Reati, persone, sicurezza sociale… conoscere il carcere per raccontarlo di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 6 dicembre 2012 Un seminario di formazione per i giornalisti nella redazione di Ristretti Orizzonti. In carcere per imparare, per conoscere, per riflettere. Il 5 dicembre circa settanta giornalisti sono entrati nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova per partecipare al quarto seminario di aggiornamento professionale dal titolo “Reati, persone, sicurezza sociale”. Questo appuntamento per la nostra redazione è diventato un punto fermo nel nostro impegno di fare informazione dall’interno del carcere. Insieme all’Ordine dei giornalisti del Veneto cerchiamo di fornire ai giornalisti alcuni spunti di riflessione e qualche utile strumento per svolgere al meglio il proprio lavoro, garantendo una corretta informazione su giustizia, carcere ed esecuzione della pena. Come ogni anno, ad iscriversi sono stati in tanti giornalisti da tutto il Veneto. Accompagnati da due agenti, abbiamo percorso tutti insieme il carcere attraverso il lungo corridoio che ti porta alla zona dove è collocato il nostro Centro di documentazione. All’entrata della biblioteca ci attendevano i compagni della redazione. “È importante capire, toccare con mano la situazione per poi raccontarla. Ecco perché siamo qui, per cercare di fare una informazione più precisa”, annuncia Gianluca Amadori, Presidente dell’Ordine del giornalisti del Veneto. Iniziano i lavori con l’intervento di Ornella Favero che tocca diversi punti, dalla vicenda di Sallusti, per come l’abbiamo vissuta quando è stato ospite della nostra redazione, alla rappresentazione sbagliata che spesso l’informazione dà del carcere. Si sofferma sui reportage che si vedono spesso e che noi chiamiamo “i santini” del carcere, in cui si descrivono delle situazioni particolari, come i panettoni di Padova, oppure il carcere sperimentale di Bollate. Certo, sono realtà importanti che però non rappresentano la drammaticità della situazione attuale che riguarda la maggioranza dei detenuti. “Dall’altra parte,” continua Ornella, “si racconta il carcere sovraffollato come un insieme di corpi nei quali si fa fatica ad identificarsi, e questo è sbagliato, perché le persone abbassano le difese pensando che la galera non li riguarderà mai, mentre già oggi, con le recenti modifiche del Codice della strada, nella nostra associazione abbiamo un ingegnere, un avvocato, un fotografo e un maestro elementare che fanno lavori di pubblica utilità in sostituzione ad una pena detentiva, gente “normale” che rischia di finire in carcere per aver bevuto un po’ più del consentito prima di mettersi alla guida”. Il relatore successivo è Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Ferrara, che analizza attraverso un approccio originale il modo in cui l’informazione parla di carcere e di sicurezza. Una riflessione lunga, quella del professore, che parte dalla concezione che Montesquieu aveva della sicurezza, passando per il giornalista che intervista i parenti di una vittima chiedendo loro se perdonano l’assassino, e arrivando a Travaglio che con i termini “svuota carceri” e “indulto mascherato” ha una suo modo di raccontare i decreti legislativi in materia di sovraffollamento, che alla fine alimenta solo la paura. Intervengono alcuni detenuti. Qamar e Luigi, partendo dal progetto con le scuole, raccontano la differenza che c’è tra il carcere che obbliga le persone detenute a stare per 20 ore al giorno stese in branda a fare nulla, e il carcere “aperto” che offre l’opportunità di confrontarsi con la società civile. Antonio spiega la mancanza di automatismi nella concessione dei benefici. Dritan, che ha appena trascorso un permesso premio in famiglia, racconta il ritorno a casa dopo 16 anni di carcere, le sensazioni nel rapportarsi con una moglie che oramai non è più la ragazza di una volta, e la difficoltà di confrontarsi con una figlia che ha visto crescere attraverso i colloqui in carcere. “Ho deciso di entrare nella loro vita in punta dei piedi” ha spiegato Dritan, “perché ho capito che non si diventa padre in un giorno”. Mauro Palma, ex presidente del Consiglio permanente contro la Tortura del Consiglio d’Europa, ha affrontato invece il tema della custodia cautelare in carcere: “La custodia cautelare è una misura provvisoria funzionale al processo penale, invece viene vista come una anticipazione della pena in risposta alla richiesta di punizione dell’opinione pubblica”. L’informazione usa il carcere preventivo come una richiesta sociale di carcerizzazione, e questo aiuta a capire perché cresce la popolazione detenuta pur non crescendo o non crescendo della stessa entità il numero di reati. Linda Arata, ex Pubblico Ministero, oggi magistrato di Sorveglianza presso il Tribunale di Padova racconta l’importanza della discrezionalità che il giudice ha nella sua valutazione. “La discrezionalità è un valore, perché mi permette di valutare caso per caso in modo attento il percorso di ogni singolo detenuto, pertanto la misura concessa non è un regalo”, ha affermato il magistrato cercando di sfatare il luogo comune che tutti escano molto facilmente dal carcere. Prendendo l’esempio della liberazione anticipata, ha spiegato ai giornalisti come quello che è meglio conosciuta come lo sconto di pena per buona condotta, è uno strumento potentissimo che presiede la vita detentiva. Lo stesso vale per i permessi premio, che sono da considerare un momento importante del percorso di reinserimento del detenuto, e anche un beneficio “sicuro”, visto il bassissimo numero di evasioni. Francesca De Carolis, giornalista di Radio Rai, che ha curato una raccolta di testimonianze in un volume intitolato “Urla a bassa voce - Dal buio del 41 bis e del fine pena mai”, dialoga con Carmelo Musumeci, detenuto condannato all’ergastolo ostativo. Insieme riflettono su chi è condannato a morire in carcere, Carmelo approfitta dell’occasione per annunciare una decisione presa da 17 ergastolani ostativi: uno sciopero della fame ad oltranza a partire dalla prossima estate. “Se abbiamo deciso di non comunicare i nomi delle persone che faranno lo sciopero, è semplicemente perché temiamo che i famigliari intervengano per fermarci”, spiega Carmelo, “ma siamo determinati ad andare avanti fino alla fine”. Dopo le relazioni, si è dedicato uno spazio importante al dibattito. Diverse le domande e le riflessioni proposte dai giornalisti presenti. Ne è seguito un confronto intenso in cui detenuti e relatori hanno saputo offrire molti spunti interessanti e riflessioni di un livello davvero alto. Alla fine gli agenti ci hanno ricordato di aver superato di molto il tempo a disposizione. Un saluto veloce, e mentre i giornalisti lasciavano il carcere, c’era nell’aria una sensazione di soddisfazione per la qualità del dibattito, il che mi permette di affermare che il quarto seminario è stato un altro passo importante in questo percorso di collaborazione costruttiva tra chi fa informazione direttamente dal carcere e chi la fa all’esterno. Giustizia: carceri nell’agenda del Csm; oggi ci sono i presupposti per un decreto legge di Marzia Paolucci Italia Oggi, 6 dicembre 2012 Ci sono i presupposti per un decreto legge che recepisca le misure strutturali di cui il carcere ha tanto bisogno. Lo dichiara a Italia Oggi il professore Glauco Giostra, componente laico del Csm e coordinatore della commissione mista, che di fronte all’emergenza del sovraffollamento carcerario studia da un anno e mezzo come ridurre la popolazione carceraria allo stretto necessario. A cominciare proprio dalla modifica del “4-bis” dell’attuale ordinamento penitenziario per liberare la materia dei benefici penitenziari da rigidi automatismi che lascino il posto a valutazioni individuali caso per caso, fatta salva la preclusione solo per delitti di matrice mafiosa o terroristica. È una delle proposte normative principe nata anche “per restituire il suo ruolo alla magistratura di sorveglianza” formulate dalla commissione mista ricostituita in seno al Csm a partire dal 2010 e riportate nella relazione appena presentata al Salone della giustizia dallo stesso consigliere e presidente della I Commissione del Csm. Il fine di questo lavoro di oltre cento pagine, spiega Giostra, va però ben oltre l’aspetto puramente emergenziale: “Si tratta”, spiega a Italia Oggi, “di una relazione che ha l’ambizione di proporre delle misure strutturali e non certo emergenziali che una volta a regime continuino a produrre i loro effetti, penso all’articolo 4-bis, al 275, terzo comma del c.p.p., all’eliminazione dello status di recidivo come condizione preclusiva di determinati benefici penitenziari e alle novità in materia di tossicodipendenza e immigrazione”. Ed ecco la proposta al governo: “Queste in particolare, per la loro più forte incidenza sul sovraffollamento carcerario, potrebbero entrare in un decreto legge per il quale ci sono tutti i presupposti di necessità e urgenza stante la grave situazione di degrado umano in cui versano le nostre carceri richiamata sia dall’attuale presidente del Consiglio che dal presidente della Repubblica”. Le misure alternative al carcere abbattono le recidive visto che, riporta la relazione, chi usufruisce dei sistemi alternativi al carcere recidiva sono nel 19% dei casi contro un allarmante 68% delle recidive per chi ha già scontato l’intera pena in carcere. Se poi il condannato è inserito in un ciclo produttivo, in altre parole lavora, la recidiva si ferma invece all’1%. Spaventa poi quel 40% di detenuti che in carcere attendono la sentenza definitiva: sono così saltati quei limiti minimi che dovrebbero guidare l’applicazione della custodia cautelare in carcere alla stretta indispensabilità. La commissione, nel suo lavoro, ha seguito un duplice canale di riforma: uno di carattere prevalentemente normativo e l’altro organizzativo. Nel primo caso, tra le varie modifiche normative spiccano quelle relative alla materia dei benefici penitenziari, in altre parole le misure alternative al carcere e alla custodia cautelare obbligatoria. In materia di articolo 4-bis, sui limiti all’accesso dei benefici penitenziari (lavoro esterno, permessi premio, affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare), la proposta è quella di ricondurre la norma alla sua ratio originaria del 1991-92 che li prevedeva solo per reati di mafia o di terrorismo mentre oggi la preclusione vale anche per una nutrita serie di reati dalla riduzione in schiavitù al narcotraffico, a meno che la persona non diventi collaboratore di giustizia. Da eliminare, secondo la commissione, anche le preclusioni all’accesso ai benefici per i recidivi così come i casi di custodia cautelare in carcere obbligatoria preferendo a riguardo estendere le misure interdittive. In materia di interventi su leggi speciali, in materia di stupefacenti, la proposta qui è quella di attenuare la severità del trattamento sanzionatorio e nei confronti dei detenuti stranieri di convertire la detenzione in espulsione. In materia organizzativa, invece, la commissione ha elaborato più soluzioni per migliorare tempestività ed efficacia delle decisioni della magistratura di sorveglianza a cominciare dalla fissazione delle udienze collegiali in tempi brevi, dal coordinamento continuo tra la direzione carceraria e l’ufficio del magistrato di sorveglianza in materia di istanze di liberazione anticipata. Completano il quadro anche le proposte di intesa con Dap e gli enti territoriali per il potenziamento del personale di polizia e amministrativo ma anche quelle intese con le università e le province per assegnare borse di studio a giovani laureati da impiegare nelle cancellerie dei tribunali di sorveglianza. La pena dell’ergastolo nel mirino della Corte dei diritti dell’uomo di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 6 dicembre 2012 La Grande Camera della Corte Europea dei diritti umani si è da alcuni giorni ritirata in camera di consiglio per deliberare intorno alla legittimità della sanzione penale dell’ergastolo. Il caso è Vinter e altri contro Regno Unito. L’udienza pubblica si è tenuta lo scorso 28 novembre e il collegio ha deciso di prendersi qualche giorno per deliberare, vista la delicatezza della sentenza che dovrà emettere. La Corte ha deciso di convocare le Camere riunite a seguito di una giurisprudenza europea non uniforme sul tema. La questione è stata sollevata da tre detenuti inglesi i quali hanno lamentato che il loro imprigionamento a vita, senza prospettiva di rilascio anticipato, determinerebbe un trattamento inumano e degradante tale da violare l’articolo 3 della Convenzione del 1950. La legislazione inglese e gallese prevede che il tribunale, in sede di cognizione, possa esplicitare che la condanna carceraria a vita debba essere scontata per intero in prigione. In questi casi l’unica chance che gli ergastolani avrebbero per uscire prima è la concessione della grazia, che spetta al Segretario di Stato. La legislazione risale al 1965 e comprende anche le norme abrogative della pena di morte. Allora fu ritenuta un passo in avanti dal punto di vista del riconoscimento dei diritti umani. La decisione della Grande Camera, pur riguardando un caso inglese, non potrà non ripercuotersi sulla legislazione italiana. In Italia la Corte Costituzionale ha in passato affermato che la legittimità dell’ergastolo risiede nel fatto che la normativa penale e penitenziaria consente una rimessione anticipata in libertà. Se così non fosse vi sarebbe, secondo i giudici costituzionali, una violazione dell’articolo 27 della Costituzione nella parte in cui prevede che la pena debba avere una funzione rieducativa. La Consulta non ha invece usato quale parametro di valutazione l’altro comma dell’articolo 27 secondo il quale la pena non deve mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. È questo invece il parametro normativo di riferimento per i giudici di Strasburgo, meno affezionati al tema, tutto italiano, della funzione della pena. La decisione della Corte europea sui diritti umani andrà a riflettersi in Italia in particolare sulla questione della legittimità dell’ergastolo ostativo. I condannati all’ergastolo per uno dei reati previsti all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario non hanno possibilità di accesso alle misure alternative e quindi di rilascio anticipato. Pertanto si tratta di ergastolani senza prospettiva di uscita, ovvero quella condizione rispetto alla quale si esprimerà in via definitiva la Corte di Strasburgo. Lo scorso 17 gennaio del 2012, proprio in riferimento al caso inglese in esame, la Corte decise che non vi era violazione dell’articolo 3 della Convenzione in materia di trattamenti inumani e degradanti. In quell’occasione, però, la Corte si spaccò. Tre giudici su sette espressero il loro parere dissenziente, anche alla luce della case-law precedente della Corte. La Grande Camera ha quindi accettato di occuparsi della vicenda in quanto l’ha ritenuta una questione che solleva un tema di valenza generale che va aldilà della normativa inglese. Tra i diciassette giudici che dovranno decidere il caso vi è anche l’italiano Guido Raimondi. Giustizia: Decreto Governo; incandidabilità condannati a pene oltre due anni reclusione Il Velino, 6 dicembre 2012 Il Decreto appena approvato dal governo prevede l’incandidabilità al Parlamento italiano ed europeo per le seguenti categorie: “coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, di maggiore allarme sociale (ad esempio mafia, terrorismo, tratta di persone). Coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, contro la Pubblica Amministrazione (ad esempio corruzione, concussione, peculato); coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. Si tratta, in questo caso, di tutte le fattispecie criminose più gravi per le quali è anche possibile applicare la custodia cautelare in carcere e che, secondo un principio di ragionevolezza e proporzionalità nella limitazione dell’elettorato passivo, sono state individuate sulla base di un indicatore oggettivo, predeterminato, senza operare alcuna selezione nell’ambito di una lista di reati che potrebbe apparire arbitraria”. Lo si legge nel comunicato stampa del Cdm. Giustizia: Radicali; contro i suicidi degli agenti il governo pensa… a un numero verde Public Policy, 6 dicembre 2012 Contro i suicidi in carcere degli operatori penitenziari, il Governo si affida, principalmente, a un numero verde e a un servizio di help line a livello nazionale (ancora da istituire). Lo ha detto in commissione Giustizia alla Camera il sottosegretario Antonino Gullo, rispondendo a un’interrogazione della Radicale Rita Bernardini (eletta nelle fila del Pd). “Nel 2011 - ha ricordato Gullo - è stato istituito un gruppo di studio, composto da elementi interni all’amministrazione penitenziaria e da psichiatri esperti del fenomeno suicidario, che al termine dei lavori ha prodotto un report. Il numero verde, non appena istituito, sarà adeguatamente pubblicizzato attraverso una campagna di sensibilizzazione tra il personale”. Il 31 luglio 2012 - ha infine detto il sottosegretario - “il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è incontrato con le organizzazioni sindacali per affrontare le tematiche riguardanti le condizioni di disagio della polizia penitenziaria, cercando di individuare gli interventi più idonei a fronteggiare una realtà drammatica, pur nella consapevolezza che gesti come il suicidio si fonda su motivazioni profondamente soggettive e su fattori che spesso non consentono alcuna previsione”. La risposta di Rita Bernardini Il Governo non si rende conto “che lo stress al quale sono sottoposti gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria dipende sia dalle gravi carenze strutturali dell’ambiente nel quale operano che dalle stesse condizioni di lavoro (turni massacranti, rinuncia a turni di riposo e a ferie, continue situazioni di emergenza)”. “Per cercare di porre rimedio al fenomeno dei suicidi - ha concluso la deputata Radicale - sarebbe dunque opportuno sanare le gravi carenze che caratterizzano il loro lavoro”. Giustizia: accordo tra Italia ed Egitto per il trasferimento in patria delle persone detenute Public Policy, 6 dicembre 2012 Sono oltre 500 i cittadini egiziani che oggi scontano una pena nelle carceri italiane, mentre nessun italiano risulta recluso in Egitto. Numeri dati dal sottosegretario agli Esteri Marta Dassù, in III commissione alla Camera, durante la discussione del disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra il Governo italiano e quello egiziano sul trasferimento delle persone condannate (C. 5586, già approvato in prima lettura dal Senato, il 15 novembre 2012), che costerà al nostro Paese “5.806 euro annui a partire dal 2012”. È stato firmato al Cairo il 15 febbraio 2001 (Governo Amato II), ed è “finalizzato - afferma il relatore Stefano Stefani (Lega) - allo sviluppo della cooperazione bilaterale nel trasferimento nello Stato di cittadinanza dei cittadini detenuti nel territorio dell’altro Stato contraente”. Un accordo che nasce dall’assenza di strumenti internazionali al riguardo, visto che l’Egitto “non ha aderito alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate”, sottoscritta a Strasburgo nel 1983 e ratificata dall’Italia nel 1988. Il trasferimento dei detenuti potrà avvenire se “la sentenza di condanna sia passata in giudicato, se la parte della condanna ancora da espiare sia pari almeno ad un anno, se il fatto che ha dato luogo alla condanna costituisca un reato anche per la legge dello Stato in cui il detenuto deve essere trasferito, e se lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione siano d’accordo sul trasferimento”. L’articolo 6 contempla “i casi di rifiuto del trasferimento del condannato da parte di uno dei due Stati”, che si verificano se “la richiesta di trasferimento concerne una pena inflitta per fatti giudicati definitivamente nello Stato di esecuzione e per i quali la pena eventualmente inflitta è stata eseguita o prescritta, o se la condanna è stata pronunciata per un reato di carattere puramente militare”. È necessario che il detenuto “presti il proprio consenso”. Potrà chiedere anche lui il trasferimento, ma saranno gli Stati a verificare se “il trasferimento potrà comportare un pregiudizio alla sovranità, sicurezza e ordine pubblico dei rispettivi ordinamenti giuridici”. Giustizia: Detenuto Ignoto; salvate Provenzano, il 41bis non può essere condanna a morte Ansa, 6 dicembre 2012 “Le sacrosante esigenze di sicurezza nei confronti del detenuto Provenzano non possono essere spinte fino al punto di pregiudicare il suo stato di salute. È proprio in casi come questo che lo Stato deve mostrare tutta la sua forza, che consiste innanzitutto nel garantire ad un suo nemico quei diritti umani fondamentali che lui ha negato alle sue vittime”. A dichiararlo sono Irene Testa e Alessandro Gerardi, dell’Associazione “Il Detenuto Ignoto”, dopo il ricovero del boss in ospedale. “Quando alcuni mesi fa andammo in visita ispettiva presso il carcere di Parma insieme alla deputata radicale Rita Bernardini - aggiungono - ci rendemmo conto di quanto Provenzano fosse gravemente debilitato e sofferente dal punto di vista fisico e di come ormai stesse perdendo o avesse già perduto il lume della ragione, al punto che ci domandammo come fosse possibile sottoporre a un regime detentivo così duro una persona anziana ridotta in quelle condizioni”. “Ci rivolgiamo quindi al Ministro della Giustizia Severino - aggiungono - affinché le misure disumane in cui sono ristretti i detenuti in 41bis, che le convenzioni internazionali definiscono tortura, non diventino atti di vera e propria bestialità. Che non accada a Provenzano quel che è già accaduto a molti detenuti in 41bis infartuati, colpiti da ictus, malati di cancro, paralizzati o costretti sulla sedia a rotelle, la cui malattia è stata diagnosticata in ritardo, che sono arrivati in ospedale quando non c’era più nulla da fare oppure che sono stati riportati in carcere subito dopo una delicata operazione chirurgica e abbandonati nella propria cella”. Giustizia: il caso Sallusti e la solidarietà cercata (male) tra i colleghi di Mauro Mellini L’Opinione delle Libertà, 6 dicembre 2012 È difficile e spiacevole dover dire a qualcuno che è stato privato della sua libertà: “tu hai sbagliato in questo o in quello”. È difficile evitare quel po’ di vergogna che ogni uomo libero sente (o dovrebbe sentire) di fronte ad un altro che, specie se ingiustamente, libero non è. Alessandro Sallusti è ingiustamente detenuto. Ingiustamente, perché per diffamazione, benché la legge preveda pene detentive anche pesanti, assai difficilmente esse vengono inflitte e, quindi, l’interrogativo “perché proprio a lui?” è legittimo e le risposte lasciano quanto meno forti perplessità. È ingiustamente detenuto perché, se la responsabilità del direttore del giornale per i reati commessi da altri, autori dello scritto, di cui non possa o non voglia rivelare il nome, è necessaria e logica, è però mera “fictio juris” che importa, quanto meno, che non si infierisca contro un “colpevole” solo presunto. E qui è inutile che ripeta che non c’entra quello che penso di quell’articolo ed il fatto che non solo non ne condivida il contenuto ma che lo consideri piuttosto stupido. La stupidità non è reato. E ciò non rende nemmeno un po’ più difficile protestare per il trattamento riservato a Sallusti. Quel che conta è che parlare di diffamazione di fronte all’espressione di una tesi politico-morale, per quanto “personalizzata” per l’occasione, è di per sé problematico. Applicare, poi, in un caso simile una pena inconsueta è sicuramente inopportuno ed ingiusto. E, poi, c’è la perplessità che nasce dal fatto che si è avuta la mano così pesante nei confronti di chi aveva osato “mancar di rispetto” ad un magistrato. Spero che questa non mi assicuri gli arresti domiciliari per il resto della mia vita (scherzo, naturalmente: non voglio mica passare per un eroe, senza assicurarmi preventivamente nemmeno la solidarietà di Marco Pannella!), ma di fronte ad un direttore di giornale condannato alla reclusione e nemmeno per un tempo trascurabile, l’interrogativo se un trattamento altrettanto rigoroso sarebbe stato riservato a qualcuno, querelato, che so, da un veterinario, da un impiegato del catasto, da un avvocato etc. etc. è tutt’altro che impertinente ed ozioso. C’erano, dunque, diversi motivi perché Sallusti potesse augurarsi di ricevere molte ed autorevoli espressioni di solidarietà. Se era (ed è) nelle sue intenzioni di sollevare un “caso nazionale”, questo non avrebbe potuto e dovuto essere che quello generico della “malagiustizia” e quello, assai più specifico, del “partito dei magistrati”, della solidarietà di casta, della suscettibilità di chi esercita la funzione giudiziaria tenendo anzitutto ad osservare l’insegnamento (interpretato in chiave maccheronica) di Sant’Agostino: “Charitas incipit a semet ipso”. Sfida rischiosa, certamente, ma certo non priva di un forte significato e di un sicuro, anche se, ahimè, circoscritto, ambito di risonanza e di consenso. Ma Sallusti ha sbagliato tutto. Ha puntato il dito contro il reato di diffamazione e contro la pena detentiva comminata dalla legge per tale reato. Ancora una volta lo ripetiamo: questo significa buttare il bambino con l’acqua sporca. Perché se ci sono ingiuste ed esorbitanti condanne alla reclusione per diffamazione col mezzo della stampa, ce ne sono sicuramente anche di giuste e di necessarie, di fronte all’uso della stampa scientemente malizioso e distruttivo dell’altrui personalità che, in molti casi, può verificarsi e si verifica. E ve ne sono di condanne a troppo tenui pene pecuniarie. Sallusti ha ritenuto che per una sua battaglia contro la reclusione per il reato di diffamazione o, addirittura, per la depenalizzazione avrebbe ottenuto la mobilitazione della corporazione dei suoi colleghi. Certo, si tratta di una corporazione potente e non priva di solidarietà e spirito di corpo. E sussiste un interesse di essa ad attenuare il regime sanzionatorio della diffamazione, specie per i riflessi sul risarcimento dei danni. Ma una corporazione, una lobby potente, non scende mai in campo per battaglie frontali, anche se non ha nessuna remora per il getto del bambino (e, forse, per così conservare l’acqua sporca). Il risultato è stato disastroso. Sallusti ha dovuto, in verità un po’ ingenuamente, lamentare che nessun direttore di giornale è andato a porsi al suo fianco quando aspettava i Carabinieri che lo andassero a prelevare al “Giornale”. Figuriamoci! Ha ottenuto sì, qualche solidarietà. Magari quella di Capezzone e di La Russa, ma si ha l’impressione, e qualcosa di più dell’impressione, che il “bel gesto” di offrirsi fieramente all’arresto (e pure ad una nuova imputazione di “evasione”) sia stato sprecato. Peccato. Mi verrebbe voglia di mandare a Sallusti recluso a domicilio, il mio libro “Il Partito dei Magistrati”, che ora avrebbe il tempo di leggere senza la preoccupazione di scrollarsi di dosso la petulanza dell’autore. Ma ciò avrebbe un sapore sottilmente crudele, che, data l’attuale condizione del mio interlocutore, che merita ogni attenzione e rispetto, non intendo proprio provocare. Chi sa, però, che alle riflessioni contenute in quel libro non pervenga da solo. Del resto esso è dedicato “a tutti quanti non leggeranno questo libro, con l’augurio che non abbiano a pentirsi di non averlo letto”. Procuratore Bruti Liberati: no carcere per casi simili Il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha inviato ai pm una direttiva affinché venga applicata la cosiddetta norma “svuota carcere” anche per altri casi simili a quelli di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale. Una disposizione di carattere generale da cui partendo da Sallusti, condannato a 14 mesi per diffamazione, si spiega come procedere nel caso in cui l’imputato o il difensore non presentino un’istanza per ottenere misure alternative. Se è “del tutto coerente con i principi di un ordinamento liberaldemocratico non imporre al condannato un percorso di rieducazione cui egli abbia ritenuto di non accedere”, allo stesso modo è coerente adottare misure per scongiurare il sovraffollamento dei carceri “per garantire il rispetto della dignità delle persone”. In due riunioni che hanno visto la partecipazione di diverse procure del Nord Italia (assente quella di Milano, ndr), il procuratore ricorda che si è arrivati a ritenere all’unanimità che “nel caso in cui il condannato non abbia presentato l’istanza di concessione della misura alternativa”, il pm “debba disporre la detenzione domiciliare, previa verifica dell’idoneità del domicilio”. In tal senso, una volta trascorsi i 30 giorni, qualora “si ritenga che sussistano tutti i presupposti e non ricorre alcuna delle situazioni ostative si procederà a disporre la sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione con contestuale trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza competente per la decisione”, così come accaduto proprio per Sallusti. “È realistico prevedere -spiega il procuratore Bruti Liberati - che i casi non siano numerosi”. Caso Sallusti: il messaggio dell’Unione Camere Penali Italiane Che i magistrati della Procura di Milano dichiarino pubblicamente che continueranno a non applicare d’ufficio la legge cosiddetta “svuota carceri” è fatto gravissimo, dal momento che questo è possibile, come ha appena dimostrato l’accoglimento della richiesta del procuratore Bruti Liberati, ed è perfettamente logico, avendo la legge la finalità di ridurre il sovraffollamento delle carceri, evitarne l’ingresso a chi abbia i requisiti per ottenere la detenzione domiciliare, tanto più che a non inoltrare richiesta sono in genere i poveracci che non hanno conoscenza dei propri diritti. Peraltro, così avviene in molti altri uffici giudiziari e non si comprende perché debba essere diverso a Milano. Si intuisce che l’avocazione del Procuratore abbia creato intolleranza e malumori, anche per il senso di favoritismo che ha potuto dare, ma le lotte intestine non sono un buon motivo per negare libertà dovute alle persone ed aggravare le condizioni delle carceri. Giustizia: caso Sallusti; la ministro Severino apre alla grazia “pronta a fare la mia parte” Libero, 6 dicembre 2012 La legge, anzi la sua applicazione, conta più della volontà del singolo cittadino. Soprattutto se la volontà del condannato, quella di andare in carcere, va contro quella giudici, che lo vogliono ai domiciliari. Insomma, fuor di metafora, il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, è un privilegiato, e quindi è giusto che resti ai domiciliari. Tutti gli altri devono andare in galera. A stabilirlo è stato il giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Guido Brambilla, che ha confermato gli arresti domiciliari a Sallusti, respingendo la sua richiesta di essere rinchiuso in una casa di reclusione. Una scelta, quella del giudice del Tribunale di Sorveglianza, che non va giù all’ufficio esecuzione della Procura di Milano, tanto da mettere nero su bianco che Sallusti è un privilegiato, creando un altro caso dentro al caso. Le toghe della sezione in questione, che non hanno condiviso la scelta del procuratore Edmondo Bruti Liberati di chiedere i domiciliari, continueranno ad applicare l’ordine di carcerazione per i condannati che nei 30 giorni dalla sentenza non chiederanno misure alternative, nonostante la legge “svuota carceri”, applicata dal giudice di Sorveglianza. Per questa ragione il caso Sallusti resterà un “unicum” e l’ufficio esecuzione non applicherà per altri detenuti la “doppia sospensione” della pena, come avvenuto per il giornalista. Un doppiopesismo sospetto, oltre che fuori luogo, dato il quadro generale. Il tutto, ovviamente, in nome della legge. A controbilanciare la posizione dell’ufficio esecuzione della Procura di Milano, definita “un fatto gravissimo” dall’Unione delle Camere penali, ci ha pensato il ministro della Giustizia, Paola Severino, la quale non interpreta la legge, ma si limita ad applicarla, così come prevede il dettato costituzionale. “Se accadrà che venga richiesta al presidente della Repubblica la grazia, io farò la mia istruttoria e darò il mio parere”, dice il Guardasigilli, riferendosi al caso Sallusti, ricordando come “la grazia, a seguito delle ultime sentenze della Corte Costituzionale, è un provvedimento presidenziale”. Dunque nessuna interpretazione, ma un percorso ben delineato e preciso sul quale si innesta l’iniziativa di Libero, La Severino ha sottolineato che “l’input non dipende da me” e che in ogni caso “è necessario che ci sia una istanza, sia pure non diretta, dell’interessato. E che comunque al presidente della Repubblica venga rivolta una istanza, ipotesi che non posso escludere, anzi”. Basta leggere Libero, potremmo suggerire al ministro. Nel frattempo Sallusti resta ai domiciliari, nella casa dove vive con Daniela Santanché. Ma sarà un “soggiorno” sereno. Per il direttore del quo ti diano di via Negri, infatti, oggi si apre un nuovo processo per un caso di diffamazione nei confronti di un altro magistrato. Proprio una toga, il giudice Giuseppe Cocilovo, era la parte civile nel processo conclusosi con la condanna definitiva per Sallusti a 14 mesi di reclusioni. Davanti al giudice della quarta sezione penale di Milano, il giornalista è imputato per omesso controllo per un’intervista pubblicata il 3 luglio 2007 su Libero, quotidiano che all’epoca era diretto da Sallusti. Imputati per diffamazione una cronista e il generale Antonio Pappalardo. Parte civile, invece, l’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. Per giovedì è prevista l’udienza del processo per evasione a carico di Sallusti. Al centro il gesto simbolico di sabato scorso con una breve uscita dai domiciliari, con la conseguente incriminazione per evasione. Intanto l’avvocato di un detenuto, - finito in carcere dopo non aver richiesto, come Sallusti, nei termini di legge misure alternative, ha deciso di sollevare un “incidente d’esecuzione” davanti al Tribunale per chiedere la revoca dell’ordine di carcerazione sulla base proprio del “trattamento” riservato al giornalista. Lettere: noi, “uomini ombra”, chiusi a vita in carcere Il Gazzettino, 6 dicembre 2012 Caro Roberto Benigni, sono “Un uomo Ombra”, un ergastolano senza benefici. Forse la nostra Costituzione sarà anche “la più bella del mondo”, come dici, ma di sicuro è anche la più inascoltata del mondo, soprattutto l’articolo 27 che stabilisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazióne del condannato”. Roberto, ma come fa una pena che non finisce mai a rieducare una persona, murandola viva fino alla morte? Roberto, il 17 dicembre in tv dacci un po’ della tua voce e della tua luce per fare conoscere all’opinione pubblica italiana e straniera l’esistenza in Italia della “Pena di morte viva”. Arturo Rocco, docente di Diritto e Procedura Penale e fratello minore del Ministro al tempo del fascismo, considerava la pena di morte una pena pietosa se paragonata a quella dell’ergastolo. E come dargli torto? Roberto, morire subito è molto più naturale che morire lentamente senza speranza e futuro, un po’ tutti i giorni e tutte le notti. Che giustizia ci potrà mai essere in una condanna a vita che ti considera cattivo e colpevole per sempre, anche quando non lo sei più? Che giustizia ci potrà mai essere in una pena che ti tiene murato vivo anche quando non è più necessario? Roberto, si può capire l’odio e il rancore e il senso di vendetta di una vittima di un reato ma è difficile accettare e comprendere quello collettivo dello Stato. Roberto, non puoi avere più nessuna fiducia nella vita se sai che la tua pena non finirà mai. Per questo alcuni di noi preferiscono scavarsi una tana nel proprio cuore per accucciarsi e domandarsi perché le persone perbene non s’inventano altri modi per fare giustizia e per farci scontare una pena in modo risarcitorio, costruttivo e utile. Roberto, per una volta, una volta sola, il giorno 17 dicembre illumina le celle degli uomini ombra con la tua luce. I nostri cuori dicono grazie. Campailla Biagio Carmelo Musumeci Dal carcere di Padova Sicilia: Di Giovan Paolo (Pd); Regione recepisca al più presto riforma sanità penitenziaria Agi, 6 dicembre 2012 “Mi auguro che la neo giunta guidata da Rosario Crocetta recepisca al più presto la riforma della sanità penitenziaria. La Sicilia infatti è l’unica regione a non averlo fatto. L’ideale sarebbe avere un medico per ogni sezione”. Lo ha affermato il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria, oggi a Palermo per il convegno “Carceri, salute, società: lo sguardo volontario”. In Sicilia si contano 7.245 detenuti, a fronte di una capienza carceraria di 5,555 posti, mentre a livello nazionale i reclusi sono 66 mila e i posti 47 mila. Per Di Giovan Paolo “bisogna lavorare per far approvare presto al Senato la legge sulle pene alternative, che ha fatto il suo passaggio alla Camera. Il sovraffollamento carcerario è ormai un allarme sociale, per questo il governo avrebbe dovuto insistere e non soffermarsi solo sulla questione della detenzione domiciliare, pur rimanendo un punto di arrivo importante che potenzialmente potrebbe consentire ad almeno un quarto dei reclusi che ne facesse richiesta di uscire dal carcere”. Padova: 17 ergastolani “ostativi” annunciano uno sciopero della fame ad oltranza di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 6 dicembre 2012 Annunciata l’iniziativa che coinvolgerà 17 ergastolani “senza speranza” in occasione di un seminario svoltosi nella struttura penitenziaria. Nasce anche nel carcere di Padova il progetto di uno sciopero della fame a oltranza degli “uomini ombra” destinato a partire la prossima estate. Uno sciopero della fame senza data di scadenza, come “fine pena mai” è la loro condanna. Ovvero il carcere perpetuo, in gergo tecnico l’ergastolo ostativo (sottinteso ai benefici penitenziari) introdotto vent’anni fa nel sistema nei confronti di condannati per reati di particolare allarme sociale (reati associativi). Per quei detenuti nessun beneficio (permessi premio, semilibertà, libertà condizionale) a meno che non collaborino con la giustizia per l’arresto di altre persone. E chi è stato condannato all’ergastolo, ha mantenuto una condotta più che buona, ha già superato i 26 anni dietro le sbarre (limite minimo per la liberazione condizionale) e oggi è un essere umano profondamente diverso da quello di “allora”? Resterà ugualmente un eterno sepolto vivo. “C’è una lista segreta di 17 detenuti italiani sottoposti all’ergastolo ostativo che, nell’estate 2013, inizieranno lo sciopero della fame fino all’ultimo respiro... Del resto se ci è stata tolta la speranza di uscire dal carcere vivi, almeno lo faremo da morti” ha spiegato uno di loro, Carmelo Musumeci, siciliano, un “sepolto vivo”, entrato in carcere 22 anni fa con la quinta elementare, oggi laureato in Giurisprudenza, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova. Ed è nella biblioteca del Due Palazzi che, ieri, si è svolto il seminario organizzato dalla redazione di “Ristretti Orizzonti”, la rivista del carcere diretta da Ornella Favero, e dall’Ordine dei giornalisti del Veneto, dedicato a “Reati, persone, sicurezza sociale”. Tanti i partecipanti tra i giornalisti insieme ai detenuti. Dopo il saluto del direttore Salvatore Pirruccio, il professor Andrea Pugiotto, costituzionalista dell’università di Ferrara e promotore di una lettera al capo dello Stato sul tema, ha puntualizzato che in Italia lo stato delle carceri “è un problema di legalità violata perché la detenzione è un trattamento inumano e degradante. Ne sono segni il sovraffollamento (siamo i secondi in Europa dopo la Serbia) e l’alto tasso di suicidi tra reclusi e guardie”. Un invito al legislatore: senza preoccuparsi del pensiero dominante, che fa leva sulle paure, affrontare la questione con l’indulto e l’amnistia, chiudendo i rubinetti normativi che producono carcerazione inutile. Come le leggi Bossi-Fini e Fini-Giovanardi con il “pacchetto sicurezza” che ha introdotto una serie di aggravanti destinate a rendere obbligatoria la carcerazione. Ecco che si è ampliato l’ambito di applicazione della detenzione, ha ricordato il giudice di Sorveglianza Linda Arata. “E così accade, a persone che si sono ricostruite una vita, di dover andare in carcere senza alcuna alternativa” ha sottolineato. Sulla stessa linea Mauro Palma, membro del Consiglio d’Europa. Tante e dolorose le storie raccontate dai detenuti, come la difficoltà di tornare in famiglia, anche per poche ore, dopo anni dietro le sbarre. E la necessità di capire i propri errori ricostruendosi attraverso progetti rieducativi (scuola e lavoro), troppo pochi per i tanti in cella decisi, comunque, a coltivare una speranza. Digiuno contro l’ergastolo: Carmelo Musumeci annuncia la mobilitazione di Donatella Vetuli (Il Gazzettino, 6 dicembre 2012) La protesta degli uomini ombra parte da Padova. Sciopero della fame, perché tornino la speranza, un bagliore dietro sbarre di ferro e il futuro di giorni lievi, o magari anche solo un calendario alle pareti della cella per contare il tempo della scarcerazione. Perché la pena abbia una tregua. Torna in prima linea Carmelo Musumeci, l’uomo ombra, come si definisce, detenuto arrivato a luglio, da Spoleto, nella casa di reclusione e ieri davanti a una platea per annunciare la sua mobilitazione contro l’ergastolo ostativo, carcere senza benefici e senza termine, “pena di morte viva”. “La prossima estate - dice - pronti al digiuno ad oltranza. Siamo in 17, in varie carceri italiane, ma tutti nelle mie condizioni. I nomi restano segreti per tutelare le famiglie. Sì, digiuno ad oltranza”. La platea era quella del seminario organizzato dalla redazione di Ristretti Orizzonti e dall’ordine dei Giornalisti del Veneto nella casa di reclusione. Tanti i temi, dal dramma carcerario italiano, cui non sfugge il Due Palazzi con il suo sovraffollamento, all’espiazione della pena, alla riabilitazione dei detenuti, all’indulto, all’esigenza di sicurezza da parte dei cittadini. E anche quello dell’ergastolo ostativo, che non prevede misure alternative né permessi per chi è stato condannato per reati associativi a meno che non si penta e collabori con la Giustizia. Carcere duro: mai un giorno in libertà, qualunque sia il percorso compiuto dietro le sbarre. Pena perpetua, da sepolti vivi. In Italia almeno mille casi. Come Musumeci, siciliano, 57 anni, una vita spericolata sino da bambino che lo porterà a guidare la malavita in Versilia. “Nato colpevole - ricorda lui - da piccolo mi insegnavano a rubare. Da ragazzo tentarono di uccidermi a colpi di pistola. Mi salvai, ma poi mi feci giustizia da solo”. In carcere si laurea in Giurisprudenza. Scrive libri, utilizza la Rete per le sue battaglie, compresa la raccolta di firme contro “il fine pena mai”. Il suo ultimo libro è “Uomini ombra”, quelli che come lui sono all’ergastolo ostativo. “Non collaborerò mai - giura - Nessuno entrerà in carcere al posto mio”. Oggi legge Aristotele, perché il suo obiettivo è diventare dottore in Filosofia e appendere un calendario alle pareti. Pavia: dramma dei suicidi in carcere, allarme lanciato dagli operatori penitenziari La Provincia Pavese, 6 dicembre 2012 I detenuti nel carcere di Torre del Gallo sono attualmente 530. Un numero che supera già la capienza massima dell’istituto e che non potrà essere spalmato nella nuova ala del carcere, dove è previsto l’arrivo di altri 390 reclusi. La consegna della porzione di edificio in costruzione dovrebbe essere pronta a gennaio ma, considerati i tempi tecnici di collaudo e apertura, difficilmente potrà essere messa a disposizione prima di marzo del prossimo anno. Aveva litigato con un altro compagno il detenuto di 33 anni che l’altro ieri ha cercato di togliersi la vita in cella con le lenzuola. Uno sfregio sulla faccia, con un frammento di lametta, lo ha fatto crollare. Ma nessuno, in carcere, se lo aspettava. Il detenuto non era un soggetto “a rischio”, come vengono definiti i reclusi in condizioni psicologiche più fragili. Si è salvato solo perché ha provato a mettere in pratica il suo gesto mentre era in cella con altri compagni, che si sono accorti dei suoi movimenti e gli hanno salvato la vita. Qualche ora prima ci aveva provato, con lo stesso metodo delle lenzuola annodate, un giovane detenuto di 27 anni. Era stato salvato dalle guardie per un soffio. Due episodi in due giorni, che hanno spinto il personale che lavora a Torre del Gallo a una riflessione. “Il sovraffollamento non permette alle guardie di poter sorvegliare tutti - spiega Salvatore Giaconia, del sindacato Osapp. A Torre del Gallo ci sono sezioni con 70 o 80 persone ed è difficile tenere tutti sotto controllo. Non parliamo dei detenuti che sono già sorvegliati, ma di tutti gli altri che non sono considerati a rischio, come è accaduto nel secondo tentativo di suicidio. Spesso queste persone vivono un disagio ma non ne parlano nemmeno con gli operatori”. In carcere c’è una rete di volontari, che è coordinata dal cappellano don Giuseppe Bossi, che si occupa di mettere in moto una serie di iniziative. Il Convoglio, ad esempio, tiene i detenuti impegnati con il servizio di panificazione. “Ma in carcere a Pavia ci sono anche tanti stranieri e non è sempre facile coinvolgerli su tutte le iniziative - dice ancora Giaconia. C’è ovviamente anche un problema di integrazione e di culture differenti”. Per la direttrice del carcere Jolanda Vitale “si fa il possibile, ma il carcere di sicuro non è una passeggiata. In questi istituti - spiega - i detenuti arrivano con il loro carico di problemi e di disagi e il carcere non può trovare una soluzione a tutto. Il carcere, che è sempre lasciato di più da solo, diventa un contenitore di queste situazioni”. Firenze: seminario internazionale; carcere e pene, quali percorsi possibili in tempi di crisi? www.gonews.it, 6 dicembre 2012 In corso oggi il seminario internazionale, organizzato dal Garante dei detenuti, dalla Regione e dalla Fondazione Michelucci, che ha l’obiettivo di fare il punto sulla situazione detentiva in Toscana e indicare percorsi di decrescita carceraria. Una lunga lista di interrogativi, che riassumono lo stato drammatico delle carceri italiane e cercano risposte sulle cause, i ritardi, i possibili rimedi. Una lista che ha fatto da filo conduttore al convegno internazionale in svolgimento oggi a Firenze, nell’ambito dell’edizione 2012 della Festa della Toscana, dal titolo “Il carcere al tempo della crisi”. A porre la serie di domande è stato il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Toscana Alessandro Margara in apertura dell’appuntamento, che è stato organizzato dallo stesso Garante, dalla Regione Toscana e dalla Fondazione Michelucci presso l’Auditorium di Santa Apollonia a Firenze, con l’obiettivo di riflettere sulla realtà del carcere, che in questo difficile periodo è un sovraffollato contenitore sempre più marginalizzato, e sui percorsi praticabili di decrescita carceraria. “Perché - ha chiesto Margara - si dilata progressivamente l’area dei sistemi penali dei vari paesi e si sceglie sempre più la pena detentiva?”. “Perché il nostro capo dello Stato arriva a denunciare ‘l’abisso che separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità delle personè?”. E, ancora, fra i molti quesiti, “perché le condizioni delle carceri peggiorano progressivamente, producendo sovraffollamento, a sua volta causa di degrado, così che il lavoro, la scuola e le altre attività che dovrebbero rendere attiva la vita nel carcere non sono più realizzabili?”. “Il riesame della spesa - ha aggiunto Margara - porta ad altre limitazioni delle risorse per le cose più essenziali, comprese quelle che dovrebbero tenere sotto controllo le condizioni igienico sanitarie delle carceri”. È partendo da queste domande che si sono dipanati i numerosi interventi da parte di esperti e di addetti ai lavori provenienti da tutto il mondo, confrontando la realtà carceraria toscana con quella di altri paesi come Usa, Regno Unito e Spagna, ascoltando esperienze come quella che ripercorre le fasi precedenti alla sentenza nei confronti di Breivik, l’autore della terribile strage in Norvegia, facendo il punto sulla tutela dei diritti dei detenuti, sull’andamento delle misure alternative, sulle condizioni degli istituti penitenziari, sull’architettura carceraria. A portare i saluti del Consiglio regionale, all’inizio della mattina, è stato il vicepresidente del Consiglio Giuliano Fedeli. “Il tema delle carceri è fra i più delicati e difficili - ha detto Fedeli. L’attuale realtà del carcere in Italia ha radici lontane, come tutti i gravi problemi che assillano il nostro paese. In Italia siamo soliti far degenerare le cose fino all’emergenza, questa è una grave colpa della politica. C’è bisogno invece di una buona politica, dobbiamo occuparci subito della realtà carceraria che deve essere affrontata a tutto tondo. Il sovraffollamento non è solo un problema di edilizia; bisogna affrontare la riforma del codice penale, la giustizia deve funzionare in modo efficace, e non dobbiamo dimenticare il personale carcerario sempre più abbandonato a se stesso”. Corleone: abbiamo scritto a Monti 40 giorni fa e ancora non ci ha risposto “Da più di 40 giorni abbiamo presentato come garanti dei detenuti una lettera aperta al presidente del Consiglio Monti in cui chiediamo un intervento risolutivo contro il sovraffollamento per cambiare la legge sulle droghe in modo che non entrino in carcere i colpevoli di reati di lieve entità e possano uscire i tossicodipendenti. Ancora non c’è una risposta e siamo davanti a un comportamento che non è da tecnici ma da cafoni”. Lo ha detto il garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone a margine oggi di un convegno internazionale. Al centro dell’appuntamento la situazione carceraria di vari paesi europei e in America a confronto con quella italiana. Intanto, ha aggiunto, “continua il digiuno a staffetta per chiedere al Governo un cambiamento su questi temi e lo porteremo avanti fino alle elezioni”. Secondo Corleone “la situazione delle carceri è in contraddizione con i diritti umani e con la Costituzione. Il sovraffollamento non è un fatto naturale ma che deriva dalla persecuzione nei confronti di immigrati, tossicodipendenti, poveri o assuntori di sostanze stupefacenti. Le carceri sono un contenitore di pseudo devianza e vi sono tante persone che in realtà non dovrebbero starci”. “In California o in Germania, sono stati posti dei limiti all’ingresso in carcere se questo non garantisce il rispetto dei diritti umani. In California c’è stata la decisione di far uscire 40mila persone perché il sovraffollamento non garantiva il rispetto delle condizioni minime di vita. In Germania c’é l’affermazione da parte della Corte costituzionale di una sorta di numero chiuso e di ingresso solo nel momento in cui la carcerazione rispetta i diritti. In Italia non abbiamo nulla di tutto questo e ci si balocca con misure che non incidono”. Secondo Corleone nei carceri italiani “non c’é mai il numero chiuso e viene utilizzato il concetto della capienza tollerabile. È come se i muri si potessero espandesse e quindi ci si può stare comunque in tanti”. Per il garante la prigione “deve essere un luogo solo per le persone che hanno commesso gravi reati. Per i reati di mafia in carcere non ci sono più di 600 persone, e quelle in regime di massima sicurezza sono 7 mila. Ma nelle carceri ci sono complessivamente 68 mila detenuti, tra cui 28 mila tra piccoli spacciatori o consumatori di droghe e 15-20 mila tossicodipendenti”. “Lavoreremo fino alle nuove elezioni e vogliamo fare una campagna perché sia assicurato il diritto di voto ai detenuti. Coloro che non hanno perso i diritti politici e civili devono poter votare”. “C’è una costruzione burocratica forte - ha spiegato - che impedisce l’esercizio di questo diritto ai detenuti”. Savona: il carcere Sant’Agostino sfollato di 10 detenuti, ma resta situazione di emergenza Savona News, 6 dicembre 2012 Un primo sfollamento di 10 detenuti dal carcere di Savona dopo la denuncia del Sappe, che nei giorni scorsi aveva segnalato come anche l’aula scolastica interna e quella riservata alle attività sportive ed allo yoga del Sant’Agostino erano state trasformate in celle per contenere lo straripante sovraffollamento della struttura detentiva, completa di 90 ristretti per 36 posti letto. “È la timida risposta dell’Amministrazione Penitenziaria all’allarme lanciato dal primo Sindacato della Polizia penitenziaria. Si tratta di una goccia del mare ma spero sia solamente il primo di una serie di interventi: si può e si deve fare di più per mettere in condizione i poliziotti penitenziari di lavorare in sicurezza ed i detenuti di scontare una pena senza mortificarne la dignità umana”. “Il carcere di Savona resta e rimane contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto, nonostante gli sforzi degli operatori, ed espone gli agenti di Polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio” commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sappe. Crotone: Osapp; Prap propone chiusura carcere ristrutturazione, in realtà mancano agenti Ansa, 6 dicembre 2012 “Il Provveditore regionale della Calabria dell’Amministrazione penitenziaria ha proposto la chiusura della casa circondariale di Crotone sembrerebbe perché interessata da lavori di ristrutturazione”. Lo afferma, in una nota, il vice segretario generale del Sindacato della polizia penitenziaria Osapp, Mimmo Nicotra. “La richiesta - aggiunge - è stata motivata e ritenuta indispensabile sia per permettere la prosecuzione dei lavori, sia per garantire ai pochi detenuti ristretti condizioni di vita conformi alle previsioni normative. Il personale in servizio a Crotone potrebbe essere direttamente impiegato negli istituti di Palmi e Reggio Calabria. l’amministrazione sta valutando questa possibilità”. “Siamo vicini - dice ancora Nicotra - ad un’altra figuraccia del Dap? L’amministrazione non ha il coraggio di ammettere che i numeri nazionali degli organici del personale sono da rifare riportando equità tra sud e nord. I numeri non sono veritieri altrimenti non si spiega coma mai per un posto di servizio al nord ci sono due unità e al sud un agente per più posti di servizio”. Sassari: il Comune istallerà una pensilina per riparare i parenti in visita dai detenuti L’Unione Sarda, 6 dicembre 2012 San Sebastiano non è certo un carcere particolarmente ospitale per i detenuti, ma in verità non lo è stato nemmeno con i loro parenti. Infatti le persone che andavano a far visita ai reclusi dovevano aspettare il proprio turno, all’esterno della struttura penitenziaria, senza poter usufruire di alcun riparo. Durante le giornate di vento e pioggia aprivano gli ombrelli e stavano davanti all’ingresso, in attesa che le porte si aprissero, tutti intirizziti. Il Garante dei Detenuti Cecilia Sechi e la direzione della casa circondariale ne hanno parlato con l’amministrazione comunale di Sassari e finalmente si è mosso l’assessorato alle Manutenzioni. Così è stata installata una pensilina che servirà da riparo per i parenti in attesa di visita. Certo gli spazi disponibili nel corridoio esterno non sono tanti, dal momento che in quel tratto devono transitare anche i mezzi diretti all’interno del carcere. Dunque la grandezza della pensilina è molto limitata. Alla fine bastano poche sferzate di vento e pioggia per bagnare comunque chi ci sta sotto. Ma al di là della logistica, quello che conta soprattutto è la dimostrazione di sensibilità nei confronti dei parenti, che già da parecchio tempo avrebbero dovuto godere di un trattamento e di un’accoglienza più dignitosa. Anche dal punto di vista della privacy l’ingresso in via Roma non è il massimo. Infatti chi fa visita alla casa circondariale di San Sebastiano è sotto gli occhi e la curiosità di centinaia di persone che passeggiano nella via. Reggio Emilia: pena alternativa per reati alla guida, lavori pubblica utilità con il Comune Dire, 6 dicembre 2012 Trasformare una pena da scontare, in una opportunità per sé e in un beneficio per la comunità. È questa la possibilità offerta a quanti, a Reggio Emilia, verranno pizzicati al volante in stato di ebbrezza o sotto effetto di stupefacenti. Grazie alla convenzione siglata tra Comune e Tribunale, potranno infatti commutare le eventuali sanzioni pecuniarie, o i giorni di reclusione, in ore lavorative nei musei, nelle biblioteche, e nei poli sociali cittadini. La convenzione prende origine dalla riforma del Codice della strada del 2010 che, da un lato ha inasprito le pene per le infrazioni, e dall’altro (in considerazione del sovraffollamento degli istituti penitenziari), ha concesso di usufruire di misure alternative alla reclusione nei casi meno gravi. Il Comune di Reggio dunque potrà accogliere contemporaneamente 17 persone, che verranno impiegate nei musei (con funzioni di sorveglianza, distribuzione di materiale informativo, e indagini sulla soddisfazione degli utenti), nelle biblioteche (messa a posto dei libri e informazioni) e nei poli sociali (prima accoglienza e smistamento dei casi agli assistenti sociali). Per l’assessore comunale al Welfare Matteo Sassi, le possibilità sono molto più ampie, tanto che tratteggia per il futuro l’ipotesi di impiego anche nelle Asp e nei servizi ospedalieri. Tecnicamente la trasformazione della pena si attiva con la richiesta degli avvocati difensori al Comune della disponibilità di posti, e in caso affermativo con l’assenso del giudice. Lodi: il carcere e la missione educativa… l’esempio di via Cagnola alla Fiera dell’Editoria Il Cittadino, 6 dicembre 2012 “Sfogliando un qualsiasi vocabolario, cercate il verbo “scontare” e l’aggettivo “scontato”: non sorprendetevi se tutti i significati vi condurranno dentro il carcere”. Una riflessione che sta alla base del volume I giorni scontati. Appunti sul carcere, libro pubblicato dalla Sandro Teti Edizioni a cura di Silvia Buzzelli, docente di diritto penitenziario all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che raccoglie le riflessioni sul carcere di un gruppo di studiosi: direttori penitenziari, educatori, docenti, esperti europei, giuristi. L’opera, accompagnata da un documentario in dvd diretto da Germano Maccioni e girato nella casa circondariale di Lodi, verrà presentato sabato sera, alle ore 20, nel corso della Fiera dell’editoria di Roma “Più libri più liberi” presso la Sala Ametista del Palazzo dei congressi all’Eur. L’ incontro è organizzato per approfondire il ruolo specifico del carcere come strumento il più possibile rieducativo. Tra i relatori figura anche Stefania Mussio, da cinque anni direttrice della casa circondariale di Lodi; con lei il regista Germano Maccioni, l’avvocato penalista Riccardo Arena e il vicepresidente del Consiglio Europeo per la Cooperazione nell’esecuzione penale Mauro Palma. Il collegamento tra il libro e la realtà carceraria di Lodi, un modello atipico nel panorama italiano, è evidente. Innanzitutto il volume si compone anche di tre saggi scritti da persone che ben conoscono la realtà di via Cagnola: Stefania Mussio appunto, animatrice anche di una serie di eventi per ricordare l’importanza di un’istituzione come il carcere per la città e il suo territorio; Elena Zeni, che lavora nella struttura lodigiana come educatrice, e infine Ercole Ongaro, lo storico che al carcere cittadino ha dedicato un libro uscito di recente, ricostruzione fedele di decenni di reclusione e di libertà. Gli altri testi raccolti nel libro sono a firma di Mauro Palma, Silvia Buzzelli, Claudia Pecorella, Fabio Cassibba, Elena Lombardi Vallauri, Marco Verdone, Massimo Filippi e Luigi Lombardi Vallauri. Napoli: all’Ipm di Nisida attivo un laboratorio di clown terapia… i risultati dopo 1 anno Ansa, 6 dicembre 2012 Ridere è una cosa seria, lo sanno bene gli operatori del progetto L’isola che non c’è, che portano avanti un laboratorio di clown terapia all’interno del carcere minorile di Nisida, realizzato da una rete di associazioni di volontariato di Nola e Napoli: Peter Pan Partenopeo, Quelli dell’83 e Campi Flegrei, e sostenuto dal Bando di Idee del Csv 2010. Dopo un anno di laboratori con i ragazzi dell’istituto penitenziario, il progetto volge al termine con la presentazione del report delle attività, illustrato oggi in conferenza stampa presso la sala convegni dell’istituto minorile. “L’isola che non c’è” rappresenta il tentativo di sperimentare una comunicazione empatica all’interno di un istituzione totale quale è l’Ipm di Nisida. Un laboratorio di evasione che fornisce la metodologia e la tecnica per sdrammatizzare le situazioni stressanti, per far emergere stati emozionali positivi, abbassando le tensioni dannose. L’umorismo e la comicità rappresentano così un’opportunità per ribaltare le situazioni problematiche, ansiogene o angosciose e il gioco creativo mette alla prova il senso della realtà e la risveglia in nuove prospettive e opportunità, facendo esprimere le dinamiche presenti. In questo modo, si sperimenta la possibilità di esprimere diversi aspetti di sé, potenziali modalità di essere e altri ruoli, utilizzando tecniche di clownerie e di improvvisazione teatrale. Il progetto ha previsto una prima fase di “volontary raising” con la presentazione ai volontari, quindi si è passati al coordinamento dei laboratori per i volontari coinvolti e per gli educatori del carcere attraverso un lungo ciclo di incontri. Grazie a questo progetto si sono potuti vedere ed apprezzare gli innumerevoli risultati che una terapia del sorriso può apportare soprattutto in un contesto dove si cerca di trovare una strada altra per entrare in comunicazione e relazionarsi con se stessi e l’altro. Treviso: con “Diamoci Dentro” detenuti preparano alberi di Natale per anziani in ospedale Ansa, 6 dicembre 2012 Realizzati, per l’iniziativa “Diamoci Dentro”, una cinquantina di alberi di carta da donare agli anziani ricoverati all’ospedale Cà Foncello di Treviso. I detenuti possono essere una risorsa per la comunità e partendo da questo assunto grazie anche a loro, che hanno realizzato una cinquantina di alberelli natalizi con le pagine di vecchie copie di giornale, venerdì 7 dicembre il Natale arriverà nelle corsie dei reparti di Geriatria e Medicina dell’Ospedale Cà Foncello di Treviso. L’iniziativa rientra nel progetto “Diamoci dentro”, promosso dall’associazione Possibili Alternative in collaborazione con numerose altre realtà attive nel panorama carcerario trevigiano e ha coinvolto una decina di ragazzi al di sotto dei 29 anni detenuti nella Casa Circondariale e nell’Istituto Penale per Minori di Treviso che, per un paio di mesi, hanno lavorato, sia nell’ambito dei laboratori occupazionali attivati all’interno del carcere sia in cella, alla realizzazione degli alberi di Natale stilizzati che allieteranno le feste dei pazienti. Is Arenas (Vs): cani dei detenuti uccisi a colpi di badile, indagati tre agenti penitenziari Ansa, 6 dicembre 2012 Tre agenti penitenziari del carcere di Arbus, nella provincia del Medio Campidano, sono finiti sotto inchiesta con l’accusa di aver ucciso a colpi di badile quattro cani accuditi dai detenuti. Si tratta del sovrintendente Giorgio Diana, 45 anni, e degli assistenti Italo Pili (45 anni) e Antioco Scanu (49). Dovranno rispondere di uccisione di animali, omessa denuncia e atti persecutori. Ne parla oggi il quotidiano l’Unione Sarda. L’indagine è partita dopo la denuncia di uno dei testimoni della strage (sono sei in tutto), un recluso marocchino. I quattro meticci, abbandonati dopo poche ore di vita lungo la strada che porta al carcere, erano stati adottati dai carcerati, che li accudivano ogni giorno. Stando alla versione dei fatti fornita agli inquirenti da Adel Chabba, marocchino recluso a Is Arenas per piccoli reati, nell’estate del 2011 Antioco Scanu una mattina avrebbe detto di aver ricevuto l’incarico di uccidere i cagnolini ormai di casa nel maneggio del carcere. Le proteste dei reclusi, che avevano costruito le cucce per i meticci ai quali davano da mangiare ogni giorno, non hanno fatto desistere l’agente: a colpi di badile avrebbe ucciso tre bastardini, ma non il quarto, riuscito a fuggire. Quest’ultimo sarebbe stato trovato qualche giorno dopo da Italo Pili che avrebbe completato l’opera iniziata dal suo collega, sempre a colpi di vanga. Adel Chabba a questo punto si sarebbe rivolto al sovrintendente Giorgio Diana per denunciare l’uccisione dei cagnolini. La risposta sarebbe stata eloquente: “Stai zitto, altrimenti ti trasferiamo in un altro istituto”. Il movente? Forse le tensioni tra un gruppo di agenti e i detenuti. Questi i fatti contestati ai tre agenti della polizia penitenziaria. Il direttore della colonia penale di Is Arenas, Pierluigi Porcu, invita alla prudenza: “Aspettiamo l’esito delle indagini, ho piena fiducia nel lavoro della magistratura. Non mi era giunta alcuna notizia di un fatto del genere e sono piuttosto scettico visto che si tratta di tre poliziotti assegnati al distaccamento equestre che amano molto gli animali. Non li ritengo capaci di un simile gesto”. Libri: “Condannati preventivi. Le manette facili di uno Stato fuorilegge” di Annalisa Chirico di Alessandro Litta Modignani Notizie Radicali, 6 dicembre 2012 “Condannati preventivi - Le manette facili di uno Stato fuorilegge” di Annalisa Chirico (Rubbettino, 150 pagine, 10 euro) è un pamphlet di denuncia, scritto con linguaggio battagliero e polemico, spesso esuberante. L’autrice, del comitato nazionale di Radicali Italiani, scrive su “Panorama” e “Il Giornale”; ha affidato la prefazione del suo lavoro a Vittorio Feltri e la postfazione di Giorgio Mulè, attuale direttore di “Panorama”. Nella sue due paginette, Feltri si pronuncia per l’amnistia come condizione per rientrare nella legalità, definisce le carceri un “museo degli orrori” ed elogia i Radicali. Anche Annalisa Chirico utilizza l’intero armamentario lessicale tipicamente pannelliano: tortura legalizzata, Stato criminale, Corte costituzionale come “suprema cupola della mafiosità partitocratica” e via dicendo; cita di continuo Pannella, D’Elia, Bernardini, Arena, “Radio Carcere” e “Radio Radicale”. La prima parte del libro è sicuramente la più interessante e istruttiva: 70 pagine in cui scorrono molti protagonisti, noti e meno noti, delle cronache e degli orrori giudiziari italiani. Si comincia con il deputato Alfonso Papa, che sottolinea le “scorrettezze” sia del Parlamento, sia dei magistrati (a partire dagli interrogatori) per finire con le condizioni di vita nell’inferno di Poggioreale. Poi via via tutti gli altri, ognuno dei quali descrive un aspetto particolarmente scandaloso e tragico. Lele Mora che perde 35 chili e fa 400 giorni di carcere preventivo per bancarotta. I giornali si chiedono: “Quanto c’è di vero nella sua conversione morale?” invece di interrogarsi sul trattamento cui è stato sottoposto. Poi si parla di “Giancarlo” accusato di una scalata alla Lazio che non ha mai tentato, e di Silvio Scaglia, uno degli italiani più ricchi, che dalle Antille affitta un aereo privato per attraversare l’Atlantico e presentarsi al giudice e viene incarcerato per il “pericolo di fuga e inquinamento delle prove”. Si racconta di una sconosciuta Elisabeth accusata di narcotraffico, incontrata da Sergio D’Elia e difesa dagli avvocati radicali Caiazza e Rossodivita, completamente scagionata dopo 9 processi nel corso di 13 anni. Quando le dicono “Lei è libera” si chiede: “E adesso cosa faccio? Dove vado?”. Amanda Knox e Salvatore Sollecito (delitto Meredith, Perugia) totalizzano 1450 giorni di carcere in due, per poi essere assolti con grande ira popolare. Amanda accusa Patrice Lumumba (che per sua fortuna ha un alibi di ferro) ma ritratta subito: ha fatto il suo nome solo perché distrutta da un interrogatorio/tortura. In attesa di giudizio le vengono negati i domiciliari con la motivazione che non avrebbe dimostrato “rimorso” (!?!?). Adriana, badante rumena, viene accusata di avere ucciso la vecchia che assisteva: tre anni dentro, per poi scoprire che già l’autopsia aveva dimostrato la morte per infarto: il fatto non sussiste. Massimiliano Clerico si fa il carcere per calunnia (?!?!?!) mentre le lettere anonime calunniose le aveva mandate un altro: è assolto ma la sua ditta intanto fallisce. Renato Raimondi fa un giorno di carcere, il Gip non convalida l’arresto: rimborso minimo 235,82 euro. Lo Stato gliene versa 200 poi Equitalia gli chiede 136,05 euro di tassa per la registrazione della sentenza in Cassazione. Dopo l’assoluzione definitiva riceverà un rimborso di 3.000 euro. Daniela, prostituta sieropositiva, viene accusata di “tentate lesioni volontarie gravissime” per avere avuto rapporti non protetti. Ma negligenza e imprudenza non possono essere “tentate”, il reato può essere solo doloso e non colposo. Assolta, chiede l’indennizzo ma le viene negato: la sua condotta è comunque “riprovevole”, il giudizio morale prevale sul diritto. P.O. viene arrestato per droga, è pluri-pregiudicato ma questa volta non c’entra. Viene assolto, lo Stato è condannato a rimborsare entro 120 giorni ma inizia una guerra di carte bollate, riceve i soldi solo 6 anni e mezzo dopo. Salvatore Ferraro è un caso notissimo (delitto Marta Russo, Sapienza Roma). Chirico racconta l’interrogatorio scandaloso della testimone Alletto (tutta l’Italia lo ha visto nella videocassetta di Panorama) che dice: “Io in quell’aula non c’ero, mi prenderanno per pazza”, e il pm: “No, la prenderemo per omicida. Lei entra in carcere e non esce più”. Così la Alletto accusa Scattone e Ferraro. Il Tribunale del riesame respinge l’istanza di scarcerazione scrivendo che “il movente sta nell’assenza di movente”. Anche Liparota, altro testimone, prima conferma la (estorta) testimonianza della Alletto, poi ritratta dicendo di essere stato costretto dalle eccessive pressioni. Ferraro sta in carcere fino alla condanna, poi appena condannato... esce: una giustizia folle, alla rovescia. Se avesse confessato il falso, accusando Scattone, sarebbe uscito subito. Dulcis in fundo, a Ferraro viene chiesto dall’Università un milione di euro di risarcimento danni. In realtà deve pagarli Scattone ma il giudice... si è sbagliato, ha confuso i due. Eh già, il giudice si è sbagliato, sorride amaro Ferraro. Aldo Scardella si impicca a 24 anni nel carcere di Cagliari nel 1986. Lo avevano sbattuto dentro perché sospettato di una rapina ma non c’entrava nulla, i veri colpevoli saranno trovati e condannati molti anni dopo. Il suo suicidio è un omicidio di Stato. Procuratore capo, giudice istruttore e Pm si rimpallano le responsabilità per la decisione dell’isolamento. Emergono i pessimi rapporti interni al Tribunale, le polemiche, le rivalità personali. A Scardella è intestata una piazza cittadina. Infine Giuliano Naria, il cui caso è notissimo, la più lunga custodia cautelare della storia d’Italia, morto di cancro a 50 anni. La seconda parte del libro è meno interessante, più ripetitiva. L’autrice ricorda Enzo Tortora, ma anche Clementina Forleo che nel ‘94 assolve Melluso dalla querela per diffamazione perché, al di là di quanto stabilito dal processo, “i fatti potrebbero essere andati diversamente”. Si descrivono le carceri come “discarica sociale”, “fabbrica di mostri”, luoghi di pena corporale eccetera. Ci si dilunga sulle motivazioni che dovrebbero giustificare la carcerazione preventiva - gravi indizi di colpevolezza, pericolo di fuga, reiterazione e inquinamento delle prove - per dimostrarne il mancato rispetto e l’intima incongruenza con il dettato costituzionale. Si denuncia la non terzietà del giudice e la mancata separazione delle carriere, le ripetute condanne in sede europea. Si ricorda la vicenda giudiziaria di Corrado Carnevale, accusato di complicità con la mafia e poi assolto da tutto. Si denuncia la giustizia per campagne emergenziali: prima il terrorismo, poi la mafia, poi ancora la corruzione politica. Tangentopoli viene descritta come un golpe moralizzatore a opera del “partito dei magistrati” (Mellini) Un magistrato, Marcello Maddalena, parla di “momento magico” dopo l’arresto, quando “l’arrestato si preoccupa meno della solidarietà nei confronti dei correi e più della rapida conclusione della sua disavventura”. Le ultime pagine parlano del reato di stupro e di una magistratura che opera con il fiato sul collo degli umori popolari, montati dalla televisione. Un paragrafo è dedicato al braccialetto elettronico, misura mai decollata nonostante le ingenti somme investite (100 milioni spesi, 10 braccialetti sperimentati in tutto) mentre in altri paesi funziona perfettamente: 100.000 in Usa, 60.000 nel Regno Unito. Nelle conclusioni, Chirico cita ancora Pannella: l’amnistia contro la “flagranza criminale”, le prescrizioni come amnistia strisciante e di classe. Secondo l’autrice, la carcerazione preventiva va impedita tout court, completamente e per tutti, le carriere separate, l’obbligatorietà dell’azione penale abolita, le leggi ex-Cirielli e Fini-Giovanardi abrogate (37% di detenuti in Italia per reati connessi alla droga, contro una media europea del 15%). Per contro, la legge Vassalli sulla responsabilità non è mai stata veramente applicata: dal 1988, 406 cause avviate, 34 dichiarate ammissibili e solo 4 concluse con una condanna. L’autrice propone l’istituto della sospensione della pena e messa in prova del detenuto e l’introduzione delle liste d’attesa per le carceri (come in Norvegia) con arresto domiciliare. Sicuramente l’attitudine della giovane autrice (classe 1986) di parlare in prima persona e di rivolgersi direttamente ai lettori (“Tendono le mani attraverso le sbarre, a te si aggrappano e tu ti senti così piccola, così impotente”; “Non prendetelo come un invito all’eversione ma come un monito: qui ci stanno fregando, ora lo sapete”; “Dovrebbe preoccuparci tutti. Io sono preoccupata, non so voi”) non contribuisce ad accrescerne l’autorevolezza. Piccoli peccati di presunzione che Annalisa Chirico saprà presto lasciarsi alle spalle, nel corso della brillante carriera giornalistica e politica che sicuramente l’aspetta. Cina: centinaia di detenuti liberati dalle “carceri nere”, le prigioni segrete del regime www.tg1.rai.it, 6 dicembre 2012 Rilasciate centinaia di persone che si trovavano nelle “carceri nere” di Pechino: centri di detenzione in cui sono illegalmente tenuti in arresto coloro che protestano contro il governo. Centinaia di persone detenute nelle ‘carceri nerè di Pechino, centri segreti di detenzione in cui sono illegalmente tenuti in arresto coloro che protestano contro il governo, sono state rilasciate. La liberazione è stata accolta con favore da molte persone che hanno considerato il gesto come un segnale di cambiamento da parte della nuova leadership del Paese. Le “carceri nere” sono di solito utilizzate dalle autorità di Pechino per segregare coloro che vengono nella capitale per fare rimostranze contro il Partito comunista cinese per le ingiustizie che hanno subito nelle loro zone. Molti di coloro che sono detenuti in queste carceri non subiscono alcun processo e possono essere detenuti a tempo indeterminato fino a quando non vengono mandati a casa, a volte patiscono forme varie di maltrattamento. Shentu Dabing, uno dei rilasciati, ha scritto online: “Siamo stati tutti rilasciati. La folla di persone era tale che nella confusione ho perso il mio cellulare”. Dalla prigione del villaggio di Jiujingzhuang sarebbero stati liberate più di 300 persone, anche se altre fonti parlano di 10mila persone. Ma Chen Yongmiao, analista politico e attivista per i diritti, dubita che si tratti di un vero cambiamento. “Le persone tendono a desiderare che le cose migliorino quando c’è un nuovo leader. E un semplice gesto può essere interpretato come una grande mossa”. Chen ha poi aggiunto che i commenti che il nuovo leader del partito, Xi Jinping, ha fatto circa la situazione giuridica della Cina sono molto simili a quelli che fece Hu Jintao 10 anni fa. Cipro: Consiglio d’Europa, denuncia maltrattamenti detenuti Ansa, 6 dicembre 2012 Le persone detenute dalla polizia cipriota continuano a rischiare di essere maltrattate. Questa una delle constatazioni fatte dal Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa nel rapporto pubblicato oggi che si riferisce a quanto è emerso durante una visita sull’isola effettuata nel 2008. Nel rapporto il Cpt sottolinea anche il problema del sovraffollamento del carcere di Nicosia, peggiorato dall’ultima visita che risaliva al 2004. Per quanto riguarda il maltrattamento degli arrestati il Cpt evidenzia di aver ricevuto molte denunce che nella maggior parte dei casi si riferiscono a calci e pugni ricevuti in diverse parti del corpo. Ma almeno un detenuto ha denunciato maltrattamenti ulteriori: oltre ad essere stato picchiato con un bastone è stato minacciato con una pistola alla tempia e sodomizzato. Il Comitato, che condurrà la sua prossima visita a Cipro nel corso del 2013, ha richiesto alle autorità di prendere provvedimenti immediati non solo per assicurare una formazione adeguata della polizia ma anche una sensibilizzazione dei magistrati rispetto all’obbligo che hanno di indagare su tutte le denunce di maltrattamento. Libia: quasi 200 detenuti evasi da carcere Sabha, si sospetta complicità polizia giudiziaria Tm News, 6 dicembre 2012 Quasi duecento detenuti sono evasi da un carcere a Sabha, nel sud della Libia, in circostanza da chiarire. “Ieri 197 detenuti sono evasi dal carcere di Sabha”, ha detto un esponente dei servizi di sicurezza alla France Presse. “La polizia giudiziaria, che controlla il carcere, ha agevolato la fuga dei prigionieri, la maggioranza dei quali criminali comuni”, ha detto la fonte, un ex ribelle della rivoluzione in Libia del 2011. Tra i detenuti c’erano sostenitori di Muammar Gheddafi, l’ex dittatore deposto e ucciso durante la rivolta armata della scorsa stagione. Birmania: Amnesty; arrestato attivista ed ex monaco, accusato di sconfinamento e danni Tm News, 6 dicembre 2012 L’attivista ed ex monaco U Gambira è stato arrestato a Yangon il 1° dicembre per rispondere delle accuse di sconfinamento, danni provocati dalla rimozione dei lucchetti da una serie di monasteri nel febbraio 2012 e residenza senza autorizzazione in un monastero. I monasteri erano stati sigillati dalle autorità perché ritenevano che i monaci che vivevano là avessero avuto un ruolo attivo nella “rivoluzione zafferano” del 2007. Il provvedimento aveva lasciato i monaci sgomberati, incluso U Gambira, senza un posto dove andare dopo le amnistie di fine 2011 e inizio 2012. U Gambira era comparso davanti al Comitato dei monaci anziani nel febbraio 2012 e la questione si era già risolta. Non è chiaro perché le autorità abbiano deciso di riprendere le accuse contro U Gambira oltre nove mesi dopo. Per aver preso parte alla pacifica “rivoluzione zafferano” del 2007, U Gambira era stato condannato a 68 anni di prigione al termine di un processo iniquo. In carcere, aveva subito gravi torture e maltrattamenti. Era stato rilasciato a seguito di un’amnistia il 13 gennaio 2012, per poi essere rimesso agli arresti per pochi giorni a febbraio, per la vicenda dei lucchetti, e a marzo, per essersi recato nello stato di Kachin per fornire assistenza alle persone sfollate a causa del conflitto armato in corso. Le amnistie concesse a partire dal 2011 prevedono il rilascio condizionato, sulla base della sezione 401 del codice di procedura penale. Ogni ex prigioniero accusato di aver violato i termini della condizionale può essere riportato in prigione per scontare quello che resta della condanna originale. Iran: inchiesta su blogger morto in carcere; non è deceduto per torture, ma per un infarto Ansa, 6 dicembre 2012 La Commissione Sicurezza nazionale del parlamento iraniano ha annunciato che il blogger Sattar Beheshti è morto in carcere per cause naturali. Lo riporta il sito dell’emittente statale iraniana Press Tv. “Il caso è stato indagato esaustivamente dal nostro comitato per la sicurezza nazionale, dal capo della polizia informatica di Teheran, dal vicecomandante della polizia iraniana, dal procuratore generale e dal medico legale: tutto hanno concluso che la sua morte non è risultata da abusi o cattiva condotta”, ha sostenuto in dichiarazioni all’emittente il deputato Mohammad-Hassan Asafari. “Lo shock del suo arresto potrebbe aver favorito il suo attacco cardiaco. Il medico legale ha concluso che è morto per un attacco di cuore”. Il blogger, ricorda il sito, era stato arrestato per “reati informatici” ed era morto in carcere a Teheran all’inizio del mese scorso. Il deputato ha ricordato che sulle braccia e gambe di Beheshti sono stati riscontrati dei lividi ma, ha ribadito, “essi non sono la causa della sua morte”. “Alcuni componenti della polizia informatica sono stati arrestati per negligenza nei confronti dell’arrestato” e il capo della polizia informatica di Teheran è stato rimosso, ha ricordato Asafari. Nel denunciare la morte, Amnesty International aveva avvalorato l’ipotesi che Beheshti fosse stato torturato e comunque fosse deceduto a causa di maltrattamenti. Anche fonti ufficiali iraniane avevano ammesso che il blogger era stato picchiato sebbene ciò non fosse stata la causa della sua morte.