingerito) viene accompagnata all’ospedale dove sarà visitata dai medici del triage. “Successivamente il paziente - recita il protocollo - dopo essere stato informato dei rischi dell’ingestione degli ovuli e dell’eventuale rischio di decesso, verrà sottoposto ad una serie di accertamenti che spaziano dall’esplorazione rettale agli esami del sangue e agli accertamenti radiologici”. E Francesco Enrichens, responsabile del dipartimento di chirurgia del Cto, sottolinea: “Distribuiremo anche un opuscolo in tutte le lingue in cui si segnalano i rischi dell’ingestione di questi ovuli. Occorre sviluppare la consapevolezza del pericolo nei corrieri, dato che spesso ovuli “radiotrasparenti” non vengono rilevati dagli esami radiologici...”. Nel frattempo è allo studio un secondo protocollo, questa volta tra il carcere e la Regione. Pietro Buffa, direttore della casa circondariale Lorusso e Cotugno, è stato appena nominato dall’Aress Piemonte coordinatore in un gruppo che dovrebbe stilare le norme di questo nuovo protocollo. Buffa ha già proposto l’acquisto di un “bagno con separatore idraulico” in dotazione alla Finanza all’aeroporto di Malpensa che consentirebbe la raccolta degli ovuli senza contatti con il portatore. “Dal 2000, d’altronde - precisa Buffa, che è noto anche come uno massimi esperti italiani dei problemi carcerari- come carcere avevamo istituito per i detenuti sospettati di aver ingerito ovuli una sezione a parte”. Modena: l’occhio delle telecamere sui detenuti invisibili della “Casa di lavoro” di Saliceta Redattore Sociale, 1 febbraio 2012 Saliceta San Giuliano e le strutture staccate di Castelfranco e Sulmona ospitano 362 persone. A raccontare la loro vita è stato il servizio di Alberto Maio su 7 Gold. Si trova a Saliceta San Giuliano, nel modenese, l’ultima Casa di lavoro rimasta oggi in Italia. Una struttura che ospita 362 “internati” in totale, divisi, oltre a Saliceta, tra le sezioni di Castelfranco e Sulmona, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della Giustizia. Strutture dimenticate da tutti, soprattutto dalle istituzioni. “Ergastoli bianchi” li chiamano. Dove nemmeno si sa qual è il tempo medio di permanenza degli internati: “Questo è uno degli aspetti più sconcertanti, per questo la casa lavoro è peggio di un carcere. Gli internati sanno quando entrano ma non quando escono” denuncia Costante Gelmuzzi, volontario a Saliceta. Ma cosa si intende esattamente per casa lavoro? A raccontarlo un servizio di Alberto Maio con il suo “Speciale TG7” andato in onda su 7 Gold: “Ho scelto questo tema proprio perché si sta riaprendo in Italia il dibattito sulle carceri. Con questo servizio ho voluto raccontare la situazione delle case lavoro, cadute ormai nel dimenticatoio da troppo tempo - spiega Maio, giornalista, 27 anni. È infatti un carcere a tutti gli effetti la Casa di lavoro, con la differenza che coloro che si trovano all’interno non si chiamano detenuti, ma “internati”. Un vero e proprio limbo dal quale gli stessi internati hanno recentemente alzato la voce per farsi sentire dalle istituzioni. È infatti del 20 gennaio la lettera inviata al ministero della Giustizia da 55 detenuti della casa lavoro per protestare contro il disagio e la situazione in cui si trovano: “L’internato altri non è se non un ex detenuto - scrivono. Destinato alla casa lavoro, quindi a un’ulteriore privazione della libertà, dopo aver espiato per intero la pena detentiva per cui era stato destinato per una violazione penale”. Secondo Tommaso Giupponi, costituzionalista dell’Università di Bologna intervistato da 7 Gold, “la casa lavoro è una delle modalità attraverso cui il nostro sistema penale prevede di rieducare le persone socialmente pericolose dopo una pena già scontata regolarmente in carcere. Un’istituzione che nasce durante il regime fascista, nel 1930. All’epoca vennero introdotte accanto alle pene le misure di sicurezza che avevano una più marcata finalizzazione di rieducazione. La casa di lavoro prevedeva proprio la necessità di indurre gli internati a una progressiva risocializzazione, e per questo non è uno strumento di cura o di rieducazione: calpesta i principi di dignità del cittadino ed è costituzionalmente incoerente”. Durante la detenzione a Saliceta San Giuliano, gli ex detenuti dovrebbero essere rieducati alla socializzazione e al reinserimento in società. Oltre alle attività all’interno dell’istituto, viene così concessa loro una licenza di 30 giorni all’anno: “Durante questo periodo devono dimostrare di volersi reintegrare nel territorio. Il periodo di licenza viene poi esaminato dalla commissione per capire il grado di pericolosità dell’internato”, spiega Annamaria Colembo, educatrice presso la casa di Saliceta. È questo uno dei passi, previsti dal trattamento, per concludere il periodo di detenzione. Concluso il periodo di licenza, si passa alla fase di sperimentazione: “Questa fase finale prevede una durata di sei mesi, durante i quali la persona prova a reinserirsi attraverso il lavoro. Soltanto alla fine di questi sei mesi si arriva a una decisione definitiva, ma le proroghe continuano a essere molto numerose”. Come un “ergastolo bianco”, “un meccanismo che si inceppa”, lo definisce Maio nel servizio. I tempi sono lunghi, forse troppo, come racconta uno degli internati intervistati da Maio: “Sono qui dal ‘97 e non so se uscirò mai. Ogni volta che viene fissata la data della mia scarcerazione arriva una proroga”. Anche se ritenuti idonei, accade che l’aggancio esterno per trovare un’occupazione non c’è, così la commissione proroga la loro pena in attesa di inserirli in società. Ma chi sono questi internati? Perché vengono definiti “socialmente pericolosi”? È questa una delle questioni più controverse: “Quasi l’80% dei detenuti è tossicodipendente. Non stiamo parlando di killer, stupratori e pedofili ma di gente che ha commesso reati a causa del proprio disagio sociale, in psicologia vengono definite personalità con struttura borderline. Dovrebbero essere seguiti all’interno di una struttura psichiatrica, non stare qui” spiega Federica Dallari, direttrice della casa lavoro. Una struttura in cui non tutti hanno realmente qualcosa da fare: degli 88 ex detenuti presenti a Saliceta, infatti, soltanto 20 di loro hanno un’occupazione. Di questi 14 di loro sono in fase finale di sperimentazione, 2 sono impegnati in una cooperativa sociale, 4 si dedicano alla cura dell’orto del centro. Il resto come trascorre il loro tempo? “Giochiamo a pallone - dice uno di loro con un sorriso ironico - è l’unico svago qui”. Un altro dice di occuparsi della cucina, uno delle pulizie, un altro passa la sua giornata a letto o guardando la tv. A questo si aggiunge però il lavoro degli operatori del centro che aiutano e sostengono i reclusi facendo ripassare loro anche qualche materia scolastica: “Sto ripassando le elementari” scherza qualcuno. La casa lavoro di Saliceta sembra esser caduta nell’oblio: “Quando abbiamo deciso di fare il servizio televisivo, gli stessi operatori sociali ci hanno chiesto il motivo della nostra scelta. Sono stati i primi a dirci che secondo loro non sarebbe interessato a nessuno” conclude Maio. Amare le conclusioni di Desi Bruno, garante dei diritti dei detenuti dell’Emilia Romagna: “Le case lavoro dovrebbero essere chiuse perché non hanno una vera funzione sociale. Non c’è lavoro, e quindi sono una contraddizione”. Padova: la Garante temporanea dei detenuti ieri ha visitato la Casa di reclusione Ristretti Orizzonti, 1 febbraio 2012 Ieri la Garante temporanea dei detenuti, dott.ssa Francesca Vianello, ha visitato la Casa di reclusione insieme a Simone Santorso, dell’Associazione Antigone. Nel corso della visita la Garante, accompagnata dal direttore dott. Pirruccio e dal personale della polizia penitenziaria, ha visitato due delle sette sezioni dell’istituto detentivo, procedendo poi alla visita dell’infermeria. La Casa di reclusione di Padova accoglie attualmente 830 detenuti, il 44% dei quali stranieri, per una capienza regolamentare di meno di 400 posti. Nell’istituto risiedono anche 70 ergastolani. A fronte di un regime generalizzato di celle aperte durante il giorno, di difficile gestione è apparsa in particolare la quotidianità della 1° sezione lato A, all’interno della quale restano invece rinchiusi in cella i detenuti appartenenti a diverse categorie (oltre all’isolamento, anche Alta Sicurezza e protetti, quando non trovano posto nelle apposite sezioni): una situazione che, da un lato, rende difficoltosa la tutela dei diritti dei detenuti; dall’altra richiede un impegno supplementare ad operatori già provati dal sovraffollamento generalizzato. Nella quarta sezione i detenuti hanno segnalato alcuni problemi strutturali, con particolare riferimento alla disastrosa situazione delle docce comuni, e lamentato la carenza di attività trattamentali. L’infermeria, recentemente ristrutturata, accoglieva un detenuto a rischio suicidario e altri casi di patologie psichiatriche. Sulmona (Aq): presidente Commissione Vigilanza della Regione in visita al carcere Ansa, 1 febbraio 2012 Visita nel carcere di Sulmona del presidente della Commissione di Vigilanza della Regione, Gino Milano (Api) che al termine, nel sottolineare i problemi di sovraffollamento della struttura, ha detto che si impone alla Regione, nell’ambito delle sue competenze, “l’urgenza di offrire risposte al dramma penitenziario”. “La Regione - ha spiegato - è chiamata ad un’iniziativa di coordinamento operando di concerto con i Comuni, le Asl e gli istituti penitenziari, al fine di ricomporre in un quadro unitario, interventi mirati, funzioni, iniziative, atti di indirizzo, piani sanitari specifici, che siano in grado di restituire ai detenuti, al pari dei cittadini liberi, lo stesso diritto alla salute, con un’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione”. Secondo Milano, occorre poi potenziare il sistema delle opportunità terapeutico-riabilitative e del recupero e sostegno psicofisico che già vengono fornite da associazioni di volontariato e no profit che operano nelle carceri. Quindi, il presidente della commissione di vigilanza ha aggiunto che vanno colte le opportunità per favorire il reinserimento, realizzando e finanziando progetti che creino in carcere opportunità di lavoro. A questo scopo, ha indicato nella Cassa delle ammende, istituita presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il posto dove attingere le risorse necessarie. Infine, secondo Milano sarebbe utile creare un nucleo di monitoraggio che tenga costanti rapporti con le direzioni delle carceri per prevenire criticità, e attuare programmi formativi per il personale. Sassari: apertura nuovo carcere slitta a ottobre, proroga per passaggio Asl sanità penitenziaria La Nuova Sardegna, 1 febbraio 2012 Slitta ancora una volta l’apertura del nuovo carcere a Bancali. Nonostante il cantiere, in piedi ormai da anni, sia secretato, è trapelata una nuova disarmante scadenza: da maggio 2012, come era stato annunciato a dicembre scorso, si passa a ottobre. Se tutto andrà bene. Un rinvio che costa lacrime e sangue ai 205 detenuti attualmente presenti nella decrepita casa circondariale di San Sebastiano. Così la pensa Cecilia Sechi, garante dei detenuti per il Comune di Sassari, che ieri è stata sentita in commissione Politiche sociali a distanza di sei mesi dal primo incontro, dopo il conferimento del delicato incarico. “Si sa soltanto che devono ancora essere eseguiti alcuni lavori ma se si pensa a quanto tempo potrebbe trascorrere tra chiusura del cantiere e l’effettiva operatività dell’istituto c’è da mettersi le mani nei capelli”. Perché le condizioni del carcere di via Roma, considerate tra le più precarie d’Italia, peggiorano ogni giorno di più. “Ho visitato tutte le celle della casa circondariale - ha detto Cecilia Sechi - e c’è da chiedersi come un essere umano possa vivere in determinate situazioni. Esistono stanzette dove i detenuti sono stipati anche in otto mentre giorno dopo giorno gli impianti di questo grande edificio cadente si deteriorano senza che si possa porre rimedio. Ecco perché il ritardo nell’apertura del nuovo carcere getta tutti nello sconforto. Agenti di polizia penitenziaria compresi, che sono sottoposti a un superlavoro per fare in modo che le cose non degenerino irrimediabilmente”. Ma le cattive notizie non vengono mai da sole. Infatti, un’altra scadenza importante salterà proprio oggi. Era infatti previsto per il 31 gennaio il definitivo passaggio dal ministero alla Regione (cioè alla Asl di competenza) l’assistenza sanitaria all’interno del carcere. La proroga stabilita per altri sei mesi, a quanto ha spiegato il garante, provocherà notevoli disagi e incertezze per il diritto alla salute dei detenuti. Per fortuna il lavoro svolto a partire dalla nomina ha anche prodotto alcuni importanti risultati. A cominciare dal caso del figlioletto (appena 16 mesi) di una detenuta costretto a stare in carcere con la mamma. “Dalla prossima settimana - ha detto Cecilia Sechi - il bambino potrà frequentare un asilo nido. Starà con gli altri bambini per una parte della giornata e poi tornerà dalla mamma. Un modo per garantirgli una vita il più possibile normale”. Ma il garante ha anche pensato alle persone che nei giorni stabiliti vanno in carcere per i colloqui con i propri parenti e attendono di entrare nell’edificio sotto la pioggia, con il vento o sotto il sole cocente senza un riparo. “Ciò che abbiamo ottenuto è la realizzazione di una pensilina: un modo per garantire la dignità umana”. Resta da risolvere un altro problema, non da poco. I colloqui tra i detenuti e il garante vengono sottratti dal totale degli incontri con i parenti. “Un fatto molto triste - ha concluso Sechi - che tenteremo di risolvere”. Isetta (Pd): nel nuovo istituto tutti i 41 bis d’Italia C’è il timore, destinato probabilmente a diventare un fatto molto concreto, che il nuovo carcere di Bancali ospiti la maggior parte dei detenuti sottoposti al regime dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, quello previsto un caso di criminalità organizzata. Il carcere duro, insomma. Lo ha detto ieri, nel corso della commissione consiliare Servizi sociali presieduta da Sergio Scavio, il consigliere del Pd Giovanni Isetta che ha manifestato grande preoccupazione per un’evenienza di questo tipo. Un’ipotesi tutt’altro che remota se si considerano le affermazioni fatte ai primi di dicembre dal provveditore interregionale alle opere pubbliche Donato Carlea. Secondo l’ingegnere i ritardi sono da addebitare in parte a quella che lui chiama “esigenza sopraggiunta”, ossia la realizzazione - non prevista in fase di progettazione - dei due padiglioni da destinare ai reclusi sottoposti al carcere duro: il 41 bis. “Questi due corpi - ha sottolineato il provveditore - hanno chiaramente rallentato la conclusione dei lavori”. “Se così fosse - ha detto ieri il garante dei detenuti Cecilia Sechi - dovremo mobilitarci perché sarebbe un fatto molto grave anche se ho saputo che si tratterà di padiglioni totalmente separati dal corpo principale dell’edificio”. Pavia: detenuti senza telefono dal 15 gennaio, per un guasto all’impianto di registrazione La Provincia Pavese, 1 febbraio 2012 A ognuno di loro è consentita una telefonata a settimana. Un diritto, quello di poter chiamare il proprio avvocato o i parenti, che i detenuti del carcere di Pavia hanno sempre potuto esercitare, nonostante la privazione della libertà. Un diritto, però, che da qualche giorno appare compromesso. Ma solo per alcuni di loro: quelli che stanno scontando pene per reati più gravi e che si trovano in regime di alta sicurezza. Colpa, a quanto pare, di un guasto all’impianto di registrazione delle telefonate, previsto appunto per alcuni detenuti. “Dal 15 gennaio i telefoni non funzionano - fanno sapere i detenuti attraverso una lettera. Questo ulteriore grave disservizio, oltre al sovraffollamento cronico del carcere, colpisce i diritti dei carcerati, perché non sono più garantite le comunicazioni urgenti, neanche per gravi motivi, sia di carattere legale che familiare”. Il carcere di Torre del Gallo ospita 480 persone, a fronte di una capienza regolamentare che dovrebbe essere di 240. C’è, quindi, il doppio delle presenze consentite per un carcere di queste dimensioni. Un sovraffollamento che spesso rende più acuti i problemi che si possono presentare. “In questo caso il personale sta cercando di gestire la situazione al meglio, per far fronte alle esigenze dei detenuti - spiega Salvatore Giaconia, delegato regionale dell’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria. In realtà non si tratta di un guasto ai telefoni o alla linea telefonica, ma di un malfunzionamento dell’impianto che serve a registrare le telefonate di alcune tipologie di detenuti, secondo norma. Come sindacato approfondiremo le ragioni del disagio, per capire come risolverlo”. Milano: processo per violenze all’Ipm “Beccaria”; “fu l’agente ad aggredire il detenuto” di Luca Fazzo Il Giornale, 1 febbraio 2012 É cominciata con due ragazzi sotto accusa per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Ma strada facendo l’indagine della Procura della Repubblica su quanto accaduto un giorno dello scorso anno all’interno del carcere minorile Beccaria ha fatto una inversione a U. I due giovani detenuti sono stati prosciolti. E sotto accusa è finito l’agente di polizia penitenziaria che li aveva denunciati. Da vittima a imputato. É stato lui, dice la Procura, a usare le maniere forti contro i minorenni affidati alla sua vigilanza. E non il contrario. É una vicenda nata e proseguita lontano dai riflettori della cronaca, in quel microcosmo poco raccontato che è la grande prigione per minorenni nella periferia di Baggio: un carcere anomalo, con le stesse sofferenze dei carceri adulti, con qualche problema in meno di sovraffollamento, ma con dinamiche allo stesso momento più elementari e più complesse. Al Beccaria finiscono quasi solo i casi estremi: per la gravità del reato commesso, o per la figura sociale dell’imputato, per la mancanza di alternative presso le famiglie. É una popolazione detenuta fatta soprattutto di stranieri e di italiani “marginali”, di drop out per i quali l’operazione di reinserimento sociale è spesso difficile. É in questo universo che avviene l’episodio che vede contrapposti due giovani detenuti e un agente penitenziario, e che rimarrebbe sconosciuta alle cronache se ieri a rendere nota la vicenda non fosse stata Marina Vaciago, l’avvocato che assiste uno dei detenuti. “É la prima volta in tanti anni - racconta l’avvocato - che vedo ribaltata così la versione ufficiale, quella fornita dall’istituzione carcere”. Anche fonti dall’interno del Beccaria confermano l’esistenza dell’inchiesta, anche se ne danno una versione diversa da quella fornita dai due detenuti e fatta propria dalla Procura. L’episodio avviene in uno dei reparti del carcere, di mattino presto. Protagonisti un agente della polizia penitenziaria, D.C.; e due detenuti: un italiano, O.R., e un ragazzo di origine araba, R.M. Il giorno prima, O.R. ha avuto una discussione con una guardia, perché pretendeva di saltare la coda in attesa di telefonare alle famiglie, in quanto la sorella doveva poi uscire di casa per una seduta di chemioterapia. La guardia lo aveva ripreso, e di fronte alla rimostranze del ragazzo aveva fatto contro di lui rapporto disciplinare. L’indomani, O.R. si deve presentare alla commissione di disciplina. Ma su quanto accade a quel punto le versioni divergono: l’agente sostiene di essere stato aggredito dai due reclusi, che gli avrebbero procurato anche delle lesioni, ed è questa la versione che finisce nella denuncia inoltrata in Procura. Ma, interrogati dal pm, i due ragazzi forniscono una versione opposta: secondo loro è l’agente che dopo avere sbrandato O.R. in malo modo lo prende per il collo come per strozzarlo, e quando R.M. interviene per difenderlo li scaraventa entrambi giù dalle scale. Il pm indaga, interroga gli altri ragazzi presenti alla scena: e tutti, concordemente, confermano la versione dei compagni di cella. Così a processo, con l’accusa di violenza privata aggravata ci finisce l’agente: verrà processato il prossimo 10 febbraio. Cagliari: arrestato un avvocato, portò hascisc e cocaina ad un detenuto del Buoncammino Ansa, 1 febbraio 2012 Un avvocato cagliaritano, Domenico Alessandrini, è stato arrestato da agenti della Polizia Penitenziaria in esecuzione di un decreto di custodia cautelare emesso dal Gip di Cagliari che lo accusa di cessione e introduzione di stupefacenti nel carcere “Buoncammino”. Il provvedimento era stato chiesto dal pubblico ministero, Danilo Tronci, al termine delle indagini cominciate dopo il sequestro di 120 dosi di hascisc e 20 di cocaina ad un detenuto che aveva avuto un colloquio con l’avv. Alessandrini. Le indagini erano cominciate quasi un anno fa dopo che il detenuto Renzo Cogoni era stato trovato in possesso delle sostanze stupefacenti durante un controllo seguito ad un colloquio con l’avvocato Alessandrini, che ha 44 anno, ed è originario di Quartu Sant’Elena (Cagliari). Cogoni aveva sostenuto che la droga era in suo possesso da prima, scagionando il suo difensore. Successive indagini disposte dal pubblico ministero Danilo Tronci, anche con l’utilizzo di intercettazioni ambientali e telefoniche, avrebbero fatto emergere indizi sul ruolo di corriere dell’avvocato per l’introduzione di hascisc e cocaina a Buoncammino. Dopo l’arresto, eseguito stamani, l’avv. Alessandrini è stato accompagnato in carcere dove già domani o dopo si svolgerà l’interrogatorio di garanzia. Augusta (Sr): agente aggredito da detenuto con problemi psichiatrici, prognosi di 10 giorni www.siracusanews.it, 1 febbraio 2012 Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota a firma di Massimiliano Di Carlo, segretario provinciale di Siracusa del Coordinamento Nazionale Polizia Penitenziaria: “Si ritiene doveroso segnalare l’ennesimo episodio di aggressione nei confronti del personale di Polizia Penitenziaria. In particolare in data 30 c.m., nella Casa di Reclusione di Augusta, un detenuto appartenente al circuito A.S. affetto da disturbi psichiatrici, recentemente rientrato in Istituto dopo un periodo di osservazione psichiatrica, si è reso responsabile di una gravissima aggressione nei confronti di un Assistente Capo di Polizia Penitenziaria che per le ecchimosi e forti contusioni riportate è stato giudicato guaribile in 10 giorni. Ormai in Sicilia, come d’altronde in tutti gli Istituti della penisola, la scia delle aggressioni sembra inarrestabile e se ci si sofferma sulla gravissima situazione lavorativa del personale di Polizia Penitenziaria che opera presso la C.R. di Augusta, aggravata anche dal sovraffollamento, dalla notevole carenza di personale, dalla esiguità di risorse finanziarie necessarie per garantire quantomeno i livelli minimi di salubrità e igienicità dei posti di servizio e delle sezioni detentive e dalle carenze strutturali, ci si rende facilmente conto che non si possono chiedere ulteriori sacrifici a questi uomini se non prima aver dato un forte segnale d’interessamento delle istituzioni a ciò preposte. Considerato quanto segnalato si chiedono interventi incisivi al fine di contrastare il disagio lavorativo del personale di Polizia Penitenziaria in servizio presso la C.R. di Augusta”. Televisione: la situazione delle carceri domani mattina in “Apprescindere” (Rai3) Ansa, 1 febbraio 2012 Sono 67.428 i detenuti rinchiusi, a fronte di una capienza di 45.817 posti. È la fotografia del sovraffollamento carcerario italiano fatta dall’Osservatorio Antigone nel settembre scorso. 65 sono stati i suicidi in cella. Cosa fare? Basterà il cosiddetto pacchetto svuota carceri per migliorare la situazione? Arriverà l’annunciato aumento dello stanziamento per il settore Giustizia di circa 56 milioni di euro? Michele Mirabella e Elsa Di Gati ne parleranno nella puntata di “Apprescindere”, in onda domani alle 11.00 su Rai3, con Maurizio Panix del Pdl, Piergiorgio Morosini di Magistratura Democratica, Edmondo Cirielli, presidente della Provincia di Salerno e Marco Cappato dei Radicali. Libia: Marcenaro (Pd) e altri presentano interrogazione volta a chiarire su situazione carceri Agenparl, 1 febbraio 2012 La situazione delle carceri libiche al centro di un’interrogazione parlamentare presentata da alcuni Senatori del Pd, primo firmatario Pietro Marcenaro, e firmata anche dall’ex Sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica (Pdl). “Nella giornata del 26 gennaio 2012 l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere ha deciso di sospendere le sue attività nei centri di detenzione di Misurata, in Libia, perché i prigionieri sono sottoposti a tortura ed è negato loro l’accesso a cure mediche di urgenza”, scrivono i Senatori, che chiedono al Presidente del Consiglio, Mario Monti, e al Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, “nel caso in cui le richiamate informazioni venissero confermate, se ritenga opportuno muovere i passi necessari nei confronti del Governo libico affinché queste persone siano garantite nella loro incolumità e sicurezza”. “Il direttore generale di Msf, Christopher Stokes - si legge ancora nell’interrogazione - ha dichiarato che alcuni funzionari hanno cercato di strumentalizzare e ostacolare le attività mediche di Msf, consegnando alle strutture mediche pazienti provenienti da interrogatori affinché fossero stabilizzati per poterli nuovamente interrogare e torturare”. Iran: Amnesty denuncia arresti in occasione delle elezioni del 2 marzo Ansa, 1 febbraio 2012 Amnesty International ha denunciato l’ondata di arresti di giornalisti e blogger in corso in Iran, nell’evidente tentativo di restringere la libertà d’espressione e impedire le critiche e un pubblico dibattito su questioni legate ai diritti umani e all’economia, nel periodo che precede le elezioni parlamentari del 2 marzo. L’organizzazione per i diritti umani ha sollecitato le autorità iraniane “a rilasciare tutte le persone arrestate nelle ultime settimane, a meno che non siano incriminate per un effettivo reato penale e processate secondo gli standard internazionali”. Amnesty International si è detta preoccupata anche per le dichiarazioni rilasciate l’8 gennaio dal ministro dell’Intelligence Heydar Moslehi, secondo il quale numerosi “sabotatori del processo elettorale” erano stati arrestati mentre “cercavano di portare a termine i complotti statunitensi contro la nona elezione parlamentare”. Amnesty International ricorda che tra le persone arrestate nelle ultime settimane, figurano: Esmail Jafari, sindacalista, giornalista e blogger, arrestato il 28 dicembre dello scorso anno a Bushehr per iniziare a scontare una condanna a otto mesi di carcere inflittagli nel marzo 2009 per “reati contro la sicurezza nazionale”; Fatemeh Kheradmand, scrittrice; Ehsan Houshmandzadeh, sociologo curdo; Saeed Madani, sociologo, ex prigioniero di coscienza e attivista dell’Alleanza religiosa nazionale. I tre sono stati arrestati il 7 gennaio; Mehdi Khazali, figlio dell’ayatollah Abolghasem Khazali, membro del Consiglio dei guardiani, scrittore e blogger, arrestato per la quarta volta il 9 gennaio e picchiato nel corso dell’arresto; Mohammad Solimaninia, traduttore e gestore di un network professionale simile a Linkedin, arrestato il 10 gennaio a Karaj; Parastou Dokouhaki, ricercatrice, giornalista, blogger e attivista per i diritti delle donne, arrestata il 15 gennaio; Peyman Pakmehr, direttore del sito Tabriz News, arrestato il 17 gennaio a Tabriz. Dopo una settimana è stato rimesso in libertà provvisoria, ma dovrà rispondere dell’accusa di “propaganda contro il sistema”; Marzieh Rasouli, giornalista, arrestata il 17 gennaio per “reati contro la sicurezza nazionale” e attualmente detenuta nella sezione 2A della famigerata prigione di Evin, a Teheran; Sahamoddin Bourghani, giornalista, arrestato il 18 gennaio e detenuto a Evin; Said Razavi Faghih, ex leader studentesco e giornalista, arrestato tra il 17 e il 18 gennaio all’aeroporto internazionale di Teheran appena atterrato da Parigi, detenuto a Evin; Shahram Manouchehri, arrestato il 19 gennaio e detenuto in località sconosciuta. Francia: carceri private; progettata struttura sperimentale, con supermercato e ufficio postale www.poliziapenitenziaria.it, 1 febbraio 2012 A Saint-Julien-sur-Suran, nel dipartimento francese di Jura, molto presto si potranno fare compere in carcere. Il paese, situato a un centinaio di chilometri da Ginevra, è stata scelto per accogliere uno dei primi dieci penitenziari modello che la Francia intende costruire nei prossimi anni. Ci sarà un supermercato, una panetteria e anche un ufficio delle poste, dove i detenuti verso la fine della pena serviranno la clientela. Così ha voluto l’uomo d’affari di Lione Pierre Botton. Lui stesso vecchio condannato, ha immaginato una prigione ideale che metterà i detenuti in contatto con la popolazione e la realtà dell’impresa. L’idea poteva sembra un’utopia in un Paese celebre per la rigidità del suo sistema carcerario, ma Botton è riuscito a convincere parecchie aziende e soprattutto l’Eliseo. Approvato dal governo francese a dicembre, il progetto è ancora in fase d’evoluzione. Per ora niente centri commerciali e supermercati, ma non è detto che in futuro non possa accadere. Secondo gli organizzatori, il progetto rivitalizzerà non solo la prigione ma anche il comune e cambierà il modo di guardare i detenuti. La gente prenderà l’abitudine di essere servito dai prigionieri. “Un vero cambiamento di mentalità”, promettono. Per ora il progetto di installare l’esperimento carcerario progettato da Pierre Botton ex detenuto a Saint-Julien-sur-Suran (Giura) divide questo piccolo villaggio, dove alcuni residenti vedrebbero una visione molto fioca l’attuazione del presente nuovo tipo di prigione. Pierre Botton, figlio di ex ministro e vice-sindaco di Lyon Michel Noir, ha creato all’inizio del 2010 “Le prigioni del cuore”. “Ci sono pro e contro, ma questo progetto è del tutto sproporzionato rispetto alle dimensioni del nostro paese”, ha detto Janine Keser, segretario del “La petite montagne, espace de liberte”, pagina Facebook creata per l’occasione. “Stiamo parlando di circa 120 detenuti oltre 80 operatori di vigilanza, è la metà della popolazione del paese. L’infrastruttura qui non è fatta per tutte le persone”. L’impianto proposto, che si trova su un terreno di 44.000 m², potrebbe ospitare 120 detenuti, uomini condannati per la prima volta, a pene detentive che vanno da 6 mesi a 5 anni (ad esclusione di condanne “di natura sessuale”). Nell’ambito di questo progetto, i detenuti si terranno le chiavi del loro celle e lavoreranno nella struttura con salari simili a quelli della vita normale. All’interno della prigione, non ci sarà filo spinato. Solo una doppia parete di recinzione circonderanno il centro. “Sono sicuro che molte persone sono a favore di questo progetto”, spiega Helene Pélissard. “Capiamo le preoccupazioni dei residenti, ma sarebbe un peccato se rifiutassero l’installazione di questo carcere che è uno strumento per il rilancio del territorio”, dice. Gli abitanti di questo piccolo paese situato a 25 km a sud di Lons-le-Saunier saranno consultati il prossimo 11 marzo ed “è chiaro che se vi è un rifiuto massiccio della popolazione, il Dipartimento della Giustizia, che prende le decisioni, sorgeranno dei problemi”, ha detto il General Counsel. L’impianto modello proposto costerebbe circa 10 milioni di euro, secondo i suoi progettisti. Pierre Botton, che ha fatto 20 mesi di prigione nel 1990 per abuso di beni aziendali, vorrebbe vedere il progetto andare avanti velocemente, ma per ora non vi è “un calendario” per le fasi della sua attuazione. Anche in Svizzera ci sono ammiratori del progetto Botton. Già ci sono iniziative che vanno sulla stessa traccia. A Bochuz, cantone Vaud, un negozio guidato da un detenuto propone al pubblico dei prodotti artigianali. A Bellechasse la chiesa della prigione accoglie senza distinzioni fedeli del paese e prigionieri. Quanto ai detenuti di La Tuiilière, organizzano ogni anno un mercatino di Natale per vendere i loro prodotti.