Giustizia: Severino; carceri luoghi grande sofferenza, un po’ di fantasia su pene alternative Agi, 2 dicembre 2012 Il dramma dei suicidi in carcere “è un tema terribile. Se dobbiamo confrontare questo tema con quello dell’aumento dei mezzi con cui controllare la detenzione domiciliare, vale la pena il sacrificio di apprestarsi a mezzi di controllo alternativi: il controllo telefonico, l’obbligo di firma o di presenza. Un po’ di fantasia. Se ci si impegna e si lavora, il tema del controllo domiciliare può essere affrontato e vale la pena farlo. Si risparmierebbero vite umane senza minare la sicurezza pubblica”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino all’intervista domenicale del Tgcom24. Il guardasigilli descrive alcune forme di detenzione alternativa partendo alle Icam: “Consentono a detenute madri di vivere il carcere con i figli senza che questi debbano subire una crescita dietro le sbarre. È un istituto di grande umanità e saggezza. Consentono alle madri di stare con i loro bambini vedendoli crescere in un ambiente reso sereno da tante forme di attenzione. Se il modello si diffondesse maggiormente si potrebbero risolvere tanti problemi”. In merito alle case famiglia protette aggiunge: “Si tratta di istituiti senza sorveglianza dove si va perché ci sono problemi legati all’assenza di un domicilio nel quale stare. Sono sostitutivi della detenzione domiciliare per coloro che non hanno un domicilio o per chi non ha un domicilio sicuro. Ho visto queste case protette le ho viste anche all’estero, a Ramallah per esempio, una casa protetta costruita per dare accoglienza a donne che hanno subito violenza. Vedere la serenità di queste donne darebbe un grande stimolo a tutti noi per dedicarci anche a istituzioni di questo genere”. Tra le forme alternative elencate, c’è anche la messa alla prova: “È molto noto all’estero e consiste in un piano di recupero che il giudice fa e personalizza per ogni detenuto. Non tutti i detenuti possono essere soggetti a messa alla prova. Sta al giudice stabilirlo. Se si stabilisce che una persona possa essere facilmente recuperata, lo si sottopone alla prova. Se la prova viene superata il processo si estingue. È un mezzo per recuperare in maniera diretta una persona che abbia commesso un reato di entità medio-bassa, non pericolosa. È anche un modo per far interagire colui che ha commesso il reato con la società per essere meglio reintegrato” Infine Paola Severino parla anche del lavoro per i detenuti: “È importante, è la soluzione più radicale del problema, l’investimento più grande e importante per il recupero dei condannati. È il mezzo per abbattere la recidiva. Stiamo conducendo uno studio che dimostra che chi ha lavorato in carcere o in regime di semi-detenzione non ricade nel reato e questo è fondamentale. La prima persona che io incontrai in carcere, a Cagliari, mi scrisse una lettera bellissima che lessi alla presenza del Papa a Rebibbia. Mi raccontò la sua storia: dopo una rapina e il carcere, è uscito, si è sposato, aveva avuto una figlia, ma non trovando un lavoro è tornato a fare il rapinatore. Se quella persona avesse avuto un lavoro forse non l’avrei ritrovata in carcere 30 anni dopo”. Carceri luoghi di grande sofferenza “Il carcere è un luogo di grande sofferenza” “da qui è nata l’idea di studiare tutti i sistemi possibili prevedendo un piano straordinario per l’edilizia carceraria, provvedendo alla costruzione di nuovi posti sia con mezzi ordinari che straordinari. Dall’altra parte abbiamo poi cercato di costruire sistemi alternativi alla detenzione, come il provvedimento salva carceri per ridurre il fenomeno delle porte girevoli, e si è allungato il periodo di sconto-pena dai 18 ai 24 mesi per la conversione in detenzione domiciliare. Questi primi provvedimenti hanno già prodotto alcuni risultati confortanti sotto due profili: la diminuzione della popolazione carceraria ma con il mantenimento della sicurezza sociale”. È quanto spiegato dal ministro della Giustizia Paola Severino intervistata per Tgcom24 da Alessandro Banfi. Sul dramma dei suicidi in carcere il ministro ha aggiunto: “È un tema terribile. Se dobbiamo confrontare questo tema con quello dell’aumento dei mezzi con cui controllare la detenzione domiciliare, vale la pena il sacrificio di apprestarsi a mezzi di controllo alternativi: il controllo telefonico, l’obbligo di firma o di presenza. Un pò di fantasia. Se ci si impegna e si lavora, il tema del controllo domiciliare può essere affrontato e vale la pena farlo. Si risparmierebbero vite umane senza minare la sicurezza pubblica”. Ddl non è amnistia occulta Il ddl sulle misure alternative al carcere all’esame del Parlamento “non è un’amnistia occulta o strisciante perché l’amnistia prescinde da qualità e pericolosità del soggetto”. È quanto ribadisce il ministro della Giustizia Paola Severino intervistata da Alessandro Banfi per Tgcom24 e spiega: “L’amnistia è un provvedimento di carattere generale che riguarda tutti i reati e tutti coloro che hanno commesso un reato” mentre il provvedimento “prevede un’analisi del magistrato che di volta in volta vede caso per caso se il soggetto è meritevole di misure alternative. Questo permette di selezionare i soggetti che meritano tutelando gli altri cittadini. Perché otterranno queste misure alternative solo i meritevoli. Questo - conclude - è completamente diverso da un’amnistia che copre soggetti pericolosi e non, indifferentemente”. Giustizia: Severino; su diffamazione difficoltà a misurare diversi aspetti del problema Agi, 2 dicembre 2012 Sul caso Sallusti “ho visto una grande difficoltà del Parlamento nel misurare due aspetti del problema: da una parte il diritto-dovere del giornalista di informare anche su fatti che possono incidere sulla reputazione di una persona, dall’altra il diritto della vittima di ottenere il ristoro della propria immagine se la sua reputazione viene elsa con notizie false o in maniera aggressiva. La difficoltà del Parlamento è stata mettere insieme questi due diritti. Non è un compito semplice ma non è impossibile farlo”. Così il ministro della Giustizia Paola Severino intervistata da Alessandro Banfi per Tgcom24. Abbiamo proposta che non prevede carcere “Se si mettessero insieme le idee non carcere e rettifica più forte si otterrebbero risultati estremamente efficaci” sulla questione della diffamazione a mezzo stampa. Lo ha detto il ministro della Giustizia Paola Severino intervistata da Alessandro Banfi per Tgcom24. E ha spiegato: “Caterina Malavenda ha elaborato una proposta: eliminare la sanzione detentiva, che è un fuor d’opera, per questo tipo di reati. Soprattutto per una come me che considera il carcere extrema ratio. Dall’altra parte prevede un rafforzamento del sistema della rettifica. Se fatta nello stesso spazio, con gli stessi caratteri e senza commento ha effetto risolutivo. Da una parte rimette a posto i diritti della vittima dell’offesa e ristora l’immagine della vittima, dall’altra parte consente anche la non celebrazione del processo”. Secondo Severino “la deontologia professionale deve essere una guida che si aggiunge alla disciplina penale del fatto”. A fianco a queste misure previste dalla legge, per il ministro, “sono altrettanto indispensabili delle norme forti che consentano anche quando non c’è il penalmente rilevante di intervenire sul piano dei principi morali ai quali si deve ispirare l’attività di qualunque professionista”. Giustizia: Alessandro Sallusti agli arresti domiciliari e si impegna a non “evadere” ancora Corriere della Sera, 2 dicembre 2012 È stato convalidato l’arresto in flagranza del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti e il giornalista è stato posto agli arresti domiciliari. Sallusti si è impegnato a rispettare le prescrizioni parlando dell’evasione come di un gesto simbolico. Il processo per l’evasione di questa mattina è stato fissato per il 6 dicembre nell’aula 3 di Palazzo di Giustizia. Il direttore del quotidiano di casa Berlusconi sconterà gli arresti domiciliari nell’abitazione della sua compagna Daniela Santanché. Il direttore del “Giornale” che stamattina era stato portato una prima volta nella sua abitazione, era uscito quasi subito uscito da casa ed è stato visto e arrestato. Poi era stato portato in questura, per un’accusa ovviamente diversa, quella di evasione. “La mia prossima riunione la farò da evaso”. Così aveva scherzato Alessandro Sallusti, direttore del Giornale alle telecamere di Tgcom24 che hanno documentato in diretta il suo arresto. “Sarò ai domiciliari - ha continuato Sallusti - ma andrò a lavorare”. Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale” Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale” Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale” Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale” Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale” Sallusti, l’arresto nella sede de “Il Giornale”. Alessandro Sallusti poteva uscire ogni giorno dalle 10 alle 12. Era una delle prescrizioni disposte dal giudice di sorveglianza Guido Brambilla. Il giudice venerdì ha accolto la richiesta di arresti domiciliari fatta nei giorni scorsi dal procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati, in base alla legge “svuota-carceri”, dopo la condanna a 14 mesi per diffamazione. “Molto rammarico” per l’epilogo della vicenda Sallusti e l’augurio che “la vicenda porti a tutti consiglio: ora serve molta moderazione, buon senso, grande saggezza”. Il segretario generale della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, torna a criticare la normativa esistente in Italia “vecchia e superata” che “ha determinato la sentenza che conduce il direttore del Giornale in carcere, per sua scelta”. “Do atto al procuratore di Milano di aver assunto un’iniziativa di grande saggezza nell’applicazione della legge esistente - conclude Siddi - poi ciascuno fa le sue scelte, la nostra linea è che per questo tipo di reati non si finisca in carcere”. Calabria: nuova interrogazione di Rita Bernardini sulle carceri della Regione Notizie Radicali, 2 dicembre 2012 Nota di Maurizio Bolognetti, Direzione Radicali Italiani (in sciopero della fame dal 24 ottobre a sostegno dell’iniziativa nonviolenta di Rita Bernardini e Irene Testa per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia per porre subito fine all’illegalità in cui versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria), Carceri nuove “catacombe” dove un’intera comunità penitenziaria, una volta di più, manifesta - come è avvenuto il 19-22 novembre - una consapevolezza dello stato di assoluta illegalità in cui versa il nostro paese. Carcere putrido percolato della bancarotta della giustizia. Il carcere, le carceri, per dirla con Marco Pannella, “consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”. La più grande questione sociale che abbiamo in questo paese, la questione giustizia, che avrebbe bisogno di essere trattata in un dibattito che non c’è. La deputata radicale Rita Bernardini - mentre prosegue l’iniziativa nonviolenta avviata il 24 ottobre per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia per porre subito fine all’illegalità in cui versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria - torna ad occuparsi delle carceri calabresi e lo fa interrogando i Ministri della Giustizia e della Sanità sulle condizioni di detenzione e su tutta una serie di carenze e deficienze denunciate il 23 novembre dalla UGL Polizia Penitenziaria di Calabria. Che lo stato delle carceri calabresi, le condizioni di vita dei detenuti, fossero un autentico insulto alla Costituzione e alle Convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell’uomo è cosa di cui eravamo a conoscenza, ma il quadro dipinto dai sindacalisti, anche dopo aver visitato un carcere come quello di Castrovillari, è disarmante. Senza mezze misure, la Ugl sottolinea “lo stato emergenziale in cui versa l’intero sistema penitenziario nazionale e calabrese”, la fatiscenza e inadeguatezza delle strutture, l’inidoneità strutturale ed allocativa delle aree detentive rispetto ai dettami del DPR 230/2000, l’ insalubrità degli ambienti e infine, ma non ultimo, la “scarsa igiene e sicurezza che connotano le postazioni di lavoro della Polizia Penitenziaria”. Anche nel disastro italiano, numeri come quelli di Reggio Calabria dove si registra un sovraffollamento del 300% rispetto alla capienza regolamentare, lasciano a bocca aperta. Questo per non dire delle condizioni di lavoro degli agenti, che al pari dei detenuti vivono un quotidiano inferno. Carceri luogo di tortura senza torturatori, ma solo torturati. Torturati da uno “Stato canaglia” incapace di rispettare la sua propria legalità e le convenzioni a tutela dei diritti dell’uomo che pure abbiamo recepito e ratificato. Ciononostante è proprio dalle carceri, dall’intera comunità penitenziaria che è arrivato un segnale di forte partecipazione ai quattro giorni di sciopero della fame, battitura e silenzio per il diritto di voto dei detenuti e per l’amnistia, convocati da Marco Pannella e dal Partito Radicale. La forza della nonviolenza per dialogare con chi preferisce comportamenti omissivi, trincerandosi dietro un comodo “non ci sono le condizioni”. Le condizioni, rispondiamo noi, si creano, e nell’affermarlo non possiamo che ribadire con forza “la necessità di un provvedimento di amnistia e di indulto”, che nelle condizioni che da tempo denunciamo è l’unico in grado di fare uscire subito dall’illegalità la nostra giustizia e la sua appendice carceraria. Occorre, ma davvero, dire grazie a chi non cedendo alla disperazione ha voluto alimentare ed essere speranza. Occorre dire grazie a quegli oltre 43mila detenuti che in oltre 100 carceri italiane hanno imbracciato le armi della nonviolenza. Grazie ai direttori del Si.Di.Pe, alle associazioni, ai sindacati di Polizia, ai volontari, ai cappellani e a tutti coloro che percepiscono la banalità di un “male” che ci sta consumando e che si traduce i strage di popoli, di vite, come sempre avviene quando c’è strage di legalità. E un grazie particolare, consentitemelo, da lucano voglio rivolgerlo ai detenuti di Potenza, Melfi, Matera e dell’istituto minorile di Potenza, che in blocco hanno aderito all’iniziativa, e voglio farlo ricordando le parole di monsignor Agostino Superbo che in più occasioni ha affermato che “l’impegno per l’amnistia, la giustizia e la libertà va nella direzione di una possibile e necessaria riconciliazione”. Interrogazione al Ministro della Giustizia e al Ministro della Salute Per sapere, premesso che in un comunicato stampa diramato in data 23 novembre c.a. dalla Ugl Polizia Penitenziaria della Calabria e a firma del segretario regionale Andrea Di Mattia si riferisce di visite effettuate dallo stesso sindacato presso gli istituti penitenziari “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria e “Filippo Salsone” di Palmi in data 19 novembre c.a.; nello stesso comunicato si legge che “le visite effettuate hanno confermato lo stato emergenziale in cui versa l’intero sistema penitenziario nazionale e calabrese”; il segretario regionale della Ugl Polizia Penitenziaria della Calabria in relazione alle condizioni delle sopracitate carceri ha parlato di “abnorme affollamento”, riferendo che presso il carcere di Reggio sono presenti 433 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 149 e che presso il carcere di Palmi, a fronte di una capienza regolamentare di 140 detenuti, ne sono presenti 243; nel comunicato in oggetto si riferisce di detenuti “letteralmente stipati nelle sezioni detentive e con letti a castello su ben quattro livelli”, di carenza degli organici tanto del Comparto Sicurezza che del Comparto Ministeri, di fatiscenza e inadeguatezza delle strutture, di inidoneità strutturale ed allocativa delle aree detentive rispetto ai dettami del DPR 230/2000, di insalubrità degli ambienti e infine, ma non ultimo, della “scarsa igiene e sicurezza che connotano le postazioni di lavoro della Polizia Penitenziaria”; la Ugl Polizia Penitenziaria della Calabria, inoltre, sottolinea il “mancato rispetto della normativa contrattuale, con particolare riferimento alla “fruizione dei congedi ordinari e dei riposi settimanali da parte degli operatori di Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Palmi”, dove, a detta dei sindacalisti, alcuni agenti non hanno ancora potuto fruire del congedo relativo all’anno 2008 e di 15-20 riposi settimanali; la Ugl sottolinea “l’ineludibile e non più procrastinabile necessità” di rafforzare gli organici di Polizia Penitenziaria di Reggio Calabria e Palmi, pena la compromissione del regolare svolgimento di importanti processi di mafia che si stanno celebrando a Reggio Calabria:- se quanto rappresentato in premessa corrisponda al vero; quali siano i dati aggiornati del sovraffollamento nelle carceri calabresi, facendo riferimento alla capienza regolamentare di ciascun istituto; a quando risalgano le ultime visite effettuate dalle Asl sullo stato dei luoghi detentivi e di lavoro degli istituti penitenziari calabresi e cosa vi sia scritto nelle relazioni semestrali in merito alle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza; se intenda affrontare urgentemente e in che modo l’illegalità delle condizioni di detenzione negli istituti di Reggio Calabria e Palmi; se intenda affrontare urgentemente e in che modo le carenze di organico della polizia penitenziaria e il mancato rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori come la mancata fruizione dei riposi settimanali; se ai ministri siano giunte segnalazioni -e di che tipo- da parte dei Direttori degli istituti penitenziari calabresi in merito alle irregolari condizioni di detenzione e di condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria; se segnalazioni analoghe siano arrivate ai ministri da parte della magistratura di sorveglianza; se risulta al Ministro della Giustizia che i magistrati di sorveglianza calabresi visitino con frequenza (secondo quanto stabilito dal 1° comma dell’art. 75 del D.P.R . n. 230 del 30 giugno 2000) “i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali”. Piacenza: detenuto 22enne trovato morto in cella, il carcere smentisce che sia un suicidio Il Piacenza, 2 dicembre 2012 Il giovane non aveva mai dato segni di squilibrio o depressivi e sarebbe tornato in libertà entro pochi giorni. Probabilmente vittima di un’abitudine, quella di inalare gas, diffusa tra i tossicodipendenti. “Non è stato un suicidio”. La direttrice del carcere delle Novate, Caterina Zurlo, smentisce che il giovane di 22 anni trovato morto nella sua cella ieri mattina, si sia voluto togliere la vita intenzionalmente. È invece probabile che sia morto per una sorta di incidente: infatti avrebbe inalato il gas del fornelletto da campeggio perché è un’abitudine in uso tra i tossicodipendenti in astinenza. Ma purtroppo questa volta si è rivelata fatale. Ora la Procura della Repubblica di Piacenza ha disposto l’autopsia sulla salma del giovane, che è morto asfissiato dal gas contenuto nella bomboletta di un fornelletto da campeggio che aveva in cella. Dal carcere fanno sapere innanzitutto che il ragazzo non aveva mai dato segni di squilibrio o depressivi che potessero far presagire una sua volontà suicida. Soprattutto viene sottolineato che entro pochi giorni sarebbe uscito dal penitenziario piacentino, tornando il libertà in anticipo sulla fine della sua detenzione che era comunque prevista per gennaio. “Appariva sereno e tranquillo - afferma la direttrice del carcere - Il fine pena assai breve - gennaio 2013 - non propende certo per l’ipotesi del gesto estremo. È invece possibile che il soggetto abbia inalato gas per fornelli in uso agli occupanti la sua stessa stanza, che all’ora di pranzo stava preparandosi da mangiare. Tale gesto, di per sé pericoloso per le possibili conseguenze nefaste, non è purtroppo infrequente nei soggetti tossicodipendenti che in tale pratica trovano benessere. La suddetta tecnica peraltro assai raramente è adottata per togliersi la vita ipotesi. Tra l’altro che come detto prima appare remota per la tranquillità del detenuto ed il suo fine pena vicinissimo”. Teramo: detenuto di 67 anni, ai domiciliari per droga, si uccide lanciandosi dal 4° piano Il Centro, 2 dicembre 2012 Si è lasciato cadere da una finestra della sua abitazione in cui era ristretto agli arresti domiciliari, al quarto piano di uno stabile a Roseto degli Abruzzi, nella frazione di Campo a Mare. G.D.A., rosetano di 67 anni. La tragedia è avvenuta questa mattina poco prima delle 8. La vittima era sola in casa e ad accorgersi di quanto era accaduto sono stati alcuni vicini che lo hanno visto precipitare al suolo. Inutile l’arrivo dei soccorsi, perché l’uomo è morto sul colpo. Sul posto sono intervenuti, oltre al personale del 118, anche gli agenti di polizia e i carabinieri della stazione di Roseto. Impossibile al momento stabilire i motivi che hanno spinto l’uomo all’insano gesto: era rinchiuso ai domiciliari per reati legati agli stupefacenti. Sciacca (Ag): sfumata l’ipotesi di costruire un nuovo carcere, si ristrutturerà il vecchio Agrigento, 2 dicembre 2012 Una buona notizia per la città termale, ma con l’altra faccia della medaglia negativa. Il carcere attuale, in pieno centro storico e ricavato da un edificio monumentale, ex convento dei carmelitani, sarà interessato presto da lavori di manutenzione. Ciò significa che si dà l’addio alla possibilità della realizzazione di una nuova struttura penitenziaria in periferia. Progetto la cui sorte è stata più volte altalenante. Dapprima era tra le opere da finanziare. Poi il progetto scese di graduatoria uscendo da tale possibilità. Poi risalì fino al secondo posto della specifica classifica. Successivamente l’addio al sogno. Nulla si fa non ci sono soldi per intervenire con una nuova struttura. Arriva, però, un finanziamento di 220 mila euro per interventi manutentivi nel monumentale carcere. La segreteria regionale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria esprime soddisfazione per il “risultato finalmente raggiunto relativamente al mantenimento della casa circondariale di Sciacca”. La nota, a firma del vice segretario regionale Rosario Di Prima, evidenzia come “oramai è imminente l’opera di ristrutturazione dell’istituto. Sono stati finalmente assegnati i fondi necessari a rendere l’istituto dignitoso per poterlo mantenere attivo. Sono già state avviate le procedure di appalto dei lavori che prevedono la spesa di 220.000,00 euro per lavori che dovranno iniziare immediatamente e concludersi entro aprile 2014”. Tutto ciò dà “serenità al personale di polizia penitenziaria che viveva con ansia l’incertezza per la casa circondariale. Dopo anni di false aspettative - continua Di Prima - sulla costruzione del nuovo istituto, sull’incertezza della permanenza della polizia penitenziaria nella città saccense, oggi l’Osapp può dirsi veramente soddisfatta e certa di avere fatto cosa gradita al personale di polizia penitenziaria che vi presta servizio e a tanti altri che aspirano di lavorarci”. “Avere il presidio della polizia penitenziaria in una città come Sciacca - conclude Di Prima, per la sua storia, è un vanto per il corpo e per tutta l’amministrazione penitenziaria. Mantenere la struttura attuale, ristrutturarla e potenziarla è sempre stato l’obiettivo di questa segreteria regionale e per fortuna oggi possiamo essere certi che volontà dei più si è realizzata”. Le cattive condizioni in cui versa il penitenziario sono state oggetto, con cadenza costante, di malumori e note da parte dei sindacati della polizia penitenziaria. Impianti non a norma di legge, mancanza di acqua. Firenze: accordo tra Università e Volontariato per dare sostegno agli studenti detenuti Adnkronos, 2 dicembre 2012 È stata firmata dal rettore dell’Università di Firenze Alberto Tesi una convenzione con l’Associazione Volontariato Penitenziario (Avp), presieduta da Carla Cappelli, per le attività di sostegno agli studenti detenuti. L’accordo consolida la collaborazione stretta con l’Associazione fin dall’avvio dell’esperienza di Università in carcere, promossa nel 2000 dall’ateneo fiorentino, insieme all’amministrazione penitenziaria e alla Regione Toscana, presso il carcere della Dogaia di Prato. L’iniziativa ha successivamente avuto l’adesione degli atenei di Pisa e Siena e ha dato vita nel 2010 al “Polo Universitario Penitenziario della Toscana” costituito ufficialmente per coordinare le attività svolte nelle casi circondariali toscane. Oggi il polo universitario penitenziario fiorentino riunisce 81 detenuti (25 stranieri) iscritti a corsi dell’Università di Firenze. I detenuti sono seguiti da docenti, tutor e volontari. Le attività didattiche e i piani di sostegno formativo sono coordinati dal delegato del rettore Ignazio Becchi. L’accordo con l’Avp formalizza, in particolare, la collaborazione al tutoraggio e alla formazione dei tutor impegnati nel supporto agli studenti in esecuzione penale, ma anche la partecipazione a quanto necessario per integrare lo studio universitario nel quadro dei percorsi formativi e riabilitativi dei detenuti. “Con questa convenzione - ha sottolineato Ignazio Becchi - diamo finalmente una veste istituzionale ad una collaborazione che, nei fatti e con altre forme, risale alla stessa istituzione del Polo penitenziario. Insieme abbiamo ottenuto risultati davvero incoraggianti: da un lato abbiamo garantito ai nostri studenti detenuti il diritto allo studio e opportunità di formazione, utili anche nella prospettiva del reinserimento sociale; dall’altro lato abbiamo consentito a docenti, studenti volontari, operatori del servizio civile e tutor, di vivere un’esperienza didattica di particolare intensità. In virtù dell’accordo potremo in futuro sperimentare nuove e, ci auguriamo, ancora più efficaci forme di intervento”. Treviso: “Diamoci dentro”, Progetto Ipsia per il reinserimento dei giovani detenuti www.ipsia-acli.it, 2 dicembre 2012 Coinvolgere in modo socialmente utile i detenuti del carcere e dell’istituto minorile, sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche del mondo carcerario e sostenere percorsi formativi, occupazionali e di socializzazione per chi esce, una volta scontata la pena. Ed ancora: creare una unità abitativa per persone in uscita dal circuito detentivo. Sono questi gli obiettivi del progetto “Diamoci dentro” che ha ottenuto, attraverso un bando provinciale, ben 90 mila euro di finanziamento. Dieci le associazioni coinvolte: oltre a Possibili alternative, capofila dell’iniziativa, ci sono anche B-Net, Ipsia Treviso, La prima pietra, il Circolo, Legambiente piavenire, Legambiente di Treviso, l’associazione culturale islamica di Treviso, l’associazione Per ricominciare e l’associazione Tonino Bello. Questo pool di realtà impegnate nel sociale ha formato un piccolo esercito di oltre 50 volontari che terminerà nel marzo 2014. Oltre alle associazioni sono coinvolte nell’operazione “Diamoci dentro” anche la cooperativa Alternativa, già attiva all’interno del carcere, la comunità Murialdo, la Caritas Tarvisina, il Centro per l’impiego della Provincia, l’Ulss 9, la casa circondariale di Treviso e la Camera di Commercio. Nel progetto potrebbero essere coinvolti almeno 120 detenuti, quasi tutti con meno di 29 anni. Reggio Calabria: iniziativa Csv “Due Mari”, il giudice Morosini incontra detenuti carcere Ristretti Orizzonti, 2 dicembre 2012 “Il coraggio di cambiare”. È questo il tema scelto dal Centro Servizi al Volontariato Dei Due Mari, dal Tribunale di Sorveglianza e dalla Direzione del carcere per il terzo e conclusivo incontro di un percorso significativo che ha visto in questo mese confrontarsi detenuti, magistrati e familiari di vittime della mafia sui temi del reato, della pena e della giustizia riparativa. A dialogare con i detenuti saranno il Magistrato della Procura di Palermo Piergiorgio Morosini e Daniela Tortorella Presidente Reggente del Tribunale di Sorveglianza di Reggio Calabria. Molto atteso l’intervento di Piergiorgio Morosini, titolare di numerosi processi a Cosa Nostra, estensore di sentenze relative ai capi storici della mafia (Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Brusca Giovanni, Bagarella Leoluca). Si è occupato di infiltrazioni mafiose nella sanità, negli appalti di opere pubbliche, nella politica e nella giustizia. In atto Giudice del processo di Palermo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Piergiorgio Morosini, segretario di Magistratura Democratica è un magistrato coraggioso e controcorrente che ha affermato che lotta alla mafia e rispetto dei diritti dei detenuti devono camminare insieme arrivando ad affermare in termini provocatori “Noi magistrati, se non si pongono rimedi a questa situazione nelle carceri di oggi, dobbiamo iniziare a pensare anche a forme istituzionali di obiezione di coscienza”. E ancora: “Senza interventi da parte della politica, alla coscienza del giudice penale non resta che una sola strada: quella di astenersi dal mandare in carcere le persone”. Parole importanti, che danno la misura del degrado presente oggi nelle carceri italiane e di qui anche la Magistratura è cosciente e si sta facendo carico. Il confronto con i detenuti affronterà le questioni legate alla urgente necessità di riforma del codice penale e del sistema penitenziario, ma anche il tema degli indispensabili processi di revisione critica del proprio vissuto che i soggetti condannati dovranno operare se vorranno rientrare nella legalità e costruire un futuro diverso per sé e per la propria famiglia. Roma: “La pena fra sanzione e recupero”, martedì un convegno promosso dall’Anm Adnkronos, 2 dicembre 2012 Martedì si terrà a Roma alla Casa del Cinema il convegno organizzato dall’Associazione nazionale magistrati “Oltre le sbarre - La pena fra sanzione e recupero”. Alle 15.30 interverranno il presidente Associazione Nazionale Magistrati Rodolfo Sabelli e Nicola Mazzamuto, segretario CoNaMs. Seguirà l’indirizzo di saluto di Giovanni Tamburino, capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. Alle 16.00 tavola rotonda moderata da Donatella Stasio, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, alla quale parteciperanno Filippo Berselli, presidente Commissione giustizia Senato; Marcello Bortolato, presidente Commissione esecuzione penale e carcere Anm; Carmelo Cantone, provveditore regionale Dap Toscana; Alessandro De Federicis, responsabile Osservatorio carceri Unione Camere Penali; Giovanna Di Rosa, componente Commissione mista magistratura sorveglianza Csm; Donatella Ferranti, deputato capogruppo Pd Commissione giustizia Camera Deputati; Mario Marazziti, portavoce Comunità S. Egidio. Alle 17.30 interverrà il ministro della Giustizia Paola Severino. Alle 18.00 si parlerà di “Attività artistica e funzione di recupero: l’esperienza della realizzazione del film Cesare deve morire”. Seguirà la proiezione del film di Paolo e Vittorio Taviani. Libri: “Condannati preventivi”, di Annalisa Chirico Il Giornale, 2 dicembre 2012 In cella senza perché: gli errori dei giudici costano 46 milioni l’anno. Boom di risarcimenti per ingiusta detenzione: un giorno di prigione “vale” solo 230 euro. Duecentotrenta euro vale un giorno di carcere da innocente, la metà se per sbaglio ti hanno dato i domiciliari. Una cifra modesta per un danno incalcolabile. Messi però insieme, tutti i risarcimenti per gli errori che ogni anno i tribunali commettono, la somma diventa enorme: 46 milioni di euro. Tanto ha speso lo Stato italiano nel 2011 per gli errori giudiziari, 213 milioni tra il 2004 e il 2007. In media ogni anno 2.369 procedimenti per ingiusta detenzione, il record di assoluzioni e risarcimenti è a Napoli, poi viene Bari (382 procedimenti per ingiusta detenzione), Catanzaro 246. Seguono Lecce (194), Reggio Calabria (179), Messina (144), Roma (135), Palermo (69). Su 144mila cause pendenti dinanzi alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, 14mila (circa il 10%) vengono dall’Italia, messa peggio di Romania (8,3), Ucraina (7,1), Serbia (5,9), Polonia (3,2). Solo Russia e Turchia hanno più casi di malagiustizia, rispettivamente con 35.350 (24,4%) e 17.150 (11,9%) ricorsi. Si calcola addirittura che in 60 anni di storia italiana gli innocenti perseguitati dalla giustizia siano stati oltre 4 milioni e mezzo. I numeri sarebbero ancora più alti se la legge non stabilisse al massimo 24 mesi di tempo per fare ricorso contro il carcere da innocenti. Passato quel lasso, non si può più. Lo Stato ha sempre tempo, il vessato deve muoversi. Dietro i numeri ci sono storie atroci di persone finite dentro per errore. Come quella di Angelo Cirri, arrestato il 9 aprile 2004 come autore di 13 rapine. Il teste principale disse che il rapinatore aveva l’accento campano e che fumava una sigaretta. Cirri è romano, ma secondo i giudici avrebbe simulato l’accento. E la sigaretta? Il dna sul mozzicone non tornava, eppure Cirri è stato dentro 3 anni e mezzo (13 anni di condanna), finché non è stato arrestato un altro, il cui dna corrispondeva a quello del mozzicone. Pochi giorni fa viene liberato Maurizio Ribotti, manager milanese. Aveva ricevuto dal Perù un pacco da un mittente sconosciuto, con dentro 366 grammi di cocaina. Finito in carcere, ci resta un anno e mezzo, fino al processo che in due sole udienze lo assolve: non ha mai commesso il fatto. Ventimila euro per 71 giorni in carcere e 30 di arresti domiciliari. Questo il risarcimento stabilito due mesi fa per Donato Privitelli, allevatore di suini a Enna, arrestato perché al telefono parla di “maialini” con un macellaio. Gli inquirenti erano convinti che si trattasse di partite di droga, poi ascoltano meglio le intercettazioni telefoniche e si rendo-no conto che i “maialini” erano suini. Adriana, una badante romena, si fa 3 anni di carcere preventivo con l’accusa di omicidio, prima che si scopra che la perizia del pm contiene macroscopici errori e che l’anziana signora non è stata uccisa, ma è morta di infarto. Uno dei casi raccontati in Condannati preventivi da Annalisa Chirico (ed. Rubettino, prefazione di Vittorio Feltri, pag. 160) da pochi giorni in libreria. Sempre quest’anno un cittadino albanese, arrestato con l’accusa di sfruttamento della prostituzione. Resta in carcere per due giorni, prima che si scopra che il nome della persona da arrestare finiva con la “m”, non con la “n”. Ora chiederà i danni per ingiusta detenzione. Walter Di Clemente, ristoratore abruzzese, viene arrestato nel 1994 per spaccio di droga e condannato in primo grado a 8 mesi. L’unica prova è un’intercettazione telefonica. Che però è sbagliata: le sue parole sono state travisate. Lo scriverà la stessa Corte d’appello dell’Aquila nella motivazione della sentenza con cui -18 anni dopo - l’uomo viene risarcito per l’ingiusta detenzione subita. Si è fatto sette me-si di carcere per non aver commesso il fatto Francesco Di Nicola, camionista, accusato di traffico internazionale di droga. Gli inquirenti sono convinti che il Francesco detto “Broccolone” sia lui. Errore, risarcito con 50 mila euro. Si aggiunge agli altri che fanno 46milioni l’anno. Una terrificante finanziaria. Saluzzo (Cn): Premio letterario Casalini; “Se Mario Monti finisce in carcere ingiustamente” www.targatocn.it, 2 dicembre 2012 È il titolo dell’originale apologo che ha vinto l’11° “Premio letterario Casalini”, riservato ai detenuti nelle carceri italiane che verrà consegnato mercoledì 5 dicembre nella casa circondariale di Saluzzo. Arriva all’undicesima edizione il “Premio letterario Emanuele Casalini”, riservato ai detenuti nelle carceri italiane e intitolato al ricordo di una esemplare figura di educatore. La cerimonia di premiazione, ogni anno itinerante, è fissata per le 14.30 di mercoledì 5 dicembre, presso la casa circondariale “Rodolfo Morandi” di Saluzzo. Il Premio Casalini è promosso dall’Università delle Tre Età - Unitre di Porto Azzurro e di Volterra, dal Salone Internazionale del Libro di Torino e dai Presìdi del Libro Piemonte. Nasce nel 2002 in occasione del cinquantenario della prima rivista carceraria italiana, “La Grande Promessa”, per ricordare Emanuele Casalini che ne era stato assiduo collaboratore oltre che fondatore, presidente e docente dell’UniTre di Porto Azzurro, benemerita associazione che svolge da anni attività di volontariato nel carcere elbano. La collaborazione fra il Premio Casalini e il Salone Internazionale del Libro di Torino si incardina in particolare nell’impegno sociale del Salone per la promozione della lettura, che trova la sua espressione più compiuta nel progetto “Voltapagina”: grazie ad esso ogni anno, nei giorni del Salone, gli autori si spostano dal Lingotto alle carceri di Asti e di Saluzzo (che si segnala per le sue vivaci attività culturali e teatrali e dove, appunto, si svolge la cerimonia di premiazione 2012), per incontrare i detenuti in un ciclo di presentazioni e dibattiti preceduto da un vero e proprio percorso di preparazione. “Sono felice che almeno la mia anima in qualche modo possa uscire di qui”, ha scritto Marco Corradini, uno delle centinaia di concorrenti dell’edizione 2012. Racconti. Storie di vita. Poesie. Sogni e apologhi. Opere di italiani, ma anche dei tanti stranieri immigrati da tutto il mondo che trovano nell’esercizio letterario della lingua italiana un’ulteriore occasione per misurarsi concretamente con i temi dell’integrazione e del riscatto. Le opere premiate e quelle segnalate vengono raccolte ogni anno nel volume “L’altra libertà”: un ponte fra la solitudine della reclusione e il mondo esterno, ma anche una sorta di laboratorio collettivo in cui la scrittura diventa un strumento di conoscenza, autoanalisi e crescita personale. La giuria, presieduta dal direttore editoriale del Salone Internazionale del Libro Ernesto Ferrero, ha attribuito il primo premio della sezione narrativa 2012 a Francesco Antonio Garaffoni di Milano, autore di un garbato apologo che vede entrare in carcere, con l’accusa di omicidio, nientemeno che il professor Mario Monti, qui chiamato a prestare i suoi modi distinti a un personaggio di alto profilo istituzionale. Il tema è quello dell’innocente incarcerato ingiustamente, con esplicito riferimento al caso Tortora; ma è anche un pretesto per tracciare un quadro di vita carceraria di coinvolgente umanità. Da segnalare anche i testi ingegnosi di Gavino Chessa, capace di scrivere tre pezzi, ognuno composto soltanto di parole che cominciano con la stessa lettera. Ma non mancano resoconti di dure esperienze esistenziali, racconti famigliari e picareschi, resoconti di viaggio, o racconti di mafia che si interrogano sul sottile confine che separa i buoni dai cattivi. La sezione poesia ha visto vincitore Vittorio Mantovani con un originale poemetto ciclistico, in cui le fatiche della Parigi-Roubaix assurgono a dignità epica e diventano l’emblema della fatica del vivere. Al secondo posto un pluripremiato del Casalini, Aral Gabriele: “Non è l’ignoto che spaventa / né gorghi né flutti perigliosi, / ma un giorno conosciuto / che corre all’infinito”. Nella sezione dedicata ai minori si possono leggere testimonianze drammatiche di viaggi della speranza sulle carrette del mare, o di ragazzi posti davanti a responsabilità troppo più grandi di loro; ma anche libere reinterpretazioni di grandi testi poetici, da Bertolt Brecht a Wislawa Szymborska. Alla cerimonia di premiazione interverranno fra gli altri Michele Coppola, Assessore alla Cultura della Regione Piemonte, e Rolando Picchioni, presidente del Salone Internazionale del Libro di Torino. Gli intermezzi musicali saranno eseguiti dagli allievi della Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo. Chi desidera partecipare deve obbligatoriamente comunicare il proprio nominativo e dati anagrafici a davide.sannazzaro(at)giustizia.it entro il 4 dicembre. Stati Uniti: caso Wikileaks; Bradley Manning aveva fatto corda in cella per impiccarsi Ansa, 2 dicembre 2012 Il soldato americano accusato della più grande fuga di segreti nella storia degli Stati Uniti, Bradley Manning, quella legata ai dossier Wikileaks, aveva realizzato una corda con un lenzuolo per impiccarsi nei primi giorni della sua prigionia in Kuwait: lo ha ammesso lo stesso soldato durante un’udienza preliminare sulla sua richiesta di archiviare il caso. Manning è stato interrogato oggi dal procuratore Ashden Fein: “Sì, signore”, ha risposto quando gli è stato mostrato un lenzuolo attorcigliato e annodato, riconoscendo che si trattava di una corda per impiccarsi. Dopo questo episodio, il lenzuolo è stato rimosso dalla sua cella e dopo il suo trasferimento nel carcere militare della base dei Marine di Quantico (in Virginia) il soldato è stato chiuso in isolamento e posto sotto “massima sorveglianza anti-suicidio”. Tuttavia, Manninig non avrebbe mai tentato di togliersi la vita: “A volte” ha pensato al suicidio quando era detenuto in Kuwait, ha detto, ma “ho subito abbandonato” l’idea. Serbia: vicepremier Ljajic; chiederemo a Tpi che nostri detenuti scontino pena nel paese Nova, 2 dicembre 2012 Le autorità di Belgrado chiederanno che i loro cittadini condannati dal Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi) scontino la pena in Serbia. quanto dichiarato dal vicepremier serbo, ministro del Commercio e presidente del Consiglio nazionale per la cooperazione con il Tpi, Rasim Ljajic, secondo cui il “Consiglio di sicurezza dell’Onu dovr prendere una decisione formale, ma anche il Tpi dovr offrire il proprio parere”. “Questo problema stato un argomento costante in tutti i nostri colloqui con i rappresentanti del Tpi negli ultimi anni”, ha detto Ljajic al quotidiano serbo “Vecernje Novosti”. “Il segretario generale dell’Onu nel 1993 aveva raccomandato che i condannati dal Tpi non dovrebbero scontare la pena nei paesi dell’ex Jugoslavia perché la guerra era in corso. E questa raccomandazione era ancora logica nel periodo postbellico, perché le conseguenze della guerra erano ancora visibili”, ha proseguito Ljajic. “Tuttavia, il Consiglio nazionale per la cooperazione con il Tpi ha scritto più volte al segretario generale Ban Ki-moon per chiedere che la Serbia venga inserita in una lista di 17 paesi che hanno firmato un accordo con l’Aja sulla notifica delle sentenze”, ha aggiunto Ljajic. Sino a poco tempo fa la risposta stata “prima arrestate i latitanti Ratko Mladic e Radovan Karadzic”. Ma quanto abbiamo sollevato la questione dopo il loro arresto, la nuova risposta stata: “i detenuti in Serbia sarebbero trattati come eroi e sconterebbero la pena in condizioni privilegiate”, ha concluso Ljajic. Le polemiche tra le autori serbe e il Tpi si sono nuovamente acuite dopo l’assoluzione, avvenute in settimana, dell’ex premier kosovaro, Ramush Haradinaj. Iran: rimosso capo della polizia informatica, per morte blogger in carcere il 3 novembre Tm News, 2 dicembre 2012 Il capo della polizia informatica di Teheran è stato rimosso dall’incarico a seguito della morte, avvenuta il 3 novembre scorso in prigione, del blogger Sattar Beheshti. Stando a quanto si legge sul sito internet della polizia, “il generale Esmail Ahmadi Moghadam, capo della polizia iraniana, ha licenziato il colonnello Said Shokrian, capo della polizia informatica di Teheran, per negligenza, debolezza e scarso controllo sul suo personale”. Arrestato il 30 ottobre per aver criticato il governo sul web, Sattar Behechti, 35 anni, è stato ritrovato morto nella sua cella, nel carcere di Kahrizak, nei pressi di Teheran, il 3 novembre. Lunedì scorso, Mehdi Davatgari, membro della commissione di inchiesta creata dal Parlamento per indagare sulla vicenda, aveva messo sotto accusa il corpo di polizia che si occupa di crimini informatici, chiedendo il licenziamento del suo comandante. La settimana scorsa, gli inquirenti di Teheran avevano fatto sapere che la morte di Beheshti è stata “probabilmente causata da shock causato da un colpo o percosse su parti sensibili del corpo o da forti pressioni psicologiche”. Secondo Amnesty International, il blogger potrebbe essere morto per le torture subite dopo aver denunciato i soprusi di cui era stato vittima. Bolivia: ProgettoMondo Mlal; firmato l’accordo per i detenuti di Qalauma progettomondomlal.blogspot.it, 2 dicembre 2012 Un accordo operativo tra Regime Penitenziario, ProgettoMondo Mlal e Diocesi di El Alto. Firmato il 20 ottobre scorso nell’ufficio della Cooperazione Italiana (Utl) a La Paz, il nuovo protocollo prevede che, con un graduale trasferimento delle competenze, il Regime Penitenziario boliviano assuma la gestione dei servizi socio-educativo della sezione maschile del centro Qalauma, e si faccia carico della parte del Centro destinata invece alle giovani donne. La cerimonia ufficiale è iniziata con un breve discorso di benvenuto di Felice Longobardi, direttore dell’Ufficio Tecnico Regionale della Cooperazione Italiana, seguito poi dalle parole del direttore Nazionale del Regime Penitenziario, Ramiro Llanos. “Il problema delle carceri boliviane è che si preferisce ancora utilizzare la forza” ha detto. “Bisognerebbe prima di tutto cercare di creare un cambiamento nella mentalità comune”. Infine sono intervenuti Riccardo Giavarini, in rappresentanza della Diocesi di El Alto e Aurelio Danna, referente di ProgettoMondo Mlal in Bolivia. L’accordo, il cui antecedente tecnico e politico è la Convenzione Internazionale firmata nel febbraio 2011 tra Regime Penitenziario, ProgettoMondo Mlal e Diocesi di El Alto, stabilisce la ripartizione di compiti e funzioni tra le differenti istituzioni firmatarie per ciò che riguarda le attività programmate per il 2013. Vale la pena sottolineare che in seguito alla presentazione di un nuovo progetto di 1.500.000 € da parte di ProgettoMondo Mlal, la Cooperazione Italiana potrebbe impegnarsi a stanziare quasi 750.000 €, appoggiando così il Centro in termini di infrastrutture, risorse umane, attività di formazione professionale e attività nel programma di formazione nazionale per gli operatori penitenziari e gli operatori di giustizia. Si tratterebbe di un sostegno importante, per un progetto che punta alla riduzione del tasso di violenze dei diritti dell’infanzia in Bolivia, mettendo l’accento sull’emarginazione e sull’esclusione degli adolescenti e giovani privati di libertà e allo stesso tempo nell’affermazione del Codice dei bimbi e degli adolescenti e della Convenzione Internazionale dei Diritti del Bambino. Rosilde Brizio Casco Bianco ProgettoMondo Mlal Bolivia