Giustizia: 66mila detenuti, 21mila in più della capienza regolare nonostante legge svuota-carceri Agi, 7 aprile 2012 L’emergenza sovraffollamento nelle carceri italiane continua: i detenuti sono 66.695 (di cui 2.863 donne), a fronte di una capienza regolamentare di 45.743 posti. Questo il quadro che emerge dagli ultimi dati resi noti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, aggiornati al 31 marzo scorso. Ben 24.123 ristretti nei 206 istituti di pena del nostro Paese sono stranieri (2.795 albanesi, 4.858 marocchini, 3.686 romeni, 3.043 tunisini). Tra i quasi 67mila detenuti complessivi, sono 26.941 quelli che attendono ancora un giudizio definitivo e ben 13.493 sono quelli in attesa di primo giudizio. Oltre novemila (9.453), invece, sono le persone che si trovano agli arresti domiciliari, 904 quelle che godono del regime di semilibertà e 10.424 di quello dell’affidamento in prova. I detenuti che sono usciti dal carcere fino al 29 febbraio scorso per l’effetto della legge n.199/2010 - che prevede l’esecuzione domiciliare di pene non superiori a 18 mesi - dalla sua entrata in vigore sono 5.140. Giustizia: Maritati (Pd); per ridurre sovraffollamento delle carceri servono altre misure Agi, 7 aprile 2012 “Nei fatti cambierà che avremo qualche migliaio di persone in meno in carcere”. Il senatore del Pd, Alberto Maritati, vicepresidente della seconda commissione permanente Giustizia, lo ha detto rispondendo ad una domanda sugli effetti del decreto “svuota carceri” convertito in legge il 14 febbraio scorso, che introduce una serie di misure per attenuare il sovraffollamento dei penitenziari italiani, a margine di un dibattito sul tema organizzato dalla Cgil Bari nell’auditorium del carcere di Bari. In carcere ci saranno in meno circa “4-5mila persone per quanto riguarda gli arresti domiciliari” ha sottolineato Maritati il quale ha ricordato anche che la legge ha previsto “che invece dell’ultimo anno si può tramutare la pena detentiva in esecuzione quando manca uno e mezzo cioè, se resta una pena residua di 18 mesi le legge prevede che se non c’è pericolo di fuga e c’è un domicilio adatto, il giudice di sorveglianza dispone che il detenuto sia trasferito in un domicilio”. Secondo Maritati, “sommando i due momenti dovremmo avere all’incirca 10mila persone in meno nel carcere - ha affermato - ma questo non basta. C’è bisogno di attaccare alla radice il fenomeno del sovraffollamento che è dovuto ad una legislazione eccessivamente criminogena: non possiamo prevedere il binomio legge penale-carcere”. “Ci devono essere una serie di ipotesi che rendano il carcere come l’estrema ratio e un provvedimento - ha aggiunto - che sia l’unico idoneo alla risposta verso la violazione della legge”. Giustizia: chiudono Ospedali psichiatrici giudiziari, nuove strutture affidate anche ai privati di Manuela Perrone Il Sole 24 Ore, 7 aprile 2012 Potranno essere affidate dalle Asl al privato sociale o imprenditoriale oppure essere gestite in proprio attraverso i Dipartimenti di salute mentale. Comincia a delinearsi il profilo delle nuove strutture sanitarie che dal 31 marzo 2013 dovranno nascere nelle varie Regioni per dire addio all’orrore dei sei Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), come li ha definiti il capo dello Stato Giorgio Napolitano. Ad aprire alla gestione privata anche per questi centri, che ospiteranno parte dei circa 1.300 internati attuali e tutti i malati di mente autori di reati che i giudici destineranno alla misura di sicurezza del ricovero in Opg o in casa di cura e custodia, è l’ultima bozza riservata del decreto ministeriale sui “requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” delle strutture, predisposta dai tecnici del ministero della Salute sulla base delle osservazioni delle Regioni. Il testo, approfondito sul prossimo numero de “Il Sole-24 Ore Sanità”, è il frutto del lavoro di una task force mista istituita da assessori alla Sanità e dicastero proprio per sfornare l’identikit dei centri, previsti dal decreto “svuota-carceri” (legge 9/2012), che ha sancito lo smantellamento degli Opg e stanziato 180 milioni per realizzare le residenze, 38 per il funzionamento nel 2012 e 55 annui dal 2013. La legge fissava il termine del 31 marzo scorso per l’emanazione del Dm di natura non regolamentare da parte del ministro della Salute, di concerto con il ministro della Giustizia e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Impossibile però rispettare la scadenza: solo nei giorni scorsi le posizioni dei tecnici ministeriali e regionali (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto hanno fatto fronte comune) si sono avvicinate. Ora si spera in un accordo in modo da inviare presto la bozza alla Giustizia per le necessarie integrazioni. Necessarie soprattutto per chiarire gli aspetti riguardanti la sicurezza e l’eventuale vigilanza esterna: la Salute ipotizza intese tra Regioni e prefetture nonché strutture “a diverso livello di protezione”, le Regioni chiedono di demandarli ad accordi con l’amministrazione penitenziaria o le forze dell’ordine. Chiaro il nodo: qui si parla di residenze sanitarie da 20-30 posti letto in cui comunque va fatto rispettare l’ordinamento penitenziario (a Codice penale invariato. il concetto di “pericolosità sociale” resta). La bozza lascia aperti altri due interrogativi. Chi deciderà sull’assegnazione dei rei alle diverse sedi? E ancora: chi sarà l’interlocutore del magistrato di sorveglianza che deve valutare le condizioni psicopatologiche dei pazienti, visto che il testo non specifica una gerarchia nell’équipe multi professionale che seguirà i pazienti? Domande chiave, a maggior ragione se le strutture saranno gestite da privati. Giustizia: Osapp; almeno 16mila detenuti in “contenimento chimico” con psicofarmaci Ansa, 7 aprile 2012 “Oltre il 40% dei detenuti in attesa di giudizio nelle case circondariali, pari ad oltre 12mila individui e oltre il 10% di detenuti condannati nelle case di reclusione pari ad ulteriori 3.500/4.000 sono soggetti ad una sorta di contenimento chimico nelle carceri italiane, a causa del massiccio uso di psico-farmaci” è quanto denuncia l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in un nota a firma del segretario generale Leo Beneduci. “A leggere la lunghissima lista dei farmaci somministrati in carcere - prosegue il sindacato - c’è da rimanere esterrefatti visto che, a parte gli ettolitri di valium, nelle patrie galere si somministra praticamente di tutto, dagli antipsicotici agli ipnotici, dagli antidepressivi agli oppiacei, dalle benzodiazepine agli stabilizzatori dell’umore”. “Si tratta, spesso, di farmaci di non facile reperimento all’esterno, visti gli altissimi rischi di dipendenza e che invece in carcere vengono assunti, su prescrizione del medico dell’istituto e in presenza del personale paramedico e di polizia penitenziaria, quali medicine di contenimento in quanto somministrate non secondo tempi e modalità indicati dalle case farmaceutiche nel bugiardino, ma solo quando viene effettuato il giro della terapia interno alle sezioni”. Secondo l’Osapp: “È facile immaginare che il maggior consumo di psicofarmaci nelle case circondariali, da parte dei detenuti in attesa di giudizio, rispetto ai detenuti con condanna definitiva nelle case di reclusione, sia legato alla maggiore libertà interna per le attività sociali, ricreative o culturali di questi ultimi, rispetto ai detenuti in attesa di giudizio costretti in cella anche per 20 ore ogni giorno.” “In carcere esiste un vero e proprio borsino - indica ancora il leader dell’Osapp - tanto che, ad esempio, mezza pasticca di subtex (un oppiaceo) di regola viene scambiata con due pacchetti di sigarette, mentre venti gocce di rivotril (un tranquillante) equivalgono a 5 sigarette. In alcuni casi vengono persino preparati dei micidiali cocktail con più farmaci e non è da escludersi che tali miscugli siano direttamente collegati alle morti in carcere per overdose o per inalazione di gas dalle bombolette dei fornellini nelle celle”. “Di regola è ritenuto che la sofferenza ed il disagio nelle attuali carceri italiane siano legati al sovraffollamento (66.318 detenuti per 45.757 posti il 5 aprile 2012), all’inigienicità dei locali e alle carenze di risorse e di personale - conclude Beneduci - e non si immagina minimamente che le nostre carceri siano anche una fabbrica di tossico-dipendenti o, nella migliore ipotesi, di intossicati da abuso di farmaci con il costo che ne consegue per la società e questo sarebbe, di per se, un motivo più che valido per deflazionare subito e con immediati provvedimenti di clemenza il sistema penitenziario”. Giustizia: Camera; molti pareri favorevoli per progetto di legge sul lavoro dei detenuti Asca, 7 aprile 2012 La Commissione Giustizia, la Finanze, la Affari Sociali e altre Commissioni hanno espresso parere favorevole alla lavoro sul testo unificato 124 contenente norme per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Il progetto normativo è stato già ampiamente discusso e trasferito in Assemblea che ha, però, disposto il ritorno in Commissione per una ulteriore definizione. La Lavoro ha, infatti, varato la nuova stesura trasmettendola alle altre Commissioni competenti per acquisire i pareri e completare l’iter referente. Giustizia: Senato; Commissione Diritti Umani, ascolta Associazione “Prigionieri del Silenzio” Asca, 7 aprile 2012 La Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani ha proseguito l’indagine condotta in merito con un’audizione di Katia Anedda, Presidente dell’Associazione “Prigionieri del Silenzio”, che ha messo in luce il crescente numero di italiani che sono detenuti in carceri straniere e affrontano gravi problemi. In proposito è stata ascoltata la testimonianza di Carlo Parlanti che ha illustrato le numerose incongruenze che hanno portato al sua arresto e alla sua condanna negli Stati Uniti con un avvocato difensore americano e con un sistema giudiziario che ‘porta il Procuratore a spingere per la carcerazione preventiva e per il patteggiamento della pena prima di aver svolto qualsiasi indagine, cioè un’attività molto più costosa della detenzione. Puglia: la Cgil ha organizzato il convegno “Restituire diritti e dignità oltre le sbarre” www.go-bari.it, 7 aprile 2012 Che le carceri italiane siano sovraffollate è ormai noto, ma i numeri che riguardano la Puglia lasciano sgomenti. I dati forniti dalla Cgil in occasione del convegno “Restituire diritti e dignità oltre le sbarre”, inseriscono la Puglia fra le poche regioni, dove il numero dei detenuti rispetto alla capienza delle strutture è quasi il doppio: ci sono ben 11 istituti detentivi per una capacità complessiva di 2.463 posti-letto, ma al loro interno i detenuti sono 4.533, di cui più di un quinto costituito da stranieri. Fra le regioni interessate dal fenomeno della “duplicazione”, inoltre, la Puglia ha uno scarto medio (188 detenuti per istituto) secondo solo alla Lombardia (211). La Cgil batte il ferro finché è caldo e riapre i termini della discussione su un argomento fresco di legge. E non a caso l’incontro si tiene nell’auditorium della Casa Circondariale di Via De Gasperi a Bari. Come non partire, infatti, dalla “legge svuota carceri”? Questa prova timidamente a cambiare la situazione, ampliando le forme alternative di detenzione, come gli arresti domiciliari, anche ad altre tipologie di detenuti, a chi ad esempio si trovi in attesa dell’udienza di convalida all’arresto. Si propone inoltre di avviare un percorso che miri alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari entro marzo 2013. E a questo proposito, ricordiamo che a gennaio scorso il Senato ha approvato una norma per la chiusura degli Opg, 6 in tutto in Italia. Giuseppe Martone, Dirigente Generale Amministrazione Penitenziaria, sottolinea però quanto i “freddi numeri” non diano la dimensione del dramma: “La situazione di sovraffollamento è quella di 30 anni fa, ma è più drammatica, anche in seguito ai flussi migratori, che reintroducono categorie penali cadute in desuetudine, come la schiavitù, e creano una nuova mappatura del crimine organizzato”. Il punto di criticità, per quel che nella legge riguarda gli Opg sta, secondo Martone, nel fatto che non siano specificate le condizioni secondo le quali le strutture psichiatriche, che al momento accolgono 1.400 internati, debbano diventare territoriali, quindi gestite dalla Regione, ed avere una sorveglianza perimetrale. La ratio di tale perplessità sembra risiedere nell’elenco di tutti i problemi connessi alla gestione delle carceri. Martone sottolinea, infatti, come e quanto sia grave la carenza di personale, di strumenti e strutture tecnologizzate. Stessa carenza che lamenta il Direttore Generale Asl Puglia, Domenico Colasanto: “La Puglia è in Piano di rientro da un anno e mezzo e per questo non c’è solo un blocco del turn over, ma un assoluto divieto di assunzione. Inoltre è dagli anni 90 che abbiamo operato una sottostima in termini di personale, prendendo come punto di riferimento il 2004 ed applicandovi una diminuzione del 1.4%. Ancora oggi la Puglia ne sta pagando le spese - e conclude - come azienda sanitaria pensiamo di poter affrontare abbastanza bene l’impatto per la cura di queste persone, ma speriamo in dotazioni organiche”. Insomma, il destino dei detenuti resta quello di rappresentare un peso per una società con spalle troppo fragili. L’unico a ricordare che le carceri nascono, in virtù dell’art. 27 della Costituzione, come trattamenti rieducativi del condannato, è Don Raffaele Sauro, sacerdote cappellano al carcere di Trani: “Molti detenuti sono poveracci che non si possono permettere l’avvocato di grido. La prospettiva migliore sarebbero le forme di detenzione alternativa. Chiaramente vanno operate delle distinzioni, ma restano necessarie per riportare dignità in queste vite, indirizzandole verso percorsi di reinserimento sociale”. Per adesso la Puglia taglia la testa al toro e cerca di incrementare capienza e funzionalità. Infatti, ci sono in cantiere 3 nuovi padiglioni all’interno delle carceri di Taranto, Lecce e Trani, da 800-900 posti, più la proposta di una nuova struttura carceraria da 600 posti, che però coinvolga le forze sociali in modo da offrire un lavoro ai detenuti, facilitandone il reinserimento. Lombardia: Stop Opg; riportiamoli a casa… a partire da Castiglione delle Stiviere Ristretti Orizzonti, 7 aprile 2012 Il Comitato Stop Opg della Lombardia esprime soddisfazione per la riuscita dell’iniziativa organizzata dal Comune di Milano il 4 aprile scorso dal titolo “Riportiamoli a casa”. Nel corso del dibattito, alla presenza del Senatore Ignazio Marino, sono emerse con forza e convinzione le ragioni che sostengono la campagna per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, come previsto dalla Legge 9/2012. In Lombardia occorre che la Regione avvii al più presto l’iter che porti alla chiusura della struttura di Castiglione delle Stiviere. Il termine previsto dalla Legge per la cessazione degli Opg è il 31 marzo 2013. Siamo fermamente convinti che questo percorso debba essere il più possibile partecipato e che debba coinvolgere tutti gli attori, a partire dalle istituzioni, le forze politiche, gli operatori del settore, le associazioni dei familiari e la magistratura. In questa direzione è importante sottolineare la posizione dell’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano Pierfrancesco Majorino che ha affermato l’impegno a svolgere un ruolo attivo e partecipato, in particolare nella costruzione di politiche che favoriscano l’inclusione delle donne e degli uomini (nostri concittadini, oggi senza un volto e un nome) che - così auspichiamo - il 31 marzo del prossimo anno non saranno più internati in un Opg. Perugia: 43enne ritrovato morto in cella di isolamento, arrestato ieri per aver ucciso il fratello Ansa, 7 aprile 2012 Non ci sono segni violenza sul corpo di Alessandro Benvenuti, 43 anni, trovato morto stamani nel carcere di Perugia. L’ipotesi più accredita resta per il momento quella del malore. Ad accorgersi dell’accaduto è stato, alle 8, l’agente di polizia penitenziaria durante il giro di “battitura” delle sbarre. L’uomo, già morto, era disteso sul letto. Il detenuto era rinchiuso in una cella d’isolamento. Sul posto ha svolto un sopralluogo anche il magistrato di turno. Il 43enne era in carcere da ieri pomeriggio per avere ucciso, colpendolo con delle coltellate, il fratello Walter, 50 anni, sotto agli occhi della madre Dina. L’aggressore, da tempo in cura al centro d’igiene mentale, era stato subito arrestato dai carabinieri. L’omicidio era avvenuto nell’abitazione dove Alessandro Benvenuti viveva con la madre. Qui si era recato a trovarli la vittima. Tra i due fratelli era improvvisamente scoppiata una lite, per motivi non ancora chiariti. Rossano (Cs): poliziotto penitenziario si toglie la vita sparandosi con la pistola d’ordinanza Gazzetta del Sud, 7 aprile 2012 Il periodo di distacco era finito a dicembre e ieri mattina, è passato dal carcere di Rossano per recuperare gli effetti personali ma a Cosenza, dov’era in servizio, non c’è tornato. Un colpo di pistola sparato con la pistola d’ordinanza e Mauro Cosentino, 44 anni, assistente capo della polizia penitenziaria, sposato e con un figlio, si è tolto la vita. Un dramma che si ripete, ancora una volta una guardia carceraria si suicida e i numeri fanno paura, in dieci anni sono un centinaio ad aver fatto la stessa cosa. L’indagine della procura rossanese è appena iniziata, è presto per dire se quel maledetto colpo di pistola sia legato allo stress di un mestiere duro, spesso insopportabile, oppure a qualche altro motivo. Certo i colleghi fanno fatica ad associare un gesto tragico e carico di neri dubbi a quella persona equilibrata e serena che conoscevano e con cui hanno parlato fino a poco prima. Ieri mattina Mauro li ha salutati ed era tranquillo, poi è andato in caserma per raccogliere un può di cose che aveva lasciato. Impossibile per i colleghi pensare che quelle stesse mani che hanno raccolto ordinatamente gli effetti personali, si siano poi strette attorno al calcio e al grilletto per tirare quel colpo assassino. L’assistente capo, nativo di Cariati, era in servizio al carcere di Cosenza ormai da alcuni anni, fino a dicembre era stato distaccato al carcere di Rossano. A dare per primo la notizia del suicidio di Cosentino è stato il Sappe, sindacato che tutela le guardie carcerarie. Il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, e il segretario nazionale, Damiano Bellucci, in una nota congiunta si stringono attorno alla moglie e al figlio “ai quali vanno le nostre più sentite condoglianze”. I colleghi, dicono i sindacalisti, lo ricordano “come una persona di grande equilibrio, in ottimi rapporti umani e professionali con tutti”. L’analisi di Durante e Bellucci va dritta al cuore di un problema che, talvolta, stenta ad emergere. “Quello dei suicidi nella polizia penitenziaria - dicono nella nota congiunta - è un dato tragico e allarmante, se si considera che sono circa cento coloro che si sono suicidati negli ultimi dieci anni”. Durante va ancora più a fondo: “Chiediamo maggiore attenzione - dice - verso il personale della polizia penitenziaria che, quotidianamente, affronta numerosi incredibili sacrifici”. Un lavoro duro quello di coloro i quali la letteratura chiama “secondini”, persone che vivono ogni giorno la dura realtà del sistema carcerario italiano, ormai da tempo al collasso e sempre al centro di ipotesi di rinnovamento che non arrivano mai a concretizzarsi. È dura la vita dei detenuti stipati come sardine nelle celle, lo è altrettanto quella dei loro controllori, chiamati ad un compito delicato, reso ancora più stressante da ataviche carenze di organico. Può succedere che la testa non regga più. “L’amministrazione carceraria e le istituzioni preposte dovrebbero imparare ad ascoltare di più. Spesso - chiude Durante - dietro una richiesta ci può essere un disagio che, se percepito giustamente, potrebbe non sfociare in tragedia”. È compito dell’indagine capire perché ieri Mauro Cosentino abbia scelto di oltrepassare la soglia del non ritorno, capire quale insopportabilità lo abbia ucciso, se quella del suo lavoro o un’altra. Pavia: detenuto di 27 anni s’impicca in cella di isolamento, viene salvato in extremis dagli agenti La Provincia Pavese, 7 aprile 2012 Ha legato le lenzuola per fabbricarsi una corda, l’ha appesa al gancio del lampadario e se l’è stretta al collo per impiccarsi. Ma gli agenti di polizia penitenziaria l’hanno salvato appena in tempo. Il giovane di Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, compirà 27 anni il 21 aprile. Era a Torre del Gallo da qualche giorno nel reparto isolamento, dove vengono sistemati i detenuti appena trasferiti. Gli agenti in turno ieri sera si sono accorti del trambusto, hanno lanciato l’allarme e sono riusciti a sollevarlo per alleviare la pressione della corda sul collo. Subito hanno chiamato il medico di guardia che l’ha rianimato. L’uomo è stato portato in infermeria e ieri sembrava fuori pericolo. “Una tragedia sfiorata - commenta Fabio Catalano, Cgil - causata dal sovraffollamento e dal disagio dei detenuti, 490 in un carcere da 245 posti, oltre la soglia dei 460 tollerabili. Noi agenti siamo ridotti all’osso, con i distaccamenti 110 in meno rispetto ai 285 previsti dalla pianta organica: l’episodio dimostra anche le difficoltà che l’innalzamento a 63 anni dell’età pensionabile porterebbe in un lavoro come il nostro. Come farebbe un ultra sessantenne a sollevare un giovane per salvarlo?”. Erano le 22 circa quando il ragazzo ha cercato di impiccarsi: l’agente in turno nel reparto ha lanciato l’allarme, sono arrivati altri due agenti e il giovane era già a penzoloni, privo di sensi. È stato sollevato, adagiato sul letto, poi portato in infermeria. Il 27enne, tossicodipendente, ha due figli piccoli, un maschio e una femmina, e sembra che tra le motivazioni che l’hanno spinto al tentativo di privarsi della vita ci sia proprio il trasferimento a Pavia. “Siamo arrivati appena in tempo - fanno sapere dalla segreteria dell’Fns Cisl. La situazione all’interno del carcere non è più sostenibile. Ormai siamo uno solo per reparto, a badare a circa 60 detenuti. E con le vacanze di Pasqua e la turnazione imposta dalle ferie, i due piantonamenti in atto in ospedale, le traduzioni in tribunale, siamo troppo pochi”. Caltanissetta: famigliari detenuto suicida presentano un esposto-denuncia al Guardasigilli La Sicilia, 7 aprile 2012 È con un esposto di 10 pagine - in cui è sintetizzato il travaglio processuale e l’odissea carceraria di Giuseppe Di Blasi impiccatosi in una cella del “Malaspina” il 27 dicembre scorso - che i familiari del detenuto nisseno denunciano una serie di omissioni. Un atto d’accusa trasmesso al ministro della Giustizia, Paola Severino, al procuratore generale della Cassazione e alla Procura di Caltanissetta, che ha già aperto un fascicolo per omicidio colposo ancora contro ignoti. Vogliono verità e giustizia la madre e i fratelli dell’ex operaio del canile morto a 46 anni, che era stato arrestato nel gennaio del 2010 per possesso illegale d’armi e poi raggiunto ad aprile da un ordine d’arresto per abusi sessuali su una minorenne. In carcere Di Blasi stava scontando una condanna a 17 anni inflittagli in primo grado per violenza sessuale, e prima ancora che la Corte d’Appello riaprisse l’istruttoria per sottoporre a perizia psicologica la ragazzina che lo accusava, lui si impiccò col bordo del lenzuolo che trasformò in cappio. Al quarto tentativo di suicidio, ci riuscì. E adesso la madre Maria Mantegna e i figli Giorgio, Calogero, Nazareno, Lucia, Giovanna e Giacomo Di Blasi - assistiti dall’avvocato Massimiliano Bellini - chiedono al Guardasigilli e ai vertici di Cassazione e Procura di accertare se “siano state violate o disattese le norme di ogni genere e tipo, che garantiscono diritti fondamentali ed inviolabili ad ogni persona privata della libertà personale. Se tutti i soggetti tenuti a vigilare sulle condizioni psicofisiche di nostro fratello abbiano fatto il proprio dovere”. Riepilogando le tappe dall’arresto, a partire dalle fasi del processo fino all’ingresso nel circuito penitenziario di Giuseppe Di Blasi, l’avvocato Bellini ha rimarcato l’inattendibilità della minorenne, suffragata da atteggiamenti di “rara lucidità” durante la sua permanenza in comunità segnalati dagli operatori alla magistratura minorile. “Perché la Procura e il Tribunale dei Minori - è l’interrogativo contenuto nell’esposto - non hanno informato di tutto quello che stava accadendo la Procura ordinaria e i giudici che stavano processando nostro fratello”. La famiglia Di Blasi mette in discussione anche l’assistenza medico-sanitaria offerta al detenuto suicida, producendo a riprova della loro tesi i diari clinici delle carceri di Caltanissetta, Enna, Gazzi e ancora Caltanissetta in cui era recluso dal 10 gennaio 2010 al giorno del decesso. Di Blasi ha tentato di suicidarsi quattro volte, ingerendo un dosaggio eccessivo di farmaci, entra in profondo stato depressivo, perde 34 chili in meno di un anno di detenzione. Un perito incaricato dalla Corte d’Appello consigliava il trasferimento del nisseno in una struttura dell’Amministrazione penitenziaria adeguata alle cure psichiche, ma il nisseno rimase al “Malaspina” dove poi si uccise. Il giorno prima di morire - il 26 dicembre. Di Blasi ingerì una lametta da rasoio e pezzi di vetro degli occhiali da vista. Concrete, insomma, le intenzioni di uccidersi. Nella denuncia, inoltre, i familiari puntano l’indice sulla vigilanza in carcere, parlando di “inadeguatezza sia dell’assistenza medica che della sorveglianza ad opera del personale di Polizia penitenziaria”. Di Blasi era sottoposto alla sorveglianza a vista in una cella “liscia”, senza suppellettili proprio per evitare atti d’autolesionismo. E come mai - si chiedono ancora i suoi familiari - è riuscito a ingoiare la lametta e i frammenti di vetro? Riscontrando un miglioramento di Giuseppe Di Blasi, “la sorveglianza a vista veniva revocata dal dirigente sanitario (del carcere; ndr) lasciando inalterata la grande sorveglianza”, è scritto nell’esposto. Ma alle quattro del pomeriggio del 27 dicembre, Di Blasi annoda il cappio alle sbarre della cella, lasciandosi soffocare. Venezia: la Giunta comunale approva la delibera per l’istituzione del Garante dei detenuti Il Gazzettino, 7 aprile 2012 La figura, che non percepirà alcun compenso, avrà il compito di dare voce alle istanze di tutti i detenuti. Anche i detenuti avranno il loro “difensore civico”, una figura che possa occuparsi dei loro problemi o semplicemente dar loro voce, in una struttura dove il sovraffollamento è una costante e non sempre è possibile - nonostante anche gli sforzi della direzione e del personale di guardia - una vita dignitosa. Ieri la giunta ha approvato la delibera che prevede l’istituzione del Garante per i cittadini a libertà limitata o negata, proposta dal vicesindaco Sandro Simionato e richiesta comunque da tempo da diversi consiglieri comunali. “Ci abbiamo messo più di un anno - spiega Simionato - ma abbiamo preferito incardinare questa figura in un modo più solido e istituzionale. Siamo convinti che il carcere sia un pezzo di città e quindi è sembrato corretto inserire questa figura nello Statuto, che è stato appositamente modificato”. Ora la delibera, che a breve sarà posta all’attenzione delle commissioni e poi del Consiglio comunale. A quel punto si partirà con il bando per la selezione di candidati. Attenzione, però, perché questa non sarà una carica rivolta a coloro che cercano una poltrona e un reddito da un ente pubblico. “Il garante - continua Simionato - dovrà essere una persona animata da forte motivazione e per questo non è previsto un compenso di carattere economico, ma solo un rimborso delle spese sostenute nell’attività di ufficio”. Il compito, dicevamo, sarà quello di dar voce alle istanze dei carcerati per fare in modo che il recupero del detenuto non sia solo un obiettivo sulla carta, ma qualcosa di più. “Ci tengo a precisarlo - conclude - il garante non sarà una specie di cerbero dell’amministrazione comunale. Non c’è contrapposizione con la direzione carceraria, ma solo volontà di collaborazione. È un’iniziativa, insomma, sul solco della civiltà”. Cagliari: mobilitazione per detenuto in sedia a rotelle, per fagli trascorrere la Pasqua in famiglia Redattore Sociale, 7 aprile 2012 Un quarantenne in gravi condizioni di salute è costretto su una sedia a rotelle. Una condizione che secondo i volontari che operano nel carcere di Buoncammino è incompatibile con la detenzione. Fioccano gli appelli per fargli trascorrere a casa la Pasqua. Bloccato in sedia a rotelle, impossibilitato a camminare per via della malattia. L’associazione “Socialismo, diritti e riforme” ha presentato un appello al Tribunale di Sorveglianza perché liberi un detenuto affetto da Aids, almeno per consentirgli di trascorrere a casa le festività della Pasqua. “Le sue condizioni di salute - ha chiarito Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione che da tempo si occupa di detenuti sardi, - non gli permettono nemmeno di camminare, costringendolo a muoversi sulla sedia a rotelle. È in uno strato di prostrazione che gli rende intollerabile la permanenza in un istituto di detenzione”. Oltre all’avvocato del detenuto, un quarantenne, rinchiuso nel carcere cagliaritano di Buoncammino, a sollecitare un’istanza al Tribunale di Sorveglianza sono anche i volontari dell’associazione e di movimenti che si occupano di diritti civili dei detenuti. “Il rischio - ha proseguito - è che una persona in queste condizioni trascorra in carcere anche le festività pasquali”. L’appello del detenuto e rilanciato da “Socialismo, diritti e riforme” si sta diffondendo anche nel web, grazie a Facebook e altri social network, ma per il momento la richiesta non ha avuto seguito. “Si tratta di una persona - ha poi spiegato Caligaris - non più in grado di badare a se stessa. Manifesta un gravissimo stato di malessere non alleviabile con l’impegno dei medici, degli infermieri e nemmeno dalla grande umanità degli Agenti di Polizia Penitenziaria”. Chi ha incontrato il detenuto quarantenne lo ha trovato in condizioni di grande sofferenza, proprio a causa dell’avanzato stadio della malattia. “La permanenza dentro il carcere - hanno chiarito dall’associazione, - appare come una tortura aggiuntiva e immotivata verso una persona che peraltro ha una patologia che mette a serio pericolo la sua prospettiva di vita”. Oltre alla mobilitazione, a chiedere la liberazione dell’uomo è anche l’avvocato difensore Anna Maria Busia che ha presentato istanza di differimento pena già lo scorso mese di febbraio. Ora il detenuto spera di trascorrere a casa la Pasqua. Bari: Sappe; il calciatore Andrea Masiello in cella singola, altri 550 detenuti in gironi danteschi Adnkronos, 7 aprile 2012 Il segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria, Federico Pilagatti, a proposito della detenzione durata 4 giorni del calciatore Andrea Masiello nel penitenziario di Bari-Carrassi, fatto seguito da vicino da molti giornalisti, sottolinea in una nota che anche se provato dall’esperienza, non ha subito l’onta di vivere nemmeno per un minuto nei gironi danteschi quali sono le sezioni detentive del carcere di Bari. Infatti lo stesso era sistemato in stanza singola e con un agente che lo controllava - prosegue - per evitare gesti inconsulti, stesso trattamento che viene riservato ai detenuti vip, vedi zio Michele di Avetrana, etc., quando entrano in un carcere. Per un comune mortale, invece, il panorama cambia completamente poiché nelle stesse ore in cui veniva arrestato il famoso calciatore, altre persone entravano nel carcere di Bari ma venivamo sistemati nei famigerati stanzoni della terza sezione, ove in 20 metri quadrati hanno stipato sino a 25 detenuti. Proprio così come accade per gli hotel a cinque stelle dove per un vip un posto lo si trova sempre, anche nelle carceri italiane e principalmente quelle pugliesi, le più affollate d’Italia, questi personaggi trovano una sistemazione che quantomeno non ne annulla la dignità. Pilagatti sottolinea come “in questi giorni in cui il carcere di Bari era sotto i riflettori” pochi giornali e televisioni hanno parlato degli altri 550 dannati che vivono in condizioni drammatiche, considerato che i posti regolamentari, allo stato, non sono più di 220. Questo dimostra “l’apatia verso un problema che dovrebbe essere al centro dell’attenzione in un cosiddetto paese civile”. Il Sappe, “nonostante ciò continuerà con caparbietà a denunciare la grave situazione che si vive nel carcere di Bari e quelle pugliesi, 4.500 detenuti per 2.350 posti, a causa del sovraffollamento dei detenuti che porterà a condizioni igienico sanitarie più drammatiche soprattutto con l’arrivo del caldo, della carenza della Polizia Penitenziaria che è costretta a lavorare in condizioni preoccupanti, della fatiscenza delle strutture carcerarie. Ora che per la concessione degli arresti domiciliari al calciatore Masiello il grande circo mediatico ha smontato le tende, in attesa del prossimo vip - continua Pilagatti - vorremmo che anche se solo per un attimo, considerato il clima di buonismo pasquale, si pensasse alle altre 550 persone, moltissime in attesa di giudizio, nonché alle centinaia di lavoratori penitenziari che vivono e lavorano in condizioni di grande prostrazione tra l’indifferenza generale”. Parma: con il progetto “Laboratorio gioco”, 980 bambini hanno visitato genitori detenuti Dire, 7 aprile 2012 Sostenere le relazioni familiari e la genitorialità di detenuti del carcere cittadino, garantendo condizioni di pari dignità ai genitori detenuti. È l’obiettivo di “Laboratorio Gioco”, progetto sostenuto dall’amministrazione comunale che, dall’agosto 2010, ha visto 980 presenze di bambini e adolescenti negli spazi messi a disposizione dalla direzione all’interno dell’istituto. Il progetto è attivo tutto l’anno, il martedì e il venerdì, giorni in cui i bambini, provenienti da tutta Italia, possono entrare in carcere per trascorrere del tempo con i familiari. Sono stati previsti ingressi straordinari in occasione della Festa del papà, sia nel 2011 che nel 2012: quest’anno sono stati organizzati due momenti di festa, per due differenti sezioni del carcere, che hanno coinvolto 14 detenuti (più i rispettivi famigliari) e 20 bambini. Gioco, ricreazione, laboratori creativi e socializzazione. Sono le attività proposte all’interno degli spazi del laboratorio che si avvalgono dell’esperienza di educatori professionali e di giovani volontari e sono realizzate grazie alla collaborazione della Polizia Penitenziaria. Le proposte sono differenziate a seconda dell’età dei bambini: per i più piccoli e i preadolescenti sono previsti momenti ludici, lettura di storia, laboratori creativi e socializzazione. I bambini possono trattenersi nel laboratorio sia prima che dopo l’incontro con il genitore, un modo per alleggerire la tensione- soprattutto per i più piccoli- di trovarsi all’interno di un carcere. Oltre al sostegno alla genitorialità, il Comune ha sostenuto anche un laboratorio di scrittura creativa per i detenuti, insieme all’associazione Rinoceronte incatenato e al Forum solidarietà. Da questo progetto è nato un libro dal titolo “Cavalcare l’arcobaleno” che raccoglie storie in carcere per raccontare il carcere e parlarne ai figli. Il progetto dedicato ai figli dei detenuti rientra nel più ampio progetto “Laboratorio”, attivato dal Comune insieme alla Consulta comunale delle associazioni familiari che ha dato vita a Parma ai “Laboratori famiglia” e ai “Laboratori compiti” in diversi quartieri cittadini. I “Laboratori famiglia” sono 3: si tratta di spazi in cui le famiglie possono incontrarsi, conoscersi, fare attività insieme e sostenersi reciprocamente nella gestione della vita quotidiana. I “Laboratori compiti” sono 13 e costituiscono un supporto per le famiglie nelle attività di studio e compiti dei figli. Si tratta di spazi e iniziative che valorizzano il protagonismo delle associazioni e delle famiglie, facendo crescere la solidarietà e le relazioni in famiglia, tra famiglie e nella comunità, promuovendo la partecipazione attiva di tutti i cittadini. Il progetto “Laboratorio Gioco”, il primo realizzato in Italia in un carcere maschile, ha il patrocinio del ministero delle Pari opportunità, e vede la collaborazione oltre che del Comune e degli Istituti penitenziari, anche dell’associazione Per ricominciare, delle Acli e del Forum solidarietà. Milano: Via Crucis del Cardinale Scola nel carcere di Opera La Repubblica, 7 aprile 2012 “Voi state espiando una colpa e ricordate a tutti noi che siamo fuori di qui le nostre colpe”, così il cardinale Scola si è rivolto ai detenuti durante la cerimonia della via Crucis nel carcere di Opera. “Noi liberi - ha proseguito Scola - fatichiamo più di voi a capire quando pecchiamo”. E mentre i carcerati lo hanno invitato a ricordare nelle sue preghiere “i compagni che non ce l’hanno fatta e che si sono tolti la vita”, il cardinale ha auspicato per tutte le persone rinchiuse una rigenerazione attraverso il lavoro e la lettura. Molti i detenuti stranieri che hanno voluto stringergli la mano: “Non credo che né i milanesi, né gli italiani nel loro complesso siano razzisti - ha poi spiegato Scola - ma esiste un difficile processo di meticciato, di mescolanza formatasi così velocemente da rischiare l’esplosione. Bisogna capire le paure reciproche, educando alla tolleranza fin dall’infanzia”. Dopo una breve cerimonia nella cappella dell’istituto di pena , l’arcivescovo ha voluto visitare il reparto di infermeria, soffermandosi nelle singole celle. Spoleto (Pg): Carmelo Musumeci vince premio letterario, ma non ottiene permesso per ritirarlo di Davide Pelanda www.articolotre.com, 7 aprile 2012 Carmelo Musumeci, 57 anni, detenuto dal 1991, ha vinto con il suo romanzo “Gli uomini ombra” (Gabrielli Editori) dove racconta i drammi e le violenze che si consumano dietro le sbarre, ma anche storie di umanità e di solidarietà tra detenuti. “Vorrei che si sapesse che io scrivo, oltre che per passione, per attirare l’attenzione sulle carceri e sulle numerose morti che accadono dentro le loro mura. Vorrei che si sapesse anche che molti scrivono cercando di inventare le trame dei loro romanzi, io invece sono fortunato: a me per scrivere basta ricordare quello che ho vissuto in prima persona o che hanno vissuto i miei compagni”. Esordisce così Carmelo Musumeci, 57 anni, condannato all’ergastolo ostativo e detenuto ininterrottamente dal 1991 senza poter usufruire di permessi premiali nel carcere di Spoleto, vincitore nella sezione dedicata ai libri editi del Premio di poesia, narrativa e fotografia “Alberoandronico”, giunto alla sua quinta edizione. Musumeci ha vinto con il suo romanzo “Gli uomini ombra” (Gabrielli Editori) dove racconta i drammi e le violenze che si consumano dietro le sbarre, ma anche storie di umanità e di solidarietà tra detenuti. Tema, questo della condizione carceraria, di particolare attualità in questo momento nel nostro Paese. Carmelo Musumeci, attraverso la scrittura, ha trovato una strada per ritornare in contatto con il mondo che vive fuori dal carcere, anche se si è reso colpevole di gravissimi reati, e per questo giudicato nella maniera più severa da un Tribunale. Purtroppo però a ritirare il premio il detenuto non c’era, non ha potuto usufruire neanche di uno speciale permesso di necessità: “Il confronto aperto con parte della società civile, in ipotesi presente alla premiazione - si legge in una nota del Tribunale di Sorveglianza di Perugia - e la possibilità di dibattere pubblicamente le idee presenti nell’opera letteraria premiata non risulta precluso dall’assenza fisica del Musumeci alla premiazione, visto che il detenuto potrà ben delegare un familiare a rappresentarlo ed a ritirare il premio previsto”. Il Premio, istituito cinque anni fa, ha confini ampi e spazia dalla poesia all’opera fotografica, dal testo inedito per una canzone d’autore al racconto dedicato ai temi dello sport. Nell’edizione 2011 ben 842 erano i partecipanti, per un totale di circa 1300 opere esaminate. I lavori sono arrivati da tutte le regioni italiane, con in testa il Lazio, la Lombardia e la Toscana. Interessante constatare che il 47 % era la quota femminile, che 22 partecipanti hanno meno di 20 anni e altrettanti hanno invece più di 80 anni. Il più giovane ne ha 10, il meno giovane è nato nel 1915. Inoltre poesie e testi di narrativa sono arrivati anche da Argentina, Albania, Bosnia, Brasile, Cina, Croazia, Egitto, Eritrea, Etiopia, Francia, Germania, India, Romania, Repubblica di San Marino, Somalia, Svezia, Svizzera, Venezuela, Ucraina e Usa. La Giuria era invece composta da critici, scrittori, giornalisti, fotografi ed esponenti del mondo della cultura. A titolo di cronaca, oltre a Musumeci si sono affermati Franco Fiorini di Frosinone (poesia), Cristina De Filippis di Pofi (sillogi), Antonio Bonelli di Casalpusterlengo Lodi (racconti), Antonio Giordano di Palermo (sul tema “la strada, la casa, la città, l’ambiente: vivere e costruire il territorio”), Gianluca Marini di Fonte Nuova (testi per una canzone), Fabio Pasian di Trieste (sport), Francesca D’Onofrio di Roma (mare), Salvatore Cangiani di Sorrento (poesia dialettale) e Raffaele Di Santo di Roma (fotografia). Bahrain: manifestanti in piazza per rilascio attivista in sciopero fame Adnkronos, 7 aprile 2012 Centinaia di persone hanno manifestato oggi a Manama e nel villaggio di Aali in Bahrain per chiedere il rilascio dell’attivista Abdulhadi al-Khawaja detenuto e in sciopero della fame da almeno due mesi. I manifestanti sventolavano bandiere del Bahrain insieme a immagini di Khawaja, di cui scandivano il nome. Il principale movimento di opposizione Al-Wefaq ha detto che la vita dell’attivista è in pericolo e ha chiesto che la comunità internazionale intervenga per il suo rilascio. Khawaja, condannato all’ergastolo insieme ad altri oppositori con l’accusa di aver ordito un complotto per rovesciare la monarchia sunnita lo scorso anno, ha iniziato lo sciopero della fame nella notte tra l’8 e il 9 febbraio. Martedì sua figlia Zainab al-Khawaja è stata arrestata mentre manifestava davanti all’ospedale del ministero degli Interni dove il padre è ricoverato. “In una telefonata al marito, Zainab ha annunciato l’inizio del suo sciopero della fame in solidarietà con il padre”, ha detto il principale gruppo di opposizione sciita.