Con quale senso di responsabilità, umanità e civiltà costituzionale si ignorano le carceri? di Luisa Prodi (presidente Seac) Ristretti Orizzonti, 23 dicembre 2012 “E dunque, in materia di giustizia, non soltanto importanti istanze di cambiamento e di riforma sono rimaste solo iscritte all’ordine del giorno, ma ci si è trovati dinanzi a opposizioni e ripensamenti tali da accantonare la legge già approvata alla Camera per l’introduzione di pene alternative alla detenzione in carcere. Ma con quale senso di responsabilità, di umanità e di civiltà costituzionale ci si può sottrarre a un serio, minimo sforzo per alleggerire la vergognosa realtà carceraria che marchia l’Italia?” Le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica il 17 dicembre scorso - una settimana fa - sono cadute nel vuoto. Il provvedimento sulle misure alternative alla detenzione proposto dal Ministro Severino è stato rinviato in Commissione, in pratica cancellato. Il Parlamento è riuscito a prendere in considerazione la questione delle gomme da neve, il regolamento dai tabaccai, i problemi dei maestri di sci, l’anno del centenario di Verdi, ma non ha avuto il tempo di esaminare il disegno di legge riguardante la possibilità di messa alla prova per gli imputati adulti e le misure alternative alla detenzione. Che non sarebbe stato un provvedimento risolutivo per i problemi del carcere lo sapevano tutti: solo qualche centinaio di detenuti ne avrebbe potuto beneficiare, non si sarebbe trattato certo di quella amnistia strisciante e permanente paventata da uomini politici adusi a parlare alla pancia più che alla testa della gente. A livello simbolico, però, il disegno di legge avrebbe rappresentato un’innovazione rilevante, che avrebbe permesso di iniziare quel percorso di superamento della concezione “carcerocentrica” della pena che tutti auspicano a parole, ma con cui nei fatti non vogliono confrontarsi. Non si può che deplorare con amarezza questa ennesima occasione mancata, accompagnata dalla ciliegina sulla torta del mancato rifinanziamento della legge Smuraglia, auspicando che il Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni politiche sia formato da persone più coraggiose, sagge e coerenti di quelle che stanno per terminare il loro mandato. Giustizia: carceri disumanizzanti, ancora un’occasione persa di Danilo Paolini Avvenire, 23 dicembre 2012 No, non avrebbe eliminato lo scandalo delle sovraffollate e spesso inumane prigioni italiane, la legge sulle misure alternative alla detenzione e sulla messa alla prova. Così come non lo ha eliminato il precedente decreto erroneamente etichettato (dai detrattori) svuota-carceri. Secondo i radicali, il provvedimento avrebbe riguardato appena 254 persone. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha corret­to la cifra in 2.100. Ma non è questo, se ci è permesso, il punto. Il punto è che quel disegno di legge affossato ieri al Senato a pochi metri dal traguardo - la Camera lo aveva infatti già approvato - per iniziativa dell’Idv, della Lega e di due gruppi scaturiti dal Pdl, avrebbe rappresentato un segnale preciso di attenzione. Non solo verso le poche persone (comunque persone, non numeri) che ne avrebbero beneficiato, ma anche per le altre 60mila e oltre condannate alla pena accessoria di dividere in sei o in otto una cella di pochi metri quadrati e di usare a turno un buco nel pavimento come toilette. Dimenticavamo: più di un terzo di quelle persone sono recluse in attesa di giudizio. Il testo rispedito in commissione dall’Aula di Palazzo Madama - dove subito dopo i tantissimi senatori - avvocati hanno incassato l’approvazione in via definitiva della riforma della professione forense, la loro professione - conteneva semi di civiltà giuridica (la detenzione domiciliare per i condannati a pene inferiori a 4 anni; la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato, già presente nella giustizia minorile) che, germogliando, avrebbero dato nel tempo i loro frutti. E conteneva anche un piccolo seme di speranza per chi crede che il carcere dovrebbe essere scuola di legalità, non di crimine. Esultino pure, dunque, i manettari e i forcaioli della prima e dell’ultima ora: hanno vinto. E non si offendano se ricordiamo che alcuni, tra loro, si sono dimostrati garantisti fino a sfidare il ridicolo quando si è trattato di prendere decisioni o di difendere norme che in qualche modo potevano interessare le grane giudiziarie di un loro leader, alleato od onorevole collega. Sappiano, però, che stanno applaudendo all’ennesima occasione mancata da questo Parlamento per lasciare un segno in positivo. L’ultima occasione. La penultima è stata bruciata non rifinanziando, nella legge di Stabilità, il fondo già esiguo destinato a lavoro penitenziario. Con tanti saluti all’articolo 27 della Costituzione, che invece noi, cocciuti, vogliamo ricordare tutto intero: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Giustizia: l’oscenità del carcere, la lotta di Marco Pannella e la lezione di Aldo Moro di Cinzia Sciuto www.cadoinpiedi.it, 23 dicembre 2012 La lotta del leader radicale è meritoria. Il ricorso al carcere andrebbe drasticamente ridotto e i detenuti trattati col massimo del riguardo: la privazione della libertà è pena già abbastanza gravosa senza infliggere altre “pene accessorie”. Cinzia Sciuto Pannella ci riprova. Approfittando del clima preelettorale tenta di gettare sul terreno del dibattito politico e parlamentare un tema scomodissimo per la classe politica. A modo suo, quella di Pannella è una modalità di comunicazione efficacissima, perché i politici e i mass media, non potendo ignorare che il leader radicale si sta letteralmente lasciando morire, sono costretti perlomeno ad accennare (approfondire sarebbe chiedere troppo) a una delle questioni cruciali per la civiltà di questo paese: il modo in cui vengono trattati i detenuti nelle nostre carceri. Pannella, come spesso in passato, spiazza, obbliga a inserire anche controvoglia tra una notizia e l’altra del tg un passaggio sul suo stato di salute e, con esso, un accenno alle ragioni della sua protesta non violenta. Argomento letteralmente “osceno”, quello della condizione delle nostre carceri, che mette molto in imbarazzo i nostri politicanti, tanto abituati a intrattenerci con le loro sottili strategie di alleanze o a indottrinarci sullo spread, molto meno a confrontarsi faccia a faccia con una condizione letteralmente inumana e degradante, che nulla ha a che fare con la dimensione della pena, sia nel suo aspetto retributivo (hai sbagliato, paghi) sia - a maggior ragione - in quello rieducativo, centrale in uno Stato democratico (Costituzione docet). E, ammettiamolo, quello della condizione delle carceri è un tema osceno, che mette in imbarazzo non solo i politici ma un pò tutti noi persone “perbene”, che con il carcere pensiamo che non avremo mai a che fare perché, d’accordo, dovremmo trattarli meglio questi detenuti, però... però, tutto sommato questi per finire in carcere qualcosa avranno pure fatto e in fondo in fondo questo trattamento se lo meritano. E invece quando si parla di carcere e delle condizioni in cui vivono i detenuti andrebbe posto un rawlsiano “velo d’ignoranza” sulle ragioni per le quali quelle persone sono finite lì dentro. Gli sbagli, gli errori, i crimini di cui si sono macchiati i detenuti (peraltro non tutti, visto che quasi la metà dei detenuti è in attesa di giudizio definitivo, e 14 mila addirittura in attesa del primo grado) non hanno nulla a che vedere con le condizioni in cui sono condannati a scontare la loro pena. Il ricorso al carcere andrebbe anzitutto drasticamente ridotto, depenalizzando tutti quei reati per i quali oggi si finisce in carcere (talvolta anche solo per pochi giorni) ma i cui autori non rappresentano un “pericolo” fisico per gli altri (basti pensare alla legge Bossi-Fini sull’immigrazione clandestina o alla Fini - Giovanardi sulle droghe). Una volta che il carcere sia divenuto una pena residuale, bisognerebbe trattare i detenuti con il massimo del riguardo: quello a cui sono condannati è la privazione della libertà, che mi pare già essere pena piuttosto gravosa senza la necessità di aggiungerci delle vere e proprie “pene accessorie” che però nessun giudice ha inflitto. “Pena - diceva Aldo Moro rivolgendosi ai suoi studenti - non è la passionale e smodata vendetta dei privati, è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e quindi ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta”. (Citato in Il delitto della pena, a cura di Franco Corleone e Andrea Pugiotto, Ediesse 2012, p. 136). Giustizia: ex premier Monti; rispetto alle carceri al Senato si è scelta riforma forense Asca, 23 dicembre 2012 La riforma forense approvata dal Senato "non aiuta i giovani avvocati, non disciplina l'accesso alla professione e aumenta solo i poteri degli organi rappresentativi dell'avvocatura. E' un caso totalemte antitetico all'operazione di liberalizzazione e apertura alla concorrenza che questo governo ha portato avanti". Lo ha spiegato Mario Monti nella conferenza di fine anno. "Abbiamo avuto nelle ultime ore di vita di questa legislatura in Senato qualcosa che è molto illuminante sulle priorità delle forze politiche, in quel caso di una delle forze politiche: ci si trovava a dover fare una scelta tra l'approvazione di misure alternative alla detenzione o di portare fino in fondo l'approvazione della legge di riforma forense", rimarca Monti. Penalisti: sconcertante attacco Monti su riforma Per l'Unione Camere Penali, è "stupefacente" che il presidente Monti, nella conferenza stampa di fine mandato che ha trattato questioni di massima rilevanza politica ed istituzionale, "abbia voluto immiserire il proprio messaggio con un attacco frontale e scomposto contro la riforma forense, la quale a suo dire avrebbe rubato il passo al provvedimento per le carceri. E' vero esattamente il contrario -scrivono i penalisti - visto che la riforma forense era stata dal Senato inopinatamente posposta nel calendario dei lavori, ed ha potuto essere approvata in extremis solo perché, come era del resto stranoto, sull'altro provvedimento (peraltro, come altrettanto noto, del tutto inidoneo a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario) mancava un minimo accordo delle forze parlamentari". Giustizia: Manconi; i politici ignorano il lavoro dei carcerati perché non portano voti Intervista a cura di Paolo Nessi Il Sussidiario, 23 dicembre 2012 Valeva la pena ridurre all’osso, rimangiandosi la parola data, una cifra già di per sé estremamente esigua, ma in grado di produrre benefici sociali e umani (ma anche economico) incalcolabili? La legge Smuraglia aveva bisogno di poco meno di 5 milioni di euro per essere rifinanziata. Il provvedimento, nato nel 2000 per opera dei Senatori Carlo Smuraglia, Luigi Manconi e Ombretta Crisafulli Carulli, consentiva il reinserimento lavorativo dei detenuti, prevedendo sgravi fiscali per le imprese che li assumevano. Il fondo, nel corso degli anni, è stato via via ridotto all’osso fino a quando, nell’ambito della legge di stabilità, la commissione Bilancio del Senato ha deciso di destinare le risorse inizialmente previste per ampliarlo altrove. Abbiamo chiesto proprio a Luigi Manconi, docente di Comunicazione politica allo Iulm di Milano, di spiegarci le implicazioni di una scelta del genere. Ci parli, anzitutto, della nascita della legge… La Smuraglia - Manconi - Fumagalli Carulli fu voluta da persone molto diverse tra loro: un “vecchio” comunista, un libertario (il sottoscritto) e una cattolica. Fu l’esito della nostra intesa e di una determinazione molto forte della commissione giustizia del Senato. Si ritenne che il provvedimento potesse rappresentare un’offerta alla popolazione detenuta importante e significativa. Fin da subito, tuttavia, la legge ebbe vita difficile e, per anni, fu finanziata, fino all’azzeramento attuale. Come mai, su questo fronte, la cultura radicale, quella libertaria e quella cattolica si trovano d’accordo? Stupisce, caso mai, che una cultura così diffusa, in Italia, come quella del cattolicesimo democratico, che sul tema della carceri ha l’autorevole conforto di pressoché tutte le cariche ecclesiali, non produca conseguenti e coerenti atteggiamenti da parte di quella classe politica che a quella cultura afferma di ispirarsi. D’altro canto, la sinistra è sempre stata poco generosa su questo piano perché, storicamente, ha privilegiato le garanzie sociali rispetto ai diritti individuali della persona. Come si spiega, in ogni caso, la decisione del Parlamento? È il segno più evidente di quella sfacciata ipocrisia che si sta manifestando nel coro pressoché unanime di solidarietà a Pannella. Tutti, infatti dimenticano le ragioni del suo sciopero. Il suo gesto viene presentato come una mera testimonianza individuale, un atto di religiosità laica, un segno di eroica sensibilità. Si dimentica che tutto ciò rappresenta una scelta politica di un uomo politico per un obiettivo politico. Da dove nasce una tale ipocrisia? Il tema delle carceri, politicamente, è ben lungi dall’essere remunerativo; talvolta, è addirittura svantaggioso in termini di consenso. Tanto più che i carcerati non possono farsi portavoce in prima persona delle proprie istanze, né ottenere la dovuta visibilità. Al contrario, una concezione vendicativa della pena spesso è politicamente conveniente. Il rischio è che il lavoro carcerario sparisca definitivamente? Guardi, già adesso, la percentuale di detenuti impegnati in attività lavorative raggiunge con difficoltà il 10% della popolazione carceraria. Di questo 10%, la parte più rilevante, è costituita da lavori volti al mantenimento delle carceri, quali il cuochi o gli spesini. Solo il 4% è impegnato in attività produttive o di formazione. L’azzeramento del finanziamento porterà tale percentuale vicino allo zero. Non lavorare cosa comporta per un detenuto? Tutti i detenuti che hanno come unico orizzonte la cella chiusa sono destinati ad una recidività elevatissima, salvo rarissime eccezioni; tutti quelli che hanno un qualche orizzonte diverso (attività lavorative, culturali, ricreative, sociali o formative) hanno chance di risocializzazione decisamente maggiori, sempre salvo rarissime eccezioni. E per la società? A fronte di un risparmio, tutto sommato, esiguo, c’è il rischio che si producano danni rilevantissimi, sotto il profilo sociale ed economico. Giustizia: Mosca (Pd); il voto contro il lavoro dei detenuti è assurdo… che figuraccia Il Sussidiario, 23 dicembre 2012 “Non sono per nulla tranquilla perché in casi come questi si è tranquilli quando si vincono le battaglie”. A dire così, fortemente amareggiata come si definisce lei stessa, è l’onorevole Alessia Mosca in una conversazione con ilsussidiario.net. Motivo di questa amarezza è il clamoroso e inaspettato risultato che ha avuto la decisione del presidente del Senato dopo il parere contrario di Lega, Fratelli d’Italia e Idv di rimandare in Commissione Giustizia il decreto legge sulle misure carcerarie alternative. Bocciato dunque nonostante il lungo lavoro trasversale che aveva visto a fianco rappresentati di entrambi gli schieramenti politici e fortemente sostenuto dal ministro della giustizia. Non se lo spiega neanche Alessia Mosca: “Io voglio sperare si sia trattato di un errore perché davvero non so spiegarmi chi possa aver voluto affossare un provvedimento che era stato approvato a parole da tutti e che offriva l’unica prospettiva seria e a lungo termine al problema carcerario”. Gli operatori del carcere parlano di scippo, con l’abolizione del decreto sulle misure alternative che taglia la cifra prevista per l’attività lavorativa dei detenuti. Chi può aver voluto l’affossamento di questa norma? Non so chi abbia voluto e chi non l’abbia voluto, non so come sia stato possibile accadesse questa cosa soprattutto in un momento in cui si sta discutendo così tanto della situazione delle carceri. Il messaggio che ne viene fuori è esattamente il contrario di quello che noi ovviamente pensavamo fosse la cosa più saggia e opportuna da fare. Adesso si è chiusa la legislatura e il vostro lavoro sparisce in un buco. Credo che davvero che non poteva esserci una chiusura più triste di questa, una decisione che invece sarebbe stata il segnale più importante, quello di chiudere la legislatura almeno dando una piccola speranza. Sappiamo tutti che la cifra prevista non risolveva una situazione che in questi giorni poi è ritornata come succede periodicamente tristemente agli onori della cronaca però sicuramente sarebbe stato un segnale importante. Ci sarà in qualche modo la possibilità di riprendere quanto voi avevate portato quasi a termine? A questo punto le camere sono sciolte non c’è possibilità materiale da qui ai prossimi due mesi di intervenire. Quello che possiamo sperare è che chiunque verrà fra due mesi metta come primo atto un intervento in questo senso. È certamente un impegno che noi prendiamo poi vedremo cosa succederà perché ovviamente adesso ci troviamo in una fase in cui non sappiamo in quale situazione ci troveremo da qui a due mesi. Il ministro Severino è apparso piuttosto scosso da un risultato che, ha detto, non si sarebbe aspettato. Ritiene possibile che se non c’è stata una precisa volontà politica di arrivare a ciò, si sia trattato di un errore come già se ne sono visti in casi analoghi? Io spero sia stato un errore perché francamente non capirei come sia possibile una cosa diversa, cioè una volontà politica di affossare questa norma. Il ministro Severino in tutte le dichiarazioni che ha fatto negli ultimi quattro mesi si è sempre detta non solo favorevole ma ha posto la nostra battaglia come la prioritaria per risolvere la questione carceraria. In che senso prioritaria? Perché la nostra proposta di investire in rieducazione e recupero dei detenuti nel lungo periodo ha un valore risolutivo rispetto al dramma carcerario. Non è una amnistia che lo risolve la quale è solo misura tampone ma è una misura come la nostra che davvero in modo sostenibile può dare delle risposte vere. Quindi io mi auguro davvero e voglio sperare sia stato un errore perché non mi spiegherei come sia stata fatto questo voto dopo una serie di dichiarazioni a parole in tutta altra direzione. Lei pensa che in qualche modo la concomitanza con lo sciopero di Pannella possa aver influito sul voto? Non saprei in che modo. Lui sta facendo una battaglia portando l’attenzione sulla situazione carceraria. Anzi la nostra vittoria in realtà avrebbe in qualche modo ridotto l’impatto del caso Pannella perché avrebbe almeno dato una risposta in quel senso dando una parziale risposta. Non vedo la connessione e se c’è casomai da maggiore visibilità e importanza alla battaglia di Pannella. Altrimenti non capisco quale possa essere il calcolo politico sul caso Pannella. Dopo la vostra lunga battaglia, lei si sente comunque la coscienza tranquilla e in qualche modo continuerà il suo impegno per risolvere la situazione carceraria. No, tranquilla no perché si è tranquilli quando in casi come questi le battaglie si vincono. Per me l’obbiettivo era arrivare a portare a casa il risultato se non si è ottenuto non poso essere per niente tranquilla ma anzi amareggiata del risultato. Credo che questo non lascia la coscienza a posto a nessuno e bisogna ripartire con profondo rammarico verso la strategia più utile perché chiunque venga dopo di noi possa intervenire immediatamente. Giustizia: Violante; politici ipocriti… che parlano di diritti e poi “ammazzano” i detenuti Intervista a cura di Claudio Perlini Il Sussidiario, 23 dicembre 2012 Nonostante la caotica giornata vissuta di recente in Parlamento, il governo ha incassato la fiducia della Camera sulla legge di Stabilità (con 373 sì, 67 no e 15 astenuti). Le poche notizie negative che giungono dall’Aula si abbattono come una pioggia gelida, per l’ennesima volta, sui 206 istituti penitenziari italiani: i fondi destinati alla Legge Smuraglia, infatti, che prevede benefici fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti o svolgono attività formative nei loro confronti, sono stati di fatto ridotti all’osso, nonostante tale norma sia stata da più parti e in più occasioni definita come lo strumento migliore per abbattere la recidiva. Anche Luciano Violante, già presidente della Camera e già professore di Istituzioni di diritto e procedura penale presso l’Università di Camerino, contattato da Il Sussidiario, si dice “indignato” per il mancato rifinanziamento. Ci spieghi la sua delusione… Generalmente non uso queste espressioni, ma di fronte a quanto accaduto difficilmente ne possono esistere altre. Abbiamo assistito a una fiera dell’ipocrisia: pur non essendo quasi mai d’accordo con Pannella, sul tema del carcere la penso allo stesso modo. Che senso ha dire di essere d’accordo con Pannella sulla denuncia per lo stato delle carceri, cosa che hanno fatto quasi tutti i parlamentari più autorevoli, per poi togliere subito gran parte del finanziamento al fondi che permette un lavoro vero e produttivo in carcere? Certo, queste risorse potrebbero essere state investite in altre misure altrettanto importanti, ma ancora una volta si è preferito aggredire l’anello più debole, coloro che non possono difendersi e farsi sentire. Cosa può dirci dei contenuti della Legge Smuraglia? Al contrario dell’amnistia, una misura emergenziale che a mio giudizio non risolve affatto i problemi e alla quale mi sono infatti detto sempre contrario, in questo caso ci troviamo di fronte a una misura strutturale. Come mai? Perché offrire la possibilità di lavoro a un detenuto ha un valore permanente, duraturo nel tempo, che permette a colui che ha sbagliato di “trasformarsi” in un lavoratore e di tornare a considerarsi persona, soggetto, cittadino a ricostruire relazioni corrette con la società. Solo così il carcere acquista un senso. Facendo abbassare notevolmente anche la recidiva… Le percentuali di recidiva per chi ha lavorato in carcere sono bassissime; è la prova evidente di quanto sia giusto, efficace e produttivo il lavoro in carcere. Incredibilmente, invece, questa misura strutturale è stata quasi completamente svuotata. Dopo le parole di solidarietà a Pannella mi sembra una grande e nociva ipocrisia. E mi chiedo: dove sono fini i quasi mille parlamentari che applaudivano Giovanni Paolo II quando parlava della inciviltà del carcere? Come possiamo spiegare quanto accaduto? In Parlamento molti considerano non importante il tema del carcere; altri sostengono un principio di discriminazione nei confronti dei detenuti. Per esempio? Il senatore Bricolo, capogruppo della Lega, ha esaltato ieri sera il fallimento del progetto di legge sulle misure alternative al carcere presentandolo come una vittoria del suo partito. Assistiamo a continue esagerazioni garantistiche per i più protetti, basti pensare al falso in bilancio, e ad altre repressive nei confronti dei più deboli, come gli immigrati e i detenuti. Pur rispettando queste posizioni, che non condivido ma che corrispondono anche al sentire di una parte del Paese, appare evidente che la maggioranza non è favorevole a misure civili e di speranza nei confronti dei detenuti. Come giudica invece l’affossamento del ddl svuota carcere? Il nome che la stampa ha usato per definire il provvedimento non corrisponde al contenuto. Non si svuotavano le carceri, ma si stabiliva in alcuni casi un incremento delle misure alternative che hanno dato buona prova negli anni passati. Sarebbe stato senza dubbio uno strumento positivo, basato sul principio che il carcere, la massima delle pene, venga lasciato come ultima ratio. Torno alla legge Smuraglia. Solo nei casi in cui vi è possibilità di lavoro e di un rapporto costruttivo con l’esterno, il sistema penitenziario può ricostruire i rapporti tra chi ha sbagliato e la società. Nella gran parte dei casi, invece, il carcere allarga la distanza. È però necessario sottolineare l’evidente difficoltà che può esistere nel deliberare in nodo favorevole ai detenuti alla vigilia della campagna elettorale. Sui temi della sicurezza e della pena non c’è ancora stata una grande campagna di orientamento civile; questa mancanza lascia grandi spazi alla demagogia. Giustizia: Roberto Martinelli… il sindacalista delle carceri “vi svelo le cifre dell’orrore” Intervista a cura di Stefano Lorenzetto Il Giornale, 23 dicembre 2012 In 20 anni 1.097 suicidi (16.338 sventati) e 112.844 atti di autolesionismo che potevano sfociare in tragedie. “Se solo i giudici sveltissero i processi…”. Il primo fronte di guerra aperto da Roberto Martinelli è stato contro le fiction di Rai e Mediaset, Liberi di giocare, Un amore e una vendetta, e soprattutto Baciati dall’amore, “in cui un poliziotto penitenziario, rivolgendosi a un boss della malavita, manifestava sudditanza e disponibilità”. Fino a ottenere, per Gente di mare, le scuse ufficiali di Carlo Degli Esposti, presidente della Palomar, che aveva prodotto lo sceneggiato per la Tv di Stato. Di lì a prendersela col dizionario Zingarelli il passo è stato breve: “Alla voce secondino riporta guardia carceraria. Definizioni entrambe sbagliate, così come agente di custodia, perché non tengono conto che il corpo degli agenti di custodia fu sciolto nel 1990. Abbiamo diritto a essere chiamati poliziotti penitenziari, oppure agenti penitenziari. Anche baschi azzurri, dal colore nei nostri copricapi, può andar bene”. Se è così inflessibile sull’uso dei sinonimi, figurarsi la potenza di fuoco che Martinelli, segretario del Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), è capace di dispiegare quando gli toccano i suoi colleghi: “Noi siamo costretti a tradurre i detenuti da una parte all’altra della penisola su Fiat Ducato che hanno già percorso mezzo milione di chilometri, privi di aria condizionata e con i sedili sfondati. Però al ministero della Giustizia gli scortati viaggiano su Maserati, Jaguar e Bmw, anzi viaggiavano, perché dopo la mia denuncia contro questa vergogna qualcosa è cambiato. L’Amministrazione penitenziaria ha anche comprato Land Rover da 100.000 euro per i collaboratori di giustizia, usate invece dai dirigenti”. Il Sappe è il più importante dei sette sindacati - inclusi quelli di Cgil, Cisl e Uil - che tutelano i poliziotti penitenziari. Rappresenta circa un terzo dei 39.000 agenti in servizio: 12.000 iscritti. Martinelli, al suo terzo mandato da segretario, è in aspettativa fino al 2016. Se non dovesse essere rieletto, tornerà a fare il sovrintendente di polizia penitenziaria. Per otto anni ha lavorato nel carcere di Marassi, a Genova, la città dov’è nato nel 1968: “Ho potuto scegliere questa sede perché mi ero classificato primo al corso”. Ragioniere, studi universitari in scienze politiche interrotti, sposato con una segretaria di banca, un figlio di 3 anni, s’è arruolato nel 1992, seguendo le orme del fratello maggiore Tommaso, oggi ispettore superiore dopo quasi tre lustri passati a sorvegliare i detenuti dello stesso penitenziario. Sulla vocazione di entrambi deve aver influito il fatto che la madre, sposata con un ferroviere, ha lavorato per 40 anni nell’ufficio del giudice di sorveglianza al tribunale di Genova. Che si tratti di una particolare vocazione, è fuori discussione. Altrimenti non si spiegherebbe come mai, anziché diventare un investigatore impegnato nello scoprire i reati e nell’assicurare alla giustizia i malfattori, abbia preferito dedicarsi alla custodia dei medesimi dietro le sbarre, missione che talune menti deviate vorrebbero far coincidere col sadismo e che invece richiede un supplemento di umanità: “Siamo poliziotti due volte, perché dobbiamo far sì che il recluso non possa nuocere ancora alla società ma anche che diventi migliore. Non è un impegno facile e non è da tutti”. Dario Mora, meglio noto come Lele, dopo i 408 giorni passati in isolamento nel carcere di Opera, vi ha persino dedicato un libro, “I miei angeli custodi”.... “Non siamo né angeli né diavoli. Rappresentiamo lo Stato, che è fatto di legalità, di regole e soprattutto di diritti”. A Mora, che tentò di soffocarsi in cella, avete salvato la vita… “Non solo a Mora. Negli ultimi 20 anni sono stati 16.388 i tentativi di suicidio sventati dalla polizia penitenziaria. A fronte di 1.097 casi di detenuti che sono purtroppo riusciti a realizzare il loro insano proposito”. In che modo, visto che gli sequestrate persino i lacci delle scarpe? “Inalando il gas della bomboletta da camping che gli viene consentito di tenere in cella per cucinare, per esempio. Oppure con le lenzuola annodate. O con l’accappatoio. Un solo agente deve controllare dagli 80 ai 100 detenuti sotto la doccia, non può farcela a tenerli d’occhio tutti”. Si uccidono solo i reclusi? “Anche i baschi azzurri. In media una decina di colleghi l’anno. Da gennaio siamo a 8. In nessun carcere esiste uno psicologo del lavoro per il personale. L’impotenza quotidiana scava dentro. Gli agenti salvano i detenuti, ma nessuno salva gli agenti. Abbiamo strappato alla morte persino il boss dei boss, Totò Riina, colto da infarto nel supercarcere di Ascoli Piceno. Nessuno lo scrive, ma dal 1992 a oggi il nostro tempestivo intervento ha impedito che 112.844 atti di autolesionismo compiuti dai detenuti sfociassero in tragedie”. Sono qui per scriverne… “Basti dire che nei 206 istituti penitenziari nel primo semestre del 2012 si sono registrati 2.322 colluttazioni e 541 ferimenti. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli patologici: 66.685 reclusi per una capienza di 45.849 posti. Il nostro organico è sotto di 5.447 unità. La spending review ha bloccato le assunzioni per tre anni, nonostante vi siano 1.200 agenti già idonei che premono per entrare in ruolo. L’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgono, aggravato dai turni notturni, non meno di 6 al mese, e festivi. Dobbiamo confrontarci di continuo con realtà estreme: tossicomani, alcolisti, sieropositivi, transessuali, detenuti per reati infamanti. Sono forme di disagio che bruciano la funzione intellettiva degli agenti. Si torna a casa con le batterie scariche”. Mi pareva d’aver letto che col governo Monti i detenuti fossero diminuiti… “Di appena 1.236 unità e soltanto in sei regioni. Di fatto, per far entrare nelle celle i 20.836 prigionieri eccedenti, le brande vengono sovrapposte fino al soffitto. A Marassi un detenuto è morto cadendo nel sonno dal terzo piano, per così dire”. Non ci sono i fondi per costruire nuove case circondariali. Allora come si risolve il problema del sovraffollamento? “I magistrati devono accelerare i processi. In questo momento vi sono dietro le sbarre 26.804 detenuti, il 40 per cento del totale, in attesa di giudizio definitivo, la metà dei quali saranno poi assolti. Significa che li stiamo privando della libertà senza motivo, e questo già è grave, solo per ingombrare le carceri. Un detenuto su 3 è tossicodipendente, ripete sempre gli stessi reati per procurarsi la droga. Se scontasse la pena in una comunità di recupero, dove lo curano, il problema sarebbe risolto alla radice. Poi vi sono 23.789 stranieri che dovrebbero espiare nei loro Paesi d’origine. Infine il carcere non può essere un hotel con le porte girevoli”. Che intende dire? “Si assiste quotidianamente a un’assurda girandola: arresto, traduzione in cella, registrazione, foto segnaletica, udienza di convalida, scarcerazione. Parliamo di 20.000 persone che intasano il sistema per tre giorni entrando in carcere e subito uscendone, con tutto il sovraccarico di lavoro che ciò comporta”. I braccialetti elettronici per il controllo a distanza potrebbero rappresentare una soluzione? “Sì. Ma gli ex ministri dell’Interno, Enzo Bianco, e della Giustizia, Piero Fassino, che fecero gli accordi con la Telecom, dovrebbero spiegarci perché si sono spesi ben 110 milioni di euro per tenerli chiusi nei caveau del Viminale”. L’amnistia è una via d’uscita? “No. Se non è collegata a una riforma strutturale, serve solo a sgravarsi la coscienza. Molto meglio istituire un’area penale esterna al carcere, dove i condannati fino a 2 anni possano dormire a casa propria ma di giorno siano impiegati in lavori socialmente utili”. Il lavoro che redime… “Non puoi tenerli chiusi in una cella 20 ore al giorno. Escono più cattivi di quando sono entrati. È una presa in giro dell’articolo 27 della Costituzione, che prescrive la rieducazione del condannato. Chi sconta la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4%, contro il 19% di chi fruisce di misure alternative e addirittura dell’1% di chi è inserito nel circuito produttivo. In Germania i detenuti lavorano tutti. Ho appena visitato alcuni penitenziari a Berlino e nel Brandeburgo e ho visto i prigionieri impegnati a fabbricare dai componenti elettrici per auto agli oggetti natalizi. Guadagnano 80 centesimi oppure 1 euro l’ora, cioè niente, altro che la paga sindacale che va corrisposta in Italia ai pochi fortunati ammessi a frequentare i laboratori interni. Del resto questo è il Paese in cui le Brigate rosse ammazzavano solo perché a Massa Carrara i detenuti producevano i plaid per la Lanerossi e a Genova gli interruttori per la Ticino”. Lei visita molte prigioni? “In media 5 - 6 al mese”. La peggiore? “Per sovraffollamento, topi e sporcizia, direi Poggioreale a Napoli. Ma certe sezioni di Regina Coeli a Roma non sono messe meglio. Capita persino che gli agenti penitenziari arrivino in mensa e non vi sia più cibo. I detenuti mangiano, loro no. Per non parlare dello scandalo delle madri tenute in cella con i figli di età inferiore ai 3 anni: ce ne sono 57 in queste condizioni. È giusto che 60 minori muovano i primi passi in un contesto così terribile?”. Che cosa ricorda dei suoi anni passati a Marassi? “Un mondo a parte. Chi ha la fortuna di non averlo mai visto da dentro, non può capire. Bisognerebbe portarci in visita le scolaresche, soprattutto quando gli studenti sono nella fase del belinismo, come diciamo a Genova. Già solo dalla puzza capirebbero tante cose”. Qual è la richiesta più urgente che viene dagli agenti iscritti al Sappe? “L’umanizzazione delle condizioni di lavoro, più che l’aumento degli stipendi. Alla fine dei turni hanno i piedi che fumano e la testa che scoppia”. Quanto guadagnano al mese? “Intorno ai 1.300 euro netti. Gli ispettori possono arrivare a 2.200, ma solo aggiungendo straordinari, notturni e servizi esterni”. Il dissociato Arrigo Cavallina, il fondatore dei Proletari armati per il comunismo che reclutò Cesare Battisti, mi ha raccontato: “In tutte le prigioni c’erano squadrette di pestaggio, gruppi di agenti che venivano a picchiarti senza motivo. A Rebibbia ci svegliarono di notte, avevano i manganelli e i caschi con la visiera, sembravano robot. Ebbi 20 punti di sutura sulla testa. La mattina dopo il medico di turno mi cucì senza chiedermi nulla, come se fosse stata la cosa più normale di questo mondo”… “Ciascun detenuto può conferire col magistrato di sorveglianza e riferirgli eventuali soprusi subiti. Siamo i primi ad allontanare le mele marce. Ma troppo spesso i racconti delle presunte vittime dei pestaggi si rivelano infondati”. È un fatto che il primo a finire assassinato da Battisti fu il maresciallo Antonio Santoro, comandante del penitenziario di Udine. Non credo che fosse stato scelto per caso un bersaglio con moglie e tre figli… “Bisognerebbe interpellare Battisti, se non fosse latitante. I terroristi ci hanno sempre identificato come la mano nera dello Stato. Santoro non fu l’unico caduto in servizio. Prima di lui le Br uccisero Lorenzo Cotugno, 31 anni, agente alle Nuove di Torino, e poi, sempre a Torino, Prima linea ammazzò Giuseppe Lorusso, 30 anni. Stessa sorte per la poliziotta penitenziaria Germana Stefanini, che lavorava a Rebibbia, sequestrata e ?processata? dai Nuclei per il potere proletario”. Favorevole o contrario all’ergastolo? “Per certi reati odiosi, compiuti con crudeltà o su bambini, a mio avviso va mantenuto”… Il professor Umberto Veronesi sostiene che dal punto di vista scientifico non ha senso: anche l’omicida più efferato, trascorsi 20 anni, è completamente diverso dall’uomo che commise il crimine, per un semplice fatto di ricambio cellulare. “Veronesi provi a parlarne con i familiari delle vittime. Troppo facile fare i generosi sulla pelle degli altri”. Giustizia: Osapp; dal Parlamento ultimo schiaffo al sistema penitenziario... noi con Ingroia Ansa, 23 dicembre 2012 “Anche se la misura avrebbe comportato un sollievo del tutto temporaneo rispetto alle gravissime tensioni e al palese stato di illegalità che si consumano ogni giorno in carcere, l’affossamento in Senato del disegno di legge sulle misure alternative alla detenzione della Guardasigilli Severino, rappresenta l’ultimo “schiaffo” dell’attuale Parlamento al sistema penitenziario italiano e a chi in carcere vive e lavora.” è quanto si legge in una nota di ferma protesta indirizzata dall’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) ai Gruppi Parlamentari di Senato e Camera dei Deputati. Nel documento a firma del segretario generale Leo Beneduci si legge inoltre: “chi come noi servitori in uniforme della Collettività disimpegna la propria professionalità, spesso a rischio della propria integrità psico - fisica, nel quotidiano tentativo di rendere effettive negli istituti di pena le regole di legalità e di civile convivenza previste dall’ordinamento penitenziario, non può più astenersi dal denunciare pubblicamente l’annichilimento in carcere dei principi basilari stabiliti dalla Costituzione Repubblicana, a partire dagli articoli 3, 13 e 27 della stessa, su cui noi Poliziotti Penitenziari abbiamo giurato fedeltà allo Stato”. “Per tali profonde ragioni, nell’esigenza di un cambiamento che liberi l’Italia dalle mafie, dalla corruzione e dai professionisti della politica e conduca a riconoscere nuovamente e per tutti i cittadini quei valori di legalità e di solidarietà propri della democrazia, all’esterno come all’esterno dei penitenziari italiani - conclude Beneduci - abbiamo aderito all’iniziativa “Io ci sto”di Antonio Ingroia e ci diciamo, con lui e con i movimenti a lui vicini, anche noi partigiani della Costituzione.” Giustizia: Opg; dubbi, incertezze e polemiche per smantellamento previsto nel marzo 2013 di Dario Stefano Dell’Aquila Il Manifesto, 23 dicembre 2012 Il sequestro dell’intero Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (ex manicomio criminale) disposto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, ha rimesso il tema della chiusura degli Opg al centro dell’attenzione nazionale. Come è noto, mercoledì i carabinieri dei Nas, su disposizione della Commissione, che possiede poteri analoghi al potere giudiziario, hanno posto sotto sequestro l’Opg, a causa delle sue pessime condizioni igienico-strutturali. L’ordinanza di sequestro assegna un termine di 30 giorni per il trasferimento dei circa 200 internati presenti. Ma che senso ha sequestrare una struttura che, per legge, dovrebbe chiudere entro marzo 2013? Per comprenderlo è bene fare un passo indietro, in una storia che diviene sempre più complicata. Sopravvissuti alla chiusura dei manicomi civili, i vecchi manicomi criminali hanno assunto il nome di Opg, ma non hanno mutato sostanza. Sono strutture detentive nelle quali finiscono sofferenti psichici autori di reato che sono condannati ad una misura di sicurezza detentiva. Una misura di sicurezza che, se sussistono condizioni di pericolosità sociale o un’assenza di alternative, può essere prorogata un numero infinite di volte. Oggetto di numerose inchieste nel anni 70 per violenze e maltrattamenti, ma anche di denunce, in anni recenti, da parte di singoli deputati e dell’associazione Antigone, gli Opg sono tornati al centro dell’attenzione pubblica nel 2010. Fondamentale è stato il rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt), organismo di tutela dei diritti del Consiglio d’Europa, presieduto allora da Mauro Palma, sulla visita effettuata nell’Opg di Aversa. Il quadro disegnato dal Cpt, letti di contenzione, isolamento prolungato, condizioni inumane e degradanti, povertà estrema, abbandono psichiatrico, assenza di terapie, ha spinto la Commissione presieduta da Marino a recarsi in visita ispettiva non solo ad Aversa, ma anche negli altri cinque Opg nelle quali erano presenti circa 1.300 persone. È così venuto alla luce un diffuso sistema di abbandono, deprivazioni e inumanità esteso in particolare alle strutture di Aversa, Barcellona e Montelupo Fiorentino. Ed è emerso anche un altro elemento inquietante. Centinaia di persone internate vedono prorogata la propria misura di sicurezza perché non ricevevano assistenza dai propri servizi di salute mentale o perché non hanno famiglie in grado di farsi carico di loro. E così molti sofferenti psichici, entrati in Opg per aver commesso o solo tentato piccoli furti, si sono trovati a scontare decine di anni di detenzione in assoluta incertezza sulla fine della pena e in condizioni inumane. La Commissione parlamentare è riuscita, con una tenacia che le va riconosciuta, a non far mai cadere l’attenzione sul tema. Ha sequestrato reparti, effettuato sopralluoghi e audizioni, e girato un video in cui le terribili condizioni detentive emergevano in tutta la loro brutalità. Tanto che persino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano non ha potuto che definire gli Opg come “un orrore medioevale”. Si è così giunti all’approvazione, in modo unanime, della legge n. 9/2012 che dispone il termine della chiusura al marzo 2013, ma non incide sul meccanismo delle misure di sicurezza e sulla loro prorogabilità prevista dal codice penale. La norma ha stabilito che gli Opg devono essere sostituiti da mini - strutture sanitarie regionali (20 - 30 posti) e ha stanziato anche risorse significative per le Regioni, per la gestione (38 milioni nel 2012, 55 milioni nel 2013) e per la costruzione (173,8 milioni di euro per il 2012 e il 2013). Dove sorgono i problemi allora? Il primo problema nasce dal fatto che questi soldi sono stati ripartiti solo a dicembre e che, pertanto, tecnicamente, non saranno mai disponibili per le Regioni prima di qualche mese. Il ritardo delle Regioni nella definizione e individuazione di queste nuove strutture, le cui caratteristiche sono state definite solo nel mese di novembre, è uno degli elementi che spinge in molti a ritenere che sia necessaria una proroga. Proroga della quale Ignazio Marino non vuole sentir parlare. Ha piuttosto proposto al presidente uscente Mario Monti, a nome della Commissione di inchiesta, di nominare “una figura che abbia pieni poteri per applicare la legge votata dal Parlamento e che possa gestire il percorso di chiusura e le risorse economiche messe a disposizione”. Ma al momento nessuna risposta. Ecco il perché del sequestro, segnale forte e deciso da parte della Commissione. Ma sono in molti a segnalare problemi ancora più gravi dei ritardi. Il Comitato Stop Opg, (Antigone, Forum salute mentale, Psichiatria democratica, Cgil) segnala il rischio forte che queste strutture regionali possa trasformarsi in mini Opg. Secondo i portavoce del Comitato, “le persone internate negli Opg non sono dei “pacchi” da trasferire da un “contenitore” ad un altro. Sono persone che hanno diritto di essere riportate nella regione di appartenenza per ricevere un’assistenza individuale: con progetti terapeutico riabilitativi, differenziati a seconda del bisogno assistenziale, a cura del Dipartimento di salute mentale di residenza”. E del resto, considerato che queste strutture sanitarie saranno affidate a soggetti privati e senza che sia stato modificato il sistema delle misure di sicurezza, il rischio di nuove forme di internamento è davvero molto alto. Un altro rischio è evidenziato dalla deputata Radicale Rita Bernardini che, polemicamente, ha commentato “mi auguro che il senatore Ignazio Marino si sia posto il problema dei 210 pazienti che dovranno essere “trasferiti” entro 30 giorni. Dove verranno trasferiti? In altri Opg a centinaia di chilometri di distanza dalla Sicilia, lontani dai loro familiari? Nei repartini che si stanno predisponendo inopinatamente negli istituti penitenziari per incarcerarli?”. Rischio più che concreto se consideriamo che, solo per fare un elenco parziale e certo incompleto a campione in tre regioni (Abruzzo, Campania, Lazio), l’Amministrazione penitenziaria sta predisponendo reparti detentivi per sofferenti psichici nelle carceri di Rebibbia, Regina Coeli, Civitavecchia, Velletri, Vasto, Teramo, L’Aquila, Sulmona, Lanciano, Pescara, Santa Maria Capua Vetere, Pozzuoli e Salerno. C’è dunque la concreta possibilità che una parte degli internati che non verrà dimessa e che non andrà a finire nelle nuove strutture sanitarie, finirà dispersa nel circuito penitenziario dove si stima siano già presenti circa 22 mila detenuti con un disagio psichico (su 66.500). Sarebbe davvero una sconfitta per tutti quelli che desiderano il reale superamento dei dispositivi di internamento manicomiali. La mancata modifica del codice penale rende certo più fragili le speranze di un cambiamento che rimane necessario. “Ciò che è già evidente nel manicomio civile risulta ancora più chiaro nel manicomio giudiziario, dove medicina e giustizia si uniscono in un’unica finalità: la punizione di coloro per la cui cura e tutela medicina e giustizia dovrebbero esistere”. Questo scriveva Franco Basaglia, nel 1973 a proposito di quelli che oggi si chiamano Ospedali psichiatrici giudiziari. Allora sembrava impossibile che si potessero davvero chiudere i manicomi. Oggi appare incredibile che siano ancora aperti. Nei sei ex manicomi giudiziari ci sono 1.100 “ospiti”, in dieci anni 44 reclusi morti Gli Ospedali psichiatrici giudiziari (noti in passato prima come manicomi criminali, poi come manicomi giudiziari) sono in tutto sei (Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia) ed ospitano, complessivamente, ad oggi, 1.100 (79 donne) internati. Sono strutture detentive del ministero della Giustizia (ad eccezione di Castiglione delle Stiviere) con una doppia direzione. Una che dipende dall’amministrazione penitenziaria ed è responsabile della sicurezza, una che dipende dalle Asl ed è responsabile della parte sanitaria. La Regione Sicilia, in quanto regione a statuto speciale, non ha ancora recepito la riforma della sanità penitenziaria. Quella di Barcellona Pozzo di Gotto è quindi l’unica struttura completamente dipendente dal ministero della Giustizia. Dopo l’intervento della Commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario nazionale sono state attivati interventi per la dimissione di quegli internati per i quali non sussistono elementi di pericolosità sociale e che possono essere dimessi e presi in carico dal sistema sanitario nazionale. È stata chiusa la sezione “Staccata” dell’Opg di Aversa (tristemente nota per i letti di contenzione). Secondo i dati di Ristretti Orizzonti, negli ultimi dieci anni, sono 44 gli internati deceduti, per suicidi o malattie, durante la detenzione. La procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto una inchiesta sulla serie di morti e suicidi avvenute ad Aversa. La storia: Antonio Provenzano, una vita di lotta per venirne fuori Una volta entrati nel girone infernale degli Opg e delle misure di sicurezza è davvero difficile venirne fuori, anche se fuori c’è una famiglia che ti aspetta ed è pronta a lottare per il tuo ritorno. Lo testimonia la storia di Antonio Provenzano, romano, e di sua sorella Elisabetta, che ha fondato il comitato “Elj per tutti i Tonino”. Dopo un grave incidente automobilistico, che lo costrinse al coma, Antonio comincia a soffrire di una forma di psicosi schizofrenica di tipo paranoide lieve ma preoccupante. Comincia così un calvario fatto di ricoveri e trattamenti sanitari obbligatori. Nel dicembre del 2005, un altro episodio ne aggrava le condizioni. Come racconta la stessa Elisabetta, “un gruppo di violenti del quartiere lo sequestrò e lo sottopose a sevizie e umiliazioni, lasciandolo sanguinante e stravolto in un canale al lato della strada dove una ragazza che assistette alla scena si fece premura di chiamare i carabinieri”. Antonio, dopo l’aggressione, attraversa una nuova fase di forte stress psicologico. Ha paura di essere aggredito di nuovo e comincia a girare con un piccolo bastone per proteggersi. Viene denunciato, riconosciuto non imputabile, e condannato ad una misura di sicurezza di sei mesi. Finisce prima nell’Opg di Montelupo Fiorentino, poi in quello di Aversa. La famiglia vuole che Antonio torni e chiede alla Asl competente di predisporre un progetto terapeutico personalizzato. Solo così il magistrato di sorveglianza può trasformare la misura detentiva in misura alternativa presso una comunità. La Asl di Ostia tentenna perché si tratta di investire risorse che preferirebbe non spendere. E senza alternative la misura viene prorogata. La situazione rimane in una fase di stallo fino a quando Elisabetta Provenzano non decide, nel 2011, armata di una tenda, di accamparsi sul tetto della Asl fino a quando non saranno pronti documenti necessari per dare il via al percorso terapeutico per Antonio. La protesta ottiene eco sulla stampa e in televisione, del caso di interessa anche la Commissione presieduta dal senatore Ignazio Marino. La Asl predispone, finalmente, il progetto e stanzia le risorse necessarie a pagare le spese. Ma non è finita. Bisogna attendere l’udienza per il riesame della misura di sicurezza di fronte al magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere. Elisabetta va su è giù tra Roma e Aversa, mentre il Comitato organizza eventi di sensibilizzazione sul tema della salute mentale. La storia di Antonio raccoglie molta solidarietà, Mario Barone per l’associazione Antigone mette a disposizione l’assistenza legale. Antonio Provenzano ottiene, nel settembre del 2011 la “licenza finale di esperimento” in ricovero presso una Comunità. Al termine dei sei mesi potrebbe ottenere la liberazione definitiva. Ma c’è un imprevisto, Antonio ha un incidente e si frattura, in malo modo, le gambe. Si interrompe il percorso di reinserimento sociale e, di fatto, è costretto a scegliere tra una struttura dove possa avere assistenza psichiatrica e una dove possa disporre di assistenza per la riabilitazione motoria. Trascorrono altri mesi necessari per definire un nuovo progetto terapeutico che, finalmente, prevede che Antonio possa essere seguito dai servizi nel proprio domicilio. “È questa la risposta indispensabile - spiega Elisabetta - un progetto personalizzato calibrato sulle esigenze reali di Antonio e dei suoi familiari”. Nessuna comunità o struttura, quindi, ma uno stretto raccordo con la famiglia. Ora manca un ultimo tassello, il via libero definitivo del magistrato di sorveglianza, decisivo per porre fine alla misura di sicurezza. Sono trascorsi tre anni, ma a breve questo calvario avrà fine. Ma quanto sarebbe durato se, come in centinaia di altri casi, non vi fosse stato fuori nessuno a lottare per la sua libertà? Giustizia: anche quest’anno il Papa assaggerà il panettone prodotto dai detenuti Famiglia Cristiana, 23 dicembre 2012 Per il terzo anno consecutivo, il Santo Padre assaggerà il dolce prodotto da alcuni detenuti della casa circondariale di Padova. Tra le attività, anche ceramiche in tiratura limitata. Quest’anno, a Natale, sulla tavola del Papa ci sarà un panettone artigianale sfornato nel carcere di Padova. I dolci di Giotto è il laboratorio artigianale che ha sede all’interno della prigione Due Palazzi: impiega 40 detenuti, 20 in pasticceria e, nei periodi di maggior lavoro, 20 addetti al confezionamento e alla distribuzione. Per il terzo anno consecutivo la Santa sede riconferma l’ordine natalizio, 250 panettoni da 1,5 chili, “un peso realizzato esclusivamente per il Santo Padre”, dice Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Giotto, che comprende le cooperative Giotto e Work Crossing, attive all’interno del carcere. Benedetto XVI ne ha ordinati altri dodici da un chilo in tiratura limitata, con un cofanetto prezioso che contiene immagini della Cappella degli Scrovegni. Tra le specialità preparate dai pasticceri di Giotto ci sono biscotti artigianali, grissini, focacce, colombe e dolci ispirati a Sant’Antonio e alla tradizione popolare. Tra pasticcerie, enoteche e negozi, queste delizie nate in carcere si possono trovare in ogni regione, ma sono esportate anche all’estero: Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Cina, Taiwan e Antille, “da dove è arrivata una richiesta di altri 400 panettoni, che però non potremo esaudire”, continua Boscoletto. La produzione di quest’anno è andata a ruba, circa 63.000 panettoni. Il Consorzio dà lavoro a 120 detenuti, di cui 15 in esterno. Oltre alla pasticceria c’è un servizio di ristorazione che impiega altri 25 detenuti e che funziona anche da catering. Proprio la cucina è stata la protagonista dell’undicesima edizione di una cena di beneficenza nel giorno di Santa Lucia, il cui ricavato andrà a finanziare i progetti per la cooperazione e lo sviluppo tra i popoli della Fondazione Avsi. Sotto la guida di quattro chef di prim’ordine, Massimiliano Alajmo, Luigi Biasetto, Giancarlo Perbellini e Piergiorgio Siviero, i detenuti, quindici dei quali hanno partecipato anche come camerieri, hanno realizzato portate per oltre cento coperti. Del consorzio fanno parte anche un call center, un assemblaggio di valigie della Roncato e una fabbrica di biciclette. A fronte del momento difficile per le carceri italiane, quella de I dolci di Giotto e del consorzio è una realtà virtuosa che non costituisce la norma. “Grazie al lavoro si riesce ad abbattere molto la recidiva”, continua Boscoletto. “Per chi segue un percorso lavorativo e l’eventuale misura alternativa, la recidiva, infatti, scende sotto il 5%, con punte dell’1%. Purtroppo, su quasi 67.000 detenuti, sono solo 700 - 800 quelli che operano con un lavoro vero e proprio. Inoltre, se ogni detenuto costa allo Stato 250 euro al giorno, cioè 100.000 euro all’anno, si capisce l’importanza del lavoro in carcere e dell’investimento di risorse economiche in tal senso: il risparmio che deriva da ogni punto percentuale di abbattimento della recidiva sarebbe di 50 milioni di euro per la collettività”. Oltre alla gastronomia, nel consorzio Giotto c’è anche l’arte: da sei anni vengono prodotte su ceramica in tiratura limitata immagini prese dalla Cappella degli Scrovegni. Per questo Natale il tema sono I vizi e le virtù. La ceramica più preziosa, prodotta in 250 esemplari, rappresenta La fede e l’infedeltà. Un’altra, in 500 pezzi, La giustizia e l’ingiustizia. La numero uno di entrambe le serie sarà donata al Papa, e la numero due al Presidente della Repubblica. Lettere: dietro alle sbarre c’è sempre un uomo… di Vauro Il Fatto Quotidiano, 23 dicembre 2012 A proposito della lettera di Carmelo Musumeci, che ho letto nella scorsa puntata di Servizio Pubblico, ho scelto di leggerla non soltanto perché da tempo sono in contatto con lui tramite la comunità Papa Giovanni XIII, impegnata nell’assistenza ai detenuti, e posso dire di conoscerlo un pò come la persona che è, non come la persona che era, ma anche e soprattutto perché Carmelo è quasi sicuramente uno di quelli che merita il carcere. Così arriviamo subito al punto. È facile, addirittura ovvio, sostenere che gli innocenti o chi ha commesso piccoli reati non dovrebbe stare in galera. Io però ritengo altrettanto importante che il carcere non sia, come purtroppo è, un luogo di tortura per nessuno, neanche per i colpevoli. Giustizia non può e non deve essere vendetta. Un uomo non può e non deve essere ridotto solo ai reati (anche quelli più odiosi) che ha commesso. Giustizia è punirlo ma continuando a riconoscergli dignità di essere umano. Perché è proprio dalla dignità della persona che può rinascere un moto di cambiamento, di riscatto. Annullare la dignità significa negare totalmente la funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere, oltre quella punitiva. Come previsto dalla Costituzione. È anche per questo che credo che il “Fine pena mai”, l’ergastolo, sia non solo una contraddizione del diritto, ma una barbarie. Non ho mai detto che Carmelo sia innocente (né a quanto ne sappia l’ha mai detto lui), ho solo voluto leggere ad alta voce alcune sue parole di amore. Anche i colpevoli amano, proprio come noi (innocenti?). Resto convinto della mia opinione: parole di amore non possono suonare di offesa a nessuno. Neanche se vengono da un uomo - ombra. Lettere: due pesi e due misure… la grazia a Sallusti sì, l’amnistia per 70mila detenuti no di Davide Pelanda www.articolotre.com, 23 dicembre 2012 È giudicato da molti uno schiaffo alle migliaia di detenuti ed una delle ennesime “schifezze” italiane la richiesta presentata da Ignazio La Russa al Ministro Paola Severino affinché il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conceda la grazia ad Alessandro Sallusti, giornalista e direttore del Giornale. Anche perché Sallusti, incriminato solo per un reato di opinione, sino ad ora sta agli arresti domiciliari in una bella villa assieme alla sua compagna di vita, avendo anche la possibilità di uscire per due ore al giorno e di contattare chi vuole, svolgendo regolarmente il proprio lavoro. Mentre invece da molto tempo i Radicali, Marco Pannella e i suoi digiuni in testa, e le associazioni di volontariato che si occupano dei detenuti chiedono a gran voce, ma del tutto ignorati ed inascoltati, l’amnistia per i circa 70 mila detenuti ammassati nelle celle due metri per due metri. E che dire del terzo dei detenuti che sono in custodia cautelare cioè detenuti in attesa di processo? E degli extracomunitari detenuti nei Cie fino a 18 mesi senza aver commesso alcun reato? Eppure chi sta nei Cie ci sta senza aver commesso alcun reato, solo perché è nato al di fuori dell’Europa. Per loro però, che non si chiamano Alessandro Sallusti, niente grazia niente amnistia, perché sono “figli di nessuno”. Lettere: la grazia di Napolitano e i miei grazie di Alessandro Sallusti Il Giornale, 23 dicembre 2012 La giornata di venerdì si era aperta sotto il cattivo auspicio del parere negativo alla grazia dato dalla Procura di Milano. Un atto da pura casta che vuole difendere a oltranza il proprio errore, frutto di odio politico e scelleratezza. Mi hanno umiliato con la condanna, con la definizione in sentenza di “delinquente abituale socialmente pericoloso”, hanno violato, per la prima volta in Italia, la sede di un giornale mandando i poliziotti ad arrestare un direttore alla sua scrivania. Non contenti, uno zelante funzionario mi ha inflitto, inutilmente come poi dimostrato nel processo, la gogna della foto segnaletica e delle impronte digitali. Sono ferite che bruciano e su cui oggi Napolitano stende un medicamento. Permettetemi dei ringraziamenti. Al mio editore, la famiglia di Paolo Berlusconi, che ha sopportato questa anomalia della quale non aveva alcuna responsabilità. Alla mia redazione, ai vicedirettori e a Vittorio Feltri che hanno continuato con dignità e orgoglio il lavoro quotidiano. Al mio avvocato nella causa di diffamazione, Valentina Ramella, dello studio Lo Giudice, che si è prestata a salvare un principio prima che un cliente. A Ignazio La Russa, avvocato nel processo per l’evasione, che si è fatto autonomamente promotore della richiesta di grazia, insieme con Maurizio Belpietro e con i colleghi di Libero, all’onorevole Luca D’Alessandro e ai trecento parlamentari che hanno raccolto firme in mia difesa. Ringrazio il presidente Giorgio Napolitano e accetto la grazia che mi offre commutando la pena detentiva in una piccola ammenda. Lo faccio non tanto e non solo per me, ma per coerenza con una battaglia di libertà che dovrebbe, uso il condizionale non a caso, riguardare tutta la categoria. Nelle motivazioni del provvedimento che mi riguarda, il capo dello Stato insiste sulla necessità di adeguare una legislazione, quella sulla libertà di stampa, antica, inadeguata e illiberale, fuori da qualsiasi parametro europeo. È questo un punto di ripartenza importante e solenne, che la magistratura e il legislatore non potranno ignorare da qui in avanti. Veneto: tremila detenuti nel posto per duemila, carceri a rischio caos di Silvia Zanardi Il Mattino di Padova, 23 dicembre 2012 Marco Pannella continua la sua protesta. A oltre una settimana di sciopero della fame e della sete, dice che senza giustizia preferisce morire. Sta rischiando la vita per la sua ennesima battaglia: mettere la parola “fine” al drammatico sovraffollamento nelle carceri italiane, che toglie umanità alla vita quotidiana dei detenuti, costretti a scontare le pene in celle anguste e prive di igiene, condizioni al limite che deprimono i carcerati portandoli troppo spesso al suicidio. La protesta viscerale del leader dei radicali porta anche il Veneto a riflettere sulla situazione dei suoi dieci istituti di detenzione. A fronte di duemila posti disponibili, i detenuti che scontano pene nella nostra regione sono circa tremila, di cui quasi duemila stranieri. Per fare qualche esempio, la casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova ha una capienza di 439 posti e quasi 900 detenuti, mentre la casa circondariale maschile di Venezia, il carcere di Santa Maria Maggiore, ospita oltre 300 reclusi in una struttura studiata per 168. Ancora peggio va al veronese Montorio, quasi 900 detenuti a fronte di una capienza di 589, idem alla casa circondariale di Vicenza: i detenuti sono oltre 300, ma i posti sarebbero 146. Un recente dossier fornito dal “Centro di Documentazione Due Palazzi” - attivo nella Casa di Reclusione di Padova offrendo servizi d’informazione attraverso la rivista “Ristretti Orizzonti” e i siti internet www.ristretti.it e www.ristretti.org - fornisce nome e cognome dei 61 detenuti “morti di carcere” in Veneto, e quindi per malattia, suicidio o per cause non definite, dal 2002 a metà dicembre 2012. Un numero drammatico, specchio dell’emergenza inaccettabile per cui si batte Pannella. “È indubbio che l’Italia deve prendere una decisione concreta riguardo alle misure alternative alla detenzione - spiega il direttore del “Due Palazzi” di Padova Salvatore Pirruccio. Considerare il carcere come extrema ratio è l’unico modo per contrastare il sovraffollamento. Bisogna far sì che per sempre meno persone sia questa l’unica soluzione per scontare la pena”. Il ddl sulla messa alla prova e le misure alternative al carcere è stato licenziato ieri dalla Commissione giustizia del Senato: il provvedimento, caldeggiato a più riprese dal ministro della Giustizia Paola Severino, sarà esaminato oggi dall’aula di palazzo Madama e dovrebbe essere approvato senza modifiche per evitare il rischio di una definitiva archiviazione a fine legislatura. Le misure alternative alla detenzione consentono al soggetto che ha subito una condanna di scontare, in tutto o in parte, la pena detentiva fuori dal carcere, attraverso l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. “Quando si parla di sovraffollamento bisogna prestare attenzione - spiega ancora il direttore del Due Palazzi Pirruccio. La casa di reclusione di Padova ha 439 posti ma la situazione, al suo interno, è gestibile e sopportabile dai detenuti fino a 700 presenze, perché le celle per una persona erano già state studiate per essere convertite in doppie”. “Seppur ora la situazione stia degenerando, con quasi 900 reclusi - conclude - una buona parte di loro è impegnata quotidianamente nei lavori domestici e nelle attività culturali, scolastiche e lavorative gestite dalle varie cooperative che operano all’interno del carcere, e quindi trascorrono il tempo in cella solo dalla sera alla mattina. Un’altra buona parte non fa nulla, è inoccupata, ed è quella a cui deve andare l’attenzione del Paese”. Padova: ancora troppi i detenuti completamente inattivi “La drammaticità della situazione all’interno delle carceri deriva soprattutto dall’inattività dei detenuti. Gli istituti di detenzione dovrebbero essere luoghi di recupero e di formazione dei condannati, non posti dove l’unica cosa da fare è ammazzare il tempo. Questo è deleterio per chiunque”. Ornella Favero - volontaria e direttrice di “Ristretti Orizzonti”, giornale della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca - ritiene che la tuttora scarsa opportunità di lavoro all’interno delle carceri sia, accanto all’emergenza - sovraffollamento, la causa principale del disagio che affligge i reclusi, spingendoli a gesti estremi come il suicidio. “Meno del 20% dei reclusi è impegnato in attività lavorative, ci sono detenuti che non fanno nulla dalla mattina alla sera e che non riescono nemmeno a camminare lungo una linea retta. Basti pensare - racconta Favero - che la vasca di cemento dove i reclusi trascorrono l’ora d’aria al Due Palazzi di Padova ha una capienza di 25 persone e ci vanno a gruppi di 75”. “In una situazione di emergenza come questa, anche il lavoro degli operatori sociali viene messo a repentaglio - continua - Le forze non sono infatti proporzionate alle presenze, con il risultato che uno psicologo, per esempio, riesce a vedere un detenuto solo per pochi minuti all’anno”. Dal suo osservatorio, Ornella Favero non riesce a parlare di isole felici: “In Veneto abbiamo buoni esempi di recupero dei detenuti: il carcere femminile alla Giudecca, dove sono state messe in moto numerose attività, e lo stesso Due Palazzi, noto per la sua pasticceria e per le variegate opportunità di lavoro, e quindi di guadagno, che offre ai reclusi - commenta - Ma noi dobbiamo guardare a chi passa le sue giornate guardando il soffitto, sperando in una riforma che insista davvero sulle misure alternative”. Lazio: Abbruzzese (Consiglio Regionale); sovraffollamento è piaga sociale da risolvere Adnkronos, 23 dicembre 2012 “Ho voluto proseguire le mie visite alle Case circondariali della nostra regione, recandomi presso quelle di Cassino e Paliano. Due realtà del nostro territorio guidate da direttrici, rispettivamente Gilda Reali e Nadia Cersosimo che testimoniano, con la loro professionalità e spirito di abnegazione, il grande lavoro che esiste per la gestione delle nostre carceri, oggi costrette a fare i conti con una realtà umanamente ed economicamente drammatica”. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, a margine delle visite odierne. “Come dimostrano anche gli ultimi dati Istat, pur scendendo lievemente il numero complessivo dei detenuti e nonostante uno su cinque lavori, il sovraffollamento resta un’emergenza che deve essere priorità di tutti: Governo, Camere penali, Enti locali, avvocati ed associazioni. Lo scorso 12 dicembre - ha proseguito Abbruzzese - il Parlamento Europeo ha votato a grande maggioranza la “Relazione sui Diritti Fondamentali nell’Unione Europea 2010 e 2011” esprimendo anche seria preoccupazione per la situazione dei detenuti nell’Ue. Il testo approvato invita la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a presentare proposte, insieme con il Consiglio d’Europa volte ad assicurare che i diritti dei detenuti siano rispettati e che venga promosso il loro reinserimento nella società”. “Un richiamo forte - sottolinea - anche per le nostre Istituzioni nazionali a mettere un punto sulla situazione delle carceri e degli istituti detentivi in generale, divenuta gravissima. Peccato che la riforma intrapresa dal Governo Berlusconi prima e poi dal Governo Monti, anche sulle pene alternative alla detenzione, non abbia trovato un punto di sintesi in Parlamento con un’iniziativa legislativa, che avrebbe risposto anche alla richiesta di norme minime comuni di detenzione previste dalla Ue, unitamente l’attuazione di meccanismi di monitoraggio più appropriati”. Nel corso delle visite odierne il presidente del Consiglio regionale ha voluto rivolgere un plauso agli agenti della polizia penitenziaria che ha puntualizzato: “Impegnano la propria professionalità nel quotidiano tentativo di rendere effettive negli istituti di pena le regole di legalità e di civile convivenza”. Nel salutare i detenuti che ha potuto incontrare, il presidente si è inoltre soffermato a vedere le numerose attività svolte all’interno dei due Istituti dai detenuti e ha garantito loro che “sarà necessario fare ogni sforzo non solo per migliorare le condizioni di vita in questa difficile realtà, ma anche perché vi possa essere un maggiore sostegno da parte della Regione ad iniziative utili a promuovere, una volta scontata la pena, il loro reinserimento nella società e specialmente nel mondo del lavoro”. Teramo: detenuto 31enne si impiccò in cella, familiari chiedono 700mila euro risarcimento Il Centro, 23 dicembre 2012 A 31 anni si uccide in cella a Castrogno, i genitori e la sorella citano per danni in tribunale il ministero di Giustizia. Si tolse la vita impiccandosi nel carcere di Teramo dove Cosimo Intrepido, 31enne di Trepuzzi, si trovava detenuto. Quella morte, però, almeno per il momento non andrà ad infoltire la fredda e cruda casistica dei suicidi avvenuti nei penitenziari italiani. Per i familiari del giovane, il padre Luigi Intrepido, la sorella Anna Maria e la madre Costantina Iannone, il 31enne non sarebbe stato adeguatamente curato e assistito in carcere e i legali Giuseppe Rampino e Antonio Savoia hanno avanzato una maxi richiesta risarcitoria di circa 700 mila euro indirizzata al Ministero di Giustizia e alla direzione carceraria del penitenziario teramano. La morte del giovane risale al 2011. Intrepido si trovava in carcere dal 2009 per una rapina, (compiuta con un’arma giocattolo), ai danni di una signora in via Dalmazia Birago, a Lecce. Condannato in primo grado ad otto anni e mezzo di carcere, il giovane, in Appello, il 9 luglio del 2010, ottenne uno sconto di pena “alleggerita” a 4 anni. La tragedia si consumò a Castrogno il 29 giugno dello scorso anno, Intrepido si impiccò all’interno della propria cella. Sin da subito le circostanze di quel suicidio apparvero poco chiare. Affetto da una “psicosi maniacale” e da un disturbo bipolare della personalità così come evidenziato in un verbale dell’Asl del 7 dicembre 2010, Intrepido aveva già provato a suicidarsi un anno prima tentando di tagliarsi le vene. Secondo i suoi familiari, proprio in virtù di questo primo campanello d’allarme, non sarebbe stata predisposta un’adeguata vigilanza o un trasferimento in una comunità terapeutica. Avvisaglie di una tragedia annunciata, verrebbe da dire, e l’impiccagione del detenuto, seguendo tale ragionamento, sarebbe stata figlia di una combinazione di fattori: successiva mancanza di una idonea sorveglianza e totale inadeguatezza nelle cure prestate al 31enne. Lo stato di insofferenza di Intrepido al regime carcerario sarebbe stato poi confermato da una lettera con cui lo stesso giovane chiedeva di essere trasferito presso il Cim di Squinzano per poter curare la patologia e avvicinarsi così ai suoi figlioletti. Ci sarebbe anche una seconda missiva scritta di proprio pugno da Intrepido per descrivere la sua intolleranza in cui sottolinea: “Non fa niente che sono lontano dalla mia regione ma vi prego di farmi partire da questo carcere”. Il finale, invece, è stato però tragico. Il carcere di Castrogno, una delle strutture più sovraffollate d’Abruzzo, è già finito sul tavolo del ministro di giustizia Paola Severino. L’estate scorsa, infatti, sei deputati radicali hanno presentato un’interrogazione. La prima firmataria è Rita Bernardini, che ha trascorso il giorno di Ferragosto nella casa circondariale teramana proprio per rendersi conto personalmente delle condizioni in cui vivono i 418 detenuti, di cui 376 uomini e 42 donne. Quest’anno ci sono stati quattro suicidi e molti sono stati quelli tentati rimasti tali grazie all’intervento degli agenti di polizia penitenziaria. E non solo. Nel carcere di Teramo che, dopo Rebibbia e Lecce, è il terzo in Italia per tentati suicidi, la cronaca di un’altra tragedia sventata passa anche attraverso il nome di Salvatore Parolisi. Il caporal maggiore condannato all’ergastolo, qualche mese prima della sentenza ha salvato un detenuto che voleva impiccarsi e che deve la vita proprio all’uomo accusato dell’omicidio di Melania. Rieti: Progetto “Welfare in carcere: Inps-con te”, promosso dal Garante dei detenuti www.rietinvetrina.it, 23 dicembre 2012 Si è costituito, a Rieti, il Tavolo Welfare Penitenziario per l’attuazione, nel carcere del capoluogo reatino, del progetto “Welfare in carcere: Inps-con te”. Il progetto - promosso dal Garante dei detenuti del Lazio, dalla Direzione Regionale dell’Inps e dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria - prevede l’utilizzo della nuova piattaforma telematica dell’Inps per consentire agli oltre 300 detenuti dell’istituto di Rieti, l’accesso ai servizi previdenziali, alle prestazioni a sostegno del reddito e ad ogni altro servizio erogato dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. Del Tavolo Welfare costituitosi a Rieti fanno parte, oltre al Garante, la Direzione del carcere, la Direzione Provinciale dell’Inps e i patronati (Inca Cgil, Ital Uil, Acli ed Epasa). Questi ultimi saranno chiamati a svolgere un ruolo delicato e prezioso visto che, con i propri operatori, dovranno occuparsi sia di sensibilizzare i detenuti che di gestire le procedure. A gennaio il servizio prenderà ufficialmente il via con una campagna informativa all’interno del carcere, con la diffusione del Manifesto dei servizi Welfare in carcere, specificamente pensato per illustrare ai detenuti presenti le opportunità del progetto. “Il progetto “Welfare in carcere: Inps - con te” - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - è un tassello fondamentale del sistema che abbiamo costruito coinvolgendo istituzioni, enti pubblici, associazioni, Centri per l’impiego, Agenzia delle Entrate, organizzazioni sindacali e di volontariato. Attraverso questo progetto abbiamo dato vita ad un sistema che consentirà ai reclusi del carcere di Rieti di poter finalmente accedere, sulla base di percorsi specificamente mappati e con tempi certi, alle prestazioni economiche, sociali e previdenziali cui hanno diritto”. Il progetto “Welfare in carcere: Inps - con te” è frutto di un Protocollo d’Intesa firmato nei mesi scorsi, tra il Garante Marroni, il Provveditore alle carceri del Lazio dott.ssa Di Paolo e la Direttrice Regionale dell’Inps dott.ssa Di Michele, che prevede l’attivazione, nelle 14 carceri della Regione, di un nuovo servizio ai detenuti destinato all’implementazione di un modello per facilitare l’accesso ai servizi previdenziali ed assistenziali. Inoltre, si semplificherà il lavoro da parte delle Direzioni delle carceri e tempi certi nelle risposte e nell’erogazione delle prestazioni dovute. Grazie al servizio Welfare in carcere, i detenuti di Rieti che ne hanno diritto potranno presentare domande in materia di previdenza sociale e di invalidità, presentare la documentazione di disoccupazione con requisiti ridotti e riscuotere la relativa indennità, riscuotere gli assegni di invalidità e trovare soluzioni per altre specifiche prestazioni a sostegno del reddito. Oltre a questi servizi, l’implementazione del Progetto prevede la certezza nell’erogazione della prestazione richiesta. Fino ad oggi, infatti, il beneficio economico veniva erogato dall’Inps con assegni postali che il recluso era impossibilitato a riscuotere. Grazie al progetto, invece, la somma sarà accreditata sul conto corrente del carcere e da qui versata sui conti personali dei detenuti. Cagliari: quattro detenuti lavoreranno alla scannerizzazione dei fascicoli della procura Adnkronos, 23 dicembre 2012 Firmato dal Presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, dal procuratore della Repubblica, Mauro Mura, da Stefano Tunis direttore dell’Agenzia regionale per il Lavoro e da Gianfranco De Gesu, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, il Protocollo d’intesa che darà il via a un progetto, sperimentale e unico in Italia, che permetterà a quattro detenuti di occuparsi della scannerizzazione dei fascicoli della procura di Cagliari. Il progetto, chiamato ‘Titolò, finanziato dalla Regione con 120 mila euro con durata di un anno, si inserisce nella più ampia strategia portata avanti dalla Giunta regionale per promuovere, a tutti i livelli, politiche di inclusione sociale anche con l’attivazione di progetti di tipo sperimentale come quello siglato oggi. Attraverso il progetto messo in campo si potrà permettere, in particolare, ai detenuti di completare il loro percorso di inclusione sociale. Tra gli altri obiettivi principali vi è anche l’incentivare a una maggiore consapevolezza nei detenuti della valenza sociale dell’attività lavorativa che andranno a svolgere, tenuto conto della sua particolarità e del luogo in cui lavoreranno e agevolare la modernizzazione e semplificazione del processo con un miglioramento della qualità del servizio reso all’utenza e all’attività della Procura della Repubblica. Perugia: il Sindaco Boccali visita detenuti e personale penitenziario del carcere di Capanne Asca, 23 dicembre 2012 Ha ringraziato il personale penitenziario per “l’attività che quotidianamente svolge con impegno e professionalità” con l’auspicato di un “loro adeguamento numerico, di cui c’è evidente necessita”. Si è conclusa così la visita del sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, che si è recato al carcere di Capanne per portare gli auguri di Natale al personale penitenziario e ai detenuti. Con il direttore della Casa circondariale, Bernardina Di Mario e con il comandante Luca Speranza, il sindaco ha visitato la struttura. Il direttore Di Mario ha mostrato al sindaco i cambiamenti introdotti nel carcere a livello organizzativo e strutturale e sottolineato l’importanza e la validità dei progetti di collaborazione in essere con il Comune di Perugia, finalizzati anche all’inserimento lavorativo. Boccali - è detto in una nota - ha poi preso parte alla festa di Natale per i figli minori dei detenuti, che ha visto il contributo di diverse associazioni di volontariato e della Croce Rossa italiana (un buffet è stato realizzato in parte dai detenuti, in parte dai volontari; l’animazione per bambini con l’associazione teatrale “Le Onde”; giochi e scambi di doni). Successivamente, ha incontrato alcuni detenuti del reparto penale e le detenute della sezione Femminile. Gorizia: istituito il Garante provinciale dei diritti dei detenuti Messaggero Veneto, 23 dicembre 2012 L’altra sera nel corso del consiglio provinciale di Gorizia è stato fatto un ulteriore passo verso la tutela dei diritti delle persone e l’affermazione della finalità rieducativa della pena. Un percorso iniziato il 15 ottobre, con l’approvazione all’unanimità dell’ordine del giorno proposto dal consigliere Stefano Cosma, esponente della coalizione Fli-Udc, per istituire il garante provinciale dei diritti dei detenuti. Un documento poi emendato affinché si estendesse anche al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo e frutto, quindi, di un lavoro bipartisan nell’assise provinciale. Un argomento affrontato anche a fine novembre in un incontro dal titolo “Il carcere non può più aspettare”, organizzato dalla Camera penale di Gorizia nella sede del Tribunale. Il carcere di via Barzellini versa, come noto, in condizioni indecorose e insostenibili, sia per i 46 detenuti che per i 40 agenti di polizia penitenziaria. Lo scorso 11 dicembre una riunione congiunta delle commissioni consiliari terza e quinta ha esaminato la bozza di Regolamento, illustrato da Stefano Cosma (Fli) e licenziato con le modifiche ed i suggerimenti dei consiglieri Russiani (Udc), Lavrencic (Sel), Obizzi (Pdl) e altri. Approdato in consiglio l’altro giorno, proprio mentre Marco Pannella stava digiunando (con grave rischio per la propria salute) al fine di portare all’attenzione di tutti la situazione inaccettabile delle carceri italiane, il provvedimento è passato con le sole astensioni soli consiglieri leghisti. Un sentito ringraziamento Cosma lo ha espresso agli uffici della Provincia, all’assessore Bianca Della Pietra e alle presidenti delle due citate commissioni, Vesna Tomsic (Pd) ed Elisabetta Medeot (Idv). Nelle prossime settimane la Provincia di Gorizia pubblicizzerà con adeguati strumenti (comunicati stampa e sito internet istituzionale) la possibilità di presentare candidature per l’elezione a Garante, informandone la cittadinanza. I cittadini in possesso dei requisiti, che saranno presto stabiliti, potranno presentare le proprie candidature, inoltrando apposita istanza al presidente del consiglio accompagnata da dettagliato curriculum. “Così - sottolinea ancora Cosma, accanto ai garanti comunali di Udine e Trieste ci sarà presto anche quello isontino (provinciale), considerata l’inerzia del Comune capoluogo e della stessa Regione”. Siena: i Consiglieri regionali Brogi e Spinelli (Pd) hanno visitato i detenuti Adnkronos, 23 dicembre 2012 I consiglieri regionali del Pd toscano Enzo Brogi e Marco Spinelli hanno visitato oggi la Casa Circondariale di Siena, incontrando i detenuti, i rappresentanti del personale del carcere e il nuovo direttore. Brogi e Spinelli, grazie al sostegno di due aziende e visto l’imminenza delle feste natalizie, hanno portato alcuni doni ai detenuti: un centinaio di maglioni e altrettante t-shirt (offerte dalla ditta d’abbigliamento aretina Porcellotti) e dolci natalizi senesi (dell’azienda Fiore di Sovicille). Ma, chiaramente, la visita era stata programmata nell’ambito delle iniziative che alcuni consiglieri regionali stanno svolgendo da tempo per affrontare i problemi della condizione carceraria in Toscana, primo fra tutti quello del sovraffollamento. Ultima, in ordine di tempo, la lettera - appello che Brogi e altri hanno inviato a Marco Pannella per sostenere la sua battaglia per l’amnistia. “Al carcere di Santo Spirito - raccontano Spinelli e Brogi - abbiamo trovato i soliti problemi comuni agli altri istituti: troppi detenuti (ne sono ospitati 90 a fronte di una capienza di 60), poco personale in servizio, strutture anguste, in alcuni casi appena 9 metri quadri per tre persone, tutto ciò realizzato all’interno di un vecchio convento del 1.300. Sicuramente una nota positiva riguarda l’organizzazione e le attività ricreative e didattiche, che con molta fatica e grazie all’impegno di chi ci lavora, vengono garantite con una certa continuità. Questa nostra tappa senese - concludono Brogi e Spinelli - rafforza in noi la consapevolezza che occorre quanto prima affrontare e risolvere i problemi delle condizioni materiali di vita dei detenuti e questo può avvenire solo con provvedimenti di legge del parlamento, tra cui certamente quello di un maggiore ricorso a misure alternative al carcere, soprattutto per i tossicodipendenti che dovrebbero essere inseriti in comunità di recupero”. Busto Arsizio: Sappe; sventato tentativo di evasione, detenuto aveva segato le sbarre Adnkronos, 23 dicembre 2012 Sventato al carcere di Busto Arsizio un tentativo di evasione di un detenuto 21enne di origine ecuadoriana. Lo riferisce il sindacato della polizia penitenziaria (Sappe) che spiega come il ragazzo, in carcere per oltraggio, stesse premeditando da tempo la sua fuga: nei giorni scorsi, avrebbe segato le sbarre del bagno della propria cella e predisposto lenzuola e relativo gancio per scavalcare il muro di cinta e calarsi giù. “Grazie all’intuito e allo scrupolo dei nostri agenti - afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe - ciò è stato impedito per tempo, ma questo grave episodio conferma ancora una volta le gravi criticità del sistema carcere”. È stato proprio nella mattinata di giovedì che gli agenti hanno perquisito la sua cella trovando una lima e tutto l’occorrente per l’evasione. “Il carcere di Busto Arsizio - continua Capece - è uno degli istituti penitenziari italiani maggiormente sovraffollati e, nonostante la carenza cronica di personale nei vari ruoli, la polizia penitenziaria riesce ad intervenire tempestivamente”. Secondo il segretario generale, le istituzioni e il mondo della politica dovrebbero agire concretamente. “C’è bisogno - dice - di una nuova politica dell’esecuzione della pena, che ripensi il sistema sanzionatorio”. La situazione penitenziaria, per Capece, resta grave: “Lo evidenziano soprattutto i continui tentativi di evasione e le evasioni vere e proprie. Il dato reale - conclude - è che ci sono in carcere 21mila persone detenute oltre la capienza regolamentare delle strutture e che gli stranieri detenuti sono oltre 23mila e dovrebbero essere espulsi per scontare la pena delle carceri dei Paesi di provenienza”. L’Aquila: per il Natale iniziative a favore dei detenuti di Sulmona e Avezzano Il Centro, 23 dicembre 2012 Un Natale meno “amaro” per i detenuti del carcere via Lamaccio. È con questo spirito che ieri mattina, il presidente del Cescot Abruzzo (agenzia formativa di Confesercenti), Angelo Pellegrino, ha consegnato 150 sacchetti di confetti da inserire nei pacchi che gli addetti dell’istituto di pena stanno preparando per le festività natalizie come dono alle famiglie dei detenuti. “È un piccolo dono”, sottolinea Pellegrino, “ma siamo convinti che un po’ di dolcezza possa far germogliare un sorriso sulla bocca dei bambini che soffrono per l’assenza dei propri papà. Nelle nostre intenzioni, questa occasione deve rappresentare un momento di solidarietà da comunicare soprattutto a chi non conosce bene la realtà della detenzione e dell’internamento”. Alla consegna dei confetti erano presenti il vicesindaco Enea Di Ianni e l’assessore Lorenzo Fusco, oltre ai rappresentanti del carcere peligno guidati dalla coordinatrice degli educatori, Fiorella Ranalli. “È, in sostanza, un piccolo contributo per un efficace gesto”, prosegue Pellegrino, “tendente a farsi carico dell’urgenza di promuovere una continua educazione degli adulti. Soprattutto verso problemi che, a torto, vengono considerati di secondo piano come la detenzione carceraria. Ogni evento dovrebbe essere sempre e comunque un incontro di esperienze con la comunità e il confronto con le tendenze culturali della società contemporanea non impattante con le scelte del vivere personale e quotidiano”. Nell’occasione è stata presentata la “Pizza dessert ai confetti” quale specificità alimentare legata al territorio. A confezionarla il campione del mondo dei pizzaioli Teseo Tesei, di Tocca da Casauria, fiore all’occhiello di una scuola, la Cescot, che sta ottenendo un grande successo sia come richiesta di iscrizioni, sia dall’ottimo livello raggiunto nei vari corsi proposti. Lo dimostrano le tantissime richieste di iscrizioni che continuano a pervenire. A tal proposito il direttore ha annunciato che con molta probabilità saranno ampliati i campi e gli indirizzi a disposizione degli utenti. Avezzano: convegno sul carcere al Don Orione “Senza giustizia non si può vivere insieme”. È questo il concetto con cui ha esordito Gino Milano, presidente dell’associazione Rindertimi, organizzatrice dell’evento “Morire di carcere: vale la pena?”. Il convegno che si è svolto al teatro di Don Orione di Avezzano ha messo in luce le problematiche presenti nelle carceri italiane, grazie agli interventi di numerosi esperti del settore giuridico. La situazione carceraria italiana è al collasso. Sono circa 66.500 i detenuti rinchiusi nei 206 penitenziari d’Italia, che ne potrebbero ospitare massimo 45.500. “Si arresta troppo e male”, ha affermato Giuseppe Montanara, professore di diritto penale dell’Università degli studi di Teramo. Un altro dato rilevante è l’elevato numero di detenuti ancora in attesa di giudizio. Sono il 50,7% dell’intero numero di carcerati: maggior percentuale europea che vede al secondo posto, lontanissima, la Francia con il suo 20,3%. Preoccupante è anche il numero delle morti avvenute negli ultimi anni nei penitenziari: 184 nel 2011, di cui 66 suicidi. Soltanto a novembre di quest’anno 53 detenuti si sono tolti la vita. Sono cifre indubbiamente troppo elevate. Al convegno era presente anche un detenuto del carcere di Castrogno a Teramo. “Ho sbagliato ed è giusto che paghi”, ha affermato, “gli anni che ho perso non li recupererò più, tuttavia cerco sempre di migliorare in vista di un futuro, grazie anche alle opportunità di studio che mi vengono concesse dal direttore. Certamente la vita in carcere non è facile: è meglio rispettare le regole che stanno fuori piuttosto che quelle che stanno dentro. Spesso la convivenza è difficile, perché hai a che fare con altri detenuti che non sono i compagni che ti scegli e quindi è una convivenza forzata. Personalmente sono stato fortunato perché ho sempre avuto l’appoggio della mia famiglia, con la quale ho l’opportunità di poter passare ancora più tempo grazie a un’iniziativa promossa dal direttore che consiste nello stare un’intera giornata con i propri cari fuori dalla sala dei colloqui. Una volta che si esce dal carcere”, ha concluso l’uomo, “l’importante è non ricadere, certo dopo questa esperienza non cadrò più”. Medio Oriente: 4,600 palestinesi, uomini, donne e bambini… nelle carceri israeliane www.infopal.it, 23 dicembre 2012 Il ricercatore palestinese Abdel Nasser Farawna ha rivelato che Israele detiene 4.600 palestinesi, sparsi in 17 delle sue prigioni. Lo specialista negli affari delle detenzioni in Israele ha affermato che l’83 per cento dei detenuti provengono dalla Cisgiordania, il dieci per cento dalla Striscia di Gaza e il resto proviene dai territori palestinesi del 1948 (l’odierno Israele). Secondo Farawna, tra i detenuti ci sono 182 bambini, 11 donne, 184 detenuti amministrativi, 13 membri eletti del Consiglio legislativo palestinese e tre ex ministri. Oltre a decine di accademici, politici e tecnici. Il ricercatore ha riferito che circa 1.200 prigionieri hanno problemi di salute, per i quali vengono negate le cure mediche, compresi 20 detenuti nell’ospedale di al-Ramle. Farawna ha aggiunto che 18 detenuti sono affetti dal cancro e 85 sono disabili. Le condizioni dei detenuti ricoverati nell’ospedale di Ramle sono state oggetto di molte denunce. Tra i prigionieri, più di un centinaio si trovava in carcere ancor prima della firma degli accordi di Oslo, nel 1994. 531 scontano almeno una condanna all’ergastolo, cui più di 70 sono in carcere da oltre 20 anni e 23 sono dietro alle sbarre da 25 o più anni. Ayman al - Sharawna è in sciopero della fame da 172 giorni e Samer al - ’Issawi da 142, le loro proteste hanno avuto poca pubblicità, nonostante, un mese fa, almeno altri quattro detenuti hanno aderito allo sciopero della fame. Tutti protestano contro la loro detenzione amministrativa. Abdel Nasser Farawna, egli stesso è un ex detenuto, ha esortato tutte le organizzazioni per i diritti umani ad agire per salvare la vita dei prigionieri in sciopero della fame e risolvere il problema dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Yemen: incendio in una prigione, morti 8 detenuti Ansa, 23 dicembre 2012 Otto detenuti sono morti oggi in un incendio scoppiato all’interno del penitenziario di Ibb a 200 km a sud della capitale dello Yemen, Sanaa. Lo ha reso noto un responsabile dei servizi di sicurezza, aggiungendo che diverse celle sono state invase dalle fiamme, senza però precisare se si sia trattato di un incendio doloso o accidentale. I soccorsi sono arrivati in ritardo, hanno aggiunto alcuni responsabili locali. Negli ultimi mesi molti detenuti avevano protestato contro le cattive condizioni di detenzione a cui sono sottoposti, tra cui il sovraffollamento.