Giustizia: crisi Governo; a rischio Ddl su misure alternative, riforma forense e diffamazione Adnkronos, 10 dicembre 2012 Le misure alternative al carcere, la riforma forense, le modifiche alla legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Tra le tante conseguenze della crisi di governo, con lo scioglimento anticipato delle Camere, anche molte leggi in materia di giustizia, con ogni probabilità, non arriveranno ad essere approvate. Si tratta di norme sulle quali era già in atto una corsa contro il tempo, dato l’ingorgò di leggi da licenziare tra Camera e Senato entro lo scorcio della legislatura, ma per le quali, con l’accelerazione imposta dalle annunciate dimissioni del premier Mario Monti, si fa concreto il rischio di uno stop. Dopo l’approvazione, martedì scorso alla Camera, il disegno di legge sulle misure alternative al carcere è ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Si tratta di un provvedimento fortemente voluto dal ministro della Giustizia, Paola Severino: affrontare l’emergenza carceri è stato infatti un impegno assunto con forza fin dal suo insediamento e, dopo il decreto battezzato “salva carceri”, il primo atto del governo in materia di giustizia, il ddl è considerato l’ideale compimento del progetto del Guardasigilli, per fare in modo che il carcere diventi davvero, il più possibile, solo l’extrema ratio. Proprio il giorno del via libera di Montecitorio, il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, aveva assicurato il suo impegno a non lasciare il provvedimento “su un binario morto ma a metterlo sul binario dell’alta velocità” e dunque ad accelerarne l’iter per l’approvazione definitiva anche a Palazzo Madama. E su questo il ministro continuerà a battersi, nel tempo che le rimane a disposizione . Due sono i punti importanti contenuti nel ddl: l’utilizzo degli arresti domiciliari come pena che il giudice può irrogare direttamente, per determinati reati, già al momento della sentenza, allo stesso modo della carcerazione o della sanzione amministrativa; e la “messa in prova”, senza l’ingresso in carcere, istituto utilizzato con buoni risultati per la giustizia minorile, che consiste in una serie di prestazioni, tra le quali un’attività lavorativa di pubblica utilità, che può dare luogo alla sospensione del processo e all’estinzione del reato. Le due novità sono previste per delitti che non destano allarme sociale, con pene edittali fino a 4 anni di reclusione. Il ddl contiene anche la misura della sospensione del processo per gli irreperibili. Gli altri due provvedimenti sono disegni di legge di iniziativa parlamentare. La riforma forense, all’esame della Commissione Giustizia del Senato, era stata già calendarizzata in Aula tra il 18 e il 21 per poi arrivare all’approvazione definitiva alla Camera. Ma dato che Palazzo Madama dovrà occuparsi di portare a termine l’esame della legge di Stabilità, ultimo atto del governo prima delle dimissioni annunciate dal premier Mario Monti, verosimilmente anche in questo caso il provvedimento resterà al palo. Il provvedimento, che interviene nei rapporti tra avvocato e cliente, stabilisce tra l’altro, libertà nella determinazione del compenso, informando il cliente sulla complessità dell’incarico e sulle spese ipotizzabili e fornendogli, a richiesta, un preventivo. In caso di disaccordo, vengono in soccorso i parametri del Ministero. All’avvocato rimane inoltre specifica competenza nella consulenza stragiudiziale. Via libera alle società di capitali tra avvocati ma senza il socio esterno, per garantire l’autonomia della prestazione professionale. Introdotto l’obbligo dell’iscrizione alla Cassa forense, dell’assicurazione per la responsabilità civile e della formazione continua. L’esercizio della professione dovrà essere effettivo e continuativo come condizione per la permanenza nell’albo. Arrivano anche le quote rosa nelle elezioni dei consigli dell’Ordine, del Cnf e dei Consigli distrettuali di disciplina. Stesso destino è ipotizzabile per il ddl di riforma della diffamazione a mezzo stampa, ripreso al Senato dopo la condanna definitiva a 14 mesi di carcere per il direttore del ‘Giornalè, Alessandro Sallusti. Subito la politica si è mobilitata, per eliminare la sanzione del carcere. Ma il provvedimento ha avuto un iter complesso e controverso: prima, alla ripresa dell’esame da parte dell’Aula, il ripristino, votato a scrutinio segreto, del carcere (come pena di un anno, alternativa alla sanzione pecuniaria di 50mila euro) per i giornalisti condannati per diffamazione. Poi un emendamento di Filippo Berselli (Pdl), relatore del provvedimento, che prevede per il direttore o il vicedirettore responsabile della testata, condannato per diffamazione, la sola pena pecuniaria, mentre per il giornalista il carcere fino a un anno, in alternativa alla sanzione pecuniaria. Emendamento bocciato dal governo, con un no per ragioni tecniche. Alla prova del voto, a scrutinio segreto, il 26 novembre il Senato boccia l’articolo 1, di fatto affossando l’intero provvedimento. Infine, nelle intenzioni del ministro, rimarrà in piedi fino alla fine della legislatura la commissione, formata da avvocati, magistrati e professori, da poco insediatasi al ministero, per lo studio di una riforma della prescrizione e della depenalizzazione, due questioni che il guardasigilli ha sempre giudicato prioritarie e sulle quali ha più volte espresso l’intenzione, pur nella consapevolezza dei tempi stretti, di volere lasciare un contributo scientifico. Giustizia: allarme salute nelle carceri sovraffollate di Antonio Mattone Il Mattino, 10 dicembre 2012 Non solo sovraffollamento. C’è un’altra emergenza che colpisce chi è rinchiuso nelle carceri italiane. È la salute. Spesso i detenuti vengono lasciati senza cure, nonostante molti di essi siano seriamente malati. I grandi centri clinici e le infermerie delle carceri somigliano sempre più a cronicari di vecchia memoria piuttosto che a luoghi di cura e riabilitazione. Ospitano detenuti non autosufficienti, amputati, handicappati, insieme a cardiopatici gravi, persone in dialisi e malati con carcinomi bisognosi di terapie specialistiche. C’è una leggenda che corre tra i padiglioni del carcere di Poggioreale (e come ogni leggenda contiene sempre qualche frammento di verità): di fronte ad ogni malessere o sintomo di dolore viene spesso somministrata la stessa medicina, che tutti chiamano “padreppio”. Un antinfiammatorio a cui si attribuiscono i poteri taumaturgici del Santo di Pietralcina, e che va bene per tutte le necessità. Ma al di là di quella che può essere una diceria resta il problema della grande domanda di salute che sale dalle oscure mura delle patrie galere. Con la riforma del 2008 che trasferiva le competenze della Sanità penitenziaria dal ministero di Giustizia alle Asl, viene realizzato il principio previsto dalla Costituzione italiana che garantisce a tutti i cittadini pari diritto alla salute, almeno sulla carta. Tanto resta da fare e molti sono i problemi da affrontare e superare. Ma una cosa è certa: indietro non si torna. Attrezzature e macchinari obsoleti e privi di un minimo livello di sicurezza, ambienti non a norma caratterizzavano la Sanità penitenziaria prima dell’avvento della riforma. I medici dipendevano direttamente dal ministero della Giustizia, e a volte riuscivano ad ottenere una quantità di incarichi tale da dover essere in servizio contemporaneamente in più Istituti. Forse anch’essi devoti di Padre Pio a cui evidentemente avevano chiesto il dono dell’ubiquità. Una situazione al limite della legalità. La recente vicenda giudiziaria del dottor Belmonte, che per 18 anni è stato il direttore sanitario del carcere di Poggioreale, genera un senso di inquietudine sulla gestione dell’assistenza sanitaria del carcere napoletano di quegli anni. Oggi c’è il rischio che la riforma non riesca ad incidere come dovrebbe. Molte restano ancora le criticità. Nelle carceri della Campania la disparità di trattamento a seconda della Asl di appartenenza rappresenta il primo problema. Le prestazioni sanitarie erogate dall’Asl Na1, a cui fa riferimento quasi la metà dei detenuti della regione, sono quelle più carenti. I medici incaricati nei penitenziari napoletani sono in numero insufficiente e spesso non prestano il loro servizio in modo continuativo. Si assiste così ad un continuo turn over che penalizza il rapporto di conoscenza e di fiducia con i pazienti detenuti e che può prevenire gli atti autolesionistici e i suicidi. Allo stesso modo gli infermieri, alcuni dei quali appartengono a cooperative, cambiano in continuazione, e devono imparare daccapo l’approccio alla realtà penitenziaria. Anche le ore per gli psicologi sono minime. Per il 2012 nel carcere di Poggioreale ne sono previste solo 1.800, il che significa che ogni detenuto può usufruire in media di 13 minuti di supporto psicologico ogni anno. Con la riforma del 2008 è la persona e non più il carcerato al centro degli interventi sanitari. Alla “medicina di attesa” per cui si interviene solo su richiesta del detenuto e alla “medicina difensiva” che moltiplica le richieste di visite esterne e i ricoveri di urgenza per evitare qualsiasi possibile responsabilità, deve subentrare la “medicina di presa in carico”. Cioè bisogna prendersi cura di tutti i carcerati e avere particolare attenzione alle situazioni più critiche e preoccupanti. Ci sono poi le lunghe attese per i ricoveri, le visite specialistiche, le Tac, gli interventi chirurgici. Alcune settimane fa un inchiesta del Mattino ha segnalato che 300 detenuti erano in attesa di ricovero all’ospedale Cardarelli. Talvolta si aspettano tempi biblici che possono compromettere l’esito di una guarigione e che moltiplicano la sofferenza di chi già vive una situazione complicata. Le soluzioni ci sono, anche di basso costo, perché tanto spesso si tratta di migliorare il coordinamento dei servizi e di promuovere una sinergia maggiore tra mondo penitenziario e sanitario. E con i soldi che sono a disposizione si possono effettuare miglioramenti delle attrezzature e dotare i centri clinici penitenziari di macchinari e servizi che consentano di effettuare visite ed esami specialistici e piccoli interventi all’interno degli istituti. C’è urgenza oggi di rispondere a questa domanda di salute, con la convinzione che un carcere sano conviene a tutta la società. Altrimenti non ci resta che sperare in Padre Pio. Giustizia: Marco Pannella in sciopero fame e sete per ottenere amnistia e voto ai detenuti Adnkronos, 10 dicembre 2012 Per ottenere l’amnistia e il diritto di voto per i detenuti, Marco Pannella, che da giorni pratica lo sciopero della fame, ha deciso di fare anche lo sciopero della sete. “C’è bisogno di intervenire - ha dichiarato Pannella a Radio Radicale - per ricordare che il problema del diritto e dei diritti umani. Occorre tentare di inserire un virus di ragionevolezza con la drammaticità anche temporale che questo richiede”. Pannella ha quindi annunciato “a sostegno di una mobilitazione straordinaria di tutte e tutti i radicali”, il passaggio a uno “sciopero totale della sete, oltre a quello della fame che faccio già da giorni, perché non continui ad essere assente quello che non può essere assente: come, lo ricordo, la Cei stessa disse qualche settimana fa”. A partire da ieri i radicali hanno indetto altre tre giornate di mobilitazione per l’amnistia e per il diritto di voto dei detenuti, anche per sostenere la discussione di una risoluzione che impegna il governo ad assicurare ai detenuti che ne hanno diritto di poter effettivamente esercitare il loro elettorato attivo. La risoluzione sarà discussa domani in Commissioni affari costituzionali e giustizia della Camera. “Passo allo sciopero della sete -ha concluso il leader Radicale- a sostegno della manifestazione in corso per il diritto di voto dei detenuti”. Giustizia: Bernardini; lotta per diritti non conosce sosta, potere gira testa dall’altra parte Tm News, 10 dicembre 2012 “La lotta nonviolenta per la giustizia, l’amnistia e per i diritti oggi negati ai detenuti fra il quali i diritto di voto, non può conoscere sosta perché assieme ai milioni di vite calpestate da una giustizia “irragionevole” nella sua durata e alle vite sequestrate di un’intera comunità penitenziaria, è lo Stato a dover essere liberato dalla sua quotidiana violenza antidemocratica”. Lo ha affermato in una nota Rita Bernardini, deputata radicale e componente della commissione Giustizia di Montecitorio. “La ripresa ormai da giorni da parte di Marco Pannella dello sciopero della fame, inframezzato da giornate intere di sciopero della sete, ci indica - ha aggiunto - che quando tutto il potere gira la testa dall’altra parte per non vedere il disastro che sta provocando, deve esserci qualcuno che in modo semplice e rigoroso sappia aiutare le istituzioni a riprendere la strada della legge e della parola che in essa vive, si esprime e manifesta”. “Insieme a Irene Testa e Maurizio Bolognetti, con i nostri 41 giorni di sciopero della fame, abbiamo cercato - ha proseguito Rita Bernardini - di dare il nostro contributo nella consapevolezza che quando un diritto - come quello del voto dei detenuti - viene riconquistato possono aprirsi delle brecce di libertà utili a tutti i cittadini. Queste sono le ragioni per le quali mi auguro che domani i miei colleghi della commissione Giustizia e Affari costituzionali approvino la risoluzione trasversale da noi promossa per il riconoscimento effettivo del diritto di voto dei detenuti, oggi scritto solo sulla carta”. “In vista della riunione delle due commissioni congiunte della Camera, familiari di detenuti e rappresentanti della Comunità penitenziaria che nelle carceri ci lavora o fa volontariato si riuniranno - ha concluso l’esponente radicale - a piazza del Pantheon alle ore 12 per poi spostarsi alle 14.15 davanti a Montecitorio per salutare l’inizio della discussione con una battitura simile a quella che i detenuti stanno conducendo a orari fissi nelle carceri italiane”. Giustizia: Corleone; dopo dimissioni Governo Monti sospeso digiuno a oltranza per carceri Ristretti Orizzonti, 10 dicembre 2012 Continua la campagna “carcere e democrazia” perché la giustizia e i diritti umani siano la priorità del nuovo parlamento e del nuovo governo. Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti ha dichiarato: “La crisi di governo ci priva dell’interlocutore che per altro si era fino a oggi mostrato sordo. La ministra della giustizia Severino e il ministro Riccardi responsabile delle droghe hanno mostrato scarsa se non nulla determinazione nell’affrontare la grave situazioni delle carceri, che versano in uno stato di vera e propria illegalità. Il silenzio del Governo al nostro appello e alle richieste del Csm è stato però in primo luogo un insulto al Presidente Napolitano che più volte aveva denunciato lo stato delle carceri come indegno e disumano e tale da mettere l’Italia ai margini dell’Europa. Ringrazio tutti coloro che hanno animato la mobilitazione per 50 giorni. Un saluto particolare ai detenuti di Volterra che hanno partecipato con convinzione al digiuno a staffetta. L’appuntamento è per domani al Giardino degli incontri del carcere di Sollicciano (Firenze) per rilanciare la mobilitazione in vista delle elezioni. Giustizia: Cassazione; imputate mamme in carcere solo se rischio recidiva è “matematico” Ansa, 10 dicembre 2012 Serve quasi la certezza matematica del rischio “recidiva” per applicare la custodia cautelare in carcere, anziché gli arresti domiciliari, nei confronti di donne che hanno figli minori di sei anni anche se hanno commesso reati gravi. Lo sottolinea la Cassazione accogliendo il ricorso della mamma trentaquattrenne di una bambina di 18 mesi, arrestata lo scorso febbraio per avere tentato di sequestrare e uccidere, insieme al suo compagno, una venditrice ambulante di 66 anni alla quale avevano già fatto scavare la fossa da un moldavo che, pentito, permise di sventare il delitto. “La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari - scrive la Suprema Corte nella sentenza 47861 depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso tre ottobre - per disporre o mantenere, nei confronti di madre di bambino di tenera età con lei convivente, la misura della custodia in carcere, nell’ipotesi in cui sia stata applicata ai sensi dell’art. 274, comma 1, lett. c) cpp., sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti o di delitti della stessa specie per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l’indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalle custodia in carcere, continuerebbe i predetti delitti”. Con questa motivazione è stata annullata l’ordinanza con la quale il Tribunale della libertà di Bologna, in accoglimento del ricorso del pm di Parma, lo scorso 20 marzo, aveva mandato in carcere - togliendola dai domiciliari decisi dal gip - Filomena Fiato Coppola, residente a Busseto, nel parmense. Nei mesi scorsi, la donna e il suo compagno, Davide Ferrari, un fabbro di 47 anni, sono stati condannati dal Gup, rispettivamente, a otto e sei anni di reclusione. Il moldavo, Stefan Sizov, aveva avvisato i carabinieri del rischio che correva l’anziana di origini mantovane. Ferrari ammise i fatti pur sostenendo di non voler uccidere la Negri, ma solo spaventarla. La Coppola, invece, si era avvalsa della facoltà di non rispondere. Ad avviso della Cassazione, il tribunale del riesame ha sbagliato a rimettere in cella l’imputata perché lo ha fatto ritenendo solo “possibile” il ripetersi di situazioni di astio che potrebbero spingerla all’omicidio, mentre era necessario esprimere un giudizio di “sostanziale certezza circa la ripetizione di una condotta del genere”. Inoltre deve essere tenuta in conto la circostanza che il suo complice è in carcere e non potrebbe, quindi, partecipare ad altre imprese del genere. Lettere: questa è la storia di Biagio… né morto, né vivo, né sano di Carmelo Musumeci (detenuto a Padova) www.carmelomusumeci.com, 10 dicembre 2012 “Mi viene da sorridere quando sento parlare di convegni sulla sanità in carcere, è un sorriso ironico e benevolo al tempo; per vivere e per stare bene c’è bisogno di amare e di libertà”. (Alessandro Bruni) Biagio Campailla, è un giovane “Uomo Ombra” arrestato in giovane età e condannato all’ergastolo ostativo. È arrivato da poco tempo dalla Sardegna, dal lager di Badu Carros, e abbiamo fatto presto amicizia. Tutte le mattine appena ci aprono i cancelli viene a trovarmi nella mia cella, gli faccio il caffè, lo ascolto e provo a confortarlo. Biagio sta male, soffre di una malattia genetica come la sorella che per questa malattia è scomparsa da pochi anni. Soffre di numerosi linfonodi latero-cervicali, di cervicobrachialgia, di ipoastenia sinistra e dell’arteria mammaria interna sinistra che incrocia e impronta il vaso venoso succlavio, che da 15mmm passa a 6mm con conseguenze possibile situazione clinica di sindrome dello stretto toracico superiore. Sulle sue spalle pesano due gravi condanne, tutte e due mortali, ma, bizzarria della sorte, una condanna può far finire l’altra. Dagli uomini è stato condannato alla “Pena di Morte Viva” (così chiamiamo l’ergastolo ostativo, quello senza possibilità di liberazione), dal destino invece è stato condannato a questa rara malattia. Biagio s’è sposato giovane, appena quattordicenne, come accadde ancora nel meridione, ha quattro figli e a quarantadue anni ha cinque nipoti. Ha una famiglia che risiede in Belgio da tanti anni: dolce, colorita, solare e affettuosa, con una madre malata ma combattiva che lo segue con affetto da quattordici anni, l’ho conosciuta nella sala colloqui. Biagio mi parla spesso dei suoi figli e dei suoi nipotini e mi confida che gli dispiace che a causa della malattia non potrà vederli crescere. L’altro giorno mi ha confidato che non ha neppure più l’energia per stare male, che quello che lo terrorizza di più è spegnersi lentamente fra sbarre e cemento. Penso che abbia ragione perché quello che fa più paura ad un uomo ombra malato è morire prigioniero, lontano dai propri familiari. Invece quello che terrorizza un uomo ombra sano è continuare a vivere senza neppure un calendario in cella per segnare i giorni che mancano al suo fine pena. Questa è la storia di Biagio: né morto, né vivo, né sano, che si sta spegnendo lentamente come una candela senza luce e al buio in una prigione dei buoni. Emilia Romagna: la Giornata mondiale dei diritti umani si celebra in carcere Redattore Sociale, 10 dicembre 2012 Il carcere è spesso il luogo in cui i diritti sono negati. La Conferenza Regionale Volontariato Giustizia ha scelto di celebrare il 10 dicembre dietro le sbarre. Diverse le iniziative in regione In Emilia-Romagna la Giornata mondiale dei diritti umani si celebra in carcere. L’iniziativa nasce da un progetto della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia e accolto dalla Garante delle persone private della libertà personale. Il carcere è, spesso, un luogo in cui i diritti sono negati e l’obiettivo dell’iniziativa è promuovere una crescita civile e culturale delle persone detenute insieme a tutto l’universo che ruota attorno al mondo dell’esecuzione penale. “Siamo consapevoli della responsabilità che ci assumiamo proponendo questa celebrazione all’interno di luoghi, carceri, Opg, case lavoro e Cie - spiegano dalla Conferenza Volontariato Giustizia - che così frequentemente e da troppo tempo troviamo elencati tra quelli privi di umanità e diritti, ma crediamo necessario proporre alle persone recluse di alzare lo sguardo oltre i muri di cinta”. Ai detenuti sarà distribuita una versione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo stampata in più lingue. Letture comuni, lezioni magistrali, drammatizzazioni, dibattiti. Sono diverse le iniziative previste a partire dal 10 dicembre. Alla Casa Circondariale S. Anna di Modena gli studenti che partecipano alle lezioni della scuola elementare, media e superiore saranno coinvolti dai docenti nella lettura degli articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Inoltre, nella sala teatro dell’istituto i detenuti comuni delle sezioni maschili e femminili parteciperanno a una discussione attiva insieme al regista Roberto Mazzini. A Piacenza nella cappella della Casa circondariale delle Novate i detenuti assisteranno alla lettura della Dichiarazione dei diritti dell’uomo alternata a brani letterari. A Bologna nel carcere della Dozza l’associazione Avoc ha organizzato la proieione dei film “Hair Spray” e “We want sex” nella sezione femminile (10 e 17 dicembre), mentre in quella maschile è in programma “Invictus”. A Forlì è previsto un incontro sulla storia della Dichiarazione dei diritti umani con un dibattito sul tema. A Rimini sono previsti momenti di riflessione ispirati ai contenuti della Dichiarazione e la proiezione del film “Hotel Rwanda”. Lettura degli articoli della Dichiarazione sono previsti anche a Parma, Reggio Emilia e Castelfranco Emilia (Modena). Avellino: il suicidio del detenuto senza stampelle… parla la moglie di Angelo Aragosa di Floriana Rullo www.giornalettismo.com, 10 dicembre 2012 “Non ce la faceva più, provava troppo dolore. Per questo Angelo si è suicidato”. Sono parole difficili da pronunciare per Francesca, moglie di Angelo Aragosa il detenuto di 48 anni campano che ha scelto di mettere la parola fine alla sua vita impiccandosi nella sua cella del carcere di Ariano Irpino. Una morte annunciata a tutti, soprattutto a lei che da anni gli stava accanto e che proprio per questo qualche mese fa aveva avvisato del folle gesto che il marito avrebbe potuto compiere: “Sta per morire” Aveva detto. “La disperazione lo sta portando ad affrettare la propria morte, ha deciso di suicidarsi”. Eppure nessuno aveva creduto al grido disperato di Francesca. “Tutti i giorni vedevo Angelo soffrire, stare male. Gridare per il dolore che la malattia gli provocava. Poi, improvvisamente, ha smesso di lottare”. L’uomo, detenuto per reati di droga, condannato 5 anni soffriva da tempo di gravi condizioni di salute. Oltre alla protesi all’anca che gli dava problemi a camminare tanto che per muoversi doveva usare una sedia a rotelle, durante la sua detenzione aveva avuto diverse patologie, come scabbia e brucellosi, malattie comuni tra i detenuti, e molte volte era stato messo in quarantena. “Non gli davano nemmeno le stampelle per camminare. E quando era in quarantena mi raccontava di essere trattato peggio di un cane. Quando ha avuto la scabbia e urlava dal dolore nessuno lo ha aiutato. Anzi le guardie, mi raccontava, gli avevano messo un secchio d’acqua fuori dalla cella per alleviare il suo dolore”. Eppure molte volte Angelo aveva chiesto di poter essere trasferito a casa per essere curato. O almeno in una struttura idonea dove la protesi che tanto gli dava fastidio potesse essere sistemata. “Per questo ho chiesto aiuto a tutti” racconta Francesca. “L’ultima volta lo scorso 21 settembre quando ho chiamato Irene Testa, la segretaria dell’Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto, raccontandogli ciò che stava succedendo a mio marito. Ma la risposta che ha ricevuto da fonti interne al carcere era stata rassicurante- Dicevano che mio marito non aveva mai mostrato intenzioni suicide. Non era così, ma se ne sono accorti troppo tardi”. Così Angelo, stanco di non essere ascoltato ha deciso di farla finita. E con un lenzuolo attaccato alla finestra si è impiccato. “Sapeva che doveva scontare la sua pena. Ne era cosciente. Però perché nessuno lo ha ascoltato? Nessuno ha voluto sentire quel grido di dolore”. Perché Angelo era uno di quei detenuti che non poteva e doveva stare in carcere. Eppure nessuno ha fatto nulla per tutelarlo. E ora Francesca chiede vendetta. La invoca a gran voce. Nonostante un’indagine sulla morte tanto insensata del marito sia già stata aperta. “Lo Stato non fa nulla per chi è in carcere. Si dimentica dei detenuti. Ma io voglio che questa morte serva per chi in carcere ci è ancora. Per chi viene dopo. Solo così la morte di mio marito non sarà stata vana”. E come Angelo nelle celle dei carceri italiani, l’80% dei detenuti versa in un drammatico stato di salute. Spesso obbligati a star in celle piccolissime, sporche, condivise con topi e sporcizia. Un dato allarmante quello presentato dal sindacato di polizia penitenziaria, il Sappe, di cui Donato Capece è segretario. “Secondo i dati recentemente diffusi, è infatti emerso che l’80% dei circa 68mila detenuti oggi in carcere in Italia ha problemi di salute, più o meno gravi”. Nello specifico, il 38% vive in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, mentre il 4% ha problemi di salute gravi. Solo il 20% è sano. Un terzo dei detenuti è tossicodipendente e il 4% del 30% di quanti si sono sottoposto al test Hiv è risultato positivo. Non mancano poi disturbi come depressione o altri disturbi psichici, mentre il 15% ha problemi di masticazione. “Tutto questo” conclude Capece, “va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del corpo di polizia penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti”. Teramo: detenuto di 50 anni per infarto, soccorsi resi difficili dall’ascensore guasto da mesi L’altro Quotidiano, 10 dicembre 2012 Luigi Bravini, 50 anni, è deceduto martedì scorso nella sua cella al quarto piano del carcere teramano di Castrogno. È morto per arresto cardiaco, Luigi Bravini, originario di Silvi, ambulante, recluso dopo essere stato arrestato per truffa e ricettazione. L’uomo si è accasciato nella cella e a nulla sono serviti gli immediati soccorsi prestati dal personale in servizio. Il soccorso e il trasferimento del cadavere all’obitorio di Teramo, disposto dalla magistratura dopo l’esame svolto dal dottor Pino Sciarra, è stato difficile perché sono mesi che al quarto piano del carcere non funziona l’ascensore. Novara: Radicali; si è svolta ieri manifestazione per l’amnistia davanti al carcere di Valentina Matteo Novara Today, 10 dicembre 2012 Diversi gli obiettivi della dimostrazione che si è svolta ieri, domenica 9 dicembre, in via Sforzesca. Al centro della protesta: la giustizia italiana e la condizione delle carceri. Si è svolta oggi, domenica 9 dicembre, anche a Novara la manifestazione nazionale dei Radicali. La dimostrazione pacifica è “andata in scena” davanti all’ingresso del carcere di via Sforzesca. Tra gli obiettivi della protesta: il rispetto dei diritti dei detenuti e degli agenti di custodia che operano nelle carceri italiane, il diritto di voto per i detenuti e l’amnistia. Al centro della protesta del gruppo novarese dei Radicali, infatti, la situazione della giustizia e del sistema carcerario italiano, che non funzionano come dovrebbero, creando problemi alle persone e all’economia del Paese. Pensiero comune è quello che il detenuto debba essere recuperato, per far sì che una volta fuori dalle mura della cella non torni a delinquere, aumentando in questo modo la sicurezza delle città. “Il detenuto va recuperato - ha commentato Roberto Casonato, uno dei rappresentanti dei Radicali novaresi - diversamente buttiamo soltanto via denaro. In un paese come l’Italia, se la giustizia funzionasse ne gioverebbe anche il Pil, che aumenterebbe di uno o due punti. Quello di cui c’è bisogno, è una riforma della giustizia, che riesca a mettere ordine nel lungo elenco di processi che la bloccano. Per farlo serve l’amnistia”. La manifestazione di oggi rientra in un quadro più ampio, che a livello nazionale vede tre giorni di proteste e dimostrazioni proprio sui temi di giustizia e carceri, in vista della discussione alla Camera, da parte delle Commissioni Giustizia e Affari costituzionali, della risoluzione radicale sul diritto di voto dei detenuti in programma per la giornata di martedì 11 dicembre. “I detenuti - ha spiegato Casonato - devono poter esercitare i loro diritti. Il carcere oggi è una discarica sociale. E anche il corpo di polizia è costretto a vivere in una situazione orribile. La situazione della giustizia in Italia è scandalosa e quella delle carceri è tragica, anche se per fortuna la situazione della casa circondariale di Novara è meno peggio di altre realtà. Queste cose, purtroppo, avvengono solo dove non c’è una democrazia liberale compiuta”. Tra le questioni che sono care ai Radicali c’è anche quella della custodia cautelare, che spesso costringe dietro le sbarre innocenti in attesa di giudizio. E riguardo la recente inaugurazione della nuova tipografia del carcere di via Sforzesca, Casonato commenta così: “Tutte queste cose dovrebbero prendere piede il più possibile; a Novara è potuto succedere grazie alla sensibilità della dottoressa Marino, ed è grazie a lei che questa struttura è migliore di altre. Il lavoro è la prima cosa per il recupero dei detenuti”. Modena: l’Assessore Maletti; aprire in fretta nuova ala carcere, per distribuire meglio i detenuti La Gazzetta di Modena, 10 dicembre 2012 “Auspichiamo, come Amministrazione che l’apertura della nuova ala del carcere di Sant’Anna avvenga il prima possibile senza che ciò comporti un aumento di detenuti, così da distribuire quelli già presenti in modo più equo rispetto agli spazi esistenti e ridurre la situazione di sovraffollamento”. A dirlo è l’assessore alle Politiche sociali, sanitarie e abitative del Comune di Modena Francesca Maletti che interviene oggi, lunedì 10 dicembre, in seguito delle ultime notizie relative agli agenti di polizia destinati in città e in occasione della Giornata della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. “L’obiettivo delle pene detentive è la rieducazione del detenuto, così da evitare o almeno limitare la recidività dei reati e da offrire strumenti che possano favorire il suo rientro nella società”, prosegue Maletti. “Ciò significa mettere in campo una serie di azioni che favoriscano questo cambiamento e garantire a detenuti negli istituti di pena e internati nelle case di lavoro, così come agli altri cittadini, il rispetto dei diritti dell’uomo espressi dalla dichiarazione universale”. A causa del sovraffollamento delle carceri e della mancanza di certezza rispetto alla durata della pena degli internati, però, “non sempre tali diritti vengono garantiti”, aggiunge ancora l’assessore, che sottolinea come nonostante ciò, “grazie alla sinergia tra direzioni degli istituti, disponibilità degli operatori che vi lavorano (guardie carcerarie ed educatori), associazioni di volontariato del settore e Amministrazioni comunali, nella nostra provincia si sono concretizzati percorsi importanti. Attraverso esperienze come i tirocini formativi realizzati, le attività didattiche e quelle messe in campo dalle associazioni di volontariato - prosegue l’assessore - è stata resa effettiva l’esigibilità di alcuni diritti citati dalla Carta. Da non dimenticare, ad esempio, la significativa esperienza che a partire dai mesi estivi ha visto alcuni detenuti svolgere attività di volontariato nei territori colpiti dal sisma. Maletti esprime infine la speranza che “la Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano non venga riaperta e che gli internati possano essere trasferiti in maniera definitiva presso altre case di lavoro, viste le condizioni di inagibilità della struttura che si sono venute a creare nel corso degli anni e che si sono acuite con il terremoto”. L’assessore ricorda infine che avere nella stessa provincia due delle quattro case di lavoro esistenti sul territorio nazionale “non consente la possibilità di inserimento prevista nella società, a causa dell’alto numero di internati”. In occasione della Giornata della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo anche negli istituti di pena di Modena, come in tutti quelli della Regione, una serie di momenti di conoscenza e riflessione sul tema organizzati su iniziativa del Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza regionale Volontariato Giustizia. Bologna: Sindacati Polpen; sciopero mensa, per scarsa qualità pasti e poca pulizia in cucina Dire, 10 dicembre 2012 Scarsa qualità dei pasti che vengono serviti alla mensa e poca pulizia nei locali adibiti a cucina. Sono questi i motivi che hanno portato gli agenti della Casa circondariale della Dozza a iniziare la protesta della mensa, astenendosi, a partire da oggi, dalla consumazione del pasto. “La protesta andrà avanti a oltranza- spiega Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe- fino a quando non avremo qualche risposta”. È la seconda volta in un anno che gli agenti della Dozza protestano per la qualità del cibo e l’igiene. La settimana scorsa la protesta aveva coinvolto il personale di Modena dove, racconta Durante, “sono stati trovati scarafaggi e topi in cucina”. Lo sciopero della mensa alla Dozza è sostenuto da tutte le organizzazioni sindacali di Polizia penitenziaria e del Comparto ministeri, Sappe, Osapp, Uil, Sinappe, Ugl, Fns-Cisl, Cnpp e Cgil. Sono 87 gli agenti in arrivo nelle carceri dell’Emilia-Romagna. Ma, tranne che in alcuni casi, non si avranno incrementi di organico, ma solo trasferimenti. “In alcuni casi, come alla Dozza, arrivano 14 nuovi agenti ma se ne vanno 13 che hanno chiesto il trasferimento- spiega Durante- in regione mancano 650 agenti rispetto all’organico previsto e il numero stanziato è insufficiente visto che, nonostante sia diminuito il numero di detenuti, il sovraffollamento rimane alto, 1.500 in più rispetto ai posti”. Gli altri agenti saranno assegnati a Parma (12), Reggio Emilia (12 di cui due donne), Piacenza (otto di cui due donne), Istituto penale minorile di Bologna (quattro). A Modena, invece, ne arriveranno 37 (solo nove sono stati trasferiti da agosto a oggi). Il motivo? “Con il nuovo anno aprirà il nuovo padiglione da 200 posti - spiega il segretario del Sappe - e i nuovi agenti saranno destinati a quella struttura”. La proposta del Sappe rispetto a questo nuovo padiglione è di utilizzarla come struttura a custodia attenuata per il recupero di tossicodipendenti, come accade a Rimini. “In questo modo sarebbe necessario anche un numero di agenti inferiore rispetto a un carcere”, conclude Durante. Sassari: Caligaris (Sdr); ancora tre bambini in cella con madri, vergogna di paese civile Ansa, 10 dicembre 2012 La Casa circondariale San Sebastiano di Sassari si colloca ai primi posti in Italia per la presenza di neonati dietro le sbarre al seguito delle madri detenute: ce ne sono ancora tre in cella. Lo rivela Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, con riferimento ai dati aggiornati al 5 dicembre scorso, elaborati per il ministero della Giustizia dalla sezione statistica dell’Ufficio per lo sviluppo e la gestione del servizio informativo automatizzato. “Si tratta di una situazione vergognosa per un Paese civile - sottolinea Caligaris - se si considera non solo l’innocenza dei piccoli ma anche le condizioni di una struttura inadeguata perfino per accogliere adulti in buone condizioni di salute. La presenza dei bambini, anche se costantemente monitorata e alleviata dal clima di affetto delle agenti donna, determina conseguenze negative sulla psiche in evoluzione. Non sono rari i casi di piccoli che tornati alla vita libera non osano muoversi se non sono accompagnati dal forte rumore di pesanti chiavi”. San Sebastiano condivide il negativo primato di tre neonati in carcere con Avellino (Bellizzi) e Torino (Lorusso-Cotugno). La vergogna nazionale di 41 bambini dietro le sbarre vede al primo posto le Case circondariali femminili di Roma Rebibbia (12 piccoli), Milano San Vittore (7) e Venezia Giudecca (3). Due neonati si trovano a Sollicciano, Foggia e Bologna. Gli ultimi quattro a Teramo, Castrovillari, Como e Pisa. Roma: Nieri (Sel) e Gonnella (Antigone) visitano Rebibbia… “prevale sovraffollamento” Agenparl, 10 dicembre 2012 “Il Capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio, Luigi Nieri, e il Presidente nazionale dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, si sono recati questa mattina in visita al carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. “Nell’istituto permane una situazione di grave sovraffollamento. Al momento sono presenti 1736 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 1.100 posti letto - dichiarano Luigi Nieri e Patrizio Gonnella - Le condizioni di vita sono durissime. I detenuti sono ammassati, costretti a dormire finanche nelle sale ricreative. Non esistono spazi di socialità e vi sono gravi problemi strutturali: bagni allagati, mura scrostate. In alcuni reparti il riscaldamento è insufficiente ad assicurare il superamento dell’inverno senza malattie. Preoccupanti, inoltre, le condizioni igienico-sanitarie. Alcuni detenuti ci hanno raccontato di avere a disposizione un solo rotolo di carta igienica al mese”. “Quella di Rebibbia è una situazione difficile, probabilmente come non lo è mai stata. Si ha l’impressione di essere di fronte a un carcere ormai in rovina. Nel reparto transito, quello che dovrebbe essere finalizzato alla prima accoglienza, i detenuti restano a lungo in condizioni inaccettabili - proseguono. “Bisognerebbe al più presto nominare un nuovo direttore che, a tempo pieno, possa occuparsi del recupero e del buon funzionamento della struttura. Non c’è tempo da perdere, specie di fronte a un inverno rigidissimo che sta aggravando le già difficili condizioni di vita dei detenuti - concludono Nieri e Gonnella”. Vercelli: Sappe; agenti aggrediti, molti detenuti affetti da gravi patologie psichiatriche Agi, 10 dicembre 2012 “Le condizioni lavorative della Polizia penitenziaria nella Casa Circondariale di Vercelli si fanno sempre più difficili. Il personale, sotto organico da anni, è costretto a turni gravosi e a fronteggiare una popolazione detenuta numericamente in crescita e spesso caratterizzata da gravi patologie psichiatriche. Ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro personale perché si decida di intervenire concretamente sui gravi problemi penitenziari”. Lo dice in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), dopo l’aggressione, avvenuta venerdì 7 dicembre ma resa nota oggi, di alcuni poliziotti penitenziari da parte di un detenuto che minacciava di autolesionarsi il corpo al fine di essere assegnato in una diversa sezione detentiva del penitenziario. “L’uomo - spiega Capece - si è improvvisamente scagliato contro due poliziotti, intervenuti per stemperare la tensione e che, a causa dei violenti calci e pugni scagliati contro di loro, sono stati costretti alle cure da parte del Pronto Soccorso cittadino”. Secondo il Sappe, “nelle carceri italiane ci sono 45mila posti letto e nelle celle sono stipate 67mila persone; la Polizia penitenziaria ha 7mila agenti in meno, e i baschi azzurri non fanno formazione e aggiornamento professionale perché l’amministrazione evidentemente ha altro a cui pensare. Le tensioni, nelle carceri, restano alte e constanti, a tutto danno dei poliziotti penitenziari che 24 ore al giorno stanno nella prima linea delle sezioni detentive a fronteggiare risse, aggressioni, colluttazioni, atti di autolesionismo e tentati suicidi”. Treviso: mancano 25mila euro, la scuola del carcere rischia la chiusura La Tribuna di Treviso, 10 dicembre 2012 Venticinquemila euro. Sono quelli necessaria garantire un’istruzione di scuola superiore ai minori che si trovano nel carcere di Treviso. Soldi utili, ma soprattutto soldi che mancano. Se non arriveranno entro un mese i corsi saranno bloccati. A lanciare l’allarme Renzo Trevisin, professore del Ctp (centro territoriale permanente) che si occupa dell’istruzione all’interno del carcere minorile. Il finanziamento dovrebbe arrivare da Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. “Treviso infatti ha la responsabilità della formazione per tutto il Triveneto” spiega Trevisin, “Ma l’unica Regione che ci ha finanziato al momento è il Veneto, con 5 mila euro”. “Il progetto di scuola superiore è stato avviato nel 2004. Dal 2007, con la riforma del ministro Fioroni, è diventato un obbligo e un diritto” prosegue Trevisin, “se non arriveranno i finanziamenti a Natale saremmo costretti a chiuderlo”. Dal Ctp sono partite lettere verso le tre regioni e i rispettivi uffici scolastici, ma per il momento non è arrivata alcuna rassicurazione sul finanziamento. Oggi sono undici i minori che partecipano ai corsi di scuola superiore all’interno del carcere trevigiano. L’allarme è stato lanciato nel corso della conferenza organizzata nell’ambito del progetto “Diamoci dentro”, un’iniziativa volta a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti del sovraffollamento e del costante taglio delle risorse sull’azione rieducativa. Oggi nella Casa circondariale di Treviso sono attivi sei laboratori occupazionali ma vi è coinvolto solo il 10% dei detenuti a causa della scarsità delle richieste di lavoro, dovuta anche al momento economico difficile. Con la cooperativa Alternativa e altre associazioni di volontariato come “La Prima Pietra” che già operano all’interno del carcere, si sta cercando di coinvolgere i detenuti in laboratori e in altre attività collegate con il mondo esterno. Ma l’obiettivo dichiarato è anche quello di sensibilizzare la società civile sulla necessità di garantire un’integrazione del detenuto. I dati dimostrano che un mestiere tiene fuori dai guai l’81% degli ex carcerati; chi non ha invece lavoro ha il 70% di possibilità di recidiva. Treviso: con il Progetto “Diamoci dentro” nuova chance per giovani detenuti Redattore Sociale, 10 dicembre 2012 Tirocini, laboratori, percorsi scolastici: il progetto “Diamoci dentro” prevede opportunità formative all’interno e all’esterno per circa 140 giovani detenuti. Circa 140 i giovani destinatari dell’iniziativa. Associazioni e istituzioni del trevigiano lavorano insieme per offrire un futuro ai giovani under 29 reclusi all’istituto minorile e nella Casa Circondariale della città. Tirocini esterni, ma anche laboratori formativi e percorsi scolastici sono stati attivati nell’ambito del progetto “Diamoci dentro”, promosso e gestito dall’associazione “Possibili Alternative” con altre realtà della provincia. Sono circa 140 i giovani destinatari del progetto, che ad oggi possono contare su tre percorsi formativi (per un investimento di 60 mila euro). Ma l’obiettivo è di arrivare a trenta, per garantire a tutti un’opportunità. A chiusura del progetto, chi non avrà ancora ottenuto un lavoro sarà seguito, una volta fuori, dal Servizio percorsi personalizzati del centro per l’impiego provinciale. L’istituto penale per minorenni al 1° giugno 2012 ospitava 22 ragazzi, mentre nel carcere maggiore sono recluse 280 persone. Lo spaccio di sostanze, seguito da furti e rapine, è il reato più diffuso. Attualmente nella casa circondariale di Treviso sono attivi sei laboratori: falegnameria, riparazione hardware, assemblaggio motori per le automazioni, allestimento dei cassonetti della raccolta differenziata, incisione artistica su vetro, digitalizzazione. Ma riescono a coinvolgere solo il 10% dei detenuti. Al minorile, invece, sono attivi corsi di grafica e un laboratorio artistico. Ci sono poi i percorsi scolastici, particolarmente importanti perché, come spiega Renzo Trevisin, insegnante e referente per la formazione, “i ragazzi del minorile arrivano pressoché tutti da percorsi di dispersione scolastica, mentre i detenuti del carcere maggiore per il 90% non hanno ne una qualifica professionale ne un titolo di studio superiore”. Oggi al minorile sono impegnati 3 insegnanti, nel carcere maggiore 7. Tra le iniziative di “Diamoci dentro” c’è anche la mostra “Uno sguardo dentro”, allestita al municipio di Spresiano (Tv) e visitabile fino al 22 dicembre. L’esposizione raccoglie immagini e manufatti, disegni e fotografie, che raccontano la vita all’interno della casa circondariale e dell’istituto penale per minori. Roma: “Lezioni di legalità” all’Università di Tor Vergata, con i fratelli Taviani Italpress, 10 dicembre 2012 Si parlerà di legalità, di riscatto sociale, della funzione rieducativa del carcere e del ruolo che può giocare la cultura nel corso dell’evento organizzato per domani all’Università di Roma Tor Vergata cui parteciperanno i fratelli Paolo e Vittorio Taviani ed alcuni degli attori/ detenuti protagonisti del film “Cesare deve morire” che ha conquistato l’Orso d’oro al Festival di Berlino ed altri importanti riconoscimenti nazionali e internazionali tra cui quello di rappresentare il cinema italiano nella scelta delle nomination agli Oscar. L’evento, denominato “Lezioni di legalità” e dedicato oltre che al film dei Taviani anche al Progetto di Teledidattica in Carcere, è stato organizzato dall’Università di Tor Vergata - Ufficio Coordinamento Orientamento di Ateneo - Dipartimento di Scienze Storiche, Filosofico-Sociali, dei Beni culturali e del Territorio - Dipartimento di Studi Umanistici - Cattedre di Storia e Critica del Cinema e di Storia Moderna in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei detenuti della Regione Lazio. Il programma prevede, a partire dalle 9.30 nell’Aula Moscati, la proiezione del film Cesare deve morire, preceduta dall’introduzione curata da Giovanni Spagnoletti, docente di Storia e Critica del Cinema. A seguire, l’incontro con Paolo e Vittorio Taviani alla presenza del Magnifico Rettore Renato Lauro, del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, di Franco Salvatori, direttore Dipartimento di Scienze Storiche, Filosofico-Sociali, dei Beni culturali e del Territorio e della prof.ssa Daniela Guardamagna, direttore Dipartimento di Studi Umanistici. Previsti gli interventi dei professori Marina Formica, Giovanni Spagnoletti e Fabio Pierangeli. Al dibattito parteciperanno anche alcuni attori del film Cesare deve morire: Cosimo Rega, Giovanni Arcuri, Antonio Frasca e Francesco Carusone. Padova: teatro in carcere, l’anteprima con i detenuti-attori di Alberta Pierobon Il Mattino di Padova, 10 dicembre 2012 Un documentario di un’ora racconta l’esperienza dei detenuti del Due Palazzi. “Tutto quello che rimane” sarà presentato anche al Porto Astra. Volti, facce, visi. No, non bastano i normali sostantivi. C’è qualcosa di più. I loro sono straordinari condensati di forza espressiva, lineamenti che l’ovale del volto non ce la fa a contenere; occhi, nasi, labbra che si contendono le stesse rughe, bocche a denti alterni capaci di ridere e piangere contemporaneamente. Bellissimi. Un tale compressione di vita e sentimenti, quella di chi vive in cella, che davanti alla possibilità di esprimersi - in questo caso attraverso il teatro - esplode, frantuma la realtà in mille pezzi e te li ricompone lì, davanti agli occhi. Sono i visi di tanti detenuti del penale Due Palazzi, ripresi in frammenti di recite in 20 anni di laboratorio del Tam-Teatro carcere. E rimontati in un’ora di immagini presentate in anteprima nella sala teatro del Due Palazzi, di fronte a circa 200 persone, la maggior parte detenuti più volontari, operatori e quelli del Tam con Cinzia Zanellato, capofila del teatro in carcere. Alle dirompenti immagini del video si sovrappongono, in suggestiva interazione, le movenze e le parole di quattro attori: Loris Contarini, Alessandro Martinello, Claudia Fabris con Pierangela Allegro e Michele Sambin (i padri fondatori del Tam). Quest’ultimo regista del lavoro. “Tutto quello che rimane” si intitola il teatrale lungometraggio che lunedì 10 e martedì 11 dicembre alle 21 verrà presentato nella sala Fronte del Porto al Bassanello. Un modo per riportare alla memoria, e fissare, tutto quanto è passato in quella sala del Due Palazzi con i manifesti di vecchi film dipinti sui muri, dove da 20 anni, appunto, ogni settimana, decine e decine di detenuti si sono alternati a fare prove, a improvvisare, a interpretare. A tirare fuori parole, storie, ragionamenti, torsi nudi e tatuati. E anima. Laboratori con un tema diverso ogni volta, dall’interpretazione dei vizi e delle virtù sull’affrescata traccia di Giotto a Otello e Desdemona. E in mezzo frammenti diaristici dei detenuti e di quelli del Tam. Come Gigi, che è morto in un regolamento di conti durante un permesso premio o come José che un giorno annuncia a tutti: sono felice, esco. Oggi vive a Padova, ha lavorato per il Tam facendo il tecnico e scrive favole per sua figlia che ha 5 anni e che lui da 5 anni non vede. Non vuole tornare a Bogotà senza un soldo. Come Giorgio, fine pena chissà quando, che racconta di come in cella, passati i primissimi giorni, i discorsi con i compagni diventino asfittici, ripetitivi, svuotati. E di come facendo teatro anche la comunicazione sia cambiata: altri argomenti, altra voglia di parlare, magari anche la spinta a ricominciare. Una “possibilità per tornare sui propri passi sani e salvi”, aggiunge qualcuno. O come quella volta che, partiti in 12 con un permesso per andare a fare uno spettacolo, al ritorno, auto ferma al semaforo rosso, un detenuto scende e scappa. Al Due Palazzi tornano in 11. Panico, quelli del Tam disperati, adesso ci taglieranno i fondi per il teatro. Il fuggiasco sarà ribeccato tre mesi dopo, era tornato a casa. E lo inseguono le voci dei suo compagni di cella e di teatro: Aldo, che gli dice “tu non hai pensato a noi, al gruppo, forse la tua libertà ha più valore della nostra?”. Alla fine, scrosci di applausi e brevi parole di rito, anche di due detenuti. Bruno, con 40 anni di sbarre, che saluta i colleghi e la gente venuta da fuori, parla della sua grande emozione e il decano Giovanni Caruso, calabrese doc, che ringrazia: “siete un pubblico bellissimo, stasera vorrei portarvi tutti fuori a cena...”. E già pensa al prossimo spettacolo. La Regione ha rinnovato i finanziamenti, dunque i laboratori procedono. Tra il pubblico “interno” c’è Marcello, elegante, un po’ di barba: “Avevo partecipato ad un laboratorio nel 1992, all’inizio. Poi sono uscito, e quasi quasi mi dispiaceva perché non potevo più fare il corso”. Oggi è arrivato da fuori? “No, no. Sono di nuovo dentro” dice ridendo, ché l’autoironia è quasi d’obbligo tra quelle mura. Roma: a Rebibbia vestiti e dignità per donne e uomini, Campagna volontari Caritas Ansa, 10 dicembre 2012 “Vesti un carcerato povero”. Questa la campagna di Natale che l’associazione Volontari in Carcere della Caritas hanno promosso per portare aiuto concreto ai detenuti di Rebibbia. “Il carcere oltre al cibo non passa nulla - spiegano al Vic - e se non c’è una famiglia fuori che provvede, le persone in carcere non possono né vestirsi né lavarsi”. “Nel carcere cassonetto sociale, pieno all’inverosimile, gli uomini e le donne provengono nella stragrande maggioranza dalle fasce sociali più povere, da contesti sociali critici, da situazioni di solitudine, violenza, emarginazione. E come fuori, anche dentro la vita per loro è più dura. Per questo il recupero della dignità della persona passa anche attraverso la banale possibilità di riappropriarsi di normali gesti quotidiani, come lavarsi e vestirsi”. I volontari del Vic portano ogni settimana un centinaio di pacchi vestiario per chi in carcere non ha neanche il necessario per coprirsi e nella campagna “Vesti un carcerato povero” è possibile contribuire per acquistare differenti kit (tuta, scarpe da ginnastica, biancheria e per l’igiene personale come sapone, shampoo, dentifricio, spazzolino). “La civiltà di una società - ricorda il Vic - si misura anche dalla cura che ciascuno ha verso il prossimo, anche quello che ci appare più lontano e forse più discutibile”. Germania: critiche sulla Bosch per pubblicità di sistemi sicurezza carceri cinesi da Andrea Tarquini La Repubblica, 10 dicembre 2012 Le organizzazioni per i diritti umani insorgono contro il colosso tedesco della tecnologia. Volete sistemi di sicurezza antifurto o antifuga perfetti? Comprateli da noi di Bosch, noi simbolo dell’eccellenza tecnologica made in Germany. Se non ci credete guardate questi nostri spot pubblicitari, ecco cosa siamo riusciti a realizzare in Cina. L’annuncio di consigli per gli acquisti sembra normale, indolore. Ma le immagini no. Ecco la grata di ingresso di un centro di detenzione cinese, uno dei tanti dell’arcipelago Laogai, cioè l’arcipelago Gulag della futura prima potenza mondiale, l’arcipelago in cui vive anche il Nobel per la pace Liu Xiaobo. La foto dello spot mostra due agenti speciali del Guabuo, il Kgb cinese, che portano all’ingresso un detenuto ammanettato dietro le spalle e avvolto nel pigiama di detenzione arancione stile Guantanamo. La Süddeutsche lo ha denunciato, scatenando in tutto il mondo le proteste delle organizzazioni dei diritti umani. Il Ministero per la sicurezza cinese ha organizzato a Pechino la grande fiera mondiale dei sistemi di sicurezza, Security China 2012. Per spingere economia, investimenti, posti di lavoro, certo. Ma soprattutto per dimostrare che “miglioriamo la sicurezza nella Repubblica popolare, a ogni livello”. Ecco, diffusi online in Cina, cinque spot pubblicitari. Immagini reali, o simulazioni da war game. I buoni sono sempre gli agenti del Guabuo e i cattivi i detenuti, quindi anche possibili oppositori. Sistemi di sorveglianza elettronici perfetti, quelli che noi produciamo, con noi nessuno può scappare, dicono gli spot. Mostrano i sensori in ogni punto di prigioni come quella in cui è rinchiuso Liu Xiaobo, o i reticolati. I sottotitoli consigliano: se un detenuto ha l’ora di colloquio con parenti o amici, “controllate bene con i nostri sistemi quanto a lungo parlano, cosa si dicono, che non abusino di quel tempo”. Le organizzazioni internazionali per i diritti umani sono indignate, protestano a livello globale. Dice Wolfgang Büttner di Human Rights Watch alla Süddeutsche: “Vendere sistemi di sorveglianza per centri di detenzione a stati dove vengono violati gli standard dello Stato di diritto e le persone sono detenute arbitrariamente vuol dire che le imprese che lo fanno violano i doveri di verifica”. Aggiunge Kai Mueller della International Champaign for Tibet: “La Cina è uno Stato autoritario, viola sistematicamente i diritti umani, è vergognoso che Bosch realizzi profitti con la repressione cinese, magari specie in Tibet o contro i dissidenti più coraggiosi, Bosch dovrebbe chiudere gli affari in Cina se avesse una coscienza”, aggiunge. Ma via, in nome del primato dell’export e del rating del made in Germany che cosa contano simili considerazioni etiche? La risposta della Bosch lo chiarisce: “Non abbiamo violato le regole per le vendite all’estero”, dice un portavoce, e aggiunge che l’azienda ha contribuito in modo positivo allo sviluppo dell’economia e della società cinesi. Infine, si giustifica la Bosch, i materiali non sono stati venduti direttamente alle carceri o alle autorità, ma agli imprenditori cinesi del settore elettronico. Afghanistan: l’Onu denuncia; 200 ragazzini detenuti dagli americani a Bagram di Monica Ricci Sargentini Corriere della Sera, 10 dicembre 2012 Le forze Usa hanno detenuto oltre 200 adolescenti afghani per un anno in una prigione militare nei pressi della base aerea di Bagram, non lontano da Kabul. A rivelarlo è stato lo stesso Dipartimento di Stato americano nel rapporto che ogni quattro anni viene inviato alle Nazioni Unite di Ginevra per dimostrare il rispetto della Convenzione Onu sui diritti dei bambini. Nel documento si parla di ragazzi catturati in guerra nel 2008 che sono stati classificati come “combattenti nemici”. Molti sono stati rilasciati ma alcuni sono ancora detenuti a Parwan, una prigione che passerà presto sotto il controllo dei militari afghani. “I militari americani - sostiene il Dipartimento di Stato nella relazione - hanno trattenuto i ragazzi per impedire tornassero sui campi di battaglia”. Una versione poco convincente secondo alcuni rappresentanti delle associazioni per i diritti umani soprattutto perché Washington ha dichiarato che l’età media dei minorenni era di 16 anni. “Se questo è vero - ha commentato all’Ap Jamil Dakwar, direttore del programma diritti civili dell’American Civil Liberties Union - vuol dire che tra loro ci sono stati anche bambini di 13 o 14 anni”. Un sospetto che viene confermato da Tina M.Foster, dell’International Justice Network: “Ho rappresentato anche bambini anche di 11 o 12 anni detenuti a Bagram. E poi metto in dubbio il numero di 200, ci sono migliaia di detenuti a Parwan. E ci sono ragazzini che sono stati arrestati prima che compissero 18 anni ma la cosa non viene riconosciuta”. Per l’American Civil Liberties Union è da criticare anche la lunghezza delle detenzioni, di solito di un anno. “Un periodo tempo inaccettabile che espone i bambini al grande rischio di abusi fisici e mentali - ha spiegato ancora Dakwar -, specialmente se gli è negata la protezione stabilita dal diritto internazionale”. Quattro anni fa, alla fine della presidenza Bush, gli Usa avevano dichiarato di aver detenuto circa 500 minorenni nelle prigioni irachene mentre in Afghanistan il numero era irrisorio. Dal 2002 al 2008 in Iraq sono stati chiusi in prigione circa 2500 ragazzini. Di solito gli adolescenti non sono imputati di alcun crimine e quindi non hanno diritto all’assistenza legale. “Lo scopo della detenzione - spiega il rapporto - non è punitivo ma preventivo, cioè è volto ad impedire che i combattenti ritornino sul campo di battaglia”. Nel 2004 una sentenza della Corte Suprema ( Hamdi vs. Rumsfeld) ha stabilito che “la legge sul conflitto armato permette agli Usa di detenere i belligeranti fino alla fine delle ostilità senza accusarli di alcun crimine perché non sono detenuti come criminali in attesa di un processo”. Tina Foster dell’International Justice Network, però, sostiene che spesso i ragazzi vengono arrestati nelle loro case e presi insieme ai loro fratelli: “Non li prendono mica sul campo di battaglia e non hanno nemmeno l’uniforme. E magari poi ci mettono un anno a capire chi sono e quanti anni hanno”. Ora la relazione sarà esaminata dalla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra che dovrà stabilire se il comportamento dei militari non ha trasgredito la convenzione. E una delegazione del Dipartimento di Stato americano si recherà a Ginevra all’inizio del prossimo anno per rispondere alle domande dei commissari e spiegare il rapporto. Iran: impiccati tre trafficanti di droga nel sud est, uno era pakistano Aki, 10 dicembre 2012 Tre narcotrafficanti sono stati impiccati oggi nel carcere centrale della città di Zahedan, nell’Iran sud-orientale. Lo riferisce il sito d’informazione attivo nell’ambito dei diritti umani ‘Heranà, spiegando che Iraj Mohammadi, Mahmud Brahui e un cittadino pakistano, di cui non si conosce il nome, sono stati giustiziati a seguito della sentenza di morte emessa nei loro confronti per traffico di droga dal Tribunale di Zahedan. Secondo la sharia islamica, vigente dal 1979 nell’ordinamento giuridico dell’Iran, il traffico di droga è punito con la pena capitale. Negli ultimi due anni, secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani, sarebbero state impiccate in Iran oltre mille persone. Il consumo di droga tra i giovani, negli ultimi quindici anni, è aumentato in modo esponenziale. Emirati Eabi: basta un post per finire in prigione Nena News, 10 dicembre 2012 Il 18enne Al Zumer in galera per un post a favore dei detenuti politici. Nuova legge anti-web: Abu Dhabi punisce con la prigione chi critica il governo. Appena 18 anni e già dietro le sbarre di una prigione. Colpevole di fare il blogger. Mentre i media occidentali si scatenano sulla necessità di tutelare i diritti umani del popolo siriano e la libertà di espressione in Iran, negli Emirati Arabi Uniti si può finire in carcere per un post sul web che al regime non va giù. Sono decine le persone arrestate nel corso del 2012 negli Emirati per aver postato su blog o social network commenti critici verso la monarchia del Golfo o che richiamano a gruppi islamisti che il governo ritiene una minaccia alla stabilità interna. Ultimo in ordine di tempo, Mohammed Salem al-Zumer, 18 enne residente a Sharjah, accusato di aver utilizzato la rete per sostenere attivisti attualmente detenuti. Al Zumer, come riporta l’organizzazione Emirates Center for Human Rights, è figlio di un poeta molto noto negli Emirati e nipote dell’attivista Khaled al-Sheiba al-Nuaimi, arrestato lo scorso giugno insieme ad altre 60 persone. Molti di loro sarebbero membri di Islah, gruppo locale islamico. Mohammed Salem è stato arrestato mercoledì scorso: le forze di sicurezza lo hanno fermato mentre guidava la sua automobile a Sharjah, hanno perquisito per circa un’ora la sua abitazione, prima di mettergli le manette ai polsi e condurlo in una località sconosciuta. Con normative ancora più restrittive, sfornate a metà novembre, il regime ha preso di mira internet e i suoi fruitori, i critici del governo e chi tenta di organizzare proteste e scioperi: secondo la nuova legge, espressamente rivolta a regolare l’utilizzo della rete, gli Emirati definiscono reato deridere o criticare lo Stato e le sue istituzioni e organizzare manifestazioni di protesta. La pena è la prigione per un minimo di tre anni. Ad annunciare il decreto sul cybercrime è stato il presidente Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahayan. La legge vieta la pubblicazione di materiale che potrebbe “mettere in pericolo la sicurezza dello Stato e dei suoi interessi”, tra cui appelli alla caduta del regime. La pena prevista è “la prigione per ogni individuo che crei o gestisca un sito internet per organizzare manifestazioni e marce non autorizzare, per criticare o deridere il governo”. Dove per governo si intendono tutti i leader politici, i ministri ed ogni simbolo nazionale - dalla bandiera alla corona. Una legge giunta a pochi giorni dalla condanna formale dell’Unione Europea contro le violazioni dei diritti umani nel Paese del Golfo, scatenata dall’arresto e la tortura degli oltre 60 attivisti sospettati di far parte del gruppo islamista Islah, il diniego di assistenza legale ai detenuti politici e l’intimidazione e la deportazione dei legali dei prigionieri. Gli Emirati hanno rispedito le accuse al mittente, negando qualsiasi tipo di repressione delle opposizioni.