Giustizia: Margara; Italia “maglia nera” in Europa per condizione degli istituti carcerari Affari Italiani, 4 dicembre 2012 L’Italia si conferma maglia nera in Europa per la condizione degli istituti carcerari. Il tasso di sovraffollamento delle carceri italiane è infatti del 142,5%, ci sono dunque oltre 140 detenuti ogni 100 posti, mentre la media europea è del 99,6%. I detenuti sono così oltre 66mila con una disponibilità di 45558 posti. Per non parlare dei suicidi, in forte crescita Il quadro emerge dal monitoraggio della situazione nelle carceri italiane dell’associazione Antigone da sempre attenta alla realtà carceraria, che quest’anno, in collaborazione con il service giornalistico Next New Media, ha dato vita a un web-doc sulla condizione delle prigioni italiane. Il sovraffollamento - Rispetto ai numeri record a livello nazionale, ci sono regioni che stanno anche peggio. La Liguria ha infatti un tasso di sovraffollamento del 176,8%, la Puglia al 176,5%, il Veneto del 164,1%. E ci sono casi limite in cui il numero dei detenuti è più che doppio rispetto ai posti regolamentari, come nel carcere messinese di Mistretta (269%), Brescia (255%) e Busto Arsizio (251%). In questi due istituti, come in altre carceri del Nord la presenza di stranieri è superiore a quella degli italiani. A San Vittore (Milano) su 100 detenuti 62 sono stranieri, a Vicenza 65. Le percentuali più alte di stranieri tra i detenuti si registrano in Trentino Alto Adige (69,9%), Valle d’Aosta (68,9%) e Veneto (59,1%). Le più basse in Basilicata (12,3%), Campania (12,1%) e Molise (11,8%). L’identikit dei detenuti - Ma chi sono detenuti nelle carceri italiane? Il detenuto tipo è uomo, le donne sono solo il 4,2% della popolazione carceraria. Uno su tre è straniero e quattro su dieci hanno meno di 35 anni e i reati più comuni sono quelli contro il patrimonio, e subito dopo quelli legati agli stupefacenti. Gli ergastolani sono 1.567, mentre a fine 2005 erano 1.224. Per quanto riguarda la provenienza geografica dei detenuti: gli italiani vengono dalla Campania per il 26,3%, dalla Sicilia per il 17,9%, dalla Puglia per il 10,5%, dalla Calabria per l’8,6%, dalla Lombardia per il 7,3% e dal Lazio per il 6,5%. Gli stranieri sono 23.789 (su 66.685), e rappresentano il 35,6% dei detenuti, una percentuale stabile ormai da tempo, nonostante la direttiva rimpatri, che prevedeva il carcere in caso di mancata ottemperanza dell’ordine di espulsione sia stata bocciata ad aprile 2011 dalla Corte di Giustizia europea. Le nazionalità più rappresentate sono quella marocchina (19,4%), romena (15,3%), tunisina (12,7%), albanese (11,9%) e nigeriana (4,4%). Suicidi in crescita - E a rendere ancora più drammatico il quadro, il dato sui suicidi. Dieci persone in più dell’anno scorso si sono tolte la vita in carcere nel 2012: sono 53 in tutto. Sono 93 i detenuti morti in carcere, di questi 50 per suicidio in cella, uno per sciopero della fame (Lecce), uno per overdose (Regina Coeli), uno per omicidio (Opg di Aversa), 31 per cause ancora da accertare e 9 per malattia. A questi numeri si devono aggiungere altri quattro morti nelle camere di sicurezza, di cui 3 per suicidio: tutti giovani stranieri, tra i 26 e 31 anni. Nello stesso periodo dello scorso anno erano morti 91 detenuti, 43 dei quali per suicidio. Tra i suicidi anche due donne: una madre tossicodipendente di 36 anni che si è impiccata nella sua cella nel carcere di Sollicciano sei mesi prima di uscire; l’altra era un’etiope di 55 anni, condannata a 18 per omicidio. Il suo avvocato ne aveva chiesto l’assoluzione per infermità mentale. Inside Carceri, il web-doc - Ad accompagnare i dati di Antigone, il web doc visitabile a partire da 19 novembre sul sito Inside Carceri, che documenta, con filmati dentro gli istituti penitenziari, info grafiche e materiale inedito, la condizione dei detenuti italiani. Giustizia: Dap; 20mila i condannati in misura alternativa e 5mila con sanzioni sostitutive Adnkronos, 4 dicembre 2012 Al 30 novembre sono 9.953 i detenuti che usufruiscono dell’affidamento in prova, e 9.126 quelli in detenzione domiciliare, di cui 2.676 per effetto della Legge 199 del 2010, che prevedeva la possibilità di scontare ai domiciliari una pena non superiore ai 12 mesi, anche se residuale di una più lunga. Sono i dati forniti dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. Quanto a misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e altre misure, riferisce il Dap, i detenuti in libertà vigilata sono 2.812, tra semidetenzione e libertà controllata 169, e 2.675 usufruiscono di altre misure, quali lavoro di pubblica utilità, sospensione condizionale della pena, lavoro all’esterno e assistenza all’esterno di figli minori. E proprio oggi la Camera ha iniziato a votare il ddl sulle misure alternative, fortemente voluto dal ministro della Giustizia, Paola Severino, che prevede tra l’altro i domiciliari come pena che il giudice può irrogare, per alcuni reati, direttamente al momento della sentenza, e la “messa in prova”, senza l’ingresso in carcere, istituto utilizzato con buoni risultati per la giustizia minorile, che può dare luogo alla sospensione del processo e all’estinzione del resto. Il ddl arriva a completamento dell’impegno del governo per affrontare l’emergenza del sovraffollamento, dopo il decreto battezzato “salva carceri”, che ha introdotto misure per evitare l’ingresso in carcere di arrestati in flagranza per reati non gravi e in attesa del processo per direttissima, e ha esteso da 12 a 18 mesi il periodo di pena residua che si può scontare ai domiciliari. Giustizia: Camera; iter Ddl su pene alternative in fase conclusiva, la Lega sulle barricate Asca, 4 dicembre 2012 L’Assemblea dovrebbe in settimana concludere il lungo confronto sul Ddl 5019 b di Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni per la sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. Il testo risulta dallo stralcio, deciso in Aula, dell’articolo 2 dell’originario provvedimento governativo. La discussione in Assemblea è stata già svolta giovedì scorso e nel suo intervento il Ministro Paola Severino, in risposta alle critiche espresse dai deputati della Lega Nord, dal leader di Idv e da alcuni deputati del PdL ha sottolineato che per questo Ddl parlare di “un’amnistia strisciante è tecnicamente scorretto”. La Commissione Giustizia continuerà intanto ad esaminare il Ddl materia di depenalizzazione con audizioni di docenti ed esperti. In aula è anche in esame il DL 174 contenente disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali e ulteriori norme in favore delle zone terremotate nel maggio 2012. Molteni (Lega): dannoso il ddl sulle misure alternative È in discussione in Aula alla Camera il disegno di legge “Delega al Governo in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova, pene detentive non carcerarie, nonché sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”. Il ddl è stato presentato il 29 febbraio 2012 dalla Guardasigilli Paola Severino, e ha iniziato il suo iter in commissione Giustizia alla Camera il 29 marzo. Dopo il parere positivo della commissione, il ddl è poi approdato in Aula il 23 ottobre scorso. Il provvedimento prevede l’introduzione di pene alternative al carcere, la sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato e la sospensione del procedimento per gli irreperibili. Ne parla a Public Policy il deputato della Lega Nord e capogruppo in commissione giustizia, Nicola Molteni, contrario al testo presentato in Aula. Cosa contesta del ddl? Contestiamo tutto. Io ho definito il provvedimento in tre modi: sbagliato, inutile e dannoso. Sbagliato perché è la certificazione del fallimento del precedenti provvedimenti varati dal 2006 in poi, come l’indulto del Governo Prodi e lo “svuota carceri” del ministro Severino. Inutile perché non risolverà il problema del sovraffollamento carcerario. Dannoso perché lancia un messaggio sbagliato: commettete tranquillamente reati di questa indole, tanto non finirete in carcere. Non salvate nulla di questo provvedimento? No, perché anche questo provvedimento da attenzione a chi commette i reati, anziché a chi li subisce. Per noi prima viene la difesa delle parti offese, non certo chi commette i reati. Le misure alternative, lo “svuota carceri” e gli istituti come la messa alla prova, sono tutti provvedimenti che garantiscono una sorta d’impunità per legge. Quali sono state le vostre proposte in commissione e che fine hanno fatto? Abbiamo presentato più di 130 emendamenti, ma sono stati tutti respinti. Siamo partiti con gli emendamenti soppressivi degli articoli 1 e 2, ma non sono stati approvati. Gli altri emendamenti hanno riguardato i reati che interessano la messa alla prova dell’imputato. Infatti l’istituto della messa alla prova riguarda i reati con pene non superiori a quattro anni. Ci hanno detto che questi sono i reati minori, ma non è così perché tra questi ci sono molti reati gravi come il furto semplice, la truffa, lo stalking, il traffico d’influenze illecite (appena introdotto dalla legge anticorruzione; Ndr). Come proponete di risolvere il problema del sovraffollamento carcerario? Per noi si risolve in due modi. Investendo sull’edilizia carceraria, quindi costruendo nuove carceri e, visto che il 35% dei detenuti sono stranieri, facendo scontare la pena nei Paesi di origine. A questo proposito il ministro Severino ha detto in Aula che verranno realizzati 11mila nuovi posti per i detenuti. Per questo, a maggior ragione ci chiediamo quale sia la necessità di approvare questo provvedimento inutile. Giustizia: Ugl; occorre decongestionare sistema penitenziario, il piano carceri non basta Roma, 4 dicembre 2012 Dal 2013 la polizia penitenziaria farà parte della Dia, “come giusto riconoscimento per il lavoro svolto dagli agenti”, ha detto l’Ispettore Ciro Auricchio, segretario regionale dell’Ugl per la polizia penitenziaria. In un momento in cui fare questo lavoro è diventato più difficile del normale, a causa del sovraffollamento delle carceri, l’ispettore Auricchio ha voluto ricordare alcune delle difficoltà che oggi chi lavora in carcere si trova ad affrontare e che necessitano di una soluzione in tempi brevi. Ispettore Auricchio, cosa sta succedendo oggi nelle carceri italiane? “Sta succedendo che il piano carceri non è mai decollato. Noi riteniamo necessario, per decongestionare il sistema penitenziario, applicare le misure alternative al carcere. Una serie di norme già scritte nel Codice Penale che, al momento, non vengono applicate. Mi riferisco, ad esempio alla messa in prova e agli arresti domiciliari”. All’interno del carcere di Poggioreale, il più affollato d’Europa, la maggior parte dei detenuti è stata arrestata per reati legati alla tossicodipendenza. Lei crede che per questi reati sia veramente necessario il carcere? “Per quanto riguarda i reati legati alla tossicodipendenza credo che ci siano alternative migliori, ad esempio le comunità, ma uno dei grossi problemi che bisogna affrontare è che, dal 2008, la competenza perla salute dei detenuti in carcere è passata dal ministero della Giustizia alle Asl. Gli istituti penitenziari, attualmente, non sono attrezzati per le emergenze mediche e i detenuti che hanno bisogno di interventi sono costretti ad uscire. Questo crea problemi di altro tipo, ogni traduzione necessita di personale di polizia penitenziaria, ad esempio per tradurre un detenuto in regime di alta sicurezza, sono necessari 4 agenti e, in un momento del genere, in cui l’organico è sotto di parecchie unità, diventa complicato anche questo”. Dunque, oltre al sovraffollamento delle celle, c’è anche una carenza di personale. Quali sono le conseguenze di questa situazione? “Quella dei suicidi in carcere è notizia nota, dovuta all’invivibilità di queste strutture, sia per i detenuti che per gli agenti. Il personale di polizia penitenziaria ha sventato molti tentativi di suicidio, purtroppo in 48 casi, in Italia, dall’inizio dell’anno, non c’è stata la possibilità di intervenire. Quando un solo agente deve controllare 150 detenuti, diventa molto difficile avere il polso della situazione, per cui, anche tra gli agenti si sono verificati casi di suicidio. Senza considerare che si viene meno all’articolo 27 della Costituzione che parla della rieducazione del reo. In queste condizioni, è impossibile attuare i programmi e nemmeno i principi base della rieducazione”. Giustizia: la condanna di Sallusti e il “coraggio dei garantiti” di Patrizio Gonnella MicroMega, 4 dicembre 2012 Il direttore Alessandro Sallusti è il numero 8268 fra quelli che hanno usufruito della legge Alfano-Severino sulla detenzione domiciliare. Una legge enfaticamente e erroneamente definita svuota o salva carceri. I giornali della destra non hanno mai detto un parola di preoccupazione per il sovraffollamento penitenziario. Anzi, hanno nel tempo alimentato una cultura forcaiola e di giustizia sommaria. Il caso Sallusti è la metafora di una giustizia di classe, che tale è nelle aule di tribunale e nella rappresentazione dei media. Analizziamolo insieme al caso di Fall Alioune, giovane detenuto senegalese. Alessandro Sallusti viene condannato a quattordici mesi per avere pubblicato sul suo giornale un articolo firmato con uno pseudonimo (l’autore era Renato Farina) ricco di falsità e pertanto profondamente diffamante. Nell’opinione pubblica si apre un dibattito sui delitti di opinione. Nessuno discute di un codice approvato nel 1930 denso di voglia di persecuzione nei confronti di chi si macchia di delitti di opinione. Nei giornali della destra si parla solo di Sallusti e non del codice fascista. Sono convinto che le norme sulla diffamazione andrebbero abrogate, al pari però di quelle sull’oltraggio o sulla propaganda sovversiva. Si discute però solo di Sallusti in quanto l’oltraggio è un reato dei poveri e la sovversione è un reato di quelli di sinistra. La battaglia di Sallusti per andare in galera è un affronto pubblico e simbolico verso quelle migliaia di poveri che in prigione vi finiscono realmente per molto meno. La sua rottura simbolica della legalità (evasione dagli arresti domiciliari) è ipocrita perché palesemente priva di conseguenze, visto che Sallusti gode di immunità sostanziale nonché di copertura politica, economica e giornalistica. Sallusti ha fruito, senza averlo chiesto, di detenzione domiciliare in quanto vive in una casa di quasi mille metri quadri. Un extracomunitario, quando finisce dentro per fatti molto meno gravi, resta in galera anche se chiede gli arresti domiciliari, perché non ha una casa e in quanto i giudici non si fidano di lui, mentre si fidano della Santanché. E ora veniamo alla storia di Fall Alioune. Lui è in galera a Velletri. Deve scontare dodici anni e non un anno e due mesi. Era un lavoratore. Faceva l’ambulante a Ladispoli. Ha cumulato 21 condanne per la vendita di cd falsi. Un reato molto meno grave rispetto alla diffamazione giornalistica. Quest’ultimo offende il bene della integrità morale di una persona accusata di falsità ignominiose. La vendita di cd contraffatti, nell’era di youtube e di eMule, non lede alcun bene giuridico degno di questo nome. Se così non fosse dovremmo mettere in galera mezza Italia che ascolta la musica grazie ad internet. Invece in galera ci vanno solo gli stranieri come Fall Alioune. Lui è senegalese e ha 36 anni. Non ha possibilità di avere la detenzione domiciliare. Solo quando l’avvocato Luca Santini, bravo e motivato, si accorge di lui, la storia di Fall Alioune, ha qualche chance di prendere una direzione meno tragica e folle. Nel tempo ha cumulato condanne e anni di galera senza che nessun commentatore della destra giornalistica si sia occupato di lui. La sua storia è stata ripresa su Repubblica.it grazie a un bravo giornalista (Vladimiro Polchi). Nonostante ciò il resto della stampa è rimasto silente e indifferente. Ora vedremo se i casi Sallusti e Alioune prenderanno strade diverse. Se dovesse mai partire una richiesta di grazia per Sallusti e non per Alioune vedremo chi si schiera e con quale motivazione. Sallusti ha il coraggio dei garantiti. Alioune la disperazione degli esclusi. Noi siamo per la grazia ad Alioune. Nel caso di Alessandro Sallusti invece la grazia sarebbe la certificazione del doppio binario della giustizia italiana. Da lui vorremmo una parola di grazia nei confronti delle Pussy Riot, finite in una galera russa per avere cantato una preghiera punk nella quale si parlava di Putin, l’amico di Berlusconi, ovvero l’editore del Giornale. Ma questa è una storia seria. Giustizia: caso Sallusti; applicazione “svuota-carceri” indipendente da volontà condannato Ansa, 4 dicembre 2012 La legge “svuota-carceri”, sulla base della quale sono stati disposti i domiciliari per Alessandro Sallusti, “costituisce un istituto adottato dal legislatore per fare fronte a superiori esigenze deflattive imposte dal sovraffollamento inframurario, al fine di garantire così una migliore organizzazione degli istituti di pena” e “opera indipendentemente da una specifica istanza di parte”, ossia di una richiesta di andare in carcere. Lo scrive il giudice Guido Brambilla nel motivare il “no” all’istanza. Dopo che venerdì scorso il giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Guido Brambilla, aveva disposto la detenzione domiciliare per il giornalista, accogliendo la richiesta del procuratore Edmondo Bruti Liberati, Sallusti aveva presentato un’istanza allo stesso magistrato nella quale chiedeva di revocare la sua decisione. Il direttore del quotidiano di via Negri spiegava nell’istanza di non aver “richiesto alcun beneficio o misura alternativa” e che “il mio caso” è “stato additato dalla stampa quale frutto di una condizione privilegiata rispetto a quella di altri condannati verso i quali l’applicazione della detenzione domiciliare non è stata richiesta o concessa”. “L’istanza proposta da Sallusti Alessandro - scrive il giudice nel provvedimento con cui ha rigettato la richiesta di carcere - sembra orientata, per il suo tenore letterale, a ottenere contro sè, una nuova e diversa valutazione, da parte di questo ufficio, rispetto a quella dell’ordinanza (...) i motivi di doglianza, invero, si traducono nella generica prospettazione, da parte di Sallusti, di avere beneficiato di un privilegio mai richiesto, a discapito di situazioni analoghe riguardanti altri soggetti condannati”. Però, chiarisce il magistrato, “l’espiazione della pena presso il domicilio ex legge 199 (la cosiddetta svuota-carceri, ndr) non rientra nel novero delle misure alternative in senso stretto (cui l’istante ha inteso rinunciare) ma costituisce un istituto adottato dal legislatore per fare fronte a superiori esigenze deflattive imposte dal sovraffollamento inframurario, al fine di garantire così una migliore organizzazione degli istituti di pena a beneficio dell’intera popolazione carceraria”. Si tratta, conclude Brambilla, “quindi di uno strumento deflattivo che opera indipendentemente da una specifica istanza di parte e che deve essere disposto ogni qualvolta ne ricorrano i presupposti di legge”. Intanto, per giovedì prossimo è fissata l’udienza del processo per direttissima per evasione a carico di Sallusti. E per il direttore de “Il Giornale” poi domani si aprirà la prima udienza per un altro caso di diffamazione nei confronti di un magistrato. Imputati per diffamazione la cronista Barbara Romano e il generale Antonio Pappalardo per un’intervista pubblicata il 3 luglio 2007 su “Libero”, allora diretto da Sallusti. Quest’ultimo risponde di omesso controllo. Parte civile l’ex sostituto procuratore militare di Padova, Maurizio Block. Giustizia: caso Sallusti; l’evasione dalla detenzione domiciliare complica l’ipotesi-grazia di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 4 dicembre 2012 Un’altra condanna ostacolerebbe l’atto di clemenza. Il Colle può chiederlo, ma prima deve ascoltare la vittima del reato. La strada è stata aperta ma bisogna vedere se e come è percorribile. I tempi non saranno brevissimi: per sapere se il Quirinale si muoverà sulla strada della grazia al direttore del Giornale Alessandro Sallusti - condannato a 14 mesi di carcere per diffamazione aggravata - bisognerà anzitutto attendere l’esito del processo per direttissima in programma giovedì, in cui Sallusti (nel frattempo in custodia cautelare al domicilio della compagna Daniela Santanché) è imputato di evasione, essendosi sottratto alla misura alternativa della detenzione domiciliare. Un’altra condanna (seppure non definitiva) sarebbe un ostacolo sulla via della clemenza, un’ulteriore complicazione. Ne hanno parlato domenica il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il ministro della Giustizia Paola Severino, esplorando anche la strada di un rilancio in Parlamento della norma (affossata dal Senato) contro il carcere ai giornalisti, o ripescando alla Camera laproposta Pdl Costa-Pecorella (che potrebbe essere approvata almeno in sede legislativa e mandare un segnale) oppure utilizzando treni già in corsa come il ddl sulla “particolare tenuità del fatto” (che comporta l’estinzione del reato), approvato in commissione mesi fa, all’unanimità, ma altrettanto unanimemente sepolto in aula. Nell’incertezza politico-parlamentare, l’ipotesi di risolvere il caso-Sallusti per via legislativa appare difficile. Ma poiché da lì è esploso in Europa il caso-Italia (unico paese che prevede il carcere per i giornalisti), il Colle vuole verificare gli spazi della grazia poiché la questione impone “la responsabilità di tutti”. Tuttavia, ancora non è stata aperta un’istruttoria, né al Quirinale né al Ministero. Dal 2006 (dopo la sentenza della Consulta sul caso Bompressi), il potere di grazia spetta solo alla Presidenza della Repubblica (tant’è che al Quirinale fu aperto un apposito ufficio) e il ministero della Giustizia funge da “passacarte”, con l’obbligo di controfirma del decreto. Finora la clemenza non è stata chiesta né da Sallusti né dal difensore né da parenti. Il Capo dello Stato può anche muoversi motu proprio, non senza aver acquisito il parere della “vittima”, o giudice Giuseppe Cocilovo diffamato dall’articolo incriminato ma, in quanto magistrato di sorveglianza, non amante del carcere a tutti i costi. “Adesso è possibile la grazia - ha detto il segretario della Fnsi Franco Siddi. Nel caso specifico, per com’è nata questa vicenda, i giudici hanno applicato la legge in maniera forse, secondo alcuni, sproporzionata. Oggi siamo in presenza di una sentenza che la Procura ha cercato di rendere esecutiva nella maniera più umana possibile”. Per Siddi, “la prima forma di riparazione” per il giornalista che diffama è la rettifica, “che deve essere documentata”. Se poi il giornalista vuole diffamare a prescindere, “dovrà pagare sanzioni proporzionate al fatto. Ma purtroppo questo non rientrava nella propaganda parlamentare e quindi non si è fatto”. Giustizia: il boss mafioso Provenzano ricoverato in ospedale dopo caduta in cella Agi, 4 dicembre 2012 Il boss mafioso corleonese Bernardo Provenzano è stato ricoverato d’urgenza in ospedale la scorsa notte. Lo si è appreso a margine dell’udienza preliminare del processo per la trattativa Stato-mafia a Palermo. Provenzano era detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Parma. Il capomafia era stato ricoverato già il mese scorso, e poi era tornato in carcere. Il nuovo ricovero sarebbe dovuto a una caduta nella sua cella. La prognosi è di 15 giorni, durante i quali Provenzano sarà trattenuto “in osservazione”. Il Gup Piergiorgio Morosini ha nominato due periti per verificare le condizioni di salute del boss. I periti nominati dal Gup sono lo psichiatra Renato Ariatti e il neurologo Andrea Stracciari, dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna. Il procedimento per la trattativa Stato-mafia, ha stabilito il Gup, intanto non si ferma. I legali di Provenzano, Rosalba Di Gregorio e Franco Marasà, hanno rinnovato stamattina la richiesta di concessione degli arresti ospedalieri all’anziano capomafia, che è malato di tumore alla prostata e per questo si era fatto operare in Francia, a Marsilia, durante la latitanza. Nelle precedenti udienze, i suoi difensori avevano chiesto che venga sottoposto a una perizia psichiatrica per accertare la sua capacità di “stare in giudizio”, cioè di presenziare al processo comprendendo quello che avviene. Tempo fa, nel carcere di Parma, la polizia penitenziaria aveva bloccato Provenzano mentre tentava di infilare la testa in un sacchetto di plastica. Non è stato chiarito se quell’episodio sia stato o meno un tentativo di suicidio. Firenze: una sede per i detenuti in semilibertà e per la madri con figli minori www.gonews.it, 4 dicembre 2012 Il Consiglio comunale approva la mozione. Di Puccio (gruppo misto): “Ora fare sul serio; questo sia l’inizio per un impegno concreto”. “Fare sul serio e cominciare a lavorare per raggiungere gli obiettivi e per un impegno concreto”. È il commento del consigliere del gruppo Misto Stefano Di Puccio dopo il via libera del consiglio alla mozione con cui si impegna il sindaco e la giunta ad individuare, ove possibile, una sede nel centro della città per i detenuti in regime di semilibertà, oggi alloggiati presso la struttura dell’istituto penitenziario Mario Gozzini. La mozione presentata da Di Puccio e poi approfondita ed emendata nelle commissioni Pace e Urbanistica e approvata oggi in Consiglio, invita anche il sindaco a proseguire sistematici incontri con il garante onorevole Franco Corleone e con il provveditore regionale Carmelo Cantone allo scopo di approdare almeno all’avvio di un alleggerimento quantitativo delle persone detenute a Sollicciano. Questo il integrale della Mozione approvata da Palazzo Vecchio Oggetto: Una sede per i detenuti in semilibertà e per la madri con figli minori. Ricordato l’impegno del Comune di Firenze, di mantenere un “Patto Solidale” tra tutti i soggetti che operano nelle strutture di detenzione del nostro territorio: Istituzioni Locali e Nazionali, Polizia Penitenziaria e Associazioni, ribadito da più atti approvati da questo Consiglio Comunale Constatata l’evidenza di sempre più numerosi casi di autolesionismo, tentato suicidio e suicidi, che derivano dalla condizione di grave disagio ambientale delle persone detenute, donne e uomini ed alcuni bambini, ristretti nella numerosa convivenza di soggetti che hanno un regime di pena diverso; Tenuto conto che la spending review andrà a ridurre le disponibilità degli uffici dell’esecuzione penale esterna, essenziali per garantire le misure alternative; Preso atto della volontà di questo consiglio più volte espressa all’unanimità vedi: moz. 200/2010 approvata, sempre dal Consiglio Comunale, nella seduta del 10 gennaio 2011; l’Ordine del giorno n. 176 approvato dal Consiglio Comunale nella seduta del 22 febbraio 2010 sulle condizioni del carcere a Firenze; e la mozione n. 485 del Consiglio Comunale approvata nella seduta del 30 novembre 2009 nella quale si chiedeva al Sindaco e alla Giunta di individuare strutture di accoglienza protetta per assicurare l’esecuzione della pena alle donne detenute con bambini al fine di contrastare il fenomeno della restrizione all’interno di Sollicciano di madri e figli minori; Uditi il Dott. Franco Corleone, Garante dei Detenuti del Comune di Firenze nelle sedute di lunedì 29 ottobre e di martedì 13 novembre 2012, e il Dott. Carmelo Cantone Provveditore Regionale di Firenze nella seduta di martedì 13 novembre 2012 che hanno confermato l’emergenza in atto; Tutto ciò premesso, impegna il sindaco e la giunta: 1. A proseguire sistematici incontri con il Garante dei Detenuti Dott. Franco Corleone e con il Provveditore Regionale Dott. Carmelo Cantone allo scopo di approdare almeno all’avvio di un alleggerimento quantitativo delle persone detenute nel carcere di Sollicciano e ad una riconsiderazione della mission della struttura Mario Gozzini, nata per gestire un target di soggetti che ancora oggi avrebbero necessità di un trattamento a se stante; 2. Ad attivarsi, per individuare, ove possibile, una sede nel centro della città per i detenuti in regime di semilibertà, oggi alloggiati presso la struttura dell’Istituto penitenziario Mario Gozzini. 3. Una “casa della semilibertà” garantirebbe maggiore autonomia, responsabilità e integrazione sociale. 4. Considerato anche la possibilità di utilizzare edifici demaniali attualmente dimessi; 5. Ad individuare una struttura di accoglienza protetta per assicurare l’esecuzione della pena alle donne detenute con bambini al fine di contrastare il fenomeno della restrizione all’interno di Sollicciano di madri e figli piccoli. Savona: il Sappe denuncia; troppi, anche le aule scolastiche trasformate in celle Ansa, 4 dicembre 2012 L’ultima scoraggiante fotografia della situazione del carcere di Savona che ci arriva dal Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) lo descrive così: “Ottantanove detenuti presenti per trentasei posti letto, l’aula scolastica interna e quella riservata alle attività sportive e allo yoga trasformate in celle. Un carcere che registra l’assenza della titolarità di un direttore e di un comandante di reparto della polizia penitenziaria”. “Il carcere di Savona resta e rimane contro il dettato costituzionale della rieducazione del detenuto, nonostante gli sforzi degli operatori ed espone gli agenti di polizia penitenziaria a condizioni di lavoro gravose e a rischio - come sottolinea Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sappe. Non è normale che una struttura costruita per trentasei posti letto ne stipi in realtà novanta. Questo vuol dire pessime condizioni di vivibilità per i detenuti e pessime condizioni di lavoro per la polizia penitenziaria”. Martinelli sottolinea infine come: “Nei primi sei mesi del 2012 a Savona quattro detenuti hanno posto in essere atti di autolesionismo: ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette. In tutto il 2011, a conferma delle critiche condizioni di lavoro dei poliziotti in servizio a Savona, si erano registrati 3 atti di autolesionismo, 1 tentato suicidio e 3 colluttazioni”. Reggio Calabria: minacce ad agenti sezione speciale, fatte pervenire alla direzione del carcere Agi, 4 dicembre 2012 Minacce ad alcuni agenti impegnati nella sorveglianza della sezione speciale del carcere di Reggio Calabria, in cui sono detenuti imputati in alcuni processi contro la ‘ndrangheta e considerati molto pericolosi, sono state fatte pervenire stamane alla direzione della struttura penitenziaria. Le minacce, secondo quanto apprende l’Agi, erano riportate su un modulo utilizzato per le richieste quotidiane dei detenuti alla direzione e distribuito regolarmente dal personale del penitenziario. Il biglietto non riportava alcuna firma. Nel foglio, secondo quanto si apprende, erano scritte frasi minacciose con cui si chiedeva l’allontanamento degli agenti della sezione nella quale sono ristretti i detenuti ad alta pericolosità e sottoposti quindi a sorveglianza “livello 3” secondo i codici dell’amministrazione penitenziaria. Sul modulo gli anonimi invitano la direzione a trasferire alcuni agenti con minacce dirette (“altrimenti finisce a cazzotti”) e con riferimenti spoecifici ad un agente “di origine messinese”. Nei mesi scorsi altre minacce erano state rivolte ad un ispettore ancora in servizio nella struttura carceraria reggina. Firenze: giovedì un seminario internazionale sul carcere promosso dalla regione Adnkronos, 4 dicembre 2012 Un seminario internazionale nell’ambito dell’edizione 2012 della Festa della Toscana, per fare il punto sulla situazione carceraria attuale e sui percorsi alternativi. L’appuntamento, dal titolo “Il carcere al tempo della crisi”, è organizzato dalla Regione Toscana, dal Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e dalla Fondazione Michelucci, e si terrà presso l’Auditorium di Santa Apollonia, in via San Gallo 25 a Firenze, giovedì prossimo 6 dicembre a partire dalle ore 9. Il seminario vuole essere un’occasione di riflessione sulla realtà del carcere, che in questo difficile periodo è un sovraffollato contenitore etnico, di povertà e sempre più marginalizzato, e sui percorsi praticabili di decrescita carceraria. Dopo l’apertura del convegno da parte del presidente del Consiglio regionale Alberto Monaci, sarà il Garante dei detenuti della Regione Toscana Alessandro Margara a porre gli interrogativi che faranno da linee guida per tutto il convegno. Numerosi i contributi previsti da parte di esperti e di addetti ai lavori provenienti da tutto il mondo, anche per confrontare la realtà carceraria toscana con quella di altri paesi come Usa, Regno Unito e Spagna. La seconda sessione del seminario, che inizia alle 14.30, sarà coordinata dal garante dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone e vedrà la partecipazione, fra i molti interventi previsti, dell’assessore regionale al Welfare Salvatore Allocca e del giornalista Adriano Sofri. Intanto mercoledì 5 dicembre, nella sala Collezioni di palazzo Bastogi (via Cavour 18, Firenze), alle 10.00, si terrà la riunione del Coordinamento dei Garanti d’Italia. Eboli (Sa): all’Icatt i detenuti diventano attori per una sera La Città di Salerno, 4 dicembre 2012 Non fosse per la location, nessuno in platea sospetterebbe che lo spettacolo non è stato messo in scena da attori professionisti. Sorprendente fino all’inverosimile, infatti, “La cantata dei pastori” che, ieri sera, è stata rappresentata presso l’Istituto a custodia attenuata per il trattamento di tossicodipendenti di Eboli. Ad interpretare l’opera, ben sedici dei 51 detenuti che, calandosi nelle vesti dei personaggi della commedia, hanno calcato le tavole del palcoscenico dell’Icatt, per la regia di Elena Parmense e sotto la direzione artistica di Gaetano Stella. Sono stati, dunque, Vincenzo, Carmine, Massimo e gli altri ragazzi della casa di reclusione, a far sorridere il pubblico rievocando il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme, i mille piani dei diavoli per impedire la nascita di Gesù, e la figura dell’affamato Razzullo, e di Sarchiapone che ne ha combinate di tutti colori, divertendo gli spettatori con le sue gaffe. In particolare, ad interpretare quest’ultimo è stato Massimo, detenuto autore de “La Divina Galera, dagli inferi alle stelle: viaggio nel mezzo del cammin di malavita” che andrà in scena il 15 dicembre presso il centro sociale di Salerno. In platea, tra gli altri, il sindaco di Eboli, Martino Melchionda, il presidente della sezione penale della Corte d’Appello di Salerno, Claudio Tringali, don Ezio Miceli e don Rosario Petrone. Oltre allo spettacolo teatrale, la casa di reclusione è stata impreziosita anche dalla mostra di abiti d’epoca “Una sera a teatro”, allestita da Anna Marra che, per l’occasione, ha esposto solo una parte della sua suggestiva collezione. Un clima ospitale e sereno, quello che si respira all’Icatt, raro a trovarsi nelle case circondariali. Gran parte del merito spetta al direttore Rita Romano che annuncia nuovi eventi: “Il 16 dicembre con la Croce Rossa Italiana presso il Tempio di Pomona, terremo una mostra - vendita di beneficenza dei manufatti realizzati nei nostri laboratori - annuncia - Il 19, poi, i detenuti metteranno in scena brani tratti dal libro “Il sindaco pescatore”, mentre venerdì prossimo col Rotaract di Salerno si darà vita ad un presepe artistico”. A gennaio intitolazione (con Claudia Koll)del campo di calcio realizzato con i proventi degli spettacoli. Siracusa: tutto il dramma del carcere nelle “Voci altre”, di Sebastiano Burgaretta La Sicilia, 4 dicembre 2012 Una serata da far vibrare il cuore, coinvolgente, ricca di meditazione ma soprattutto priva di retorica. Merito del testo di poesie di Sebastiano Burgaretta “Voci altre” presentato nell’aula consiliare di Floridia per la Fidapa presieduta da Giovanna Catania che ha aperto i lavori denunciando la condizione disumana dei detenuti. Le poesie sono sgorgate dalla ormai quinquennale visita che Burgaretta effettua nel penitenziario di Noto per offrire, umile reduce del pellegrinaggio in Terra Santa, la palma della speranza e della solidarietà ai tanti sfortunati che, quale che sia la loro colpa, posseggono la dignitosa sacralità di ogni essere umano. Dalla direttrice della casa circondariale di Cavadonna, Angela Gianì, s’è levato il ringraziamento ai gruppi di volontari, alle cooperative, all’ente locale che, con varie iniziative, offrono ai reclusi prospettive di vita. Ha anche elencato alcuni “spaccati” di vita carceraria a conferma della solidarietà che può crescervi. Toccante l’appello finale: “Il carcere è mancanza di libertà; è parte del nostro mondo. Date aiuto a chi ha bisogno d’ascolto”. Dopo un intervento di tipo tecnico sui principi fondamentali della Carta Costituzionale, il vice prefetto di Siracusa, Tania Giallongo, ha esaminato il contenuto dell’opera elogiando Burgaretta, già suo docente al Classico di Avola. Ha ricordato la gratificante esperienza vissuta in un concerto corale di giovani organizzato dai Lions e capace di coinvolgere molti detenuti. Scioccante la testimonianza del sindaco Orazio Scalorino che, ribadito il valore della sussidiarietà, ha riportato la drammatica richiesta di un giovane: “Aiutami, ti prego, sennò torno in carcere, almeno lì mangio”. Intervallate dalla lettura di poesie tratte dal libro da parte della brava attrice Maria Burgio, lapidarie le confessioni di Burgaretta: “Mi trovo in un turbinio di emozioni per un’esperienza che manco lontanamente avrei concepito. Facendomi forza, sono uscito da me per dar voce a tante persone che non hanno voce. Anche il più incallito dei delinquenti può rivelare la fragilità del bambino se sappiamo ascoltarlo. Sembra un paradosso, ma il carcere con la crescente presenza degli immigrati, sta anticipando la società multiculturale futura”. Immigrazione: un giorno di sole a Ponte Galeria, reportage dal Cie di Roma di Fabrizio Gala, Valentina Bascherini e Marco Marucci Vita, 4 dicembre 2012 Il viaggio nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Roma tra privazioni, piccoli tentativi di normalità e tanta rabbia di tre giornalisti. Il 24 ottobre 2012 è stata approvata alla Camera dei Deputati la ratifica del “Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti”, firmato a New York il 18 dicembre 2002. Il Protocollo prevede l’istituzione di un sottocomitato per la prevenzione - composto da esperti indipendenti eletti e facente capo al Comitato contro la tortura - e l’introduzione in ogni Stato di un meccanismo nazionale di prevenzione consistente in uno o più organi indipendenti, che assicurino la vigilanza nei luoghi in cui sono eseguite le misure restrittive della libertà personale. “Il mandato del sottocomitato - si legge nel testo - consiste sia nell’effettuare visite nei luoghi ove sono, o potrebbero essere, persone private della libertà personale e formulare agli organi competenti raccomandazioni concernenti la protezione contro la tortura e altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sia nel cooperare con i meccanismi nazionali. Ai meccanismi nazionali di prevenzione gli Stati devono riconoscere almeno la facoltà di esaminare regolarmente la situazione delle persone private della libertà, di formulare raccomandazioni alle competenti autorità e di presentare proposte e osservazioni sulla legislazione vigente in materia”. Solo un mese prima di questa storica assunzione di responsabilità da parte dello Stato Italiano abbiamo fatto visita al Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Roma per vedere e documentare attraverso la fotografia se le voci riguardanti le condizioni inumane e degradanti degli ospiti del centro fossero vere. È un giorno di sole, il 10 settembre, quando otteniamo il permesso di entrare, grazie anche alla mediazione del Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio e soprattutto dopo la revoca della circolare n. 1305 del primo aprile 2011 dell’allora Ministro Maroni, che vietava l’ingresso alla stampa nei centri di identificazione e espulsione e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara). Quello di Ponte Galeria è uno dei 13 Cie sparsi per l’Italia, il più grande in quanto a ricezione: 354 posti. Il centro presenta l’aspetto di una struttura penitenziaria, e come quasi tutte le carceri si trova in periferia, lontano dal cuore vivo di Roma. Lontano da sguardi e orecchie indiscrete, in casermoni evidentemente militarizzati hanno sede l’Ufficio Immigrazione della Questura, un’aula giudiziaria, una sala adibita alle visite ed i servizi della Cooperativa Auxilium che dal 2010 ha sostituito la Croce Rossa Italiana nella gestione della struttura (mediazione culturale, primo soccorso, biblioteca, mensa, campo sportivo, etc.). Una serie di cancellate alte circa 4 metri rinforzate in ogni angolo per evitare i numerosi tentativi di fuga sono il biglietto da visita del Cie di Ponte Galeria. Dentro queste cancellate i detenuti, divisi tra braccio maschile e femminile, passano la maggior parte del tempo che gli rimane aspettando di essere rimpatriati. Ufficialmente il motivo per cui circa 160 persone, di cui un terzo sono donne, sono recluse all’interno del centro, è la “detenzione amministrativa”: pena assegnata agli stranieri trovati senza permesso di soggiorno e già invitati ad allontanarsi dal Paese. Tuttavia lo scopo di questa detenzione è, in prima istanza, quello di stabilire l’identità dello straniero ed accertare l’eventuale reato di immigrazione clandestina, per ordinarne, infine il rimpatrio forzato. Nel 2011 la percentuale degli ospiti del centro realmente espulsi è stata pari al 39%, mentre per il restante 61% la situazione non è chiara. Un Dirigente delle Prefettura guida la nostra incursione in questa sorta di limbo carcerario e si raccomanda di non fotografare né gli ufficiali di pubblica sicurezza né i volti degli ospiti del centro, a meno che questi ultimi non diano l’autorizzazione. Una volta percorso il corridoio dove si affacciano gli uffici giudiziari e la sala per le visite usciamo all’aperto: la luce abbagliante del sole si riflette sulle sbarre di metallo, alte e storte alla fine, che dividono il braccio maschile da quello femminile. Dalla metà del comprensorio riservata alla parte maschile provengono grida accorate, è un ragazzo del Maghreb che urla: nella mattinata si sono verificati degli incidenti, come spesso succede, e per questo probabilmente non potremo visitare il braccio maschile. Fotografiamo il tutto con dovizia di particolari, arriva il direttore dell’Auxilium ed entriamo con lui nella sezione femminile. Il cortile è diviso in sottosezioni con alte cancellate, all’interno delle quali si trovano gli alloggi delle ospiti ed i rispettivi bagni. Dentro ogni cancellata le ospiti sono divise per etnie, ed il direttore si affretta a raccontare come siano all’ordine del giorno episodi di intolleranza tra ragazze provenienti dall’Est Europa e Nigeriane. È l’ora di pranzo e quasi tutte le ragazze consumano il pasto all’aperto, appena entriamo alcune di loro si avvicinano ed iniziano a raccontare la loro storia, a lamentarsi, mentre le altre se ne stanno in disparte. Proprio là accanto alle celle c’è un campo di pallavolo (unica attività ricreativa insieme ai corsi di danza, una piccola biblioteca ed una stanza adibita a coiffeur) e come prima cosa chiediamo alle ragazze se il campo venga effettivamente usato. Dicono che manca il pallone e che quindi è impossibile giocare. “Di solito la palla se la ruba qualche ragazza per portarsela in stanza”, chiariscono i responsabili dell’Auxilium, “ma quanto incide una sacca di palloni in una struttura che costa 41 euro al giorno per ospite e milioni di euro l’anno? Ci viene da chiederci. Una donna serba di etnia rom si ferma a parlare, racconta di esser stata fermata mentre cercava di uscire dall’Italia per tornare a casa, e mostra il suo alloggio nello stanzone da sei letti lamentandosi che nel bagno d’acqua calda non ce n’è. Ai lati del cortiletto sono appese delle amache fatte con lenzuola monouso, pare siano opera della ragazze provenienti dalla Cina, che con quelle lenzuola intrecciate sono delle maghe e sanno fare di tutto (ed infatti una delle ragazze di prima aveva una borsetta fatta allo stesso modo..). Parliamo con queste donne, sono tutte senza futuro, non hanno molto da fare nel Cie e alcune guardano la tv (è la cosa che più colpisce appena si entra nei loro alloggi, una tv al plasma bella grossa attaccata al muro). Di nigeriane se ne vedono poche, ci dicono che sono dentro gli alloggi. Sappiamo che sono la maggioranza tra le recluse e che sono spesso vittime di tratta; con difficoltà, una volta raccolte le loro testimonianze e denunciati gli sfruttatori, riescono ad ottenere lo status di vittime di tratta e sfruttamento e ad uscire dai Cie una volta per tutte. Passiamo oltre ed andiamo a vedere alcune sale tra cui una adibita a coiffeur dove alcune ragazze sono solite farsi le treccine a vicenda, poi la biblioteca, con solo libri di terza mano per lo più in italiano, inglese e spagnolo, alcuni testi sacri e molti disegni che sembrano fatti dai bambini. I minori qui non possono entrare e anche per le madri con figli si prospetta un iter diverso. Ci chiediamo se quei disegni infantili siano davvero delle recluse. Entriamo nella sala mensa: alcune sedie di plastica sono state divelte con rabbia e si sentono di nuovo le grida provenienti dal braccio maschile che si fanno più vicine. Prima di visionare l’infermeria e la sala di ascolto psicologico visitiamo il campo di calcetto dove abbiamo uno scambio veloce di battute con i responsabili dell’Auxilium sull’uso da parte degli ospiti del Cie del campo. Il regolamento interno, infatti, prevede che agli ospiti vengano sottratti i lacci delle scarpe per scoraggiare eventuali tentativi di fuga, ma come fanno giocare a calcio senza lacci? E la risposta, quanto mai pronta e surreale: “Quando entrano nel campo gli diamo noi le scarpe per poi ritirarle quando escono”. È questa la sintesi ultima di un CIE: costringiamo delle persone in una prigione grande come un campo di calcio, gli offriamo dei servizi minimi per sopravvivere come un paio di scarpe di seconda mano, per poi ritirarglieli quando il loro tempo in questo Paese scade. A questo punto non rimane visitare il braccio maschile. Il direttore di Auxilium consiglia di non farci vedere per non infiammare immediatamente gli animi, e così passiamo trafelati verso il cortile esterno della sezione maschile. Il direttore ci mostra con orgoglio dei pannelli montati sui tetti per impedire agli ospiti di scalare i muri e scappare dal centro, poi ci porta nel cortile della sezione maschile e lì appena i reclusi vedono le nostre macchine fotografiche la rivolta tenuta a bada dai carabinieri del centro si infiamma. Un Maghrebino, a cui il giudice di pace ha da poco confermato la sua detenzione amministrativa per 60 giorni, urla chiedendo di parlare con noi, invitandoci ad entrare a vedere le condizioni in cui sono costretti a vivere; le sue urla richiamo molti altri trattenuti, tra cui un uomo senza maglietta sul cui torace imperversano una serie infinita di tagli e cicatrici come testimonianza della tensione e del disagio sociale all’interno di queste alte cancellate. La situazione si scalda parecchio, nel frattempo il Maghrebino continua ad urlare la sua storia, incurante del resto, e noi apprendiamo come egli sia stato prelevato dal suo banco di frutta, e che non potrà partecipare alla sanatoria che il governo ha predisposto per la fine del mese per la regolarizzazione degli immigrati senza permesso di soggiorno. Arrivano i carabinieri a cercare di sedare la situazione e noi ci allontaniamo prima che la protesta degeneri. Usciamo, ed è come se si interrompesse un film prima di vederne la fine. Bulgaria: Consiglio d’Europa; sovraffollamento carceri rimane “grave problema” Nova, 4 dicembre 2012 Il sovraffollamento delle carceri in Bulgaria rimane “un grave problema” che le autorità del paese devono risolvere al più presto. È il messaggio contenuto in un rapporto presentato oggi dal Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti (Cpt). La relazione sottolinea in particolare che le carceri di Burgas e Varna presentano condizioni “non accettabili”. Il Cpt cita anche accuse di maltrattamenti, corruzione e condizioni sanitarie “molto problematiche”. Il governo bulgaro ha risposto ai rilievi sollevati nel rapporto affermando che stato approvato un piano d’azione per il periodo 2011-2013 “al fine di migliorare la situazione delle carceri”. Tuttavia, la mancanza di risorse finanziarie “ostacola gli sforzi” delle autorità. Per quanto riguarda le accuse di maltrattamenti e corruzione, Sofia ha reso noto di aver avviato delle indagini. Stati Uniti; caso Wikileaks: difesa manning, criminali sue condizioni di detenzione Adnkronos, 4 dicembre 2012 Il modo in cui il soldato Bradley Manning, considerato la talpa che ha consegnato a Wikileaks i segreti Usa, è stato detenuto nei primi mesi di prigionia a Quantico “non solo è stato stupido e controproducente, è stato anche criminale”. È quanto ha detto l’avvocato David Coombs, che difende il 24enne ex militare, ricordando che il suo assistito è stato tenuto in regime di completo isolamento in una piccola cella nella base militare in Virginia e costretto a dormine nudo. L’avvocato ha poi ribadito che intende chiedere al giudice che deve giudicare Manning di 22 capi di imputazione, per i quali potrebbe essere condannato anche all’ergastolo, di ridurre l’eventuale pena per il trattamento subito dal suo cliente prima di essere trasferito, nel maggio del 2011, a Fort Leavenworth, in Kansas. L’avvocato avrebbe anche offerto alla magistratura militare un accordo in base al quale Manning è disposto a dichiarasi colpevole dei reati meno gravi, che potrebbero portarlo a rimanere in carcere per 16 anni, se l’accusa accetta di ritirare le incriminazioni più pesanti. Secondo l’accusa, Manning avrebbe scaricato dai computer militari i documenti del Pentagono e del dipartimento di Stato mentre lavorava nell’ufficio dell’intelligence militare Usa in Iraq. Georgia: Consiglio d’Europa; urgente sradicare maltrattamenti nelle carceri 9Colonne, 4 dicembre 2012 “Le autorità georgiane dovrebbero affrontare il persistente problema dei maltrattamenti inflitti dalla polizia penitenziaria ai detenuti e ad altre persone private della libertà, e adottare misure effettive per stabilire le responsabilità per gli atti compiuti. Occorre una vigilanza costante per fare rispettare l’assoluto divieto di tortura. Ho l’intenzione di concentrarmi su tali questioni nel quadro del dialogo con le autorità del paese, in particolare in occasione della mia prossima visita in Georgia”: è quanto dichiarato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muienieks, nel rendere pubblica oggi la lettera inviata al primo ministro georgiano, Bidzina Ivanichvili. Il commissario riconosce che una serie di provvedimenti sono stati presi rapidamente dopo lo scoppio dello scandalo degli abusi e delle violenze in carcere sui detenuti e nota che le autorità georgiane si sono impegnate a non tollerare più tali violazioni dei diritti umani. Sottolinea tuttavia che è giunto ora il momento di condurre indagini efficaci, per individuare e punire i responsabili dei maltrattamenti inflitti a persone private di libertà. India: presidente della repubblica commuta pena morte a pluriomicida Ansa, 4 dicembre 2012 Il presidente della repubblica indiano Pranab Mukherjee ha commutato in ergastolo la pena di morte a cui era stato condannato Atbir Singh, riconosciuto colpevole di pluriomicidio. Lo scrive oggi il quotidiano The Hindu. Il 21 novembre scorso l’India aveva interrotto la moratoria sull’esecuzione delle condanne a morte che esisteva da tempo nel paese con l’impiccagione del pachistano Ajmal Amir Kasab, che partecipò nel 2008 all’attacco terroristico a Mumbai. Singh, che si trovava nel braccio della morte insieme ad altri 15 detenuti che pure sperano in una grazia, fu condannato alla massima pena nel 2004 per l’uccisione di matrigna, sorellastra e fratellastro a causa di un diverbio su una proprietà terriera. La commutazione della pena decisa dal Capo dello Stato era stata sollecitata dal ministero dell’Interno perché il delitto era stato commesso in un ambito socio-economico complesso. Tailandia: Gangnam Style spopola anche in carcere, gara tra detenuti a Bangkok La Presse, 4 dicembre 2012 Il Gangnam Style spopola, anche nelle carceri thailandesi. Circa cento detenuti della prigione di Bangkok Remand hanno partecipato, dividendosi in sette squadre, a un concorso del successo mondiale del rapper Psy. Alla singolare competizione hanno potuto prendere parte solo i detenuti non ancora condannati e quelli la cui pena non supera i 7 anni. Ogni squadra ha creato una propria coreografia e alla fine la migliore è stata premiata con un trofeo e un cesto di cibo e primizie. Il direttore del carcere ha spiegato che la danza ha aiutato i carcerati a socializzare fra loro, con una drastica diminuzione della violenza. Il progetto è nato con lo scopo di tenere in forma i detenuti, che non hanno molte possibilità di muoversi e fare attività fisica.