Giustizia: i Radicali e il Vaticano uniti nella battaglia per l’amnistia Notizie Radicali, 28 dicembre 2012 L’evento - che tale è - sembra essere sfuggito a tutti. Forse per calcolo, ma probabilmente no, ed è pure peggio. Fosse per calcolo, ci sarebbe “almeno” un ragionamento, ignobile certo; ma un ragionamento. Si ha piuttosto ragione di credere che sia il frutto di un riflesso ormai “naturale”, pavloviano. Segno del tumore che ormai ha raggiunto uno stadio difficilmente sanabile. L’evento è stato reso noto domenica scorsa. Nella sua ormai tradizionale conversazione domenicale a “Radio Radicale” Marco Pannella, che ha avuto come ospiti due esponenti del variegato mondo cattolico (Luigi Amicone, direttore di “Tempi”, settimanale che fa riferimento a Comunione e Liberazione; e Andrea Olivero, fino a ieri presidente delle Acli, candidato al Parlamento per i “centristi”), ha sillabato: “Chiedo ufficialmente alla diplomazia vaticana di aiutarci a far maturare il diritto umano alla verità, alla conoscenza degli atti di Cesare…”. Un giornalista attento, un giornale preoccupato di fornire notizie ai suoi lettori (ma ne esistono più?), avrebbe già da questa affermazione “materiale” per suoi servizi. Della serie: il laico e anticlericale Pannella chiede ufficialmente alla Chiesa Cattolica un impegno diretto per raggiungere l’obiettivo dell’amnistia, e attraverso questa, la più generale e sostanziale riforma della giustizia. Magari avrebbe potuto provare anche a chiederne ragione a Pannella. E probabilmente come risposta ne avrebbe avuto: “Proprio perché sono laico e anticlericale”. Poi il giornalista attento, e il giornale preoccupato di fornire notizie ai suoi lettori facilmente avrebbe potuto raccogliere altri “elementi” e “materiali” di un qualche significato. Per esempio, l’appello del vescovo di Milano Angelo Scola, che notoriamente guarda da sempre con simpatia al mondo di don Luigi Giussani e di Luigi Amicone (molto meno, come è altrettanto noto, al mondo di Roberto Formigoni). Da registrare poi le ripetute e rinnovate prese di posizione di monsignor Agostino Superbo, vice-presidente della Conferenza Episcopale Italiana: chiede esplicitamente l’amnistia e nella stessa ottica di Pannella; c’è poi il segretario generale della Cei monsignor Mariano Crociata, secondo il quale l’amnistia può essere uno strumento di riscatto dei detenuti: “L’obiettivo deve essere in primo luogo il miglioramento della condizione di vita nelle carceri, in cui i detenuti devono avere la dignità di persone umane”. Che il problema del sovraffollamento delle carceri italiane vada risolto con decisioni condivise e intelligenti, è il pensiero da sempre di monsignor Giancarlo Brigantini, arcivescovo metropolita di Campobasso: “Un problema che riguarda non solo i detenuti, ma il tessuto umano, politico e sociale di tutto il paese. Ecco perché l’amnistia come strategia d’intervento a questo problema è necessaria”; e sulla stessa linea l’ispettore generale dei cappellani delle carceri don Virgilio Balducchi. Lo stesso papa Benedetto XVI, all’Angelus la vigilia di Natale, affacciandosi su Piazza San Pietro, ha esplicitamente invitato ad accogliere “quanti vivono un disagio, in particolare gli ammalati, i carcerati, gli anziani e i bambini”. È la prima volta che Benedetto XVI, affacciandosi da quella finestra, parla dei detenuti e della loro condizione. Una eco la si coglie sul quotidiano dei vescovi italiani “l’Avvenire”, che ai radicali non perdona nulla: “Al nuovo Governo chiediamo l’amnistia”, titola, riferendo della decisa presa di posizione assunta dal portavoce della Comunità di Sant’Egidio Mario Marazziti. È noto che la Comunità di Sant’Egidio, e in particolare il suo leader Andrea Riccardi, è molto vicino all’attuale pontefice. Da seguire, e con attenzione, questa singolare convergenza che si sta realizzando, tra non più mondo cattolico “di base”, ma gerarchie, e radicali. Né gli uni né gli altri rinunciano di un solo millimetro, alle loro posizioni di partenza, mantengono fermi i loro valori e principi; e però è innegabile questo progressivo avvicinamento su un tema, quello delle carceri e della giustizia, che vede invece sostanzialmente assenti e indifferenti partiti e movimenti laici. Nel frattempo, come si chiude il 2012? Le cifre non sono opinioni, sono fatti non discutibili: 20mila detenuti oltre i posti disponibili; carceri in pessime condizioni strutturali; niente denaro per il lavoro penitenziario; tre euro al giorno per il vitto a detenuto; condizioni igienico-sanitarie da paese dell’ultimo mondo; 60 suicidi e un migliaio di tentati suicidi l’anno; una sessantina di bambini in cella con le loro mamme; 1.500 ergastolani e 1.100 internati negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ci sono poi le migliaia di procedimenti e di cause che paralizzano la giustizia civile; ogni anno dai 180mila ai 200mila processi - e tanti, per gravissimi reati - cadono in prescrizione; settimana dopo settimana l’Italia viene condannata dalle Corti Europee di giustizia e per i diritti dell’uomo. Giustizia: amnistia e libertà… se è lo Stato ad essere criminale di Francesco Salvemini www.statoquotidiano.it, 28 dicembre 2012 Il sovraffollamento carcerario è un fenomeno che corrode i sistemi penitenziari di tutta Europa ed è spesso particolarmente grave negli istituti che ospitano solitamente persone in attesa di giudizio. Il problema in Italia raggiunge livelli di drammaticità e sistematicità intollerabili ed inconciliabili con un sistema giuridico moderno ed uno Stato democratico; per chi ha occhi per vedere ed orecchie per intendere nessuna prova è più necessaria, perché siamo in presenza di evidenze; un dato centrale da prendere in considerazione è che al 31 ottobre del 2012, con una capienza regolamentare di circa 45.000 posti, la presenza è stata di 66.685 detenuti. L’Italia resta il paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione Europea con un livello di affollamento pari al 142,5%, 142 detenuti ogni 100 posti; la media europea è del 99,6%. Non serve, qui ed ora, riflettere sulla ideologia sottesa alla natura dell’istituto penitenziario. Il punto è: può uno Stato democratico perseguire la funzione retributiva (idea che implica il concetto di proporzione), preventiva o più ancora la funzione rieducativa della pena violando esso stesso le sue leggi, le convenzioni internazionali che ha sottoscritto, i fondamentali principi a tutela dei diritti umani? Un carcere sovraffollato implica direttamente uno spazio ristretto e non igienico, mancanza di privacy, ridotte attività svolte al di fuori della cella a causa della mancanza di personale addetto alla sorveglianza e degli spazi disponibili; saturazione dei servizi di assistenza sanitaria con relativa tensione crescente ed aumento della violenza tra i detenuti ed il personale. La Corte Europea dei Diritti Umani ha dichiarato in diverse sentenze di condanna nei confronti dello Stato italiano, che l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sancisce uno dei valori fondamentali delle società democratiche. Esso proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, quali che siano i fatti commessi dalla persona interessata. Esso impone allo Stato di assicurarsi che le condizioni detentive di ogni detenuto siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad un disagio o ad una prova d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente assicurate. La stessa Corte ricorda che il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (che è uno strumento non giudiziario, a carattere preventivo, destinato a proteggere le persone private della libertà dalla tortura e da altre forme di maltrattamenti) ha fissato in sette metri quadri a persona la superficie minima auspicabile per una cella detentiva e che un’eccessiva sovrappopolazione carceraria pone di per sé un problema sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione. Insalubrità, sovraffollamento, isolamento prolungato ed inattività sono le cause principali dell’aumento incontrollato di violenza presente all’interno delle carceri che si materializza in fenomeni che vanno dall’autolesionismo al suicidio, dalla violenza tra detenuti e tra questi ultimi e gli agenti penitenziari. Sono tante le figure professionali (quasi sempre in numero inferiore alle necessità) che per diverse ragioni svolgono il loro prezioso lavoro all’interno degli istituti di detenzione, che finiscono ingiustamente per scontare esse stesse indirettamente una pena, che è quella di lavorare in condizioni estreme dettate non solo dalla natura particolarissima degli istituti penitenziari, ma dal malfunzionamento degli stessi. Senza andare però troppo lontano è la nostra stessa Costituzione che all’articolo 27 sancisce il principio secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed addirittura individua come una delle funzioni fondamentali della pena quella rieducativa, che nelle condizioni attuali non solo è oggettivamente impossibile perseguire ma che è disattesa dalla ormai evidente diseducazione dei detenuti che sentono la condanna più come una regolazione di conti tra bande di criminali che come prezzo da pagare alla comunità ed alle vittime, in termini di privazione della libertà. Sembra difficile diseducare chi debba essere rieducato, ma di fatto le carceri, in questa situazione, conseguono questo risultato. Non può non essere evidente che ci si trova in una situazione drammatica causata dalla violazione di principi giuridici fondamentali e vincolanti sia sul piano interno che internazionale. Considerando esclusivamente la situazione attuale delle carceri è necessario ristabilire la legalità interna e quella internazionale nel nostro sistema penitenziario e cioè evitare che da strumento di “punizione” diventi strumento di crimine, perché esso stesso violazione di prescrizioni normative interne ed internazionali. L’amnistia (che non incide sulle pene afferenti i reati più gravi) è imposta dalle condizioni in cui versa l’esecuzione della pena, è inevitabile ed ineludibile. Il passo successivo è ovviamente il ripensamento delle linee normative portanti del nostro sistema giuridico, rendendo impossibile il sovraffollamento e ristabilendo le normali condizioni di “abitabilità” delle carceri. Pensando alle possibili soluzioni, alcuni Paesi hanno intrapreso vasti programmi di costruzione di nuovi istituti, ottenendo semplicemente l’aumento della popolazione carceraria in proporzione all’aumento della capacità acquisita dai propri complessi carcerari. Unica strada percorribile (dopo ovviamente aver necessariamente ristabilito la legalità sul piano interno ed internazionale in ordine al sovraffollamento) è avviare politiche volte a ristrutturare profondamente non solo il sistema penitenziario, ma il “sistema giustizia”, complessivamente. In termini molto pratici, in sede legislativa bisogna iniziare a pensare che quando si introduce un reato, si aggrava la recidiva, si inasprisce un trattamento sanzionatorio, o quando si limitano le alternative alla detenzione bisogna tener conto della capienza effettiva delle carceri, altrimenti i costi dati dal sovraffollamento verranno pagati in termini di diritti umani. Ad esempio è ora che si inizi in modo determinato a ripensare le leggi che regolano la materia della detenzione di stupefacenti ed il regime normativo dell’immigrazione. Il fallimento del sistema repressivo in materia si stupefacenti è evidente; in base ai dati del Consiglio d’Europa sono condannati per aver violato la legge sulle droghe in Italia il 38,4% dei detenuti, mentre in Francia questa percentuale è del 14,1%, in Germania del 14,8, in Spagna del 28% ed in Inghilterra e Galles del 15,6%. Considerando l’attività della Corte Europea dei Diritti Umani come metro di giudizio della salute del nostro sistema giudiziario, rappresentando essa il fulcro di un sistema di protezione collettiva di natura prevalentemente giudiziaria istituito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ci accorgiamo che l’Italia è in una situazione di criticità estrema: è stata chiamata in giudizio (e molto spesso condannata per almeno una violazione della Convenzione) dal 1959 al 2011 in 2166 casi, mentre il primato tocca alla Turchia con 2747 casi ed a seguire Russia e Polonia rispettivamente con 1212 e 945 processi. Certo non è degno di uno Stato democratico posizionarsi al secondo posto su una classifica di 46 Stati per numero di procedimenti: è evidente lo stato tangibile di decadenza del sistema giuridico. Sono diversi i problemi che pesano sul Paese e quelli principali riguardano la giustizia, con circa dieci milioni di procedimenti pendenti che compromettono gravemente diversi principi di diritto e di democrazia, oltreché un sano sviluppo economico; lo dimostrano i 1155 procedimenti in cui l’Italia è stata chiamata in giudizio per la irragionevole durata dei processi. È ora di agire, partecipare, confrontarsi, dialogare in un clima di libertà e trasparenza. È ora che i cittadini prendano consapevolezza dei gravi problemi che bloccano la naturale evoluzione della comunità; è ora di smetterla di cambiare forma e nomi a cose sempre uguali a se stesse da 70 anni, non è possibile parlare di terza Repubblica vedendo volti che hanno attraversato con pieni poteri e con le responsabilità che questo comporta, sia la c.d. prima che la c.d. seconda Repubblica. È ora di agire o forse semplicemente di ascoltare le parole giuste, le parole di chi ha fame e sete di verità, le parole pronunciate da chi le ripete senza sosta da decenni, dettate da intenzioni ragionevoli: è ora di giustizia, è ora di libertà. Lazio: il Garante dei detenuti; creare un modello integrato di agricoltura nelle carceri Dire, 28 dicembre 2012 Marroni: “Valorizzare a scopo agricolo terreni inutilizzati o sottoutilizzati di proprietà pubblica all’interno delle carceri e creare le condizioni per un impiego continuativo e retribuito ai detenuti”. Incrementare le attività lavorative agricole nelle carceri del Lazio con il duplice scopo di valorizzare e mettere a reddito un cospicuo patrimonio di terreni, serre ed allevamenti di proprietà dello Stato e garantire un’attività specializzata a decine di detenuti in vista del loro ritorno nella società. Sono questi gli obiettivi del Protocollo d’intesa firmato dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, dal Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Claudia Di Paolo e dal presidente della Coop Agricoltura Nuova Carlo Patacconi. “Questo protocollo è un risultato importante - ha spiegato il Garante Angiolo Marroni - e nasce da una duplice esigenza: valorizzare a scopo agricolo terreni inutilizzati o sottoutilizzati di proprietà pubblica all’interno delle carceri e creare le condizioni per un impiego continuativo e retribuito ai detenuti. Anche se non tutte le carceri del Lazio sono adatte a questo scopo, una ricognizione delle strutture ci ha permesso di appurare che vi sono concrete possibilità di sviluppo, e che ci consente di incrementare le opportunità lavorative interne ed esterne per i detenuti, e infine di affermare che la cultura del lavoro e della legalità rappresentano un contrasto reale alla criminalità”. Il progetto prevede la produzione e la commercializzazione di frutta, verdura e carne da allevamento sotto un unico marchio per tutti i prodotti fatti in carcere. Le criticità che il Protocollo dovrà minimizzare riguardano la carenza di professionalità e la difficoltà nella formazione di detenuti con pene brevi, la continuità nell’utilizzo degli addetti per la peculiarità della manodopera, problematiche generali attinenti la logistica sia del personale necessario alla formazione dei detenuti che per il trasferimento di merci e prodotti deperibili. L’accordo prevede che il Prap favorisca tali iniziative, promuova forme di collaborazione negli Istituti per la realizzazione di interventi volti al miglioramento del sistema produttivo agricolo, assicuri, attraverso le direzioni, l’agibilità e la sicurezza degli spazi utilizzati e selezioni i detenuti meritevoli di essere inseriti nelle attività lavorative. La coop sociale Agricoltura Nuova, dovrà collaborare con altre realtà agricole già presenti negli istituti, censire lavorazioni già in essere e tutte le risorse utili a realizzare un progetto di sviluppo agricolo e lavorativo di sistema nelle carceri del Lazio, svolgere attività di formazione ai detenuti che partecipano alle attività ed assumere i detenuti lavoranti se tali attività abbiano un risvolto economico ed una redditività imprenditoriale. Compito del Garante sarà di vigilare affinché venga rispettato il cronoprogramma degli interventi previsti. Parma: dramma in via Burla, detenuto di 60 anni muore in carcere Parma Today, 28 dicembre 2012 Ieri mattina, 26 dicembre, un detenuto di 60 anni è stato trovato morto in cella. Lo ha reso noto il sindacato della polizia penitenziaria Sappe. Un detenuto appartenente al circuito alta sicurezza, di circa 60 anni, è morto ieri mattina nel carcere di Parma. Il primo a prestare soccorso all’uomo è stato l’agente in servizio nella sezione detentiva. Si tratta del secondo decesso avvenuto nel carcere di Parma quest’anno. Non ci sono certezze sui motivi del decesso. L’Ansa parla di un probabile infarto. Sono stati 100 gli invii urgenti in ospedale, 120 i gesti di autolesionismo, 200 le proteste singole e 30 quelle collettive, venti i tentativi di suicidio. “Si tratta sicuramente - commenta il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante - di un numero elevato di eventi critici che mettono a dura prova il già difficile compito della polizia penitenziaria. Nel carcere di Parma sono ristretti circa 60 detenuti sottoposti al regime del 41 bis, molti altri sono affetti da disabilità gravi, come i paraplegici”. Benevento: Sappe; quattro poliziotti penitenziari positivi a test della tubercolosi Adnkronos, 28 dicembre 2012 La profilassi per gli agenti era stata disposta dopo la scoperta di un detenuto straniero affetto da tbc. Il segretario generale Capece: “Quanto accaduto a Benevento è gravissimo. Il direttore della casa circondariale deve essere avvicendato” Secondo quanto riferisce il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, “dopo la scoperta il 23 dicembre di un detenuto straniero affetto da tubercolosi, erano stati disposti provvedimenti di profilassi per i poliziotti penitenziari in servizio in quella sezione detentiva e dagli accertamenti è risultato che quattro agenti sono risultati positivi al test della tbc. Ma il numero potrebbe essere più elevato, perché il detenuto era un lavorante, libero di muoversi nel carcere”. “Quanto accaduto a Benevento è gravissimo - ha dichiarato il segretario generale del Sappe Donato Capece. Le responsabilità di avere ammesso al lavoro un detenuto con la tubercolosi sono ben precise: il direttore del carcere deve essere avvicendato. Non può infatti costituire un alibi per l’amministrazione penitenziaria centrale l’assenza di un programma di prevenzione sui rischi di contagio, affinché si evitino ingiustificati allarmismi, con la sottoposizione periodica degli operatori penitenziari a vaccinazioni, la dotazione di kit di protezione, l’indicazione di una scrupolosa profilassi da eseguire. Tutto questo a Benevento non è stato fatto”. Secondo il Sappe “la necessità di uno screening su scala nazionale risulta quanto più utile e opportuno in considerazione dell’alto tasso di detenuti stranieri provenienti da Paesi dove patologie, che in Italia sono state debellate, sono assai radicate e diffuse, anche in considerazione che il sovraffollamento favorisce la possibilità di contagio”. Genova: Rossi (Sel); il “reparto detenuti” dell’Ospedale San Martino è un inferno La Repubblica, 28 dicembre 2012 Vita in gabbia, vita da detenuti. Alessandra Ballerini, avvocato da sempre in prima fila per i diritti dei migranti, e Matteo Rossi, consigliere regionale di Sel, visitano il reparto malati, il così detto “repartino”, dell’ospedale San Martino ed escono con una fotografia desolante. “I detenuti, sette, rimangono a letto 24 ore al giorno. Al buio, perché la luce può accendersi solo da fuori e loro fuori dalla stanza non possono mai uscire, neanche per sgranchirsi le gambe”, denuncia Alessandra Ballerini. L’aria nelle stanze è irrespirabile perché le finestre ci sono, ma possono essere aperte solo dalla polizia penitenziaria. “L’aria è così insana che lascia un gusto acre nella bocca”. Un ragazzo giovane è disteso in mezzo a due detenuti più anziani e malati psichici. “Altri due hanno l’Hiv, sono più vicini alla morte che alla vita. Assolutamente incapaci di nuocere a nessuno, abbandonati lì da mesi, senza familiari, avvocati ne magistrati, che si prendano cura di loro - continua Alessandra Ballerini: sono persone che dovrebbero essere curate e invece giacciono qui attendendo la morte o la fine della pena”. Le loro condizioni di salute non sono compatibili con la detenzione. “Se fossero benestanti, se avessero una famiglia che ci cura di loro, se avessero una casa, non starebbero qui, ma in una dimora, in una comunità o in altri reparti. La sensazione - conclude - è che questo sia l’ultimo girone: la discarica nella discarica. Per contenere gli ultimi degli ultimi”. Alessandra Ballerini e Matteo Rossi non sono gli unici a denunciare le condizioni in cui vivono i detenuti. Al carcere di Marassi c’è stata l’ispezione di una delegazione composta da radicali e socialisti. “Patologie come Hiv o epatite C di cui sono affetti buona parte dei detenuti tossicodipendenti, sono totalmente incompatibili con il regime carcerario”. La visita ha permesso di verificare che il sovraffollamento ha raggiunto picchi inaccettabili. “La media per ogni cella è di 89 detenuti, che dormono in letti a castello di due o tre piani. In ogni cella c’è un solo bagno per tutti, mentre le docce sono ancora in comune, cinque per ogni piano”. La delegazione, accompagnata dall’onorevole Mario Tullo e dal senatore Claudio Gustavino , era composta da Michele De Lucia, tesoriere dei Radicali Italiani, da Deborah Cianfanelli, membro di direzione di radicali Italia, Marta Palazzi, segretaria dell’associazione Radicali Genova, da Angela Burlando del Partito Socialista Italiano di Genova, ha potuto anche vedere dei dati positivi. “Per esempio - scrivono - è stato organizzato un corso odontotecnico con laboratorio frequentato da 23 persone e un corso di grafica pubblicitaria frequentato da 20 persone”. Il carcere dispone anche di una falegnameria, purtroppo inutilizzata per gran parte del tempo per mancanza di appalti, e di una panetteria, in cui lavorano solo 4 addetti. All’interno di Marassi viene svolto un laboratorio teatrale ed è in corso la costruzione di un teatro vero e proprio. Cagliari: Sdr; imminente ristrutturazione Centro Clinico del carcere di Buoncammino Ristretti Orizzonti, 28 dicembre 2012 “Diventeranno presto un ricordo a Buoncammino i calcinacci che cadono sulle brande e sui letti a castello, i piatti delle docce intasati e i tubi arrugginiti da cui non sgorga l’acqua calda, nonché l’impianto elettrico che fa le bizze. Un sopralluogo dei tecnici dell’Asl n. 8, in programma nelle prossime settimane, definirà tempi e modalità dell’intervento di ristrutturazione nel Centro Clinico della Casa Circondariale cagliaritana”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. “I familiari dei detenuti - sottolinea Caligaris - hanno informato i volontari dell’associazione del disagio dei loro congiunti per le difficili condizioni in cui si trovano diverse celle del Centro Diagnostico Terapeutico dove sono ricoverati i cittadini privati della libertà particolarmente sofferenti. Un successivo approfondimento ha consentito di verificare la gravità del problema peraltro già segnalato ai responsabili della Azienda Sanitaria Locale, cui spetta la salvaguardia della salute dei ristretti”. “La puntuale ricognizione dei tecnici e i successivi lavori permetteranno - ha concluso la presidente di Sdr - di restituire dignità alla struttura diagnostico-terapeutica di Buoncammino e garantire una migliore qualità igienico-sanitaria per la vita di persone anziane e malate che soffrono per disturbi invalidanti ma alle quali non è concesso, secondo alcuni periti, lasciare le celle. La decisione di intervenire in extremis sullo storico Istituto cagliaritano conferma ulteriormente il ritardo nella conclusione dei lavori alla superstruttura di Uta”. Udine: Serracchiani (Pd) e Roveredo; in via Spalato spazi per 130 reclusi ma oggi sono 220 Messaggero Veneto, 28 dicembre 2012 Visita dell’onorevole Serracchiani e dello scrittore Roveredo “Siamo dalla parte di Pannella: ridare dignità ai detenuti”. Sono 220 i detenuti che scontano la pena nel carcere di via Spalato. Dovrebbero essere al massimo 130, con un limite di tollerabilità che arriva a 170. Il sovraffollamento ha inevitabili ricadute sul recupero dei reclusi perché tutti gli spazi sociali sono convertiti in celle. E infatti il 70% ricade nella spirale della delinquenza. A documentare la situazione del carcere udinese sono stati, ieri, il segretario regionale del Pd, Debora Serracchiani, e lo scrittore Pino Roveredo. La loro era soltanto la prima tappa di un tour regionale delle carceri. La visita in via Spalato è cominciata intorno alle 11, lontano dai flash dei fotografi e dai taccuini dei giornalisti. Intanto nel carcere si sono susseguiti i visitatori di ogni giorno. Donne e bambini, in qualche caso ragazzi, che ormai hanno una certa dimestichezza con questi luoghi: il “buon giorno” scambiato con i secondini, l’ingresso, uno per volta, con i documenti stretti in mano e la telefonata all’uscita per avvertire i parenti. E le lunghe attese. Tre sono gli interventi indispensabili, secondo Serracchiani. “La depenalizzazione di alcuni reati, investire sull’edilizia e sul recupero delle persone”, ha spiegato al termine della visita. E proprio quello dei fondi è il problema principale anche a Udine. “Alcuni sistemi di sorveglianza non funzionano perché mancano i soldi per riparare le telecamere”, ha sottolineato Roveredo. Il principale nemico in carcere è la noia. “I detenuti sono privi di impegni ed è evidente che in queste condizioni monta la rabbia”, ha aggiunto il candidato governatore del Fvg per il Pd. “Gli spazi per la socialità sono pochi e congestionati dal sovraffollamento - ha aggiunto. Ci sono anche luoghi inaccessibili come l’ex infermeria e l’area femminile. Situazioni che non rispettano la dignità umana”. Una precarietà che si riverbera anche sul personale. “Sono sotto organico, mancano gli ispettori apicali. Il turn over non è rispettato e l’età degli agenti penitenziari cresce in modo vistoso. Ancora di più se rapportata a quella dei detenuti”. Nei giorni scorsi lo sciopero della fame e della sete del leader dei Radicali, Marco Pannella, ha riportato alla ribalta l’annosa questione delle carceri italiane. “Sono qui anche perché appoggio la battaglia di Marco. La mia è una posizione netta e chiara. Distanti sull’amnistia, ma uniti nel merito: dobbiamo restituire la dignità ai carcerati”, ha detto Serracchiani. Palermo: magistrato riconosce a detenuto il diritto a occupare una cella “non fumatori” Ansa, 28 dicembre 2012 Secondo quanto rende noto il senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti in Sicilia, il Magistrato di Sorveglianza di Palermo, accogliendo il ricorso di un detenuto, ha ingiunto alla direzione del carcere Pagliarelli di Palermo di garantirgli “il diritto a occupare una cella con compagni non fumatori”. All’interno del provvedimento il magistrato di sorveglianza riconosce “riscontrate violazioni dei diritti afferenti al reclamante, concernenti il rispetto dello spazio vitale all’interno della cella che lo ospita”, e sollecita la direzione del carcere ad adottare le misure necessarie per garantire al detenuto non solo il diritto a cella non fumatori, ma anche a “fruire di adeguati periodi di tempo all’esterno delle celle” e “all’uso adeguato di bagni e docce”, e in generale “condizioni di detenzione conformi ai parametri previsti dal quadro normativo di riferimento”. Matera: domani il Radicale Maurizio Bolognetti in visita al carcere www.basilicatanet.it, 28 dicembre 2012 Domani 29 dicembre, alle ore 11.00, Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani, e Nicola Benedetto, vice presidente del Consiglio regionale della Basilicata, visiteranno il carcere di Matera. “Mentre prosegue la lotta per ottenere che il nostro Stato interrompa la flagranza di reato in atto contro i diritti umani e la Costituzione - afferma Bolognetti - domani, grazie al vice presidente del Consiglio regionale Nicola Benedetto, torneremo a visitare la comunità penitenziaria materana. Le carceri del nostro bel paese sono assurte a luoghi di tortura senza torturatori. Nel solo 2012, nelle nostre patrie galere si sono suicidati 59 detenuti e 9 agenti di Polizia penitenziaria. Ma il carcere rappresenta il percolato di un’amministrazione della giustizia alla bancarotta, che non dà garanzie a vittime e imputati. Oggi in Italia un’Amnistia c’è già ed è quella clandestina e di classe che ogni anno manda al macero circa 200.000 procedimenti. Un provvedimento di amnistia costituzionale, a ben vedere, è allo stato dell’arte l’unica soluzione praticabile per garantire una giustizia dai tempi certi, per tutelare davvero le vittime, per aiutare i magistrati a svolgere il loro lavoro. Un provvedimento di amnistia interverrebbe su alcuni reati non violenti e potrebbe prevedere una forma di “risarcimento” per le vittime. Un provvedimento di Amnistia e indulto, considerando l’enorme mole di procedimenti che intasa i nostri tribunali, producendo quella non ragionevole durata dei processi che garantisce prescrizioni e spesso, troppo spesso, anni di carcerazione preventiva a imputati che saranno dichiarati innocenti, è la via maestra per garantire che la nostra macchina giudiziaria torni a funzionare e per riconsegnare le nostre patrie galere alla civiltà e al diritto, ad iniziare dal rispetto dell’art. 27 del dettato costituzionale”. Piacenza: Alberto Gromi riconfermato Garante comunale dei diritti dei detenuti Piacenza Sera, 28 dicembre 2012 È stata ufficializzata oggi, con la firma del sindaco Paolo Dosi, la nomina del prof. Alberto Gromi a Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. Gromi, al suo secondo mandato dopo la prima investitura agli inizi del 2010, vanta una lunga esperienza professionale come insegnante e dirigente scolastico, nonché un’intensa attività nel volontariato, come assistente carcerario presso la struttura delle Novate, come direttore della comunità “Villa dei Gerani” (sperimentazione del Ministero di Grazia e Giustizia nell’ambito delle carceri minorili) e come consulente del Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna. Gromi si è inoltre occupato di disagio giovanile, di formazione, di istruzione e di integrazione sociale, collaborando con la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il Garante promuove - come richiamato nell’atto di designazione firmato dal sindaco Dosi - l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone che attualmente sono in una condizione di restrizione, con particolare riferimento ai diritti fondamentali della casa, del lavoro, della formazione, della tutela della salute, della cultura e, per le altre attribuzioni riguardanti il Comune, nell’ambito dei servizi alla persona. Promuove inoltre iniziative di sensibilizzazione sui diritti umani delle persone private della libertà personale, anche in coordinamento con altri soggetti pubblici. La conferma della figura del garante promuove ulteriormente il percorso di umanizzazione nei rapporti tra società civile e carcere, ancora però, è opinione di Gromi, da completare, “per ridefinire e perfezionare il ruolo e le funzioni del garante, in particolare per ciò che riguarda il diritto ad entrare nel carcere senza autorizzazione, come sancisce l’articolo 67 dell’Ordinamento penitenziario, e i possibili interventi sul fronte della scuola interna e della formazione professionale in funzione dell’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro”. Caltanissetta: Osapp; alterco durante un controllo in cella, detenuto ferisce tre agenti Giornale di Sicilia, 28 dicembre 2012 Antivigilia di Natale movimentata al carcere del Malaspina, a Caltanissetta, dove un detenuto romeno ha aggredito e malmenato tre agenti della polizia penitenziaria, mandandoli in ospedale. L’uomo, del quale non sono state rese le note generalità, è già deferito all’autorità giudiziaria e trasferito in un’altra casa circondariale. Cosa abbia scatenato la rabbia incontrollata del detenuto è ancora tutto da verificare, si sa soltanto che nei giorni precedenti l’uomo avrebbe manifestato segni d’insofferenza verso il personale addetto alla vigilanza interna della struttura di via Messina, nel tentativo - come si presume - di ottenere il trasferimento al reparto isolamento. La bagarre è scoppiata quando due ispettori e un sovrintendente hanno effettuato un controllo di routine nella sua cella; i tre agenti sono stati aggrediti dal detenuto, riportando contusioni poi giudicate guaribili in una settimana dal personale del pronto soccorso. Il romeno è “dentro” per reati contro il patrimonio e dovrebbe finire di scontare la pena fra quattro anni, attualmente era ristretto nel padiglione dei cosiddetti “comuni”. L’episodio è stato duramente stigmatizzato dal vice segretario generale dell’Osapp Mimmo Nicotra. “Nei giorni scorsi - ha scritto - nell’eseguire una perquisizione straordinaria il personale di polizia penitenziaria aveva rinvenuto all’interno del reparto una corda lunga tre metri e rudimentali oggetti da taglio. Ancora una volta a pagare le conseguenze di un sistema al collasso è la polizia penitenziaria - ha concluso Nicotra - che suo malgrado riesce ancora ad evitare, sulla propria pelle, episodi che possono mettere a rischio la sicurezza penitenziaria”. Catanzaro: al termine progetto scolastico presentato libro detenuti “Su I fiori di Kirkuk” www.catanzaroinforma.it, 28 dicembre 2012 Ancora un’iniziativa in favore dei detenuti della Casa Circondariale di Catanzaro ai quali, nei giorni che hanno preceduto il Natale, è stato presentato “Su I fiori di Kirkuk”, un libro che arriva a conclusione di un progetto realizzato durante il precedente anno scolastico dagli stessi detenuti-allievi appartenenti al circuito di “alta sicurezza”, che frequentano le attività didattiche all’interno dell’Istituto penitenziario. Una proposta che si inserisce tra le attività trattamentali, strumento fondamentale per la rieducazione e, quindi, per il reinserimento sociale dei detenuti. Alla presentazione del volume hanno partecipato, con il direttore dell’Istituto, Angela Paravati, l’ex dirigente scolastico dell’Istituto Tecnico per Geometri di Catanzaro “R. Petrucci”, Elena De Filippis e l’attuale dirigente scolastico Francesca Bianco. “Il libro - è stato detto nel corso dell’incontro - è il frutto di un progetto portato avanti dall’Istituto Petrucci con gli allievi della casa circondariale e nasce dalla lettura del libro “I fiori di kirkuk” che narra la storia d’amore tra un’irachena e un curdo. Sullo sfondo la vicenda dei curdi e la condizione della donna irachena. Dalla lettura, poi, sono scaturiti i commenti tutti brillanti e personalissimi dei detenuti. Un’esperienza, quella degli studenti, che è in linea con l’impegno che la direzione della Casa circondariale sta ponendo in essere per sviluppare le potenzialità di ognuno, in un processo di formazione individuale. Un lavoro che è stato possibile portare a termine grazie, soprattutto, alla collaborazione degli insegnanti del Petrucci che, con abnegazione, svolgono ogni giorno il loro lavoro all’interno della Casa circondariale”. Al termine della cerimonia, il dirigente Francesca Bianco, augurando a tutti un Buon Natale, ha ringraziato il direttore Angela Paravati “che, con iniziative come questa appena conclusa - ha aggiunto, consente ogni giorno un approccio innovativo con gli allievi per un reale e concreto percorso di rieducazione e di risocializzazione”. Velletri (Rm): “È natale per tutti 2012”… lo spettacolo di Luisa Corna per i detenuti Il Velino, 28 dicembre 2012 Una ventata d’aria fresca in un periodo dell’anno particolarmente triste per chi è costretto a viverlo da recluso. Il Natale in carcere è forse uno dei momenti peggiori per chi è detenuto. Con lo scopo di alleviare un pò di sofferenza Luisa Corna ha messo in scena nel teatro “Enzo Tortora” della casa circondariale di Velletri il suo spettacolo. L’evento rientra nelle iniziative di “È Natale per tutti 2012”, manifestazione di solidarietà nelle carceri del Lazio voluta dalla Giunta Polverini. Anche l’Assessore regionale ai rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza, Giuseppe Cangemi, ha assistito allo spettacolo insieme ai detenuti e alla direttrice del carcere di Velletri. “È Natale per tutti” - ha spiegato Cangemi - vuole sottolineare la presenza della società tra i detenuti di tutto il Lazio: maggiore è il grado di solidarietà e di vicinanza che riusciremo a comunicare a chi è ospite di strutture penitenziarie, tanto maggiore sarà la maturità dimostrata dalla nostra stessa società. Questa manifestazione, che potrei definire una vera e propria gara di solidarietà, mi sta offrendo, moralmente, molto più di quanto mi sarei aspettato: sicuramente molto più delle fatiche organizzative che era ed è mio compito istituzionale porre in campo ogni giorno”. Immigrazione: il 31 scade emergenza; 25mila profughi resteranno senza diritti né soccorso di Stefano Pasta Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2012 Che esista un “Italian Paradox” nella gestione dei richiedenti asilo politico ce lo ha ricordato anche la prima pagina dell’International Herald Tribune, raccontando del famigerato Salaam Palace, l’edificio di 8 piani alle porte di Roma dove vivono “in condizioni vergognose” oltre 800 profughi fuggiti dalle guerre del Corno d’Africa. Qui, nell’ex sede dell’Università di Tor Vergata, un bagno è condiviso da 250 persone che hanno ottenuto dallo Stato la protezione internazionale, ma non sono stati inclusi in alcun programma di assistenza. “Prima li accoglie e poi li dimentica”, scrive la versione internazionale del New York Times. Ma il Paradosso italiano in tema di rifugiati continua. Lunedì 31 dicembre finisce l’Emergenza Nord Africa, cioè tutte le iniziative messe in campo dal governo a seguito dell’arrivo dei migranti africani e asiatici in fuga dalla guerra in Libia. Molti dei 25mila profughi accolti rischiano di dover abbandonare le strutture che li ospitano e di ritrovarsi per strada. “Assenza totale di programmazione, un continuo navigare a vista, scarsità di competenze nell’amministrazione centrale”, è il commento di Gianfranco Schiavone dell’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), che si chiede: “È da un anno che poniamo il problema: non si poteva affrontare in modo meno emergenziale? Si parla di una proroga per 2/3 mesi, ma nulla è ufficiale”. A 4 giorni dall’ora X, John, 27 anni, ghanese, appena risponde al telefono, mi chiede: “Hai saputo se possiamo restare?”. Dopo lo sbarco a Lampedusa nel 2011, a lui è stata fatta presentarcela domanda di asilo in modo pressoché automatico, ed è rientrato nel Piano Accoglienza del ministro Maroni. Nei casi seguiti, da enti esperti, come la Caritas, l’inserimento lavorativo e l’autonomia sono stati raggiunti ma, grazie a un’emergenza che ha scavalcato procedure e controlli, molti non sono stati inseriti in strutture adatte: improvvisate associazioni, cooperative senza scrupoli, albergatori pronti ad affittare le loro strutture altrimenti vuote ne hanno approfittato. Parcheggiati tra le montagne della Valcamonica e gli alberghi della Campania, o, come John, al Residence Ripamonti, a sud di Milano. La scelta di questa struttura è stata accompagnata da polemiche poiché di proprietà di Fonsai, allora di Salvatore Ligresti, e diretta da Giuseppe Milone, consigliere provinciale Pdl e presidente della commissione Sicurezza. Per un anno e mezzo, John ha passato le giornate a guardarsi intorno, “ammazzando il tempo, senza nulla da fare, ossessionato dal futuro”. A un prezzo da capogiro: per ciascun migrante la diaria rimborsata alle strutture è di oltre 40 euro. Secondo l’Asgi, il limbo dei profughi “ci è costato un 1 miliardo e 400 mila euro, quasi come una finanziaria”. Nel frattempo, come le associazioni avevano facilmente previsto già all’inizio dell’Emergenza, le Commissioni hanno bocciato, una dopo l’altra, il 60% delle domande di asilo politico. La guerra e le torture subite sono ininfluenti: la Convenzione di Ginevra prevede che per ottenere la protezione internazionale debba esserci persecuzione nel Paese d’origine. Si prepara così un nuovo “Italian Paradox” di uno Stato che, pur potendolo prevedere, ha speso milioni per persone che ingrosseranno le fila dei disperati che sopravvivono negli edifìci abbandonati delle nostre città. Azerbaigian: graziati 80 detenuti, per il Consiglio d’Europa erano “prigionieri politici” Ansa, 28 dicembre 2012 Quasi ottanta detenuti in Azerbaigian, tra questi anche giornalisti, attivisti per i diritti umani e oppositori politici, sono stati rilasciati dopo aver ricevuto la grazia dal presidente Ilham Aliyev. Un rapporto sui diritti umani del Consiglio d’Europa ha qualificato le persone rilasciate “prigionieri politici”, mentre gli attivisti locali assicurano che decine di loro rimangono ancora incarcerati. Il governo azero nega di avere prigionieri politici nelle proprie carceri.