Giustizia: appello di Pannella a Napolitano; carceri sono vergogna criminale dello Stato Ansa, 19 febbraio 2012 “Presidente Napolitano, questo nostro Stato, suo e mio, è la vergogna criminale del nostro tempo, e occorre trarne le conseguenze. L’amnistia e l’indulto rappresentano l’interruzione obbligatoria di questa condizione criminale”. Così il leader radicale Marco Pannella, nell’ennesimo appello rivolto al Capo dello Stato sulla situazione delle carceri italiane. “Carceri - ha detto Pannella, intervenuto ad Ancona ad un convegno sull’Amnistia per la giustizia, i diritti, la legalità - in cui si sta peggio che in quelle dell’epoca fascista”. In mattinata Pannella aveva visitato la casa circondariale di Montacuto (399 detenuti a fronte di una capienza di 172, +132%). Traendone la conferma che “nell’Italia di adesso siamo più lontani dal rispetto del diritto e della civiltà che nell’infame Italia fascista”. “I garanti massimi del diritto non hanno fretta” ha proseguito Marco Pannella. “Si occupano di economia, di tutto ma non di questa situazione, perché le morti e i suicidi in carcere sono cose che rischiano di ricordare al popolo italiano che di polveri sottili, di amianto, e di mille altre cose si muore adesso in Basilicata come in Piemonte, come non si moriva durante il fascismo”. Nelle celle del ventennio, ha continuato, “c’era un welfare senza libertà, ma con il diritto al lavoro. Oggi il regime antifascista è erede di quello fascista, ma come sempre peggiorato: noi siamo qui per dire basta. Lo diciamo come lo dicono i non violenti, perché il nostro compito è impedire che esploda in tutto l’euro mediterraneo lo sdegno e la rabbia. Vogliamo far esplodere solo la capacità di governare nel rispetto delle leggi questo Stato, affinché non costringa i propri leali servitori, dai direttori delle carceri alla polizia penitenziaria, dai medici agli psicologi, ai volontari che operano nella struttura carceraria, ad essere complici ed esecutori di storie simili alla Shoah, e alla vergogna di un ritorno della banalità e della ferocia del male”. Bernardini: ad Ancona trattamento inumano reclusi Tre detenuti che dormono in letti a castello in una cella che ne può ospitare solo uno, cibo insufficiente, docce inagibili, nessuna manutenzione delle celle né la disponibilità di detersivi per pulirle per i reclusi. È il quadro, drammatico, descritto dalla deputata radicale e membro della Commissione Giustizia della Camera Rita Bernardini dopo una visita alla casa di reclusione di Montacuto di Ancona fatta insieme al leader radicale Marco Pannella, alla presidente dell’associazione Il Detenuto Ignoto e alla coordinatrice Gruppo Carceri dei radicali italiani. Bernardini, intervenuta al convegno “Amnistia per la giustizia, i diritti, la legalità”, ha parlato del sovraffollamento del carcere anconetano (399 detenuti contro una capienza di 172 posti, +132%), ma anche della condizione di estrema difficoltà dei reclusi, in particolar modo degli stranieri (quasi il 50%). Una situazione “da morte civile”. “Sono disperati - ha detto, non hanno niente, soffrono di un’estrema solitudine e non si fa nulla nemmeno per farli telefonare ai figli. Soffrono per la lontananza dai familiari, che nel 90% dei casi sono poverissimi e non possono affrontare le spese di viaggio per andarli a trovare. Sulla questione - ha annunciato la parlamentare - presenterò una dettagliata interrogazione al ministero della Giustizia, documentando anche con la descrizione di alcuni casi singoli il trattamento inumano e degradante che subiscono i detenuti di Montacuto”. Giustizia: manicomio criminale… vero addio? di Pier Aldo Rovatti Messaggero Veneto, 19 febbraio 2012 Riassumo i fatti. Il Decreto legge chiamato “svuota-carceri” (approvato definitivamente dalla Camera martedì scorso) contiene un emendamento che sancisce la chiusura dei sei “manicomi criminali” (Opg) ancora esistenti in Italia e l’istituzione di un numero da precisare di strutture regionali di dimensioni ridotte e a “esclusiva gestione sanitaria”. Il provvedimento dovrebbe andare a norma entro il 31 marzo 2013 e si lasciano poche settimane (da qui alla fine del mese prossimo) per precisare entità e caratteristiche delle nuove strutture. Si sa comunque che esse prevedono un’”attività perimetrale di sicurezza e vigilanza esterna”, in altre parole che saranno delle strutture chiuse. Ricordo anche che nella nostra regione non esiste alcun Opg (e non per caso) e anticipo che non c’è a oggi alcuna intenzione di chiedere che sul territorio regionale venga fatta nascere una delle strutture alternative previste dal Decreto. Cosa è successo e perché dopo così tanti anni (dalla legge Basaglia del 1978) il bubbone è scoppiato? E soprattutto come spiegare che, mentre molti plaudono alla fine della barbarie dei manicomi criminali, da Trieste sia subito partito un forte allarme in cui, in sintesi, si avverte che “sta tornando la cultura del manicomio che pensavamo di avere sconfitto e sotterrato”? In pochi mesi, e grazie al lavoro di una Commissione parlamentare d’inchiesta guidata dal senatore Ignazio Marino (del Pd), si è scoperchiata la nefandezza degli Opg, ben nota agli addetti della salute mentale ma che non era mai diventata davvero di pubblico dominio: livelli poco immaginabili di incuria e di abbandono, completa fatiscenza, contenzione prolungata e violenze psicofisiche di ogni genere, incertezza della pena (molto spesso sine die, a configurare veri e propri “ergastoli bianchi”), assenza di reali cure, inquietante moltiplicazione dei decessi. Lo stesso Napolitano, prendendone precisa conoscenza, ha chiesto di mettere uno stop a questa barbarie. C’è stata, dunque, un’effettiva accelerazione che ha spinto Marino e i suoi collaboratori ad agganciarsi in fretta al provvedimento sulla sovrappopolazione delle carceri. Troppa fretta? Forse occorreva procedere con maggiori cautele. Come funzioneranno simili “strutture”? È lecito temere che esse non sorgeranno proprio dal nulla (e c’è già chi bussa alla porta), ma soprattutto è abbastanza evidente che se, creandole, si introdurranno elementi di “umanizzazione” (o semplicemente di medicalizzazione), tuttavia si lascerà intatto il grosso del problema costituito dallo stigma della “pericolosità sociale”. Questo stigma (sancito dagli articoli 88 e 89 del famigerato codice Rocco di epoca fascista) permette di collegare strettamente la “pericolosità” alla malattia mentale: in breve, una volta che qualcuno viene dichiarato “folle”, egli è anche stigmatizzato come un violento e dunque come un potenziale criminale. Il “reo-folle” (come si usa dire) va custodito non solo per i reati commessi, ma anche per i reati che - in quanto folle e perciò socialmente pericoloso - potrebbe e potrà commettere. Dunque, fino a quando non si slega questo barbarico abbraccio che sta alla sua base, il bubbone resta. A parte ogni altra lecita e utile considerazione (per esempio, quando capiterà che qualcuno evada dalla “struttura”, come ci si comporterà?), si capisce bene, solo da quanto ho accennato, che c’è un abisso tra la cultura promossa da Basaglia con la sua “180” e questa “cultura” medica delle strutture sorvegliate. Basaglia voleva che anche il folle acquisisse i diritti del cittadino, mentre qui si potrebbe promuovere una versione soft del manicomio (un manicomio diffuso nel territorio) in un nuovo connubio tra potere medico e potere di custodia, magari restituendo agli psichiatri quel mandato di sorveglianza sociale che sembrava andato in frantumi. Se è vero che potremmo lasciarci alle spalle l’orrore dei manicomi criminali, così come li conoscevamo, adesso però inizia un percorso tutto in salita, e sicuramente una stagione di lotte, se non altro per impedire che realtà che si credevano acquisite vengano confiscate all’insegna di un’ambigua medicalizzazione. Ed è facile prevedere che Trieste, con la sua storia paradigmatica, avrà un peso preponderante in tale risalita. D’altronde, nessuno si era davvero illuso sulla stagione culturale che stiamo vivendo. Mi viene in mente una felice immagine proprio di Franco Basaglia: attenzione, aveva detto, che se la nave del manicomio affonda grazie ai nostri sforzi (due decenni di battaglie!), non abbiamo molto tempo per i festeggiamenti perché altre navi, solo all’apparenza meno minacciose, già si indovinano all’orizzonte. Giustizia: Senato; in Commissione diritti umani indagine su madri detenute con bambini Asca, 19 febbraio 2012 La Commissione per la tutela dei diritti umani ha approfondito, con audizioni della Presidente Gioia passatelli e di altri dirigenti dell’Associazione “A Roma, Insieme - Leda Colombini” la situazione delle detenute con figli minori. Al 30 giugno scorso nei penitenziari erano presenti 53 madri con 54 bambini. Questa associazione, fondata nel 1991 da Leda Colombini, ha ottenuto significativi miglioramenti della situazione dei bambini fino a tre anni tenuti in carcere insieme con le mamme che non possono fruire dei domiciliari e cioè uscite nella giornata per frequentare asili esterni, svolgimento di attività presso famiglie di volontari ecc. La legislazione vigente prevede la istituzione di case famiglie-protette per poter ospitare le detenute con minori fino ai 3 anni, ma al momento, per problema di fondi, “sono pochissime le strutture funzionanti”. Giustizia: Camera; prosegue l’iter proposta di legge inserimento lavorativo dei detenuti Asca, 19 febbraio 2012 La Commissione Lavoro attende il completamento dei pareri di altre commissioni sul testo unificato 124 contenente disposizioni per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Il ruolino di marcia fissato dai Capigruppo aveva previsto la discussione in Aula dal 13 febbraio, ma poi il termine è slittato al 27 e ancora è incerto se per questa scadenza potrà essere chiuso l’iter referente. La Bilancio ha, infatti, chiesto al Governo una nuova relazione tecnica prima di concludere la sua valutazione. La Finanze ha espresso parere favorevole, ma con numerose condizioni in cui si chiede di chiarire le norme che introducono un credito mensile d’imposta in favore delle imprese che affidano a cooperative sociali o ad aziende pubbliche o private l’esecuzione di attività che siano occasione di inserimento lavorativo per i detenuti. È stata rilevata anche l’esigenza di considerare se le aliquote Iva agevolate previste siano compatibili con la normativa comunitaria. Giustizia: Sappe; avvicendare periodicamente Provveditori e Direttori penitenziari Comunicato stampa, 19 febbraio 2012 “Se c’è un dato che sconcerta, nell’attuale quadro del sistema penitenziario nazionale in cui 67mila ristretti sovraffollano più di 200 carceri nonostante una capienza regolamentare pari a circa 43mila posti, con decine e decine di eventi critici ogni giorno nelle carceri di tutta Italia, è la pressoché generale assenza sul territorio e negli istituti di competenza di buona parte dei Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria, dirigenti generali dello Stato lautamente stipendiati, che per la legge sono - o meglio, dovrebbero essere - i referenti regionali dell’Amministrazione centrale del Dap. Dovrebbero diramare disposizioni per contenere le criticità ed invece sono del tutto assenti. Basti pensare alla Toscana, dove in poche settimane abbiamo visto agenti aggrediti, risse, proteste, tentativi di suicidio, evasioni!. I protagonisti delle violenze di ieri a Lucca, ad esempio, avrebbero dovuto essere trasferiti da tempo dal Provveditore regionale per avere creato analoghe situazioni di tensione e violenza, ma inspiegabilmente erano sempre lì! Tanto nella prima linea delle sezioni detentive ci stanno le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, mica loro”. Duro atto di accusa di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione ai gravi fatti accaduti ieri nel carcere di Lucca. Capece aggiunge: “Il Dipartimento penitenziario da anni non da corso ad un piano nazionale di mobilità di tutti gli attuali Provveditori Regionali penitenziari, per buona parte senza più stimoli professionali nelle attuali sedi di servizio e ben integrati nel più impiegatizio e redditizio ruolo di burocrati. Dovrebbero occuparsi di calare sul territorio le politiche penitenziarie dell’Amministrazione centrale, con particolare riferimento all’ordine ed alla sicurezza degli Istituti vista la contingente critica situazione, ed invece non fanno alcunché per gli istituti di pena territorialmente da loro dipendenti. Ma è del tutto evidente che anche molti direttori non hanno più stimoli professionali, visto che taluni dirigono lo stesso Istituto di pena da più di quindici anni”. Giustizia: se la Littizzetto sul carcere ne sa più di Di Pietro di Adriana Tocco (Garante dei detenuti della Camapnia) La Repubblica, 19 febbraio 2012 Il padre di un giovane detenuto mi ha chiesto perché, in tanto parlare di carcere, non si sentisse la voce del garante dei detenuti, cioè la mia. Gli ho risposto che di parole in verità ne sono state dette anche troppe, smentite dai tragici fatti che ogni giorno si verificano in carcere. E continuo ad avere la stessa sensazione, nelle parole delle massime autorità del nostro paese il carcere e le sue sofferenze sono molto presenti, ma i fatti sono pochi e per di più accompagnati da un clamore mistificatorio che distorce la realtà, cavalca le paure irrazionali. E dispiace che la mistificazione provenga anche da chi ha avuto responsabilità di governo, siede tuttora in Parlamento, conosce certamente ciò di cui si parla. Mi riferisco all’onorevole Di Pietro, che nella trasmissione “Otto e mezzo” dell’8 febbraio ha detto una serie di falsità, invano contestato dai suoi interlocutori. È vero che la sera successiva il ministro, nella stessa trasmissione ha tentato di fare un po’di chiarezza, riuscendoci solo in parte, perché il decreto di cui si discute né può essere chiamato “svuota carcere”, né, come ha suggerito il ministro, “salva carcere”. Singolarmente l’unica che ha spiegato con chiarezza la verità sul decreto ora convertito in legge è stata Luciana Littizzetto. È bizzarro, no? Credo invece indispensabile chiarire bene all’opinione pubblica i contenuti reali del decreto: coloro che rientrano nel periodo dei 18 mesi dal fine pena, potranno usufruire del beneficio di uscire dal carcere, non per andare in libertà, ma in detenzione domiciliare, evadere dalla quale comporta pene gravi, e per evasione si intende anche una breve passeggiata fuori la porta del domicilio. Basta ricordare il caso di Graziano Iorio: in detenzione domiciliare, andò nel bar del fratello distante pochi metri. Scoperto e riportato in carcere si suicidò. Aveva quarant’anni e soffriva di depressione. E il rischio collegato all’evasione è così avvertito che molti tossicodipendenti hanno rifiutato il beneficio e preferito scontare in carcere la pena residua. Vi sono inoltre molti paletti, tra cui l’idoneità del domicilio, il che esclude automaticamente gran parte degli extracomunitari, molti reati non permettono il beneficio, infine tutto è soggetto alla valutazione del magistrato. Dunque né indulto mascherato, né delinquenti in libertà; anzi di modesta cosa si tratta che né svuoterà né salverà le carceri italiane. Per questo risultato infatti occorrono misure di sistema, occorre ripensare la carcerazione cautelare; oggi in carcere la metà dei detenuti è in attesa di giudizio, molti di primo giudizio e il 30 per cento risulta poi assolto. È necessario rivedere la normativa sulla recidiva, è soprattutto indispensabile ripensare alle misure alternative, anche con uno sforzo di fantasia. In Francia ne esistono ben 16. Non voglio assolutamente dire che i disgraziati che popolano oggi le nostre carceri, tossicodipendenti (la grande maggioranza, per i quali il carcere è una misura ottusa), immigrati, marginali, poveri, non debbano pagare per i reati commessi. Ma in condizioni di umanità e di rispetto per la dignità dell’individuo. Il 6 febbraio ho organizzato, in accordo con la Procura, una visita di pubblici ministeri a Poggioreale. Hanno partecipato molti magistrati, che hanno potuto constatare la palese illegalità: 11 persone in una cella di 9 metri quadri, che in quel momento cucinavano all’interno di un cosiddetto bagno, in cui c’era solo la tazza, un lavandino e il fornello. È dunque questo il luogo di rieducazione previsto dalla Costituzione? O non è piuttosto scuola di criminalità. Tanto più che i tagli alle risorse economiche hanno fatto chiudere tutte le lavorazioni, che impiegavano molti detenuti. Il lavoro è uno strumento potente di ricostruzione della personalità. Un’ultima riflessione riguarda la sicurezza cui i cittadini giustamente tengono. Un detenuto che si inserisce gradualmente nella famiglia e nel contesto territoriale ricomincia a guardarsi intorno, si reinserirà più facilmente in un’attività lavorativa rispetto a chi esce direttamente dal carcere, annaspa, perché privo, almeno per ora, di misure di accompagnamento ed è più facilmente indotto a reiterare il reato. Il Parlamento, intorpidito da anni in cui ha dovuto impegnarsi su leggi ad personam, si riappropri del ruolo che gli è proprio e ripensi a una riforma complessiva di sistema e non insegua eternamente le emergenze. Nel frattempo si faccia informazione corretta che tenda a cambiare la cultura di questo paese. Sono ancora molti gli Italiani, che, per fortuna, continuano a credere nella forza della ragione. Giustizia: Sappe; Ispettore di Polizia penitenziaria si toglie la vita in provincia di Caserta Comunicato stampa, 19 febbraio 2012 “Siamo sgomenti e sconvolti. A 48 ore dal suicidio, a Formia, di un Assistente Capo di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Roma Rebibbia, abbiamo appreso di un altro suicidio di un appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria. P.M., 41 anni, sposato e con due figli, musicista della Banda musicale del Corpo di Polizia Penitenziaria si è tolto la vita questa mattina nella sua abitazione di Carano di Sessa Aurunca mediante impiccamento. Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l’uomo a compiere il gesto estremo. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia, anche perché avviene a poche ore dal suicidio di un altro collega a Forma e a pochi mesi dalla tragica morte di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio ad Avellino, Mamone Lodè, Caltagirone, Viterbo, Torino e Roma. Oggi piangiamo la vittima di un’altra tragedia che ha sconvolto i Baschi Azzurri, nell’indifferenza assoluta e colpevole dell’Amministrazione Penitenziaria che continua a sottovalutare questa grave realtà. Noi ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile della moglie, dei figli, dei familiari, degli amici, dei colleghi”. È il commosso commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Capece aggiunge: “Dal 2000 ad oggi si sono uccisi circa 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). E otto suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L’Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni - nell’ordine di 10 casi in pochi mesi! -, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Al Dap abbiamo chiesto particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto con psicologi del lavoro ai quali le colleghe ed i colleghi possono anonimamente ricorrere. Nulla è stato fatto, e i suicidi sono purtroppo costanti. Ma su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni!” Piemonte: Burzi (Pdl) ritira la firma dal progetto di legge “ammazza-garanti” Notizie Radicali, 19 febbraio 2012 Ieri mattina, in Consiglio Regionale, si è tenuta la proiezione del documentario di inchiesta “Giustamente - viaggio nelle carceri italiane”, prodotto da fainotizia.it e da Radio Radicale. Al termine dell’incontro, Giampiero Leo (consigliere regionale Pdl, Presidente Associazione per il Tibet ed i Diritti Umani del Consiglio regionale), che ha organizzato l’evento, ha annunciato che Angelo Burzi (presidente Commissione Bilancio, Pdl) ha ritirato la firma dal Pdl 188 (Pedrale e altri), che intende abolire, tra le altre, anche la legge istitutiva del Garante regionale carceri (L.R. n. 28/2009). Leo ha anche annunciato la prossima presentazione in Consiglio Regionale di un Ordine del Giorno sulla situazione delle carceri piemontesi. Sempre nel corso dell’incontro, Bruno Mellano (già consigliere regionale e deputato, dirigente del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito) ha comunicato che il Direttore del carcere “San Michele” di Alessandria, Dr. Domenico Arena, e il Dr. Davide Sannazzaro, responsabile dell’équipe trattamentale del carcere di Saluzzo, hanno sottoscritto l’Appello a sostegno del garante regionale carceri, a prima firma Emma Bonino. Ha concluso l’incontro Valentina Ascione, giornalista e coautrice del documentario. Erano presenti anche Giulio Manfredi e Igor Boni (membri rispettivamente della Direzione e della Giunta di Radicali Italiani), che hanno dichiarato: “L’impegno di Giampiero Leo sul “fronte carceri”, la decisione di Angelo Burzi, le nuove adesioni all’Appello pro garante da parte di operatori penitenziari, ci confortano nella nostra iniziativa di informazione nei confronti del Consiglio Regionale. L’abbiamo detto ieri in prima commissione, lo ripetiamo oggi: è possibile fornire all’intera comunità penitenziaria uno strumento in più per ridurre il danno all’interno delle carceri e per utilizzare al meglio le poche risorse (a partire, per esempio, dai 22 milioni di euro della “Cassa delle ammende” non destinati all’edilizia penitenziaria). Nel nome di supposte economie non si faccia l’economia del garante. È possibile risparmiare utilizzando strutture e personale regionale; ma le funzioni del garante non possono essere svolte né dall’Osservatorio regionale sull’usura (come proposto dal Pdl 188) né dal Difensore Civico regionale, già oberato da centinaia di cause; occorre una persona che si dedichi a tempo pieno alla cura delle 13 carceri piemontesi”. Cremona: detenuto di 45 anni si impicca nella sua cella di Sergio Ravelli (segretario dell’Associazione radicale Piero Welby) Notizie Radicali, 19 febbraio 2012 Un detenuto di 45 anni si è impiccato ieri nel carcere di Cà del Ferro a Cremona. Stessa sorte è toccata giovedì scorso a un detenuto di 58 anni nel carcere di Milano Opera e a un agente di polizia penitenziaria del carcere Rebibbia di Roma. Da inizio anno sono 9 i detenuti che si sono tolti la vita e 21 il totale dei decessi avvenuti nelle carceri (di cui 9 per cause ancora da accertare). Dal 2000 ad oggi 700 detenuti si sono uccisi e ammonta a 1.954 il totale dei “morti di carcere”. Cifra che supera le 2mila unità, sommando le vittime tra le fila della Polizia Penitenziaria: 85 per suicidio e 6 per “incidenti sul lavoro”. Il suicidio avvenuto nel carcere di Cremona, il primo dopo molti anni di relativa “tranquillità”, è la spia di un disagio e di una sofferenza che le visite ispettive dei deputati radicali - Maurizio Turco nell’aprile 2011 e Rita Bernardini nell’ottobre 2011 - avevano puntualmente segnalato. Disagio e sofferenza derivanti da un degrado crescente della struttura penitenziaria di Cà del Ferro, che da esempio positivo per tutte le altre realtà italiane si è trasformato negli ultimi anni in un semplice parcheggio di persone, quasi una discarica umana. Ai problemi cronici legati al sovraffollamento (che hanno causato l’inserimento di un terzo letto in molte celle, originariamente previste come celle singole), alla grave carenza di agenti e ai sempre maggiori problemi di convivenza (il 55% dei detenuti sono stranieri), si è aggiunta la progressiva diminuzione di tutte le attività lavorative all’interno della struttura carceraria. Gli eventi drammatici di questi ultimi giorni dimostrano che l’emergenza carceri è un fatto ineludibile e improcrastinabile, perché ne va del senso di civiltà del Paese. Purtroppo anche il decreto del ministro Severino non affronta il problema con la “prepotente urgenza” richiamata dal Presidente Napolitano, che a luglio aveva parlato di giustizia e carceri come di una situazione “che ci umilia in Europa”. Cifre alla mano, il cosiddetto decreto “svuota carceri” prevede che, nell’arco di un anno, andranno alla detenzione domiciliare solo 3.300 detenuti, quando i posti che mancano nelle carceri sono più di 22.000! E non è solo una questione di spazi che sono insufficienti persino a custodire animali, ma questione di cure negate, di mancato rispetto della territorialità della pena, di costrizione del detenuto all’ozio forzato, di sporcizia e totale mancanza di igiene. Per non parlare dei 27.000 presunti innocenti lasciati a marcire in cella in attesa del processo. Pochi giorni fa l’Italia è stata condannata per l’ennesima volta dalla Corte europea dei diritti umani per aver sottoposto un detenuto a trattamento inumano e degradante. Il detenuto nel carcere di Parma non solo non riceveva cure adeguate ma, costretto in carrozzina, non riusciva letteralmente a muoversi per la presenza di barriere architettoniche. La Corte di Strasburgo, ha dunque ribadito il principio secondo cui gli Stati hanno l’obbligo di assicurare che tutti i carcerati siano detenuti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana e garantendo in modo adeguato il diritto alla salute. Noi radicali, con Marco Pannella e la sua lotta nonviolenta condotta assieme a tutta la comunità penitenziaria, sosteniamo che le carceri siano l’anello terminale di una Giustizia fuorilegge, che ha sulle spalle un carico di oltre dieci milioni di procedimenti penali e civili pendenti; una giustizia che, sul fronte penale, lascia cadere in prescrizione i processi al ritmo di 180.000 all’anno. E l’amnistia la chiediamo non come “clemenza” ma come un provvedimento costituzionale volto e atto a far rientrare nella legalità lo Stato italiano imbarbarito tanto dall’irragionevole durata dei processi, quanto da un sistema penitenziario incivile e criminale. Teramo: detenuto tenta suicidio buttandosi “di testa” da letto castello, resta paralizzato Agi, 19 febbraio 2012 Resta in custodia carceraria Valentino Di Nunzio, il giovane che il 14 febbraio ha tentato il suicidio nel carcere di Teramo, riportando gravissime lesioni midollari dopo essersi buttato “di testa” dal letto a castello. Il suo legale, l’avvocato Isidoro Malandra, e il pm Salvatore Campochiaro avevano chiesto il trasferimento in una struttura psichiatrica, ma il gip Gianluca Sarandrea ha respinto l’istanza. Il ragazzo è detenuto per l’omicidio della madre, avvenuto a settembre. “Mentre Valentino Di Nunzio è sottoposto a delicatissimo intervento chirurgico al midollo spinale, ed è escluso che possa tornare a muovere gli arti - dice Malandra - il Gip di Pescara Gianluca Sarandrea ha respinto la richiesta mia e del Pm: volevamo il trasferimento di Valentino dal carcere di Teramo all’ospedale psichiatrico giudiziario o in altro istituto penitenziario dotato di reparto psichiatrico. Attualmente il paziente è tetraplegico, non può fuggire né reiterare alcun reato. Il provvedimento del Gip sarà impugnato al Riesame ma dati i tempi tecnici un’eventuale revoca non potrà intervenire prima di 7-10 giorni. Nel frattempo al padre e ai parenti sarà impedito di assistere Valentino nella fase post-chirurgica. Ebbene, il Gip rigetta per l’ennesima volta la richiesta perizia, conferma la misura carceraria, sebbene eseguita attraverso piantonamento presso l’ospedale di Teramo, e dispone la custodia cautelare presso il reparto psichiatrico dell’Ospedale di Teramo all’atto delle dimissioni da neurochirurgia”. Il carcere è pieno di detenuti psichiatrici Dopo l’ennesimo incidente a un detenuto con problemi psichici il Sappe scrive al senatore Ignazio Marino. Il sindacato di polizia penitenziaria non entra nel merito se quello di Valentino Di Nunzio sia un tentato di suicidio o una caduta dal letto a castello, ricorda però che “il carcere teramano può contenere 240 detenuti ma ne ospita 410: oltre 300 soffrono di problemi psichiatrici e di salute. Vengono scaricati a Teramo solo perché vi è il servizio di guardia medica h 24 è una psichiatra per alcune ore la settimana”. Il segretario del Sappe Giuseppe Pallini ritiene invece che a Teramo “non ci sono le condizioni per far fronte anche a questa criticità: non ci sono le strutture, i mezzi, gli spazi e soprattutto le risorse umane ed economiche”. Bari: in celle di 15 metri quadri vivono anche 30 detenuti www.barisera.net, 19 febbraio 2012 “Ci accorgiamo sempre di più che di fronte allo scempio delle carceri nemmeno il presidente della Repubblica viene preso sul serio, per cui si può fare affidamento solo sulla magistratura, unico potere in Italia che riesce con i suoi provvedimenti a sollevare oppure a risolvere le questioni”. Esordisce così la lettera del Sappe, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che, ancora una volta, denuncia la situazione presente nelle carceri italiane e pugliesi in particolare. “Lo avevamo denunciato e scritto in tutte le salse all’indomani della sentenza della corte di Giustizia europea che condannava lo Stato italiano a indennizzare un detenuto poiché costretto a vivere, tutte le ore della giornata, in una spazio grande quando una bara - dicono. Avevamo espresso viva preoccupazione poiché a quella sentenza sarebbero potute seguire centinaia, se non migliaia, di richieste di risarcimento da parte dei detenuti ristretti nelle carceri nazionali e soprattutto in quelle pugliesi, più affollate d’Italia. Avevamo anche documentato tale situazione con immagini e foto sperando in uno scatto di dignità da parte di chi ha in mano le leve del potere in questa nostra nazione”. Ma lamentano, “nessuno ha accolto il nostro grido d’allarme”. Il Sappe deve denunciare anche “il grande dilettantismo degli alti dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria che, all’indomani della sentenza della corte di giustizia europea, hanno armato tutti i direttori delle carceri della nazione di un centimetro con cui sono andati a misurare le celle in cui erano ristretti i detenuti, stabilendo che tre metri per detenuto fossero più che sufficienti, anche se nella stragrande maggioranza non si poteva concedere nemmeno tale spazio”. E affonda: “Sono quegli stessi dirigenti che hanno a disposizione auto da oltre 100mila euro con autisti, scorte, staffette, uffici ovattati. Nessuno di loro si è mai preoccupato che a Taranto ci sono 4 detenuti in 9 metri quadri, stesso discorso a Foggia, come pure a Lecce, mentre a Bari in una stanza di 15 metri quadri anche 30 detenuti. Anche nelle altre carceri pugliesi da Turi ad Altamura, da Brindisi, a San Severo, a Lucera, la situazione non è migliore”. Invece di cercare di risolvere questa situazione, “assistiamo a un’altra sentenza del tribunale di sorveglianza di Lecce che condanna il Ministero della Giustizia a risarcire 4 detenuti ristretti a Borgo San Nicola poiché costretti a vivere con uno spazio vitale inferiore ai 3 metri quadri senza che nessuno abbia nel frattempo nulla. Ormai la voragine che si è aperta apre scenari indefiniti poiché qualsiasi detenuto ristretto nelle carceri pugliesi e nazionali potrà chiedere il risarcimento. Solo in Puglia sono quasi 4000 le persone che potrebbero chiedere l’indennizzo con i risultati che tutti possono immaginare”. Palermo: il direttore dell’Ucciardone; nuovi cedimenti strutturali, il carcere cade a pezzi Agi, 19 febbraio 2012 Cade a pezzi il carcere dell’Ucciardone. Le ristrutturazioni effettuate nella vecchia casa circondariale di Palermo non sono bastate a mettere completamente in sicurezza la struttura. L’ultima novità è stata ufficializzata dal direttore Rita Barbera e riguarda nuovi cedimenti strutturali nel penitenziario borbonico. “Come è noto - scrive la Barbera in una lettera inviata alle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria e al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Sicilia - questa struttura ha presentato delle lesioni la cui pericolosità è in fase di accertamento. I tecnici hanno però ritenuto di adottare delle misure precauzionali stabilendone la interdizione alle persone in attesa di una perizia di un geologo che ne stabilirà la staticità e l’eventuale ripristino di funzionalità”. In pratica a fare le spese di una situazione di precarietà saranno gli agenti della polizia penitenziaria. “Nelle more - si legge ancora nella lettera della Barbera - il personale della polizia penitenziaria che usufruiva delle stanze è stato sistemato nei locali destinati all’alloggio del comandante attuando dei lavori in emergenza per renderli abitabili”. Spostamenti anche presso la settima sezione, nella quale, aggiunge la Barbera, “si presentano numerose infiltrazioni d’acqua che riguardano anche i bagni del personale della polizia penitenziaria, ma in generale la salubrità di tutti i posti di servizio si sta procedendo a lavori in economia”. Mantova: Gruppo civico Finadri contro la chiusura dell’Opg di Castiglione delle Stiviere La Gazzetta di Mantova, 19 febbraio 2012 “Unitevi per scongiurare la chiusura dell’Opg, il trasferimento dei servizi Asl e la soppressione del tribunale”. Il gruppo civico Fedeltà a Castiglione fa questo appello a tutti i gruppi consiliari di Castiglione affinché aderiscano nel prossimo Consiglio comunale ad un documento condiviso per salvare le strutture. Dopo il disegno di legge svuota-carceri che ha sancito la chiusura degli ospedali giudiziari entro marzo 2013, nei giorni scorsi la Lega Nord ha annunciato il rischio di trasferimento dei servizi Asl dai locali di via Garibaldi, mentre in base a una nuova normativa dovrebbero essere chiusi anche la sezione distaccata del tribunale di Castiglione e l’ufficio del giudice di pace. “Il risultato di questi accadimenti - sostiene il gruppo Fedeltà a Castiglione, presieduto da Federico Finadri - creerà problemi dal punto di vista occupazionale, ma anche da punto di vista del disagio, visto che verranno meno servizi essenziali perla città ma anche per i comuni limitrofi. il Consiglio comunale tutto si deve far portavoce di tutta la cittadinanza castiglionese e del circondario”. Macomer: detenuto lancia una caffettiera ad agente di Polizia penitenziaria Adnkronos, 19 febbraio 2012 Ha lanciato una caffettiera contro un agente di polizia penitenziaria che è finito in ospedale con una ferita alla fronte. L'aggressore è un detenuto islamico della sezione Alta Sicurezza del carcere di Macomer che ospita persone condannate per reati di terrorismo internazionale, tra i quali diversi affiliati ad Al Qaeda. L'istituto del capoluogo del Marghine, infatti, rientra con Benevento e Asti nel circuito di "Alta sicurezza 2" al quale il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha destinato appunto i detenuti imputati o condannati per terrorismo. “In relazione all'aggressione di un agente penitenziario da parte di un terrorista di Al Quaeda avvenuto nel carcere di Macomer ho previsto un sopralluogo ispettivo parlamentare nell’istituto penitenziario”. Lo comunica il deputato sardo del Pdl Mauro Pili, venuto a conoscenza dell’episodio che si sarebbe verificato venerdì nell’istituto di pena di Macomer, in provincia di Nuoro. Secondo quanto lo stesso deputato riferisce all’Adnkronos, “ospiterebbe detenuti di Al Quaeda, inizialmente 17, ora in 7, responsabili delle stragi di Madrid e di Londra”. Alle 11 Pili entrerà nel carcere per verificare la situazione. Cinema: festival Berlino; vincono i Taviani con “Cesare deve morire”, grazie ai detenuti Ansa, 19 febbraio 2012 Vittorio e Paolo Taviani, 163 anni in due, si rimpallano come ragazzi al Berlinale Palast l’Orso d’oro che hanno appena vinto alla 62/ma edizione del Festival di Berlino con “Cesare deve morire”, ma il pensiero di entrambi va solo ai carcerati, i veri eroi di questo film. Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto “Cesare deve morire” pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo. E questo grazie alle parole sublimi di Shakespeare”. Questa una delle frasi più toccanti di Vittorio Taviani stasera ricevendo quel premio che l’Italia non aveva dal 1991 quando vinse Marco Ferreri per “La casa del sorriso”. Il film, ambientato nel carcere di Rebibbia, nella sezione “Fine pena mai”, racconta appunto la tragedia di Shakespeare con le voci dei carcerati, ognuno nel proprio dialetto. Anche dal fratello Paolo, arriva, subito dopo, l’omaggio ai carcerati: “Voglio fare alcuni dei loro nomi: a loro infatti va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci sono nella solitudine delle loro celle. E quindi dico grazie a Cosimo, Salvatore, Giovanni, Antonio, Francesco e Fabione”. “Cesare deve morire” - prodotto da Kaos in collaborazione con Rai Cinema e distribuito dalla Sacher dal 2 marzo - va detto che è subito conquistato la stampa estera a Berlino. E il fascino di questo film in bianco e nero e, solo alla fine, a colori ha colpito anche per quanto riguarda le vendite al mercato. Il film è già stato acquistato da Francia, Spagna, Brasile, Danimarca, Iran e Taiwan e sono state avviate trattative per la commercializzazione del titolo anche in Giappone e negli Stati Uniti. Infine, i fratelli Taviani - dicono all’Ansa - la loro ferma volontà di far vedere “Cesare deve morire” (che ha ricevuto anche il premio Ecumenico Ocic) quanto prima ai carcerati: “andremo al più presto a Rebibbia a far vedere ai nostro amici carcerati il film anche se non nascondiamo che sarà dura per loro. Perché, oltre a vedersi recitare, dovranno anche assistere, nei titoli di coda, all’elenco della pena e dei loro reati”. Vera soddisfazione, infine, per la vittoria dei Taviani, arriva da parte Rai Cinema, dai vertici Rai presidente e direttore generale e dall’Anica. Garante carceri Lazio: felice per detenuti è un film bellissimo “Un film d’arte bellissimo, un successo reale”. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni è “felice per i detenuti” che hanno preso parte al film dei fratelli italiani Paolo e Vittorio Taviani, “Cesare deve morire”, ambientato nella prigione romana di Rebibbia e insignito dell’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino. “Sono felice per i mei amici detenuti oltre che per l’Italia che finalmente vince un premio fantastico in un festival difficile come quello di Berlino e per niente commerciale”. “Andai a Berlino, su delega dei detenuti che hanno recitato nel film e pensavo che il film avrebbe vinto un premio – prosegue. Pur sperandolo, non immaginavo si trattasse proprio dell’Orso d’oro”. Si tratta di detenuti-attori dall’esperienza di recitazione “già maturata in carcere e che con la regia dei fratelli Taviani hanno dato il meglio di sé”. Nel film ci sono “momenti straordinari di recitazione altissima”. Il Garante ha detto di aver visto i detenuti-attori venerdì: “Abbiamo chiacchierato - ha raccontato - erano emozionati. Gli avevo detto che ci sarebbe stato un premio, ma non immaginavo questo, e che avremmo fatto festa tutti insieme”. Ora il Garante spera che all’anteprima anche alcuni dei protagonisti del film possano partecipare: “Parlerò con il magistrato di sorveglianza”. Alemanno: motivo d'orgoglio per l'Italia e per la città di Roma "L'Orso d'Oro conquistato dai fratelli Taviani al Festival del Cinema di Berlino rappresenta un motivo d'orgoglio per l'Italia e per la città di Roma. Abbiamo seguito con attenzione e passione le riprese all'interno del carcere di Rebibbia, consapevoli che si stava girando una pellicola coraggiosa e difficile soprattutto per il tema che veniva trattato. Paolo e Vittorio Taviani sono riusciti ancora una volta a dimostrare la loro straordinaria capacità artistica e il loro incredibile talento". Lo dichiara il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. Scaglia: Orso d’Oro premio importante perché punta luce nuova su carceri “Cesare deve morire è un’opera che tocca magistralmente le corde profonde della vita carceraria, tra battute shakespeariane e dialetti quotidiani, tra il desiderio di riscatto e la durezza delle pene da scontare. Anche per questo l’Orso d’Oro è un premio importante, perché punta una luce nuova su un tema di grande attualità come la drammatica situazione in cui si trova il nostro sistema carcerario, e porta all’attenzione del pubblico il lavoro straordinario svolto quotidianamente dagli operatori che tentano con ogni mezzo, anche con l’arte e il teatro, il recupero di tante vite difficili”. Lo ha dichiarato in una nota Franco Scaglia, presidente di Rai Cinema. “Dopo ben ventun anni - ha aggiunto - l’Ad Paolo Del Brocco - il cinema italiano torna a vincere a Berlino. Lo fa con un film su un tema difficile, di forte impegno, con un linguaggio di grande cinema come solo i nostri migliori autori sanno fare. Siamo molto orgogliosi di aver contribuito a produrre “Cesare non deve morire” un’opera che rientra nella nostra linea di produzione di cinema civile, e che risponde appieno al nostro mandato di servizio pubblico confermando l’importanza dell’impatto di Rai Cinema e della Rai sull’industria culturale e cinematografica italiana. I nostri complimenti a Paolo e Vittorio Taviani che con questa opera hanno scritto un’altra grande pagina di cinema”. Lei: Orso d’Oro orgoglio per la Rai e per l’Italia “Ricevere un riconoscimento così prestigioso al Festival del Cinema di Berlino, è per la Rai e per il cinema italiano, motivo di grande soddisfazione ed orgoglio”. Con queste parole il direttore generale della Rai, Lorenza Lei, ha accolto la notizia dell’Orso d’Oro per il film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani. “Quando Rai Cinema, con la società di produzione Kaos, hanno deciso di contribuire a realizzare questa pellicola - racconta - sapevamo che avremmo affrontato una sfida complessa. Scegliere di raccontare una realtà difficile e piena di contraddizioni qual è quella carceraria italiana, promuovendo un film che avesse anche un respiro internazionale, sembrava un obiettivo troppo ambizioso. Rappresentare poi i dimenticati, gli invisibili, gli esclusi; e allo stesso tempo dare loro voce e, grazie all’arte, restituire nuova dignità all’ esistenza di condannati, sembrava un progetto ancora più difficile. Ma la Rai ci ha creduto e ha avuto ragione. Convincendo anche il mercato cinematografico internazionale”. La Direzione Commerciale Rai ha infatti già concluso le vendite di “Cesare deve morire” in Francia, Spagna, Brasile, Danimarca, Iran e Taiwan e sono state avviate trattative per la commercializzazione del titolo anche in Giappone e negli Stati Uniti. Oggi questo successo ci rafforza e ci sprona a fare di più. È stata infatti promossa con convinzione la realizzazione di un documentario di Rai Cinema, in due puntate, sulla realtà carceraria in onda a maggio sulla terza rete. Un viaggio in tutto il Paese, nel profondo del sistema penitenziario italiano con testimonianze a più voci che mettono in luce i problemi drammatici legati alla detenzione e al lavoro di recupero degli istituti penitenziari. Anche, e forse, soprattutto questo è servizio pubblico, conclude il Dg. Trama del film dei Taviani vincitore del Festival di Berlino 2012 "Cesare deve morire", il film dei fratelli Taviani vincitore dell’Orso d’oro a Berlino è un documentario, in uscita nelle nostre sale il 2 marzo 2012, che ci racconta la vita dei detenuti nella Sezione di Alta Sicurezza del carcere Rebibbia di Roma, dove si trovano, per la maggior parte, condannati all’ergastolo perché appartenenti alle organizzazioni della criminalità organizzata (mafia, camorra, etc..). La situazione nelle carceri in Italia, tema molto sentito nel nostro Paese, ha commosso il Festival di Berlino 2012, facendo vincere ai fratelli Taviani l’Orso d’oro. E proprio i registi hanno dedicato il prestigioso riconoscimento ai detenuti protagonisti del documentario "Cesare deve morire". "Questi detenuti-attori hanno dato se stessi per realizzare il film. A loro va il nostro pensiero, mentre noi siamo qui tra le luci, loro sono nella solitudine delle loro celle. Anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, resta un uomo, grazie alle parole sublimi di Shakespeare" , hanno detto i Taviani. Il film ci racconta appunto le storie personali dei vari detenuti, che si intrecciano con una rappresentazione teatrale di un’opera di Shakespeare. Su soggetto e sceneggiatura di Paolo e Vittorio Taviani, il film, prodotto da Kaos Cinematografica in collaborazione con Rai Cinema, è una docu-fiction che vede come attori gli stessi detenuti, dei quali alcuni segnati dalla “fine pena mai”. Il filmato, in bianco e nero, come tutto il film, ci porta nelle atmosfere della pellicola che segue le prove dei laboratori teatrali che fanno i detenuti, chiamati a mettere in scena la tragedia Giulio Cesare di William Shakespeare. Honduras: l’Onu chiede un’indagine sull’incendio del carcere di Comayagua Ansa, 19 febbraio 2012 L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Unhchr nella sua sigla inglese) ha chiesto venerdì una “indagine indipendente” sull’incendio di martedì che ha provocato la morte di 377 detenuti del carcere centrale di Comayagua, in Honduras. Il portavoce dell’Unhchr Rupert Colville, citato da Telesur, ha espresso il proprio rammarico “per il tragico incendio del centro penitenziario honduregno, in cui sono morte più di 350 persone”. “L’indagine mira a determinare se il sovraffollamento del carcere abbia contribuito alle disastrose conseguenze dell’incendio”, ha precisato il funzionario. La prigione di Comayagua ha una capacità di 400 detenuti, ma ne ospitava quasi 900. I familiari delle vittime ritengono lo Stato responsabile delle condizioni di sovraffollamento delle carceri onduregne. “Il principale problema delle prigioni in America Latina è proprio il sovraffollamento. In media, ospitano il 30% di detenuti in più rispetto a quanto consentirebbero le loro strutture, ma in molti casi arrivano fino al 100%, cosa che facilita le tragedie”, ha spiegato Colville venerdì in una conferenza stampa. Nepal: cittadino francese trascorre quattro anni in carcere per un visto scaduto Italia Oggi, 19 febbraio 2012 È bastato un visto scaduto per vedersi condannato a 1.374 giorni di prigione, che corrispondono a poco meno di quattro anni. La disavventura ha avuto come protagonista Claude Ozoux, francese di 66 anni, detenuto per tutto questo tempo nel carcere di Katmandu, capitale del Nepal, e ora finalmente uscito di prigione. E questo per non aver pagato una multa di 1.630 euro. Secondo il ministero degli affari esteri del paese asiatico, si tratta di un caso inedito. Ozoux ha dichiarato di avere la ferma intenzione di ricorrere alla giustizia per mancata assistenza a una persona in pericolo. Ha detto di essere stato abbandonato dal governo di Parigi in un buco, aggiungendo che un conto è che il Nepal sanzioni l’immigrazione, mentre è scandaloso che la Francia non si sia impegnata per la sua liberazione. Ozoux è un vecchio hippy, che qualche anno fa scelse il Nepal come luogo in cui vivere. Ma i pochi soldi in tasca e la sua vicinanza al mondo della strada, compresi i tossicodipendenti, gli provocarono problemi. Nel 2006 venne aggredito da alcuni malintenzionati, che gli ferirono una gamba. L’operazione chirurgica gli causò problemi per l’anestesia e nei giorni seguenti, dopo alcuni diverbi, venne cacciato dall’ospedale. I rapporti furono burrascosi anche con l’ambasciata francese. Allontanato da casa sua, nel 2007 venne arrestato perché il suo visto era scaduto da 13 mesi. La sua destinazione fu il carcere di Katmandu. In mancanza di soldi, non era stato in grado di pagare la multa. Finché, all’inizio di quest’anno, un suo amico di origine tedesca ha trovato la somma per liberarlo. In ambienti diplomatici francesi, peraltro, dicono che Ozoux è una persona difficile da gestire e che sua madre era pronta a pagare nel 2008, ma egli rifiutò l’aiuto per restare in Nepal.