Giustizia: la Camera approva il ddl sulle pene alternative, che ora passa al Senato Sole 24 Ore, 5 dicembre 2012 Sì dell’Aula della Camera al Ddl sulla messa alla prova e le pene non detentive per i carcerati. Il testo, approvato a Montecitorio con 348 sì, 57 no e 21 astenuti, passa al Senato. Contro hanno votato Lega e Idv; i Radicali si sono astenuti. “Questo provvedimento è uscito dalla commissione migliorato rispetto a quello originariamente proposto dal governo: di questo non ci si deve vergognare ma anzi esaltare la funzione di dialogo con il Parlamento” ha detto nell’aula della Camera il ministro della Giustizia, Paola Severino. “Mi resta il rammarico di aver lasciato indietro la depenalizzazione, ma sto studiando anche quel particolare provvedimento” ha concluso il guardasigilli. La norma prevede che l’imputato di un processo per un reato che comporta una pena massima di 4 anni, se non è un recidivo, può chiedere, entro l’avvio del procedimento, la sua sospensione e proporre di essere “messo alla prova” svolgendo un programma di riabilitazione per un periodo che va da un minimo di 30 giorni a un massimo di due anni. Al termine di questo periodo il giudice dichiara estinto il reato se ritiene che la prova ai servizi sociali abbia avuto un esito positivo. Il giudice decide se accordare la messa alla prova e può, anche mentre il programma di riabilitazione è in corso, integrarlo a patto che le nuove prescrizioni siano in linea con la finalità della messa alla prova, istituto che viene revocato in caso di grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte. Il testo prevede anche una delega al governo a legiferare entro un anno sulla pena alternativa degli arresti domiciliari per chi è stato condannato al carcere per meno di quattro anni, con l’eccezione di chi si è macchiato del reato di stalker. La pena, anche se minore ai 4 anni, non può essere comunque scontata a casa nel caso ci sia il pericolo che il condannato commetta altri reati o se c’è esigenza di tutela delle persone offese dal reato. I domiciliari possono comunque essere in qualsiasi momento revocati dal giudice se c’è un pericolo di fuga o per chi ha subito il reato. Cosa prevede il disegno di legge È stato un impegno assunto dal ministro della Giustizia, Paola Severino, fin dal suo insediamento, un anno fa: affrontare l’emergenza carceri. E dopo il decreto da lei stessa battezzato “salva carceri”, il primo atto del governo in materia di giustizia, la Camera ha approvato il disegno di legge sulle misure alternative, ideale compimento del progetto del Guardasigilli, per fare in modo che il carcere diventi davvero, il più possibile, solo l’extrema ratio. Due sono i punti importanti contenuti nel ddl: l’utilizzo degli arresti domiciliari come pena che il giudice può irrogare direttamente, per determinati reati, già al momento della sentenza, allo stesso modo della carcerazione o della sanzione amministrativa; e la “messa in prova”, senza l’ingresso in carcere, istituto utilizzato con buoni risultati per la giustizia minorile, che può dare luogo alla sospensione del processo e all’estinzione del resto. La sospensione del processo è rimessa a una richiesta dell’imputato, che non può andare oltre la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Consiste in una serie di prestazioni, tra le quali un’attività lavorativa di pubblica utilità (presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato), il cui esito positivo determina l’estinzione del reato. Le due novità sono previste per delitti che non destano allarme sociale, con pene edittali fino a 4 anni di reclusione. Il ddl contiene anche la misura della sospensione del processo per gli irreperibili. Giustizia: approvazione del ddl su pene alternative; i commenti dei politici e dei magistrati Ansa, 5 dicembre 2012 Di Giovan Paolo (Pd); bene testo ddl, ma si può fare di più “Concordo con il ministro della Giustizia, Paola Severino, che ha ringraziato il Parlamento per il contributo dato al miglioramento del provvedimento di delega al governo sulle pene alternative al carcere, ma resto dell’idea che si possa e si debba fare di più”. Così il senatore del Partito democratico Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum nazionale per la salute in carcere. “Il provvedimento uscito dalla commissione è stato, senza dubbio, migliorato - prosegue Di Giovan Paolo - ma rimane il rammarico di aver lasciato indietro la depenalizzazione. Il sovraffolla mento carcerario è ormai un allarme sociale, per questo il governo avrebbe dovuto insistere e non soffermarsi solo sulla questione della detenzione domiciliare, pur rimanendo un punto di arrivo importante che potenzialmente potrebbe consentire ad almeno un quarto dei reclusi che ne facesse richiesta di uscire dal carcere”. “Anche di questo si parlerà domani a Palermo - conclude l’esponente Pd - al convegno nazionale su “Carceri, salute, società: lo sguardo volontario” a cui parteciperanno esponenti del governo, amministratori locale ed esponenti del mondo del volontariato penitenziario”. Orlando (Pd): testo Severino archivia populismo penale di 20 anni “Ancora una volta la Lega ha mentito per cercare di usare la paura e fare leva sull`incertezza che esiste nella società. Sono state richiamate oggi in aula vicende efferate, i cui responsabili non avranno alcun beneficio, per fortuna, da questo provvedimento. La verità è che oggi sono state approvate norme che mettono un punto al populismo penale degli ultimi vent`anni che ha prodotto unicamente un sistema penale che sforna prescrizioni, un sistema penitenziario che sforna recidivi. Oggi si è fatto un passo in avanti in una direzione inversa e diversa rispetto a quella di questi 20 anni”. Così il responsabile del forum Giustizia del Pd, Andrea Orlando è intervenuto nella sua dichiarazione di voto favorevole al provvedimento sulle pene alternative. Granata (Fli): pene alternative risposta intelligente “Il provvedimento rappresenta, infatti, una risposta realista intelligente, opportuna e soprattutto civile alle complesse vicende legate alla funzione rieducativa afflittività della stessa, rispetto per le vittime e consapevolezza della drammatica situazione delle carceri italiane con un sovraffollamento che ha superato tutti i livelli di guardia mettendo gli agenti della polizia penitenziaria difronte a problemi ingovernabile di gravità indicibile”. Lo ha detto Fabio Granata, annunciando in Aula il voto favorevole di Fli al provvedimento sulle “pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”. “La sostanziale depenalizzazione, la sospensione del procedimento con messa alla prova, l`introduzione estremamente opportuna del codice penale e della normativa delle pene detentive non carcerarie - ha osservato Granata - contribuiscono a razionalizzare il sistema sanzionatorio anche attraverso la trasformazione in illeciti amministrativi di alcuni reati puniti con multa e ammenda. Innovativo ed intelligente ci appare poi l`introduzione della sospensione della detenzione con messa alla prova, misure che rendono finalmente giustizia alla proporzionalità e alla personalità della pena stessa”. Bortolato (Anm): troppi tossicodipendenti, agire su tema stupefacenti “Occorre agire sul tema degli stupefacenti. Nei confronti dei tossicodipendenti, che devono essere curati, l’approccio detentivo non può essere quello esclusivo”. A dirlo, riferendosi al sovraffollamento delle carceri e ricordando che un detenuto su tre è tossicodipendente, è stato il presidente della Commissione esecuzione penale e carcere Anm Marcello Bortolato, intervenuto questo pomeriggio a Roma al convegno “Oltre le sbarre. La pena fra sanzione e recupero”. Bortolato ha inoltre aggiunto che per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri occorrerebbe anche “aumentare gli strumenti di risocializzazione”, agire sulla “depenalizzazione, sulle sanzioni sostitutive, come i lavori di pubblica utilità, e le pene sospensive”. Tamburino (Dap): carcere sia dissuasivo ma anche sereno e umano “Occorre un carcere dissuasivo serio ma anche sereno e umano e far comprendere agli operatori che il loro compito riguarda gli uomini”. A dirlo è stato Giovanni Tamburino, capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, intervenuto al convegno “Oltre le sbarre. La pena fra sanzione e recupero”, che si è svolto questo pomeriggio a Roma. Tamburino riferendosi alla situazione carceraria italiana ha parlato di “situazioni inaccettabili che vanno rimosse oggi” e “decenni di ritardo”, affermando che per trovare una soluzione è necessaria “unità e convergenza” tra le forze politiche, “altrimenti questo compito diventa più difficile e forse impossibile”. Sabelli (Anm): nuove carceri non sono la soluzione “La realizzazione di nuove carceri o l’assunzione di personale di polizia penitenziaria non è la soluzione per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. La direzione da seguire è affrontare il sistema sanzionatorio nel suo complesso, limitare il ricorso alla detenzione quando è necessaria, potenziare le misure alternative, trovare altre forme di sanzione che, a seconda della natura dei reati, possono essere addirittura più efficaci rispetto alla sanzione detentiva”. A dirlo è stato il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli, a margine del convegno “Oltre le sbarre. La pena fra sanzione e recupero”, che si è svolto questo pomeriggio a Roma. Sabelli ha aggiunto inoltre che occorre “recuperare alla sanzione detentiva una corretta funzione preventiva dissuasiva e di recupero del condannato conformemente ai principi costituzionali. In questo senso bisogna valutare la possibilità di potenziare soluzioni diverse quali sanzioni interdittive e patrimoniali, per un rilancio e una maggiore efficacia della sanzione detentiva, di pari passo a quella precessuale, per rendere il processo più rapido e quindi più efficace”. Giustizia: con il 4-bis l’ergastolo è come la pena di morte di Francesco Lo Piccolo www.huffingtonpost.it, 5 dicembre 2012 Ha superato quota ventimila firme l’appello lanciato alcuni mesi fa da www.carmelomusumeci.com contro il carcere a vita, in particolare contro il cosiddetto “ergastolo ostativo”, una pena senza fine che in base all’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, come modificato dalla Legge 356/92, nega - in mancanza di una collaborazione processuale - ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi. Hanno firmato e firmano contro l’ergastolo uomini, donne, gente di ogni partito, personaggi autorevoli, tra i tanti Margherita Hack, Gino Strada, Susanna Tamaro, Giuliano Amato, Erri De Luca, Roberto Vecchioni, Paolo Crepet... Qualche settimana fa ha aderito anche il professor Umberto Veronesi “in considerazione che il cervello di una persona, compreso chi ha commesso un crimine, cambia e si rinnova per cui dopo anni non è più la stessa persona”. Più recentemente, infine, su posizioni opposte, sono intervenuti Roberto Saviano (“lo Stato non può non tentare il tutto per tutto per recuperare chiunque”) e Marco Travaglio (“Ma senza carcere a vita la mafia ringrazia”) e ancora, ieri, la Comunità Papa Giovanni XXIII. Personalmente, come ho già detto in altre occasioni, sono nettamente contrario all’ergastolo, anch’io ho firmato l’appello. Ma sul caso ho voluto confrontarmi con chi vive il carcere quotidianamente: ne ho parlato con Massimo Di Rienzo, direttore pro tempore del carcere di Sulmona e direttore del casa circondariale di Lanciano il quale mi ha subito rivelato il suo pensiero: l’ergastolo equivale alla pena di morte; se la pena di morte è stata abolita perché è una barbarie altrettanto una barbarie è la pena perpetua. Direttore Di Rienzo, anche lei dunque nettamente contrario al carcere a vita. “L’ergastolo in sé, come pena, risponde ad un unico fine: quello di togliere per sempre la possibilità di agire a chi ha commesso un efferato delitto. In concreto non fa quello che dovrebbe invece essere la funzione di uno stato moderno e cioè quella restituire alla società il reo dopo un numero di anni di carcere corrispettivo all’entità del reato commesso. Dunque sono contrario”. Quindi il suo ragionamento parte dall’applicazione del principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione. “Esattamente. Se partiamo dal principio che la pena deve tendere alla rieducazione, e - se come è giusto che sia - questo principio generale vale per tutti, non si vede perché non dovrebbe valere anche per quelle persone la cui colpa è quella di aver commesso un delitto più grave. L’ergastolo in linea di principio non ha alcuna finalità se non quello del puro e semplice contenimento e dunque “garantisce” una astratta salvaguardia della società da eventuali rischi. Di conseguenza, se è questo il presupposto per cui teniamo una persona in carcere a vita ecco che ideologicamente l’ergastolo è equivalente alla pena di morte; da questo punto di vista tra ergastolo e pena di morte non ci sarebbe grande differenza”. E l’Italia ha abolito la pena di morte nel 1947. “Perché era una barbarie del passato. E pertanto, se era ed è tuttora una barbarie, altrettanto è soggetta a censura anche la pena perpetua che è l’ergastolo”. Molti sostengono che l’ergastolo non esiste più, che per via di benefici vari, in realtà il carcere a vita non lo fa più nessuno. “Una favola. Smentita dai fatti e che io stesso constato in prima persona. Conosco più di un detenuto di cinquanta e passa anni che è in carcere da almeno trent’anni per gravi delitti di mafia e che è finito in carcere giovanissimo perché era un killer della criminalità organizzata. Ed è ancora in cella. Nelle carceri italiane, inoltre, ci sono almeno 800 ergastolani cosiddetti ostativi, ai quali in forza delle leggi introdotte nel ‘92, sull’onda dei gravi attentati di mafia commessi in quel periodo, sono state negate tutte le possibilità di accedere alla libertà condizionata anche dopo un certo e congruo numero di anni di pena scontata. Tornando al discorso dell’ergastolo io chiedo: dopo oltre trent’anni di pena espiata, nel caso di detenuti incarcerati quando avevano vent’anni, che cosa impedisce di dare loro la speranza di poter uscire e dimostrare di essere cambiati?”. Cosa senz’altro vera, come sostiene Veronesi in forza degli studi sul cervello umano. Eppure, questa idea di rimettere in libertà dopo un tot numero di anni di carcere chi ha commesso un grave delitto non va giù a tanti; soprattutto ai parenti delle vittime. “Massimo rispetto per i parenti delle vittime, ai quali va la massima comprensione e vicinanza. Ma qui non si discute di sentimenti, ma di politica e di riforma dell’ordinamento penitenziario e del codice penale. È ovvio che non si può pensare a una riforma se si ragiona sull’onda dell’emozione e della vendetta, cosa senz’altro comprensibile per chi ha subito un grave torto. L’onda emotiva non ha nulla a che vedere con chi deve gestire l’applicazione della pena in uno stato moderno...altrimenti si torna alla legge del taglione”. Torniamo all’ergastolo ostativo, ovvero al regime “di nessun beneficio” che viene applicato a chi non collabora con l’autorità giudiziaria. Quali prospettive a breve? “Sono allo studio delle ipotesi. Ad esempio si ragiona sul fatto che ci sono situazioni in cui il soggetto non può collaborare perché impossibilitato a farlo dal momento che nell’associazione criminale di cui faceva parte aveva un ruolo del tutto marginale e dunque non era a conoscenza di fatti, nomi e altro. E poi ancora si ipotizza di dare spazio ad altre realtà, ad esempio alla prova provata che non esista più una situazione di continuità tra l’ergastolano e la criminalità organizzata; ecco queste potrebbero essere le strade per abbattere il regime ostativo, in alcuni casi ovviamente. Questo per dare una speranza a chi è in carcere da più di trent’anni. Insomma è giusto che abbia la possibilità di dimostrare che è cambiato”. Giustizia: i suicidi un indicatore del tasso di “invivibilità” del nostro sistema penitenziario di Giulia Torbidoni L’Espresso, 5 dicembre 2012 In Italia i detenuti si tolgono la vita 9 volte di più rispetto al resto della popolazione. Un indicatore del tasso di “invivibilità” del nostro sistema penitenziario. Ma la situazione può essere cambiata: formando gli agenti, lavorando in rete con le Asl, migliorando le condizioni di vita tra le sbarre. Una cella di sicurezza del carcere di Secondigliano. Abbiamo raggiunto quota 56. È questo, secondo i dati del dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti aggiornato al 3 dicembre, il numero dei detenuti che dall’inizio dell’anno si sono uccisi nelle prigioni italiane. Sempre secondo i dati forniti dalla stessa associazione, dal 2000 ad oggi i suicidi sono stati 747, pari a oltre un terzo del totale delle morti tra le persone private della libertà: 2.080. Oltre ai dati di Ristretti Orizzonti, aggiungiamo quelli del Ministero di Giustizia, secondo cui, dal 1990 al 2011, si sono suicidate 1.128 persone rinchiuse nelle patrie galere. E se nel 1990 sono stati 23 i detenuti che si sono dati la morte, tutti italiani tranne uno, l’anno scorso sono stati 63, di cui 25 stranieri. Cifre che descrivono quella realtà che, secondo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “non fa onore al nostro Paese”. Ma come va nelle carceri di altri Stati? Risale al 2010 l’ultimo confronto statistico tra l’Italia, i paesi europei e gli Usa. Fatta dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti su dati del Ministero di Giustizia, del Consiglio d’Europa e dell’U.S. Department of Justice - Bureau of Justice Statistics, l’elaborazione prende in considerazione il periodo 2005-2007. In questo triennio, in Italia, il tasso di suicidi nelle carceri è stato pari a 10 casi ogni 10 mila detenuti (salito a 11,2 nel 2009 e 2010), mentre in Europa è stato di 9,4 casi e di 2,9 negli Usa. A un primo sguardo, però, la situazione italiana potrebbe sembrare non peggiore di altre: in paesi come Francia, Gran Bretagna o Germania avvengono più suicidi, pur avendo un numero di detenuti simile a quello italiano. Secondo il documento, però, il punto non sta nei numeri, quanto nel confronto tra la situazione dei suicidi dentro le carceri e quella fuori dalle mura di cinta. E da questa fotografia emerge che mentre in Inghilterra dentro le carceri ci si uccide cinque volte di più che fuori; in Francia 3 volte di più; in Germania e in Belgio 2 volte di più, mentre in Finlandia il tasso è lo stesso, in Italia la popolazione detenuta ricorre al suicidio 9 volte di più rispetto a quella libera, passando da 1,2 a 9,9 casi ogni 10 mila persone. Questa distanza tra la situazione esterna e quella interna mostra, secondo il rapporto, il criterio di ‘vivibilità’ dei vari sistemi penitenziari. Negli Usa, trent’anni fa, il tasso di suicidi tra i detenuti era simile a quello europeo di oggi. Poi, nel 1988, il Governo istituì un Ufficio adibito alla prevenzione del fenomeno, con uno staff di 500 persone incaricate alla formazione del personale penitenziario. Il risultato è stato che in poco meno di 25 anni il tasso dei suicidi all’interno delle carceri statunitensi è crollato del 70%, assestandosi a circa un terzo di quello italiano o europeo. Del suicidio in carcere si è occupata anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità proponendo nel 2007 un documento sulla prevenzione. “Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti ed un eventuale fallimento di questo mandato può essere perseguito a fini di legge”, si legge nel documento. Ma l’O.M.S. sostiene che è “possibile ridurre il numero di suicidi in ambiente carcerario” e struttura il piano di intervento su alcune direttrici: l’addestramento del personale carcerario; lo screening della persona che entra in carcere; l’osservazione attenta dopo il suo ingresso e la gestione dello screening; la comunicazione tra personale carcerario sulla persona a rischio; l’intervento sociale; la cura e l’attenzione per l’ambiente e l’architettura, così che le celle siano anti-suicidio; il trattamento psichiatrico. Così che “se avviene un tentativo di suicidio ?€” dice il Rapporto - il personale deve essere addestrato a proteggere l’area e a prestare pronto soccorso al detenuto nell’attesa dell’arrivo del personale medico interno e/o esterno”. E ancora, “tutto il personale deve essere addestrato all’uso delle attrezzature di rianimazione, che devono essere rapidamente accessibili. Ogni membro del personale deve essere a conoscenza del da farsi in caso di un tentativo di suicidio”. In caso di suicidio riuscito, invece, “devono essere attuate procedure specifiche per documentare ufficialmente l’evento e per fornire un riscontro positivo finalizzato al miglioramento delle attività future di prevenzione del suicidio”. Giustizia: Bernardini (Radicali); troppi detenuti suicidi, si incrementi personale penitenziario Agenparl, 5 dicembre 2012 È molto elevata la percentuale dei tentati suicidi nelle carceri italiane. A portarlo all’attenzione del Ministro della Giustizia sono i deputati Radicali attraverso un’interrogazione a risposta scritta, prima firmataria Rita Bernardini. Risalirebbe al 28 novembre il tentato suicidio di un detenuto tunisino affetto da tbc e ricoverato presso il reparto detentivo dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. I firmatari domandano al Ministro della Giustizia quale sia la ricostruzione ufficiale della vicenda, e se per il detenuto non fosse previsto un programma di osservazione speciale in quanto potenziale suicida. Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), dichiara che, dei 1100 detenuti che ogni anno tentano il suicidio, oltre 1.000 vengono salvati dalla polizia penitenziaria, nonostante la carenza di personale specializzato. “In Italia - afferma Durante - mancano 7.000 unità”. I deputati chiedono infine al Ministro “se non si ritiene preoccupante il numero crescente di suicidi, tentativi di suicidio, atti gravi di autolesionismo, nelle strutture detentive italiane e cosa intenda fare per decongestionare il sovraffollamento nelle carceri dell’Emilia Romagna e per incrementare l’organico del corpo degli agenti di polizia penitenziaria e delle altre figure professionali, in particolare educatori e per quanto di competenza psicologi, indispensabili per migliorare le condizioni psicologiche di detenzione”. “Lo scorso 30 novembre, Vincenzo Scarcia, detenuto nel carcere di Taranto è stato trovato suicida nella sua cella. Sull’uomo che stava scontando una pena definitiva che si sarebbe conclusa nel 2014, il Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) ha diramato una nota in cui si evidenziava il degrado del sistema carcerario pugliese” - è quanto scrive la deputata radicale Rita Bernardini, in un’interrogazione in corso alla Camera dove chiede al Ministro della Giustizia, Paola Severino, e al ministro della Salute, Renato Balduzzi, di far luce su quanto accade nelle carceri pugliesi, se il ragazzo fosse tossicodipendente o affetto da disturbi mentali e se venisse seguito in tal caso, da operatori del Sert, dai medici dell’Asl e dagli psicologi. “Da quanto si apprende dall’ultimo protocollo del Sappe, il presidente della Regione Puglia e caso ancora più grave, i responsabili dell’amministrazione penitenziaria sembrano ignorare quanto avviene all’interno delle carceri pugliesi, piene di persone affette da gravi disturbi mentali, patologie molto gravi e tossicodipendenti. Queste persone, sono abbandonate a se stesse - conclude Bernardini - o nel migliore dei casi affidati a un numero irrisorio del personale penitenziario”. Giustizia: il grido di dolore di Nordio sul sistema penitenziario italiano di Dimitri Buffa L’Opinione delle Libertà, 5 dicembre 2012 Ci sono due Italie diverse rispetto al pianeta giustizia e a quello satellite delle carceri: uno ragiona, l’altro fa propaganda. Quello che fa propaganda lo sentiamo in questi giorni nell’ostruzionismo di Lega Nord e Italia dei valori al misero provvedimento del ministro Severino per tentare tramite un timido affidamento in prova a reati che nel massimo edittale della pena non superino i quattro anni, di svuotare le carceri di qualche centinaio di unità di individui. Oltre al noto siparietto dell’elettrauto semi-analfabeta, o almeno tale appariva, ieri si è sentito anche chi definiva le patrie galere hotel a cinque stelle. Magari si ricrederà quando qualche suo compagno di partito dovesse, Dio non voglia, provarle. L’Italia che ragiona invece ha il volto e il nome di un magistrato che oltretutto con i leghisti, e con l’ex ministro Guardasigilli Castelli in particolare, ci ha pure lavorato: Carlo Nordio. Proprio lui, noto per avere indagato senza particolare appoggio dell’opinione pubblica sulla tangentopoli del Pci-Pds dell’epoca, domenica, come terzo incomodo, ospite della conversazione Pannella-Bordin, ha detto due cose chiare e forti: primo, l’obbligatorietà dell’azione penale in Costituzione è un retaggio del fascismo; secondo, la nuova legge anti-corruzione con cui si è fatta bella la Severino non serve a niente. Meglio, molto meglio delegificare e deburocratizzare la pubblica amministrazione, per togliere ai funzionari e ai parassiti che vi si annidano la tentazione di farsi ungere la ruota, piuttosto che minacciare nuove pene e nuove leggi che si sedimentano sulle altre. Nordio, che fu incaricato proprio da Castelli di portare avanti un progetto di riforma del codice penale, che ancora oggi è quello fascista, con possibili peggioramenti dati dalle leggi emergenziali su terrorismo, mafia, pedofilia, stalking e tutto lo scibile umano contingente alla moda isterica del momento, pur con la sua compostezza veneta ha dato l’impressione di essere ormai un magistrato disilluso. Vittima, da una parte, della mala politica che ancora si illude di potere utilizzare la questione sicurezza per fare cassa elettorale, e dall’altra del gioco lottizzatorio delle correnti in seno all’Anm, che isolano i magistrati coraggiosi e capaci per promuovere quelli più inclini alla burocrazia e al sindacalismo possibilmente poi da usare in chiave di trampolino per la politica. Nordio ha anche deprecato i magistrati che entrano, o peggio minacciano di farlo, in politica. Senza fare nomi che tanto sono sulle prime pagine di tutti i giornali. Insomma, la Pannella-Nordio-Bordin di domenica 2 dicembre 2012 è una trasmissione radiofonica da fare sentire nelle scuole dove si forma la futura classe dirigente, particolarmente quella che lavorerà nel pianeta giustizia. Per evitare che questo scorcio di terzo millennio venga ricordato solo per la faccia di politicanti corrotti. Ma anche di pm o ex tali che credono di avere Dio dalla loro parte e una missione salvifica da compiere invece che semplicemente applicare e rispettare per primi le leggi. Proprio Nordio, su assist di Pannella, ci ha avvertito con un grido di dolore: “Io mi metto paura anche solo di quei magistrati che dicono di “volere fare giustizia”, noi semplicemente dobbiamo applicare la legge in maniera onesta”. La magistratura non deve lottare contro qualcuno o per qualcosa, non è una squadra di calcio. Giustizia: ministro Severino firma Decreto per “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti” Asca, 5 dicembre 2012 La “Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati”, da consegnarsi a chiunque faccia ingresso in carcere, da oggi è una realtà. La guardasigilli Paola Severino ha firmato il Decreto ministeriale contenente le disposizioni relative a tutto ciò che il detenuto deve conoscere, al suo ingresso nell’Istituto, sin dal primo colloquio con il Direttore o con un operatore penitenziario. Il documento, che come previsto è stato adottato entro centottanta giorni dall’entrata in vigore del Dpr 5 giugno 2012, n. 136, era da tempo nell’agenda del Ministro. Proprio per dare una maggiore consapevolezza del regime carcerario al quale i detenuti vengono sottoposti, spiega una nota del ministero della Giustizia, la Carta indica: gli aspetti principali che attengono alla gestione della vita quotidiana, ai doveri di comportamento e alle relative sanzioni, all’esercizio del diritto allo studio, alle attività culturali e sportive, alle possibilità lavorative e di formazione offerte dall’Amministrazione penitenziaria, alle norme che regolano i rapporti con i familiari e la società esterna, alle misure alternative alla detenzione ed a quelle premiali, nonché ai regimi di detenzione speciale spettanti a determinate categorie di soggetti. Contiene inoltre notizie importanti per i detenuti stranieri e, per assecondare il bisogno di informazione di questi ultimi, è stata prevista la traduzione del documento nelle lingue più diffuse tra la popolazione carceraria. La Carta, infine, verrà portata a conoscenza anche dei familiari, mettendone a disposizione una copia nella sala colloqui di ciascun Istituto. Giustizia: Camera dei Deputati; calendarizzata Risoluzione sul diritto di voto dei detenuti Agenzia Radicale, 5 dicembre 2012 La risoluzione radicale per il diritto di voto dei detenuti è stata calendarizzata e sarà discussa martedì 11 dicembre nelle commissioni giustizia e affari costituzionali in riunione congiunta. Un successo della lotta nonviolenta che ha convinto la deputata radicale Rita Bernardini, promotrice e prima firmataria del documento, a sospendere lo sciopero della fame che portava avanti da ormai 41 giorni insieme alla segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa e al segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti, con il sostegno di altri militanti e dirigenti radicali. Per rivendicare il proprio diritto di voto, ostacolato da disinformazione e da una procedura farraginosa, decine di migliaia di reclusi in tutta Italia avevano digiunato dal 19 al 22 novembre scorso, alternando ogni sera per quattro giorni battitura delle sbarre e momenti di silenzio. Una mobilitazione promossa dal Partito Radicale dentro e fuori le carceri e che riprenderà nei prossimi giorni, come annunciato da Marco Pannella, che ha chiamato nuovamente a raccolta la comunità penitenziaria dai microfoni di Radio Carcere. Così, mentre da domani il leader radicale porterà avanti un’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame, alternato ogni tre giorni da una giornata di sciopero della sete, domenica 9, lunedì 10 dicembre e martedì 11 nelle carceri si ripeterà la battitura alle sbarre delle celle con questi orari: domenica e lunedì dalle 13 alle 13.30 e dalle 19 alle 19.45 mentre martedì la battitura verrà effettuata dentro e fuori le carceri dalle 13 alle 13.30 (e anche davanti a Montecitorio con pentole, coperchi, posate e tutto il necessario per farsi sentire). “Pur essendo moltissimi i reclusi che conservano il diritto di voto, finora soltanto il 7 per cento di loro è stato messo nelle condizioni di esercitarlo, a causa di ostacoli e complicazioni burocratiche che privano i detenuti di un diritto dovere fondamentale”, fa sapere Rita Bernardini. Con la risoluzione, sottoscritta da quasi 40 deputati di diversi gruppi parlamentari, si chiede al governo di sollecitare, attraverso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i direttori degli istituti penitenziari affinché informino tempestivamente i detenuti sugli adempimenti da compiere per essere ammessi al voto in carcere; di avviare con ampio margine di tempo le operazioni di registrazione nelle liste elettorali dei detenuti elettori e la consegna delle loro tessere; di emanare una circolare affinché si assicuri in modo tempestivo l’esercizio del diritto di voto dei detenuti che non hanno perso il godimento dei diritti civili e politici, in particolare di quelli interessati dalle elezioni regionali di febbraio e che sono reclusi in regioni diverse da quelle in cui risultano residenti. Infine la richiesta è quella di individuare e promuovere una modifica dei punti più critici della normativa italiana in materia di esercizio del diritto di voto dei detenuti, così da renderlo più agevole, e quindi effettivo. Con questa nuova mobilitazione i radicali intendono inoltre ribadire l’urgente necessità di riportare la giustizia italiana e la sua appendice carceraria nel perimetro della legalità attraverso un provvedimento di amnistia: il solo in grado di interrompere immediatamente la condizione di flagranza di reato in cui versa lo Stato italiano rispetto ai propri cittadini. Dichiarazione di Rita Bernardini “Dopo 41 giorni io, Irene Testa e Maurizio Bolognetti interrompiamo lo sciopero della fame. Siamo riusciti a far mettere all’ordine del giorno la risoluzione a mia prima firma sul diritto di voto dei detenuti, che verrà discussa martedì prossimo alle 14.30 nelle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali riunite in congiunta. Da sempre un diritto previsto non può nella realtà dei fatti essere esercitato: fino a questo momento è stato messo nella condizione di votare solo il 7% degli aventi diritto (detenuti cittadini italiani in attesa di giudizio e condannati in via definitiva per reati sentenziati come “non ostativi”). Toscana: più tutela e assistenza sanitaria per i detenuti, mozioni approvate all’unanimità Ansa, 5 dicembre 2012 Incrementare l’assistenza sanitaria e psicologica nelle carceri toscano e favorire la ristrutturazione del carcere di Porto Azzurro all’isola d’Elba. È quanto chiedono due mozioni approvate oggi all’unanimità dal Consiglio regionale. La prima mozione, presentata dall’Idv con primo firmatario Rudi Russo, impegna la Giunta a “incrementare la presenza e l’impegno del servizio sanitario regionale all’interno delle strutture detentive”. Secondo Russo “troppo spesso sono gli agenti di polizia penitenziaria che si fanno carico del disagio psicofisico e delle situazioni di depressione che colpiscono i carcerati, un ruolo che non compete loro e che deve essere svolto da personale specializzato”. La mozione impegna inoltre la Giunta a “predisporre camere di sicurezza attrezzate in tutti gli ospedali della regione, ove siano presenti istituti penitenziari, per garantire la sicurezza nel lavoro degli operatori di Polizie”. L’altra mozione, primo firmatario Paolo Marini (Fds-Verdi), era dedicata all’istituto penale “Forte S. Giacomo” di Porto Azzurro. “Con questa mozione - ha detto Marini - chiediamo al presidente Rossi e a tutta la Giunta regionale di attivarsi con iniziative concrete per favorire la ristrutturazione capillare del carcere, finalizzata a migliori e più umane condizioni di vita dei detenuti e, allo stesso tempo, migliori garanzie di lavoro per tutto il personale, sia amministrativo che di polizia penitenziarie”. Nel corso del dibattito Enzo Brogi (Pd) ha avanzato la richiesta di tenere una seduta straordinaria del Consiglio regionale sul tema delle carceri. Lettere: il 29 novembre nella Casa Circondariale di Taranto si è impiccato un mio assistito Ristretti Orizzonti, 5 dicembre 2012 Sono l’avvocato Rosaria Trani del Foro di Taranto. Purtroppo il 29 novembre presso la Casa Circondariale di Taranto si è impiccato un mio assistito. Oggi ci sono stati i funerali ai quali ovviamente ho partecipato. Era ristretto dal 20 giorni circa per una pena definitiva pari ad anni due e mesi 1. Abbiamo depositato una richiesta di sospensione pena per motivi di salute e vi era una documentazione medica tale che, se vi fosse stata più attenzione da parte di tutti, il mio assistito doveva essere scarcerato nell’immediatezza. Nella mia istanza ho segnalato subito il pericolo che la situazione potesse degenerare: possibile che lo psichiatra, che dovrebbe conoscere a memoria il giuramento di Ippocrate, non se ne sia accorto, insistendo sulla compatibilità carceraria? Sono turbata, si poteva fare qualcosa e nessuno ha dato importanza alla vita di un ragazzo di 34 anni! Ho richiesto le certificazioni mediche e visite effettuate in carcere, il pm ha fatto altrettanto disponendo l’autopsia per rilevare se vi fosse stata una somministrazione di farmaci elevata... ovviamente andremo avanti nel chiedere giustizia. Questo non potrà mai riportarlo in vita, ma che almeno questi episodi non avvengano, perché non è possibile morire così in carcere... Teramo: detenuto muore di infarto; la denuncia del Sappe… l’80% ha problemi di salute www.clandestinoweb.com, 5 dicembre 2012 Continua giornaliero il bollettino delle morti in carcere. A Teramo, un detenuto italiano di 51 anni è stato colto da infarto a pochi giorni dalla sua scarcerazione. Una volta fuori dall’istituto penitenziario, l’uomo, sarebbe stato affidato ai servizi sociali. A comunicare la notizia della morte è il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Donato Capece, che ha sottolineato come la drammatica scoperta “intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della polizia penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità”. La notizia è l’occasione per una nuova riflessione sulla situazione di pesante sovraffollamento penitenziario che si vive in Italia: “Una prima soluzione, può essere la concreta definizione dei circuiti penitenziari differenziati e, in questo contesto, la costruzione di carceri per così dire ‘leggerè per i detenuti in attesa di giudizio o con gravi disabilità destinando le carceri tradizionali a quelli con una sentenza definitiva da scontare”. Il dato allarmante presentato da Capece è quello riguardante il numero dei detenuti che vivono in condizioni di salute precarie: “Secondo i dati recentemente diffusi, è infatti emerso che l’80% dei circa 68mila detenuti oggi in carcere in Italia ha problemi di salute, più o meno gravi”. Nello specifico, il 38% vive in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, mentre il 4% ha problemi di salute gravi. Solo il 20% è sano. Un terzo dei detenuti è tossicodipendente e il 4% del 30% di quanti si sono sottoposto al test Hiv è risultato positivo. Non mancano poi disturbi come depressione o altri disturbi psichici, mentre il 15% ha problemi di masticazione. “Tutto questo - conclude Capece - va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del corpo di polizia penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti”. Pavia: due tentativi di suicidio in tre giorni, un detenuto è ancora in condizioni gravissime La Provincia Pavese, 5 dicembre 2012 Secondo tentativo di suicidio, nel giro di pochi giorni, nel carcere di Torre del Gallo, sulla Vigentina. Un detenuto di 33 anni ha cercato di togliersi la vita nella sua cella, ma è stato salvato dai compagni e dagli agenti di polizia penitenziaria. Il giovane è stato poi soccorso dal personale del 118 ma le sue condizioni non sarebbero gravi. La tempestività dell’intervento delle guardie e dei compagni, che si sono accorti che qualcosa non andava e hanno fatto irruzione nella cella, hanno scongiurato il peggio. Il detenuto è stato visitato in pronto soccorso dove è stato giudicato guaribile in pochi giorni. È stata aperta un’inchiesta. La drammatica vicenda è avvenuta, la scorsa notte verso l’una e mezza. In base a quanto è stato ricostruito dalla polizia penitenziaria il detenuto, uno straniero che deve scontare una condanna per spaccio di sostanze stupefacenti, era da solo, in quel momento. Forse stava da tempo pensando di mettere in pratica il suo proposito. Oppure la decisione è maturata all’improvviso, in un attimo di debolezza. Il detenuto ha preso le lenzuola e le ha annodate tra loro, fino a formare una corda. Poi, con quella, ha cercato di togliersi la vita, impiccandosi. Proprio come aveva fatto poche ore prima un altro detenuto, di 27 anni, salvato anche lui per un soffio dagli agenti di polizia penitenziaria. Sono stati i compagni di cella, in questo caso, ad accorgersi delle sue intenzioni. Sono riusciti a bloccarlo in pochi secondi. Poi sono intervenuti gli agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto ha riportato solo qualche lesione ma le sue condizioni non sono gravi. Il personale del 118 l’ha caricato in ambulanza e trasportato in ospedale, dove è stato tenuto sotto osservazione e poi riportato nell’infermeria del carcere di Torre del Gallo. Un altro episodio sabato mattina Sabato mattina, nel carcere di Torre del Gallo, c’era stato un altro tentativo di suicidio. Un detenuto di 27 anni aveva cercato di togliersi la vita impiccandosi con le lenzuola, ma era stato salvato dagli agenti di polizia penitenziaria. I poliziotti lo avevano però già trovato in arresto cardiaco, a differenza del 33enne che è stato soccorso prima che fosse troppo tardi. Il 27enne era da tempo depresso e in condizioni fisiche molto precarie. Anche per questo le conseguenze del suo gesto sono state più drammatiche. Quando i poliziotti erano entrati in cella, infatti, il giovane aveva perso conoscenza. È ancora ricoverato in Rianimazione, in gravi condizioni. Roma: tagliati fondi a servizio recupero dei detenuti con problemi di tossicodipendenza www.romatoday.it, 5 dicembre 2012 Il Servizio Pronto Aiuto, help line telefonica e servizio consultoriale a favore di tossicodipendenti, famiglie e detenuti tossicodipendenti ha visto l’interruzione del finanziamento da parte dell’Agenzia Capitolina sulle Tossicodipendenze il 30 aprile scorso nonostante 26 anni di ininterrotto lavoro a favore del Comune di Roma prima e dell’Act dal 1999. Il servizio telefonico, lo sportello per le famiglie e l’assistenza diretta negli Istituti Penitenziari di Roma, ad oggi, continua a funzionare grazie al volontariato degli operatori di Villa Maraini. Questo servizio è l’unico che svolge un’assistenza diretta negli Istituti Penitenziari di Roma, e nell’anno 2011 sono state incontrate in questi Istituti 303 persone detenute. Le altre attività svolte, sempre nel 2011, a sostegno di questa utenza sono state: 460 gruppi di orientamento e sostegno, 595 i contatti con magistrati, forze dell’ordine, direttori di istituti di pena, Ser.T., Ufficio Esecuzione Esterna (Uepe), 21 incontri con detenuti agli arresti domiciliari, 257 consulenze a utenti e ai loro parenti e 62 consulenze legali. Ora nessun servizio previsto dall’Actd, copre minimamente l’assistenza di queste persone nonostante la raccomandazione inviata ai vertici dell’Agenzia dal Direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Roma e Latina, in cui si rappresentava il valido supporto fornito dal “Pronto Aiuto” alla rete dei Servizi per l’inclusione sociale delle persone in esecuzione penale. Non si comprende l’annullamento di questo servizio da parte dell’Actd che ha preferito inserire progetti innovativi, a mio avviso discutibili, come quello di prevenzione in età prescolare, abbandonando a se stessi gli ex detenuti. Spero che le scelte della prossima Amministrazione prevedano una svolta sulle politiche necessarie per contrastare le tossicodipendenze. Lo dichiara Maria Gemma Azuni, Presidente del Gruppo Misto (Sinistra, Ecologia Libertà). Porto Azzurro (Li): sovraffollamento, niente lavoro e personale scarso, carcere allo stremo Il Tirreno, 5 dicembre 2012 Solo pochi anni fa era una struttura che il resto dell’Italia invidiava all’Elba. Un carcere modello, dove i detenuti, grazie al lavoro, artigianato e scuola, potevano intraprendere percorsi di riabilitazione ben organizzati. Per qualità della vita dei detenuti, insomma, Porto Azzurro era di certo una delle migliori strutture carcerarie in circolazione. Sono passati solo pochi anni e questa tradizione è stata cancellata. Un carcere dove vivevano mediamente 280 detenuti è arrivato ad ospitarne il doppio, mentre gli agenti penitenziari sono rimasti pressoché gli stessi. E i tagli hanno ridotto al lumicino la possibilità di lavoro, la vera motrice dell’istituto elbano. Licia Baldi, presidente dell’associazione Dialogo, attiva all’interno del carcere da quasi trent’anni, traccia un quadro a dir poco allarmante delle condizioni di vita nella struttura. Lavoro. “Della riabilitazione ormai non c’è più traccia”. Licia Baldi parte dal lavoro per raccontare quanto sta accadendo a Porto Azzurro. “Il detenuto non ha più modo di mettere da parte neanche pochi spiccioli - racconta - la falegnameria è chiusa, non c’è più il giornale che aveva reso famoso l’istituto, niente legatoria. Niente di niente. Una cinquantina di detenuti sono impiegati part-time per lavori domestici, 5-6 nel panificio aperto da poco. Il risultato? Non hanno mai soldi. I detenuti escono in permesso senza avere neanche un euro per poter telefonare, per comprarsi qualcosa da mangiare. Pochi giorni fa sono andata io stessa in rosticceria per comprare qualcosa da mangiare a un detenuto. Non mi era mai capitato in tanti anni”. Scuola. Il lavoro non è però l’unico nervo scoperto. “Anche la scuola negli ultimi anni sta soffrendo a causa dell’inadeguatezza dei locali e per gli accorpamenti - racconta Baldi - basti pensare che nella prima ci sono 41 alunni e, invece, le classi terze, quarte e quinte sono accorpate. Tanti i detenuti lasciano gli studi”. Igiene. Tre rotoli di carta igienica ogni due mesi. È questa, secondo quanto segnalato a Licia Baldi, la dotazione per ciascun detenuto. “Non sono messi nelle condizioni di lavarsi - racconta la volontaria - tant’è che c’è la continua richiesta da parte di chi opera all’interno del carcere di saponi, schiume da barba, prodotti per l’igiene personale”. Condizioni di vita. Il sovraffollamento ha mutato in tempi fulminei le condizioni di vita all’interno del carcere. “Non ci sono più celle singole - racconta Baldi - non c’è più modo per studiare o per leggere. Tra gli ospiti sta crescendo un preoccupante senso di abbandono. Anche il cibo è poco e, per qualità, è peggiorato rispetto al recente passato”. Situazione esplosiva. Ciascun dettaglio, letto in un quadro di insieme, rende allarmanti le condizioni all’interno della struttura, dove agiscono quattro educatori, a fronte di una popolazione detentiva di poco inferiore alle cinquecento unità. Gli agenti sono pochi, così come è scarso il personale sanitario in servizio. Di notte, ovvero dalle 22 alle 7, non c’è un infermiere di turno, tanto che il medico - da solo - si trova a gestire eventuali emergenze. Anche gli psicologi in forza alla struttura, purtroppo sempre più richiesti, sono ridotti al lumicino. “Quel che è più grave - aggiunge il presidente dell’associazione Dialogo - è che il detenuto non viene ascoltato da nessuno e si moltiplicano i casi di depressione. Quello che sta accadendo, purtroppo, non ha niente a che fare con la civiltà”. Teramo: istanze per scarcerare detenuti per finti lavori in cambio denaro Adnkronos, 5 dicembre 2012 I Carabinieri hanno denunciato due pseudo imprenditori che avevano ditte fittizie e organizzavano assunzioni truffa. Coinvolto anche un commercialista. Hanno presentato istanze al Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila per far uscire dal carcere almeno sei persone, cinque rom e un nordafricano, da assumere o in ditte edili, di abbigliamento e in un caso come lavoratore domestico. Il tutto in cambio di denaro. I due pseudo imprenditori che avevano ditte fittizie e organizzavano quindi assunzioni truffa sono stati denunciati dai carabinieri con l’accusa di false dichiarazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria. Dalle indagini è emersa anche la correità di un commercialista di Sant’Egidio, che è stato quindi denunciato. Denunciata per evasione anche una rom che era ai domiciliari mentre il suo finto datore di lavoro è stato denunciato per procurata evasione. Le indagini dei carabinieri della stazione di Sant’Egidio alla Vibrata, diretta dal maresciallo Mario De Nicola, e dei militari della compagnia di Alba Adriatica, coordinati dal capitano Pompeo Quagliozzi, erano partite la scorsa estate. Non è chiaro il giro d’affari mosso dai denunciati. False assunzioni per detenuti favorivano evasioni Assumevano fittiziamente nelle loro imprese fantasma detenuti, dietro compenso. In realtà, favorivano la loro l’evasione grazie al permesso ottenuto dal tribunale di sorveglianza per andare a lavorare. Il losco giro è stato però scoperto e denunciato dai carabinieri della stazione di Sant’Egidio alla Vibrata (Teramo). L’indagine si snoda in due singoli filoni d’inchiesta di cui sono titolari i sostituti procuratori di Teramo, Stefano Giovagnoni e Davide Rosati. Nella prima inchiesta è stato denunciato A.C. di 32 anni di Sant’Egidio alla Vibrata. Il falso imprenditore di un’impresa edile (chiusa dai carabinieri in una precedente indagini su assunzioni fittizie) aveva avanzato richiesta al tribunale di sorveglianza dell’Aquila per far uscire, per motivi di lavoro, un detenuto nordafricano in carcere per spaccio di sostanze stupefacenti. Lo stesso 32enne aveva vanzato la stessa richiesta per far uscire dall’istituto penitenziario di Castrogno a Teramo una zingara la quale avrebbe, invece, dovuto svolgere il lavoro di badante all’anziana madre dell’uomo. Ma ad insospettire i militari è stata la condizione di indigenza della donna - che del raggiro messo in piedi dal figlio era all’oscuro - che vive anche grazie al sussidio del Comune. Come poteva permettersi una badante? A.C. è stato denunciato per false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria. Nella seconda inchiesta dei militari della stazione di Sant’Egidio alla Vibrata, è stato invece denunciato A.C. di 60 anni sempre di Sant’Egidio alla Vibrata. L’uomo risultava essere titolare, fittiziamente, di un’azienda di abbigliamento. Il falso imprenditore aveva richiesto la libertà per motivi di lavoro di 4 zingari (tre uomini ed una donna) residenti fra Alba Adriatica e Martinsicuro. A lasciare il carcere per andare al lavoro era stata autorizzata la sola donna ma in realtà non svolgeva alcuna mansione perché la ditta era inesistente. Per questo motivo, il finto imprenditore è stato denunciato oltre che per false attestazioni all’autorità giudiziaria, anche per procurata evasione, mentre la zingara è finita nei guai per evasione. In fine è stato denunciato per concorso in false dichiarazioni un commercialista di Sant’Egidio alla Vibrata in quanto avrebbe materialmente redatto la documentazione necessaria al finto datore di lavoro. I militari hanno per ora scoperto un acconto incassato di 500 euro. Orvieto (Pg): Sappe; sventato tentativo evasione, nella parete un foro di circa 50 centimetri Adnkronos, 5 dicembre 2012 Oggi nel carcere di Orvieto è stata impedita un’evasione dal carcere di due detenuti. Lo comunica in una nota il segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe Donato Capece. “Grazie all’intuito, all’attenzione e allo scrupolo dei nostri agenti - afferma Capece - è stato scoperto che nel bagno di una cella occupata da due detenuti campani per i reati di rapina e furto era stato praticato un foro di circa 50 centimetri”. “La situazione penitenziaria resta incandescente - denuncia il segretario sindacale - Lo confermano drammaticamente i gravi episodi che accadono sistematicamente nelle carceri italiane e lo evidenziano soprattutto i continui tentativi di evasione e le evasioni vere e proprie. Le istituzioni e il mondo della politica - continua - non possono più restare inermi e devono agire concretamente. C’è bisogno di una nuova politica dell’esecuzione della pena, che ripensi il sistema sanzionatorio e non cervellotiche disposizioni dell’Amministrazione penitenziaria che vorrebbero l’autogestione delle carceri affidata ai detenuti”. Capece sottolinea, infine, che il calo dei detenuti dopo i provvedimenti del Governo “è ad oggi ancora ininfluente a tamponare l’emergenza carceri. Il dato reale, dal quale partire per ripensare il sistema, è che ci sono in carcere 21mila persone detenute oltre la capienza regolamentare delle strutture e che più del 40% dei presenti - quasi 27mila - sono in attesa di un giudizio definitivo”. Immigrazione: Garante dei detenuti; al Cie di Ponte Galeria iniziano disagi per il freddo Asca, 5 dicembre 2012 “Con l’arrivo del primo, vero freddo invernale è riesplosa la protesta degli ospiti extracomunitari del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria. Manca il servizio di manutenzione e quindi la possibilità di intervenire in tempi ragionevoli sui normali guasti che si verificano”. Lo annuncia il Garante dei detenuti Lazio, Angiolo Marroni. “Nei giorni scorsi - ha detto Marroni - molti ospiti hanno manifestato contro i disagi causati dal gelo e dalle lentezze burocratiche connesse anche alla risoluzione dei più piccoli problemi quotidiani”. “A quanto mi hanno riferito alcuni manifestanti - ha detto il garante - occorrono giorni per provvedere alla riparazione dell’impianti di riscaldamento, di una finestra o addirittura di un rubinetto. Questo perché nell’incarico gestione del Cie non si è mai predisposto un servizio per la manutenzione ordinaria”. “Nonostante l’impegno dell’Ufficio Immigrazione e della cooperativa che gestisce il Cie - ha detto il Garante - le condizioni di vita quotidiana nel centro sono difficili ed il freddo arrivato in questi giorni non ha fatto che aggravare la situazione. In queste condizioni, basta davvero poco per scatenare la rabbia e l’esasperazione degli ospiti”. Stati Uniti: nelle carceri private si risparmia... detenuti incaricati di mantenere l’ordine Reuters, 5 dicembre 2012 Con le carceri private si risparmia: specialmente se per far la guardia si assoldano le gang di criminali. Ogni tanto qui ci occupiamo di carceri private, uno dei peggiori orrori prodotti dalla privatizzazione selvaggia di ciò che era pubblico: sempre nel nome del risparmio, e degli imprenditori che “offrono servizi migliori dello Stato”. Sicuramente i servizi toccati ai carcerati dello Iowa, in Usa, devono essere stati eccellenti, se il personale assunto dalla compagnia che gestisce il penitenziario è stato selezionato secondo certi criteri. Una denuncia al tribunale di otto carcerati dell’Idaho Correctional Center afferma che la compagnia sta tagliando sui costi del personale, affidandosi alle gang più violente per controllare l’istituto. Ospitare tutti insieme i membri delle gang permette all’azienda di usare meno guardie, riducendo i costi dei salari. I risparmi attuati quindi non coinvolgono i cittadini, che pagano profumatamente i privati gestori, mentre costoro ricorrono ad ogni mezzo lecito, illecito e persino barbaro pur di risparmiare e intascarsi maggiori utili. Tra l’altro, non vengono limitate così né la delinquenza né la corruzione: un giudice dell’Arizona ha recentemente rimediato una condanna a quasi trent’anni di galera per essersi intascato bustarelle da milioni di dollari da parte degli imprenditori carcerari. Il suo compito? Quello di riempire, tramite sentenze “aggiustate”, le carceri minorili con giovani criminali, che fossero colpevoli oppure innocenti. Ha poca importanza, quando si tratta di business, che dei ragazzini di 16 anni finiscano dietro le sbarre anche se non lo meritano. Vi ricordo, qualora pensaste che si tratta di follie americane, che recentemente anche il nostro governo liberista e privatizzatore ha previsto l’avvio delle carceri private nel nostro Paese. Che bello, risparmieremo: e si sa, i privati funzionano sempre meglio.