Giustizia: via libera definitivo della Camera al decreto-carceri, che diventa legge Agenparl, 14 febbraio 2012 L’Aula della Camera ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto svuota-carceri. I sì sono stati 385, i no 105, 26 gli astenuti. Il provvedimento per ovviare al problema delle cosiddette “porte girevoli”, cioè dei casi dei detenuti condotti nelle case circondariali per periodi brevissimi (nel 2010, 21.093 persone trattenute per un massimo di 3 giorni), prevede che per l’arrestato in flagranza di reato sia disposta in via prioritaria la custodia dell’arrestato presso l’abitazione; in subordine che sia disposta la custodia presso le camere di sicurezza, e solo in via ulteriormente subordinata, che sia disposto il carcere. Il decreto dimezza da 96 a 48 ore il termine entro il quale deve avvenire l’udienza di convalida dell’arresto ed estende da 12 a 18 mesi la soglia di pena detentiva, anche residua, per l’accesso alla detenzione domiciliare prevista dalla legge del 2010. Il decreto prevede anche un’integrazione delle risorse finanziarie, pari a circa 57,27 milioni di euro per l’adeguamento, potenziamento e messa a norma di infrastrutture carcerarie; il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, di cui si prevede la chiusura entro il primo febbraio 2013; l’estensione della disciplina sull’ingiusta detenzione ai procedimenti definiti prima dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24 ottobre 1989), con sentenza passata in giudicato dal primo luglio 1988. Ok governo a Odg per rivedere norma Lusi e chiusura Opg Il governo s’impegna a rivedere la norma Lusi sulla retroattività delle disposizioni sul risarcimento per ingiusta detenzione facendo partire le richieste dal primo luglio 1988 e non più dal 24 ottobre 1989. Il ministro Paola Severino ha infatti dato parere favorevole a un emendamento firmato dai capigruppo di maggioranza in commissione Giustizia alla Camera. L’emendamento, che porta le firme Costa (Pdl), Ferranti (Pd), Rao (Udc), Angela Napoli (Fli), Marco Carra (Pd), è stato accolto dall’aula. Nella premessa dell’odg si spiega che non si è chiesta una riformulazione, tramite emendamento, della norma Lusi “per ragioni di responsabilità” in quanto le modifiche avrebbero messo a rischio la conversione in legge del decreto con un ulteriore passaggio al Senato. L’articolo in questione però, scrivono Pdl, Pd e Terzo Polo, suscita non “solo perplessità ma addirittura preoccupazioni” così come la norma sulla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari che Pdl, Pd e Terzo Polo chiedono di rinviare di 6 mesi se non sarà verificata la piena idoneità delle strutture alternative che accogliere i detenuti psichiatrici. Quanto all’articolo introdotto a Palazzo Madama con un emendamento a firma Luigi Lusi, e bocciato a Montecitorio dalla commissione Affari costituzionali, “appare di difficile giustificazione razionale- scrivono i gruppi di maggioranza- l’individuazione della data del 10 luglio 1988 come limite di applicazione retroattiva” delle disposizioni in materia di riparazione per ingiusta carcerazione. Fli: impegno governo aumento risorse forze ordine “Il provvedimento” sul sovraffollamento carcerario “introduce chiaramente un incremento delle responsabilità e del lavoro per le forze dell’ordine addette al controllo e alla vigilanza dei detenuti, ci aspettiamo a questo punto che le risorse destinate a questi lavoratori siano finalmente integrate, evitando che siano costretti ancora ad elemosinare”. Lo dichiara Aldo Di Biagio (Fli) firmatario di un ordine del giorno accolto dal Governo. “Purtroppo i capitoli di spesa riguardanti le forze dell’ordine continuano a languire - spiega - vittime di tagli indiscriminati che hanno raggiunto la loro massima espressione nell’ultima legge di stabilità che è arrivata a tagliarne il 50% e francamente tutto questo mal concilia con il potenziamento del ruolo delle stesse. Non si può pretendere di mettere sotto pressione le nostre forze dell’ordine senza riconoscergli il dovuto”. Di Biagio conclude: “Bene l’impegno del Ministro Severino ad implementare le potenzialità della Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di Finanza, attraverso un riadeguamento delle risorse finanziarie e la possibilità di procedere con nuove assunzioni per far fronte ai nuovi oneri derivanti dallo “svuota carceri”. Le forze dell’ordine sono il nostro orgoglio ma dobbiamo fare in modo che questo non venga inutilmente svilito”. Di Pietro (Idv): con questo dl governo correo dei delinquenti Il decreto svuota-carceri “è un provvedimento criminogeno: noi non lo votiamo e ci dispiace che voi, in nome di una solidarietà con i carcerati, diventate correi dei delinquenti”. Lo ha detto in Aula alla Camera Antonio Di Pietro annunciando il voto contrario di Idv al decreto Severino. “Non avete risolto un bel niente - ha spiegato l’ex pm - perché al detenuto che favore gli fate se lo spostate dalla cella alle camere di sicurezza che sono sempre quelle e sono sovraffollate e insufficienti”. E ancora: “Se vi rifiutate di votare il nostro ordine del giorno per aumentare il numero delle forze dell’ordine come le controllate le migliaia di persone che vanno ai domiciliari?”. Di Pietro ha sottolineato la “latitanza dello Stato che siccome non è in grado di fare nuove strutture carcerarie ricorre a un atto di pavidità e ingiustizia e mette fuori chi può commettere altri reati”. Di Giuseppe (Idv): stato tuteli madri detenute e loro figli “Lo Stato deve sempre e comunque tutelare la famiglia, anche quella che è composta da una madre detenuta e suo figlio”. Lo dichiara Anita Di Giuseppe (Idv) nell’aula di Montecitorio, dove è in corso l’esame degli ordini del giorno al decreto cosiddetto “svuota carceri”. “Le donne detenute sono considerate a priori della cattive madri, ma forse la società dovrebbe porre l’attenzione sulle cause che hanno portato quella donna a delinquere”, afferma Di Giuseppe ricordando che in Italia “sono 2.600 le donne recluse, poco più di 60 con i loro figli e in tutto sono 70 i bambini di età inferiore ai tre anni che vivono nel carcere con le loro mamme”. “Le colpe dei genitori non devono ricadere sui figli” sottolinea la deputata chiedendo a nome dell’Italia dei valori “l’impegno del governo” a porre “maggiore attenzione all’impatto che il carcere ha su queste donne e sui loro figli, sia sui piccoli che vivono con le madri nel carcere e sia quelli che fuori sono assegnati a strutture pubbliche” e a “rafforzare tutta la rete di servizi integrati che dovrebbero andare a sostegno delle detenute madri e dei loro figli”. “È un tema molto delicato - conclude la deputata - deve essere analizzato il diritto della donna detenuta ad essere madre e il diritto del figlio a non essere espropriato di questo legame”. Lega in piazza: nessuna libertà per criminali Lo avevano annunciato e lo hanno fatto: i deputati del Carroccio sono scesi in piazza in segno di protesta contro il Dl sul sovraffollamento carcerario presentato dal Governo e su cui l’Aula della Camera è chiamata oggi ad esprimere il voto finale. “Nessuna libertà per i criminali” è la scritta che campeggia sullo striscione spiegato in piazza di Montecitorio dai parlamentari del partito di Bossi, alcuni dei quali indossano sopra giacche e giubbotti una T-shirt con su scritto “io sto con Abele”. Apparsi portavoce dell’iniziativa è il capogruppo in Commissione Giustizia, Nicola Molteni. Questo provvedimento “è un omaggio ai delinquenti. Il Governo si dimostra insensibile e dimostra di disinteressarsi delle vittime dei reati”, ha ribadito ed ha aggiunto: “Questo è il Governo delle tasse, sta rapinando ai Comuni 8 milioni e mezzo di euro” da destinare alla Tesoreria centrale e “da oggi è il Governo che fa l’indulto, il condono giudiziario”. Questo è il Governo “delle liberalizzazioni dei detenuti e dei delinquenti”, ha detto ancora Molteni, sottolineando “la totale contrarietà” della Lega al testo. Giustizia: il gioco pericoloso di Di Pietro di Luigi Nieri Il Manifesto, 14 febbraio 2012 “Lo Stato si arrende ai delinquenti”. Così il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro ha commentato l’approvazione della legge sulle carceri. Sembra essere tornati al 2006 quando anche allora si creò l’asse Lega-Idv per sfruttare indegnamente i sentimenti popolari anti-indulto. Un asse pericoloso, che pulsa di emotività e populismo. In questi giorni sono state dette falsità gravi dagli esponenti Idv. “Lo Stato si arrende ai delinquenti” afferma Di Pietro. La legge approvata prevede invece quanto segue: 1) detenzione domiciliare per chi è all’ultimo anno e mezzo di pena. Vengono esclusi dal beneficio tutti i reati più gravi. Si tratta quindi di un provvedimento minimale che farà uscire, secondo le stime di Antigone, in un anno non più di 5-6 persone al giorno. Persone che sarebbero già fuori in affidamento in prova al servizio sociale se la magistratura di sorveglianza fosse stata nel tempo più disponibile. E questa sarebbe una resa ai delinquenti? E chi sono i delinquenti? Quelli che infrangono la legge Fini-Giovanardi sulle droghe o Bossi-Fini sull’immigrazione? E cos’è la sinistra, onorevole Di Pietro?; 2) riduzione degli ingressi in carcere nel caso di persone sottoposte a fermo di polizia e uso più ampio delle camere di sicurezza di carabinieri e polizia di Stato. Questa norma, per certi versi giusta, presenta dei rischi concernenti le violenze sempre possibili nelle oscure e poco garantite camere di sicurezza gestite dalle forze dell’ordine (vedi quanto sembra accaduto a Stefano Cucchi in una camera di sicurezza del tribunale di Roma). Su tale norma non abbiamo sentito alcuna parola contro i delinquenti di Stato da parte di chi difende a suo dire lo Stato contro i delinquenti; 3) chiusura degli attuali sei manicomi criminali e conversione degli stessi in venti strutture regionali più adatte alla cura. In questo caso, onorevole Di Pietro, criminale è lo Stato che umilia le persone sottoponendole a umiliazioni, vessazioni, contenzioni forzate, nonché sequestrandole a tempo indeterminato anche quando non sono più pericolose secondo i periti. La Cgil ha dato vita a un cartello - Stop Opg - che è critico nei confronti di questa norma perché troppo poco liberale. Attenzione quindi onorevole Di Pietro, perché a furia di dire bugie potrà pur nel breve periodo veder crescere il proprio pacchetto di voti ma di sicuro vedrà crescere anche il proprio naso, e la gente di sinistra alla fin fine se ne accorgerà. Nella polemica tra il Manifesto e il Fatto, tra Gonnella e Palma da un lato e Travaglio dall’altro io sto coi primi. Giustizia: sovraffollamento, detenuti risarciti di Stefano Anastasia Il Manifesto, 14 febbraio 2012 Oggi pomeriggio alla Camera il voto definitivo sulla legge di conversione del decreto Severino, sul quale la scorsa settimana il governo ha incassato la fiducia, e ribattezzato da sinistra “il salva carceri”. Per i Radicali, che si asterranno, si tratta solo di un “compromesso al ribasso”, un modo per far dimenticare che è lo Stato in flagrante violazione delle leggi. Per Lega e Idv, che voteranno contro, il provvedimento invece “svuoterà carceri” e Opg, liberando delinquenti e “pazzi pericolosi”. Prende sempre più piede però anche la critica all’emendamento Marino che stabilisce la data di scadenza dei manicomi criminali senza riformare il codice penale sul concetto di “pericolosità sociale”. Fioccano risarcimenti dal Tribunale di sorveglianza di Lecce sul carcere di Borgo San Nicola, alle porte del capoluogo salentino. È di ieri la notizia che il giudice Luigi Tarantino, già autore nel giugno scorso di un’analoga ordinanza, ha accolto i ricorsi di altri quattro detenuti, ristretti in condizioni di sovraffollamento tali da ledere la loro dignità personale e, quindi, da costituire un trattamento inumano e degradante. Il precedente, di questa come della precedente ordinanza del giudice salentino, è la sentenza della Corte di Strasburgo che nel 2009 condannò l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani che vieta, appunto, la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti. Da allora il nostro sistema penitenziario è sorvegliato speciale da parte della Corte europea. Centinaia sono i ricorsi pendenti, in quella sede, presentati dai detenuti italiani, con il sostegno dei loro avvocati, del Difensore civico di Antigone o dei Radicali. Intanto, però, la giustizia ordinaria inizia a fare il suo corso e dopo qualche titubanza sembra orientata a riconoscersi il potere di risarcire il danno arrecato ai detenuti dal sovraffollamento, alla stregua dei parametri stabiliti dalla Corte di Strasburgo. Altrove, in Germania e negli Stati Uniti, le Corti costituzionali, contro la violazione dei diritti fondamentali dei detenuti, hanno aperto le porte al “numero chiuso” nelle prigioni. A giugno la Corte di Cassazione deciderà sul ricorso dell’Amministrazione penitenziaria contro la prima ordinanza del giudice Tarantino. Intanto, però, potrebbero fioccare a migliaia, in ogni singolo ufficio giudiziario, i reclami contro le condizioni di sovraffollamento e per il risarcimento dei danni conseguenti. Nel frattempo, peraltro, verranno a maturazione i procedimenti avviati di fronte alla Corte europea. Del merito, nessuno discute: se meritò il risarcimento Izet Sulejmanovic, recluso in condizioni illegittime tra il 2003 e il 2004 nel carcere romano di Rebibbia, quando il sovraffollamento penitenziario italiano era assai più contenuto di oggi, non vi è dubbio che lo meriteranno la gran parte degli odierni ricorrenti, che lo facciano davanti al magistrato di sorveglianza o alla Corte europea dei diritti umani. Il rischio, per il Ministero della giustizia, è quello di dover far fronte a un’enorme spesa in risarcimento, come avviene da anni per la irragionevole durata dei procedimenti. A meno che non si intervenga radicalmente sull’emergenza e sulle cause del sovraffollamento, riducendo drasticamente le presenze in carcere anche attraverso un nuovo provvedimento di clemenza e modificando quelle norme che producono così tante carcerazioni e così poche scarcerazioni, dall’abuso della custodia cautelare alla criminalizzazione dei consumatori di droghe, ai sovraccarichi di pena per i recidivi, agli impedimenti alle misure alternative. Tutte cose che la ministra della giustizia sa bene e che vanno oltre le sue pur apprezzabili prime iniziative. Giustizia: carceri d’Italia, che vergogna! di Stella Spinelli www.eilmensile.it, 14 febbraio 2012 Le carceri italiane vantano da sempre un triste primato in tema di norme violate e diritti negati ai detenuti, tanto che l’Italia è, in questo campo, paragonabile al più recidivo dei delinquenti: ha ricevuto ben 15 condanne da parte della Corte di Strasburgo per trattamenti disumani e degradanti. L’ultima è datata 7 febbraio 2012. Eppure, continua imperterrita dritta per la sua strada lastricata di indifferenza e inerzia. Dall’inizio dell’anno, sono già 18 gli uomini morti nelle prigioni del nostro paese, un numero che va ad aggiungersi ai 186 del 2011 e ai 184 del 2010. La media è di due morti ogni due giorni. E per chi resiste, la vita è disumana. “Io come tanti altri ragazzi mi trovo detenuto nella parte più abbandonata del carcere Sollicciano di Firenze - scrive Vincenzo a Radio Carcere - Qui in pratica viviamo ammucchiati in decine e decine dentro stanzoni fatiscenti dove tutto è sporco e rovinato. Ci danno da mangiare sempre riso e minestra con acqua, ma sempre più acqua che riso e le nostre celle sono invase da scarafaggi che ci camminano ovunque. Qui dentro rischiamo sul serio di prenderci qualche infezione perché l’igiene davvero non c’è”. O ancora: “Siamo costretti a vivere in 5 persone all’interno di una cella non più grande di 12 mq, cella dove ci manca anche l’aria per poter respirare e la nostra non è una condizione isolata. Tutte le celle del nostro piano sono ridotte alla stessa maniera - scrivono dal carcere Badu e Carros di Nuoro. Gli spazi sono molto ridotti e facciamo una gran fatica a spostarci. Anche l’igiene è assente e il bagno altro non è che una tazza alla turca messa al centro della stanza, senza nessuna divisione. Non abbiamo nulla qua dentro, né un posto per cucinare né un armadietto per mettere le nostre poche cose. Noi detenuti nel carcere di Nuoro viviamo in queste condizioni per tutto il giorno, visto che ci lasciano chiusi in cella 24 ore su 24”. E anche: “Vi scrivo per denunciare la gravissima situazione presente nel carcere di Piacenza, un carcere dove al di là del sovraffollamento i detenuti subiscono ritorsioni se scrivono ai giornali o ad associazioni e dove vengono anche umiliati, maltrattati, e a volte indotti al suicidio. Dico questo perché se qui entra un ragazzo tossicodipendente o che ha problemi psicologici non viene ascoltato e non viene seguito, ma resta abbandonato a se stesso. Non a caso qualche giorno fa un ragazzo si è tagliato la gola durante la notte. Dopo i soccorsi tardivi è stato salvato appena in tempo, è stato portato in ospedale per poi essere rimesso in cella. Il tutto senza che qualcuno si sia preoccupato di farlo parlare con uno psicologo o un educatore. Ecco, così si muore in carcere, per indifferenza”. Da nord a sud, dunque, senza soluzione di continuità, la situazione è aberrante e a suggellarlo è il numero in crescita dei suicidi: 65 nel solo 2011. E in questi giorni di freddo eccezionale la vita in quelle fogne è addirittura peggiorata: a Campobasso, a Bologna e a Roma tre persone sono morte di freddo. E per non far peggiorare il bilancio, i direttori dei carceri hanno dovuto improvvisare interventi d’emergenza. Quello di Regina Coeli, Mauro Mariani, per esempio, ha dovuto distribuire centocinquanta coperte e centocinquanta cappelli ai detenuti del sesto braccio, che con il termometro a meno dieci e senza riscaldamento rischiavano di restare congelati. “Non ci sono soldi” è la risposta delle istituzioni, ma contemporaneamente nei garage del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono parcheggiate Maserati da oltre centomila euro. In questa situazione di stallo, a Eugenio Sarno, segretario generale Uil Penitenziari, non è rimasto che scrivere l’ennesima lettera al ministro competente Paola Severino, che nel frattempo ha promesso di “restituire a ogni detenuto la dignità che la Costituzione gli garantisce” preparando un decreto che il ministro non ha esitato a definire “salva carceri, perché salva le carceri italiane dal degrado”. Decreto criticato da ogni parte, Radicali in testa. Consisterebbe nell’investire cinquantasette milioni di euro per “rendere vivibili le carceri” e nell’estensione da dodici a diciotto mesi della pena finale da poter scontare ai domiciliari per le condanne non gravi sono briciole. Un escamotage per abbattere la popolazione carceraria di 3.300 detenuti. Ma 3.300 carcerati è una cifra assolutamente irrisoria. Nelle 206 prigioni di stato - che potrebbero ospitare 45.623 persone - gli ultimi dati parlano di oltre 68000 detenuti. Il surplus ammonta dunque a 22.300 anime. Altro che i 3300 della Severino. E alla fine dei conti poco importa se quei 3300 prigionieri in meno porteranno a un risparmio di 375mila euro per ogni giorno di detenzione evitata. Le carceri restano sovraffollate e indecenti. Eppure, a coloro che si appellano all’indulto o meglio all’amnistia - considerandole soluzioni più efficaci - il ministro risponde di non volerne sentir parlare e rimanda il tutto al Parlamento. Peccato però che il Governo abbia il potere di presentare un disegno di legge in materia, magari accompagnato da un piano di riforma strutturale serio, che accelererebbe i tempi e porterebbe a una svolta duratura. Il ministro non ci sente e continua nel suo ruolo di superficie che mantiene anche di fronte all’acutizzarsi del dramma carceri a causa del freddo. Tanto che il suo unico commento è stato: “Morire di freddo nelle carceri è una vera tragedia”. Stop. Tutto qui. E ieri, a Sarno, non è rimasto, appunto, che rivolgersi al ministro e incrociare le dita. “In queste giornate connotate dall’eccezionale ondata di freddo - ha scritto il segretario generale Uil penitenziari - pare ravvivarsi una ulteriore riflessione sulle condizioni strutturali degli istituti penitenziari e in particolare in merito alle difficoltà a garantirne una climatizzazione idonea. Quella del riscaldamento degli ambienti di detenzione e dei posti di lavoro in ambito penitenziario è un’annosa questione rimasta, purtroppo, irrisolta. […] Più volte abbiamo condiviso e apprezzato il suo dichiarato intento di voler contribuire a restituire la dignità alle persone detenute. Evidentemente, in queste poche settimane di permanenza a Via Arenula ha ben compreso quale sia lo stato di degrado della maggior parte degli istituti penitenziari e quanto infamanti e indecorose siano le condizioni di lavoro del personale penitenziario. Orbene, la UIL Penitenziari attende che alle parole pronunciate dal Ministro della Giustizia seguano atti conseguenti, propedeutici a restituire dignità, civiltà e diritti. Tra questi ultimi insiste il diritto alla salute. Oggi, però, possiamo affermare con certezza, in molti penitenziari questo diritto è negato. I decessi per “cause naturali” di queste ultime ore avvenuti a Campobasso e Bologna possano annoverare tra le concause anche le avverse condizioni meteo e l’impossibilità di garantire idoneo riscaldamento agli ambienti detentivi. È del tutto evidente, però, che Bologna e Campobasso rappresentano solo la punta dell’iceberg. Evitiamo di fare l’elenco ma non possiamo certo non far riferimento alle situazioni di Monza, di Roma Regina Coeli, di Reggio Calabria, di Vasto, di Agrigento e così via […]”. E intanto, la riforma strutturale del sistema carcerario - unica soluzione possibile - resta lontana. Giustizia: intervista a Patrizio Gonnella; il decreto-carceri è messaggio molto importante di Mario Di Vito www.eilmensile.it, 14 febbraio 2012 Nei giorni bui e tempestosi del provvedimento “svuota carceri” (o “salva carceri” come l’ha definito il ministro alla giustizia Paola Severino), il governo Monti si gioca una fetta sostanziosa della sua tenuta parlamentare: alla Camera, per decidere sul voto di fiducia, l’emorragia di consensi ha toccato quota 49 deputati, per una legge che ha finito, comunque, per scontentare tutti. Se, infatti, da una parte si è formato l’asse, insolito ma solo fino a un certo punto, Idv-Lega-Associazioni di polizia, dall’altro i soli Radicali si sono mostrati veramente sensibili all’argomento dei diritti umani in carcere. Così, Polizia Nuova definisce lo “svuota carceri” come “Una sconfitta per lo stato”, mentre per Pannella e i suoi, la misura voluta dalla Severino non è abbastanza incisiva. In mezzo alla polemica, c’è la voce dell’Associazione Antigone, da sempre impegnata nella lotta per i diritti e le garanzie nel sistema penale italiano. È proprio mentre si attende il voto finale della Camera sul provvedimento, abbiamo deciso di discutere di prigione e prigionieri con Patrizio Gonnella, presidente proprio di Antigone. Lo “svuota-carceri” sta facendo discutere, e pure parecchio. Antigone è sulla stessa linea dei Radicali che lo ritengono “non risolutivo”? “Prima di tutto va sottolineato che registriamo un’inversione di tendenza molto importante, soprattutto dal punto di vista culturale. Il messaggio che lo svuota-carceri vuole far passare è inequivocabilmente diverso rispetto al passato. Eravamo abituati a parole dure sui diritti dei detenuti. Adesso, almeno, se ne discute”. Però… “Però, guardando al contenuto del provvedimento, non si tratta sicuramente di misure risolutive, ma almeno viene assunta la consapevolezza di diversi problemi, dal sovraffollamento alle terribili condizioni degli Opg”. Che risultati avremo? “Si fermerà la crescita della popolazione carceraria. Attualmente in Italia, le prigioni ospitano 67mila persone al fronte di 45mila posti letto”. È una stima al rialzo. “È vero, i posti letto in realtà sono molti meno, diverse sezioni di molte carceri italiani sono chiuse, diciamo che i carcerati sono il doppio rispetto ai posti a disposizione. Il problema è che non ci sono soldi per la manutenzione, per questo molte situazioni son al limite”. In questi giorni si è parlato molto del VI braccio di Regina Coeli a Roma, con due detenuti che sono stati ricoverati per il freddo. “Ecco, il VI braccio di Regina Coeli è un po’ la metafora di questo paese. C’è chi sta molto bene e chi, invece, molto male… Vedremo come andrà a finire. Il problema è anche nella discussione, per dire, le obiezioni che fa Marco Travaglio, o anche l’Italia dei Valori, sono pura demagogia nella loro durezza. È così che partiti di destra e partiti che si dicono di sinistra si sono uniti in un abbraccio securitario”. Di Pietro, in effetti, è tra i più forti critici dello “svuota-carceri”. “Lui usa un linguaggio intollerante quando parla di questi argomenti. Su questo, Di Pietro non è affatto di sinistra, nemmeno a parole. I Radicali, invece, vogliono sottolineare che il provvedimento non è risolutivo. Loro, un po’ mediaticamente, puntano all’amnistia, ma io, oggi come oggi, non vedo grandi margini di manovra politica in questo senso. Per risolvere il problema delle carceri, bisognerebbe mettere mano in modo organico al Codice penale, soprattutto alle ultime leggi su droga e immigrazione”. Giustizia: chiudere Regina Coeli? Ristretti Orizzonti, 14 febbraio 2012 Giù le mani da Regina Coeli e da San Vittore e da Poggioreale e dall’Ucciardone. In carcere ci si suicida nelle carceri vecchie, si muore di overdose nelle carceri nuove e ci si impicca nelle camere di sicurezza. In carcere si muore indipendentemente dalla vetustà degli ambienti; in carcere si tortura senza alcun riguardo ai muri antichi o al cemento della massima sicurezza contemporanea. Siamo allibiti che si proponga l’alienazione di un patrimonio storico legato alla storia della città. Le carceri sono un pezzo di cultura che va difeso. La vivibilità del carcere non aumenta certo dismettendo gli istituti situati nel centro della città e collocandoli nelle estreme periferie. La via giusta dove è praticabile, è quella della ristrutturazione e dell’adeguamento al Regolamento. Oltretutto la speculazione edilizia (l’esempio delle carceri d’oro dovrebbe essere un monito) e la proposta di privatizzazione delle carceri sono in agguato. La nostra denuncia della norma presente nel decreto sulle liberalizzazioni rischia di essere vanificata. Consigliamo di leggere il volume “Il corpo e lo spazio della pena” per capire l’importanza dell’architettura e il danno dell’edilizia. Franco Corleone, Coordinatore nazionale dei Garante territoriali Patrizio Gonnella, Presidente Antigone Giustizia: Magistratura Indipendente; opportuna una pena detentiva a domicilio Specchio, 14 febbraio 2012 Deve essere accolta con favore la proposta del ministro della Giustizia di introdurre nel Codice penale una nuova pena detentiva da aggiungersi all’arresto e alla reclusione e che consente al ristretto di scontare la pena nel proprio domicilio, non solo come misura alternativa alla detenzione. Infatti uno dei fattori che incide di più ed in modo negativo sul governo delle carceri è il fenomeno delle “porte girevoli”: l’imputato sconta un certo periodo di custodia cautelare, viene rimesso in libertà, vi rientra, quando la pena è esecutiva, in seguito a sentenza divenuta irrevocabile, e vi rimane fino a che il giudice di sorveglianza non gli applica un beneficio. Questo patologico fenomeno potrebbe essere ridotto consentendo al giudice della cognizione di applicare, in luogo della pena detentiva in carcere, quella da scontare presso il domicilio, così come proposto dal ministro della Giustizia. Tale possibilità dovrebbe tuttavia intendersi non come una misura alternativa, che rimane riservata alla competenza della magistratura di sorveglianza, ma proprio come una nuova modalità di esecuzione della pena che consisterebbe, in pratica, nella traslazione alla fase di cognizione - o meglio, all’esito di quest’ultima - dell’istituto dell’esecuzione della pena presso il domicilio, già introdotto nel 2010 con la legge Alfano, e di questa dovrebbe conservare tutte le principali caratteristiche. anzitutto il fatto che non si applichi a soggetti pericolosi come rapinatori e mafiosi, o recidivi. Il nuovo strumento consentirebbe di saltate la fase della sorveglianza, evitando il cosiddetto “assaggio di carcere” a soggetti non pericolosi socialmente che hanno la possibilità di scontare la pena nel domicilio, tra l’altro non gravando sul bilancio dell’Amministrazione penitenziaria. L’istituto potrebbe, inoltre, essere collegato alla scelta di riti alternativi o alla rinuncia alle impugnazioni, realizzando un ulteriore benefico effetto deflativo del sistema penale. Ciò che però rimane irrisolto è il problema della popolazione carceraria straniera e di tutti coloro che non hanno un’occupazione e un domicilio - che non sono pochi, perché ovviamente nei loro confronti il giudice di merito non potrà applicare la misura. Ed ancora occorrono protocolli, risorse e mezzi per consentire alle forze dell’ordine di compiere efficaci controlli nel territorio e di verificare l’esecuzione della misura, così da assicurare che l’esecuzione della pena in forme alternative alla detenzione ordinaria si svolga senza pregiudizio per la sicurezza dei cittadini. Ancora una volta Magistratura Indipendente ha inteso tempestivamente attivarsi per tutelare le ragioni dei magistrati e, in particolare, di coloro che hanno presentato domanda di partecipazione al concorso per la copertura di 960 posti di giudice presso le Commissioni tributarie. Come ha già in precedenza comunicato, Magistratura Indipendente è riuscita a formulare un atto di “intervento ad opponendum”, con il patrocinio dell’avvocato Giuseppe Carugno, nel giudizio di impugnativa del bando di concorso attivato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza. Tale iniziativa ha consentito all’associazione di presenziare alla udienza di discussione sull’istanza di sospensiva del bando fissata per il 21 dicembre scorso. All’esito della Camera di Consiglio l’udienza è stata aggiornata al 25 gennaio 2012. Si è nel frattempo accertato che lo stesso bando di concorso era stato impugnato, sempre davanti al Tar Lazio, anche da Sergio Quatraro ed altri. Per tale ricorso è fissata l’udienza per il 18 aprile 2012 per la discussione e la decisione del merito. Anche in tale ricorso Magistratura Indipendente ha ritenuto opportuno compiere un atto di intervento “ad opponendum”. Pertanto ha invitato tutti coloro che fossero interessati a sostenere le proprie ragioni in tali giudizi ad avvalersi del patrocinio dello studio legale del prof. Carugno che ha raccolto le deleghe per l’intervento “ad opponendum” sia nel giudizio cautelare del 25 gennaio che in quello di merito del 18 aprile 2012. Inoltre ha comunicato anche la possibilità di attivare iniziative dirette al fine di far accertare l’inadempimento dell’obbligo di provvedere da parte del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, che avrebbe dovuto ultimare le procedure concorsuali entro il 31 dicembre scorso e immettere nel ruolo dei giudici tributari tutti gli idonei a decorrere dal primo gennaio scorso; avverso tale silenzio-inadempimento. infatti, può essere presentato ricorso ai sensi dell’articolo 117 del Codice di procedura amministrativa e gli interessati sono stati invitati a rivolgersi direttamente allo studio del prof. Carugno o a quello dell’avvocato Salvatore Petillo che sta curando tale aspetto in raccordo con l’ufficio sindacale dell’Associazione. Magistratura Indipendente ha espresso, inoltre, la propria solidarietà verso i colleghi francesi e ribadito quanto sia importante preservare l’imparzialità del Pubblico Ministero dal potere esecutivo in relazione ad analogo gesto compiuto lo scorso dicembre dall’Union Syndacale des Magistrats verso un Pubblico Ministero oggetto di un provvedimento disciplinare promosso dal Ministro della Giustizia francese nonostante due pareri contrari del Consiglio Superiore della Magistratura transalpina secondo la quale non vi erano motivi di sanzione. La garanzia di una Pubblica Accusa realmente autonoma e indipendente risponde infatti alla logica costituzionale della separazione tra i poteri, pietra angolare dell’ordinamento democratico, ha osservato Magistratura Indipendente; pertanto, devono essere viste come particolarmente allarmanti e insidiose tutte quelle iniziative volte ad asservire il Pubblico Ministero al controllo dell’Esecutivo e ad introdurre la discrezionalità dell’azione penale; “Un Pubblico Ministero asservito al tale potere avrebbe come conseguenza l’erosione del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, principio che si vedrebbe così svuotato del proprio contenuto garantistico”, aggiunge la nota. Giustizia: ventuno anni di carcere, ma era innocente… “chi mi ridarà la mia vita perduta?” di Francesco Viviano La Repubblica, 14 febbraio 2012 Giuseppe Gulotta aveva 18 anni quando venne prelevato e portato nella caserma dei carabinieri di Alcamo come sospettato dell’omicidio di due militari dell’Arma. Venne picchiato e seviziato per ore finché non confessò quello che non aveva fatto. Poi ritrattò invano. Il processo nel 1990 con la condanna a vita. Nel 2007, con il pentimento di uno dei carabinieri che parteciparono all’interrogatorio, il nuovo processo e, oggi, la sentenza: “Non è colpevole. Lo Stato deve restituirgli libertà e dignità” Dopo 21 anni, 2 mesi, 15 giorni e sette ore di carcere, Giuseppe Gulotta, adesso cinquantenne, ha ottenuto giustizia e dignità. Alle ore 17,35 di oggi la Corte d’Appello di Reggio Calabria dove si è celebrato il processo di revisione, ha pronunciato la sentenza. Giuseppe Gulotta è innocente, e da oggi non è più un ergastolano, non è l’assassino che il 26 gennaio del 1976 avrebbe ucciso, assieme ad altri complici, due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, in un attentato alla caserma di Alcamo Marina, un paese al confine tra le province di Palermo e Trapani. “Gulotta non c’entra nulla; abbiamo il dovere di proscioglierlo da ogni accusa e restituirgli la dignità che la giustizia gli ha indebitamente tolto” ha detto oggi la pubblica accusa prima che la corte si riunisse in camera di consiglio per emettere una sentenza di assoluzione che Giuseppe Gulotta attendeva da troppo tempo. Da quando, 35 anni fa, appena diciottenne, fu arrestato, condotto in carcere e, più tardi, dopo la durissima trafila dei diversi gradi processuali, condannato all’ergastolo definitivamente. E con lui gli altri tre suoi presunti complici: due sono ancora latitanti in Brasile; il terzo, Giuseppe Vesco, si suicidò in carcere qualche anno dopo il suo arresto. Ad accusare Gulotta della strage fu appunto Giuseppe Vesco, considerato il capo della banda, suicidatosi - in circostanze non del tutto chiare - nelle carceri di “San Giuliano” a Trapani, nell’ottobre del 1976. A provocare la revisione del processo che si è finalmente concluso oggi con l’assoluzione di Gulotta, sono state le dichiarazioni, molto tardive, di un ex ufficiale dei carabinieri Renato Olino che nel 2007 raccontò che le confessioni di Gulotta e degli altri erano state ottenute a seguito di terribili torture da parte dei carabinieri. Olino, che si era dimesso dall’Arma proprio in seguito alla vicenda di Alcamo, non aveva retto al rimorso e aveva deciso di dire la verità. Gli altri carabinieri, oggi quasi tutti molto anziani, hanno fatto qualche ammissione o si sono rifiutati di rispondere. Ma la giustizia ha trovato elementi sufficienti per il processo di revisione e per questa assoluzione che, inevitabilmente, dovrebbe aprire la strada a un congruo risarcimento per gli imputati. Anche per gli altri due condannati, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, fuggiti all’estero prima che la condanna diventasse esecutiva, ci sarà adesso la revisione. La notte del 27 Gennaio di quell’anno Carmine Apuzzo (19 anni) e l’appuntato Salvatore Falcetta, due militari dell’Arma, furono trucidati da alcuni uomini che avevano fatto irruzione nella piccola caserma di Alcamo Marina. L’attacco suscitò ovviamente forte impressione in Sicilia e in tutta Italia. Si puntò sulla pista politica e finirono nel mirino delle indagini alcuni giovani di sinistra. Pochi giorni dopo venne fermato un giovane alcamese, Giuseppe Vesco, trovato in possesso di una pistola in dotazione ai carabinieri. La sua casa venne perquisita e saltò fuori anche l’arma utilizzata per il delitto. Il giovane, però, si dichiarò estraneo ai fatti affermando soltanto che aveva avuto il compito di consegnare delle armi. In seguito alle pressioni dei carabinieri, Giuseppe Vesco cambiò rapidamente la sua versione: condusse gli inquirenti al luogo in cui erano conservati gli indumenti e gli effetti personali dei due agenti uccisi (in una stalla di proprietà di Giovanni Mandalà, un bottaio di Partinico), dichiarò di aver fatto parte del commando che aveva fatto irruzione nella casermetta e fece il nome dei suoi tre complici: Gulotta, Ferrantelli e Santangelo. Dopo poco tempo Vesco ritrattò tutto e dichiarò che quanto da lui affermato era stato ottenuto in seguito di terribili torture. Nelle sue lettere dal carcere San Giuliano di Trapani descrive minuziosamente il comportamento dei carabinieri e come erano state estorte le confessioni dei fermati. Ma pochi giorni prima di essere nuovamente ascoltato dagli inquirenti, venne trovato impiccato nella sua cella, con una corda legata alle grate della finestra, cosa resa abbastanza difficile dal fatto che a Vesco era stata amputata una mano a causa di un incidente. E proprio a questa vicenda si legano le confessioni del pentito Vincenzo Calcara, che lascia intravedere una verità fino ad ora soltanto accennata, ma resa più concreta anche da alcune rivelazioni in cui si attesta una collaborazione tra mafia e Stato. Calcara avrebbe affermato che gli venne intimato di lasciare da solo in cella Giuseppe Vesco e che lo stesso venne ucciso da un mafioso aiutato da due guardie carcerarie. Anche quanto affermato dal pentito Peppe Ferro libera i quattro dalle gravi accuse: “Li ho conosciuti in carcere quei ragazzi arrestati... Erano solamente delle vittime... pensavamo che era una cosa dei carabinieri, che fosse qualcosa di qualche servizio segreto”. Dopo la chiamata di correità di Vesco, Giuseppe Gulotta fu arrestato e massacrato di botte per una notte intera. La mattina, dopo i calci, i pugni, le pistole puntate alla tempia, i colpi ai genitali e le bevute di acqua salata, avrebbe confessato qualunque cosa e firmò un documento in cui affermava di aver partecipato all’attacco alla caserma. Il giorno dopo, davanti al procuratore, Gulotta ritrattò tutto e provò a spiegare quello che gli era successo. Non venne mai creduto, neanche al processo che, nel 1990 lo condannò in via definitiva all’ergastolo. Poi, nel 2007, la confessione di Olino e la revisione chiesta e ottenuta dal suo avvocato Salvatore Lauria. Oggi l’assoluzione. Ma Giuseppe Gulotta ha trascorso gran parte della sua vita in carcere. Durante un breve periodo di soggiorno si è sposato con la donna che lo ha sempre “protetto” e che gli ha dato un figlio. Adesso, completamente libero, andrà a vivere a Certaldo, in Toscana, dove, da quando è in semilibertà, fa il muratore. “Sono felice di essere stato riconosciuto finalmente innocente. Ma chi potrà mai farmi riavere la gioventù che ho passato in carcere, chi potrà mai darmi quegli anni che ho perduto senza potere crescere mio figlio?”. Giustizia: torturatori in cella… anzi no di Susanna Marietti Il Manifesto, 14 febbraio 2012 Cosa sarà accaduto nel frattempo, ci chiedevamo qualche giorno fa su queste stesse colonne? I due poli della distanza temporale erano quello in cui un giudice di Asti fissava udienze una dopo l’altra con l’evidente scopo di evitare una prescrizione e quello in cui lo stesso giudice mandava assolti tutti gli imputati. Il processo vedeva sotto accusa cinque agenti di polizia penitenziaria per violenze nei confronti di due detenuti avvenute nel carcere astigiano. Le assoluzioni hanno fatto seguito alla derubricazione del reato: non maltrattamenti aggravati bensì abuso di autorità per due degli imputati. E qui si superavano i tempi della prescrizione. Non maltrattamenti aggravati bensì lesioni lievi per altri due (il quinto è stato assolto per non aver commesso il fatto). E qui il processo andava interamente all’aria perché il reato è perseguibile solo su querela di parte, nel caso in questione mai avvenuta. Cosa sarà accaduto dunque nel frattempo? A pensare male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre, diceva uno che di queste faccende se ne intendeva. Questa volta tuttavia, ora che le motivazioni della sentenza sono state rese note, si apre la possibilità di un dubbio. Forse la scelta del giudice Riccardo Crucioli - che ovviamente non gradiamo nel fatto di mandare assolte persone che hanno usato violenze feroci e sistematiche su chi era sottoposto alla loro cura e custodia - si può intendere altrimenti che come la semplice copertura di malefatte. Le motivazioni della sentenza evidenziano un approccio formalistico che si poteva facilmente evitare interpretando le norme in maniera coerente con la gravità degli accadimenti nel carcere astigiano. Ma forse il giudice ha ritenuto più utile alla causa dei diritti umani un verdetto di assoluzione costruito rigidamente in punta di diritto piuttosto che una condanna a qualche anno di carcere altrimenti raggiunta. Questa sentenza ha qualcosa di epocale. Nelle sue ottanta pagine racconta un sistema di brutalità - detenuti appesi a cardini per i lacci delle scarpe, detenuti cui viene fatto lo scalpo, detenuti privati del sonno e del cibo, detenuti picchiati ripetutamente nel sonno - che è emerso dal dibattimento “al di là di ogni ragionevole dubbio”. E poi manda tutti assolti. Incredibile. Tre cose eccezionali fa il giudice estensore: 1. Cita per esteso la definizione di tortura scelta dalle Nazioni unite, per ricordare come l’Italia sia inadempiente di fronte al mondo nel non aver ancora introdotto questo specifico reato nel proprio codice penale; 2. Racconta in maniera puntuale un sistema di violenze e intimidazioni che era, appunto, sistematico, strutturato, organizzato, tollerato. Non singole mele marce, bensì “era possibile per gli agenti porre in essere tali comportamenti poiché si era creato un sistema di connivenza con molti agenti della Polizia Penitenziaria ed anche con molti dirigenti”. La direzione, varie volte citata, non è estranea a questa “prassi generalizzata di maltrattamenti”. Mai era stato detto così chiaramente: se in una istituzione chiusa quale è un carcere si usa sistematicamente la violenza - e in varie carceri la si usa - le responsabilità non possono essere individuali, poiché il sistema non reggerebbe senza l’omertà anche di chi non vi partecipa direttamente; 3. E qui arriva la conclusione di una sentenza che ci può apparire non da leguleio ma da colui che intende lanciare un messaggio attraverso l’utilizzo anche cavilloso delle norme: il giudice, dopo aver fatto notare come gli episodi ricostruiti fin lì si attaglino perfettamente alla definizione Onu della tortura, dimostra puntualmente come invece il maltrattamento aggravato di cui al capo di imputazione non possa rispondere di quei fatti. Non avendo a disposizione il reato di tortura, il giudice deve cercare altrove. E le uniche possibilità offerte dal nostro codice sono quelle che comportano le due modalità di assoluzione sopra menzionate. L’Italia, richiamata in sede internazionale sulla mancata applicazione della Convenzione Contro la Tortura, si è spesso difesa affermando che l’insieme delle fattispecie di reato previste nel nostro ordinamento sono di per sé sufficienti a coprire ogni ipotesi di tortura, senza necessità di introdurre un reato specifico al proposito. Quel giudice oggi non suggerisce, bensì dimostra, che le cose non stanno così. Essendo la realtà un sottoinsieme della possibilità, quel giudice ci indica degli accadimenti possibili in maniera incontrovertibile (in quanto accadimenti avvenuti nella realtà) per descrivere i quali la definizione di tortura si dimostra perfettamente adatta, ma che tuttavia sono rappresentati nel codice penale italiano da fattispecie di reato tanto lievi da prevedere, una di esse, addirittura la querela di parte. Le ottanta pagine firmate dal dottor Riccardo Crucioli possono, così lette, costituire una pietra miliare della giurisprudenza. Purtroppo - e qui a pensar male ci azzeccheremo sicuramente - quasi nessuno le considererà. Giustizia: la Uil scrive al ministro Paola Severino “nelle carceri detenuti e personale al gelo” Adnkronos, 14 febbraio 2012 “In queste giornate connotate dall’eccezionale ondata di freddo, si fa più urgente la riflessione sulle difficoltà incontrate per garantire ai penitenziari una climatizzazione idonea”. È quanto si legge in una nota della Uil inviata al Ministro della Giustizia Paola Severino. “Quella del riscaldamento degli ambienti di detenzione e dei posti di lavoro in ambito penitenziario - prosegue la nota - è una questione rimasta, purtroppo, irrisolta. Tra l’altro i recenti casi di ipotermia diagnosticati ad alcuni detenuti, evidenziano quanto sia necessario intervenire presto e con razionale efficienza”. “È evidente che questa situazione incide sulla salute di coloro che, a vario titolo, sono costretti a permanere in tali istituti - dichiara la Uil - situazione che, inoltre, arreca oneri aggiuntivi a carico dello Stato. Noi riteniamo che i decessi per “cause naturali” di queste ultime ore avvenuti a Campobasso e Bologna possano avere come concause anche le avverse condizioni meteo e l’impossibilità di garantire un idoneo riscaldamento degli ambienti detentivi. Il diritto alla salute rientra tra quelli fondamentali ai fini di restituire dignità e civiltà ai detenuti”. La Uil esorta, inoltre, ad una “revisione della norma che prevede l’omologa delle “case di pena” alla abitazioni private in materia di orari di attivazione degli impianti di riscaldamento, là dove le condizioni e gli orari di lavoro dei penitenziari sono del tutto differenti”. Tale normativa, secondo la Uil, “andrebbe assimilata a quella di ospedali, case di cure ecc., per una gestione diversificata di esigenze comprensibilmente diverse”. Lazio: nelle carceri è emergenza sanitaria, il Garante Marroni scrive lettera di protesta Dire, 14 febbraio 2012 Il sovraffollamento, le celle piccole e anguste e i pochi agenti a disposizione non sono di certo gli unici problemi per i detenuti delle carceri del Lazio. Se ci si ammala in cella le conseguenze possono essere terribili: mesi di attesa anche solo per avere un esame specialistico. La denuncia arriva dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che ha scritto una lettera di denuncia al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Maria Claudia di Palo, al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma Giovanni Tamburino e all’Osservatorio regionale sulla sanità penitenziaria. “Mesi di attesa per un esame diagnostico che, poi, salta, per mancanza degli agenti necessari a scortare il detenuto malato dal carcere all’ospedale. Sono ormai decine, in tutto il Lazio, i casi di visite ed esami specialistici prenotati da reclusi con patologie di varia gravità e rinviati per la mancanza di quelle che, in gergo tecnico, vengono chiamate “traduzioni”, spiega Marroni aggiungendo che “rinvii di visite e di esami - a volte anche cruciali per la definizione del quadro clinico dei pazienti detenuti - sono ormai all’ordine del giorno in quasi tutte le strutture carcerarie della Regione: da Rebibbia Femminile a Regina Coeli, da Latina a Cassino”. “Il problema delle mancate traduzioni - si legge nella lettera di Marroni - è ben conosciuto e da me già segnalato alle Istituzioni. Pur essendo consapevole della cronica insufficienza degli organici della polizia penitenziaria, anche in rapporto all’attuale situazione di sovraffollamento, non mi è possibile non osservare che il fondamentale diritto alla salute di tutti i cittadini, compresi quelli detenuti, rischia di non essere garantito in mancanza degli indispensabili percorsi terapeutici e diagnostici esterni agli Istituti penitenziari. Invito le SS.LL.,, per quanto di competenza, a definire modalità e tempistiche e impartire le opportune disposizioni finalizzate alla soluzione di questa importante criticità sistemica”. Roma: a Regina Colei 2 decessi in 10 giorni; interrogazione Radicali “è emergenza umanitaria” Corriere della Sera, 14 febbraio 2012 Il caso Regina Coeli - con i suoi risvolti drammatici legati al sovraffollamento, alla mancanza di 140 guardie, alle celle con i vetri rotti, l’acqua gelata, il riscaldamento insufficiente - torna in Parlamento. É stata la radicale Rita Bernardini, che già lo scorso Natale aveva visitato il carcere di Trastevere con Marco Pannella e alcuni deputati del Pd, a rilanciare ieri la battaglia per la chiusura della prigione più famosa e discussa d’Italia. Un’iniziativa legata all’intervista al Corriere del direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani, che ha posto l’accento sulle carenze strutturali e di personale, e all’allarme suscitato dai due recenti decessi. Dieci giorni prima del trentenne Tiziano De Paola, trovato morto l’11 febbraio in una cella della IV sezione a causa di un’overdose (la droga sarebbe filtrata dalla sala colloqui), il 30 gennaio nella VI sezione era infatti stato stroncato da un infarto Massimo Loggello, detto “Momo”, 46 anni. La notizia era passata in sordina: di recente l’uomo, in carcere da 15 mesi per spaccio di stupefacenti, aveva fatto le analisi per togliere una ciste sotto l’ascella. “Non erano emersi problemi”, raccontano i familiari, nonostante l’autopsia abbia chiarito che il cuore era molto affaticato. É sul ritardo dei soccorsi e l’assoluta mancanza di informazioni, comunque, che i Loggello non si danno pace. “Il medico, addirittura, non sapeva usare il defibrillatore”, si dispera il fratello gemello, che per domani ha organizzato una manifestazione davanti ai “tre scalini” di via della Lungara. E adesso è la radicale Rita Bernardini a chiedere “chiarezza a tutti i livelli su questa che è ormai un’emergenza umanitaria: la situazione di Regina Coeli è insostenibile, va chiuso”. La deputata ieri mattina ha presentato un’interrogazione per chiedere al ministro della Giustizia, Paola Severino, “se non ritenga di disporre un’indagine amministrativa interna sulla morte di Tiziano De Paola” e “quali siano le informazioni in merito al decesso di Massimo Loggello, se siano in corso indagini della magistratura e/o accertamenti dell’amministrazione per individuare eventuali responsabilità”. Rita Bernardini conclude con altre due domande: “Quanto sono costate alle casse dello Stato le ristrutturazioni eseguite all’interno di Regina Coeli? É mai stata valutata la chiusura e la costruzione di un nuovo istituto?”. La proposta dei Radicali è di vendere il complesso carcerario. “Con i soldi ricavati si potrebbe trovare una alternativa più che valida a Regina Coeli”. Magari trasformando l’antico convento trasteverino delle mantellate, come propose tempo fa il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, in un grande polo culturale “sul modello del Beaobourg” parigino. Il direttore Mauro Mariani abbiamo aperto il carcere all’esterno, molte sezioni ristrutturate “Amò, me senti? Te vojo beneee!”. “Anch’io! Salutami er pupo...” “Che hai detto? Ripeti! Stava a passa ‘na macchina...” Trastevere senza il suo carcere? La terrazza del Gianicolo senza più le donne dei detenuti e le loro invocazioni d’amore gridate all’imbrunire, con le mani a imbuto sulla bocca, verso le antiche celle delle mantellate? A 48 ore dalla morte di Tiziano De Paola, il tossicodipendente trentenne ucciso da una overdose di droga in una cella della IV sezione, torna d’attualità l’ipotesi di smantellamento di Regina Coeli di cui si parla - a strappi - da almeno una ventina d’anni. E che periodicamente riemerge sull’onda di un’emergenza. n più esplicito, nel 1994, fu l’allora ministro della Sanità Raffaele Costa: “Regina Coeli? Una macchia nera da cancellare”. Grandi titoli sui giornali. Polemiche. E lo stop dei sindacati. La chiusura, poi, fu ventilata in vista del Giubileo. Idem. Sembrò decollare nell’estate del 2004, dopo la sommossa di 158 detenuti finalizzata proprio a rendere inagibile la prigione, in modo da trasferirla. Anche lì, nulla di fatto. Infine, il 21 marzo 2008, in campagna elettorale, toccò all’attuale sindaco: “Il carcere è molto antico. Per quanto siano state fatte tante opere di manutenzione, secondo me Regina Coeli va chiuso -disse Gianni Alemanno -. C’è una struttura di fondo che non può essere modificata. Occorre costruirne uno nuovo”. Parole seguite anch’esse dall’oblio. Direttore, serviva un’altra morte in cella per tornare a parlare della soppressione di Regina Coeli? Mauro Mariani, da 12 anni responsabile della casa circondariale (“una missione, mi creda”), scrolla la testa. “Non la mettiamo così... Diciamo che l’istituto ha certamente i suoi problemi. Le aree trattamentali sono limitate, consideriamo che come carcere Regina Coeli nasce nel 1880, quando...”. Il garante dei detenuti, Angiolo Marroni, è stato esplicito: va chiuso, subito. Perché la Costituzione parla di rieducazione e pena, mentre a Regina Coeli c’è solo la pena... “Ci stavo arrivando. A fine 800 la detenzione era essenzialmente punitiva, contenitiva, e la struttura era orientata di conseguenza. In questo lungo percorso fino a oggi gli spazi ce li siamo ricavati con le unghie e con i denti. Pensi che i campi di calcio non sono mica rettangolari, ma trapezoidali...”. Però... mai un progetto concreto di trasferimento? “Veramente qualche anno fa stavano cercando di individuare una zona a nord, tra Bracciano e Cesano, per costruire un nuovo penitenziario dove trasferire i nostri detenuti. Non so se l’idea ha avuto un seguito”. E comunque una notizia. Evidentemente si tratta del lavoro preparatorio della commissione istituita presso il ministero della Giustizia, alla quale, lo spiegò lo stesso Alemanno nel 2010, partecipa anche un rappresentante del Comune. Direttore, ma a lei non è arrivato nessun atto concreto sull’ipotetico trasloco? “Neanche una carta. Seppure è esistito uno studio informale, io non ne ho contezza...”. Domanda facile: quali sono le emergenze di Regina Coeli? E risposta immediata: “Sovraffollamento, carenza di personale, scarse risorse. Ma è un problema generale, siamo nella media di tutte le carceri italiane... Si sa che a Regina Coeli ci sono 1.200 detenuti, che dovrebbero essere poco più di 700 e che il 30% sono tossicodipendenti. É questione nota che mancano agenti penitenziari: oggi sono 490, quando la pianta organica ne prevede 630”. Per non parlare della carenza di psicologi. “Pochi anche quelli, ma il nodo maggiore è il numero limitato di ore per l’osservazione e il trattamento: una decina al mese. E d’altronde è risaputo anche l’effetto porte girevoli...”. Sliding doors a Regina Coeli? Ossia? “Sì, insomma, il problema degli arrivi continui e degli ingressi brevi, di pochi giorni... L’alta mobilità complica il lavoro. Consideri che i condannati definitivi sono solo 130, e che Regina Coeli è davvero una realtà complessa: tantissimi detenuti sono molto poveri, in gravi difficoltà sociali, senza contatti. Il 50-60% stranieri...”. Ma negli ultimi 12 anni, con lei al vertice, cosa è cambiato? “Intanto, la struttura si è aperta, mentre quando arrivai era un mondo chiuso. Qui adesso entra moltissimo volontariato per l’assistenza. E poi ci sono le attività, la biblioteca, il teatro, le iniziative di approccio psicologico e relazionale per i sex offender, il lavoro esterno di due detenuti che, per un carcere giudiziario, è una bella conquista...”. Il tutto in un contesto degradato degno di un penitenziario di Bangkok. “Guardi che abbiamo ristrutturato l’8% per cento del complesso, e non è poco... Posso portare le foto, ha presente com’era? Prima, seconda, quarta e quinta sezione sono state ristrutturate, nella sesta iniziamo questo mese, a conti fatti manca solo l’ottava...”. Marco Pannella però, in visita a Regina Coeli lo scorso Natale con Rita Bernardini, parlò di docce non funzionanti, acqua fredda, vetri rotti, mancanza del riscaldamento. “Sì, la parte idraulica ha qualche problema. Le reti sono vecchie e in effetti necessitano di manutenzione continua. Il mio, le assicuro, è davvero un mestiere del fare”. Campobasso: sei indagati per morte detenuto dopo ricovero in ospedale Dire, 14 febbraio 2012 Sei persone sono state iscritte nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla morte del detenuto del carcere di Campobasso deceduto la settimana scorsa dopo essere stato ricoverato in ospedale: per la procura si tratta di un atto dovuto, mentre si attende di conoscere l’esito dell’autopsia disposta subito dopo la morte. L’uomo lavorava nella lavanderia del penitenziario di via Cavour e da tempo non era in buone condizioni di salute: più volte aveva lamentato dolori diffusi ed era stato trasportato in ospedale per accertamenti. L’ultimo viaggio proprio la settimana scorsa: era stato di nuovo portato al Cardarelli dove i medici avevano deciso di operarlo: troppo tardi visto che è morto prima di entrare in sala operatoria. Subito dopo il decesso la decisione della procura di aprire una inchiesta per accertare eventuali responsabilità di quanto accaduto. Si cerca di capire, ad esempio, se le condizioni di salute del detenuto fossero compatibili con il carcere e se ci sia stata qualche negligenza nell’affrontare il caso da parte delle autorità competenti. Lecce: celle sovraffollate; Tribunale di Sorveglianza condanna il Dap a risarcire quattro detenuti Ansa, 14 febbraio 2012 Il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha condannato l’amministrazione penitenziaria del carcere di Borgo San Nicola a risarcire i danni “per la lesione della dignità e dei diritti” a quattro detenuti: tre italiani e uno straniero, che avevano presentato ricorso. Non erano i soli ad aver denunciato a quanto pare il “trattamento disumano e degradante”. Erano giunte una quarantina di ricorsi da parte di altri detenuti, i quali hanno dichiarato di essere stati “costretti a stare con una sola finestra, un bagno senza acqua calda e riscaldamenti accesi per una sola ora al giorno”. Questa del carcere pugliese non altro che una fotografia emblematica del sovraffollato delle carceri italiane: celle appena superiori agli 11 metri quadrati, agibili per una persona, dove vivono tre detenuti che possono contare ciascuno su uno spazio calpestabile di appena un metro e mezzo, mentre, secondo gli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura, sarebbero 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. Reggio Emilia: chiusura dell’Opg… c’è chi ci crede e chi no Dire, 14 febbraio 2012 La chiusura degli Opg è una prospettiva troppo lontana, una promessa delle tante che gli internati si sono visti fare. “È come se gli dicessero in futuro starete meglio”, spiega Davide Orlandini, redattore di “Nuovo Effatà”, il giornale che ormai da cinque numeri tenta di raccontare la realtà dell’Opg e di dare voce a chi ci vive. “Noi entriamo all’Opg una volta ogni due settimane”, racconta Orlandini: “Fra i detenuti la notizia della chiusura è circolata, ma in questo momento è molto più sentito il problema del freddo”. Due internati infatti sono stati ricoverati nei giorni scorsi per ipotermia, e il gelo rappresenta in questo momento la preoccupazione principale. Da qui alla possibile chiusura, del resto, c’è di mezzo almeno un altro inverno. Chi invece manifesta entusiasmo sono i familiari degli internati. Alcuni hanno anche scritto sul sito e sull’ultimo numero di “Nuovo Effatà”. “Ho varcato i cancelli di Reggio Emilia e, vi assicuro, non lo auguro a nessuno”, scrive una mamma. “Ora finalmente mio figlio è in una comunità dove ha la possibilità di essere aiutato e curato nel modo giusto e di riprendere in mano la sua vita. Certo il percorso è stato doloroso (molto doloroso) però ora abbiamo la speranza che qualcuno si prenda veramente cura di nostro figlio”. Reggio Emilia, però, non sembra preoccuparsi troppo del futuro del suo Opg. “Quando gli internati escono per portar fuori i loro spettacoli teatrali, spesso si fermano a parlare con il pubblico”, racconta Orlandini, “ma la maggior parte scopre solo in quel momento che a Reggio Emilia c’è un Opg”. Un progetto per avviare un dialogo fra la struttura e la città però è appena partito, si chiama “Parole in libertà” e si svolge proprio sulle pagine di “Nuovo Effatà”. “Ci hanno contattato per un progetto di avvicinamento alla situazione dell’Opg”, spiega Orlandini, “i ragazzi scrivono lettere, racconti, poesie, e gli internati rispondono”. Un’iniziativa che il gruppo di detenuti-ricoverati che collaborano con il giornale (una decina circa) ha accolto con entusiasmo. “Per queste persone”, conclude Orlandini, “già il fatto che qualcuno si interessi a loro è una novità”. Emergenza freddo Due internati sono stati ricoverati nei giorni scorsi per ipotermia: probabilmente avevano lasciato la finestra aperta. L’assessore alle Politiche sociali Matteo Sassi: “È la conferma che non è un luogo di cura. Ora bisogna pensare a percorsi di uscita” Due internati dell’Opg di Reggio Emilia ricoverati per ipotermia. Così le temperature rigide di questi giorni hanno colpito anche l’ospedale psichiatrico. Due uomini intorno ai 50 anni sono finiti nei giorni scorsi all’ospedale Santa Maria Nuova, probabilmente a causa di una finestra lasciata aperta. Uno è stato subito dimesso, mentre l’altro è stato trattenuto in rianimazione nel reparto di rianimazione, anche se non in pericolo di vita. “È la conferma che l’Opg non è un luogo adatto alla cura delle persone né al rispetto della dignità umana”, commenta Matteo Sassi, assessore alle Politiche sociali del comune di Reggio Emilia. Sassi si era già detto favorevole alla chiusura dell’Opg, che a Reggio Emilia conta oltre 300 detenuti/pazienti. Ora anche il governo sembra intenzionato a procedere, con l’intenzione di arrivarci entro marzo 2013. Una decisione che l’assessore saluta “con grande speranza. Ora però bisogna costruire un’alternativa a queste strutture, altrimenti tra un anno ci ritroveremo ancora a parlare della chiusura, senza però poterla attuare”. Serve in altre parole un percorso di uscita per gli internati dell’Opg, che superi “la logica della concentrazione in favore di quella della territorialità”. Stato, regioni ed enti locali dovrebbero dunque “cominciare a dotarsi di piccole strutture”, spiega l’assessore, adatte a ospitare gli internati. Solo così, secondo Sassi, si arriverà a una chiusura definitiva degli Opg. Pistoia: tra Provincia e carcere un accordo tecnico per servizi rivolti alla popolazione detenuta met.provincia.fi.it, 14 febbraio 2012 La Provincia e la Casa Circondariale di Pistoia sottoscrivono un Accordo tecnico per servizi rivolti alla popolazione carceraria. Martedì 14 Febbraio in Provincia l’incontro con enti e associazioni del territorio: una mattinata dedicata alle politiche e ai servizi per la popolazione carceraria. La Provincia di Pistoia ha convocato questa mattina, martedì 14 febbraio, nei locali di Via Tripoli 19, presso il Servizio Politiche attive del lavoro e Servizi per l’impiego, un tavolo sulle politiche carcerarie, invitando le istituzioni, gli enti e le associazioni del territorio pistoiese interessate. L’incontro è stata anche l’occasione per la sottoscrizione di uno specifico Accordo Tecnico fra la Provincia e la Casa Circondariale di S. Caterina in Brana, con lo scopo di agevolare la popolazione carceraria nello svolgimento delle pratiche e nell’accesso a servizi di orientamento e formazione. Obbiettivi e contenuti del documento insieme alle risultanze del tavolo sono stati presentati alla fine della mattinata nel corso di una conferenza stampa. Erano presenti il Vicepresidente e Assessore alle Politiche del Lavoro, Roberto Fabio Cappellini, l’Assessore alla Formazione Professionale, Paolo Magnanensi, l’Assessore alle Pari Opportunità, Chiara Innocenti, la Dirigente del Servizio Politiche attive del Lavoro e Politiche Sociali, Anna Pesce, e il Direttore del carcere di Pistoia, Francesco Ruello. A fronte delle difficili problematiche che riguardano la condizione dei detenuti e degli stessi addetti ai lavori e in conseguenza degli appelli lanciati da più parti per denunciare la condizione critica dell’istituto pistoiese, fattore comune anche alla maggior parte degli istituti penitenziari, l’iniziativa nasce dalla rinnovata volontà della Provincia e della Casa Circondariale di proseguire e concretizzare un percorso volto al miglioramento e all’incremento dei servizi per la popolazione carceraria in materia di formazione e lavoro, con l’obiettivo di favorire il concreto reinserimento dei detenuti nella società civile. In un contesto caratterizzato da grandi difficoltà occupazionali e dall’ estrema competitività dell’attuale mercato del lavoro, sono soprattutto le categorie ai margini, detenuti ed ex detenuti in primis, a rimanere escluse. La spendibilità e l’appetibilità della forza lavoro offerta dai detenuti, infatti, sono minime, o addirittura nulle, se i soggetti che dovrebbero essere reinseriti nel circuito produttivo non possiedono una preparazione professionale adeguata. A tale scopo, la Provincia di Pistoia, dal 1994 ha dedicato periodicamente risorse e strumenti per promuovere lo svolgimento di attività formative a favore della Casa circondariale di Pistoia, con l’intento di riqualificare le persone in regime di detenzione, sia attraverso corsi professionalizzanti (imbianchino, elettricista, ecc.), sia attraverso il recupero di competenze di base e trasversali (corsi di informatica). Nel corso degli anni la Provincia ha mantenuto costante la volontà di proseguire la collaborazione a favore della popolazione carceraria, così come ribadito anche negli ultimi documenti programmatici in materia, ritenendo indispensabile metter in campo interventi e azioni concrete per la rieducazione e il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti. La piena disponibilità e la collaborazione del Direttore della Casa Circondariale di Pistoia, insieme con al pieno coinvolgimento delle istituzioni e delle associazioni del territorio, hanno consentito di organizzare un percorso in grado, da un lato, di definire un’attenta e continua analisi dei fabbisogni formativi della popolazione carceraria, e dall’altro di stabilire una serie di strumenti idonei ad agevolare le procedure burocratiche, l’erogazione di politiche attive e l’inserimento lavorativo delle persone in regime di detenzione. “I percorsi formativi e lavorativi offrono ai detenuti ed ex detenuti l’opportunità di un nuovo inizio nel rapporto con la comunità - ha sottolineato l’assessore alle Politiche del lavoro della Provincia di Pistoia, Roberto Fabio Cappellini - In questi ultimi anni il problema delle carceri italiane, le condizioni disumane nelle quali versa la popolazione carceraria e insieme le difficoltà lamentate dagli operatori e dal personale all’interno delle strutture, sono temi esplosi in tutta la loro drammatica realtà e per i quali occorre una urgente risoluzione. Anche nel nostro carcere, purtroppo, si sono verificati episodi estremi, che nascono da un forte disagio e disperazione e che non possono essere dimenticati, dopo il clamore suscitato nel primo momento”. “Occorre una forte presa di responsabilità da parte di tutti e credo che in questo contesto le istituzioni devono essere in prima fila, insieme anche alle parti sociali, alle associazioni e all’intera società civile, per mantenere alta l’attenzione e mettere in campo azioni concrete - ha aggiunto l’Assessore alla Formazione professionale, Paolo Magnanensi - Spesso l’opinione pubblica dimentica i fini rieducativi delle pene e si alza un muro fatto di silenzio e di indifferenza che impedisce di discutere seriamente su come accompagnare le persone recluse nel difficile rientro in società. Le istituzioni hanno il compito di impedire lo sviluppo di un clima simile, di emarginazione e intolleranza, e anzi operare, nell’ambito delle loro competenze per il sostegno e lo sviluppo di interventi di rieducazione e inserimento. Con la sottoscrizione di questo Accordo la Provincia ribadisce la propria volontà politica ed istituzionale di proseguire nell’impegno profuso, per progettare e attuare percorsi di formazione e di inserimento al lavoro idonei e prevedere investimenti e risorse per questi scopi”. Roma: arrestato uno dei due evasi da Regina Coeli, era a Zagarolo, in un casolare abbandonato Agi, 14 febbraio 2012 È stato catturato uno dei due reclusi che lo scorso 14 gennaio erano riusciti a evadere dal cercere romano di Regina Coeli. Gli agenti del Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, coadiuvati dal personale di Regina Coeli, hanno catturato il romeno Stefan Cusnir, 25enne, evaso con il compatriota Altin Hoxha un mese fa. Cusnir è stato catturato dagli uomini della Polizia Penitenziaria a Zagarolo (Rm). Il romeno è stato sorpreso insieme ad altri due individui, tuttora in corso di identificazione, all’interno di un’abitazione diroccata. All’atto dell’arresto il personale del Nic ha provveduto al sequestro di un’auto di grossa cilindrata. A catturare l’evaso sono stati gli agenti del nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, coadiuvati dal personale di Regina Coeli, che hanno preso Stefan Cusnir, di nazionalità romena, che il 14 gennaio scorso, insieme al compagno di cella, l’albanese Hoxha Altin, era evaso dal carcere romano. Cusnir è stato catturato dagli uomini della polizia penitenziaria a Zagarolo, in provincia di Roma. Il romeno è stato sorpreso insieme ad altri due individui, tuttora in corso di identificazione, all’interno di un’abitazione diroccata. Il latitante era all’interno di una abitazione abbandonata ed è stato catturato dopo un breve inseguimento. Durante l’operazione sono stati arrestati anche Gabriele Siciliano ed Emanuele Mangione, per favoreggiamento. All’atto dell’arresto il personale del Nic ha provveduto al sequestro di un’auto di grossa cilindrata e di materiale “di probabile provenienza delittuosa”. L’ attività di indagine, si spiega, iniziata subito dopo l’evasione, si è subito rivelata molto complessa, con attività di osservazione, controllo e pedinamento in tutto il territorio nazionale, nonché di attività tecniche, che negli ultimi giorni hanno condotto nella zona del comune Prenestino. L’attività del nucleo investigativo centrale diretta alla ricerca di latitanti ha condotto alla cattura di 17 evasi dagli istituti penitenziari negli ultimi cinque anni. Frosinone: cena di solidarietà, Caritas di Cassino raccoglie circa 3.600 euro per famiglie detenuti Dire, 14 febbraio 2012 La Caritas Diocesana di Montecassino rende noto che il ricavato della Cena di solidarietà che fu realizzata nella Casa Circondariale con grande partecipazione delle istituzioni e della cittadinanza lo scorso 13 dicembre, ammonta a € 3.585,68. Tali fondi, come era già stato dichiarato, vengono utilizzati dalla Caritas proprio a favore dei detenuti e delle loro famiglie, per dar loro un concreto sostegno nelle difficoltà. La Caritas Diocesana desidera ancora esprimere la propria gratitudine verso le autorità e le figure istituzionali intervenute numerose, e verso tutti coloro che con generosità e grande sensibilità hanno contribuito al buon esito dell’iniziativa, includendo anche chi, non potendo essere materialmente presente alla cena quella sera, ha partecipato col cuore ed ha comunque sostenuto l’iniziativa. La Caritas desidera inoltre ricordare esplicitamente e ringraziare in maniera speciale chi ha aiutato concretamente nella realizzazione della cena: l’Associazione Cuochi del Golfo e Basso Lazio, l’azienda Telaro, il Forno di Sant’Angelo in Theodice, il Servizio Catering Marandola - Di Nallo, la Caritas Parrocchiale di Sant’Ambrogio sul Garigliano, l’Istituto Alberghiero e infine “Presenza xna” che ha dato la possibilità di conoscere l’Associazione Cuochi. La Caritas diocesana di Montecassino invita coloro che volessero continuare a sostenere le sue iniziative a favore dei più svantaggiati a farlo attraverso i seguenti contatti telefonici e recapiti: Caritas via S. Germano 1 - Cassino (aperta dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00), tel. 0776 / 311311, cell. 338 1104901, cell. 347 9868595. Reggio Emilia: teatro-carcere; sul palco l’Opg diventa il “canile giudiziario” Il Resto del Carlino, 14 febbraio 2012 Persone irreparabilmente violente e impossibili da reinserire nella vita civile. È il pregiudizio che circonda chi vive negli ospedali psichiatrici giudiziari. Un luogo comune che il linguaggio teatrale ha trasformato in metafora: gli interanti diventano pitbull, cani addestrati per combattere e poi rinchiusi o abbattuti, e l’Opg diventa un “canile giudiziario”. Così è nato “Pitbull”, lo spettacolo realizzato e messo in scena dagli internati dell’Opg di Reggio Emilia per la regia di Monica Franzoni e Riccardo Paterlini. “L’Opg ha bisogno di raccontare le sue storie, di parlare dello stigma a cui gli internati sono sottoposti e dell’attesa snervante delle dimissioni, un’attesa che a volte si conclude solo con il suicidio”, spiega il regista. “Pitbull” affronta il tema della violenza. Secondo Paterlini, “nelle storie dei ricoverati, la violenza inferta agli altri deriva spesso da una violenza subita che nasce dalla malattia incompresa. Nello spettacolo l’Opg emerge come un “canile giudiziario” in cui gli internati vengono confinati, mentre dovrebbero lavorare per la propria risalita e per il recupero di un equilibrio”. Non è la prima volta che il teatro entra nell’Opg di Reggio Emilia. Monica Franzoni, co-regista del nuovo spettacolo, ha iniziato a lavorare con gli internati già dieci anni fa. Insieme alla compagnia Teatro sociale Gualtieri ha costituito il Laboratorio Teatrale Opg a partire dall’esigenza di fare uscire le vicende personali di individui che avevano perso l’abitudine di parlare alla realtà esterna e a farsi sentire da essa. Raccontare però è necessario anche per i detenuti-pazienti dell’Opg, così negli ultimi tempi, il laboratorio ha risposto a questo bisogno realizzando spettacoli su vari aspetti della realtà degli ospedali psichiatrici giudiziari. Riccardo Paterlini, collaboratore di Monica Franzoni, parla dell’attività del laboratorio come “della costruzione ed espressione di un teatro di parola, di narrazioni personali che poi vengono portate in scena e rese pubbliche attraverso la gestualità dei corpi”. Se i pregiudizi vedono i detenuti dell’Opg come “irrecuperabili”, il regista è invece convinto che il recupero sia possibile e che il teatro sia uno dei modi per contribuirvi. “Il laboratorio teatrale”, dice, “è una delle poche finestre attraverso cui i detenuti possono raccontarsi e farsi ascoltare dal mondo di fuori. Per andare sul palco sono costretti ad abbattere ansie e paure, fanno un importante lavoro su se stessi che dà risultati nel contatto con gli altri”. Questo contatto è aiutato dai dibattiti con il pubblico che seguono ogni rappresentazione. Confronti in cui il tema del superamento degli Opg ritorna spesso. “L’annuncio della chiusura degli Opg rappresenta una rivoluzione e seguiamo questa fase di cambiamento con grande interesse”, dichiara Paterlini, augurandosi che il piano previsto dal governo per l’allestimento di strutture alternative sia adatto a gestire la dimissione di tutti gli internati. Secondo il regista, il processo di reinserimento è collegato ad un lavoro di prevenzione del disagio sociale che finora è mancato ma che spera possa iniziare proprio con la chiusura degli Opg. In attesa di realizzare un nuovo spettacolo che tratti esplicitamente di questa svolta, il Laboratorio Teatrale dell’Opg di Reggio Emilia ha intenzione di continuare la propria opera di dialogo mettendo in scena “Pitbull” per i ragazzi delle scuole. Napoli: radio; domani la trasmissione “Si gonfia la Rete” in diretta dal carcere di Poggioreale di Roberto Russo www.julienews.it, 14 febbraio 2012 Inconsueto appuntamento domani presso la Casa circondariale di Poggioreale, dove Radio Crc Targato Italia registrerà una puntata speciale della trasmissione sportiva di Raffaele Auriemma “Si Gonfia La Rete”. Pronto ad interagire con un pubblico in sala composto da detenuti, un parterre di uomini di calcio e firme del giornalismo, nonché la presenza del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che ha accolto l’invito con vivo interesse. Un’occasione per parlare di calcio, ma soprattutto per puntare i fari dell’attenzione su chi vive la difficile condizione della detenzione, regalando la possibilità di trascorrere una mattinata all’insegna della cultura della legalità. Un progetto ambizioso, la cui realizzazione rappresenta la volontà di contribuire, attraverso il dibattito sportivo, ad un percorso di reintegrazione sociale e di rieducazione al rispetto delle regole. Parteciperanno alla trasmissione il capo dei servizi sportivi de Il Mattino, Tony Iavarone; il responsabile dell’Ansa della Campania, Mario Zaccaria; le firme del Corriere dello Sport, Antonio Giordano e del Corriere del Mezzogiorno, Felice Naddeo; il capo dei servizi sportivi del Tgr Campania, Gianfranco Coppola; e due indimenticate bandiere del Napoli, come Beppe Bruscolotti e Pasquale Casale. Anche il Napoli ha plaudito all’organizzazione dell’evento, attraverso le parole del presidente Aurelio De Laurentiis rilasciate giovedì scorso a Radio Marte e anche con un omaggio particolare che sarà consegnato al direttore di Poggioreale. “Un evento unico per il quale - è scritto in una nota dell’emittente - Radio Crc e Raffaele Auriemma ringraziano il direttore della casa circondariale di Poggioreale, dott. Cosimo Giordano, e il Ministero di Giustizia”. Immigrazione: inchiesta sul Cie di Ponte Galeria… costa almeno 3 mln l’anno Redattore Sociale, 14 febbraio 2012 Rimane segreta la spesa complessiva per sicurezza e stipendi. Nell’infermeria tanti psicofarmaci, ma il direttore di Auxilium si difende: “È una leggenda”. Il direttore sanitario: “Diamo dosi pediatriche”. Quanto costa l’anno il Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria? Nessuno lo dice. Né l’ente gestore, la cooperativa Auxilium, nè la prefettura, nè la questura. Abbiamo provato a chiederlo e ci è stato risposto che i conti dobbiamo farli da soli. 41 euro a persona è il costo giornaliero per ogni detenuto che lo Stato paga in base alla convenzione con l’ente gestore. I 41 euro vanno moltiplicati per 200 che è la presenza media di detenuti: fa 8.200 euro al giorno. Moltiplicando ancora per 365 giorni dell’anno si arriva a quasi tre milioni di euro. Cui vanno aggiunti i costi del personale: 80 i membri dello staff. Senza contare i danni delle rivolte e i successivi lavori per riparare la struttura o per rendere la fuga ancora più difficile. Un’altra questione controversa riguarda le accuse nel corso degli anni di uso di psicofarmaci per sedare i reclusi più irrequieti. “Non possiamo acquistare nessun prodotto medico senza che ci venga rilasciato da una farmacia in base al prontuario della Asl Roma D - smentisce seccamente il direttore del Cie Giuseppe Di Sangiuliano - Nei casi particolari vengono assegnati da strutture esterne come il sert o in caso psichiatrico da aziende ospedaliere. Questa storia degli psicofarmaci è una leggenda, i tranquillanti non sapremmo nemmeno dove comprarli. In linea generale non esistono prescrizioni date da personale Auxilium, i farmaci particolari vengono prescritti da Asl Roma D. È tutto registrato. Le legge prevede il punto medico all’interno che deve prescrivere la visita e mandare l’ospite all’esterno, invece la nostra infermeria è all’avanguardia perché abbiamo una ventina tra infermieri e medici, abbiamo un medico chirurgo e la ginecologa anche se non è previsto. Tutte le visite specialistiche vengono fatte all’esterno”. Tuttavia, nell’armadietto dei farmaci all’interno dell’infermeria del Cie, c’è una sezione dedicata agli antipsicotici. Niente di strano per una medicheria. Dentro ci sono Tranquirit, Serenase, Largactil e Lorazepam. Serenase e Largactil sono farmaci neurolettici, psicofarmaci a forte azione sedativa sul sistema nervoso. Servono a tenere sotto controllo ad esempio allucinazioni, deliri, aggressività. Il Tranquirit è un ansiolitico. “Né somministriamo terapie pediatriche, 5 o 6 gocce” dice il dottor Maurizio Lopalco, direttore sanitario del Cie. Il Lorazepam è un sedativo, un ansiolitico molto forte. Fa parte della classe delle benzodiazepine. Si tratta di psicofarmaci a tutti gli effetti. Bulgaria: sciopero della fame nel carcere di Sofia contro la situazione detentiva Ansa, 14 febbraio 2012 Sciopero della fame contro i maltrattamenti - I detenuti della prigione centrale di Sofia, in Bulgaria, hanno iniziato una forte protesta contro la loro situazione nel carcere. Le condizioni di vita sono pessime e le guardie adottano un comportamento spesso violento nei confronti dei prigionieri. Così i detenuti hanno deciso di protestare in massa con uno sciopero della fame. Inchiesta approfondita sulle carceri bulgare - Lo ha reso noto il viceministro della giustizia, Plamen Gheorghiev, che ha sottolineato come sia escluso qualsiasi comportamento violento o di abuso da parte del personale della prigione di Sofia. Nonostante questo il viceministro ha indetto un’ inchiesta che definisce “molto approfondita” sulle carceri di tutto il Paese. In tutta la Bulgaria sono oltre 10 mila i detenuti nelle carceri locali e in molti hanno accusato abusi da parte delle guardie carcerarie. Pakistan: scandalo in tribunale, detenuti dei servizi segreti ridotti a scheletri umani Ansa, 14 febbraio 2012 Un gruppo di sette detenuti, tutti i deplorevoli condizioni di salute e abbigliamento, sono stati presentati ieri ad una sezione speciale della Corte suprema di Islamabad in un contesto che ha spinto il presidente della stessa Corte, Iftikhar Muhammad Chaudhry, a rimproverare platealmente i servizi di intelligence militari (Isi) che li avevano arrestati. Riferendo la vicenda, il quotidiano The News International descrive i prigionieri come “scheletri umani” sporchi e malvestiti che hanno suscitato “timore e pianto nei parenti”. “Uno di loro era claudicante, mentre un altro, giovane, sosteneva una borsa che raccoglieva la sua urina”. È la prima volta che i servizi di informazione dell’esercito sono chiamati a rendere conto in Pakistan del trattamento dei suoi prigionieri, e questo ha fatto scalpore nei media locali. La descrizione della scena fatta dal giornale è impietosa: “Uno di loro, Dr Niaz, ha perso 42 chili in carcere. Le pelli marroni dei detenuti sono diventate più scure e segnate da molteplici malattie. La loro orribile condizione è un ricordo del trattamento inumano ricevuto dai detenuti iracheni ad Abu Ghraib”. A quanto si è appreso, i sette facevano parte di un gruppo di undici persone arrestate nel 2007 e 2008 perché sospettate di terrorismo. Furono prosciolte nel 2010 ma nuovamente arrestate dall’Isi sulla base dell’Army Act. Quattro di esse sono morte durante la carcerazione. Il tribunale, aggiornando il processo al primo marzo, ha chiesto a governo e Isi di presentare tutta la documentazione esistente per ricostruire la storia di ciascun imputato.