Reati, persone, sicurezza sociale. Conoscere il carcere per raccontarlo Il Mattino di Padova, 11 dicembre 2012 Una pena scontata fino all’ultimo giorno in carcere è funzionale all’esigenza di sicurezza che i cittadini perbene richiedono? Un reato, anche il più terribile, inchioda per sempre e per intero la personalità di chi lo ha compiuto a quel gesto? Dal percorso dell’espiazione della pena possono uscire persone diverse da quelle che sono entrate in carcere? E ancora, è giusto che ci siano detenuti non morti, ma sepolti vivi, perché condannati all’ergastolo ostativo, quella forma di pena che non prevede possibilità né di permessi, né di misure alternative, quale che sia il percorso compiuto dal detenuto? È giusto scontare una pena con la certezza che dal carcere si uscirà solo morti? Sono questi alcuni dei temi che sono stati affrontati nel seminario “Reati, persone, sicurezza sociale. Conoscere il carcere per raccontarlo”, organizzato dalla redazione di Ristretti Orizzonti e dall’Ordine dei Giornalisti del Veneto il 5 dicembre all’interno della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova. Il seminario, riservato a professionisti, pubblicisti e praticanti del Veneto, è stato un’occasione unica per mettere tanti giornalisti in contatto diretto con una realtà spesso da loro poco conosciuta, e per fornire spunti di riflessione e qualche utile strumento per svolgere al meglio il proprio lavoro, garantendo una corretta informazione su giustizia, carcere ed esecuzione della pena. Uno dei temi più complessi affrontati è stato quello della custodia cautelare, chiamata spesso, non a caso, “carcerazione preventiva”, e di certe semplificazioni giornalistiche per cui la persona, che attende un processo agli arresti domiciliari, viene descritta sui giornali o nei telegiornali come “già libera”. Di questo tema hanno parlato un detenuto della redazione di Ristretti Orizzonti, che ha raccontato la sua esperienza, e Mauro Palma, Vice-presidente del Consiglio Europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale. Stare agli arresti domiciliari non significa essere liberi Capita spesso di leggere sui giornali, a proposito di una persona accusata di aver commesso un reato, che “è già libera”, intendendo per “libera” anche la persona che è stata messa agli arresti domiciliari. Questo secondo me non è il modo migliore per spiegare alla popolazione che cosa sono gli arresti domiciliari, io che li ho fatti so che non si tratta affatto di essere liberi, è un modo molto serio di aspettare il processo, certo è meglio che rimanere in carcere, però ha delle regole molto precise, se si “sgarra” si finisce dentro e la pena può anche aumentare. La semplice evasione dai domiciliari è infatti un reato che prima prevedeva da sei mesi a un anno di pena, e dal 2010 comporta da uno a tre anni. A me è successo nel 2005, quando ero agli arresti domiciliari, che, a un normale controllo dei carabinieri alle due e mezza della notte, dormivo e non ho sentito il campanello. Dopo 20 minuti i carabinieri sono ripassati, mi hanno svegliato e mi hanno contestato che non ero presente al loro primo controllo, ho dovuto affrontare un processo e sono stato condannato a otto mesi, è inutile dire che i miei familiari non sono stati ascoltati né minimamente presi in considerazione, anche se erano stati testimoni del fatto. Questo lo dico non per dire che ero innocente, ma per farvi capire che, pur essendo in casa, uno può rischiare di “evadere” anche se non è evaso. Stare agli arresti domiciliari comporta seguire certe prescrizioni molto precise e dettagliate che dà la magistratura. Nel mio caso io non potevo neanche uscire sul balcone, e anche i miei familiari subivano pesanti limitazioni, perché non potevano più invitare nessun amico, non erano più padroni a casa loro, perciò la casa di chi vive agli arresti domiciliari diventa un bunker, diventa un carcere alla fine. Perciò pregherei i giornalisti, quando scrivono di queste cose, di approfondire di più, perché stare agli arresti domiciliari non significa essere liberi. Klajdi S. Alla custodia cautelare viene spesso dato un ruolo anticipatorio della sanzione penale Il sistema ordinamentale di un Paese democratico si basa su una legittimazione di tipo legale, è legittima l’azione del magistrato, è legittima l’azione dell’inquirente nel momento in cui la sua base è una base legale, cioè dettata dalla legge, mentre invece la stampa tende spesso a proporre un altro concetto, cioè a porre al centro dell’attenzione qual è la risposta dell’opinione pubblica rispetto per esempio a un provvedimento preso da un magistrato. Se si parla di un delitto grave questo comporta che alla custodia cautelare viene dato un ruolo anticipatorio della sanzione penale, piuttosto che un ruolo funzionale allo sviluppo dell’indagine. Non so se è chiara la questione, la custodia cautelare in carcere è una misura che va adottata come misura estrema, laddove altre misure non sono possibili, sostanzialmente con tre tipi di motivazioni: per evitare che la persona accusata di un reato possa sottrarsi all’indagine stessa, possa andarsene, per evitare che possa inquinare le prove nell’ambito probatorio, e per evitare che possa reiterare il reato. Quindi la decisione di mandare una persona in carcere non viene presa sulla base di una prognosi di generica pericolosità, quanto piuttosto su una base fattuale, per la presenza di elementi che portano a far supporre che la persona in questione possa davvero commettere un reato analogo a quello per cui è indagata. La custodia cautelare quindi è uno strumento provvisorio, funzionale all’indagine, mentre invece viene fatta percepire come la risposta immediata alla richiesta di pena che proviene dalla società, tant’è che viene spesso chiamata ancora carcerazione preventiva, piuttosto che custodia cautelare, proprio come elemento anticipatorio e di fatto vera pena. Il veicolo perché sia cosi percepita, e perché conseguentemente le decisioni prese nel periodo di custodia cautelare siano analizzate sulla base di questa percezione, è il veicolo rappresentato proprio dai mezzi di informazione. I mezzi di informazione quasi sempre agiscono su un’idea di immediatezza della risposta che appartiene poco al Diritto Penale, perché il Diritto Penale non nasce in continuità con la pratica della vendetta, affidando in qualche modo questa vendetta in maniera non cruenta alle istituzioni, ma nasce come lotta alla vendetta, nasce come interruzione di quella pratica, nasce quindi come un bisogno di accertamento delle responsabilità che richiede tempo. Allora voi capite che un sistema in cui il meccanismo di informazione in qualche modo contribuisce a dare un’idea molto approssimativa, e anche molto emotiva, del ruolo e della funzione della custodia cautelare, si presta a degenerare in un sistema in cui “intanto ti fai il carcere”, e questo già costituisce la vera pena, poi quando ci sarà il processo… si vedrà. La questione molto spesso si risolve che, per tanti procedimenti, in sede processuale la pena è già stata di fatto scontata prima della eventuale condanna proprio grazie alla custodia cautelare pregressa. Questo è il primo punto da tener presente, questa idea di immediatezza della risposta. Che significa anche a volte immediatezza del ruolo della vittima: per esempio, io trovo violente e orrende quelle situazioni in cui, alla persona che ha subito il reato, c’è il giornalista che immediatamente chiede: “Lei perdona”? A volte cose di questo genere sono di una violenza e di un mancato rispetto della vittima davvero molto gravi. L’informazione ha a volte la grande responsabilità di non far capire la complessità del sistema penale, come ha una grande responsabilità nell’indurre un concetto di “irreversibilità” delle persone fotografate al momento della commissione del reato e considerate poi anche dopo anni in qualche modo ferme a quel fotogramma, ferme a quel tipo di immagini. Mauro Palma Vice-presidente del Consiglio Europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale Giustizia: ddl misure alternative a rischio, appello di Associazioni e Sindacati Adnkronos, 11 dicembre 2012 Dopo l’annuncio delle dimissioni di Mario Monti da presidente del Consiglio, il disegno di legge sulle misure alternative al carcere rischia di non essere approvato entro questa legislatura. Un’ipotesi che preoccupa e indigna associazioni e sindacati penitenziari - sentiti dall’Adnkronos - che rimproverano al governo di aver proceduto con tempi troppo lenti, e chiedono di “salvare il ddl”. “Bisognava intervenire mesi addietro con più rapidità, ricorrendo al decreto legge e non affidarsi, come è stato fatto, all’iniziativa parlamentare”, commenta il presidente dell’associazione Antigone Patrizio Gonnella. “Era inevitabile che saremmo arrivati a questo punto - aggiunge - dato che le carceri sono in uno stato di emergenza da tempo, il Governo non avrebbe certo forzato la mano intervenendo con decreto”. “Almeno rispetto a quelli precedenti - ammette Gonnella - l’esecutivo Monti ci ha provato, seppur in maniera lenta, mentre quelli precedenti hanno la responsabilità di aver creato queste condizioni. Speriamo - auspica - che in futuro il tema del sovraffollamento delle carceri stia a cuore a chi avrà la responsabilità di governare, perché le condizioni di vita dei detenuti reclamano provvedimenti immediati”. Per il Sappe, il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, “il ministro della Giustizia Paola Severino ha avuto un anno per mettere mano alle riforme strutturali del carcere, ma non ha fatto nulla. Ci dica, il ministro, quali obiettivi ha raggiunto - chiede il segretario del sindacato Donato Capece - Siamo costernati e preoccupati perché continuiamo a soffrire il problema del sovraffollamento e a sentirci abbandonati”. Capece auspica poi che i partiti “mettano nel loro programma elettorale la riforma del sistema penitenziario. Siamo dispiaciuti della poca sensibilità finora dimostrata nei nostri confronti. Il nostro motto - conclude - è fatti, non parole: delle parole ne abbiamo ormai piene le scatole”. A chiedere che il ddl venga approvato entro la fine di questa legislatura è anche l’ispettore generale dei cappellani delle carceri don Virgilio Balducchi. “Spero che si riesca a far qualcosa perché è davvero impensabile che lascino la situazione così com’è“, ammonisce. “Trovino il tempo di farlo già entro questa legislatura: so che i tempi sono stretti, ma anche i detenuti sono stretti, nel senso fisico del termine. Se non danno anche solo una possibilità minima di uscire dal carcere - conclude don Balducchi - non so cosa potrà succedere”. Di Giovan Paolo (Pd): non lasciar cadere ddl pene alternative Sulla salute in carcere il senatore Pd Roberto Di Giovan Paolo ha dichiarato: “Mi auguro che i partiti in questo fine legislatura prendano impegni chiari per ridurre il sovraffollamento e garantire maggiore vivibilità nelle carceri. Il ddl sulle pene alternative è un primo approccio che non possiamo lasciar cadere”. Il presidente del Forum per la sanità penitenziaria ha aggiunto: “Viviamo una situazione di sovraffollamento indegna di un Paese civile. I dati dimostrano che chi sconta la pena fuori dal carcere è meno soggetto a recidive - continua Di Giovan Paolo - Sul fronte della sanità, poi, bisogna che i fondi sanitari per la salute in carcere siano ripartiti nell’ambito delle spese sanitarie regionali con linee di impiego che garantiscano maggiore efficienza sia ai detenuti sia ai cittadini della Regione”. Giustizia: amnistia e diritto voto, i Radicali in piazza per 68mila detenuti 9Colonne, 11 dicembre 2012 Partito Radicale e Associazione Detenuto Ignoto sono scesi oggi in piazza, al Pantheon a Roma e poi davanti all’ingresso della sede della Camera dei deputati, nell’ambito della tre giorni annunciata ieri per ottenere l’amnistia e una maggiore informazione sul diritto di voto per i detenuti italiani. Al Pantheon, a ora di pranzo, è andato in scena una sorta di girotondo rumoroso per richiamare l’attenzione dei passanti su un tema da sempre caro ai radicali e a Marco Pannella, che ha iniziato ieri lo sciopero della sete proprio nell’ambito di questa campagna. “Il 40% delle persone attualmente detenute è in attesa di giudizio, e in genere la metà alla fine viene riconosciuta definitivamente innocente, e comunque non perde il diritto di voto - ha spiegato il senatore Marco Perduca, Radicale eletto nelle fine del Pd. Nell’incertezza della legge elettorale e soprattutto della data del voto, vogliamo che si faccia la dovuta informazione sul diritto al voto dei detenuti”. Per Perduca sono i dati a parlare: “In occasione delle ultime Europee ho seguito il voto dal carcere di Sollicciano, e solamente in tre hanno votato. Vi sono 68 mila detenuti in Italia: è vero che una parte di questi sono stranieri, ma in genere non più di cento usufruisce del suo diritto”. Oggi pomeriggio la mozione che ha come prima firmataria l’esponente radicale Rita Bernardini sarà in discussione alla Camera. L’iniziativa radicale si inserisce nell’ambito della campagna più estesa sull’amnistia. (“Amnistia” era la parola che campeggiava a caratteri cubitali su uno striscione in piazza del Pantheon) “È lo stato che dovrebbe amnistiarsi da solo - spiega Perduca. Pannella è passato dallo sciopero della fame allo sciopero della sete, non credo basterà”. Alfonso Papa (Pdl) in piazza con i Radicali per la “battitura” “Oggi mi unirò alla manifestazione indetta dai Radicali affinché le due commissioni congiunte della Camera, che si riuniranno in giornata, approvino la risoluzione per il rispetto effettivo del diritto di voto dei detenuti”, è quanto dichiara il deputato Alfonso Papa (Pdl) che prenderà parte alla “battitura” che si terrà davanti a Montecitorio dalle ore 14.15 per imitare l’analoga forma di protesta che i detenuti hanno avviato a orari fissi nelle carceri italiane. “Il governo Monti aveva l’opportunità di approvare una misura rivoluzionaria come l’amnistia, la sola - continua Papa - in grado di azzerare l’esistente e avviare un vero percorso di riforma. Invece non l’ha fatto e sarà ricordato esclusivamente per il debito e la disoccupazione giunti a livelli record”. “La campagna elettorale ormai iniziata - conclude Papa - deve porre al centro questa grande emergenza sociale ed economica, foriera di oltre 60 suicidi l’anno e di immense opportunità mancate per il sistema Paese”. Giustizia: Radicali; Commissioni Camera approvano Risoluzione diritto di voto a detenuti Il Velino, 11 dicembre 2012 La risoluzione sul diritto di voto dei detenuti, promossa dalla deputata radicale Rita Bernardini e sottoscritta da circa 40 deputati di diversi gruppi, è stata approvata oggi dalle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera in seduta congiunta. “È una vittoria della lotta nonviolenta che abbiamo condotto con Marco Pannella, con i detenuti e l’intera comunità penitenziaria per rendere effettivo un diritto che fino ad oggi è sempre rimasto solo sulla carta”, hanno commentato la deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria del Detenuto Ignoto Irene Testa, che avevano ottenuto la calendarizzazione della risoluzione grazie a uno sciopero della fame di 41 giorni, portato avanti insieme al segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti. “Infatti - spiegano le Radicali - pur essendo moltissimi i reclusi che conservano il diritto di voto, finora soltanto il 7 per cento di loro è stato messo nelle condizioni di esercitarlo, a causa di ostacoli e complicazioni burocratiche. Con questo documento, che mira a rendere effettivo l’accesso al voto per i tantissimi reclusi che conservano i propri diritti civili e politici, si impegna ora il governo a sollecitare, attraverso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i direttori degli istituti penitenziari affinché informino tempestivamente i detenuti sugli adempimenti da compiere per essere ammessi al voto in carcere; ad avviare con ampio margine di tempo le operazioni di registrazione nelle liste elettorali dei detenuti elettori e la consegna delle loro tessere; a emanare una circolare affinché si assicuri in modo tempestivo l’esercizio del diritto di voto dei detenuti, in particolare di quelli interessati dalle elezioni regionali di febbraio e che sono reclusi in regioni diverse da quelle in cui risultano residenti. “Ora vigileremo sulla tempestiva applicazione di quanto previsto dalla risoluzione, perché quando un diritto viene riconquistato possono aprirsi delle brecce di libertà utili a tutti i cittadini”, hanno aggiunto Bernardini e Testa. Sono decine di migliaia i detenuti che in questi giorni hanno partecipato con la battitura delle sbarre alla mobilitazione straordinaria promossa dentro e fuori le carceri da Marco Pannella, che oggi è passato dallo sciopero della fame a quello totale della fame e della sete. E stamattina familiari dei detenuti, operatori penitenziari, insieme a militanti e dirigenti radicali, si sono raccolti in Piazza del Pantheon e davanti a Montecitorio per attendere il voto sulla risoluzione effettuando con posate e stoviglie una battitura simile a quella in corso nelle carceri. Giustizia: Cassazione; “svuota carceri” non è seconda chance dopo rifiuto misure alternative di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 11 dicembre 2012 La legge “svuota carceri” non può rappresentare una seconda chance per chi si è visto rifiutare la misura alternativa alla detenzione secondo il Codice di procedura penale. Lo chiarisce la Corte di Cassazione, in uno dei primissimi interventi sulla legge 199/2010, con la sentenza n. 47859 del 2012. La Corte ha così accolto il ricorso presentato dal procuratore generale di Torino contro l’ordinanza della Corte d’appello con la quale si disponeva la sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti di un condannato per effetto dell’articolo 1 della legge n. 199 del 2010. L’interessato, dopo una prima sospensione, si era, però, vista respingere in precedenza una richiesta di applicazione di misura alternativa alla detenzione e, da parte della Procura generale, anche un’istanza di nuova sospensione della pena sulla base della disciplina “svuota carceri”. Per la Corte d’appello, il Codice di procedura penale non rappresenta un ostacolo all’accoglimento della domanda del condannato “essendo l’esecuzione della pena presso il domicilio ex legge 199/2010 una misura alternativa, oltre che con diversi presupposti dalla detenzione domiciliare ex articolo 47 ter ordinamento penitenziario, applicabile solo quando difettano i presupposti per le altre previste dalla legge”. Per la Cassazione, però, la legge 199/2010 non può essere interpretata come una seconda possibilità, oltre a quella prevista dall’articolo 656 del Codice di procedura penale, di ottenere la sospensione dell’esecuzione con l’obiettivo di scontare la pena con la misura alternativa degli arresti domiciliari. La legge, infatti, è stata emanata per attenuare, con una misura temporanea e presa in stato di emergenza, al problema del sovraffollamento delle carceri, estendendo il beneficio della detenzione domiciliare a categorie di condannati che, per effetto del Codice di procedura penale, non avrebbero potuto usufruirne e, in particolare, a quella categoria di condannati cui è stata applicata la recidiva. La Cassazione ricorda, tra l’altro, che la legge del 2010 stabilisce la sospensione delle pene detentive non superiori a 12 mesi (adesso i mesi sono 18) solo quando il condannato non può beneficiare di una delle misure alternative alla detenzione in carcere che possono essere concesse attraverso la procedura dell’articolo 656 del Codice. “Quindi è evidente - conclude la sentenza - che se il condannato è nelle condizioni per essere ammesso alle misure alternative alla detenzione in carcere prevista dall’ordinamento penitenziario, ha diritto solo alla sospensione prevista dall’articolo 656 del Codice di procedura penale, ed altresì è evidente che, se il beneficio richiesto gli è stato negato dal tribunale di sorveglianza in ragione della pericolosità o per altra causa non potrà usufruire di una seconda sospensione, in attesa che questa volta il magistrato di sorveglianza valuti se si tratti di un soggetto pericoloso o comunque se sussistono le condizioni per l’esecuzione della pena presso il domicilio”. Giustizia: tre errori giudiziari, tre storie di ordinaria ingiustizia di Riccardo Arena www.ilpost.it, 11 dicembre 2012 Pasquale, 46 anni, incensurato. All’alba del 26 maggio del 2010, viene arrestato perché accusato di violenza sessuale e riduzione in schiavitù. Per otto giorni sarà detenuto nel carcere di Cassino, poi passerà il resto della sua misura cautelare chiuso in una cella del carcere Rebibbia di Roma con altre sei persone. Il 14 marzo del 2011, dopo circa un anno, il Gup del Tribunale di Roma lo assolve per il reato di riduzione in schiavitù, ma lo condanna a 5 anni e 4 mesi per il reato di violenza sessuale. Il 17 gennaio del 2012, la Corte d’Assise d’Appello di Roma assolve Pasquale “per non aver commesso il fatto”. Pasquale viene liberato dopo un anno e 4 mesi di misura cautelare in carcere. Luca, 20 anni, incensurato. La mattina del 26 giugno del 2008 viene arrestato perché accusato di concorso in omicidio. Sarà prima detenuto nel carcere Marassi di Genova, poi nel carcere di San Remo ed infine del carcere San Vittore di Milano. Il 23 giugno del 2009, il Gup del tribunale di Genova lo condanna a 10 anni di reclusione. Condanna confermata, il 18 giugno del 2010, dalla Corte d’Assise d’Appello di Genova. Il 5 luglio del 2011 la Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna, rilevando gravi vizi della motivazione. Il 16 ottobre del 2012, la Corte d’Assise d’Appello di Genova assolve Luca “per non aver commesso il fatto”. Luca torna in libertà dopo 4 anni e 4 mesi di misura cautelare in carcere. Roberto, 65 anni, incensurato. Il 27 settembre del 2007, alle prime luci del mattino, viene arrestato perché accusato di associazione mafiosa finalizzata all’insider traiding. Verrà portato nel carcere Regina Coeli di Roma, poi nel carcere di Lanciano ed infine nel carcere Rebibbia di Roma. Nel luglio del 2008, la VI sezione della Corte di Cassazione annulla l’ordinanza di misura cautelare in quanto dalle intercettazioni effettuate non emergono gravi indizi di colpevolezza. Decisione che viene disattesa sia dal Tribunale della libertà che dalla II sezione della Corte di Cassazione che invece confermano la misura. Il 14 gennaio 2009 inizia il processo di primo grado. Processo che durerà 4 anni. Il 23 novembre 2012, il Tribunale di Roma assolve Roberto “perché il fatto non sussiste”. Roberto viene scarcerato dopo 2 anni e 8 mesi di misura cautelare in carcere. Ecco tre errori giudiziari ignoti. Tre storie di ordinaria ingiustizia che hanno coinvolto comuni cittadini. Cittadini che prima sono stati messi in carcere e che dopo anni sono tornati in libertà perché riconosciuti innocenti. Tre fra tanti errori giudiziari ignorati, che sono la dimostrazione del collasso in cui versa il processo penale. Un processo dove la carcerazione preventiva è prassi, e dove la valutazione della prova è spesso accadimento secondario e non centrale del dibattimento. Insomma, le due premesse essenziali perché il processo produca ingiustizia e non giustizia: il carcere per l’innocente. Esattamente ciò che accade oggi. E infatti queste tre storie sono la realtà della nostra Giustizia penale (se ancora si può chiamare così). Una Giustizia che si manifesta oggi solo attraverso l’applicazione della misura cautelare: la detenzione prima del giudizio. Misura cautelare, e non il processo, che è diventata indebitamente la fase centrale di questo cosiddetto giudizio penale. Misura cautelare, basata sui gravi indizi e non sulla colpevolezza accertata dopo un dibattimento processuale, che viene fatta scontare in carceri a dir poco vergognose e che è peggiore della tortura. Sì peggiore della tortura. E non solo per il degrado delle galere, ma anche per l’incertezza, e non la certezza, che contraddistingue la fase del dibattimento, del processo. Processo che sostanzialmente non esiste più a causa dei tempi interminabili, quindi ingiusti, e a causa dell’epilogo imprevedibile, quindi evanescente. Ai limiti della casualità. È il caso, e non l’applicazione ferrea del diritto o la valutazione rigorosa della prova, che fornisce una risposta di giustizia ai tanti cittadini in attesa di giudizio. È il caso, e non la regola generalmente applicata, che, pur tardivamente, svela l’errore. Già il caso. Il caso di imbattersi in un giudice capace di affermare la verità dopo anni di misura cautelare, certificando così un errore che si poteva e che si doveva evitare prima. Questa è la Giustizia di oggi. Auguri. Giustizia: video inedito del pestaggio in Via Varsavia… così è morto Michele Ferulli di Luigi Manconi e Valentina Calderone L’Unità, 11 dicembre 2012 Michele Ferulli, 51 anni, il 30 giugno 2011 subisce un fermo di polizia sotto la sua abitazione, in via Varsavia a Milano. Ferulli si trovava in compagnia di due amici; e insieme ascoltavano la musica che usciva dallo stereo del loro furgone, chiacchieravano e bevevano birra. “Erano le 21.30 di una calda serata estiva. I poliziotti intervengono chiamati da qualcuno infastidito dal suono dello stereo e, secondo quanto riferiscono alcuni testimoni, Ferullli risponde pacatamente alle domande degli agenti e fornisce loro i documenti. In pochi attimi, per ragioni non chiarite, tutto precipita. Michele Ferulli viene immobilizzato, ammanettato e buttato a terra. I video acquisiti dalla Procura mostrano come Ferulli, inerme, sia stato colpito più volte con calci e pugni. La documentazione videoregistrata acquisita agli atti riguarda tre differenti riprese, disponibili da oggi sul sito Unita.it. La prima di queste è stata effettuata dalla telecamera esterna a una farmacia: nella scena si vede Ferulli accanto al furgone, che parla e ride con gli amici e con uno di loro, poco dopo, accennerà qualche passo di danza. All’arrivo dei poliziotti la situazione sembra essere tranquilla, Ferulli si avvicina a un cestino per buttare la bottiglia di birra e parla con gli agenti. Uno di questi, negli attimi successivi, dà uno schiaffo a Ferulli senza che dal video se ne capisca il motivo. Poi si vede l’arrivo di una seconda auto pattuglia dalla quale scendono altri due agenti e, poco dopo, tutti gli uomini scompaiono dall’inquadratura. Gli altri due video sono stati girati con dei telefoni cellulari e mostrano la scena successiva, quella delle percosse subite da Michele Ferulli. Il primo filmato è ripreso dall’alto di un palazzo, e la scena appare poco distinguibile, mentre il secondo è girato dall’interno di una macchina parcheggiata in prossimità del luogo dove è in corso il fermo. Questo è di sicuro il documento più interessante. L’autrice del video è nell’abitacolo con un’altra donna e insieme commentano ciò che vedono. Le loro parole, tradotte in italiano dal romeno, sono queste: “l’hanno preso per i capelli, non vuole dargli il braccio”, “hai visto che cazzotto in bocca?”, “guarda come lo picchiano, prima le manette e poi lo hanno massacrato”, “ma non gli spezzano i reni? vedi? poverino!”, “è morto!”, “è morto dici?”, “non vedi ha la faccia nera non si muove più”. Flebili, e quasi indistinguibili, si sentono le invocazioni di Ferulli: “aiuto, aiuto, basta”. Michele Ferulli muore per arresto cardiaco sull’asfalto, ancora con le manette ai polsi. Il fascicolo aperto per la sua morte ha rischiato di essere archiviato ma l’acquisizione dei video ha fatto ripartire le indagini. Il giudice per l’udienza preliminare ha rinviato a giudizio i quattro poliziotti, riqualificando il reato da cooperazione in omicidio colposo a omicidio preterintenzionale. E il Gip così scrive nel decreto che dispone il giudizio: gli agenti hanno agito con “negligenza, imprudenza e imperizia, consistente nell’ingaggiare una colluttazione eccedendo i limiti del legittimo intervento, percuotendo ripetutamente la persona offesa in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica”. Si tratta di una decisione estremamente importante. In vicende simili, quando cioè non sono presenti ferite mortali agli organi vitali, difficilmente viene riconosciuto il nesso di causalità tra l’intervento, violento come in questo caso, degli agenti e la morte del fermato. Questa volta, invece, il processo partirà dall’ipotesi che gli agenti coinvolti abbiano agito in maniera gravemente sproporzionata e che il loro intervento abbia concorso in maniera diretta a provocare la morte di Ferulli. La prima udienza si è tenuta il 4 dicembre e a partire dal 23 aprile 2013 saranno ascoltati i testimoni. Nel frattempo il giudice deciderà se ammettere le telecamere all’interno dell’aula, com’è stato chiesto dalla figlia e dalla moglie di Ferulli. Giustizia: cosa ci insegna il caso Sallusti… di Paolo Ponis La Gazzetta di Reggio, 11 dicembre 2012 Alessandro Sallusti, il direttore responsabile de “Il Giornale” condannato in via definitiva per il reato di diffamazione, dopo una interminabile manfrina parlamentare, ha evitato il carcere grazie a una norma del decreto-legge del 22 dicembre 2011, detto “svuota carceri” (decreto che per la verità non ha svuotato nulla, visto che il numero dei detenuti supera ancora di oltre 20.000 unità la ricettività dei penitenziari italiani), che prevede la detenzione nella forma degli arresti domiciliari per chi abbia subito una condanna non superiore a 18 mesi di reclusione. La vicenda dovrebbe attirare l’attenzione di commentatori e giuristi su una stortura legislativa che ha solo teoricamente sfiorato il direttore de “il Giornale”, ma che riguarda tante persone senza tutele. Al tempo della legge Gozzini (1986) il condannato a una pena inferiore a tre anni poteva evitare il carcere facendo una domanda di misura alternativa - quella che Sallusti aveva dichiarato di non voler fare - che comportava l’automatica sospensione dell’esecuzione della pena carceraria fino alla decisione del tribunale di sorveglianza. Una legge saggia, sia perché tendeva a ridurre la inevitabilità della carcerazione in casi non gravi, sia perché consentiva di evitare il tanto deprecato (a parole) sovraffollamento. Avveniva peraltro che un rilevante numero di persone non facesse la domanda, non per desiderio di espiazione, ma perché, non avendo un difensore di fiducia o essendo rimaste contumaci nel processo, nella gran parte dei casi neppure sapevano che la sentenza di condanna era passata in giudicato o comunque ignoravano l’esistenza di quel diritto. La conseguenza? I condannati venivano arrestati e portati in carcere. Solo qui venivano a conoscenza della possibilità di fare la domanda, rimanendo peraltro detenuti fino alla decisione del tribunale, decisione che non di rado, in caso di condanne a pene brevi, arrivava quando la pena era stata già scontata. Un sacrificio evitabile e in alcuni casi una beffa per il condannato, un inutile turn over per carceri già troppo piene. Per ovviare a questa situazione intervenne la legge Simeone-Saraceni, subito attaccata a destra come a sinistra (secondo alcuni era una legge “salva delinquenti”). La nuova norma stabiliva che l’esecuzione della pena inferiore a tre anni era sempre sospesa e che il decreto di sospensione veniva consegnato al condannato con l’avvertimento che sarebbe finito in carcere se entro trenta giorni non avesse fatto la domanda di misura alternativa. Si trattava di una legge che riportava le garanzie della devianza marginale al medesimo livello di quelle dei condannati con adeguate difese tecniche. La cosa però non piacque. Così nel 2001 una maggioranza destra-sinistra ha approvato una norma per cui l’ordine di esecuzione sospeso non deve essere “consegnato” ma “notificato” al condannato, se del caso con il rito degli irreperibili o nelle mani del difensore, anche d’ufficio, che lo ha assistito nel corso del processo. In tal modo il difetto della legge Gozzini, uscito dalla porta con la Simeone-Saraceni, è rientrato in grande misura dalla finestra. Per molti poveri cristi, in particolare se stranieri, la notifica (anziché la consegna) si risolve infatti in un burocratico movimento cartaceo che ne decreta la irreperibilità. Passati i trenta giorni per presentare la domanda di misura alternativa, entra in ballo la polizia che arresta il condannato - che nulla sa ma è formalmente irreperibile per la burocrazia giudiziaria - e lo porta in carcere affinché sconti la pena della reclusione. In tal modo, un certo numero di persone che vorrebbero e potrebbero evitare una simile iattura, vanno ad aumentare la popolazione carceraria. Se ne sarebbe potuto parlare, in occasione della vicenda Sallusti. Ma la generalità dei commentatori, pur auspicando giustamente la cancellazione del carcere per la diffamazione, ha preferito parlare di attentati alla libertà di opinione. Libertà che con la condanna del giornalista, come è ormai noto, non aveva nulla a che fare. Liguria: approvato all’unanimità Ordine del Giorno del Pdl su sovraffollamento carceri Apcom, 11 dicembre 2012 È passato all’unanimità l’Ordine del Giorno presentato dal Pdl in Regione, promosso dal Consigliere regionale Gino Garibaldi, sulla situazione di sovraffollamento delle carceri liguri. Con il documento si impegna l’amministrazione regionale ad attivarsi e ad assumere tutte le iniziative e le azioni che si renderanno necessarie, nelle sedi appropriate e con le modalità ritenute più opportune, anche mediante la convocazione di un tavolo di concertazione tra le varie parti interessate per riuscire attraverso la firma di protocolli di intesa ad attivare nuovi progetti di lavoro socialmente utile da destinare ai detenuti nell’ambito delle carceri liguri e genovesi. “Con il documento - spiega Garibaldi - si vuole porre l’accento sull’allarmante risultato emerso dal IX rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, elaborato dall’Associazione Antigone, nata nel 1988 e che ogni anno, con l’autorizzazione del Ministero della Giustizia, visita le carceri italiane ed elaborare un resoconto dettagliato sulla situazione in cui vivono i detenuti, nonché coloro che operano in questo settore: polizia penitenziaria, personale amministrativo, sanitario ed educatori sociali”. Tra le regioni italiane, la Liguria, è quella che, oltre alla Puglia ed al Veneto, risulta con un maggiore affollamento delle carceri, con un tasso del 176,8% : “una situazione esplosiva e dalle considerazioni ed i giudizi concordi espressi dai direttori delle strutture carcerarie liguri ed in particolar modo di quelle presenti nella provincia di Genova emerge chiaramente la delicata situazione che da molti anni sussiste nel sistema carcerario ligure, acuito da una particolarità rispetto al altre aree del Paese, ossia la percentuale particolarmente elevata di detenuti stranieri, sopra il 50% rispetto ad una media del 35%”. “È quindi necessario affrontare il problema al più presto - conclude Gino Garibaldi - che oltre alle situazione di disagio in cui vivono coloro che si trovano ed operano nelle carceri, detenuti, polizia penitenziaria, personale sanitario e civile, comporta per i carcerati il sorgere di alcune patologie preoccupanti delle quali le più comuni sono i disturbi psichici, malattie dell’apparato digerente e malattie infettive e parassitarie”. Venezia: protesta dei detenuti per l’amnistia, oggetti di vari tipo sbattuti sulle sbarre Il Gazzettino, 11 dicembre 2012 Ancora un protesta dei detenuti a Santa Maria Maggiore, da tempo in lotta contro il sovraffollamento della struttura carceraria. L’altro giorno alcuni residenti della zona hanno segnalato i rumori che provenivano proprio dall’interno del carcere. Quella avviata in questi giorni è una protesta promossa soprattutto dai Radicali finalizzata a chiedere la soluzioni di diversi problemi. Tra gli obiettivi della protesta: il rispetto dei diritti dei detenuti e degli agenti di custodia che operano nelle carceri, il diritto di voto per i detenuti e l’amnistia. “Da quanto sappiamo - confermano alcune persone che lavorano nel carcere - la protesta a Santa Maria Maggiore è stata avviata soprattutto per cercare di sostenere la proposta dei Radicali sull’amnistia”. Analoghe forme di lotta si sono tenute anche in altre città. “Il detenuto va recuperato - hanno detto i Radicali - diversamente buttiamo soltanto via denaro. Quello di cui c’è bisogno, è una riforma della giustizia, che riesca a mettere ordine nel lungo elenco di processi che la bloccano. Per farlo serve l’amnistia”. Reggio Emilia: manutenzione del verde pubblico, rinnovato accordo per impiego detenuti Dire, 11 dicembre 2012 Si rinnova anche per il 2013 la convenzione avviata lo scorso anno da Comune e Casa circondariale di Reggio Emilia per l’inserimento lavorativo dei detenuti, e in particolare per la manutenzione del verde pubblico. Nello svolgimento della precedente iniziativa sono stati impiegati in media 5 detenuti a settimana che si sono occupati di 19 aree verdi prestando come giardinieri e verniciatori circa 3.600 ore di servizio per la comunità. Nella nuova convenzione, siglata oggi, è previsto inoltre che a fornire gli attrezzi e i materiali sarà Iren. Il sindaco di Reggio Graziano Delrio sottolinea come “queste attività riscattano le persone e il servizio prestato verso la comunità aumenta il senso di sentirsi parte di essa. Peraltro è dimostrato come svolgere delle attività diminuisca il tasso di recidiva dei reati e questo la dice lunga su come stiamo affrontando male il tema della pena in Italia”. I detenuti, concorda il direttore del carcere Paolo Madonna, “si sentono responsabilizzati e questo migliora il clima nell’istituto penitenziario”. Anche se “Iren fa un mestiere diverso- conclude il direttore operativo di Iren Emilia Eugenio Bertolini - è evidente che il ritorno di questi interventi va a beneficio di tutto il territorio ma anche dell’azienda che può affidare in esterno ai detenuti compiti che prima svolgeva internamente”. Busto Arsizio: Sappe; detenuto sieropositivo aggredisce agenti, disposta profilassi sanitaria Adnkronos, 11 dicembre 2012 “Ancora tensione nel carcere lombardo di Busto Arsizio”, dove nel pomeriggio di ieri un detenuto italiano sieropositivo di 46 anni “ha aggredito diversi poliziotti penitenziari, ferendoli con graffi tanto da creare preoccupazione per un eventuale rischio contagiò. È quanto denuncia il Sappe, sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, sottolineando come questo episodio sia ‘l’ennesimo sintomo di criticità del penitenziario lombardo”. “È la ciliegina sulla torta di una situazione ben oltre il limite della tolleranza”, afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Il detenuto - ricostruisce - durante un cambio di cella, ha subito assunto un atteggiamento aggressivo e maleducato nei confronti dei poliziotti, dando in escandescenza. I nostri agenti sono stati colpiti con estrema violenza e contro di loro il detenuto ha sferrato calci, pugni e graffi, tali da disporre l’invio del personale al Pronto soccorso cittadino”. “Gli agenti di Polizia Penitenziaria - prosegue il leader dei baschi azzurri del Sappe - sono ora comprensibilmente preoccupati per la loro salute e sono stati immediatamente sottoposti alla profilassi sanitaria prevista per i possibili contagi infettivi. Tutto questo non è accettabile e tollerabile”. Per il Sappe “bisogna contrastare con fermezza questa ingiustificata violenza in danno dei rappresentati dello Stato in carcere e punire con pene esemplari, anche sotto il profilo disciplinare, i detenuti che la commettono per evitare sul nascere pericolosi effetti emulativi. Pensiamo ad esempio ad un maggiore ricorso all’isolamento giudiziario fino a fine pena con esclusione delle attività in comune ai detenuti che aggrediscono gli agenti”. “Queste frequenti e violente aggressioni - fa notare ancora Capece - mettono drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari. I nostri Agenti lavorano sistematicamente sotto scorta per le gravissime carenze di personale e devono fare fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti, aggravati da una popolazione detenuta sempre più spesso aggressiva, ogni giorno in crescita esponenziale. Ma così non si può più andare avanti -conclude il Sappe - servono tutele e garanzie”. Genova: Sappe; detenuto si ferisce dopo permesso negato, portato all’ospedale per cure Adnkronos, 11 dicembre 2012 La notte scorsa nel carcere genovese di Marassi un detenuto, condannato per più omicidi, si è ferito all’avambraccio, probabilmente per protestare contro il rifiuto di concedergli alcuni permessi in occasione delle prossime feste natalizie. L’uomo, riferisce il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria, è stato trasportato con urgenza al Pronto soccorso dell’Ospedale San Martino, fino al rientro in carcere alle 6 e mezza di questa mattina. “Il riaccompagnamento a Marassi è stato possibile solo grazie all’intervento di ulteriori poliziotti penitenziari giunti sul posto a supporto degli Agenti presenti - sottolinea Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del sindacato - che sono stati comunque encomiabili per aver saputo fronteggiare con professionalità i drammatici e pericolosi momenti”. “La situazione penitenziaria resta allarmante e le risposte dell’Amministrazione penitenziaria a questa emergenza sono favole - denuncia il Sappe - come quella della fantomatica quanto irrazionale e sporadica sorveglianza dinamica”. Il Dap, commenta ancora il sindacato, “favoleggia di un regime penitenziario aperto, di sezioni detentive sostanzialmente autogestite da detenuti previa sottoscrizione di un patto di responsabilità favorendo un depotenziamento del ruolo di vigilanza della Polizia Penitenziaria ma di fatto tutto ciò impedirà ai poliziotti di intervenire in tantissime situazioni critiche come quella di questa notte a Marassi”. “Una situazione che determina, di fatto, livelli di sicurezza assolutamente insufficienti per i nostri agenti, specie per coloro che lavorano ogni giorno, ogni ora, nella prima linea delle sezioni detentive, delle traduzioni e dei piantonamenti. Mi auguro che le Istituzioni deputate, governo, ministero della Giustizia e Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ognuno per quanto di propria competenza - conclude Martinelli - adottino al più presto i provvedimenti di urgenza che la gravissima situazione penitenziaria impone di adottare senza ulteriore indugio”. Aosta: arrestata commerciante, sconterà 18 giorni in cella per non aver pagato i contributi La Stampa, 11 dicembre 2012 Una donna di 57 anni deve scontare 18 giorni in cella dopo che la sentenza è passata in giudicato. È stata arrestata dai carabinieri. L’Inps l’aveva denunciata per non aver pagato i contributi a un suo dipendente. Un’ex commerciante di Aosta, Maria Crocitti, di 57 anni, è stata arrestata dai carabinieri di Aosta, per una condanna passata in giudicato. Deve scontare 18 giorni di carcere per non aver versato i contributi previdenziali Inps per una cifra irrisoria a un suo ex lavoratore, assunto quando gestiva un bar nel centro di Aosta. I carabinieri hanno eseguito, nel fine settimana, l’ordinanza del tribunale di Aosta. Alla donna non sono stati concessi i domiciliari né l’applicazione della normativa “svuota carceri”. Era stata processata nel 2010, su denuncia dell’Inps e condannata a 18 giorni. Non è la prima volta che un artigiano in difficolta finanziarie finisce in carcere per mancato pagamento dei contributi Inps. Qualche anno fa era accaduto a un tipografo di Saint Vincent finito in cella per un’analoga sentenza: con i pochi soldi a disposizione aveva preferito pagare gli stipendi piuttosto che l’Inps. Bologna: carcere della Dozza, si rompe la caldaia, anche un neonato al freddo di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 11 dicembre 2012 Allo sciopero del vitto del personale si somma anche il problema di celle e docce gelate. E c’è anche un bimbo di due mesi figlio di una detenuta. Fa freddo, al carcere della Dozza. Da venerdì la vecchia caldaia dell’istituto funziona a singhiozzo. Le celle, le docce, i posti di guardia non riescono a raggiungere temperature adeguate. Soffrono i detenuti. Lavorano in condizioni più pesanti del solito i poliziotti penitenziari, gli educatori, i medici. E in questi giorni di gelo, esterno e interno, nel reparto femminile c’è anche un neonato, un bimbo di due mesi figlio di una ragazza slava finita dentro dopo l’ennesimo furto. A causa del freddo, e del riscaldamento a intermittenza, per scaldarsi i detenuti sono costretti ad accendere i costosi fornelli comprati per preparare il cibo. Un’altra nota dolente, per i reclusi e per il personale. Oggi agenti e ufficiali hanno cominicato lo sciopero del vitto, per protestare contro le pessime condizioni dei locali e del servizio mensa. La società siciliana che preparare e fornisce i pasti, la ditta “Le palme ristorazione”, ha promesso alla direzione che dal giorno 13 manderà un cuoco extra in via del Gomito. “Prendiamo atto di questo impegno. Ma prima di cantare vittoria - dice Domenico Maldarizzi, segretario provinciale della UilPa - aspettiamo i fatti”. Un detenuto aggredisce agente, interviene il sindacato Il fatto è avvenuto lunedì pomeriggio nel carcere minorile del Pratello. Il Sappe denuncia come siano sempre più spesso le forze dell’ordine a subire aggressioni all’interno dell’Istituto. Un agente della polizia penitenziaria del carcere minorile del Pratello di Bologna è stato aggredito ieri pomeriggio da un detenuto che si rifiutava di rispettare le regole dell’istituto, impartite dal poliziotto: l’agente ha dovuto fare ricorso alle cure mediche. A denunciare l’accaduto, il segretario generale aggiunto del Sappe, il sindacato degli agenti di Polizia Penitenziaria, Giovanni Battista Durante, che sottolinea come siano soprattutto gli agenti a subire violenze all’interno dell’istituto: il sindacato chiede che il detenuto venga sottoposto a procedimento disciplinare e allontanato in altra struttura. Ancona: poesia e musica animano i detenuti di Montacuto Corriere Adriatico, 11 dicembre 2012 Anche a Montacuto di Ancona sarà Natale. E per portare i loro migliori auguri la dirigente Lebboroni e il Comandante D’Errico si festeggia con poesia e musica per scaldare gli animi dei detenuti. Ad animare l’evento due ospiti che per la prima volta approdano con questa iniziativa ad Ancona: il percussionista autore Tony Cercola e il poeta D’Errico. A presentare l’evento Andrea Celidoni promotore del Corso di Chitarra per i detenuti. Ed il Natale si avvicina anche in Carcere. Il Natale si avvicina anche nella casa circondariale di Montacuto e l’istituto penitenziario si prepara a far festa con un concerto-evento prenatalizio con il ritmo di del “percusso-autore” napoletano, come lui piace definirsi, Tony Cercola, un artista che vanta ed ha vantato tra le sue collaborazioni personaggi di rilievo nell’ambito della musica: Dario Fo, Bennato, Pino Daniele, Mia Martini, così come importanti personaggi stranieri. E poi il poeta professore Antonio D’Errico che su invito del fratello Gherardo D’Errico, il Comandante del Carcere Penitenziario, ha voluto omaggiare una platea speciale, fatta di oltre 200 detenuti (di cui il comandante precisa: “Sono state accettate tutte le domande per intervenire all’evento che sono circa il 60% dei detenuti, perfino quelli che sono del circuito alta sicurezza”). Insieme i due protagonisti stanno dando alla luce, dalla penna di D’Errico, la biografia di Cercola. Mentre D’Errico presenta ed interpreta la sua poesia “segnali di distensione”, il musicista Cercola, accompagnato dal chitarrista Vicini, con il suo lavoro ‘voci scomposte” ha portato il ritmo della musica partenopea che diventa universale unendosi alla voce di alcuni detenuti. E alla domanda sul perché venire ad allietare i detenuti i due ospiti ci danno risposte precise. “Portare in carcere la poesia come momento di riflessione - ha affermato Antonio D’Errico - perché la poesia riflette le cose per portarle al là, fuori e metterle in contatto. La poesia come un invito all’ascolto, l’ascolto di voi stessi (riferendosi ai detenuti ndr)” Mentre Tony Cercola dice “Con la poesia e con la musica cerchiamo di recuperare dal parte femminile, quella più sensibile del macho per recuperare l’uomo”. Ed il carcere di Montacuto si anima prende vita attraverso musica, ritmo, parole e poesia nell’attesa del Natale dove è forte da parte dei due artisti l’appello a non giudicare dal momento che come dice D’Errico: “Non si può giudicare chi è stato già giudicato”. Un modo, inoltre, per non dimenticare, non dimenticarli ribadisce D’Errico: “Vogliamo mostrare all’esterno ciò che é stato dimenticato, aprire il carcere alla gente”. Il carcere, insomma, come luogo dove si incontra l’umanità e la multiculturalità anche attraverso un linguaggio che è comune ad ogni uomo: quello della musica, delle parole, del canto. Immigrazione: Rapporto Ismu; un denunciato su tre è straniero, in crescita i furti Redattore Sociale, 11 dicembre 2012 Nel 2011 sono finite nelle maglie della giustizia oltre 930 mila persone, di cui quasi 300 mila immigrati. Gli stranieri detenuti sono il 35,9 per cento. Per loro meno benefici. Uno su tre fra i denunciati per reati è straniero. Nel 2011 sono finite nelle maglie della giustizia 930.521 persone, di cui 295.785 stranieri, ovvero il 31,8 per cento, in linea con gli anni scorsi (solo nel 2008 c’è stato il picco del +35 per cento). Rispetto al 2010 l’aumento è del 7,8 per cento (da 274.364 a 295.785), poco superiore a quello degli italiani (del 7 per cento). “È una variazione non significativa dovuta, per ipotesi, a una maggiore incisività delle forze dell’ordine” si legge nel Rapporto Ismu, presentato questa mattina a Milano (vedi lanci precedenti). È la crisi economica a incidere sulla tipologia dei reati commessi dagli stranieri. Sono in crescita infatti quelli contro il patrimonio: i furti segnano un più 31,8 per cento rispetto al 2010, mentre le rapine un più 38,1 per cento. In diminuzione invece i reati contro la persona (omicidi, violenza sessuali etc.): -5,1 per cento sul 2010. In particolare gli stranieri commettono per lo più furti in esercizi commerciali, il 59,5 per cento (più 15,6 per cento sul 2010), furti in abitazione 48,7 per cento (più 52,5 per cento) e rapine in abitazione 48,7 per cento (+43,6 per cento). Al 31 agosto 2012 gli stranieri detenuti sono il 35,9 per cento, 23.773 su un totale di 66.271, stabili rispetto al 2011 quando erano il 36 per cento. Si tratta soprattutto di marocchini (4.620, 19,4 per cento dei detenuti stranieri), rumeni (3.656, 15,4 per cento), tunisini (3.001, 12,6 per cento), albanesi (2.829, 11,9 per cento), nigeriani (1.073, 4,5 per cento), algerini (668, 2,8 per cento), egiziani (542, 2,3 per cento), ex jugoslavi (450, 1,9 per cento), senegalesi (408, 1,7 per cento) e cinesi (322, 1,4 per cento). In base al piano carceri, contro il sovraffollamento, a fine agosto 2012 tra i detenuti usciti gli stranieri sono il 27,2 per cento. “Considerato che i condannati in via definitiva stranieri sono circa il 33 per cento e mediamente scontano pene più brevi, il beneficio è concesso di più agli italiani. Gli stranieri detenuti sono sfavoriti perché più spesso sono in prigione senza una condanna definitiva: in carcere ogni cento condannati stranieri, ce ne sono altri 82 imputati (cioè in attesa di giudizio), mentre ogni cento italiani condannati ci sono 58 imputati” si legge nel rapporto Ismu. Turchia: il 2012 un “anno nero” per i giornalisti, almeno 49 in cella Ansa, 11 dicembre 2012 La Turchia è il paese del mondo con più giornalisti in carcere ha denunciato nuovamente oggi il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (Cpj), l’Ong internazionale che ha sede a New York, riferisce la stampa turca. Con almeno 49 cronisti dietro le sbarre il paese della Mezzaluna governato da 10 anni dal premier islamico nazionalista Recep Tayyip Erdogan è al primo posto nella lista nera mondiale dei giornalisti detenuti davanti all’Iran (45) e alla Cina (32), scrive Hurriyet online. La maggior parte dei cronisti detenuti in Turchia sono curdi, accusati di presunti fatti di “terrorismo”. Altri giornalisti sono in carcere accusati di avere partecipato a presunti complotti contro il governo islamico. Secondo i sindacati della stampa turca i giornalisti in carcere in realtà sono almeno 71. In un rapporto pubblicato in ottobre il Cpj aveva affermato che il governo Erdogan “è impegnato in un’ampia offensiva per ridurre al silenzio i giornalisti critici attraverso detenzione, procedure legali e intimidazione ufficiale” e aveva denunciato “una delle più vaste campagne di repressione della libertà della stampa nella storia recente”. Il dato complessivo, che non tiene conto dei giornalisti fermati e rilasciati nel corso dell’anno, supera il precedente record del 1996 quando nel mondo si registrarono 185 giornalisti incarcerati. Nella classifica dei giornalisti incarcerati, con accuse che arrivano fino al “terrorismo”, al quarto posto c’è l’Eritrea, (28) seguita da Siria (15), Vietnam (14), Azerbaigian (9), Etiopia (6), Arabia Saudita (4) e Uzbekistan (4). In totale sono 27 i Paesi che tengono in carcere giornalisti per reati legati alla loro professione. “Viviamo in un’epoca in cui le accuse di terrorismo contro lo Stato sono diventate il metodo preferito per intimidire, arrestare e incarcerare giornalisti”, ha denunciato il direttore esecutivo del Cpj, Joel Simon, “criminalizzare la copertura di temi sconvenienti non solo viola il diritto internazionale, ma impedisce il diritto delle persone in giro per il mondo di riunirsi e raccogliere e ricevere informazioni indipendenti”. Giordania: re Abdullah II chiede a governo di scarcerare manifestanti arrestati Nova, 11 dicembre 2012 Re Abdullah II di Giordania ha ordinato la scarcerazione di più di cento persone arrestate durante le recenti proteste contro l’aumento del prezzo della benzina e del gas come conseguenza del taglio dei sussidi. ‘Il governo ha iniziato ad adottare tutti i provvedimenti legali necessari per procedere con il rilascio dei detenuti’, ha detto il portavoce del governo Samih Maayath, citato dall’agenzia di stampa ufficiale giordana Petra. In tutto dovrebbero tornare in libertà 116 persone fermate durante le ultime proteste nel regno hascemita, dove da mesi la popolazione scende in piazza anche per chiedere riforme e le dimissioni del premier Abdullah Nsour. A novembre migliaia di persone hanno protestato in varie città giordane contro i ritocchi del governo che hanno fatto schizzare il prezzo del gas per uso domestico del 53%, mentre il prezzo di diesel e kerosene è salito di oltre il 30%. Durante le proteste si sono registrate tensioni e scontri, in cui - secondo il bilancio ufficiale - sono rimasti uccisi un civile e due poliziotti.