Aspettare il processo da presunti innocenti, già condannati in televisione e sui giornali Il Mattino di Padova, 31 dicembre 2012 Che cosa si vorrebbe che portasse il nuovo anno alle carceri? Se si vuole davvero affrontare seriamente il problema del sovraffollamento, che provoca condizioni di vita ormai vicine alla tortura, il primo passo è quello di ridurre l’uso della custodia cautelare. La popolazione carceraria oggi è di circa sessanta settemila detenuti, dei quali il 43/44 per cento è in attesa di giudizio, quindi oggi in carcere ci stanno quasi trentamila persone presunte innocenti, mentre la media europea è del 28 per cento, quella tedesca del 15 per cento. Se la galera è dura sempre, per chi ci sta in attesa del processo è particolarmente pesante: perché le carceri giudiziarie oggi sono piene di disperati, perché i tempi della giustizia sono lentissimi, perché lo shock del primo impatto con il carcere è drammatico per tutti, e poi anche perché nel nostro Paese si fatica a far passare la cultura che comunque chi è in attesa di giudizio è “presunto innocente”, nonostante sia ampiamente dimostrato che circa il 50% delle persone imputate di un reato poi verrà assolto. Eppure è quasi automatico che giornali e televisioni si buttino su ogni fatto di cronaca nera e trattino la persona arrestata più da sicuro colpevole che da presunto innocente. E diventa più difficile anche per un magistrato concedere gli arresti domiciliari, con addosso la pressione dei mezzi di informazione che non dà tregua e non fa capire che il carcere va usato per le persone effettivamente pericolose, non per qualsiasi reato. Perché il carcere è sempre distruttivo, e chi ci finisce dentro, qualsiasi sia la sua responsabilità, entra in un tritatutto che distrugge le vite senza pietà, come spiegano le testimonianze di una detenuta e di un detenuto che raccontano bene gli stati d’animo, la sofferenza, la paura di chi vive un periodo della sua vita in carcere in attesa del processo. La mia esperienza da imputata incensurata, una donna “trasparente” Vorrei raccontare la mia esperienza da imputata incensurata, che dura da 11 mesi. Se non fosse per il cappellano, io non avrei saputo niente a lungo della mia famiglia perché per i primi tre mesi non ho avuto colloqui, e per nove mesi non ho potuto telefonare a mia figlia. Sono andata a chiedere agli operatori come si pagava l’Imu, dato che ho una casa di proprietà, ma da detenuta non è facile avere neppure le informazioni più banali. Mentre aspetto da tutti questi mesi il processo, io mi sento semplicemente trasparente. Mi è stato detto che la legge prevede che il magistrato di sorveglianza non veda gli imputati, io gli ho scritto e mi è stato risposto che noi, in attesa di giudizio, saremmo state ricevute per ultime. Il magistrato non mi ha mai ricevuto perché non ha fatto in tempo, ma credo abbia chiesto una relazione. Sono 11 mesi che mi vedono, vedono come mi comporto, le educatrici vengono in sezione, gli agenti mi hanno sotto gli occhi 24 ore al giorno, non credo si possa pensare che io in tutto questo tempo ho finto di essere una persona diversa da quella che sono realmente. Sono un essere umano, non sono un “pezzo di carta”. Se non fosse per le compagne, che mi danno consigli, se non fosse per il cappellano, che mi ha aiutato nei rapporti con mia figlia, se Cristina non mi aiutava a scrivere alcune cose, io sarei stata trasparente, io mi sento ancora trasparente. Tornata dal primo processo, dove il Pubblico Ministero aveva chiesto sette anni e mezzo di pena, io mi sono subito disperata, e sono state le mie compagne che mi hanno rincuorato, e sono state loro che mi hanno spiegato le cose, che mi hanno consolata spiegandomi che i Pubblici Ministeri chiedono sempre pene altissime. In carcere io ho chiesto di vedere uno psicologo perché non posso caricare con le mie angosce le compagne che hanno anche loro i loro problemi, ho scritto molte domandine ma non sono ancora riuscita a parlargli. Ormai i miei psicologi ufficiali sono fra Nilo e Cristina! Ieri mia sorella ha chiamato il cappellano perché è preoccupata e lui ha dovuto tranquillizzarla, perché lei è particolarmente fragile in questo periodo, è stata operata di cancro l’anno scorso, è una persona sofferente. Io adesso avrei bisogno di parlare con lei e con mia figlia, anche se non so come andrà a finire tutta questa storia. Mia figlia è in gamba, è matura, è brava, ma ha solo 14 anni, ha i suoi problemi di adolescente, e io ho bisogno di un consiglio giusto su come comportarmi con lei. Io sto vivendo un grosso trauma, ho una ferita dentro pazzesca, non so neppure come comportarmi al processo, non sono preparata. È la prima volta per me, è la prima volta in carcere. Gli avvocati mi dicono di stare tranquilla, loro fanno il loro lavoro, è normale, ma io sento che sto morendo a fuoco lento. Io capisco se fossi in carcere da un mese, ma ci sono da quasi un anno, mi hanno detto che siccome non sono tossicodipendente non ho bisogno dello psicologo, ma io ho grossi problemi psicologici, mi sveglio di notte parlando, non posso stare zitta un attimo, so che do fastidio ma sono disperata. Come posso far capire che ho bisogno di sostegno e di aiuto? O.B. Quanto è difficile stare in custodia cautelare in attesa di giudizio Attualmente, essere sottoposto a una custodia cautelare in carcere in attesa di giudizio è un vero incubo, a causa soprattutto del sovraffollamento che c’è nelle carceri italiane. Al primo impatto, e cioè il primo giorno in carcere, bisogna avere tanta fortuna che ci sia una branda libera, diversamente ti può capitare di dormire con il materasso sul pavimento, sperando che sia una cella pulita, ma di solito è sempre sporca, con macchie dappertutto sui muri. Nell’attesa di essere interrogati dal magistrato di turno, gli agenti ti dicono: Non si preoccupi, appena si libera un posto andrà in sezione, in una cella migliore assieme ad altri detenuti. Ed è proprio in quel momento che comincia per qualcuno l’incubo. Ti trovi in una cella intasata di brande posizionate a castello, non c’è spazio per muoversi, se una persona è in piedi, gli altri devono rimanere sdraiati sulla branda. Ti trovi tra persone di diverse etnie, ti guardi attorno e ti accorgi magari di non riuscire a comunicare con i compagni. E in quel momento capisci che è molto difficile trascorrere venti ore chiuso in quella cella, con la fila per andare al bagno e tensione per qualsiasi cosa. Se sei un debole sei perso, se non vuoi perdere quella poca dignità che ha un essere umano a volte ti devi anche difendere per non arrivare a metterti le mani addosso con i compagni di cella, e capita che devi cercare in tutti i modi di cambiare cella per trovare delle persone che abbiano un pò di buon senso e pensino alla sopravvivenza. Poi il pensiero è sempre rivolto ai famigliari, ti domandi se possono venire a trovarti, se il magistrato gli concede l’autorizzazione rapidamente senza che tu debba aspettare diversi giorni per avere qualche buona notizia dal mondo esterno, ma la testa a tutte le ore è rivolta al giorno del processo. La speranza è che nell’attesa il magistrato ti dia gli arresti domiciliari, ma ti accorgi ben presto che stai vivendo nell’illusione di ricevere delle risposte certe, che non arrivano mai. È dura, specialmente per una persona che aveva e svolgeva una propria attività nel mondo esterno, che ha una famiglia, e lì pensi che andrà tutto a rotoli, e pensi, pensi tutti i giorni le stesse cose, e ti accorgi che non puoi fare nulla per risolvere i problemi che si sono creati attorno ai tuoi famigliari. Per questo è dura vivere così, perdendo a poco a poco la speranza che arrivi un giorno migliore.. Angelo M. Giustizia: Amnesty International; dodici “buone notizie” in materia di diritti umani… Asca, 31 dicembre 2012 Dall’Ecuador all’Italia, dal Guatemala all’Egitto passando per Messico e Iran: sono 12 i paesi da cui, nel 2012, sono giunte altrettante buone notizie sui diritti umani. Così Amnesty International ha voluto celebrare la fine dell’anno, ricordando tutti gli episodi che hanno caratterizzato in positivo l’anno. Italia. Il 23 febbraio 2012 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia nel caso Hirsi Jamaa e altri contro l’Italia. Il caso riguarda 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei che facevano parte di un gruppo di circa 200 persone intercettate in mare dalle autorità italiane e respinti direttamente in Libia, senza che fosse stata valutata la loro necessità di protezione internazionale: una delle operazioni di intercettamento e rinvio in Libia eseguite dalle autorità italiane nel 2009, a seguito dell’accordo bilaterale tra Italia e Libia allora in vigore. Ecuador. Il 4 gennaio 2012 la corte d’appello della città di Lago Agrio, nella provincia di Sucumbios, ha confermato la condanna della Chevron per disastro ecologico e danni alla salute delle parti lese. Nel febbraio 2011 il tribunale aveva ordinato alla Chevron di pagare 8 miliardi e mezzo, ma nella sentenza d’appello l’importo è raddoppiato anche perché la Chevron si è sempre rifiutata di scusarsi pubblicamente, come richiesto dalla sentenza. Guatemala. Il 14 marzo 2012 Pedro Pimentel Rios, estradato dagli Usa nel luglio 2011, è stato condannato a 6060 anni di carcere per aver preso parte al massacro di Dor Erres nel 1982, che provocò la morte di oltre 250 civili. Si tratta del quinto ex militare condannato dalla giustizia guatemalteca per i fatti di Dos Erres: anche gli altri quattro hanno ricevuto una condanna a 6060 anni, equivalente a 25 anni per ogni omicidio. Stati Uniti d’America. Il 25 aprile 2012 il governatore del Connecticut ha firmato la legge che abolisce la pena di morte. Il Connecticut è diventato il 17° stato abolizionista degli Usa. Siria. Yaacoub Shamoun, un cittadino libanese scomparso dopo essere stato catturato dalle forze siriane in Libano nel luglio 1985, è stato rilasciato nel maggio 2012 da un carcere della regione orientale di Hasaka. Dopo il suo rapimento in Libano, Shamoun era stato portato in Siria e, per l’ultima volta, era stato visto 27 anni fa nella prigione di Saydneya, a nord di Damasco. Egitto. Il 2 giugno 2012 un tribunale del Cairo ha condannato all’ergastolo l’ex presidente Hosni Mubarak e l’ex ministro dell’Interno Habib Al Adly per non aver prevenuto l’uccisione di oltre 840 manifestanti durante le proteste che si svolsero dal 25 gennaio all’11 febbraio 2011. Repubblica Democratica del Congo. Il 10 luglio 2012 la Corte penale internazionale ha emesso la sua prima condanna, infliggendo 14 anni di carcere a Thomas Lubanga Dyilo, capo di un gruppo armato congolese, per aver reclutato e impiegato bambine e bambini soldato in un conflitto armato. Messico. Il 21 agosto 2012 la Corte suprema ha giudicato incostituzionale l’articolo 57 II (a) del codice penale militare, sulla base del quale le denunce di violazioni dei diritti umani commesse da membri delle forze armate venivano indagate dalla giustizia militare. Iran. L’8 settembre 2012 Yousef Naderkhani, un pastore protestante condannato a morte nel 2010 per apostasia, è stato assolto e, avendo terminato di scontare una precedente sentenza di tre anni per un reato d’opinione, è stato rimesso in libertà. Slovacchia. Il 30 ottobre 2012 il tribunale regionale di Presov ha definitivamente stabilito che la scuola elementare di Sarisskè Michal’any ha violato la legge istituendo classi separate per i bambini e le bambine rom. Myanmar. Il 19 novembre 2012 sono stati rilasciati oltre 50 prigionieri politici e prigionieri di coscienza. Tra questi ultimi, U Myint Aye, cofondatore della Rete dei difensori e promotori dei diritti umani condannato nel 2008 all’ergastolo, e Saw Kyaw Kyaw Min, difensore dei diritti umani e avvocato, condannato a sei mesi nell’agosto 2012. Nigeria. Il 15 dicembre 2012 la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale ha giudicato la Nigeria responsabile della violazione della Carta africana dei diritti umani e dei popoli riguardo alle condizioni di vita della popolazione del delta del fiume Niger. La Corte ha stabilito che il governo nigeriano è responsabile del comportamento delle compagnie petrolifere e che ad esso spetta chiamarle a rispondere dell’impatto ambientale del loro operato. Giustizia: la sicurezza divenuta terreno di conquista elettorale... i detenuti sono raddoppiati di Patrizio Gonnella (Presidente associazione Antigone) Il Giorno, 31 dicembre 2012 Non era mai accaduto che fosse dichiarato dal Governo lo stato di emergenza a causa del sovraffollamento penitenziario. Oggi nessuna carica istituzionale e politica può giustificarsi affermando di non essere a conoscenza delle condizioni di vita tragiche presentì nelle 206 carceri italiane. L’impegno nostro, come di altre organizzazioni sociali non governative, è stato diretto negli ultimi anni a rendere trasparente e noto ciò che era per sua natura pericolosamente opaco. In Italia oggi abbiamo un numero di detenuti così alto - quasi 67 mila - che un paragone può essere fatto solo con il periodo antecedente all’amnistia di Togliatti di quasi sessantacinque anni fa. Nel 1990 i detenuti erano meno della metà. Eppure gli omicidi si sono dimezzati rispetto ad allora e più in generale i reati contro la persona sono progressivamente diminuiti. Il sovraffollamento non può essere trattato come se fosse un terremoto o una calamità naturale, non richiede provvedimenti emergenziali. Il sovraffollamento è il frutto di precise politiche criminali. Basterebbe cambiare quelle politiche. Negli ultimi vent’anni la sicurezza è divenuta terreno di conquista elettorale. I partiti hanno quasi tutti rinunciato alla loro funzione pedagogica e hanno assecondato le pulsioni più vendicative presenti nella società. Abbiamo riempito le galere di tossicodipendenti, di persone con problemi psichiatrici, di immigrati più o meno irregolari, di poveri. Il tutto senza avere uno sguardo realistico e utile sulla sicurezza pubblica. Se un giovane senegalese si ritrova a scontare 12 anni perché trovato ripetutamente a vendere ed contraffatti (fatto vero), quando uscirà è molto più probabile che faccia scelte di spessore criminale. Una rapina in banca gli costerebbe meno anni di carcere e sarebbe per lui ben più fruttuosa. Un sistema dissennato e sproporzionato nelle pene come il nostro alimenta disagio e criminalità anziché favorire progetti di recupero sociale. Siamo a fine anno. Le più importanti personalità dello Stato e della Chiesa si sono espresse per restituire dignità e umanità alla pena. Affinché ciò avvenga veramente è necessario che i media tutti contribuiscano a svelenire il clima e ad accendere i fari sul carcere, oggi trasformato, rispetto al dettato costituzionale, in luogo di vendetta e in fabbrica di recidiva. Giustizia: le carceri strapiene di poveracci e l’impunità per evasori, corrotti e corruttori di Fabio Marcelli Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2012 Uno degli aspetti più iniqui e vergognosi delle società capitalistiche è costituito da quello che Antonio Ingroia ha giustamente definito il carattere classista della giustizia. Una giustizia, per dirlo in parole povere, pronta a sanzionare in termini sproporzionati i poveracci, ma che non vuole colpire invece coloro che si arricchiscono violando ogni genere di norma, i corrotti, gli evasori fiscali, i piduisti, i mafiosi e camorristi d’alto bordo. È solo in tempi relativamente recenti che, grazie all’impegno di magistrati, carabinieri e poliziotti che pagarono spesso con la vita la loro scelta, la giustizia ha cominciato a prendersela con i soggetti da ultimo citati. E ovviamente c’è chi vorrebbe che si tornasse ai bei vecchi tempi dell’impunità per i vertici della malavita organizzata e alla loro pacifica convivenza con quelli dello Stato. Ciò non toglie che, nel suo complesso, la giustizia come dice appunto Ingroia abbia mantenuto un suo carattere classista. Carattere che emerge con forza in tempi di crisi come l’attuale. Un indice utile per misurare l’intensità di tale carattere è dato dall’analisi della composizione della popolazione carceraria. Come constatato dai giuristi democratici in un recente comunicato: “Il carcere si configura sempre di più come contenitore del conflitto, come discarica sociale e strumento atto a confinare donne e uomini delle classi sociali meno abbienti, in quanto tali, ritenute pericolose. Circa l’80 per cento della popolazione carceraria è, infatti, costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero necessarie politiche di prevenzione e sociali appropriate”. Un dato che non riguarda solo il nostro Paese ma tutto l’Occidente capitalistico, a cominciare dal suo Stato guida, che presenta non a caso il massimo tasso di carcerazione del mondo e dove a finire in galera sono soprattutto i componenti di etnie diverse da quella bianca dominante. Come scrive Leonardo Arnau, bravo avvocato padovano membro dell’attuale Comitato esecutivo dei giuristi democratici, il sovraffollamento carcerario è dovuto a due fattori: “Il primo è quello normativo, laddove alcune novelle legislative adottate in ambito penale hanno cominciato a dare frutti a pieno regime, in particolare, la c.d. Bossi-Fini, in materia di immigrazione (particolarmente dopo le modifiche introdotte dalla L. 94/2009), la Fini-Giovanardi (L. 49/2006) in materia di contrasto al traffico di stupefacenti e la c.d. ex Cirielli (L. 251/2005) che inasprisce sensibilmente le sanzioni penali e rende più difficile l’accesso ai benefici penitenziari per i recidivi, che costituiscono la grande maggioranza dei detenuti nelle carceri, detenzioni, queste ultime, molto spesso legate alla piccola e piccolissima criminalità, di cui la recidiva è fattore caratterizzante. Il secondo fattore è quello culturale, che vede competere alcune forze politiche nel chi grida più forte alla sicurezza pubblica ed alla tolleranza zero. Si è, in definitiva, smarrito il senso del risolvere i problemi dei cittadini con strumenti diversi da quello carcerario. Se questo è il messaggio che viene dalla politica è evidente la ricaduta che ciò può avere sull’operato delle forze di polizia e della magistratura. Con ciò si spiega anche il dato relativo al numero di soggetti sottoposti alla misura cautelare massima”. Occorre apprezzare l’impegno di Marco Pannella, che, come giustamente auspicato da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, dovrebbe essere nominato senatore a vita. Né serve costruire nuove carceri, si svuotino piuttosto quelle esistenti, anche per lasciare spazio ai veri criminali che continuano ad ammorbare la vita pubblica e l’ambiente del nostro Paese. A tal fine, non bastano, anche se talvolta possono rivelarsi indispensabili, misure emergenziali e temporanee come l’amnistia. La vera soluzione consiste nel varare misure di depenalizzazione che possano ovviare, almeno in parte, al rilevato carattere classista della giustizia italiana. A fronte dell’evidente insufficienza del recente decreto governativo in materia occorrono, come propongono i giuristi democratici “ interventi legislativi audaci ed efficaci che aggrediscano in modo definitivo le cause dell’intollerabile stato di sovraffollamento delle nostre carceri. È, in definitiva, indispensabile cambiare approccio, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per delineare la necessità del ritorno ad una nuova stagione del “diritto penale minimo”, capace di comprendere ed incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine”. Un compito ineludibile per il prossimo Parlamento che presenterà auspicabilmente una percentuale inferiore di rinviati a giudizio rispetto al precedente, tenendo peraltro presente che data la gravità ed urgenza del problema possono rendersi come accennato indispensabili misure ad effetto immediato come l’amnistia e l’indulto. Giustizia: dichiarazioni di intenti e progetti di legge, ma il carcere resta luogo di perdizione di Silvia D’Onghia Il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2012 Di anemia mediterranea si può morire. Se il livello della patologia è grave, infatti, occorrono trasfusioni continue, anche due al mese. Se sei malato di anemia mediterranea (Beta Talassemia) e per di più sei un carcerato, la tua storia è segnata. È il caso di M.C., un italiano di 43 anni recluso in un penitenziario romano, di fronte al quale il Dap alza le mani: come testimonia il nono rapporto sulle carceri dell’associazione Antigone, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria ha fatto sapere di non disporre di un “servizio ematologico in grado ai affrontare un caso del tipo e della gravità descritti”. Pace all’anima sua. Il 2012 si chiude, guarda caso, senza che la classe politica sia riuscita a trovare una soluzione rapida e definitiva al sovraffollamento carcerario. Nulla hanno potuto la fame di Pannella o le visite della Severino nei penitenziari. Quando si parla di “emergenza”, gli addetti ai lavori sorridono: “Il numero dei detenuti al 31.12.2009 - si legge ancora nel rapporto “Senza dignità”, subito prima della dichiarazione dello stato di emergenza, era di 64.791. Al 31.10.2012 la presenza era di 66.685 detenuti, 1.894 in più! Ma non dovevano diminuire?”. Le regioni che si distinguono - in negativo - per il numero dei detenuti sono la Liguria (176%), la Puglia (176%) e il Veneto (164%), ma l’istituto penitenziario in cui si sta peggio è quello di Mistretta, in provincia di Messina: a fronte di una capienza di 16 persone, ci vivono in 43. Stranieri e tossicodipendenti. Il 35,6% dei reclusi è di origine straniera (23.789 persone), la maggior parte di loro viene da Marocco, Romania e Tunisia. Nonostante sia stato modificato per decreto il reato di “mancata ottemperanza all’ordine del questore di allontanarsi dal territorio italiano” - dopo la bocciatura della Corte di Giustizia europea, il numero degli stranieri nelle nostre carceri è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2010. Non è dato sapere, da quando la sanità penitenziaria è passata dal ministero della Giustizia a quello della Salute, il numero preciso dei tossicodipendenti. Secondo l’indagine di Antigone, si aggira comunque intorno al 25%. I reati più diffusi. Si va in carcere per aver commesso reati contro il patrimonio (furti, rapine, estorsioni) o per aver violato il Testo Unico sugli stupefacenti. Oltre il 40% dei reclusi, 26.804 persone, non sconta una condanna definitiva, ma è in custodia cautelare. La media dei Paesi europei, secondo i dati del Consiglio d’Europa, è del 28,5%. Vita e morte. Il dato è aggiornato dall’associazione Ristretti Orizzonti al 28 dicembre 2012, quindi può essere che sia ulteriormente destinato a salire: i decessi in carcere sono stati, quest’anno, 154. Sicuramente meno rispetto ai 186 del 2011, ma ancora una vergogna senza scuse per il sistema penitenziario italiano. Delle 154 persone morte, almeno 60 si sono tolte la vita. Spesso non bastano gli psicofarmaci, distribuiti come caramelle per far fronte alle 20 ore (di media) trascorse all’interno di una cella chiusa e sovraffollata, a tenere a freno la depressione. Il 26% dei detenuti soffre di disturbi psichici e, se si pensa che quasi la metà della popolazione carceraria è sotto i 35 anni, questo dato diventa un grido di allarme. Di fronte al quale, però, nessuno fa nulla. Piano carceri? A guardare il sito, www.pianocarceri.it, sembra di star parlando di una verità inconfutabile. In realtà, di vero nel piano carceri ci sono soltanto i soldi, quelli erogati dallo Stato per costruire padiglioni e strutture che ancora, in tre anni, non hanno visto la luce. Il 22 dicembre sono stati pubblicati gli esiti di gara per l’ampliamento delle case di reclusione di Lecce, Parma e Milano Opera: dieci milioni a gara per le prime due, 22 per l’ultima. E, mentre si assottiglia la cifra destinata dai governi al Piano (dai 675 milioni di Berlusconi ai 447 di Monti), se anche le nuove celle venissero costruite, non si avrebbe il personale penitenziario sufficiente a coprire i turni. La polizia soffre già di una carenza di circa 4.000 unità rispetto al necessario. Le soluzioni. “Amnistia”, gridano da tempo immemore i radicali. Un provvedimento che consentirebbe di far uscire un bel po’ di gente, ma non risolverebbe il problema all’origine. Solo mettendo mano alla Fini-Giovanardi sulle droghe e alla Bossi-Fini sull’immigrazione, le nostre carceri tornerebbero a respirare. E chissà, con l’occasione, si potrebbero anche inasprire le pene per i reati finanziari. Meno tossici, più colletti bianchi. Giustizia: Terres des Hommes; “Case famiglia” unica alternativa per i bambini in carcere Avvenire, 31 dicembre 2012 Una delle prime parole che imparano è “apri”. Un comando che sentono ripetere decine di volte al giorno, da un’agente di custodia all’altra, nell’aria fredda delle carceri. Sono sessanta (dato aggiornato al 30 giugno 2012, ndr) i bambini con meno di tre anni d’età costretti a crescere dietro le sbarre assieme alle mamme detenute. Felice eccezione a questa situazione, l’Istituto a custodia attenuata (Icam) di Milano. Qui le sbarre sono mimetizzate da fiori e tendine e le agenti non indossano le divise. Al momento, però, quella di Milano è l’unica struttura a custodia attenuata attiva in Italia, mentre una struttura simile sta per aprire a Venezia. E la legge 62 del 2011 (pensata appositamente per portare i bambini fuori dalle carceri) prevede anche un importante stanziamento per la realizzazione di queste strutture. Se da un lato gli Icam rappresentano un importante passo in avanti per la tutela dei diritti dei bambini, gli addetti ai lavori sono convinti che si potrebbe fare di più. “La vera alternativa, che permetterebbe di portare i bambini fuori dalle carceri, sono le case famiglia protette”, spiega Federica Giannotta, responsabile diritti dell’infanzia di Terre des Hommes. Si tratta di strutture d’accoglienza equivalenti a dimore private, dove le mamme prive di domicilio (soprattutto straniere) possono scontare la propria pena stando accanto ai propri figli fino ai sei anni d’età. Un istituto che è stato introdotto proprio dalle legge 62 che punta al rafforzamento degli Icam. A differenza degli istituti a custodia attenuata, però, le case famiglia sono più piccole e meglio distribuite sul territorio. Sarebbero più economiche da gestire e permetterebbero di offrire ai bambini un ambiente ancora migliore in cui crescere. Senza sradicarli dalla città dove sono cresciuti e mantenendo i rapporti con gli altri membri della famiglia. “Purtroppo non ci sono certezze sugli investimenti. Sembra certo che si investa sugli Icam - puntualizza Federica Giannotta. Ma la legge precisa che non è previsto nessun onere a carico dell’amministrazione penitenziaria per le case famiglia protette”. Giustizia: Corleone; le carceri sovraffollate invece dell’integrazione sociale portano vendetta Il Piccolo, 31 dicembre 2012 Dalla Casa delle culture l’appello contro il sovraffollamento delle carceri. A lanciarlo Franco Corleone, il Garante dei detenuti del Comune di Firenze, ospite nei giorni scorsi dell’incontro “Vita da niente - il carcere dentro e fuori” insieme a Pino Roveredo, all’avvocato Luca Maria Ferrucci (Camera penale di Trieste) e all’operatore Alfredo Racovelli. Al Coroneo come nelle altre carceri italiane c’è chi interpreta un “delitto della pena”, dal titolo dell’ultimo libro che Corleone ha curato con l’Unione Camere Penali. “Tre anni fa - esordisce Racovelli - è stato dichiarato lo stato di emergenza delle carceri con un decreto della Presidenza del consiglio, ma nulla è cambiato”. A pochi mesi dalla lettera scritta al Governo per un decreto contro il sovraffollamento, Corleone spiega perché in Italia sia stato istituito il garante dei detenuti (con la nomina di Rosanna Palci a Trieste). “Le carceri - dice Corleone - sono una sovraffollate babele di lingue. I detenuti sono tanto fragili da dover usare il proprio corpo per far sentire la propria voce. A Firenze in tre si sono cuciti la bocca. Si parla di delitto della pena per evidenziare l’illegalità del carcere, che invece di integrazione sociale porta vendetta”. Per Ferrucci il tema non può essere ridotto a mera questione umanitaria, “perché ha a che fare con i diritti, la Costituzione e la democrazia. Il carcere è il biglietto da visita di una città: basta dare uno sguardo all’esterno della casa circondariale di Capodistria per capirlo”. E poi “fra gli oltre 65mila detenuti c’è chi è solo in attesa di giudizio”. Le contraddizioni stanno “in quel terzo di stranieri che non può difendersi, e in quanti non hanno commesso reati gravi”. “La prima volta che entrai in carcere avevo 17 anni - chiosa Roveredo - andando dal giudice l’avvocato mi chiese se avevo possibilità. Dissi di no, mi riportarono in cella. Lì compresi che la legge non è uguale per tutti”. Giustizia: Sappe; a Capodanno bisogna vigilare perché detenuti non facciano gesti estremi Adnkronos, 31 dicembre 2012 Anche se è Capodanno, c’è poco da brindare nelle carceri italiane, bisogna anzi vigilare ancora di più. Questa l’opinione di Donato Capece, segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe). “Questa notte ci sarà una drastica riduzione del personale della polizia in servizio, che porterà la sicurezza ai livelli minimi - rivela all’Adnkronos. Nei grandi istituti, dove lavorano solitamente dalle 30/50 persone, per questa notte gli agenti al lavoro saranno sette, massimo otto. Oggi quindi bisogna vigilare ancora di più - avverte il segretario del Sappe - per evitare che qualche detenuto si faccia prendere dallo scoramento e tenti di togliersi la vita. Anche questo rientra nei compiti della polizia penitenziaria, nonostante sia lasciata sempre più sola nell’affrontare una vera e propria emergenza”. Bisogna quindi confidare, secondo Capece, “nella collaborazione tra detenuti e agenti per chiudere un anno difficile in maniera serena, per quanto possa essere sereno vivere ristretti in meno di tre metri quadrati di spazio pro capite. Speriamo insomma che vada tutto bene”. Quanto ai festeggiamenti, “solitamente i direttori dei penitenziari, almeno quelli più lungimiranti, concedono ai detenuti, nell’ambito della socialità, di trascorrere una o due ore insieme, a meno che non ci siano situazioni di conflitti. Ma cambia poco - sottolinea il segretario sindacale - la possibilità di brindare con lo spumante non viene data sempre. Proprio lo spumante, quando viene ammesso in sezione, viene travasato in bottiglie di plastica così da non essere un pericolo per i detenuti e gli agenti di polizia. Considerate le gravi condizioni dei detenuti, c’è comunque poco da brindare”. Quello che si chiude, conclude il segretario del Sappe, “è un anno fallimentare per il sistema carceri. Il fatto che i carcerati trascorreranno anche questo Capodanno ammassati l’uno sull’altro senza il minimo rispetto per la dignità umana” sta a indicare che “il 2012 è stato sostanzialmente un anno perso, con la polizia penitenziaria sempre più allo sbando e il problema del sovraffollamento peggiorato”. Giustizia: Osapp, il 2012 è stato un “annus horribilis” per detenuti e Polizia penitenziaria Ansa, 31 dicembre 2012 “Come poliziotti e operatori penitenziari, l’abitudine, da oltre un ventennio, a fare i conti con le occasioni perse e con gli assai dispendiosi fallimenti dalla politica per le carceri e gli oltre centomila individui che, in tale contesto vivono e soprattutto lavorano, non ci esime dal valutare il bilancio del il 2012 come uno dei peggiori che il sistema penitenziario abbia sopportato sino ad oggi”. È quanto si legge nel testo a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) e indirizzato, per la fine dell’anno, ai quasi 50mila dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, tre cui 40mila poliziotti. Prosegue il sindacato: “67mila detenuti per soli 47mila posti, oltre 170 morti, di cui 8 poliziotti penitenziari e 60 detenuti per accertato suicidio (numeri, rispettivamente, 3 e 13 volte maggiori della media nazionale), una riduzione effettiva degli organici del personale vicina al 20% e stanziamenti decurtati fino al 50% in voci essenziali quali mezzi, vestiario, manutenzioni e vitto, sono le principali cause per cui il sistema penitenziario, invece che una migliore sicurezza per i comuni cittadini, ha ingenerato quest’anno, soprattutto nelle classi sociali più deboli, maggiori sofferenza e emarginazione e una accresciuta fragilità all’affiliazione nelle associazioni criminali”. “Per non parlare - aggiunge il leader dell’Osapp - delle scelte attuate dal Governo Monti e dalla Guardasigilli Severino per l’individuazione dei vertici penitenziari, in base a logiche del tutto estranee alle esigenze di funzionalità e di efficienza del sistema, tanto da indurre, in un’amministrazione già povera di contenuti, la sostanziale assenza di progetti e di prospettive e l’assolta incomprensione da parte del Dipartimento centrale delle gravi necessità degli istituti e dei servizi penitenziari periferici”. “Più che necessario risulta, quindi, di importanza oramai vitale per gli interessi di legalità e di sicurezza della collettività, che un coerente esercizio da parte nostra delle strumento elettorale in occasione delle prossime elezioni - conclude Beneduci - impedisca il ripetersi di una politica di mero contenimento di emergenze e disfunzioni incancrenitesi nel sistema penitenziario italiano, quale infausta caratteristica del governo Monti come dei governi che l’hanno preceduto”. Giustizia: Di Giacomo (Sappe) al 21° giorno sciopero fame, chiede piano di depenalizzazione Ansa, 31 dicembre 2012 Ventunesimo giorno di sciopero della fame per il consigliere nazionale del sindacato di Polizia Sappe Aldo Di Giacomo, che intende sensibilizzare la politica sul problema giustizia: oltre 9 milioni di processi pendenti, 20.000 detenuti in più rispetto al previsto, oltre 70 suicidi l’anno in carcere, cento poliziotti morti per suicidio in dieci anni, 180.000 processi prescritti ogni anno, “mentre - scrive in una nota - si sottopone a processo penale la diffamazione a mezzo stampa o il mancato pagamento dei contributi ai dipendenti, l’immigrazione clandestina”. Di Giacomo il 7 gennaio prossimo terrà una conferenza stampa in Senato per annunciare l’inizio dello sciopero della sete, incontrare i leader politici e annunciare altre iniziative. L’esponente del Sappe, segretario regionale molisano del sindacato, ritiene necessario un “piano di depenalizzazione” che eviti di “tenere in carcere 26 mila detenuti in attesa di giudizio di cui 14mila di primo giudizio” e sollecita il ricorso ‘a misure alternative per chi ha commesso reati di lieve impatto sociale. Giustizia: il panettone si sforna dietro le sbarre… grande successo per pasticceria a Padova Ansa, 31 dicembre 2012 Oltre 63.000 panettoni sfornati, declinati in ben 7 versioni, con un incremento del 15% rispetto alla produzione dell’anno scorso anno. E per le vendite non è ancora finita, visto che fino al 6 gennaio sarà possibile effettuare ordini on-line, anche se alcuni tipi di dolci hanno registrato il tutto esaurito (www.idolcidigiotto.it). La Pasticceria del Carcere di Padova chiude l’anno decisamente in bellezza, benedetta, è proprio il caso di dirlo, dagli ordini di Papa Ratzinger, che ne ha voluti 300 pezzi, e da un successo di pubblico senza precedenti. Perché i panettoni che escono di qui sono squisiti, artigianali al 100%. Dal 2005 infatti presso l’istituto di pena Due Palazzi di Padova la cooperativa Officina Giotto ha aperto un laboratorio di pasticceria. Scopo: riabilitare i detenuti attraverso il lavoro all’interno del carcere. “La realizzazione di prodotti di qualità sta alla base dell’intero progetto”, spiega Matteo Florean, responsabile del laboratorio e ingegnere dei materiali, “perché era nostra intenzione, fin dall’inizio, creare opportunità di guadagno e non fare dell’assistenzialismo. E infatti i 30 detenuti che lavorano in pasticceria, compresi gli addetti al confezionamento, hanno un contratto, quello nazionale delle cooperative, e ricevono un regolare stipendio. Non prima di essere stati ritenuti idonei da un team di psicologhe, che ne ha valutato il desiderio di intraprendere un’attività e la volontà di ricominciare da capo. In tutto il carcere i lavoratori, impiegati anche in altri settori, sono 120: un gran numero se si pensa che Italia i detenuti effettivamente contrattualizzati sono solo 800”. Ma come mai la scelta di realizzare prodotti completamente a mano? “Perché la manualità porta alla passione per il lavoro”, continua Florean. “Non a caso per produrre un panettone industriale occorrono 12 minuti, per il nostro 72 oro”. Ma la passione non c’è dubbio contribuisce al processo di recupero: si calcola infatti che dopo l’impiego nel settore agro-alimentare il tasso di recidiva negli ex detenuti crolli al 2%, contro l’80% normalmente stimato. E si inizia già a contare il numero coloro che, una volta fuori, si sono impiegati nel settore pasticceria. Commercializzati con il marchio “I Dolci di Giotto” (il comune diede anni fa la concessione delle immagini della Cappella degli Scrovegni, dal cui celebre autore deriva il nome), i prodotti del carcere spaziano dai biscotti classici alle preparazioni tradizionali (in questo periodo va fortissimo a Padova la torta pazientina, a base di cioccolato e zabaione). Ma le paste lievitate, non a caso oggetto a più riprese di premi e riconoscimenti (l’ultimo è del Gambero Rosso), rimangono il cavallo di battaglia della pasticceria. Oltre quello all’uvetta e l’originale alla birra, è stato l’ultimo nato del 2012, il panettone al Moscato di Pantelleria Kabir, realizzato con l’azienda Donnafugata, a realizzare il totale sold out. Rosee prospettive per il futuro dunque? Neanche per sogno: un tale successo pare non interessare infatti più di tanto il mondo politico. “Il decreto di stabilità approvato poco prima di Natale ha cancellato i fondi destinati a rifinanziare la legge Smuraglia”, spiega ancora Florean, “che prevede lo sgravio sui contributi per gli operatori sociali e le cooperative che portano lavoro nelle carceri. Questo significa che nel prossimo futuro potremo impiegare via via un minor numero di detenuti”. Zaia: bravi detenuti, da me il loro panettone c’è sempre “Svelo un piccolo segreto: da quando viene prodotto, il panettone dei detenuti del carcere di Padova sulla mia tavola non manca mai, e mi auguro che non manchi sulle tavole di quanti più consumatori possibile, perché si tratta di un simbolo del ritorno alla vita civile”. Lo afferma il presidente della Regione del Veneto Luca Zaia, complimentandosi con l’iniziativa della Cooperativa Officina Giotto che, dal 2005, ha avviato un laboratorio di pasticceria all’interno del Due Palazzi, e che quest’anno ha sfornato 63.000 panettoni di ottima qualità, 300 dei quali ordinati persino dal Papa. “Nella vita - aggiunge Zaia - chiunque puo’ sbagliare, ma tutti possono ritrovare dignità e valori, se solo lo vogliono davvero, attraverso il lavoro onesto e l’apporto della solidarietà, nella quale il Veneto fa scuola. Mi complimento - prosegue - con tutti i protagonisti di questa bella storia, a cominciare dai 30 detenuti che lavorano alla produzione e al confezionamento del prodotto e auguro loro che, una volta scontata la pena, possano trovare attenzione tra le tante prestigiose imprese dolciarie operanti in Veneto”. “Avendolo assaggiato - dice Zaia - posso assicurare che si tratta di un prodotto di qualità assoluta, quindi chi ci ha lavorato ci sa fare davvero. I 63.000 panettoni sfornati, con un incremento del 15% rispetto all’anno scorso, costituiscono un risultato eccezionale di cui i detenuti possono andar fieri, non solo per il suo significato, ma anche sul piano squisitamente economico. Il grande valore aggiunto, che non ha prezzo, è però il cammino di riabilitazione e recupero, gestito in maniera esemplare attraverso il lavoro, un vero contratto ed un giusto stipendio. A tutte queste persone il mio augurio di buon anno è assolutamente particolare”. Lettere: Buon Anno 2013 dagli Uomini Ombra di Carmelo Musumeci (detenuto a Padova) www.carmelomusumeci.com, 31 dicembre 2012 Buon anno 2013: L’uomo ombra aspetta per niente, aspetta un fine pena che non arriverà mai. E aspettare per nulla uccide il cuore di qualsiasi uomo. D’altronde non abbiamo scelta, se lasciamo fare agli altri non avremo mai una speranza che un giorno finiremo la nostra pena. Per questo, se nei prossimi mesi non interverranno nuovi avvenimenti a darci una speranza, abbiamo creato una lista di ergastolani, ostativi a qualsiasi possibilità un giorno di poter tornare liberi, che nell’estate 2013 inizieranno uno sciopero della fame per far conoscere in Italia l’esistenza della “Pena di Morte Viva”. L’unica paura che l’uomo ombra non ha è quella di morire perché solo rischiando di farlo forse un giorno riuscirà a vivere. D’altronde non ci resta altro che lottare con la testa, il cuore e la vita. E in tutti i casi non conosciamo altri modi per darci una speranza. Forse questa non è l’unica scelta che abbiamo, ma non riusciamo a vederne altre. E poi non abbiamo più tempo per altre forme di lotte, abbiamo solo il tempo che ci resta. Buon anno 2013: Per gli uomini ombra morire in carcere è una vittoria, mentre è una sconfitta per la società, poiché quando ti condannano all’ergastolo ostativo inizi a morire fin quando non smetti di respirare. C’è rimasta solo la vita e con quella lotteremo contro la “Pena di Morte Viva”, perché per gli uomini ombra ci sarà sempre e solo questo maledetto presente. Eppure sentiamo che non siamo solo il male che abbiamo fatto, potremmo essere anche il bene che potremmo fare, se qualcuno ci desse una speranza o un’altra possibilità, una sola, perché qualsiasi pena ti dovrebbe togliere la libertà, ma non la speranza, perché senza di quella non ci può essere vita. Buon anno 2013: L’uomo ombra aspetta per niente, aspetta un fine pena che non arriverà mai. E aspettare, attendere per nulla, uccide e tortura il cuore di qualsiasi essere umano. Alcuni hanno capito che la libertà dipende anche da noi: dobbiamo solo lottare con la mente, con il cuore e la vita, gridando che gli assassini non sono solo quelli che uccidono, lo sono anche quelli che ti lasciano in vita per farti soffrire di più, perché l’ergastolo ostativo è una pena disumana che ti fa odiare Dio, l’Universo e chi ci abita. Molti uomini ombra sono in carcere da venti, alcuni da trent’ anni e più, e pensano che molto difficilmente potranno un giorno uscire dalla loro tomba. E lo scorrere del tempo, lasciandoci dove siamo, ci sta uccidendo e torturando più di qualsiasi altra pena. Buon anno 2013: A tutte le persone che pensano che sia giusto in nome della giustizia e delle vittime dei reati murare viva una persona, senza la compassione di ucciderla prima. Buon anno 2013: A Margherita Hack, a Umberto Veronesi, alle centinaia di Primi Firmatari e agli oltre 24.000 cittadini che hanno firmato contro l’ergastolo, per avere avuto il coraggio di aiutarci, di averci messo la faccia, di sostenerci e di non essere d’accordo a trasformare la giustizia in vendetta. E di avere capito che è impossibile rieducare una persona senza prima perdonarla e amarla. Un abbraccio fra le sbarre ai vostri cuori, da tutti gli uomini ombra. Lettere: gli auguri non consueti al di là delle sbarre… di Emanuela Cimmino Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2012 Vedere il carcere, sotto altri punti di vista è un modo diverso ma non lontano dal quotidiano, quello di chi ci lavora in carcere, quello di chi ogni giorno ha che fare con carte e persone, con le loro storie, le memorie regresse, le paure, le emozioni, soprattutto con la sofferenza, la libertà privata da una parte con la chance di riconquistarla; i diritti da rivendicare, le proteste, gli atteggiamenti pretestuosi ed arroganti dall’altra parte. Empatia, ascolto, astensione dal giudizio, capacità comunicative, è quanto richiesto a chi lavora ogni giorno attraverso la relazione e con le relazioni, autorevolezza ed umanità, professionalità ed accoglienza. Ed è nell’accoglienza, in tutte le sue forme, che si manifesta l’affidarsi, la fiducia in chi offre un percorso di cambiamento ed in chi si mette in gioco per migliorare il proprio stile di vita, rinnovandolo. È nell’accoglienza, che il lavoro in carcere, fa la differenza, gli Auguri di Natale e di Buon Anno al di là delle sbarre, fanno la loro differenza, soprattutto se fatti da chi ci lavora quotidianamente e vede e percepisce, ed ascolta e vive il bello ed il brutto del carcere, lo stato d’animo tranquillo del detenuto e quello tormentato, il parlare con toni pacati ed il gridare, il rispetto e la reticenza, la capacità di aspettare e la pretesa di avere tutto e subito, la pazienza e l’inquietudine. È il giorno prima di Natale, la sveglia suona come sempre alle 6:30, l’educatrice si prepara, pronta per recarsi al lavoro, si mette in macchina, fuori si gela, meno sette è la temperatura, sull’asfalto c’è il ghiaccio, è ancora buio, troppo buio, a far da luce la luna, è solo arrivati a dieci km prima del carcere, che ci si accorge che non sono le sette e mezza, ma le sei e mezza, la sveglia ha fatto capricci...erano le 5:30 quando si è svegliata, intanto tra curve, salite, e l’alba che ancora non si fa avanti, si arriva al parcheggio e si guarda il carcere risvegliarsi. Quel palazzo marroncino all’esterno è solo un edifico, una struttura, protetta da abeti, ed invece dietro quelle finestre c’è un mondo, un sottosistema, c’è gente che lavora, c’è chi ha sbagliato e vuole cambiare. Attorno silenzio, solo gli spari dei cacciatori, eppure con attenzione, con tanta attenzione, sembra percepire i rumori del carcere, le voci, le preghiere, i pianti, le chiavi...Il carcere si sveglia, il parcheggio inizia a popolarsi, arriva l’infermiera, il medico, l’agente del nucleo...È l’alba, è ora, così ci si incammina, intanto il freddo blocca le mani, l’educatrice riflette su quanto sia bello il mestiere dell’educatore penitenziario ma quanto sia altrettanto complesso, articolato, duro, coinvolgente, stancante eppure nessuno scrive di loro, di noi. Di noi che ogni mattina oltrepassiamo un cancello che in automatico si chiude alle nostre spalle, quel rumore, clack, segna che siamo entrati in una città che non si ferma, c’è l’agente che segna il nome al block house, c’è chi ha fatto la notte e saluta con uno sbadiglio, c’è l’agente che raggiunge a passo veloce l’educatore mattiniero, ed insieme ci si reca allo spaccio per prendere un caffè, e quando c’è, pure il cornetto, si parla e si parla dei detenuti, del detenuto. Il lavoro è iniziato, le stesse conversazioni sono parte del lavoro; ma allo spaccio, per quel giorno c’è qualcosa, oltre ai rossi panettoni ed alle calze Happy Epifania vuote, in alto, su una bacheca, c’è un elenco di nomi, sul quale segnarsi, lo sguardo si ferma sulla parola Benessere, nel nuovo anno, partirà un percorso formativo per il Benessere del personale, evviva, qualcuno esclama, finalmente si pensa anche a noi! Gestione dei conflitti, gestione dello stress, astensione da pregiudizi, i temi che verranno affrontati. Ci si incammina verso l’ufficio, istanze su istanze, quelle non finiscono mai di arrivare e di essere inoltrate, neppure nei giorni di festa. Ore undici, è l’ora di entrare in sezione, questa volta per incontrare 100 persone, italiane e straniere, cristiane e musulmane, atei ed ortodossi, l’educatrice li incontrerà tutti, stringerà le mani a tutti e si fermerà a parlare con tutti. Sono tutti ritornati in sezione dopo l’ora di aria. Sono gli auguri al di là delle sbarre, che a volte fanno la differenza, che a volte danno calore e simboleggiano e danno valore alla parola “Accoglienza-fiducia”, sono gli auguri al di là delle sbarre che hanno fatto la differenza in un Natale povero che in carcere, attualmente, ancora di più degli altri anni, ha il sapore del degrado sociale, come la condizione dei tantissimi nuovi giunti arrivati e che continuano ad arrivare in questi giorni di festa. È l’ora della socialità, è sempre l’ora della socialità, quando passa l’educatrice degli Auguri per gli auguri. Niente panettone in mano, per quello ci hanno pensato i volontari con tanto di tombolata, ma una penna ed un taccuino per appuntare bisogni, esigenze, lamentele ma anche ringraziamenti e parole gratificanti che fanno anche per chi lavora, la differenza. Auguri non consueti, strette di mano, si bussa alla porta della cella, sorpresa, il detenuto che sta guardano la foto della figlia si alza dalla sedia, il detenuto disteso sul letto a guardare la tv, la spegne, si alza e saluta il funzionario, assieme al detenuto dell’ultima cella, con la finestra affacciata al panorama, lo si ammira, lui in cella, lei fuori la cella in piedi su uno sgabello prestato da un detenuto rumeno con fine pena a breve; i passi dell’educatrice riconosciuti da alcuni, consentano loro di avvicinarsi alla porta della cella, c’è chi coglie l’occasione per chiedere, perché è sempre momento di chiedere e c’è chi consegna un biglietto d’auguri. Si passa all’altra sezione, un detenuto si meraviglia del come l’educatrice abbia posto più attenzione alle rosse tendine create da due pezzi di tovaglia natalizia piuttosto che al calendario di una modella, anche questo fa la differenza, andare oltre l’evidenzia, quel detenuto era concentrato a guardare al di là delle sbarre, viaggiatore nei suoi pensieri, c’è il detenuto che dorme e russa, chi è stato operato ed aiutato dai compagni ha la forza di sorridere e stringere le mani dell’educatrice. Duecento passi per cinquanta celle per cento uomini, sono stati gli auguri che hanno fatto la differenza per questo Natale in carcere, quegli auguri anche di Buon Anno, perché il 2013 sia l’Anno del rinnovarsi, l’anno dell’accoglienza, per chi ci entra e l’anno del Benessere per chi ci lavora ogni giorno, ed ogni giorno riflette in maniera autocritica su ciò che ha fatto, avrebbe potuto fare e potrebbe fare, rendendosi conto, spesso, si essere soli e che soli non ci vuole essere più. Lettere: condizioni detentive dure nella Casa circondariale di Catanzaro di Emilio Quintieri www.catanzaroinforma.it, 31 dicembre 2012 Continuano le denunce da parte dei detenuti ristretti presso la Casa Circondariale di Catanzaro Siano per le condizioni illegali in cui sono costretti a sopravvivere dallo Stato. Questa volta, a scrivere all’Ecologista Radicale Emilio Quintieri, è il detenuto Natale Ursino di Locri, da 10 mesi rinchiuso in custodia cautelare presso il Carcere di Catanzaro. Quel che scrive Ursino conferma esattamente - sostiene Quintieri - quanto raccontano gli altri detenuti e che, tra l’altro, abbiamo reso noto al Governo tramite una Interrogazione Parlamentare a risposta scritta indirizzata ai Ministri della Giustizia e della Salute Paola Severino e Renato Balduzzi. L’atto di Sindacato Ispettivo nr. 4-08865, sotto integralmente riportato, è stato presentato a Palazzo Madama durante la 853esima seduta e firmato e sottoscritta dai Senatori della Repubblica Marco Perduca e Donatella Poretti (Radicali), Salvo Fleres (Grande Sud), Roberto Di Giovan Paolo, Francesco Ferrante e Roberto Della Seta (Partito Democratico) che, tra l’altro, sono stati invitati ad effettuare una Visita Ispettiva presso l’Istituto Penitenziario di Catanzaro. Sono state ampiamente descritte tutte quelle situazioni illegali che riguardano gli Istituti di Pena della Calabria con particolare riferimento alla Casa Circondariale di Siano ove, a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti, sono rinchiuse 600 persone, la metà delle quali appartenente al circuito dell’Alta Sicurezza. Abbiamo denunciato al Governo oltre al problema del sovraffollamento anche tutta una serie di circostanze che rendono l’esecuzione della pena completamente illegale in primo luogo perché non rispetta quei diritti umani fondamentali tutelati dalle norme di rango costituzionale e da quelle europee ed internazionali vigenti in materia. Vivono in tre in delle camere detentive, volgarmente note come “celle” originariamente destinate ad ospitare un solo detenuto, chiusi per 21 ore al giorno in pochi metri quadrati, con la sola possibilità di stare sdraiati nei loro letti a castello, perché tutti quanti in piedi contemporaneamente non avrebbero la possibilità di muoversi a causa della presenza del tavolino, degli sgabelli e degli armadietti. E tale stato di cose nuoce anche dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza poiché agli Agenti della Polizia Penitenziaria addetti alla sorveglianza nei Reparti viene materialmente difficile procedere agli opportuni e necessari controlli. Nemmeno gli animali allo Zoo, per dirla come il detenuto Natale Ursino - prosegue il cetrarese Emilio Quintieri - sono tenuti in queste condizioni. È indubbio che per queste persone la reclusione si traduca in una vera e propria tortura, proibita dalla Costituzione, dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani e da altri Trattati Internazionali che lo Stato Italiano a firmato e ratificato ma che, regolarmente, continua a violare. Per questi motivi l’Italia è stata - dal 1959 ad oggi - chiamata in giudizio innumerevoli volte dinanzi alla Corte Europea di Strasburgo e ripetutamente condannata (oltre 2.000 sentenze di condanna) per violazione della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ed in particolare modo proprio per violazione dell’Art. 3 che stabilisce “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. Peggio dell’Italia c’è solo la Turchia ed a seguire la Russia e Polonia. E non è certo degno di uno Stato che si definisce civile e democratico posizionarsi al secondo posto nella classifica dei 47 Stati membri dell’Unione Europea per violazione dei diritti umani fondamentali : tanto basta per avere certezza della conclamata, abituale e flagrante criminalità dello Stato. “L’attività sportiva è quasi inesistente, abbiamo accesso una sola volta alla settimana per 2 ore al Campo Sportivo. La sporcizia non ha eguali. C’è una colonia di topi, a migliaia, una vera invasione, con il serio rischio di esser morsi e subire la gravissima infezione di cui sono portatori i ratti - dice il detenuto locrese Natale Ursino nella sua lettera. Le docce oltre ad essere insufficienti e scarsamente igieniche, spesso siamo costretti a farle con l’acqua fredda e per lavarci dobbiamo privarci dell’ora d’aria all’aperto perché gli orari coincidono con l’ora d’aria.” Come si può tollerare una simile condizione? Abbiamo un regime carcerario che non comprime solo la libertà personale - protesta l’esponente dei Verdi Europei aderente ai Radicali Italiani - ma li obbliga a vivere in condizioni irrispettose della dignità umana ed a subire disagi, difficoltà e sofferenze non prevista da alcuna norma giuridica o sentenza. Eppure la Corte Europea dei Diritti Umani è stata molto chiara: l’Art. 3 della Convenzione impone allo Stato di garantire la detenzione in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana. Di questa situazione, tra l’altro, proprio recentemente ne abbiamo investito anche la Commissione Europea con l’Interrogazione Parlamentare a risposta scritta Sicuramente, adesso, dovremmo presentare un altro atto di Sindacato Ispettivo alla Commissione Europea proprio in riferimento alla insostenibile ed intollerabile situazione in cui versa la Casa Circondariale di Catanzaro Siano. Anzi, faremo di più - conclude l’Ecologista Radicale Emilio Quintieri - perché inviteremo ed assisteremo i detenuti, per presentare formale ricorso alla Corte dei Diritti Umani di Strasburgo per denunciare la violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione Europea da parte della Repubblica Italiana. Sicilia: Opg Barcellona Pozzo di Gotto; il Sinappe contesta il rapporto del senatore Marino Gazzetta del Sud, 31 dicembre 2012 La decisione della Commissione parlamentare Igiene e Sanità presieduta dal senatore Ignazio Marino di disporre la chiusura dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona è contestata vivacemente dal sindacato degli agenti penitenziari Sinappe. Una decisione che si fa forte dell’ispezione avvenuta nei giorni scorsi di disposta dal ministero della Giustizia ed eseguita da Alfonso Sabella, direttore generale delle Risorse materiali, da Calogero Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento, e da Maurizio Veneziano, dirigente generale degli Istituti Penitenziari della Sicilia, accolti dal direttore dell’opg Nunziante Rosania. I tre ispettori avevano il compito di accertare la situazione all’interno dell’istituto dopo i gravi rilievi sollevati dal senatore Marino. Secondo il Sinappe “non è stato riscontrato in alcun modo” la grave condizione di abbandono in cui verserebbero gli internati ricoverati”. “È del tutto evidente - sostiene Letterio Italiano del Sinappe - come hanno sottolineato i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria convenuti a Barcellona che la progressiva, inesorabile riduzione degli stanziamenti da parte della politica che negli anni ha coinvolto anche l’elementare e ordinaria manutenzione delle strutture e dei mezzi a disposizione di questi istituti (che hanno all’un tempo perso anche una notevole quota di personale senza alcun rimpiazzo) costringe gli addetti ai lavori anche al doloroso ridimensionamento di progetti di recupero socio-lavorativo dei ricoverati dell’Ospedale psichiatrico giudiziario. Roma: i Radicali festeggiano il capodanno con i detenuti, visite a Rebibbia e Regina Coeli Dire, 31 dicembre 2012 Per Marco Pannella e i deputati radicali Rita Bernardini, Maurizio Turco, Maria Antonietta Farina Coscioni e Matteo Mecacci, la mezzanotte del 31 scoccherà in carcere per salutare il nuovo anno insieme alla comunità penitenziaria degli istituti penitenziari di Rebibbia e Regina Coeli, a Roma. Delle delegazioni faranno parte anche la segretaria dell’associazione “Il Detenuto Ignoto” Irene Testa, l’avvocato radicale Alessandro Gerardi e la regista Barbara Cupisti. Le visite inizieranno alle 22.30. Aosta: carcere di Brissogne, un Capodanno dietro le sbarre www.aostaoggi.it, 31 dicembre 2012 Nessun brindisi con champagne o spumante. Nell’amichevole “cin cin” verranno alzati calici colmi di bibite o acqua minerale. Non ci saranno neppure band musicali, grande baldoria e neppure i tradizionali zampone e lenticchie e panettone. Ma l’addio al 2012 e il benvenuto al 2013 sarà scandito da serenità e speranza. Il Capodanno dei detenuti della Casa Circondariale di Brissogne diventerà, quindi, una festa vissuta con maggiore libertà interna e con l’opportunità di dialogare fra persone accomunate dallo stesso destino. “Da quando, due anni fa, abbiamo deciso di lasciare aperte le celle dalle 9 alle 17,30 l’ambiente ha acquisito una vivibilità rassicurante - dice Domenico Minervini, direttore del penitenziario valdostano. Lunedì 31, prolungheremo questa apertura fino alle 20 per creare quel minimo di atmosfera festiva di fine anno. Oltre non è possibile, considerato il numero più contenuto di agenti in servizio. Non sarà una giornata molto diversa dalla solita routine, ma quelle tre ore in più di “libera uscita” consentiranno di respirare un clima diverso e offriranno più possibilità di contatto fra gli ospiti, da una cella all’altra”. Il direttore ricorda l’organizzazione di concerti e la Messa di Natale in queste festività molto particolari. Soprattutto per i cattolici lontani dalla famiglia. “I detenuti di religione islamica - sottolinea Domenico Minervini - avvertono meno il distacco non essendo osservanti della natività”. L’apertura delle celle, la prima nella storia delle carceri regionali, riserva a chi trascorre le giornate in stato di detenzione il piacere di socializzare al meglio, presupposto fra i più caldeggiati dall’amministrazione penitenziaria e dalle associazioni impegnate nell’alleviare sofferenze e disagi di una vita priva di libertà. I volontari dell’Associazione Valdostana Volontariato Carcerario onlus sono vicini, da molti anni, alle persone che scontano pene più o meno lunghe nel carcere di Brissogne. Maurizio Bergamini, il presidente di questo sodalizio istituito negli Anni 80, è testimone indiretto delle iniziative promosse dai detenuti per vivere le feste più emblematiche dell’anno. “A Capodanno - dice - vige l’usanza del “sopravvitto”. Cioè l’acquisto di qualche alimento in più da parte di chi ha maggiori disponibilità economiche. Il cibo viene condiviso con i compagni in quello che considerano il cenone di fine anno”. Con l’apertura delle celle, poi, è diventata una piacevole prassi lo scambio di piatti per assaporare i menù delle varie etnie presenti fra i detenuti. Più del 60 per cento degli ospiti del carcere regionale proviene da Paesi esteri. “L’ingresso nel nuovo anno non passa mai inosservato neppure in queste strutture - puntualizza Bergamini -, seppure sia in vigore, da sempre, il divieto di bere alcolici”. Gli ospiti dei penitenziari si organizzano per dare un senso al lento trascorrere del tempo. Una realtà angosciante fra chi non ha l’opportunità di svolgere un lavoro interno o in stato di semilibertà. Il difficile percorso di reinserimento sociale passa, soprattutto, attraverso l’impegno quotidiano, anche se riassunto in poche ore. Il recupero della dignità e dell’autostima diventa fondamentale per programmare un futuro degno di essere vissuto. “Gli stessi agenti di polizia penitenziaria svolgono un ruolo di prim’ordine nell’accompagnare il risveglio delle coscienze - dice Domenico Minervini. Acconsentire all’autopromozione di brevi momenti di festa nelle ricorrenze più significative dell’anno ritengo sia un giusto riconoscimento della personalità e del rispetto dovuti ad ogni individuo”, conclude il direttore della Casa Circondariale di Brissogne Lecce: 1.500 giovani digiunano per offrire il corrispettivo della cena ai detenuti www.quotidianoitaliano.it, 31 dicembre 2012 I partecipanti alla “Marcia nazionale per la pace” saranno protagonisti di una festa di Capodanno diversa, alternativa, all’insegna della solidarietà. Non rinunceranno ad un sobrio momento conviviale, previsto al termine della marcia, proprio a cavallo della mezzanotte, nel cortile dell’antico seminario di piazza Duomo: panettone e spumante, all’insegna della semplicità. L’equivalente del “cenone di fine anno” di ogni partecipante sarà raccolto durante l’offertorio della messa conclusiva e sarà devoluto a favore degli ospiti del carcere di “Borgo San Nicola”. Ma c’è di più, i 1.500 giovani di tutta Italia che parteciperanno a Lecce alla quarantacinquesima Marcia Nazionale per la Pace, che si terrà domani sera per iniziativa congiunta della Commissione per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza Episcopale Italiana, dell’arcidiocesi di Lecce, della Caritas Italiana, di Pax Christi e dell’Azione Cattolica, hanno scelto di digiunare. I ragazzi hanno scelto di accogliere il nuovo anno nel segno del digiuno per offrire il corrispettivo della cena a favore dei detenuti della Casa Circondariale di Borgo San Nicola di Lecce. Un segno nobile di cui sicuro ne andrebbe fiero lo stesso leader dei radicali Pannella che da sempre combatte per il bene dei detenuti mettendo a rischio la propria vita con scioperi della fame e della seta. Anzi, proprio in quest’ultimo mese, aveva intrapreso una nuova battaglia che l’ ha portato per ben più di una settimana in digiuno totale al fine di ottenere l’amnistia e il diritto di voto dei detenuti. Cagliari: Sdr; detenuto ottiene remissione debito, ma Equitalia invia bollettino pagamento Ristretti Orizzonti, 31 dicembre 2012 “Amaro fine d’anno per un cittadino privato della libertà recluso nella Casa Circondariale cagliaritana. D.C., messinese, 68 anni, che all’inizio del 2012 aveva ottenuto dall’Ufficio di Sorveglianza di Cagliari “per le disagiate condizioni economiche” la remissione dei debiti di giustizia, si è visto recapitare nel carcere di Buoncammino un sollecito di pagamento da Equitalia Nord. La nota lo ha gettato nello sconforto”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, sottolineando “il disappunto e la preoccupazione con cui l’uomo ha accolto la lettera”. “L’ordinanza dell’Ufficio di Sorveglianza di Cagliari aveva disposto - ricorda Caligaris - la cessazione con effetto immediato di tutti gli atti in corso e la comunicazione all’ufficio incaricato del recupero dei crediti. Dopo un anno invece Equitalia si è rifatta viva esigendo il pagamento di 1.685,55 euro comprensivi di interessi di mora calcolati al 28 novembre 2012. Il sollecito ha gettato nel panico l’uomo che nel corso di un colloquio ha manifestato il timore che l’atto in suo possesso potesse non essere valido. Il successivo chiarimento ha fugato le ansie ma resta il fatto che la remissione del debito per chi versa in condizioni di indigenza deve essere rispettata in pieno dagli enti creditori evitando situazioni imbarazzanti soprattutto per chi si trova privato della libertà. La burocrazia non può accanirsi, come purtroppo spesso accade, con chi è debole e non è in grado di difendersi soprattutto quando i documenti parlano chiaro”. Agrigento: ergastolano sta per laurearsi, ma gli negano il pc per scrivere la tesi La Sicilia, 31 dicembre 2012 Sul suo fascicolo c’è scritto “fine pena mai” perché Alfredo Sole, 45 anni, è uno di quei “picciotti” che ha buttato via la sua vita nella guerra di mafia, tra Stidda e Cosa nostra, che ha insanguinato la provincia di Agrigento tra gli anni Ottanta e Novanta. Sta scontando due ergastoli per un omicidio e per la strage del 23 luglio del 1991 a Racalmuto, con quattro morti tra cui Diego Di Gati, fratello del futuro reggente di Cosa nostra agrigentina Maurizio, oggi collaboratore di giustizia. Ma Alfredo Sole è diventato anche un caso simbolo della situazione delle carceri italiane: in cella Sole ha studiato, si è diplomato e stava per laurearsi in Filosofia. Il suo caso è finito anche in Parlamento con una interpellanza di qualche settimana fa del senatore Benedetto Adragna. Ma ora è sul punto di rinunciare perché da quando è stato trasferito nel carcere di Opera a Milano la direzione gli ha sottratto il suo computer. Fino al 2009, quando era detenuto a Livorno, era su quel pc che studiava e che stava pure scrivendo la sua tesi. “Mi trovo davanti a un muro di gomma - ha affermato Alfredo Sole - che non riesco a scalfire”. È un uomo che ha trascorso metà della vita in cella. È stato condannato per avere ammazzato Alfonso Alfano Burruano, l’anziano boss del paese e per la strage di Racalmuto, quando un commando di stiddari ammazzò tre esponenti rivali di Cosa nostra (Luigi Cino, Diego Di Gati e Salvatore Gagliardo) e un giovane marocchino, Ahmed Bezsguirne, che ebbe solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Alfredo Sole guidava la macchina che ha portato i killer sul luogo della strage. Non si è mai pentito, nonostante dal carcere abbia spesso lanciato messaggi ai giovani del suo paese spiegando loro che la strada che lui intraprese negli anni Ottanta è un vicolo che non porta a nulla. Nel frattempo, mentre lui era già in carcere, Cosa nostra gli ha annientato la famiglia uccidendo suo fratello Alfonso, suo zio Giuseppe e suo padre Salvatore. Il carcere porta però a pensare e a riflettere e Alfredo Sole è uno che si è messo a riflettere e a pensare sui libri. Il suo è un ergastolo ostativo che non gli permette di avere ore di libertà, di lavoro all’esterno. Ma Alfredo Sole lotta “soltanto” per poter tornare in possesso del suo computer, dove sono contenuti i suoi appunti e i suoi scritti. In altre parole, la sua memoria degli ultimi anni. Un computer, naturalmente non collegato a internet, che peraltro gli è necessario per poter preparare la tesi di laurea. Ma, nonostante un’ordinanza favorevole del tribunale di sorveglianza di Milano, il pc di Alfredo Sole resta sotto chiave in un deposito del carcere di Opera. Così non potrà completare il suo corso di laurea. Alfredo Sole è in cella dal settembre del 1991, ha rifiutato di collaborare con la magistratura, ma ha pubblicamente ammesso le sue responsabilità nella guerra di mafia che ha insanguinato Racalmuto e la provincia di Agrigento. Verità giudiziarie sì, ma anche verità messe per iscritto: nel libro di Gaetano Savatteri “I ragazzi di Regalpetra” ha raccontato il suo ruolo nell’omicidio di Alfano Burruano e nella strage del 23 luglio. Ma vi sono anche lettere e interventi in cui ha preso le distanze dal suo passato mafioso, invitando più volte i giovani a non imboccare la strada della violenza, destinata a portare solo “alla morte o alla galera”. Frosinone: concerto di Jubilee Spiritual, ultima tappa manifestazione “Natale per tutti” Adnkronos, 31 dicembre 2012 Concerto di Jubilee Spiritual, questa mattina, presso la Casa circondariale di Frosinone. Entusiasmo tra i detenuti e cori all’unisono con il celebre gruppo gospel composto da vocalist provenienti da tre diversi stati degli Stai Uniti, che hanno eseguito famosi brani musicali del repertorio americano. Il concerto rientra nell’ambito di “Natale per tutti 2012”, l’iniziativa ideata dalla Giunta Polverini, arrivata all’ultima tappa, per portare musica e cabaret negli istituti penitenziari del Lazio. Presente l’assessore regionale agli Enti locali e politiche per la Sicurezza, ambiente sviluppo sostenibile e politiche dei rifiuti della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, che ha portato alla direttrice della struttura, Luisa Pesante, agli operatori della polizia penitenziaria comandati da Rocco Elio Mare, e al folto gruppo di detenuti in sala, il proprio saluto, insieme al tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno. È con piacere ed emozione - ha dichiarato l’assessore Cangemi - che ho salutato l’esibizione dei Jubilee Spiritual Tri-State Gospel Choir, all’ultimo concerto della manifestazione “Natale per tutti”, in programma durante le festività natalizie nelle carceri del Lazio. Il gruppo americano ci ha deliziati grazie alle sue armonie coinvolgenti. Ma soprattutto è riuscito a dilettare i detenuti di Frosinone, facendo superare loro, almeno per qualche ora, la solitudine e i momenti bui che la condizione di detenzione comporta”. “L’ultima tappa di oggi a Frosinone ha concluso il ciclo di spettacoli e concerti di Natale per tutti, progetto che sicuramente, nelle tre edizioni che abbiamo realizzato, ha riscosso un enorme successo - ha detto. Lo si è notato nei momenti di spensieratezza che abbiamo potuto cogliere sul volto dei detenuti mentre hanno ascoltato nelle diverse occasioni l’esibizione degli artisti. E lo si è notato nella partecipazione di tutti. “Ripeto, è sicuramente motivo di orgoglio, per me, il benessere dei detenuti, e sono convinto - ha concluso Cangemi - di aver intrapreso una scelta giusta perché in questi spettacoli nelle carceri gli artisti sono stati accolti con grande entusiasmo dalla popolazione detenuta sempre con maggior slancio”. Pordenone: l’editore Santarossa e lo scrittore Miniutti donano ai detenuti libri e dolci Messaggero Veneto, 31 dicembre 2012 Un regalo di buone Feste anche per i detenuti del carcere di Pordenone. A consegnarlo sarà, questa volta in veste di volontario della Casa circondariale da molti anni, lo scrittore Giacomo Miniutti. A donarlo un editore. Domani Miniutti entrerà in carcere con 30 panettoni donati da Giovanni Santarossa, editore della Biblioteca dell’Immagine. Lo scrittore regalerà poi, a chi non l’ha ricevuto durante la presentazione fatta a settembre proprio all’interno della casa circondariale, il suo ultimo libro “Quando la fonte dissetava”. Si tratta di una storia, a lieto fine, che racconta un vissuto doloroso e comune a molti detenuti: quello della dipendenza da alcol e droga. La consegna dei panettoni ai carcerati è diventata ormai una tradizione per la Biblioteca dell’immagine, un piccolo ma significativo gesto di umanità. Il carcere di Pordenone, che ospita un’ottantina di persone, si trova nel cuore della città, ma entra raramente nelle cronache cittadine. Se non quando si parla delle condizioni di sovraffollamento che affliggono tutte le strutture - e Pordenone non è esente - e il progetto, che non vede una fine perché le risorse non ci sono, di realizzare un nuovo carcere. E anche il 2013 inizierà con la speranza di una nuova struttura che possa migliorare la vita di chi è detenuto ma anche di chi lavora con grande professionalità nella struttura. Cinema: il premio “Peppino Patroni Griffi 2012” ad Aniello Arena, attore detenuto Asca, 31 dicembre 2012 Aniello Arena l’attore detenuto protagonista del film “Reality” di Matteo Garrone (vincitore del Grand Prix della Giuria a Cannes 2012) è stato premiato a Capri, Hollywood insieme ad Armando Punzo, direttore della Compagnia della Fortezza del carcere di Volterra con il “Peppino Patroni Griffi 2012”. “Grazie a Reality e al lavoro di Arena si sono accesi nuovi riflettori sulla nostra compagnia che nel 2013 compirà 25 anni - ha detto Punzo - stiamo già studiando il nostro nuovo spettacolo dopo il Mercuzio che faremo a marzo al teatro Palladium di Roma per festeggiare il venticinquennale. Insieme a Shakespeare sto pensando di affrontare anche a Viviani”. Punzo e Arena hanno raccontato agli ospiti internazionali del festival presieduto dal regista inglese Mike Figgis la loro esperienza di lavoro. “In carcere ricopriamo anche ruoli femminili, mi sono divertito a fare la drag queen”, ha raccontato Arena. “Dedichiamo questo premio alla memoria di Renzo Graziani, il direttore di Volterra che fece partire il nostro progetto e a tutti gli attori che in questo quarto di secolo hanno lavorato con noi”, ha detto Punzo. Giappone: il 2012 si chiude con 133 detenuti nel "braccio della morte" www.atlasweb.it, 31 dicembre 2012 Quest’anno il Giappone ha giustiziato sette persone, mentre il numero dei detenuti nel braccio della morte ha raggiunto la cifra record di 133. Lo rivela l’emittente locale Nhk, secondo la quale il Giappone, l’unico paese democratico insieme agli Stati Uniti a mantenere la pena di morte, ha giustiziato due detenuti ad agosto, tre a marzo e due a settembre. Nessuna esecuzione nel 2011, due nel 2010, sette nel 2009 e quindici nel 2008. Secondo un sondaggio del 2010, l’85% dei giapponesi appoggia la pena capitale, considerandola una misura “inevitabile”. Le esecuzioni approvate dal governo uscente del Partito Democratico - salito al potere nel 2009 - portano la firma dell’allora ministro della Giustizia Keiko Chiba, avvocato progressista che, paradossalmente, era membro della Lega Parlamentare contro la Pena di Morte. Nel 2010 era stata decisa una moratoria non ufficiale di 20 mesi, interrotta inaspettatamente proprio da Chiba. La pena di morte, inclusa nel codice penale nipponico dal 1907, era stata in precedenza soggetta a moratoria dal novembre 1989 al marzo 1993. Prima ancora nel 1964, anno in cui si erano celebrati i giochi olimpici a Tokyo, per evitare le critiche internazionali. Amnesty International (AI) ricorda che il Giappone rientra tra i 59 paesi che ancora oggi applicano la pena di morte. Secondo l’organizzazione, “il sistema giudiziario giapponese è lento, e i detenuti trascorrono i loro giorni nel corridoio della morte in condizioni disumane, in isolamento, e alcuni con gravi problemi mentali, mentre le esecuzioni avvengono spesso in gran segreto, senza preavviso o testimoni”. Tunisia: ex militare si toglie la vita in carcere dopo aver ammesso adesione ad al Qaeda Nova, 31 dicembre 2012 Un membro dell’esercito tunisino si tolto la vita ieri nella sua cella in un carcere nell’ovest della Tunisia dopo essere stato arrestato ed aver confessato di far parte di una cellula di al Qaeda nel Maghreb islamico. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa tunisina “Tap”, il militare Badri al Talili che lavorava presso la caserma di al Kaf, che dista 170 chilometri da Tunisi, stato arrestato agli inizi di dicembre nell’ambito di un’indagine che ha sgominato una cellula di al Qaeda. Era stato individuato come membro di un gruppo islamico operativo a Jandubiya, 200 chilometri a sud ovest della capitale. Quella zona stato lo scorso mese teatro di diversi scontri a fuoco tra esercito e terroristi islamici provenienti dall’Algeria. Iran: figlia ex presidente Rafsanjani in cella isolamento per “propaganda contro governo” Aki, 31 dicembre 2012 Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia dell’ex presidente iraniano l’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, è stata trasferita per tre settimane in una cella di isolamento nel carcere di Evin in cui si trova reclusa dallo scorso settembre. Lo riferisce il sito riformista Kaleme, spiegando che la figlia di Rafsanjani è stata riconosciuta colpevole dal vice procuratore di Evin di offesa della Guida Suprema iraniana l’ayatollah Ali Khamenei e di aver creato disordini in carcere. Stando al sito, il vice procuratore avrebbe emesso questa nuova sentenza in reazione alle attività propagandistiche antigovernative di Faezeh in carcere. La figlia di Rafsanjani è vicina all’Onda verde e critica nei confronti della Guida Suprema e del governo di Mahmoud Ahmadinejad. Faezeh, attiva contro il governo durante le proteste del 2009, è stata condannata a 6 mesi di carcere perché riconosciuta colpevole dal Tribunale della Rivoluzione di Teheran di “aver attentato alla sicurezza nazionale, avendo fatto propaganda contro il governo”. Le pressioni nei confronti dell’ex presidente Rafsanjani e della sua famiglia sono aumentate negli ultimi tre anni. Rafsanjani si è schierato, seppur in modo moderato, con il fronte riformista iraniano, suscitando le dure reazioni del fronte conservatore vicino alla Guida Suprema l’ayatollah Khamenei.