Giustizia: sovraffollamento delle carceri, tra decenza e crudeltà di Carlo Rippa www.giornaledicalabria.it, 8 dicembre 2012 In Italia il problema delle carceri deve essere decisamente avviato a soluzione, se si vuole allontanare il pericolo che esso comprometta seriamente l’onorabilità dello Stato e la sua credibilità a livello internazionale. Le condizioni di vita all’interno dei penitenziari sono talmente deteriorate, da rendere improcrastinabile una seria e ampia riforma che, individuate le cause del problema, proceda con sollecitudine a studiarne la definitiva soluzione. Il Presidente Giorgio Napolitano ha espresso il desiderio che possano essere presto utilizzati atti di clemenza, come l’amnistia e l’indulto, nonché misure restrittive alternative alle carceri, al fine da ridurre sensibilmente il fenomeno del sovraffollamento dei penitenziari. Ma, a mio parere, il problema trattato dal Presidente merita maggiore approfondimento. Le sue più vere motivazioni risiedono nelle gravi e non più tollerabili disfunzioni del “pianeta giustizia”. Se è vero che il 40% della popolazione carceraria non è stata condannata in via definitiva e che il 20% aspetta il primo verdetto, è facile concludere che le cause principali del sovraffollamento delle carceri sono da individuare soprattutto nell’istituto della custodia cautelare e nei tempi, troppo lunghi, della giustizia italiana. Non basta, quindi, recuperare strutture non più utilizzate e costruire istituti nuovi, dimenticando peraltro che ci sono persone recluse in edifici vincolati dalla Sovrintendenza dei Beni Architettonici. Prima di costruire nuovi istituti sarebbe certamente più logico recuperare e restituire al godimento della collettività gli stabili costruiti nel 1700-1800 e inutilmente destinati a ridurre il tasso di sovrappopolazione di 140 a 100, che è tra i più alti d’Europa. Ma, insisto ancora, il problema è più complesso. Se i penitenziari italiani non sono sufficienti ad accogliere i detenuti, cresciuti del 50% negli ultimi dieci anni, la logica vuole che perlomeno ci si chieda se esista la possibilità di ridurre al minimo il numero delle persone da recludere che, al contrario, cresce continuamente. Sono convinto che detta possibilità esiste. È fondamentale, a tale fine, rivedere i criteri con i quali si definiscono i vari tipi di reato e le relative sanzioni. Per molti reati di scarsa rilevanza sociale, la detenzione in carcere appare palesemente sproporzionata e più opportuni risulterebbero, in tali casi, gli arresti domiciliari. Oltretutto è opportuno notare che i reati, in generale, procurano danni alla collettività, per cui risulta assolutamente ingiusto che la stessa collettività sopporti anche i costi conseguenti alla necessaria punizione del reo. Ancora, devono essere ridotti notevolmente i “tempi infiniti” della giustizia italiana che, dopo avere generato l’infelice istituto della custodia cautelare, rappresentano la principale causa del sovraffollamento dei penitenziari. Più che aprire nuovi istituti carcerari è indispensabile costruire nuovi Tribunali, dotarli di tutti i più moderni strumenti operativi ed incrementare sensibilmente l’organico dei magistrati e del personale di cancelleria e ausiliario. Più in generale, sarebbe certamente utile una seria rivisitazione dell’intera popolazione carceraria italiana, al fine di discernere fra le diverse tipologie delle persone detenute. Si scoprirà che alcuni reclusi sono affetti da gravi ed insanabili infermità mentali. Per dette persone la detenzione in un ambiente carcerario, peraltro igienicamente non idoneo, rappresenta una pura crudeltà e un grave pericolo per gli altri detenuti. La destinazione più logica e naturale per le persone in argomento è l’ospedale psichiatrico, adeguatamente attrezzato. Si scoprirà, inoltre, che la maggior parte delle persone detenute è in attesa di giudizio, oppure colpevole di reati non gravi e non pericolosi per la società. Dette persone, dopo avere attuato la revisione di alcune norme del codice penale, nonché il potenziamento dei Tribunali e del relativo organico, potrebbero uscire dalle carceri, ricevendo una riabilitazione “a distanza”, attraverso le strutture socio-sanitarie esistenti e quelle del volontariato. Così operando, il carcere resterebbe una misura adatta solo per “casi estremi”, in cui ogni altra forma di riabilitazione sarebbe pericolosa per la società e inutile per il colpevole. Ma dovrebbe trattarsi, a mio parere, di un carcere diverso da quello che conosciamo. La nostra Costituzione all’art. 27 sancisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Le condizioni in cui versano le carceri italiane contraddicono il dettato costituzionale e la punizione prevale sul recupero del condannato. Ma la rieducazione non potrà mai avvenire se il reo è condannato all’ozio, in spazi angusti, insalubri, privi di luoghi di socialità, di aree verdi, di strutture sportive. Voglio sperare che un giorno non lontano si possa realisticamente pensare a un carcere costruito su una vasta area verde, lontano dai centri abitati, diviso in una pluralità di piccole unità prefabbricate, dotate di tutti i sevizi necessari, all’interno delle quali ogni persona detenuta possa svolgere il suo lavoro abituale, producendo beni e servizi da destinare anche alla vendita, con contropartita una somma di denaro finalizzata alla costituzione di un congruo risparmio personale, di cui disporre a pena ultimata. Non credo di avere espresso concetti strabilianti. Penso tuttavia che in un Paese che non è normale, come l’Italia, capita spesso che il buon senso venga confuso con la stravaganza. Giustizia: Bernardini ad Orlando; una legge deve risolvere problemi… non “fare cultura” www.clandestinoweb.com, 8 dicembre 2012 Rita Bernardini, deputato dei Radicali, risponde sulla sua pagina Facebook alla dichiarazione di voto sul ddl 5019-bis-A del Responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando. Orlando dichiara: “Dovremmo ripensare complessivamente il sistema. Hanno ragione, in questo senso, i compagni ed amici Radicali, però vorrei ricordare che le stesse considerazioni che fanno oggi le fecero anche quando approvammo, insieme con la Lega, il provvedimento del piano carceri che prevedeva i domiciliari a fine pena. Ci dissero che era una misura totalmente irrilevante. Non è stato così. Lo dico rendendo merito al Ministro che l’ha presentato e al Ministro che poi lo ha fatto approvare”. Rita Bernardini scrive che “i ricordi di Andrea Orlando sono a dir poco confusi: il primo provvedimento, fu presentato dall’allora Ministro Alfano a seguito dell’approvazione della Mozione sulle carceri (la prima in ordine di tempo fu quella Radicale) e della mia iniziativa nonviolenta di sciopero della fame. La prima versione era buona ed efficace perché consentiva ai detenuti di scontare l’ultimo anno di detenzione ai domiciliari senza passare dal giudizio del magistrato di sorveglianza. Il ragionamento era semplice: poiché il detenuto sarebbe comunque uscito di lì ad un anno, era sicuramente meno criminogeno evitare di farglielo passare nei luoghi di tortura e di illegalità che sono le carceri italiane. Ma fu il Pd - d’accordo con l’allora maggioranza - a snaturare l’originario provvedimento pretendendo che a concedere i domiciliari fossero i magistrati di sorveglianza già oberati da moltissimo lavoro. E il risultato si è visto nonostante che con il Dl Severino è stata elevata fino a un anno e mezzo la possibilità di scontare presso il proprio domicilio il residuo pena: se confrontiamo i dati del 2011 con quelli del 2012 al 30 novembre vediamo che la popolazione detenuta è diminuita di 1.418 unità mentre i posti sono aumentati di 1.412 unità. Come ebbi modo di dire in occasione della dichiarazione di voto finale sul Dl Severino, torturiamo i detenuti un pochino di meno, ma continuiamo a torturarli”. Orlando afferma anche che “nel corso di questi anni la popolazione carceraria è diminuita. Questo è il primo anno nel quale non vediamo una ulteriore crescita della popolazione carceraria da molti anni e contemporaneamente - questo è il punto - abbiamo assistito - è una macabra statistica - a una lieve diminuzione dei suicidi in carcere. Allora, io non credo che questo provvedimento risolverà tutto, ma, dal punto di vista culturale e politico, rappresenta un passo in una direzione inversa e diversa rispetto a quella di questi 20 anni”. Anche su questo punto Rita Bernardini precisa: Sui suicidi in carcere - scrive l’esponente dei Radicali, Orlando afferma “c’è una lieve diminuzione”. Ma come, anziché riflettere sul fatto che siamo a ben 57 suicidi all’8 dicembre, Orlando usa la “macabra statistica” (furono 66 al 31 dicembre 2011), per dire che c’è una flessione? Proprio ieri un altro detenuto si è impiccato!”. Sul provvedimento Orlando sostiene che “rappresenta il tentativo di sfidare anche un senso comune che si è consolidato e, da questo punto di vista, credo che sbaglino a non cogliere fino in fondo in questa misura anche un risultato delle loro battaglie”. L’onorevole Bernardini conclude portando un’altra obiezione. “Orlando ammette “non credo che questo provvedimento risolverà tutto” (poco o niente, dico io) ma che dal punto di vista “culturale e politico, rappresenta un passo in una direzione inversa e diversa rispetto a quella di questi 20 anni”. No, caro Andrea - conclude il post della Bernardini, la direzione è la stessa: illegalità, Stato di diritto mortificato, violazione di diritti umani fondamentali. Una legge non deve fare “cultura”, una legge deve risolvere i problemi, soprattutto quando sono in gioco i fondamenti della nostra Costituzione”. Giustizia: Irene Testa (Detenuto Ignoto); troppi suicidi, nell’indifferenza della politica di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 8 dicembre 2012 Angelo Aragosa è l’ennesima vittima di un sistema ingiusto, che non perdona, fatto di spazi ristretti, nessuna assistenza, poche risorse e soprattutto poche attenzioni. È il mondo delle carceri italiane che, quotidianamente, ci parla di suicidi ispirati da una disperazione senza alternative. Angelo era ristretto nel penitenziario di Ariano Irpino, aveva 48 anni, ed ha scelto di mettere fine alla sua detenzione uccidendosi in cella. Non stava affatto bene. La sua storia ci suggerisce che versasse in condizioni di salute inadatte probabilmente alla carcerazione. Sua moglie aveva tentato di evitare il peggio, segnalando questa drammatica situazione ad Irene Testa, presidente dell’associazione “Il Detenuto Ignoto”. Un ‘associazione che di segnalazioni simili ne riceve tante, nata proprio con lo scopo di “affermare e promuovere i diritti dei cittadini detenuti, in attuazione di quanto disposto dall’articolo 27 della Costituzione italiana”, si legge sul sito del movimento. Irene Testa, l’epilogo della storia di Angelo Aragosa è davvero drammatico. Lei si era mossa, dopo aver ricevuto una lettera da parte della moglie del detenuto, ma nessuno ha fatto nulla per evitare il peggio. Ci spieghi meglio come è andata... La moglie di Angelo mi ha scritto una lettera disperata lo scorso 21 settembre nella quale mi spiegava in che situazione versasse il marito. Dopo quella missiva ci siamo sentite e, come da prassi, visto che di segnalazioni simili ne riceviamo a decine, ho cercato di capire se queste notizie corrispondessero al vero. Ho contattato l’associazione Antigone Campania e mi hanno rassicurato sul fatto che non ci fosse il rischio di suicidio. Poi il detenuto è stato trasferito nel carcere di Ariano Irpino. Tenuto conto delle sue condizioni di salute e dello stato psicologico in cui si trovava, possiamo definirla una morte annunciata come la maggior parte dei suicidi che denunciamo quotidianamente. Spesso leggiamo di istanze fotocopie, di cartelle cliniche che parlano di detenuti che non possano stare in carcere eppure nessuno fa niente e loro restano lì. Per quanto riguarda la storia di Angelo, dal carcere smentiscono che fosse questo il caso ma ci aspettiamo che almeno un’indagine al riguardo venga aperta. La rabbia adesso è tanta. A chi dare la colpa? Innanzitutto a coloro che dovrebbero intervenire e non lo fanno, alla politica in primis, al presidente della Repubblica che dovrebbe essere il Garante della Costituzione ma invece fa finta di non vedere, al Ministro della Giustizia che avrebbe dovuto e potuto fare di più, in generale e sul fenomeno dei suicidi in carcere che sono una vera piaga, a volte se ne registrano anche tre al giorno. Qual è, secondo lei, la soluzione? La soluzione la proponiamo da tanto tempo. Al momento viviamo in una situazione schizofrenica. Il Governo, finora, ha fatto solo finta di varare provvedimenti che poi non sono serviti a nulla. Noi diciamo che la via sono amnistia e indulto, sia per andare incontro al lavoro dei magistrati e alleggerirlo sia per migliorare le condizioni di vita nei penitenziari. Lei è reduce da 41 giorni di sciopero della fame, insieme a Rita Bernardini e Maurizio Bolognetti. Lo avete interrotto dopo la “piccola grande” vittoria sul diritto di voto ai detenuti. Cosa vi aspettate dall’incontro di martedì prossimo in Parlamento? Ci aspettiamo che la risoluzione da noi suggerita, e che sarà discussa dalle due commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, venga approvata così come depositata. Vogliamo che le proposte sul diritto di voto non vengano cambiate di una virgola. Votare, per chi sta in carcere, è un diritto calpestato troppe volte e mai come in questo periodo storico esprimere una preferenza per loro è importante. Qualora così non fosse avete intenzione di riprendere lo sciopero della fame? Non abbiamo di certo intenzione di mollare con le iniziative nonviolente, non possiamo farlo. Le segnalazioni che ci arrivano ad ogni ora del giorno ci impongono di non far finta che le cose vadano bene. Esiste un sistema penitenziario che sa solo torturare e non riabilitare. Tra le vostre battaglie c’è anche quella contro la carcerazione preventiva. A tal proposito sorge spontaneo chiederle un commento sulla storia assurda di Ambrogio Crespi.. Credo sia una vergogna che la custodia cautelare possa durare così a lungo come succede in Italia. È assurdo mettere in galera una persona, aspettare per mesi interminabili un processo, per poi scoprire che la persona in questione è innocente come nel caso di Ambrogio Crespi. Io non ho visto le carte ma la vicenda viene seguita in prima persona dall’avvocato Giuseppe Rossodivita ed è stata presa a cuore da Rita Bernardini. Questo basta per farmi avere un’idea chiara al riguardo. Mi auguro che la verità possa venire quanto prima fuori e anche su questo ci batteremo. Pretendiamo una giustizia vera e vogliamo evitare che gli errori giudiziari continuino a segnare le vite delle persone. Un semplice risarcimento danni non è in grado di ripagare il dolore e le conseguenze disastrose sulla vita di chi è costretto a vivere ingiustamente una detenzione. Dicendo questo non penso solo ad Ambrogio ma anche alla sua famiglia e alle cose che gli sono state portate via in questi mesi e che nessuno potrà ridargli. Papa (Pdl): 55 suicidi di stato da inizio anno, politici e tecnici avallano condotta criminale “Con il suicidio ieri di un detenuto ad Ariano Irpino abbiamo superato i 55 suicidi di Stato dall’inizio dell’anno, tutte vittime di una politica criminale”. Lo afferma il deputato del Pdl, Alfonso Papa, riferendosi alla morte di un recluso napoletano di 48 anni che nella giornata di ieri si è impiccato utilizzando un lenzuolo nella sua cella nel carcere di Ariano, in provincia di Avellino. “Se una persona perde la vita in un incidente stradale o su un cantiere - continua Papa - l’evento luttuoso colpisce la sensibilità di tutti, della politica e dell’informazione Se invece decine di persone compiono l’atto estremo del suicidio in una cella dove sono sottoposti alla potestà punitiva e alla tutela dello Stato, nessuno si scompone. Questi tecnici e politici, che ad oggi non sono stati capaci di adottare un provvedimento veramente efficace, e non meramente spot, contro il sovraffollamento, dovrebbero avere il coraggio di dire che chi muore in carcere in fondo se l’è andata a cercare”. “Se a questo aggiungiamo che il 40 percento di quei detenuti costretti a condizioni inumane sono in attesa di giudizio, si appalesa ancora di più la connotazione criminale di uno Stato che anticipa la pena verso presunti innocenti”, conclude Papa. Giustizia: da domani “battiture”, dentro e fuori le carceri, per il diritto di voto ai detenuti Notizie Radicali, 8 dicembre 2012 Ha scelto di interrompere lo sciopero della fame, negli scorsi giorni, Rita Bernardini. La deputata radicale, insieme ad Irene Testa e Maurizio Bolognetti, infatti aveva scelto tale dimostrazione estrema per difendere il diritto di voto dei detenuti e l’amnistia. La scelta, dopo 41 giorni, di smettere con questa mobilitazione nonviolenta è stata dettata da un “piccolo grande successo”, come Bernardini stessa ha commentato, ovvero la discussione davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Affari costituzionali della risoluzione promossa dai deputati Radicali riguardante il diritto di voto dei detenuti. In concomitanza di questo importante evento istituzionale Rita Bernardini, dai microfoni di Radio Radicale, ha annunciato delle iniziative correlate. “Martedì prossimo verrà discussa dalle Commissioni congiunte Giustizia e Affari costituzionali la risoluzione che porta le prime firme dei Radicali ma che poi ha visto un consenso piuttosto trasversale - ha spiegato Bernardini - riguardante il diritto di voto dei detenuti che fino a questo momento è stato negato. Pochi centinaia sono stati, infatti, coloro i quali si sono visti riconosciuti questo diritto negli ultimi decenni pur essendo previsto dalle nostre leggi per coloro che sono in attesa di giudizio (e nelle carceri italiane sono il 42%) e per coloro che non hanno avuto pene accessorie come l’interdizione e anche tra i definitivi ce ne sono tantissimi”. “Nella trasmissione Radio Carcere Marco Pannella ha lanciato un’iniziativa che si terrà domenica prossima 9 dicembre, lunedì 10 e martedì 11 - ha proseguito - Si tratta della battitura per la legalità, per il riconoscimento di un diritto, quello di voto ai detenuti, finora solo sulla carta. Dentro e fuori le carceri ci sarà mobilitazione con i seguenti orari: domenica e lunedì dalle 13 alle 13.30 e dalle 19 alle 19.45. Martedì la battitura verrà effettuata dentro e fuori le carceri, invece, dalle 13 alle 13.30. Inoltre voglio dare un appuntamento che si terrà a Roma. A partire da mezzogiorno di lunedì ci riuniremo, mi auguro in tanti, in piazza del Pantheon per poi spostarci alle 14.30 davanti a Montecitorio. Qui faremo una battitura con oggetti vari per farci sentire da un Parlamento finora sordo sui diritti fondamentali dei detenuti e sulla situazione insostenibile delle carceri italiane”. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); i partiti si impegnino per maggiore vivibilità nelle carceri Adnkronos, 8 dicembre 2012 “I partiti in vista delle prossime elezioni politiche prendano impegni chiari per ridurre il sovraffollamento e garantire maggiore vivibilità nelle carceri”. Lo ha chiesto il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, in occasione di un convegno sul sistema penitenziario a Palermo. “Bisogna che i fondi sanitari per la salute in carcere siano ripartiti nell’ambito delle spese sanitarie regionali con linee di impiego che garantiscano maggiore efficienza sia ai detenuti sia ai cittadini della Regione - continua Di Giovan Paolo - Serve poi un responsabile di sanità in carcere in ogni Regione, in ognuna delle circa 200 Asl che hanno un carcere al loro interno territoriale. Ed ancora - aggiunge - la previsione nei carceri del medico di sezione che possa, come una sorta di medico di famiglia garantire la continuità terapeutica ed una anamnesi reale in attesa della cartella telematica”. “Ringrazio - conclude il senatore Pd - il sottosegretario Mazzamuto per il lavoro fatto e spero che in questo fine legislatura si possa confermare anche in Senato il disegno di legge sulle pene alternative per poi, nella prossima legislatura, procedere verso riforme delle leggi esistenti e porre fine al ventennio di logica securitaria”. Tamburino (Dap): sì a ricorso pene alternative, adeguarsi all’Europa È “estremamente positivo” che ci siano iniziative legislative per un maggior ricorso alle pene alternative alla detenzione in carcere. “Il nostro Paese deve adeguarsi agli standard europei che sono molto più elevati dei nostri”. Ad affermarlo è Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che ha preso parte alla presentazione del mercatino dei prodotti realizzati dai detenuti in alcune carceri italiane, allestito nei locali del Museo Criminologico di Roma. Giustizia: caso Cucchi; la superperizia prova il pestaggio, riscontrate fratture recenti di Cristiana Mangani Il Messaggero, 8 dicembre 2012 A pochi giorni dal deposito della superperizia affidata dalla Corte d’assise per la morte di Stefano Cucchi, emergono nuove indiscrezioni. Gli esperti avrebbero evidenziato la presenza di sangue sui frammenti ossei prelevati da alcuni segmenti di vertebre che, a dire della famiglia, sarebbero state fratturate durante il pestaggio. L’elemento, che verrà discusso in aula il 19 dicembre, confermerebbe l’ipotesi di lesioni contestuali ai giorni dell’arresto e poi della morte. In contrasto con quanto avevano sostenuto i consulenti del pubblico ministero. Le nuove analisi: sarebbe stato pestato prima del ricovero C’è sangue nel tessuto osseo prelevato dalle vertebre di Stefano Cucchi. È il risultato, che appare abbastanza definitivo, renderebbe le fratture sui segmenti L3 ed L5 della colonna vertebrale molto prossime all’orario in cui il cuore del geometra romano ha smesso di battere. La perizia affidata dalla Corte di Assise a esperti super partes, è ormai in dirittura d’arrivo. La relazione conclusiva verrà depositata il 12 dicembre, in vista dell’udienza che si terrà il 19 dello stesso mese. Ma le anticipazioni dell’ultima riunione che si è svolta ieri a Milano, nonostante in città fosse festa per Sant’Ambrogio, porterebbero nella direzione dei periti della famiglia Cucchi: ovvero che il geometra è stato pestato prima di arrivare in ospedale, e non è morto per un semplice arresto cardiocircolatorio. Nell’incontro di ieri, alla presenza di buona parte dei consulenti e periti messi il campo dalla parte civile e dagli imputati, i tecnici investiti dalla Corte non hanno illustrato le loro conclusioni. Non avrebbero potuto farlo. Però, insieme con i colleghi hanno analizzato i vetrini con le fibre ossee prelevate dal cadavere. E proprio da quelle analisi sarebbero emerse con chiarezza le particelle di sangue. La famiglia Alla riunione erano presenti anche il padre e la sorella di Stefano. E hanno notato quanto l’aria fosse tesa man mano che le conclusioni si facevano più evidenti. Le tracce di sangue rilevate sui frammenti ossei delle vertebre vogliono dire che si tratta di lesioni recenti e, dunque, contestuali al periodo dell’arresto e poi della morte. E non risalenti a quattro anni fa, come i consulenti del pm avevano dichiarato in aula. Anche perché - spiegano i legali di parte civile, Fabio Anselmo e Alessandra Pisa - “se fossero di un periodo diverso avrebbero visto solo un callo osseo. Il fatto che c’è sangue significa che si è prodotto dal momento delle percosse fino a quello della morte”. È escluso, dunque, per loro, che possa essere derivato da un trauma post mortem, perché in quel caso il sangue avrebbe smesso di circolare. Ilaria Cucchi era presente all’incontro, e con lei c’era pure uno dei suoi periti. “Ha voluto che si chiarisse bene questo particolare del sangue - spiega. Tanto che ha chiesto più volte: L5 non è una frattura da bara, vero professore? E la risposta è stata: è vero, non lo è. “Ora - aggiunge Ilaria: se si vuol dare la colpa soltanto ai medici per quanto è successo al Pertini, sostenendo che le botte non c’entrano, bisogna affermare che se Stefano si fosse ricoverato per sbaglio il 17 ottobre stendendosi da solo su quel letto, sarebbe morto comunque e nello stesso modo. Oppure occorre sostenere che un malato, in pessime condizioni di salute, può essere indifferente a traumi e fratture alla colonna vertebrale che gli vengano procurati prima della sua morte. Eravamo presenti io e mio padre e abbiamo avuto lo stesso pensiero: quanta fatica ci chiede lo Stato per dover dimostrare ciò che è ovvio per tutti”. Nell’incontro è stato confermato anche quanto già esposto in aula durante il processo, e cioè che a livello del segmento S4, ovvero dell’osso sacro, c’è pure lì del sangue. Ma questo dato era stato accertato. I dubbi erano tutti sulle vertebre L3 ed L5, perché i consulenti del pm erano arrivati a conclusioni diverse, e cioè che si trattasse di fratture di epoca precedente alla morte. Ma l’analisi che avevano effettuato - è stato rilevato successivamente - aveva riguardato una parte di frammento osseo sbagliata, e comunque diversa da questa analizzata dai periti della Corte. Per conoscere le conclusioni definitive bisognerà aspettare mercoledì prossimo, giorno del deposito della relazione. La Corte ha chiesto di stabilire le cause della morte e se le fratture siano causali. Da quelle risposte dipenderà probabilmente l’esito del processo per medici, infermieri e agenti della polizia penitenziaria, finiti sul banco degli imputati. Giustizia: caso Cucchi; la Procura impugna l’assoluzione del funzionario Prap Marchiandi Il Messaggero, 8 dicembre 2012 Stefano Cucchi era stato ricoverato nel reparto detenuti del Pertini per essere “tenuto lontano da occhi indiscreti”. Per nascondere il pestaggio dopo l’arresto. E chi l’ha condotto in un reparto adatto a pazienti stabili e non con patologie acute in corso, non poteva che esserne a conoscenza. Il sostituto procuratore presso la Corte di appello Eugenio Rubolino, con queste motivazioni e con un ricorso di 15 pagine, ha impugnato davanti alla Corte di cassazione la sentenza di assoluzione di Claudio Marchiandi, l’alto funzionario del Prap (Provveditorato regione dell’amministrazione penitenziaria), che ha sollecitato di persona il ricovero di Cucchi. Il pg, convinto della colpevolezza di Marchiandi, punta all’annullamento della sentenza per riportare l’imputato in aula davanti a un altro collegio. Perché il funzionario è l’unico dei tredici imputati del caso Cucchi a essere già stato processato. Mentre, nel gennaio 2011, gli altri dodici coimputati - 3 guardie penitenziarie, 6 medici e 3 infermieri, venivano rinviati a giudizio davanti alla terza Corte di assise -, Claudio Marchiandi veniva condannato in abbreviato a due anni di carcere per falso e abuso d’ufficio. Una sentenza che è stata ribaltata con l’assoluzione nell’aprile di quest’anno, ottenuta dal difensore, l’avvocato Oliviero De Carolis, e ora contestata dal pg Rubolino. “La Corte di appello nella sentenza impugnata - ha scritto il procuratore generale - dà per dovuto, in quanto necessario ai fini del ricovero di Cucchi, l’intervento di Marchiandi, tra l’altro recatosi personalmente il giorno festivo fuori servizio presso l’ospedale Pertini fino a quasi ravvisarne un comportamento lodevole”. “Proprio in questo passaggio la Corte incorre pertanto nell’errore di ritenere l’intervento come un comportamento privo di disvalore”, ossia negativo, finalizzato ad avere “un ricovero altrimenti non eseguibile”. Per Rubolino, insomma, l’autorizzazione per il ricovero non era necessaria. Per lui il funzionario del Prap era andato lì per tenere il detenuto “lontano da occhi e orecchie indiscrete”, essendo “consapevole che con quelle patologie era impossibile altrimenti ricoverare Cucchi in quel posto”. “La Corte - ha aggiunto poi Rubolino - sarebbe arrivata all’assoluzione anche sulla convinzione che l’imputato non avrebbe mai visto Cucchi e pertanto non poteva essere a conoscenza delle reali condizioni di salute”. Un altro errore dell’appello per la pubblica accusa. Quel giorno Marchiandi aveva sentito otto volte il direttore di Rebibbia, ben informato sullo stato di salute di Cucchi, e anche delle cause. Giustizia: dopo ricovero in ospedale Provenzano è tornato in carcere, disposta una perizia Agi, 8 dicembre 2012 Il boss Bernardo Provenzano è stato dimesso dal reparto detenuti dell’ospedale di Parma ed è tornato nel carcere della città emiliana. Il capomafia era stato ricoverato d’urgenza lunedì, dopo una caduta avvenuta in cella: completati gli accertamenti e il periodo di osservazione, Provenzano ha lasciato il nosocomio. Il gup Piergiorgio Morosini ha incaricato due medici bolognesi di sottoporlo a una perizia che dovrà accertare le sue condizioni di salute. Anche se il capomafia quasi ottantenne sta meglio - stando a quanto stabilito dai sanitari del nosocomio - il giudice Morosini, che sta giudicando l’imputato all’udienza preliminare del processo per la trattativa Stato-mafia, vuol sapere quali siano le sue reali condizioni di salute. I due sanitari incaricati di eseguire una perizia sono lo psichiatra Renato Ariatti e il neurologo Andrea Stracciari. Anche la difesa, rappresentata dagli avvocati Rosalba Di Gregorio e Franco Marasà, ha nominato due consulenti, Francesco Bruno e Elisabetta Giuliani. La perizia dovrà essere consegnata entro il 4 gennaio: da accertare, in particolare, la capacità del detenuto di stare validamente in giudizio. Da tempo infatti i familiari e i legali lamentano deficit cognitivi e incapacità di connettere e di ragionare da parte del boss che, stando a precedenti visite, è affetto da notevoli problemi psicofisici e gravi malattie, dall’encefalopatia a una recidiva del tumore alla prostata, fino al parkinsonismo. Il periodo di osservazione di 15 giorni, stabilito dai medici, proseguirà anche in carcere. Emilia Romagna: Sappe; assegnati 88 nuovi agenti ma nelle carceri non è vero incremento Ansa, 8 dicembre 2012 “Nei prossimi giorni in Emilia Romagna arriveranno 88 agenti di polizia penitenziaria, così ripartiti: 12 a Reggio Emilia, di cui due donne, 14 a Bologna (una donna), 37 a Modena, 12 a Parma, otto a Piacenza (due donne), più quattro all’istituto minorile di Bologna. Purtroppo non si tratterà di un vero e proprio incremento di organico, perché ai nuovi arrivi vanno sottratti coloro che sono stati trasferiti. Per esempio, a Bologna ne vanno via 13, a Modena, da agosto ad oggi, ne sono stati trasferiti 9, quindi non possiamo assolutamente ritenerci soddisfatti, soprattutto se si considera l’istituto modenese, dove dovrà essere aperto il nuovo padiglione detentivo, oltre ai reparti al momento chiusi per ristrutturazione”. È il quadro tracciato dal segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Giovanni Battista Durante, che lunedì mattina guiderà una delegazione per una visita all’istituto di Modena e poi terrà una conferenza stampa, nel corso della quale - anticipa - “si discuterà della situazione delle carceri emiliane e di quello modenese in particolare, anche al fine di verificare le reali esigenze della struttura e del nuovo padiglione, del quale bisognerà decidere la destinazione e, quindi, la tipologia di detenuti che dovrà ospitare; ciò sarà determinante per la quantità di personale da impiegare”. Il Sappe ha già proposto di farne una custodia attenuata, per il recupero di soggetti tossicodipendenti, “sul modello di quello di Rimini, considerato che in regione sono tanti i detenuti con problemi di droga. Ciò consentirebbe di impiegare anche meno personale di polizia penitenziaria. Proprio per quanto riguarda i detenuti, nel corso dell’anno le presenze in Emilia-Romagna sono diminuite sensibilmente, anche se rimane una delle regioni con il maggior sovraffollamento e la maggiore carenza di personale”. Avellino: detenuto di 48 anni si impicca, la moglie aveva chiesto aiuto già a settembre Ansa, 8 dicembre 2012 Un detenuto per reati comuni è stato trovato ieri notte senza vita all’interno della sua cella nel carcere di Ariano Irpino (Avellino). Secondo quanto si apprende, Angelo Antonio Aragosa, 48 anni, napoletano, si è impiccato utilizzando un lenzuolo che aveva agganciato ad un finestrone. La scoperta è stata fatta dagli agenti penitenziari che hanno inutilmente tentato di rianimare il detenuto. Secondo alcune fonti, il recluso da tempo era caduto in uno stato di depressione procuratogli dall’insofferenza al regime carcerario. La Procura di Ariano Irpino ha aperto un’inchiesta. Era arrivato da pochi giorni nel carcere di Ariano Irpino (Avelino) il 48enne detenuto napoletano che si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo agganciato alle sbarre della sua cella. Angelo Antonio Aragosa, doveva scontare una serie di condanne passate in giudicato per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il direttore della casa circondariale, Gianfranco Marcello, nell’esprimere solidarietà alla moglie e alla famiglia del detenuto, che sono state avvertite, precisa che “tragedie come questa rappresentano sempre una sconfitta per gli operatori ma il detenuto, che al momento del suo arrivo ad Ariano Irpino era stato seguito da educatori e psicologi, non aveva dato segni premonitori del gesto che avrebbe poi messo in atto”. Il procuratore capo di Ariano Irpino, Luciano D’Emmanuele, ha aperto una inchiesta per ricostruire dinamica e motivazioni del suicidio. Il carcere di Ariano irpino ospita attualmente 215 detenuti a fronte di una capienza massima di 200, con un reparto di massima sicurezza ed un altro riservato ai collaboratori di giustizia. “Vuole suicidarsi”, la moglie di Aragosa aveva chiesto aiuto già a settembre Un detenuto di 48 anni, Angelo Aragosa, campano, tossicodipendente, malato, con difficoltà a camminare, è morto suicidandosi impiccandosi nella sua cella nel carcere di Ariano Irpino. Un’altra morte di carcere, resa ancora più drammatica dall’allarme dato dalla moglie mesi fa: “Sta per morire ma la disperazione lo sta portando ad affrettare la propria morte, ha deciso di suicidarsi”. L’uomo, tossicodipendente, era detenuto per reati di droga, marijuana, 5 anni, fine pena agosto 2017. A settembre Angelo era nel carcere di santa Maria Capua a Vetere e la moglie ha scritto all’associazione Detenuto Ignoto, sottolineando le gravi condizioni di salute del marito e il suo proposito di suicidarsi. Angelo, infatti, aveva diverse patologie, stava su una sedia rotelle, aveva una protesi all’anca e difficoltà a camminare, e non gli davano le stampelle - denunciava la moglie - ma soprattutto non ce la faceva più: “Vuole suicidarsi”. “Ora occorre fare subito chiarezza”, sottolinea Irene Testa segretaria dell’Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto, spiegando: “Lo scorso 21 settembre ho ricevuto una telefonata e mail della moglie del detenuto Angelo Aragosa che ravvisava il rischio di suicidio di suo marito nonché la mancanza di cure adeguate per patologie gravi di cui era affetto il congiunto”. E “immediatamente avevo segnalato il caso al presidente campano dell’Associazione Antigone Mario Barone affinché verificasse quanto segnalatomi. La risposta ricevuta da fonti interne al carcere era stata rassicurante e si diceva che il detenuto non aveva mai mostrato intenzioni suicide”. Sulmona (Aq): in carcere pochi medici e oltre 50% dei 400 detenuti con problemi psichici Ansa, 8 dicembre 2012 È emergenza sanitaria nel carcere di Sulmona. Pochi medici e oltre il 50% dei 400 detenuti con problemi psichici, più un protocollo di intesa per l’assistenza psicologica, firmato con la Asl, che non è stato rispettato. È quanto emerge dal rapporto del dirigente medico del carcere, Fabio Federico, consegnato nei giorni scorsi alla direzione del carcere e alle organizzazioni sindacali. Al momento lavorano nel penitenziario peligno solo due psichiatri, uno per 36 ore a settimana e l’altro per due; ci sono poi uno psicologo e uno psicoterapeuta a 18 ore settimanali e nessun infermiere specializzato, ma solo personale generico con contratti di quattro mesi. Da quando è stato firmato il protocollo di intesa nell’ ottobre del 2011, ci sono stati tre agenti aggrediti, tre tentativi di suicidio sventati dagli agenti penitenziari e un detenuto che ha dato fuoco alla sua cella mettendo a rischio l’ intera sezione. Sui 10 medici in servizio solo due sono assunti a tempo indeterminato gli altri sono tutti medici ex Sias, con contratti semestrali e senza garanzie legali e previdenziali. Nella relazione di Federico si mette anche in evidenza il conseguente stress psicofisico degli agenti penitenziari: nel 2012 si sono riscontrati 95 eventi critici, con 35 agenti che hanno sofferto di patologie psichiche e 2 mila e 974 giorni lavorativi persi. Sulmona (Aq): chiude la Casa di Lavoro, internati sostituiti da detenuti di Alta Sicurezza Ansa, 8 dicembre 2012 Chiude la Casa di Lavoro del carcere di Sulmona. Lo ha annunciato oggi nel corso di una conferenza stampa il vicesegretario regionale Uil Penitenziari, Mauro Nardella. “L’onorevole Rita Bernardini - spiega il sindacalista - mi ha comunicato che la Casa di Lavoro di Sulmona sarà chiusa entro breve tempo con un decreto governativo che è stato già preparato: per noi si tratta di una buona notizia, visto che quasi tutte le situazioni critiche che si sono verificate negli ultimi tempi all’interno del carcere, hanno riguardato esclusivamente la sezione degli internati”. Al loro posto arriveranno detenuti di alta Sicurezza di tre tipologie: AS1, ex 41 bis come boss mafiosi e camorristi; AS2, terroristi internazionali, islamici ed ex Brigate Rosse; AS3, reclusi soggetti al 416 bis, detenuti per associazioni criminali e a delinquere, già presenti nella struttura sulmonese. La notizia arriva a sorpresa perché nel carcere di Sulmona era prevista la realizzazione della Casa di Lavoro più grande d’Italia. A tal proposito era stato avviato un progetto per l’ampliamento della struttura carceraria con la realizzazione di un padiglione per oltre 200 detenuti: lavori che dovevano cominciare nello scorso aprile e mai iniziati per mancanza di fondi. Connesse alle carenze di organico sono poi i fenomeni critici registrati all’interno del carcere. Dallo scorso ottobre, quando la Asl ha annunciato la firma di un protocollo di intesa per l’assistenza psicologica, ci sono stati tre agenti aggrediti, uno dei quali con una prognosi superiore ai 30 giorni; un detenuto che ha dato fuoco alla sua cella; tre tentati suicidi (uno dei quali sventato proprio da Nardella). Al momento lavorano nella struttura solo due psichiatri, uno per 36 ore a settimana e l’altro per sole due; ci sono poi uno psicologo e uno psicoterapeuta a 18 ore settimanali e nessun infermiere specializzato. Anche il personale medico non se la passa meglio, visto che - sempre a detta di Nardella - su 10 dottori solo due sono assunti a tempo indeterminato (uno dei quali è il responsabile sanitario della struttura e sindaco di Sulmona, Fabio Federico, che ha inviato una preoccupante relazione ai sindacati sulle carenze sanitarie del carcere). Gli altri sono tutti medici ex Sias, cioè con contratti semestrali e senza garanzie legali o previdenziali. Anche gli infermieri non sarebbero sufficienti, secondo Nardella, essendo meno di dieci con assunzioni di 4 mesi al massimo. Nella relazione di Federico si mette anche in evidenza il conseguente stress psico fisico degli agenti penitenziari: nel 2012 si sono riscontrati 95 eventi critici, con 35 agenti che hanno sofferto di patologie psichiche e 2mila e 974 giorni lavorativi persi. “Un ulteriore aggravio che pesa sulle nostre già pesanti carenze di organico - riprende Nardella - a ciò va aggiunto anche lo stato pietoso in cui versa il parco dei mezzi per il trasporto dei detenuti, dei 20 a disposizione ne sono in funzione solo 2, uno dei quali soltanto è blindato. Gli altri hanno svariati problemi e non ci sono i soldi per ripararli, saranno quindi a rischio i processi fino alla fine dell’anno. Mancano fondi pure per i circuiti elettrici delle cabine di controllo esterne, dove le sentinelle sono costrette a lavorare al freddo. La nostra speranza è che il nuovo padiglione, che doveva essere realizzato ad aprile, venga costruito quanto prima”. Mantova: visita dell’Ucpi al carcere; dodici detenuti per cella e sette docce per duecento di Giancarlo Oliani La Gazzetta di Mantova, 8 dicembre 2012 Fino a dodici detenuti per cella, sette docce disponibili per duecento persone, due delle quali non funzionanti. Spazi aggregativi pressoché inesistenti, possibilità di recupero dei carcerati nulla. Questo è quanto ha verificato ieri mattina la delegazione dell’Osservatorio dell’Unione Camere Penali Italiane, visitando il penitenziario di via Poma. “Il direttore dell’istituto di pena Rossella Padula - commenta l’avvocato Marco Messora - si sta dando da fare parecchio per cercare di migliorare questa situazione. Ma mancano i soldi. La struttura è vecchia e fatiscente e avrebbe necessità di importanti interventi di ristrutturazione e manutenzione, come il teatro auditorium, perfettamente funzionante, ma che non può essere usato perché mancano le necessarie misure di sicurezza”. Qualcosa però sta cambiando. Entro il prossimo anno sarà abolito il reparto d’isolamento, quello nel quale sono rinchiusi i detenuti accusati di reati a sfondo sessuale e gli ex appartenenti alle forze dell’ordine. Sono circa una decina e verranno trasferiti in diverse carceri lombarde. Sarà anche chiuso il padiglione femminile. Attualmente però sarà il primo a godere del progetto “porte aperte”. Le donne potranno muoversi liberamente senza essere confinate nelle loro celle. Sono anche previsti lavori di ristrutturazione nei luoghi che hanno risentito del terremoto, l’adeguamento dell’area sanitaria e il rifacimento di alcune celle che saranno progressivamente dotate di una doccia. Intanto è in arrivo la Santa Lucia per i figli dei carcerati che l’11 dicembre riceveranno i doni direttamente dai genitori, con i quali potranno trascorrere buona parte della giornata. Marsala (Tp): aperto Sportello di sostegno gratuito per gli ex detenuti e le loro famiglie di Chiara Putaggio Giornale di Sicilia, 8 dicembre 2012 Nasce uno sportello di sostegno gratuito per gli ex detenuti e le loro famiglie, a offrire consulenza psicologica, legale e di orientamento sono i volontari dell’associazione Verbum Caro. Questo è solo il primo passo di un progetto più grande, denominato “Un’ala di Riserva”, messo in campo dal gruppo presieduto da Micaela Cianciolo allo scopo di perseguire il reinserimento sociale dei detenuti ed ex detenuti. Attualmente le attività si svolgono presso la parrocchia di San Matteo, guidata da Don Jean Paul Barro, presidente onorario e guida spirituale per gli utenti, ma l’intento dei volontari è realizzare una struttura abitativa dove ospitare chi ha avuto esperienza carceraria o di altra misura cautelare fino al completo inserimento nella società. “La nascita della nostra associazione - spiega la presidente - ha fatto seguito al servizio di volontariato svolto presso il carcere di Marsala (ora chiuso), che ha visto come promotore il cappellano della casa circondariale don Jean Paul Barro. Ma adesso intendiamo aprire anche ad altri comuni. Abbiamo infatti già preso contatti con le strutture di Trapani, Sciacca e Castelvetrano per sostenere chi non ha completamente scontato la pena, ma tra le nostre priorità c’è anche chi è uscito dal carcere e deve trovare il suo posto nel mondo”. In questo senso l’associazione già detiene un terreno in contrada Baronazzo Amafi e punta alla costituzione di una tenuta agraria dove gli ex carcerati possano imparare a lavorare. Ma in attesa che si reperiscano i fondi necessari, è già attivo in parrocchia, a San Matteo, lo sportello di ascolto e sostegno. Obiettivi principali del progetto sono offrire, con la disponibilità all’accoglienza, la possibilità di accedere alle misure alternative e il recupero e valorizzazione di rapporti con la famiglia. Destinatari del progetto sono soggetti in esecuzione pena che usufruiscono della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, soggetti neo dimessi dal carcere, privi di alloggi, soggetti ai quali è concesso il beneficio di legge del “permesso premio” e soggetti sottoposti al regime della “semi-libertà”. Tra i servizi offerti dai venti volontari ci sono il gruppo di ascolto, assistenza psicologica e consulenza legale gratuita. Modica (Rg): il Sindaco scrive al premier Mario Monti… non chiudermi il carcere www.ragusanews.com, 8 dicembre 2012 “Non troverebbe alcuna giustificazione l’eventuale decisione di proporre la chiusura della Casa Circondariale di Modica e mi trovo ancora una volta a fare appello alla sensibilità del Governo e dei Parlamentari nazionali affinché tengano conto di tutti gli elementi che ne giustificano invece il mantenimento per tutelarne la funzionalità e l’efficace ruolo sociale. Questo è l’appello che il Sindaco, Antonello Buscema lancia al Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Monti e al Ministro di Giustizia, Paola Severino (per conoscenza anche al parlamentare nazionale Nino Minardo) con la quale si invita a non applicare, in nome della spending review, tagli lineare con il rischio di sopprimere presidi importanti, economicamente sostenibili e socialmente funzionali. “Condivido in queste ore con la mia comunità cittadina la preoccupazione per la notizia che sia nelle intenzioni del Governo proporre la chiusura degli Istituti la cui attività viene ritenuta “antieconomica. La città che già rischia di subire, scrive il Sindaco, per decisione del Governo, la soppressione del proprio Tribunale, presidio storico, esistente da oltre sette secoli e oggi ubicato in una struttura modernissima costata non molti anni fa al Ministero ben 11 milioni di euro: l’eventuale chiusura anche della Casa Circondariale farebbe scomparire non solo per Modica, ma per il suo intero comprensorio, qualunque traccia della presenza delle istituzioni giudiziarie. Si tratta di una prospettiva gravissima in una regione come la Sicilia, che di queste istituzioni avrebbe invece la massima necessità, con particolare riguardo a territori di frontiera come il nostro”. La Casa Circondariale di Modica, che dal punto di vista della struttura e del trattamento dei detenuti si avvicina, sostiene il primo cittadino, al modello costituzionale dell’esecuzione della pena molto più della media degli istituti italiani. Il carcere di Modica, allo stato attuale, può avere una capienza regolamentare di 80 detenuti ed una capienza tollerabile di 100 detenuti, grazie alle recenti opere di razionalizzazione degli spazi che hanno consentito la realizzazione di nuove camere detentive. È stata ripristinata anche le sezione semiliberi, che può ospitare 6 soggetti ammessi all’art. 21 o in semilibertà. Le camere detentive sono tutte dotate di bagno e doccia forniti di acqua calda. La struttura conta una piccola palestra per l’attività motoria, una cappella e un cortile rivestito con pavimentazione antitrauma. Da alcuni mesi è stata realizzata, con finanziamenti concessi da “Etnaland”, la sala di attesa per i familiari, arredata adeguatamente e dotata di giochi per i bambini. L’istituto dispone anche, per lo svolgimento di corsi di istruzione scolastica e di istruzione professionale, di una sala polivalente, di un’aula corsi di formazione e di un’aula multimediale. Le attività trattamentali previste per la rieducazione dei detenuti sono numerose: scuola elementare, media, corsi individuali di ragioneria, 2 corsi di formazione professionale per artigianato artistico, 2 per addetto alle attività ludico-sportive , un corso per operatori della produzione agro-alimentare. A queste attività si aggiunge il lavoro intramurario che prevede l’occupazione di 11 detenuti in mansioni di inserviente, cuoco, muratore, manovale. Fattiva è la partecipazione anche della comunità esterna a queste attività, attraverso iniziative di carattere culturale, musicale, religioso e sportivo. La presenza di 3 assistenti volontari, di una mediatrice culturale unitamente al cappellano ed una suora assicurano sostegno materiale e morale a tutti i detenuti. “È inoltre in via di perfezionamento, fa rilevare il sindaco, un progetto socio-culturale ideato dalla Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali di Ragusa, che prevede l’impiego dei detenuti per la manutenzione ordinaria e l’accoglienza turistica presso la chiesa ed il chiostro di S. Maria del Gesù annessi all’istituto. La realizzazione di questo progetto consentirebbe finalmente anche la fruizione di questo preziosissimo bene artistico da parte della cittadinanza e dei turisti. Le condizione detentive adeguate e rispettose della dignità umana, conclude la nota del Sindaco, che hanno impedito il verificarsi in questo istituto di eventi critici che sono invece ben noti altrove, e le opportunità offerte per la rieducazione e l’integrazione nella società civile così insistentemente richiamate dagli organismi internazionali e nazionali (la Corte di Giustizia Europea, la Presidenza della Repubblica e lo stesso Ministero della Giustizia) non possono ancora una volta essere sacrificate per ossequio ai soli principi di economicità e di rivisitazione della spesa pubblica. Peraltro, anche in questo senso, voglio ricordare che i servizi e le attività sono garantiti solo da 31 unita di personale di polizia penitenziaria, dunque con un rapporto tra addetti e detenuti del 30%, ben lontano da logiche di sprechi”. Palermo: si è svolto Convegno nazionale “Carceri, Salute, Società: lo sguardo volontario” di Francesca Del Grosso www.ilmoderatore.it, 8 dicembre 2012 “Il carcere rappresenta per i reclusi il primo incontro con la sanità, esistono soggetti che non hanno mai effettuato le analisi del sangue”. Queste le parole amare del presidente della Comunità di Sant’Egidio e coordinatrice del progetto “Salute senza barriere”, Stefania Tallei, intervistata da il moderatore.it in occasione del convegno nazionale “Carceri, Salute, Società: lo sguardo volontario”, tenutosi presso Palazzo delle Aquile di Palermo. La Tallei, che vive in prima persona da più di vent’anni la realtà delle carceri, ha messo in evidenza il diritto imprescindibile alla sussistenza dei detenuti, che in questi tempi di crisi dichiara “diviene sempre più complicato garantire”. Un incontro organizzato dal forum nazionale, per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale, che affonda le sue radici nel 1999, all’indomani dell’approvazione del decreto legislativo n.230 del 22 giugno di quell’anno, avente ad oggetto “il riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5, della legge del 30 novembre 1998, n. 419”. Ad avviare in prima istanza la conferenza, il Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia, Salvo Fleres, che dopo un breve omaggio al ricordo di Leda Colombini, ex deputata parlamentare ed ex presidente del forum che ha svolto un ruolo attivo nell’ambito delle carceri e tristemente scomparsa nel 2011, ha sottolineato l’importanza di affrontare problemi come le carenze logistiche e organizzative delle strutture, la mancanza di operatori sanitari, il sovraffollamento. Ricordiamo che il tasso di affollamento delle carceri italiane è di circa il 142,5% rispetto alla media europea che è del 99,6%. A detta di Fleres “Il detenuto è un protagonista passivo. L’opinione pubblica guarda alla condizione dei detenuti dal buco della serratura, non captandone la reale condizione di disumanità in cui versano”. “Non bisogna prescindere dall’articolo 27 della Costituzione che dispone “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” ha proseguito. Il Dott. Gianfranco Costanzo, rappresentante della Inmp ha spiegato la necessità di andare in giro per le carceri : “È in corso un progetto che prevede il giro di 9 case circondariali al fine di raccogliere, attraverso un questionario, le esigenze, i bisogni, le paure, che vivono i detenuti, accendendo in loro la speranza affinché le istituzioni non rimangano indifferenti. La prossima tappa è prevista a Cagliari, il prossimo ‘11 dicembre”. A tutt’oggi la regione Sicilia non ha ancora assunto le competenze necessarie in materia di sanità penitenziaria e il difficile momento economico, sociale e politico, che mette con le spalle al muro l’amministrazione regionale, non lascia ben sperare per un repentino miglioramento. Bologna: agenti carcere in sciopero della mensa, stanchi di cattiva qualità e di odori sgradevoli Ansa, 8 dicembre 2012 A partire da lunedì tutte le organizzazioni sindacali del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri - Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Ugl, Fns-Cisl, Cnpp, Cgil - sosterranno la protesta del personale in servizio nella Casa Circondariale Dozza di Bologna, che si asterrà dalla consumazione del pasto nella locale mensa, a causa della cattiva qualità dei pasti distribuiti e per la scarsa igiene dei locali destinati al consumo. Lo scrive in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. ‘Da quanto ci è stato segnalato - dice Durante - sembrerebbe che l’intera area destinata alla consumazione dei pasti sia satura di odori sgradevoli e poco consoni ad un locale di ristorazione. Probabilmente la causa di tali odori pesanti è da ricondurre allo scarso e non idoneo trattamento igienico dell’ambiente e delle superfici, dove sarebbero stati riscontrati frigoriferi rotti da mesi, una griglia in ferro piena di residui alimentari accumulati da tempo e posta sotto i fornelli. Oltre alla cattiva qualità dei pasti sembra che non venga rispettato il menu giornaliero. Nelle ore serali i pasti, oltre ad essere di pessima qualità, sarebbero insufficienti; inoltre, vi è la presenza di un solo addetto che funge da cuoco e da lavapiatti contemporaneamente. Per tutte queste ragioni il personale, ormai stanco, sostenuto dalle organizzazioni sindacali, a partire da lunedì si asterrà dalla consumazione dei pasti. Ricordiamo che è già la seconda volta che il personale è costretto a ricorrere a tale forma di protesta, sempre per le stesse ragioni. Roma: Ugl; incontro “Per un’europeizzazione della sanzione penale oltre lo spazio chiuso” Agenparl, 8 dicembre 2012 Lunedì 10 dicembre, alle ore 16:00, presso la Sala delle Bandiere della sede del Parlamento Europeo a Roma, in via IV Novembre, si terrà la Tavola Rotonda organizzata dall’Ugl Polizia Penitenziaria sulla futura mission della categoria, dal tema “Per un’europeizzazione della sanzione penale oltre lo spazio chiuso”. Partecipa il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella. Al centro del dibattito la drammatica situazione delle carceri italiane, dovuta anche all’eccessivo sovraffollamento, e la necessaria riforma dell’ordinamento del personale di Polizia Penitenziaria, finalizzata a migliorare l’efficienza e l’efficacia dei difficili compiti assegnati alla categoria. Per Giuseppe Moretti, segretario nazionale della Federazione, “in un momento in cui la compressione dei diritti contrattuali è ancor più complicata dalla prospettiva di un accesso pensionistico sempre più penalizzante, occorre interrogarsi su come intervenire per dare nuovo significato all’azione istituzionale di una forza di polizia sempre più in declino organizzativo e con a disposizione mezzi ormai superati e strutture carcerarie ormai al collasso, tanto da essere ben lontani dagli standard europei sulla cosiddetta umanizzazione della pena”. Campobasso: Sappe; detenuto aggredisce agente, situazione oltre il limite della tolleranza Agi, 8 dicembre 2012 Tensione nel carcere di Campobasso, dove un detenuto lavorante campano ha aggredito un poliziotto penitenziario, che è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. La denuncia arriva dal Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che in una nota del segretario generale Donato Capece parla di situazione “ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici nelle sovraffollate prigioni italiane, a tutto discapito dell’operatività e della sicurezza dei Baschi Azzurri”. Capece, che proprio nei giorni scorsi è stato in visita nei penitenziari del Molise, aggiunge “vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà al collega del carcere di Campobasso che è stato improvvisamente e violentemente colpito ma che ha comunque contenuto l’aggressività del detenuto e impedito che la situazione potesse ulteriormente degenerare. L’aggressione, improvvisa e proditoria, è l’ennesima ai danni di appartenenti alla Polizia Penitenziaria e avviene il giorno di un altro grave evento critico in carcere, e cioè la morte per suicidio di un detenuto ad Ariano Irpino. La situazione penitenziaria resta e rimane allarmante e le risposte dell’Amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole, come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica, che accorpa e abolisce posti di servizio dei Baschi Azzurri mantenendo però in capo alla Polizia penitenziaria l’aggravante penale della colpa del custode (articolo 387 del Codice penale)”. A parere del segretario generale del Sappe, “il Dap favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria ma di fatto tutto ciò impedirà ai poliziotti di intervenire in tantissime situazioni critiche tra le quali proprio i suicidi”. Il Sappe auspica quindi “urgenti interventi dell’Amministrazione Penitenziaria” e rinnova l’invito alle istituzioni di “arrivare a definire circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale e l’espulsione dei detenuti stranieri in Italia. Quello che invece non serve è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla Polizia Penitenziaria, come invece previsto dalla recente nota del Capo Dap Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Lucera (Tg): giocattoli ai figli dei detenuti, iniziativa dell’Associazione “Lavori in Corso” www.lucerabynight.it, 8 dicembre 2012 Il 21 e 22 dicembre 2012, a ridosso delle festività natalizie, tutti i bambini che si recheranno presso la Casa Circondariale di Lucera per far visita ai propri genitori riceveranno, al momento dell’accoglienza, un nuovo giocattolo. L’iniziativa, realizzata per aderire alla “Giornata a favore dei figli minori dei detenuti in occasione delle festività natalizie”, promossa dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenzia, sarà resa possibile grazie alla collaborazione tra la Casa Circondariale di Lucera, il Cral del Comune di Lucera e l’associazione Lavori in Corso. Il significato di questo originale “benvenuto” riservato ai bambini che entreranno in carcere esulerà dall’eventuale necessità economica del nucleo di appartenenza, e risiederà nell’opportunità di riservare ai più piccoli una accoglienza adeguata alla loro età, in un periodo in cui, per le prossimità delle feste e del clima che le caratterizza, può rivelarsi più pesante e difficile la lontananza dai propri cari. Soprattutto considerato che l’appuntamento del colloquio può costituire per i bimbi sia un momento di gioia che un momento di ansia e tensione, soprattutto durante il tempo dell’attesa determinata dai controlli che necessariamente precedono l’accesso in istituto. Ecco perché i volontari dell’associazione “Lavori in Corso” inseriranno la distribuzione dei giocattoli proprio in quello spazio temporale, accompagnandola con animazione e giochi. L’intera cittadinanza è stata coinvolta per la raccolta dei fondi necessari, grazie alla collaborazione di scuole e parrocchie. Ancona: Giornata di solidarietà per detenuti, recital percussionista e scrittore a Montacuto Ansa, 8 dicembre 2012 Il carcere di Montacuto apre le porte al percussionista Tony Cercola e allo scrittore Antonio G. D’Errico per una giornata di solidarietà a favore dei detenuti in occasione del Natale in programma il 10 dicembre alle 13, a cui potranno assistere anche i giornalisti. La parte musicale è affidata a Cercola, collaboratore di Pino Daniele, Edoardo ed Eugenio Bennato, Edoardo De Crescenzo, detto “il nomade del Vesuvio”, che sarà accompagnato dal chitarrista Francesco Di Vicino e dal volontario Andrea Celidoni, insegnante di musica ai detenuti. D’Errico, autore di biografie di Finardi e Mimmo Cavallo, leggerà poesie tratte dalla raccolta ‘Zenit’ scritta a quattro mani con Donato Placido. Lo scrittore sta inoltre lavorando ad un libro sul caso di Roberto Straccia, l’universitario di Moresco (Fermo) scomparso a Pescara e trovato morto in mare a Bari, scritto insieme al padre del giovane. Lodi: uscire dal carcere è il problema, l’Associazione “Microcosmi” aiuta a ricominciare Il Cittadino, 8 dicembre 2012 Il momento dell’uscita dal carcere è quello più delicato, a qualsiasi punto si situi: alla fine dell’intera pena scontata o tramutato in detenzione domiciliare, passa anche dal difficile ricongiungimento familiare. “E il lavoro è il momento centrale di tutto il percorso di reinserimento” attesta Grazia Grena della cooperativa Microcosmi, intervenuta mercoledì sera all’oratorio di San Fereolo. In questa parrocchia il gruppo Caritas vuole conoscere maggiormente come aprirsi ai fratelli che hanno avuto o hanno a che fare con il carcere, in un quartiere con la concentrazione più alta di arresti domiciliari o detenzioni domiciliari. “Vogliamo fare qualcosa, non per imporre la nostra fede, ma per servire l’uomo, colui che soffre e ha bisogno”, ha detto il parroco don Peppino Raimondi, in un’aula affollata soprattutto da volontari. “Sono 179 i lodigiani che stanno scontando una pena, ma nel carcere di Lodi ci sono 95 detenuti, quindi è alto il numero di chi si trova presso una comunità o ai domiciliari. Potrebbero essere nostri vicini di casa, in situazione di bisogno; insieme al condannato è l’intero nucleo familiare ad essere lasciato solo”, ha affermato la Grena. L’aiuto dei volontari, che con la responsabile Mina Leporelli già conoscono alcune situazioni e sostengono famiglie in difficoltà, si inserirebbe allora in una rete già esistente e creerebbe relazioni positive: fare la spesa, scambiare due chiacchiere, ascoltare. “Ci sono sbarre invisibili, norme da conoscere e rispettare anche per chi semplicemente fa loro visita, ma sono necessarie persone che abbiano voglia di affrontare questa tematica”, ha detto ancora Grena, impegnata nel progetto La via d’uscita: lo sportello in via Gorini dal 2008 intercetta situazioni legate proprio al momento di uscita dal carcere. “Ogni anno riusciamo ad accompagnare nel reinserimento lavorativo 20 persone, una cifra non da poco per Lodi, ancor di più oggi quando trovare lavoro è quasi impossibile per tutti”, ha aggiunto, mentre Michela Sfondrini, con lei nell’associazione Loscarcere, ha fornito dati sulla situazione carceraria italiana. “In 206 carceri dovrebbero esserci 45.528 detenuti: ad oggi sono 66.300. Il sovraffollamento impone una promiscuità disumana”, ha affermato. Chi sconta la pena dentro fino all’ultimo giorno, per il 70% torna a delinquere; con misure alternative si scende dal 15 al 19%. Chi ha commesso reati rimane sempre una persona, aiutarla a venire fuori da questa situazione perché fuori ci rimanga, è bene per tutti, anche per lo Stato”. E la Grena ha concluso: “La comunità può diventare una mediazione nel ricucire gli strappi creati col reato. Le relazioni sono un processo lento, nascosto, ma ripagano tutti da tutti i punti di vista”. Raffaella Bianchi Saluzzo (Cn): il premio Casalini a racconto sul Premier Mario Monti che finisce in carcere www.targatocn.it, 8 dicembre 2012 La consegna ieri, nella casa di reclusione di Saluzzo, con Lucia Casalini e Ernesto Ferrero del Salone del Libro di Torino. Si chiusa, mercoledì 5, nel carcere “Rodolfo Morandi” di Saluzzo, l’undicesima edizione del Premio letterario “Emanuele Casalini” riservato ai detenuti delle carceri italiane e dedicato al ricordo della figura dell’educatore, fondatore e presidente dell’Unitre del carcere di Porto Azzurro, che con l’Unitre di Volterra e il Salone internazionale del libro di Torino, in collaborazione con i Presidi del libro, organizza l’iniziativa. La giuria, composta da Giuseppe Benelli, Fabio Canessa, Mimma Giuffaro, Raffaella D’Esposito, Paolo Ferruzzi, Pablo Gorini, Carla Sacchi Ferrero, con una new entry, Marco Pautasso del Salone de libro di Torino e presieduta da Ernesto Ferrero, direttore del Salone stesso, ha assegnato il primo premio della sezione narrativa al libro di Francesco Antonio Garaffoni “Il giorno che la terra prese un altro giro”. Un apologo sul tema dell’innocente incarcerato ingiustamente, che ha già avuto eco mediatica, perché, ispirandosi alla vicenda carceraria di Enzo Tortora, l’autore (presente alla cerimonia saluzzese) immagina che il Presidente del Consiglio Mario Monti, del quale vengono mantenuti i modi gentili ed eleganti, si ritrovi recluso in una prigione, senza motivi, con l’accusa di omicidio. Un efficace espediente per descrivere le condizioni di vita dei detenuti nelle carceri italiane, in un quadro di coinvolgente umanità. Nella cerimonia, a cui ha partecipato anche il vescovo monsignor Guerrini e il sindaco Paolo Allemano, è stato sottolineato il valore sociale del Concorso letterario che si lega in questo, al Salone torinese e al progetto Voltapagina, che ogni anno porta nel carcere Rodolfo Morandi di Saluzzo e in quello di Asti, libri e autori. Giorgio Leggieri, direttore della casa circondariale saluzzese, ha evidenziato l’importanza del promuovere la cultura in carcere in tutte le sue espressioni, quale strumento fondamentale di riscatto. Elencando le attività culturali dell’istituto di pena che dirige, ha ringraziato la preside del liceo Soleri-Bertoni, Alessandra Tugnoli, insieme alle insegnanti, operatori, volontari, Polizia interna, che consentono l’attività scolastica delle due classi del liceo artistico. Didattica svolta in due circuiti di trattamento carcerario differenti: un primo anno per i detenuti dell’Alta sicurezza e un secondo anno per i detenuti della Media sicurezza. Apprezzamento per l’iniziativa espresso anche dall’assessore provinciale alla Cultura Licia Viscusi. “Questo è il carcere delle persone civili che riconosce nei reclusi anche l’attività intellettuale - le parole di Enrico Sbriglia, Provveditore regionale Amministrazione Penitenziaria - scrivere è volare, sognare, rappresentare sé stessi, riconoscere i propri errori per scavalcarli e non ricadere”. Sulla potenza della scrittura che crea un ponte tra la solitudine dell’interno e il fuori, si è soffermata l’introduzione di Ernesto Ferrero - scrivere è il modo migliore che abbiamo per comunicare noi stessi, per liberarci dall’angoscia, per far conoscere storie, per il piacere di raccontarle. Perché l’immaginazione porta più lontano di un cavallo alato” - ha sottolineando lasciando alla platea, tra la quale le due classi di detenuti, due pensieri da mettere “sotto vetro”. Uno di Calvino “L’arte di scrivere storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita, tutto il resto”. E il secondo, di Gianni Rodari, dal valore democratico “Tutti gli usi della parola a tutti… Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”. Lucia Casalini, “mamma Lucia” come viene chiamata, ha raccontato la storia di questo premio itinerante, nato nel 1990, quando a Porto Azzurro, si attivò l’Unitre , in un momento in cui nelle carceri italiane, non c’era nulla, né scuola, né attività culturali o ricreative. “Un unico vero neo della manifestazione - ha detto - il fatto che i detenuti vincitori del Premio, per motivi organizzativi, non possano essere con noi”. Le ha risposto indirettamente la frase “Sono felice che almeno la mia anima in qualche modo possa uscire di qui” scritta da Marco Corradini, uno dei 420 concorrenti dell’edizione 2012, che non ha vinto, ma è riuscito a far uscire dalla sua scrittura un sentimento profondo che riassume l’essenza del concorso. Per la sezione narrativa oltre a Francesco Garaffoni, primo classificato con il “Il giorno che la terra prese un altro giro”, sono stati premiati: al secondo posto ex-aequo Massimiliano Maiocchetti “600 secondi” e Santi Pullarà “Elia davì”. Sempre ex-aequo, al terzo posto Gavino Chessa “A come... attesa” “B come Boccaccio” “C come cerco casa”: tre racconti che iniziano con le prime tre lettere dell’alfabeto. Insieme a lui Carmelo La Licata con “Ricordi di Ortigia”. Per la sezione poesia primo premio a Vittorio Mantovani “Roubaix”, il secondo ad Aral Gabriele con L’amara roccia di Volterra” in cui il pluripremiato del Casalini scrive “Non è l’ignoto che spaventa / né gorghi né flutti perigliosi, / ma un giorno conosciuto / che corre all’infinito”. Il terzo premio ad un libro di poesia molto bello, scritto a due mani da Carlo Rao e Christian Calderulo “Nel giardino dei matti”, di cui Calderulo ha dato lettura di alcuni passi durante la premiazione. In concorso tanti racconti, storie di vita, poesie, sogni e apologhi, di italiani, ma anche dei tanti stranieri immigrati da tutto il mondo che trovano nell’esercizio letterario della lingua italiana un’ulteriore occasione per misurarsi concretamente con i temi dell’integrazione e del riscatto. Le opere premiate e quelle segnalate sono state raccolte come ogni anno nel volume “L’altra libertà”. Padova: “Tutto quello che rimane”, 20 anni di teatro-carcere con il Tam Teatromusica Ansa, 8 dicembre 2012 “Tutto quello che rimane”, spettacolo di Tam Teatromusica, porta in scena il 10 e l’11 dicembre prossimi alla sala Fronte del Porto di Padova vent’anni di lavoro nel teatro-carcere della compagnia padovana, considerata un’eccellenza a livello nazionale. È l’occasione per conoscere il lavoro ventennale di Tam con i detenuti del carcere padovano, attività per cui ha ottenuto notevoli riconoscimenti anche istituzionali: un teatro-verità, nato giorno per giorno traendo dalla realtà di ciascun detenuto elementi mitobiografici universali, arricchiti da suoni, immagini, musiche, parole e gesti. La proposta si inserisce nel cartellone di “Contrappunti - Senza fissa dimora”, rassegna di teatro, musica e danza di Tam Teatromusica promossa insieme all’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova, Arteven-Regione del Veneto, con il sostegno del Ministero per i Beni e le attività culturali, in collaborazione con il Consiglio di quartiere 4 e 5 del Comune di Padova e la Fondazione Hollman. Lo spettacolo, ideato e diretto da Michele Sambin, ripercorre, assembla, taglia e ricuce l’esperienza comune a partire dal lontano 1992, rimettendola in gioco in una nuova forma. Senza un criterio cronologico, in scena vengono ricostruite le attività con i detenuti riattraversando alcuni spettacoli, scegliendo da ognuno gesti e parole, immagini video e suoni, materiali e motivi ricorrenti. In scena Pierangela Allegro, Loris Contarini, Claudia Fabris, Alessandro Martinello e Michele Sambin: cinque testimoni che dialogano con le immagini, rivivono un percorso emotivamente intenso e coinvolgente per riportare alla memoria il percorso creativo e rieducativo compiuto. Roma: regali solidali con i prodotti “made in carcere”, ieri l’inaugurazione del mercatino Adnkronos, 8 dicembre 2012 “Il carcere non è solo negatività”. Ad affermarlo è Giovanni Tamburino, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria inaugurando il mercatino “Prodotti dal carcere”, organizzato a Roma nel Museo Criminologico di via del Gonfalone. Sui banchi: panettoni, biscotti, caffè, vino, miele, olio ma anche magliette, borse, cosmetici, realizzati dai detenuti di alcuni penitenziari italiani,. “Bisogna far sapere all’opinione pubblica - continua Tamburino - che ci sono criticità ma non è giusto non far sapere quello che funziona”. Gli stessi prodotti in esposizione dimostrano, secondo il capo del dipartimento “che ci sono realtà funzionanti e positive. Qui vediamo - prosegue - che il lavoro in carcere è una realtà effettiva in un certo numero di istituti. Ora dobbiamo pensare di estenderlo superando alcune difficoltà”, tra le quali “la disabitudine al lavoro di una parte della popolazione carceraria”. Gli fa eco Simonetta Matone, vice capo Dipartimento amministrazione penitenziaria, secondo la quale: “Questo mercatino è l’emblema di quello che il carcere può essere, che non è solo segregazione, esclusione, sovraffollamento e suicidio ma è anche una miriade di iniziative che però non trovano mai voce”. Un evento con cui “cerchiamo di far capire che il carcere è una realtà piena di infinite potenzialità. Il problema è riuscire a realizzarle e farle decollare”. Cinema: Premio Patroni Griffi ad Aniello Arena e ad attori detenuti Compagnia Fortezza Ansa, 8 dicembre 2012 Ad Armando Punzo, direttore della Compagnia della Fortezza, attiva al carcere di Volterra da oltre 20 anni, e all’attore detenuto Aniello Arena, protagonista del film “Reality” di Matteo Garrone (Grand Prix della Giuria a Cannes 2012) è stato assegnato il ‘Premio Peppino Patroni Griffi 2012’ nell’ambito dell’International film festival di Capri (26 dicembre - 2 gennaio), riconoscimento andato in passato a Michael Radford, Ben Gazzara, Michele Placido, Massimo Ranieri, Massimo Ghini e Toni Servillo. “Il Laboratorio Teatrale nel Carcere di Volterra, sotto la direzione del napoletano Armando Punzo, si è imposto come un modello per la realizzazione di progetti di teatro in carcere in tutto il mondo”, si legge nella motivazione del premio presieduto da Aldo Terlizzi Patroni Griffi, erede del grande regista partenopeo. “Punzo con passione e rara abilità - si legge ancora - ha dato vita a un vero e proprio teatro stabile, il primo mai realizzato in carcere, producendo ogni anno uno spettacolo nuovo, e raccogliendo più volte premi Ubu, l’oscar del teatro italiano”. A consegnare il premio saranno gli attori Nando Paone, Ciro Petrone e Loredana Simioli, interpreti del film di Garrone che ha conteso a “Cesare deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani (altro film interpretato da attori detenuti) la candidatura italiana all’Oscar 2013 nella categoria miglior film straniero. Il premio Patroni Griffi 2012, il 29 dicembre, sarà l’epilogo di una giornata di lavori al Simposio di Capri sul tema “educazione più cultura equivale meno criminalità”, presieduto dall’avvocato Roberto Ruggiero, socio onorario dell’Istituto Capri nel mondo. Tra le altre testimonianze attese l’intervento del capo relazioni esterne della Polizia di Stato Maurizio Masciopinto che insieme ai responsabili del carcere minorile di Nisida racconterà l’esperienza del calendario della Polizia 2013 realizzato dai giovani detenuti. Capri, Hollywood 2012, che quest’anno presenta una edizione attenta al sociale con la partecipazione di artisti impegnati a favore delle popolazioni terremotate dell’Emilia, è un evento prodotto da Pascal Vicedomini, promosso dall’Istituto Capri nel Mondo con il sostegno della Direzione generale Cinema Mibac e il patrocinio della Regione Campania, della Camera di Commercio di Napoli e dell’Unicef. Immigrazione: “Betwixt and Between”… ricerca internazionale “boccia” il Cie di Torino Redattore Sociale, 8 dicembre 2012 Presentato il rapporto indipendente dell’International College of Turin, realizzato da giuristi ed esperti di diritti umani: “Le persone languono bloccate in un limbo”. Il centro di identificazione e di espulsione di Torino è dentro la città, fra piazze, parchi e negozi, ma sembra “un altro mondo”. Lo definisce così la ricerca “Betwixt and Between”, realizzata dall’International College of Turin, in collaborazione con Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) e la facoltà di legge dell’Università di Torino. Arriva così l’ennesima bocciatura del sistema italiano dei Cie da parte di un’investigazione indipendente. L’indagine, presentata oggi a Torino dai curatori, fra cui l’avvocato Maurizio Veglio e Ulrich Stege, ha esaminato la detenzione dei migranti irregolari nel Cie di Torino fra gennaio 2011 e giugno 2012 attraverso 29 interviste di circa 90 minuti condotte con i reclusi, con ex trattenuti, avvocati, operatori delle Ong, volontari religiosi e un giornalista. “Nel corso del nostro rapporto abbiamo scoperto che le violazioni dei diritti umani nel Cie di Torino sono così endemiche e pervasive che chiamano in causa l’esistenza stesse di queste strutture - scrivono i ricercatori - il cui stato attuale è insostenibile, considerato anche che le persone detenute nel Cie non stanno scontando una pena per avere commesso un crimine. Piuttosto, languono in queste strutture a causa di una mancanza di supporto sistemica da parte del Paese d’origine e di quello di residenza e sono bloccati in un limbo: Betwixt and Between”. Il rapporto indaga le condizioni di detenzione e il processo legale e giuridico per capire fino a che punto e come vengono applicate la legge sull’immigrazione e la normativa sui diritti umani italiane, europee e internazionali, all’interno del Cie di Torino. Fra gli aspetti trattati ci sono: le relazioni familiari e con i figli fuori dal Cie, il rapporto fra il carcere e il centro, gli aspetti della vita quotidiana come l’igiene, i pasti e le attività, le questioni sanitarie, le relazioni con lo staff del Cie e fra i reclusi, la comprensione che i migranti hanno del posto in cui si trovano trattenuti, il ruolo degli avvocati e quello delle ambasciate che devono procedere all’identificazione. L’indagine è stata condotta senza poter intervistare gli operatori della Croce Rossa che gestisce il Cie e della prefettura, sottolineano i ricercatori. Questi alcuni aspetti critici del Cie di Torino, secondo le conclusioni della ricerca. I reclusi non partecipano a tutte le udienze che prorogano la detenzione, nonostante le pronunce della Cassazione in merito. Manca nelle garanzie legislative italiane la possibilità di dare assistenza speciale a casi particolari che necessitano di consulenze più approfondite con dottori e psicologi o di scriverne report. Non è garantita una piena assistenza linguistica attraverso tutta la procedura legale. I militari e la polizia che operano nel Cie di Torni non hanno avuto una formazione adeguata sulla legge internazionale sui diritti umani e sulla loro attività in presenza di richiedenti asilo o vittime di tortura. Viene espressa “grande preoccupazione” per il fatto che il giudice di pace decide sulla libertà personale dei migranti irregolari. I reclusi che provengono dal carcere lo descrivono come molto migliore del Cie. Storie kafkiane dal Cie di Torino I racconti dei trattenuti per la prima volta studiati da ricercatori internazionali nell’indagine “Betwixt and Between”. Ci sono madri migranti separate da figli nati in Italia, che rischiano il rimpatrio. Giovani nati qui e non riconosciuti come italiani I migranti irregolari trattenuti nei centri di identificazione e di espulsione sono persone con pochi diritti, solitamente invisibili a causa della doppia condizione di irregolarità e di reclusione dovuta alla mancanza del permesso di soggiorno. Per la prima volta, il loro punto di vista, il loro racconto della detenzione nel Cie è stato usato come la fonte privilegiata e informale per una ricerca indipendente internazionale. Il rapporto si chiama “Betwixt and Between: Turin’s Cie” e si riferisce alla condizione di limbo che vivono i trattenuti in attesa dell’identificazione da parte delle autorità consolari del proprio paese. È stato presentato oggi a Torino dai ricercatori dell’International University College. Sono chiamati “ospiti”, ma “non possono andarsene secondo la propria volontà”, scrivono gli autori del rapporto. Nonostante la condizione sia quella dei reclusi in una struttura che “potrebbe essere peggiore del carcere”, la legge italiana prescrive che sono “trattenuti” e non “detenuti”. “Un processo di astrazione linguistica che forse intende separare la detenzione amministrativa del Cie da quella penale del carcere”, si legge nel rapporto. Attraverso una serie di contatti informali, i ricercatori hanno potuto intervistare alcuni “trattenuti”. Le loro storie raccontano una “situazione kafkiana”. Una madre che rischia la deportazione pur essendo residente da molto tempo in Italia e con una figlia di nove anni nata in Italia, che conosce solo questo Paese come patria e va a scuola. La bambina è stata separata dalla madre per almeno cinque mesi, cioè da quando la donna, una peruviana, è stata rinchiusa nel centro, secondo quanto testimoniato al momento dell’intervista. Queste sono vicende frequenti nei Cie, soprattutto con la crisi economica, la carenza di lavoro e il passaggio conseguente di migliaia di persone nell’irregolarità. “L’effetto potenziale sui bambini dei migranti e sulle loro famiglie è estremamente preoccupante” sottolinea la ricerca. Una della storie che ha colpito maggiormente i ricercatori è quella di G. nato in Italia nel 1983 da madre marocchina e padre italiano, al di fuori del matrimonio. Sul certificato di nascita italiano non è riportata la paternità. La madre, essendo rimasta sola e senza aiuto con un bambino piccolo, decise di tornare con lui in Marocco poco dopo la sua nascita. Il giovane è rimasto in Maghreb fino all’età di 22 anni. Nel frattempo, nel 1999 il padre è morto in Italia. Nel 2006 G. ha raggiunto l’Italia sentendosi per metà italiano, nonostante l’opposizione della madre che aveva avuto una così brutta esperienza in questo Paese. Arrivato in Italia, il giovane ha scoperto che la famiglia del padre, a Padova, era “razzista” (secondo le sue parole) e non ha voluto aiutarlo. Per vivere ha lavorato sotto sfruttamento in nero per un anno nell’agricoltura e poi è rimasto disoccupato. Così si è dato al crimine e ha scontato una pena di sette mesi in carcere per furto. Infine è stato recluso anche nel Cie. Nessuno l’ha aiutato a ricostruire la sua identità, ma soprattutto, G. si sente italiano e non riesce a capire perché deve stare in un centro di identificazione e di espulsione per immigrati irregolari. Turchia: l’Istituto Internazionale della Stampa denuncia “ancora 71 giornalisti in carcere” Ansa, 8 dicembre 2012 Ci sono ancora 71 giornalisti in carcere in Turchia secondo l’Istituto Internazionale della Stampa (Ipi) e l’Associazione dei Giornalisti Turchi (Tgc), riferisce oggi la stampa di Ankara. Delegazioni delle due associazioni si sono incontrate negli ultimi giorni per analizzare la situazione nel paese governato dal premier Recep Tayyip Erdogan. Secondo il vicepresidente della Tgc Turgay Olcayto la riforma del codice penale che il governo ha in programma probabilmente non darà soluzione al problema dei cronisti in carcere. “È una vergogna per la Turchia”, ha affermato. In un rapporto reso pubblico il 22 ottobre il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj) di New York ha rivelato che la Turchia detiene il record mondiale per il numero di giornalisti in carcere, più che in Cina o in Iran. Secondo il Cpj i cronisti sono detenuti in Turchia per ragioni collegate con quanto da loro scritto o per le loro attività di raccolta di informazioni. Per l’Ong internazionale il governo turco di Erdogan “è impegnato in un’ampia offensiva per ridurre al silenzio i giornalisti critici attraverso detenzione, procedure legali e intimidazione ufficiale”. Si tratta, accusa il rapporto, di “una delle più vaste campagne di repressione della libertà della stampa nella storia recente”.