Il sostegno di detenuti e studenti a Pannella ancora in sciopero della fame e della sete Il Mattino di Padova, 24 dicembre 2012 La notizia dello sciopero della fame e della sete che Marco Pannella sta facendo per protestare e chiedere soluzioni al sovraffollamento e all’illegalità delle carceri ha suscitato l’interesse di giornali e televisioni per un paio di giorni, quando le fotografie del leader radicale sono diventate così allarmanti, che qualcuno ha cominciato a temere che la cosa potesse finire in tragedia, e ha ritenuto che un pò di spazio lo meritava. Poi di nuovo il silenzio, come se le carceri, tornate per un attimo al centro dell’attenzione, dovessero sparire in fretta perché “tanto, Pannella è ancora vivo” e la flebo a cui ha accettato di sottoporsi cancella l’emergenza per la sua salute e insieme l’emergenza per le carceri. A Marco Pannella resta un grande grazie dai detenuti, ma a Padova Pannella trova anche la solidarietà di tanti giovani studenti che, coinvolti nel progetto di confronto fra le scuole e il carcere, hanno capito che la sua lotta per i diritti dei carcerati è una lotta per i diritti di tutti. Sto male sapendo che lo stai facendo anche per me Caro Marco, chi ti scrive è una delle migliaia di persone incarcerate che tu hai preso a cuore. Mi vergogno nel dire che anni fa non conoscevo e non sapevo nulla della situazione carceraria, ma come tu sai il carcere riguarda tutti e di questi tempi è molto facile entrarci, e così è capitato anche a me. Nel 2010 ho avuto il piacere di conoscerti nel carcere di Bolzano, ricordo quel giorno come se fosse oggi, hai trascorso con noi quel primo gennaio, ci hai dato tanta forza in quell’incontro. Dopo la mattinata passata sentendo i disagi raccontati dalla Polizia penitenziaria e da noi detenuti, che vivevamo in quel carcere fatiscente, hai aspettato l’ora d’aria pomeridiana in modo tale che tutti noi potessimo ascoltare le tue parole di coraggio e di verità. Adesso ti vedo in televisione e sto male nel vederti così sofferente e sto ancora più male sapendo che lo stai facendo anche per me, ma quando finirà tutto questo? Sono certo che se le persone si parlassero di più e si ascoltassero di più tutto sarebbe più chiaro. Caro Marco, ti saluto nel rispetto e nell’ammirazione che si devono ai combattenti. Klajdi S., detenuto al Due Palazzi Ci sforziamo di essere vicini a Marco con delle piccole proteste In questi giorni noi detenuti stiamo vivendo una cosa che ci colpisce al cuore, lo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella, e ci sentiamo impotenti, ma ugualmente cerchiamo di trasmettere tutto il nostro rispetto a una delle poche persone, che ci fa capire che non siamo proprio soli, e ci sforziamo di essergli vicini con delle piccole proteste, come la battitura sulle sbarre della nostra cella gridando a più non posso “Amnistia”. Noi di Ristretti Orizzonti abbiamo avuto l’onore di incontrarlo alcune volte, e conoscendo la sua fama di persona battagliera speriamo che oggi la sua lieve voce di uomo molto malato faccia allargare i cuori ai nostri parlamentari. Certo che l’indifferenza di tanti politici è disarmante, opprimente, e i pochissimi provvedimenti sulle carceri che hanno votato non erano tali da riportare la civiltà e la legalità nelle galere. E le galere infatti continuano ad accrescere l’umiliazione delle persone e sfiancano anche i nostri familiari, che sono direttamente coinvolti in questo che definire inferno è poco. Al disagio e alla sofferenza fisica, si aggiungono le torture psicologiche che sono ancora più pericolose dell’essere ammassati senza speranza. Penso spesso a come possono tanti governanti vivere con serenità ogni giorno e lasciare oltre 67.000 esseri umani in condizioni disumane, come possono guardare in faccia i loro figli, i loro famigliari. Quello che dimostrano è tanto egoismo e una sola idea: pensare esclusivamente ai loro interessi. Ma allora è vero che chi si accosta a te, caro Marco, e ti chiede di smettere lo sciopero dicendo che è al tuo fianco, poi in pratica non fa nulla di veramente significativo per le carceri. Sei il solo, con altre poche persone, a meritare tutto il nostro rispetto e ammirazione. Alain C., detenuto al Due Palazzi Tante piccole voci insieme possono formare un grande coro La nostra scuola partecipa con le Classi quarte al “Progetto Carcere”, e in questi giorni abbiamo analizzato alcuni articoli di giornale nelle ore di italiano sulla battaglia intrapresa da Marco Pannella per l’amnistia. In seguito alla discussione in classe vogliamo esprimere la nostra vicinanza e la nostra condivisione per le cause di questa lotta per la giustizia e per la dignità dei detenuti, e la nostra ammirazione per il coraggio e la forza di quest’uomo, ma in aggiunta vorremmo pregarlo affinché non utilizzi questo metodo, in quanto nuoce gravemente alla sua salute. Con questo piccolo pensiero desideriamo ricordargli che non è solo, perché tante piccole voci insieme possono formare un grande coro, e ringraziare la vostra redazione per la vostra rivista e i progetti di informazione che portate avanti. Maria T. D. e Florina A. Non interessarsi dei diritti dei carcerati significa rinnegare in primo luogo i propri diritti Siamo studentesse del liceo scientifico di Caselle di Selvazzano. Con questa lettera volevamo esprimere il nostro appoggio a Marco Pannella, ma soprattutto a tutti coloro che in questo momento stanno vivendo nelle carceri nelle condizioni tristemente note a noi, ma forse non ancora pienamente a tutti. Quest’anno abbiamo partecipato al progetto carcere: è stata un’esperienza emozionante e importante che ci ha permesso di avvicinarci di più a questa realtà e soprattutto di osservarla da un altro punto di vista. Conoscere i detenuti, o coloro che hanno appena riconquistato la loro libertà, non significa conoscerne i nomi e i reati, ma scoprire la storia dietro ognuno. E ciò che è accaduto loro può accadere a ciascuno di noi: questo è forse il punto che sfugge ad ancora troppi italiani. Non interessarsi dei diritti dei carcerati significa rinnegare in primo luogo i propri diritti. Peggio ancora è ritenere che i carcerati meritino di vivere in queste condizioni. Per questo sosteniamo Pannella e l’amnistia, purché non venga politicizzata. Ma sosteniamo ancor di più voi di Ristretti Orizzonti che fate il progetto di informazione nelle scuole, poiché la sensibilizzazione dei giovani è il primo passo per una società migliore e, sebbene i risultati siano decisamente a lunga scadenza, possono cambiare più profondamente l’opinione pubblica. Lo sciopero della fame e della sete del leader radicale ha richiamato l’attenzione sul problema. Forse ora la palla dovrebbe passare a qualcun altro, dal momento che la vita di Pannella è a rischio. A qualcuno di giovane. Le ragazze della 4e Una casta così incurante dei diritti di uomini bisognosi d’aiuto come i carcerati Siamo alunni del liceo scientifico Galileo Galilei di Padova. Partecipiamo al “Progetto Carcere”, e proprio questa mattina abbiamo discusso un articolo, dedicato interamente alla protesta di Marco Pannella contro il sovraffollamento delle carceri. Questa notizia ci ha colpito personalmente, rendendoci ancora più consapevoli del degrado nelle carceri che affligge la nostra Italia. Tuttavia, sembra che nessuno si mobiliti, ma fortunatamente un leader politico si sta battendo per questa causa. È necessario che lo Stato si renda conto della tremenda arretratezza nel sistema penitenziario: non solo il trattamento riservato alla maggior parte dei carcerati è illegale, ma anche offensivo nei confronti della dignità di uomini e donne. Anche se non abbiamo una qualche notorietà pubblica, noi giovani desideriamo sostenere la protesta.  Pur appoggiando Marco Pannella, vorremmo sinceramente che riflettesse più a lungo sulle potenziali conseguenze del suo gesto: così facendo mette a repentaglio la propria vita. La sua uscita dalla politica, che potrebbe essere causata anche da una malattia, rovinerebbe il lavoro di denuncia che è stato costruito finora. Perché si sa, per una casta così incurante dei diritti di uomini bisognosi d’aiuto come i carcerati, l’uscita di scena di un leader come Pannella sarebbe solo un grosso favore. Vi preghiamo di fare il possibile per trasmettere il nostro sostegno all’onorevole. Grazie per l’attenzione. Andrea P. e Martina L. Giustizia: quei Natali in carcere a contare milioni di passi di Adriano Sofri La Repubblica, 24 dicembre 2012 Natale in carcere. Il pallone, la messa e i milioni di passi dei Natali in carcere. La festa dietro le sbarre tra soprusi e speranze. È una ragazza rom, ha un bambino di neanche due anni, ed è incinta. Ci sono altri due bambini nella sezione femminile che hanno meno di tre anni. Nel corridoio c’è un albero di Natale finto coperto di stagnola e di strisce di cotone. C’è un albero artificiale anche nel corridoio della sezione maschile, con dei pendagli di cartone colorato. Vengono sua madre, sua moglie e la bambina, che ha 11 anni. Hanno fatto la coda per quattro ore, in strada, e pioveva, ma non glielo diranno. Lui si è preparato fin dalle sette, benché le celle vengano aperte solo alle dieci. Ha fatto la doccia, anche se le caldaie sono guaste e l’acqua è fredda, ma non glielo dirà. Ha fatto una domandina per portare dei cioccolatini alla bambina. Lei ha imparato una poesia e gliela reciterà: “Il campanile scocca / la mezzanotte santa”. La ragazza rom incinta incontra suo marito, un ragazzo anche lui, e un altro suo bambino che avrà quattro anni. Il ragazzo a un tratto la insulta, lei piange, anche i bambini piangono, poi passa. I colloqui finiscono dopo l’una. Quelli, la maggioranza, che non ricevono visite, sono chiusi già da più di un’ora. Alcuni erano andati all’aria, non tanti, fa freddo. Chi era al colloquio mangerà freddo, tanto non ha fame. Chi ha ricevuto posta sta sdraiato in branda e la legge per un’ennesima volta. Anche chi non l’ha ricevuta sta in branda, perché non c’è altro posto in cui stare. Alle due si può tornare all’aria. Oggi alla sezione penale spetta il campetto di terra, dove si può giocare a pallone se si trova un pallone, e poi si sentono le voci del femminile. A Natale le voci dei bambini incarcerati fanno più impressione. C’è un tubo da cui esce un filo d’acqua rugginosa. C. raccoglie il filo d’acqua nel cavo di una mano, tiene l’altra appoggiata al muro. Ha posato in terra gli occhiali da miope, con la montatura tenuta da un nastro adesivo. Avrà una sessantina d’anni, è tarchiato. Arriva N., uno di pochi anni e pochi muscoli, istoriato di tatuaggi da strapazzo, vuole il posto. “Scansati, pezzo di merda!”, intima. L’altro è chinato e fa finta di non sentire, o davvero non sente. Il ragazzo gli sferra un calcio nel fianco, e lo manda a sbattere sul muro. L’uomo si volta e mostra i denti, ma solo per un momento, poi si allontana piegato com’è, con una specie di guaito. Il ragazzo dà un calcio agli occhiali e si prende il suo filo d’acqua sporca, poi torna alla partita. Il pivello è nessuno, uno scappato da casa. L’uomo è un assassino. Ha ucciso sua moglie, due anni fa, con un coltello da cucina. Quarantatré coltellate, secondo la perizia. Erano una coppia di paese, non più giovane, la cosa è sì e no arrivata alle cronache locali: “Tragedia della gelosia”. Gli altri vanno e vengono. Tengono gli occhi bassi, per lo più, sembrano assorti in qualcosa di essenziale. Forse, semplicemente, contano i passi. Non è appropriato, per la verità, dire “semplicemente”, per un’operazione impegnativa come contare i passi. È come pregare coi piedi. Fuori la gente dice, alla leggera: “Conto i minuti”, “Conto le ore”, “Conto i giorni” - “Conto gli anni no”, non lo dice - e vuol dire che non vede l’ora che qualcosa succeda. Qui contano davvero gli anni, e anche le notti e le ore e i minuti, ma soprattutto, per vendicarsi del tempo che ti passa addosso a fondo perduto, contano i passi. Migliaia, centinaia di migliaia, milioni di passi. Su e giù all’aria, da un muro all’altro, quaranta all’andata e quaranta al ritorno, e anche in cella, se la ressa lo permette, tre dal muro al blindo e ritorno, come se i passi accumulati avvicinassero la meta. Ma sono passi davvero perduti, come chiamano futilmente il corridoio di quel parlamento dove due giorni fa, alla vigilia di Natale, hanno cancellato i pochi fondi per il lavoro in carcere e la misera legge sulle pene alternative. Se i giudici sapessero di che cosa parlano, farebbero alzare in piedi l’imputato e gli direbbero: “Per questo e quest’altro, caro signore, la Corte la condanna a quattordici milioni e seicento trenta settemila cinquecento dodici passi”. M. è un ergastolano cui è vietata la speranza, lui non conta i passi, e nemmeno i Natali che gli mancano: tutti i Natali della vita. Alle quattro di pomeriggio sono tutti chiusi di nuovo, passa la conta e la battitura ferri, e poi la terapia. J. prende il metadone e finge di inghiottire: lo fa benissimo. Poi lo risputa in un bicchierino di carta, lo venderà a uno del secondo piano per un rotolo di igienica. R. ingoia sul serio il suo Tavor - è obbligatorio prendere i farmaci davanti a infermiere e agente, anche se è un analgesico e il mal di denti arriverà fra cinque ore. R. ha un solo desiderio: addormentarsi e risvegliarsi quando le feste saranno passate. Le celle restano chiuse dalle sedici alle dieci del giorno dopo. A mezzanotte lo scampanio arriva fin qui dentro. P. è polacco e si tiene sveglio perché sa che a casa preparano anche per lui e suo padre versa anche nel suo bicchiere e beve per suo conto. La mattina di Natale quasi tutti si preparano per la messa, anche quelli che non ci vanno mai. Viene il vescovo oggi, poi andrà a dire la messa solenne per la brava gente in Duomo. Vengono anche i musulmani - solo qualche duro se ne astiene. I musulmani hanno una devozione per Maria e per Gesù, e poi la messa del Natale è la più grande occasione per incontrarsi. Il vescovo dice che è questo il posto giusto per il Natale, che le celle sono il luogo più somigliante alla grotta al freddo e al gelo. Dice che c’è una differenza fra la giustizia e Dio, e che Dio non può farli uscire dalla galera, ma può liberarli dalla schiavitù del peccato, perché li ama. Qualche vescovo dice che Dio ama loro specialmente. L’idea che un Dio bambinello appena nato in una stalla ami specialmente loro fa venire le lacrime agli occhi, e anche certi gran farabutti sono un pò sinceri, come ragazzini presi in fallo. I detenuti sono devoti soprattutto alla Madonna, e il Natale in carcere è una festa della mamma. Quando l’officiante esorta a scambiarsi un segno di pace, i detenuti vorrebbero darla e prenderla a tutti i presenti, mano di carcerato con mano di carceriere, mano di nigeriana con mano di romeno, finché maresciallo e appuntati non mettono fine a quell’allarmante viavai. E comunque C., che ha accoltellato la sua anziana moglie, avrà dato la mano al pivello N. e alla suorina, e per un momento tutti i debiti saranno rimessi a tutti. Intanto, approfittando della ridotta vigilanza, il giovane B., all’isolamento, che aveva fatto il matto per essere portato alla messa anche lui, si è impiccato con la sua canottiera a un calocarta freddo: se muoia o si salvi, non lo diremo. Dopo la messa gli agenti incalzeranno i fedeli che indugiano come scolari alla fine della ricreazione. Passerà però ancora la suora con qualche regaluccio. C’è un pranzo speciale, oggi, e chi può ha fatto una spesa da festa. (Ognuno dei 67 mila detenuti costa 250 euro al giorno allo Stato, il quale spende 3 - tre - euro per il mantenimento quotidiano del detenuto, colazione pranzo e cena…). Così uno strascico di euforia dura ancora, nonostante una sequela di cancelli blindati si sia richiusa su ogni rapporto col mondo di fuori. Volontari, vescovi, educatori e visitatori se ne sono andati, ciascuno a fare Natale con i suoi. È come se si fossero portati dietro l’aria bianca e rossa del Natale. Per due giorni - anche domani è festa - si resterà soli, senza visite, senza posta, senza telefonate. Senza. Si capisce che la vera aria del Natale, l’aria triste, si insedi ora sovrana nelle celle. Una volta si dava a Natale un bicchiere di cattivo spumante a ogni detenuto, e un piccolo mercato moltiplicava le dosi di chi anelava al sonno o alla rissa. I propositi di bontà della mattina scadevano prima del tramonto: bontà e cattività vanno male assieme. Ma anche a spumante abolito - “Economia, Orazio, economia!” - non c’è niente di più triste di un pomeriggio di Natale. Fra poco, si sentirà russare, gemere, urlare. E i televisori a tutto volume, non guardati da nessuno, finché un agente arriverà a dire di spegnere. Poi andrà a sedersi al suo tavolino, in quei rumori di zoo umano. È un giovane agente che prova a studiare perché si è iscritto a legge, è in servizio perché non ha una famiglia propria, e i suoi stanno ad Avellino, così ha sostituito volentieri un collega padre di famiglia. Ha una radiolina accesa e l’auricolare, per ascoltare i racconti dei radicali che hanno passato Natale in carcere. Dietrich Bonhoeffer era un pastore luterano, fu impiccato dai nazisti. In un Natale, dalla prigione, aveva scritto una lettera ai suoi: “Che Cristo sia nato in una stalla perché non trovava posto negli alberghi, è una cosa che un carcerato può capire meglio di altri”. Giustizia: pochi incentivi al lavoro in carcere, grave pecca nella legge di stabilità di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 24 dicembre 2012 Più reati nei prossimi due armi, più insicurezza per i cittadini, più costi per lo Stato. Bel regalo di Natale hanno fatto, con furtiva mossa notturna, i parlamentari che, un secondo prima dell’approvazione della legge di Stabilità, hanno letteralmente scippato 50 milioni dalla prevista destinazione alla giustizia, e in particolare (accanto a 23 milioni per la digitalizzazione dei tribunali) i 27 milioni che avrebbero dovuto rifinanziare e ampliare la legge sul lavoro dei detenuti che imprese o cooperative esterne assumono grazie agli incentivi fiscali e contributivi introdotti nel 2000 dalla legge Smuraglia e da allora finanziati sempre con gli stessi quattro soldi. Già nei mesi scorsi questi soldi erano finiti e i detenuti impiegati erano già scesi a 900 e poi a 700. Stanziare quei 27 milioni, che a regime nel 2015 avrebbe potuto avviare al lavoro 4.000 detenuti l’anno, non sarebbe stato un gesto di buonismo verso i carcerati, ma un atto di sano egoismo per i cittadini e di accorta convenienza per lo Stato. Infatti, mentre ben 7 detenuti su 10 tornano poi a delinquere se hanno espiato la loro pena tutta in carcere, soltanto una percentuale tra il 12% e il 19% incorre in questa recidiva se durante la detenzione in carcere ha avuto la possibilità di entrare nel circuito del lavoro; e se lo Stato dovrà spendere 228 milioni per recuperare nelle carceri 3.800 posti in più entro il 2014, per sottrarre invece alla recidiva un pari numero di detenuti sarebbe bastata una ventina di milioni l’anno sul lavoro in carcere, e solo in costi fissi delle carceri lo Stato ne avrebbe risparmiati più di 250. A proiezioni statistiche invariate, invece, è come se il Parlamento abbia posto le basi perché in futuro tornino a delinquere più di 2.000 detenuti. Chissà se in campagna elettorale ne meneranno vanto quei partiti che imbrogliano gli elettori agitando lo spettro dell’insicurezza. E quei politici che di giorno si inchinano ipocritamente allo sciopero della sete del radicale Pannella o si scappellano ai periodici moniti del capo dello Stato, ma di notte rubano non solo la dignità ai detenuti (20 mila più dei posti disponibili nelle celle, con suicidi 20 volte più frequenti della media tra i detenuti e tre volte più fra gli agenti), ma anche ai cittadini la sicurezza futura. Giustizia: per le carceri niente riforme; Idv, Lega e Destra bloccano tutto di Claudia Fusani L’Unità, 24 dicembre 2012 C’è un destino anche nelle parole. “Il mio primo obiettivo sarà il carcere, rendere più efficace la pena e più umane le condizioni dei detenuti” diceva una radiosa professoressa Paola Severino la sera del 16 novembre 2011 mentre scendeva con i due nipotini la scalinata del salone delle Feste del Quirinale. Aveva appena giurato come ministro Guardasigilli. Anche per questo ha fatto effetto ieri mattina sentirla ammettere la sconfitta nell’aula del Senato. “Questo delle pene alternative al carcere è un testo importante, non è mai stato un’amnistia né un indulto, ha una sua razionalità, avrebbe segnato una svolta culturale nel nostro paese e ne avrebbero potuto beneficiare 2.100 detenuti. Vederlo approvato sarebbe stata una pagina bellissima per concludere questa mia esperienza di governo. Invece vado via con amarezza anche se vi ringrazio per il sostegno che ci avete sempre dato”. Tra i rimpianti di questo governo, per limitarsi al fronte delle competenze del ministero della Giustizia, c’è sicuramente lo stop al disegno di legge sulle pene alternative al carcere. Severino e il suo staff hanno portato in fondo riforme storiche in questi tredici mesi, la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, il nuovo processo civile e i nuovi reati per combattere la corruzione. Hanno anche neutralizzato velleità perverse come quella che avrebbe voluto riformare le intercettazioni e la responsabilità civile delle toghe. Certo, avrebbero voluto fare di più contro la corruzione, per snellire i tempi dei processi e riportare la prescrizione nei giusti ambiti. Impossibile con la strana maggioranza. Il ministro però era convinta, nonostante la chiusura anticipata della legislatura, di portare a casa anche il disegno di legge sulle pene alternative. Che erano due, in sostanza: gli arresti domiciliari per i condannati definitivi per reati non gravi e con pene residue di un anno, con il via libera del giudice e sentite le parti offese; accedere alla pena dei lavori socialmente utili (sempre per reati non gravi) per un periodo tra sei mesi e un anno rinunciando però nei fatti al processo. Se il periodo della messa alla prova è positivo, si estingue il reato. La Camera aveva approvato il testo un mese fa. Severino era sicura di avere il tempo di arrivare fino in fondo. In questo periodo poi si sono ripetuti gli appelli del Presidente della Repubblica contro lo scandalo delle carceri italiane (25 mila detenuti in più rispetto ai posti disponibili). Lo sciopero della fame di Marco Pannella (contro il degrado delle carceri ma anche contro il ddl Severino) poteva essere la spinta per l’ultimo miglio della legge. Il governo, nelle ultime riunioni, ha sempre messo il testo in cima alla lista delle priorità insieme con l’incandidabilità. Ieri mattina l’ultima chance nell’aula del Senato. Ma la Lega ha tirato fuori i cartelli “il governo Monti con i delinquenti” e con Centrodestra nazionale, Idv e il nuovo gruppo Fratelli d’Italia hanno chiesto il ritorno in commissione. D’accordo anche il presidente della commissione giustizia, Filippo Berselli. È finita così. Poiché tra ieri e oggi vengono sciolte le Camere, era l’ultima chance. Il disegno di legge muore. Quando Severino prende la parola nell’aula di palazzo Madama non nasconde la rabbia, seppur nella tradizionale compostezza dei modi. “Non abbiamo presentatoli decreto perché volevamo che questa riforma fosse discussa e approvata dal Parlamento. Sarebbe stata una misura a favore dei disgraziati. Non certo dei colletti bianchi”. Sarebbe stato, ancora una volta, mettersi al pari con altri paesi evoluti dove le misure alternative vengono applicate nel 75% dei casi. In Italia, invece, la percentuale è ribaltata: “L’85 per cento vanno in carcere. Noi avremmo voluto che la detenzione diventasse l’extrema ratio”. Parole che almeno vorrebbe restassero come auspicio per la prossima legislatura. Giustizia: intervista a Mauro Palma “il fallimento sociale si tocca in carcere” di Eleonora Martini Il Manifesto, 24 dicembre 2012 Mauro Palma, direzione nazionale di Sel, sull’azzeramento della legge Smuraglia e il ko del Dl Severino. “Parlamento insensibile e incapace su questi temi. E governo del tutto inadeguato” “Colpito ma non stupito” delle due notizie arrivate ieri dal fronte giustizia, l’ex presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, Mauro Palma, della presidenza nazionale di Sel, giudica che nel merito questo parlamento sia stato “insensibile e incapace” e il governo “inadeguato”. Per la cronaca, quello che sembrava la panacea di tutti i mali - il decreto Severino sulle pene alternative e la messa alla prova, un provvedimento che Renato Schifani avrebbe voluto portare “in dono” a Marco Pannella per convincerlo a smettere lo sciopero della fame e della sete (oggi al 12° giorno, interrotto solo da un bicchiere d’acqua e dalla terapia idratante, a cui secondo i medici bisognerebbe aggiungere a questo punto anche una nutrizione artificiale) è stato abortito in Senato, rinviato in commissione giustizia su proposta del nuovo movimento di La Russa e con l’appoggio di Idv, Lega e parte del Pdl. “Un baratto con la riforma forense” approvata appunto ieri, come sostengono i senatori del Pd. La seconda notizia, ben più grave, è l’azzeramento della legge Smuraglia per il lavoro in carcere, infilato nel ddl stabilità. Nulla di nuovo, dunque? Questo parlamento si è dimostrato strutturalmente non in grado di capire quando e come è necessario applicare l’azione penale. Lo ha dimostrato a più riprese con provvedimenti che attenuano l’azione penale per i reati dei potenti e la inaspriscono nei confronti dei deboli. Ogni volta che si è levata una timida e balbettante voce per riportare l’azione penale e il carcere nei confini che gli sono propri, si è gridato all’indulto mascherato e non si è mai riflettuto su come queste grida si siano poi rilevate del tutto false alla prova dei fatti. E ora con l’apertura della campagna elettorale si cerca di convertire l’insicurezza sociale nel fantasma di un’insicurezza individuale cui si dà corpo sventolando una presunta incapacità di perseguire inadeguatamente i crimini. E infatti, per affossare un provvedimento all’acqua di rose, i senatori della destra hanno tirato in ballo lo spauracchio della liberazione di criminali e della estinzione dei reati “molto gravi contro la pubblica amministrazione”. Appunto. E invece di quel provvedimento non si poteva essere affatto entusiasti ma per altre ragioni: perché malgrado il principio fosse importante, rimaneva inadeguato nei numeri. Avrebbe infatti permesso l’accesso alle misure alternative al carcere solo a qualche centinaio di persone, a fronte di un problema gravissimo. Eppure la Guardasigilli ci teneva tanto... Va dato atto a questo governo di essersi mosso sui problemi della giustizia con un’impostazione diversa da quello precedente. Detto questo, è stato un governo del tutto inadeguato, che si è mosso come in una sorta di esercitazione da laboratorio: è come se davanti a una valanga che ti viene addosso, ti metti a fare test su come deviare piccole quantità di neve. Ben più grave, dunque, lo svuotamento della legge Smuraglia… Non c’è convengo dove non ci si riempia la bocca dell’importanza del lavoro per i detenuti, e poi invece lo si fa diventare un ramo secco. Hanno tagliato il 95% dei fondi per la defiscalizzazione del lavoro ai carcerati. E invece la legge Smuraglia non solo andava rifinanziata, ma anche rafforzata con provvedimenti che mettano a valore le imprese e le cooperative che danno lavoro ai detenuti, supportandole anche all’esterno del carcere per valorizzarle e dare loro gambe per camminare autonomamente. E allora hanno ragione i Radicali quando insistono per candidature che vogliano portare al centro dell’agenda politica il carcere e la giustizia, scartando dal pensiero dominante del giustizialismo... Va detto che anche nelle primarie del centrosinistra l’unico candidato che ha parlato di carcere è stato Nichi Vendola. Mi aspetto che perlomeno chi lo ha fatto porterà nel nuovo parlamento personalità adeguate per far continuare questo discorso. Perché una forza politica che non affronta con un gruppo di parlamentari - ha ragione Pannella - questo nodo politico, non ha capito che su questo si giocano i rapporti di civiltà. Se non si capisce che all’interno del carcere si tocca con mano il punto di arrivo del fallimento sociale, difficilmente si riescono ad affrontare gli altri nodi dell’inclusione sociale. E difficilmente si riuscirà ad essere un fronte progressista anche su altri piani. La sfida dei Radicali è una sfida giusta. A fronte dei balbettii del governo direi “io sto con Marco”, sì, ma soprattutto io sto con questo tema: la legalità dello Stato. Giustizia: finisce l’anno del governo tecnico penitenziario… dopo la farsa è l’ora della politica? di Patrizio Gonnella (presidente di Antigone) Il Manifesto, 24 dicembre 2012 Ho visto un giovane piangere perché incarcerato a dieci anni da un episodio di spaccio. Nel frattempo si era fatto una famiglia e aveva smesso di farsi. Ho visto un ragazzo sulla sedia a rotelle che muoveva solo il viso e a stento una mano incarcerato con l’accusa terribile di pedo pornografia online. Penso che chi lo ha condannato a svariati anni di prigione non lo ha mai visto dal vivo così come l’ho potuto vedere io. Ho visto un giovane somalo finire dentro perché a seguito di uno sgombero di una occupazione abusiva è stato fermato e incarcerato in quanto fumava hashish. Ho visto un direttore di giornale ottenere la grazia mentre molti detenuti si fanno la galera per fatti molto meno gravi. Ho visto otto persone giunte da poco in galera dividersi una cella di quindici metri quadri, bagno alla turca compreso. Ho sentito nelle sezioni un freddo cane, io che avevo cappotto e cappello. Ho visto le lettere di un ragazzo che implorava aiuto al papà per le violenze che stava subendo contro le quali non sapeva come difendersi. Ho sentito dire nelle aule Parlamentari che non è ancora arrivato il momento di approvare la legge che incrimina la tortura. Eppure questa è stata la legislatura nella quale è accaduto lo scandalo della morte violenta di Stefano Cucchi, e vi sono state le sentenze della Cassazione sulla Diaz e del tribunale di Asti che hanno aperto uno squarcio sulla tortura in Italia. Di fronte a tutto questo la risposta del mondo politico è stata un mix tragicomico di chiacchiere, promesse e lacrime di coccodrillo. Si è conclusa in questo modo la farsa penitenziaria di fine anno. Niente più disegno di legge sulle sanzioni alternative e sulla messa alla prova. Azzeramento dei fondi a copertura della legge Smuraglia sul lavoro penitenziario. Associazioni e cooperative saranno a breve costrette a licenziare i loro dipendenti detenuti. Il sovraffollamento aumenterà ulteriormente. Così finisce l’anno del governo tecnico penitenziario. Finisce miseramente. Finisce nella ipocrisia di tutti quelli che si sono affannati a dare ragione a Marco Pannella. Mentre gli davano ragione a parole lo sconfessavano in Parlamento. Alla prova dei fatti, tutti si voltano dalla parte opposta. Sarà questa pantomima che ci dobbiamo attendere anche nella prossima legislatura? I garantisti, quelli veri, non Ghedini o Sallusti per intenderci, sono stati uno ad uno espulsi dall’agorà parlamentare. Nel frattempo la questione carceraria è diventata una questione pubblica. Addirittura è stata riconosciuta per legge alla stregua di una emergenza nazionale. Sono intervenuti il Capo dello Stato e il Pontefice a ricordarlo. Per Pd e Sel questo è il tempo della formazione delle primarie, delle liste, delle elezioni. Vedremo cosa succede. Vedremo se il tema penitenziario e del garantismo penale sarà adeguatamente rappresentato. Vedremo se nel campo democratico e della sinistra una nuova classe dirigente si sostituirà per passione, umanità e competenza a quella che oggi ci ha portato al disastro penitenziario. Vedremo se gli ultimi della scala sociale, i detenuti, avranno qualcuno che lotterà per loro. L’esperienza degli ultimi anni è stata desolante. In questi giorni, girando tra operatori della giustizia, volontari e detenuti si percepisce un senso di vuoto, di abbandono, di paura. Il Governo Monti gli ha voltato le spalle. La sinistra non li lasci soli. Giustizia: Gonnella (Ass. Antigone); 69mila carcerati per 45mila posti letto, una vergogna Intervista a cura di Gianluigi Da Rold Il Sussidiario, 24 dicembre 2012 Questa volta l’hanno chiamata “legge di stabilità”, termine un po’ accademico e anche un pò pomposo rispetto alla vecchia “finanziaria”. Un tempo si diceva che tutte le “finanziarie”, nel rush finale della votazione, diventavano una sorta di “assalto alla diligenza” dove corporazioni, enti tra i più strani e conturbanti, altre iniziative “tipicamente italiane” riuscivano ad aggiudicarsi un pezzetto della “torta” in discussione. È forse per questa ragione che il “governo dei tecnici”, presieduto da Mario Monti, ha scelto una discontinuità lessicale per distinguersi nell’innovazione anche sui conti e sui programmi dello Stato. Solamente che, anche da una prima spulciata, qualche milionata (in euro) finisce sempre ad alcuni annuali abbonati e nello stesso tempo ci si dimentica di reali bisogni, di ottime iniziative che sembravano ormai acquisite. C’era la “legge Smuraglia”, ad esempio, che riguardava direttamente il lavoro che svolgono i detenuti sia all’interno del carcere, sia all’esterno, quando godono del regime di semilibertà. Un percentuale consistente della popolazione carceraria italiana. Che cosa prevede la “legge Smuraglia”? Che le imprese che assumono, fanno lavorare i detenuti hanno oneri sociali ridotti, in termini più semplici il costo del lavoro è inferiore. Ora, proprio in questi giorni, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha ricordato lo scandalo delle carceri italiane. Marco Pannella continua il suo sciopero della fame e della sete di fronte a questo scempio. Non è una stravaganza. Per la condizione delle sue carceri e per il modo in cui si è costretti a vivere in carcere, l’Italia è stata più volte richiamata e additata come pessimo esempio dall’Onu, dalla Corte di giustizia europea, dalla stessa Unione europea. Per avere solo un indicatore, basti pensare che far vivere una persona in meno di tre metri quadrati è considerato una tortura. Detto questo, il lavoro per i detenuti è ancora qualche cosa di più, un autentico valore aggiunto per recuperare una persona, per ridarle una speranza di vita e di reinserimento nella vita sociale. Patrizio Gonnella è il presidente dell’Associazione “Antigone” e da anni si batte e opera attivamente per di diritti di chi ha sbagliato ed è recluso in carcere. Che cosa è successo, Gonnella? Con la legge di stabilità hanno definanziato la “legge Smuraglia”. In altri termini, le agevolazioni che avevano le imprese sociali, le cooperative soprattutto, nell’assumere e fare lavorare i detenuti, sia quelli all’interno del carcere, sia quelli che sono in semilibertà, non avranno più oneri sociali ridotti, non godranno più di facilitazioni e quindi assumere una persona in stato di detenzione avrà un costo del lavoro uguale a quello di una persona libera. Si può immaginare e prevedere quale conseguenza avrà un simile provvedimento. Con la crisi che si sta vivendo, con tutte le imprese in difficoltà, molti non saranno più assunti, alcuni verranno licenziati e resteranno senza lavoro. È molto importante il lavoro per un detenuto? Guardi, il lavoro per una persona che sta in carcere è una specie di “ponte” con il mondo esterno. Spesso è di importanza fondamentale. Sia chiaro, c’è lavoro e lavoro. Chi fa solamente lavori generici, le pulizie ad esempio, occupa il più delle volte il suo tempo in qualche modo. Ma in questi anni, molti detenuti hanno imparato un mestiere. C’è chi ha insegnato loro come fare i pasticceri o altri mestieri artigianali. In questo caso si hanno dei lavori qualificati, di ottima qualità e nello stesso tempo si innesta un processo di formazione che dà veramente un ruolo e una speranza a tanta gente che ha sbagliato e vuole riscattarsi. È questo l’aspetto più bello che si è visto in questi anni pur nella sofferenza e nella paurosa carenza delle strutture carcerarie italiane. È una buona percentuale quella dei detenuti lavoratori? Sì, possiamo dire che si stava migliorando. Certo che se lei definanzia la legge che agevola di fatto, che favorisce questo tipo di contratto particolare di lavoro, scoraggia non solo le imprese per le agevolazioni che avevano, ma scoraggia gli stessi detenuti, la stessa popolazione carceraria, per le difficoltà che crea e perché si sente del tutto emarginata. Come si può giudicare la condizioni dei carcerati e delle carceri italiane? In questo caso è inutile fare tanti giri di parole e fare discorsi complessi. Basta fornire solo un dato indicativo: a fronte di una popolazione carceraria di 69mila persone, ci sono 45mila posti letto. Che cosa si può aggiungere di più di fronte a una simile emergenza, anzi a una simile vergogna? Giustizia: Equality Italia; nella “Agenda Monti” neanche una parola sui diritti umani e civili Dire, 24 dicembre 2012 “Il premier Monti ha presentato in pompa magna la sua agenda chiedendo a partiti e società civile di esprimersi. Nelle 25 pagine non una parola è pronunciata su: famiglie, biotestamento, carceri, unioni gay, femminicidio, omofobia, razzismo, emarginazioni. Insomma il professor Mario Monti si dimentica dei diritti umani e civili, propone uno schema di politiche familiari, dove al centro c’è un ruolo antico della donna, come soggetto su cui grava la cura e la genitorialità”. Così Aurelio Mancuso, presidente Equality Italia, che punta il dito contro “una visione che non tiene conto della realtà sociale, della modernità, delle politiche dell’Unione europea. Per governare un Paese democratico e complesso come l’Italia o si ha una proposta complessiva rivolta a tutte le pluralità culturali e sociali o, difficilmente si riuscirà a recuperare l’arretramento in cui purtroppo siamo immersi da oltre vent’anni”. Lettere: il boss di mafia Bernardo Provenzano è da giorni in coma profondo… Ristretti Orizzonti, 24 dicembre 2012 La notizia è rimbalzata in tutti i notiziari. I medici danno per certo che non si riprenderà. Provenzano è sottoposto al 41 bis da quando venne arrestato. Nonostante i referti medici che parlano di coma irreversibile, il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e il Ministro Severino non intendono revocargli il 41 bis. È impossibile rimanere silenti di fronte a questo. Mi ribello alla condanna a morte di un detenuto. Qualsiasi reato, atrocità abbia commesso, non accetto la condanna a morte e il non revocare il 41 bis, in questo caso, lo è. Uno Stato democratico non può fare questo, deve avere strumenti e modalità diversi dalla vendetta. Giulio Petrilli Costituenda Associazione contro il 41 bis Parma: il Garante; detenuto sottoposto a dialisi tre giorni la settimana, non può stare in carcere La Città di Salerno, 24 dicembre 2012 È arrivato al garante per i diritti dei detenuti in Emilia Romagna il caso di Paolo Maggio, il 23enne di Battipaglia in carcere a Parma e gravemente ammalato. Il garante lo ha incontrato lunedì scorso, riscontrando un ulteriore peggioramento rispetto alle condizioni di salute segnalate nei mesi scorsi dal suo legale Rosanna Carpentieri. Un quadro clinico compromesso, che costringe il giovane a sottoporsi per tre giorni a settimana a dialisi alle sei del mattino e che ha indotto il garante a indirizzare alla direzione carceraria di Parma una nota di sostanziale incompatibilità con la detenzione in cella. Il calvario di Maggio (che sta scontando una condanna a ventitré anni per omicidio) non è però finito. Dopo la nota del garante, e su parere della direzione sanitaria carceraria, il magistrato di sorveglianza ha dato via libera al trasferimento del 23enne nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Una soluzione che tuttavia non soddisfa i suoi legali, che ritengono il reparto inadeguato a garantire a Maggio l’assistenza necessaria per le sue patologie. Lo stesso detenuto ha espresso il timore di essere abbandonato al suo destino, preferendo addirittura restare in carcere. Il caso torna quindi all’attenzione del garante, a cui gli avvocati del giovane hanno chiesto di esprimere un parere sulle condizioni del reparto e sulla sua compatibilità con le condizioni di salute del giovane. La verifica dovrebbe essere eseguita nei prossimi giorni, e se il parere sarà negativo si aprirà la strada di una misura alternativa. Padova: Kabir, il panettone al moscato di Pantelleria, dal carcere alla tavola del Papa di Marinella Bandini www.korazym.org, 24 dicembre 2012 Con il panettone sono diventati noti al “grande pubblico”. Il 2012 è stata una passerella trionfale per “I dolci di Giotto”, la pasticceria del penitenziario di Padova, con un pieno di premi e riconoscimenti. Anche il Papa ordina il panettone del carcere da qualche anno, per i suoi regali personali. E a Natale, sulla sua tavola, ci sarà il nuovo arrivato, “Kabir”, al moscato di Pantelleria, nato dalla collaborazione con l’azienda vinicola Donnafugata di Marsala. Ma “Giotto” non è solo i panettoni. E un altro dono “d’eccellenza” è stato consegnato in questi giorni a Benedetto XVI, sfornato - anche qui è il caso di dirlo - dai ceramisti della cooperativa. Si tratta del No. 1/500 e 1/250 rispettivamente delle serie “Giustizia e ingiustizia” e “Fede e infedeltà”, riproduzione di virtù e vizi dagli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, luogo simbolo di Padova. Come il lievito nella pasta. Così è la storia della cooperativa sociale “Giotto”. Sono oltre 25 anni da quando nel 1986 un manipolo di ragazzi freschi di laurea in scienze agrarie e forestali fonda la società e inizia a lavorare nel settore del “verde”. Cinque anni dopo l’incontro con il carcere. Siamo tra il ‘90 e il ‘91 quando il “Due Palazzi” deve essere inaugurato e serve chi allestisca gli spazi verdi. Il gruppo partecipa al bando. Ma - complici i ritardi burocratici dell’assegnazione - un’idea si fa strada e attecchisce: la cooperativa si impegna a formare carcerati che possano svolgere questo tipo di lavoro e manutenzione. Così “Giotto” entra nel penitenziario padovano, e inizia a lavorare con i primi 20 detenuti. Gli anni passano e la pasta lievita: dal 2001, con la legge muraria che incentiva il lavoro nelle carceri, i detenuti che lavorano per la cooperativa diventano 120 e le attività si diversificano. Dietro le sbarre si iniziano ad assemblare biciclette (circa 150 - 200 al giorno) e valigie per importanti marche, nasce un call center, il laboratorio ceramico e quello dei manichini di carta, e anche a ristorazione e la pasticceria, sotto la guida di tre maestri chef e tre maestri pasticceri. Sua Eccellenza… L’insistenza sulla qualità e la professionalità sono da subito i tratti distintivi del lavoro di Giotto. Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Rebus (di cui la cooperativa fa parte, e che impiega anche 70 persone con disabilità) non si stanca di ripeterlo: “il panettone deve essere buono, non sociale”, ovvero deve “stare sul mercato” e possibilmente “meglio degli altri”. Tanto che il lavoro dietro le sbarre avviene secondo le regole del mercato, anche dal punto di vista dell’inquadramento contrattuale dei carcerati. Dire “sociale” - insiste Boscoletto - non può essere l’equivalente di “meno qualificato”. E in tempi di crisi, questa insistenza ha permesso alla cooperativa di resistere. E proprio la crisi ha mostrato che è l’eccellenza a vincere. Come l’alta pasticceria di Giotto che da sola contribuisce al 10 per cento del fatturato ed esporta in tutti i continenti. Come i manichini di carta e le formelle di ceramica, un prodotto di nicchia, se si pensa che ne vengono prodotte 750 all’anno e tutte numerate. E che quest’anno sono ancora più preziose: saranno realizzate due serie da 500 e da 250 pezzi, rispettivamente su “Giustizia e ingiustizia” e “Fede e infedeltà”. L’idea è nata dalla visita del ministro Paola Severino in carcere lo scorso settembre, e dall’apertura dell’Anno della fede a ottobre. La No. 1 di entrambe le serie è stata donata al Papa, la No. 2 al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Il lavoro è modificare e costruire quel che ho tra le mani, e contemporaneamente modifico e costruisco me stesso”. Chi parla sta scontando la sua pena ai “Due Palazzi”. E le sue parole arrivano al cuore della questione, come osserva il presidente del Consorzio: la dignità di chi lavora risiede nel fatto di essere una persona, prima ancora che nel lavoro che svolge, e poi che bisogna impegnarsi col lavoro al cento per cento. E tutto questo ha risvolti a livello del singolo, ma anche della società. Lo dicono i numeri della “recidiva”, la possibilità che chi esce dal carcere torni a delinquere. Attualmente, la popolazione carceraria è di circa 67 mila persone, di cui 700 impegnate in progetti lavorativi. A fronte di una recidiva media del 68 per cento (stime ufficiali), tra chi lavora essa crolla al 15 per cento con punte dell’uno per cento tra chi inizia i percorsi all’interno del carcere per continuarli all’esterno. Con notevoli benefici economici e sociali per tutta la collettività: basti pensare che mantenere in carcere ogni detenuto costa allo Stato circa 250 euro al giorno. Verbania: l’evasione della “Banda biscotti”, dal carcere agli scaffali di Eataly di Antonietta Demurtas www.lettera43.it, 24 dicembre 2012 Dal laboratorio del carcere a Eataly, la storia dei detenuti - pasticceri. Che hanno un’altra chance grazie al lavoro nel penitenziario. Anche contro la crisi. Ogni mattina dentro la scuola di formazione penitenziaria e la casa circondariale di Verbania si leva un dolce profumo di mandorle, burro, cacao e miele. I responsabili sono i detenuti della Banda biscotti, arruolati nel laboratorio di pasticceria del carcere che dal 2009 sforna baci di dama, lingue di gatto, apucce, margherite, damotti e polentine. Frollini per tutti i gusti che i detenuti con pene inferiori ai tre anni, creano e vendono ogni giorno al di là delle sbarre. Thierno non è in carcere per la prima volta... “Le apucce con il miele sono le più difficili da fare, i miei preferiti sono invece i baci di dama”, racconta Thierno, 31 anni, detenuto dal luglio 2011: 25 mesi di detenzione per accumulo di pene legate alla vendita di borse contraffatte e spaccio. Thierno, di origini senegalesi, non è in carcere per la prima volta: “Lo so, sono una testa calda, ma quando arrivi a Milano e non trovi un lavoro che fai? Se non mangi e non hai soldi alla fine ti metti nei guai”. Nel suo Paese faceva il commerciante di tessuti, in Francia era aiuto cuoco in un ristorante, in Italia è finito in galera. “Ne ho viste tante e qua non mi lamento, questa per me non è una prigione, ma una seconda possibilità, sto imparando un mestiere”, dice mentre arrotonda palline di pasta frolla davanti a una teglia. La Banda biscotti è nata nel 2008 da un’idea del cuoco del carcere di Verbania Gianluca Giranni della Fondazione casa di carità arti e mestieri, che organizzava corsi di cucina per i carcerati e un giorno si chiese: “Noi formiamo queste persone, ma poi che fine fanno?”. Con i suoi detenuti ha iniziato così a sfornare biscotti. Nel 2009 ha aperto il laboratorio Banda biscotti, che oggi conta una sede dentro la casa circondariale, una nella scuola di formazione penitenziaria adiacente, un’altra nel carcere di Saluzzo e una a Verzuolo. Il marchio, che racconta in maniera auto ironica la sua storia, ha avuto subito successo. Nel 2010 è arrivato sugli scaffali della fiera ‘Fai la cosa giustà e non è sfuggito all’attenzione di Ctm altro mercato che ha inserito i biscotti nel proprio circuito distribuendoli nelle oltre 300 botteghe in tutta Italia sotto l’etichetta “Solidale italiano, economie carcerarie”. La distribuzione è continuata attraverso il tam tam dei Gruppi di acquisto solidale e i piccoli negozi. Poi è arrivata Eataly che ne ha apprezzato la bontà e iniziato la distribuzione nei suoi punti vendita. Oggi dal laboratorio di Verbania escono circa 120 chilogrammi di biscotti al giorno e i pacchetti da 200 grammi costano dai tre ai quattro euro. Chi ci lavora, oltre al corso di cucina nella casa circondariale, deve aver fatto un tirocinio di sei mesi che viene retribuito con 600 euro al mese. Poi si passa all’assunzione attraverso la cooperativa Divieto di sosta, nata nel 2007 a Verbania con l’obiettivo di lavorare per un reinserimento dei detenuti nella società civile e oggi gestisce la Banda biscotti: “Diamo circa 1.000 euro al mese”, spiega Annarita Biolatti, educatrice, “e ai carcerati viene detratta dalla busta paga la quota mensile di vitto e alloggio che devono pagare in carcere (circa 60 euro)”. Grazie a questi soldi Thierno non solo riesce a comprarsi qualche genere di conforto, ma a mantenere la moglie e il figlio di sette anni. Come tutti ha iniziato facendo il corso di cucina in carcere, poi ha lavorato nel laboratorio di pasticceria interno e infine è passato a quello situato nella sede della scuola di formazione penitenziaria. Qui possono andare i detenuti cui si applica l’articolo 21 (chi secondo l’ordinamento penitenziario può lavorare all’esterno del carcere e tornare la sera), quelli in semilibertà e chi ha avuto problemi di giustizia, ma ha ottenuto l’affidamento ai servizi sociali. Tra questi c’è Marco, 22 anni: “All’inizio non mi trovavo bene, ma ora mi piace fare biscotti, e anche se è un pò monotono, con i ragazzi ci facciamo compagnia”. Luciano: “Appena esci, la vita ti sembra più dura che dentro” A lavorare da ormai tre anni per la Banda biscotti è Luciano, 32 anni, ex detenuto. Lui insieme con un altro ex carcerato sono rimasti a lavorare per la cooperativa anche una volta liberi. “Appena esci, la vita ti sembra più dura fuori che in carcere”, racconta mentre prepara l’impasto per i dolci, “devi trovare qualcuno che sia disposto a darti un lavoro, cercarti una casa, pagare le bollette, ricominciare daccapo”. Cose normali, ma quando passi tanto tempo chiuso dietro le sbarre “senza sapere nulla di quello che succede nel mondo, una volta fuori trovi tutto cambiato e non sai come muoverti”, spiega Luciano. A luglio, quando è stato liberato, si è confrontato con la crisi: l’azienda dove lavorava non poteva più riprenderlo e molte attività avevano abbassato la saracinesca. Per fortuna un’alternativa c’era: rimanere con la Banda biscotti. Che ha dimostrato come anche il tempo passato in carcere può essere usato per imparare qualcosa. “Non dobbiamo dimenticare mai che questi detenuti sono persone prima ancora che delinquenti”, riflette Annarita, “e se passano anni a vivere in un mondo alienato da tutto come il carcere, senza fare niente, una volta usciti possono avere ancora più problemi”. Ora Luciano è un dipendente della cooperativa Divieto di sosta, ogni giorno lavora dalle 6.30 alle 17 e tra impasti alle mandorle e di cacao fa tante bontà. Ristorante Gattabuia, il primo progetto della cooperativa Divieto di sosta Il primo progetto della cooperativa fu Gattabuia, un ristorante vicino al laboratorio Banda biscotti, dove però, a differenza del laboratorio, possono entrare tutti. Nato come una mensa sociale oggi dà da mangiare anche agli studenti delle scuole medie e ai semplici cittadini. Menù fisso di otto euro a pranzo e 10 a cena. A lavorare in cucina ci sono due detenuti articolo 21 di 28 e 21 anni, una 35enne agli arresti domiciliari, un ex detenuto e altri cittadini. “La nostra idea è quella di far sentire utili queste persone e aiutarle a reinserirsi nella società a cominciare dal mondo lavorativo, che richiede regole ben precise”, spiega a Cristina Livraghi, gestore di Gattabuia e dipendente comunale. Un obiettivo “non sempre facile da raggiungere”, ammette Cristina, “ma noi ci proviamo e i risultati ci premiano di tanta fatica”. I locali del ristorante sono dati in comodato d’uso dal Comune, gli arredi sono costruiti tutti da Ferro e fuoco jail design, il laboratorio artigiano che si trova dentro al carcere di Fossano. I gadget sia di Gattabuia sia di Banda biscotti - t-shirt, spille, magneti, tutine e bavaglini per bambini - sono invece confezionati dentro la prigione di Torino. I volantini e il materiale per le confezioni sono fatti dai detenuti di Novara. Un circuito virtuoso capace di trasformare il tempo passato dietro le sbarre in un codice a barre che rende produttivo il tempo della pena e insegna sempre qualcosa. Perché un’alternativa alla delinquenza può esistere. Chieti: la favola greca per i figli dei detenuti di Francesco Lo Piccolo www.huffingtonpost.it, 24 dicembre 2012 I libri sono come gli amici. “Veri amici” come Max, Mix e Mex, il bambino, il gatto e il topo di Luis Sepulveda. Veri amici perché si aiutano tra loro a superare qualsiasi difficoltà. Peccato che in carcere non è facile trovarli i libri, perché in tale deserto di cultura che sono le celle, dove le stanze sono già piene di gente (anche 9 persone in 18 metri quadrati come capita al Marassi di Genova) anche trovare un libro (e dunque un amico) è quasi un’impresa. Per chi non lo sa, in carcere non ci sono le sale di lettura; in carcere per avere un libro, anche solo un vocabolario di lingua italiana, devi fare tanto di domandina. E allora quando capita che arrivano i libri, allora in carcere capita la rivoluzione. L’autore di questa rivoluzione in atto in questi giorni, col Natale alle porte, nella casa circondariale di Chieti è un greco di nome Zaccaria Sakkis, nato a Volos nel 1915, dunque un uomo di 97 anni ma con la freschezza di un bambino che ama ancora le favole, che le favole le scrive, poi le raccoglie in libri ricchi di disegni, quindi i libri li fa stampare in migliaia di copie, infine li regala alle scuole, a Medici senza frontiere, all’Unione per l’infanzia, al Fai, agli ospedali per bambini, alle biblioteche, ai teatri. Da ieri anche al carcere di Chieti per i figli dei detenuti grazie alla bella idea di Annamaria, una delle educatrici dell’istituto. Mi racconta Annamaria: Tutto è cominciato quando mi è capitato tra le mani un libro di un bel verde chiaro dal titolo affascinante: “Il bambino e il fiore”. A pagine due, l’autore, appunto Zaccaria Sakkis, spiega che scrive favole per trasmettere ai bambini il piacere di leggere e coltivare la fantasia; addirittura aggiunge che non serve acquistare il libro, che lo regala, basta chiederglielo, basta scrivergli... che ne ha già regalati oltre trentamila... che la fantasia trasformata in una pagina scritta è una magia che rende la vita più bella. E allora gli ho scritto, perché ho pensato che era un modo di offrire un dono ai figli dei detenuti, un’idea per aderire alla campagna nazionale di sensibilizzazione sulla genitorialità in carcere. Essere genitori oggi non è semplice, ma da genitori detenuti è ancora più difficile. Ed anzi, tra tutte le limitazioni del carcerato credo che la peggiore sia proprio la separazione dai figli, l’impossibilità di poterli accompagnare nella vita, non poter intuire le loro difficoltà e non poter godere delle loro piccole soddisfazioni e prime vittorie. Cosicché ogni piccolo gesto che possa aiutare ad affrontare questa difficile condizione, in carcere, diventa importante. Allora ci ho provato, ho chiamato al numero che era scritto nel retro della copertina, ho anche mandato una mail; lo scrittore ha mandato una primo pacco di libri e ora ci ha scritto di nuovo se ne volevamo ancora... e così, nel giro di una decina di giorni, nel carcere di Chieti sono arrivate alcune centinaia di libri di favole “C’era una volta”, “Le fiabe del nonno”, “Il bambino e il fiore”. E in ogni libro la stessa scritta: non serve acquistare il libro, lo regalo, basta chiedermelo, basta scrivermi. Ancora Annamaria: Ho visto un bimbetto con enormi occhi neri che era riuscito ad impilare sei - sette libri da portarsi a casa, l’ho visto che mostrava tutto orgoglioso a suo padre la sua “torretta” di fiabe. Davvero mi piacerebbe poter inviare al signor Sakkis certe immagini di gratitudine e speranza, il dettaglio di quegli occhi sgranati, l’espressione dei bambini che arrivano in carcere con la convinzione che questo luogo gli abbia sottratto qualcosa e restano attoniti quando qualcosa, invece, per una volta gli viene donato. E a chi mi chiede chi ci ha dato questi libri rispondo che ce li ha dati uno scrittore greco, mio amico, anche se non lo conosco personalmente. Un amico, come un libro, perché, come dice Luis Sepulveda i veri amici si aiutano tra loro a superare qualsiasi difficoltà. E in carcere i libri possono servire soprattutto a questo. Ad aiutare i padri detenuti e ad aiutare i bambini dei detenuti che in casa forse un libro non l’hanno mai avuto. Grazie a Zaccaria Sakkis. Oristano: detenuto aggredisce due agenti problema sicurezza a Massama L’Unione Sarda, 24 dicembre 2012 Da soli dovevano controllare una trentina di detenuti durante l’ora d’aria nel nuovo carcere Calci e morsi, prima di essere bloccato. L’Ugl protesta per le carenze negli organici. Ha preteso di fare la doccia fuori orario e, nel momento in cui è arrivato il rifiuto, si è scagliato contro due agenti della polizia penitenziaria. Il detenuto, un marocchino, appena trasferito dal carcere di Maco - mer a quello di Massama, non si è fermato di fronte al diniego, ha opposto resistenza ed ha morso alle mani e alle braccia i due agenti. Entrambi sono finiti al pronto soccorso con delle ferite giudicate guari - bili in sette giorni di cure. Niente di serio, insomma. L’episodio si è verificato venero! scorso nel primo pomeriggio all’interno del nuovo carcere di Massama. Come ha confermato anche il segretario regionale dell’Ugl penitenziari, Salvatore Argiolas, l’episodio è accaduto durante l’ora d’aria. Secondo quanto si è appreso il detenuto, un marocchino di trent’anni, ha preteso di fare la doccia fuori dell’orario consentito e ha opposto resistenza passiva ai due agenti che in quel momento stavano controllando una trentina di detenuti di una delle sezioni del carcere di Is Argiolas. Il nordafricano ha insistito nelle sue richieste sino a quando è stato bloccato dagli agenti Per tutta risposta l’uomo ha reagito e ha morso i due alle braccia e alle mani dopo aver rifilato loro anche qualche calcio. Il detenuto è finito in cella mentre i due agenti sono stati accompagnati al San Martino. I medici li hanno medicati e dimessi subito dopo, assegnandogli una prognosi di una settimana. La lite è avvenuta davanti agli altri detenuti che prendevano l’ora d’aria: questi hanno manifestato la solidarietà nei confronti del detenuto marocchino, ma non sono intervenuti nella lite. Dall’Ugl regionale è arrivata, dopo l’episodio, una nuova denuncia sulla carenza di organico degli agenti di polizia penitenziaria. Salvatore Argiolas ha ammesso che in quella circostanza due soli agenti stavano controllando oltre trenta detenuti, evidentemente un po’ troppi. L’esponente sindacale ha ribadito la necessità di adeguare l’organico in una struttura di quel livello, soprattutto in vista dell’imminente arrivo - si parla di gennaio - di un’ottantina di detenuti ad alta sicurezza. Il loro arrivo, come peraltro aveva confermato anche il capo del dipartimento nazionale del Dap, avverrà però solo dopo il termine dei lavori di sistemazione del nuovo carcere. Un’impresa sta infatti sistemando l’impermeabilizzazione dei solai e del tetto, dove si sono registrate infiltrazioni che hanno provocato l’allagamento di alcune sezioni della struttura appena ultimata. La conferma dell’arrivo dei detenuti in regime di alta sicurezza è provata anche dai recenti corsi di aggiornamento al quale è stata sottoposta alcune settimane fa una sessantina di agenti nella scuola di Monastir. Roma: ministro Severino a Regina Coeli, pranza con agenti e saluta detenuti Adnkronos, 24 dicembre 2012 Dopo la conferenza stampa del premier Mario Monti, il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha pranzato con gli agenti della Polizia penitenziaria del carcere romano di Regina Coeli. Il ministro li ha ringraziati per “la professionalità e l’umanita”‘ dimostrate nel loro lavoro, pur nelle condizioni difficili in cui sono costretti a operare. Il guardasigilli si è poi fermata nella rotonda, dove si affacciano i bracci che ospitano le celle, per salutare i detenuti. Sassari: tanta generosità a San Sebastiano per il pranzo di Natale dei detenuti www.sassarinotizie.com, 24 dicembre 2012 Probabilmente questo sarà l’ultimo Natale che i detenuti del carcere di Sassari trascorreranno nel vecchio penitenziario di San Sebastiano. Sarà per questo, o perché la condizione dei detenuti è sempre viva nella sensibilità di questa città, che anche quest’anno tanti cittadini e istituzioni di Sassari sono stati presenti e hanno dato un concreto contributo per rendere più umano, ricco e pieno di affetti, il Natale dei detenuti e dei loro familiari. L’evento più significativo si è svolto oggi, domenica 23 dicembre. È stato un ulteriore riconoscimento al valore della genitorialità che gli operatori del carcere hanno voluto rinforzare organizzando un pranzo per i figli dei detenuti presenti: otto genitori della sezione maschile e quattro mamme della sezione femminile hanno potuto fare il pranzo di Natale insieme alla loro famiglia. Nelle sale colloqui del carcere, addobbate a festa, sono stati allestiti i tavoli che hanno ospitato i circa 50 ospiti, che hanno così condiviso questo momento di affetto e di spensieratezza, reso possibile dal contributo di tante persone che qui si intende ringraziare pubblicamente: i generi alimentari sono stati offerti dal presidente del Rotary Club Sassari Nord, e cucinati nelle cucine del carcere da Vittorio Mura, chef di cucina, che ha aderito con entusiasmo e grande professionalità alla richiesta di contribuire alla riuscita dell’evento. Al pranzo sono stati distribuiti, da un detenuto travestito da Babbo Natale entusiasta e molto preso dal suo ruolo, i ricchi sacchi di doni offerti a ciascun bambino e alle mamme. I doni per i figli e le loro mamme sono stati offerti da Anna e Stefano Sardana, Anna e Chicco Passino e, come per il passato, dai bambini della classe di suor Giuliana delle suore Manzelliane. Un altro grande contributo a rendere più serena tutta la detenzione, e non solo il momento di Natale, è stato reso possibile da una bella iniziativa del Rotary Club Sassari Silki, da tempo attento e presente rispetto ai bisogni della popolazione detenuta: all’ormai consolidata tradizione di offrire l’uovo di Pasqua ai bambini dei detenuti, quest’anno il Presidente del Club ha voluto aggiungere un’altra apprezzatissima iniziativa, sostenendo finanziariamente l’attività di una bibliotecaria, che ha inventariato e catalogato una grande quantità di libri, già nella disponibilità del carcere ma non utilizzabili per la mancata presa in carico. La lettura, com’è facilmente intuibile, rappresenta per un recluso una risorsa preziosa e insostituibile, che lo aiuta a maturare, ad aprirsi ad orizzonti più vasti e positivi e a trascorrere proficuamente il tempo dell’ozio forzato. Con queste iniziative, rese possibili anche dalla grande disponibilità degli operatori penitenziari, in particolare l’area trattamentale, il Cappellano e la Caritas diocesana, la garante dei detenuti e la Polizia Penitenziaria, il carcere di San Sebastiano saluta anche il gradito ritorno alla direzione dell’istituto della nuova dirigente Patrizia Incollu. Bolivia: dopo le sommosse nelle carceri il parlamento approva l’indulto per 2mila detenuti www.today.it, 24 dicembre 2012 Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri. Nel weekend il parlamento boliviano ha dato l’ok definitivo alla legge per l’indulto. Quasi 2.000 detenuti usciranno di prigione. Il provvedimento arriva al termine di una settimana di scontri e proteste feroci nelle carceri. Evo Morales, dopo una serie di tentennamenti, si è visto pressochè “costretto” a firmare il provvedimento per sbloccare la situazione. Il vicepresidente della Bolivia e presidente del parlamento, Álvaro García Linera ha dichiarato che si tratta di una decisione “umanitaria” di Evo Morales per “favorire i detenuti che non sono accusati di reati gravi come omicidio, stupro, terrorismo o separatismo”. Il ministero dell’Interno spiega che l’indulto è destinato ai detenuti che hanno commesso reati minori, che hanno scontato i due quinti della pena, che hanno tra i 16 e i 25 anni e, soprattutto, le donne in gravidanza”, come anche le persone condannate dalle legislazione antidroga, “ma con pene minori ai dieci anni di carcere”, ade sempio coloro che hanno commesso questo tipo di reato per la prima volta o hanno trasportato quantità minime di droga. Inoltre potranno beneficiare dell’indulto i detenuti condannati per il primo delitto che rientrino tra gli uomini con più di 58 anni, le donne con più di 55 anni, i giovani fino a 25, i disabili gravi che abbiano scontato un terzo della pena e i malati terminali. Vi potranno accedere anche i genitori con figli a carico sotto i 12 anni che vivono in carcere e abbiano scontato un quinto della loro pena, oltre ai prigionieri per reati minori con sanzioni fino a 8 anni che abbiano già trascorso un terzo del tempo previsto in cella. La misura era stata richiesta con urgenza dalla Direzione del regime penitenziario proprio per “motivi umanitari”: l’organismo ha sottolineato l’urgenza di decongestionare le carceri boliviane, che ora come ora ospitano 13.840 reclusi, 3.000 in più del 2011. Le proteste organizzate nelle carceri negli ultimi giorni puntavano ad ottenere l’indulto ma anche il versamento alle autorità penitenziarie di arretrati per il mantenimento dei carcerati. La situazione sanitaria nelle carceri della Bolivia è pessima. La fatiscenza delle strutture e l’eccessivo affollamento portano al diffondersi di malattie che in Europa sono ormai sconosciute come la tubercolosi. L’assistenza sanitaria è assente e quel poco che c’è si deve alle organizzazioni di volontariato e alle chiese locali. Rompersi una gamba in carcere può significare rimanere storpi per sempre. Ma il dato più incredibile è che le carceri in Bolivia sono piene di donne e bambini. Infatti se la famiglia del detenuto non ha mezzi di sostentamento, tutti seguono in prigione l’uomo. A Palmasola dei circa 5.000 abitanti del carcere solo 3.000 sono detenuti. Gli altri sono familiari al seguito. Kuwait: torturarono a morte detenuto, ergastolo confermato per 2 agenti polizia Aki, 24 dicembre 2012 È stata confermata in appello la condanna all’ergastolo comminata a due agenti kuwaitiani colpevoli di aver torturato a morte un detenuto in una caserma della polizia due anni fa. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione Kuna, precisando che il tribunale ha condannato altri cinque poliziotti a pene che variano da due a 16 anni di carcere. Sono state invece assolte 11 persone, tra cui due stranieri che lavoravano nella caserma. Bisognerà ora attendere la decisione della Corte Suprema per il terzo e ultimo grado di giudizio. Tutti gli imputati erano stati incriminati per aver torturato nel gennaio 2011 quattro detenuti, uno dei quali, il 35enne Mohammad Ghazzai al-Mutairi, era morto a causa delle ferite riportate. L’episodio aveva suscitato profondo scalpore nell’opinione pubblica kuwaitiana e aveva portato alle dimissioni dell’ex ministro dell’Interno, Sheikh Jaber Khaled Al-Sabah, membro della famiglia reale.