Vorremmo anche in carcere il nostro medico di base Il Mattino di Padova, 30 aprile 2012 Che si chiami medico curante, o di famiglia, o di base, è proprio lui quello che manca in carcere. Star male in galera spesso significa davvero sentire che la malattia ti ruba la vita e tu non puoi farci niente, e avere paura, paura che non ti credano, che lascino passare troppo tempo prima di prenderti sul serio, che ti portino in ospedale quando ormai il tuo stato di salute è già pesantemente compromesso. Ecco perché le testimonianze delle persone detenute dicono che l’unica garanzia di essere curati decentemente in galera è di non dover andare, quando stai male, dal primo medico che capita ma di avere, in carcere come nella vita libera, un medico che ti conosce e non si porrà mai il problema se crederti o no. La salute dei detenuti e il rispetto della dignità Da alcune testimonianze che ho raccolto nella mia sezione sulla salute, si capisce che manca una organizzazione attenta e le conseguenze purtroppo le continuano a pagare i detenuti. La testimonianza che mi ha colpito di più è stata quella di un detenuto di settant’anni, per il quale era stato accertato che c’era bisogno di un ricovero all’ospedale, ma l’ospedale non dispone della struttura adatta per ricoverare detenuti, ragion per cui hanno preferito far andare il paziente avanti e indietro tutti i giorni col furgone blindato. Poiché tra le prescrizioni dei medici dell’ospedale c’era quella di dover fare ogni giorno una puntura sulla pancia affinché non si coagulasse il sangue, tutte le sere si presentava davanti ai nostri occhi uno spettacolo tra il tragico e il comico. Questa persona anziana e sofferente doveva salire su uno sgabello per farsi fare dall’infermiere la puntura attraverso le sbarre del cancello, con il rischio che a quella età potesse cadere e farsi davvero male. Noi altri occupanti della cella da parte nostra abbiamo fatto presente più volte all’assistente se non fosse il caso di aprire il blindo, ma ci è stato risposto che per aprire il cancello era necessaria un’autorizzazione particolare, che non arrivava mai, quindi si è andati avanti sempre così, per altri quattro mesi, fino a quando non è stato predisposto il trasferimento del malato presso il Centro clinico del carcere di Pisa. Io non so dire di chi sia la responsabilità se i tempi per le visite in carcere sono spesso eterni, ma la responsabilità di far salire una persona anziana e malata su uno sgabello per avere una puntura non si discute che sia del carcere, e di una idea della sicurezza che spesso è in assoluto contrasto con l’umanità e la dignità delle persone. L. G. Poter essere “affidati” a un medico per tutta la durata della carcerazione Qualche settimana fa, Vincenzo, il mio amico e compagno di cella, è stato scarcerato, gli è stata sospesa la pena per incompatibilità con la detenzione a causa di una grave malattia. Dopo una lunga serie di analisi all’ospedale di Padova gli hanno diagnosticato un linfoma molto aggressivo, impossibile da curare in carcere. Ora potrà curarsi in un centro specializzato. Questo tipo di tumore se non lo si individua tempestivamente progredisce in fretta e devasta l’organismo. A Vincenzo il male si era manifestato con dei sintomi che avevano tratto in inganno i diversi medici del carcere, soprattutto perché in troppi lo avevano visitato. Questo fatto non dipende, però, dalla professionalità del medico, giacché posso testimoniare io personalmente che i medici in questo caso, appena compresa la gravità del male che aveva aggredito Vincenzo, hanno dimostrato sollecitudine nel garantirgli l’attenzione necessaria e trasferirlo in una struttura ospedaliera che potesse curarlo in modo adeguato. Ma questo caso ha messo in evidenza le lacune del sistema, perché ancora non è stato realizzato in modo chiaro e completo il trasferimento delle competenze in materia di sanità dal Ministero della Giustizia alle Regioni, iniziato più di dieci anni fa e ancora non completato. Dovrebbe per esempio essere predisposta la Carta dei Servizi sanitari per le persone detenute, e noi vorremmo che fosse finalmente istituita la figura del medico di base che oggi non esiste. Nel nostro caso significherebbe creare il medico di reparto al quale un detenuto dovrebbe essere affidato per tutta la durata della sua permanenza in Istituto. Se si fosse realizzata prima questa figura, non sarebbero potuti sfuggire nemmeno i minimi disturbi di una persona con una patologia grave come è accaduto con Vincenzo. Un medico di solito ha una conoscenza profonda dello stato clinico e anche emotivo dei suoi pazienti, e invece nessuno davvero ti conosce e può occuparsi seriamente della tua salute se, come succede in carcere, una persona non ha mai un “suo” medico di riferimento, ma passa continuamente da un medico all’altro, a seconda di chi trova in servizio quando si segna per una visita. E i medici ospedalieri poi, che si vedono arrivare pazienti a uno stadio così avanzato della malattia, possibile che non chiedano conto al carcere di certi ritardi intollerabili nel predisporre le cure e l’eventuale ricovero del detenuto ammalato? Questa occasione ci offre l’opportunità di lanciare un appello alla società civile e alle autorità competenti, affinché in nome del diritto alla salute si possa realizzare la riforma della sanità penitenziaria in maniera compiuta, per tutelare davvero la salute delle persone detenute, che restano comunque persone, anche se hanno commesso dei reati. Bruno Turci Ho visto persone accompagnate in ospedale troppo tardi Parlare di salute in carcere è una cosa complicata, soprattutto perché la gente in carcere ci muore anche. E non è che, essendo detenuti, ci viene facile dire che non funziona niente e dobbiamo sempre lamentarci per forza, purtroppo questa è una realtà davvero dura: se stati male e hai un pò di fortuna di essere chiamato dal medico senza attendere troppo, la prima cosa da fare è convincerlo che tu detenuto non stai simulando. E ti trovi così a discutere con l’unica persona che dovrebbe darti assistenza, e gli fai capire che veramente stai male, ed è in quel momento che ti rendi conto se davvero il medico ti ha creduto oppure no, moltissime volte va a finire che ti rimanda in cella con due pastiglie di tachipirina, e se non funziona come rimedio, ti rimetti in lista per un’altra visita, non si sa quando e sperando di trovare il medico più attento e sensibile. Io ho visto e ho sentito raccontare parecchi casi di malasanità, con delle situazioni veramente distruttive: detenuti che stavano molto male e hanno perso la vita perché non sono stati creduti, persone che ai primi sintomi di qualcosa di grave non venivano prese in considerazione seriamente. Purtroppo la burocrazia, che in carcere poi si somma ai problemi della sicurezza, la fa da padrona e i tempi per essere curati sono veramente lunghi: ho visto persone accompagnate in ospedale troppo tardi, con patologie che se fossero state prese in tempo non avrebbero portato il paziente a un ricovero in condizioni disperate. Noi pensiamo che ogni detenuto deve essere tenuto sotto controllo medico, anche perché le condizioni di vita in un carcere sovraffollato sono rischiose per la salute, e che finga o no ha diritto a essere visitato, come accade negli ambulatori esterni. Quando succedono vicende, al centro delle quali c’è qualcuno che prima di curarti ti fa capire che non ti crede, ti senti inerme e lasciato a te stesso, abbandonato, non considerato persona, ti affidi magari all’unica speranza che a te nulla possa succedere, ma sai benissimo che non è vero. Noi combattiamo ogni giorno con questa dura realtà, e non dobbiamo però mollare, siamo persone detenute sì ma vive, e tali vogliamo restare. Alain Canzian Giustizia: l’emergenza carceri richiede soluzioni, proporrò una sessione parlamentare specifica di Renato Schifani (Presidente del Senato) Il Giornale, 30 aprile 2012 Ci voleva la sensibilità e la professionalità di Melania Rizzoli, medico e parlamentare del Pdl, per metterci ancora una volta difronte, con un suo libro, alla tragedia senza fine delle carceri italiane. E ci voleva la penna amara e affilata di Vittorio Feltri per ricordarci che, di fronte a uno scandalo così grande, un Paese che si dice civile non abbia saputo trovare altra strada se non quella della negligenza e dell’ipocrisia. Era un’analisi dura, quella che il Giornale ha offerto ieri con ben due pagine ai propri lettori. Un’analisi che per fortuna non cedeva né alla comodità dell’indulgenza né al balsamo assolutorio del pietismo e che perciò mi sento di condividere pienamente. La mia condivisione, debbo pur dirlo, non nasce solo dalla mia antica stima per Melania o dall’apprezzamento per l’asciuttezza con la quale ha voluto segnare le drammatiche pagine del suo “Detenuti”, da oggi in libreria. Nasce anche e soprattutto dall’avere percorso, con le mie costanti e continue visite, lo stesso calvario; dall’avere toccato con mano l’orrore delle celle sovraffollate e dei tanti uomini mortificati. Un orrore inimmaginabile, capace di offendere e fustigare qualsiasi coscienza. Perché un detenuto può essere privato della propria libertà, ma mai della propria dignità; e le iniquità che ciascuno di noi puntualmente riscontra quando varca il cancello di un carcere non sono solo la testimonianza di un degrado e di un abbandono; rappresentano anche un atto di accusa, inquietante e insopprimibile, per tutta la classe dirigente e per tutte le istituzioni democratiche. Non mi stanco mai di ripetere, innanzitutto a me stesso, che la Costituzione prescrive, alla voce “giustizia”, che la pena deve rispondere a un compito rieducativo e che il detenuto, dopo avere espiato la sua condanna, deve essere messo nelle condizioni di reinserirsi a pieno titolo nella società. Le disumane condizioni dell’universo penitenziario strappano di fatto una norma di civiltà voluta dai nostri padri costituenti e trasformano tutti noi in traditori di un precetto sacro e inviolabile. Ha ragione Feltri. Di fronte a una situazione che tende sempre più a incancrenirsi e di fronte al lungo elenco di inadempienze, non certo degno di uno stato di diritto, credo sia venuto il momento di dire basta e di seppellire definitivamente quella ipocrisia che ha consentito finora alla nostra ignavia di buttare la chiave e dimenticare il problema. E per quanto mi riguarda personalmente - anzi, per quanto riguarda l’Istituzione che rappresento - non potrò che proporre ai miei colleghi e alle più alte cariche dello Stato di dedicare all’emergenza carceraria una nuova sessione parlamentare. Posso garantire sin da ora che non sarà un puro e semplice dibattito, nel corso del quale basterà semplicemente fare qualche inutile atto di contrizione. Per quell’occasione, infatti, dovranno essere presenti in aula i rappresentanti più significativi del governo ai quali chiederò non solo di assistere e prendere nota di ogni suggerimento, ma anche di sottoporre al vaglio del Parlamento proposte concrete e provvedimenti immediati. So bene, ed è utile sottolinearlo, che l’emergenza da affrontare è una questione immane e che le carceri, con tutte le ingiustizie e le tribolazioni che vi si ritrovano dentro, sono il punto terminale, e perciò dolente, di tanti altri problemi, altrettanto gravi e tutti da risolvere. Ed è per questo che, secondo me, è necessaria un’intera sessione parlamentare. L’emergenza va affrontata con una visione organica e complessiva di tutte le cause che concorrono alla costante e inarrestabile moltiplicazione della popolazione carceraria. Intanto, va profondamente rivisitato il concetto di pena, che non può e non deve essere fatta soltanto di carcere e galera: le pene alternative sono, e lo potranno essere ancora di più, una conquista irreversibile delle civiltà occidentali. Poi occorre una depenalizzazione intelligente delle nostre leggi, nella convinzione politica e culturale che non tutti i mali della società possono essere risolti per via giudiziaria. E occorre soprattutto il coraggio di rivedere radicalmente l’istituto della carcerazione preventiva: oggi il 42 per cento degli sventurati ammassati dentro le carceri sono detenuti in attesa di giudizio. Al di là delle leggi e delle riforme che potranno - io dico: dovranno - venire dal Parlamento, c’è poi una questione che riguarda direttamente il governo e la sua capacità di stabilire accordi bilaterali con i Paesi, come il Marocco o l’Albania, che contano un altissimo numero di immigrati rinchiusi nelle nostre carceri e che, secondo un dettato del diritto internazionale, dovrebbero invece scontare la pena a casa loro. E c’è pure una questione che riguarda le forze politiche, tutte le forze politiche. Le quali, inutile nasconderlo, non vivono certamente un momento felice: troppe emergenze da risolvere, troppe ostilità da superare. L’emergenza carceraria però, se affrontata bene, può rappresentare per i partiti, in particolare quelli della maggioranza, una irrinunciabile occasione per dimostrare che nella loro agenda non ci sono solo le asprezze delle decisioni economiche ma anche le dimenticate sofferenze degli uomini. La giustizia senza castigo è un’utopia, ma la giustizia senza misericordia è una crudeltà, ricordava San Tommaso d’Aquino. Riportare le carceri alla civiltà della misericordia sarebbe oggi una delle più importanti riforme. Una riforma storica, direi. Giustizia: emergenza carceri; i commenti a seguito dell’intervento di Schifani Adnkronos, 30 aprile 2012 Bondi (Pdl): intervenire e non rassegnarsi “L’appello e la proposta che il presidente del Senato ha indirizzato alle forze politiche, al governo e ai cittadini non deve cadere nel vuoto, ma accolta da tutti con la volontà di passare nel più breve tempo possibile ad un reale mutamento della condizione in cui versano le persone che si trovano detenute e private della propria libertà”. Lo afferma il coordinatore del Pdl Sandro Bondi. “Non dobbiamo rassegnarci, come ci ricorda anche la sensibilità sempre accesa dei Radicali, all’attuale condizione di inumanità e di inciviltà che caratterizza il nostro sistema carcerario, come se si trattasse di una realtà irredimibile e irriformabile”, conclude. Quagliariello (Pdl): maggioranza aderisca ad appello Schifani "L'appello del presidente Schifani e la disponibilita' che egli ha manifestato a nome del Senato a dedicare una nuova sessione parlamentare all'emergenza carceraria, nella quale affrontare con il governo, con una visione complessiva e con proposte concrete, una piaga che allontana il nostro Paese dal solco della Costituzione e dai canoni della civiltà e rende sempre più difficile il lavoro dell'altra faccia della luna, gli uomini e le donne in divisa che nelle carceri lavorano ogni giorno, è un'occasione che le forze politiche non dovrebbero perdere". Lo dichiara Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del PdL al Senato. "Recupero del valore rieducativo della detenzione, pene alternative al carcere, depenalizzazione, ripensamento radicale di una carcerazione preventiva di cui si abusa oltre i limiti del tollerabile, accordi bilaterali con i Paesi di origine dei detenuti immigrati: il presidente Schifani - prosegue - ha individuato con chiarezza i nodi strutturali da affrontare per dare soluzioni durature a un'emergenza che non conosce destra e sinistra ma dovrebbe interpellare la coscienza di tutti. Il gruppo del Pdl - conclude Quagliariello - aderisce all'appello del presidente del Senato, con l'auspicio che anche le altre forze dell'attuale maggioranza lo interpreteranno come importante occasione per dare un senso profondo alla comune responsabilità che ci siamo assunti di fronte al Paese". Tomassini (Pdl): bene Schifani, più attenzione alle persone detenute “Apprezzo pienamente le parole e i giudizi espressi del Presidente del Senato Renato Schifani contenuti nell’intervista odierna rilasciata al quotidiano Il Giornale, ma soprattutto condivido la ferma volontà di sottoporre al vaglio del Parlamento proposte concrete e provvedimenti immediati per un reale mutamento delle condizioni in cui versano le persone detenute in Italia”. Lo afferma in una nota il senatore Antonio Tomassini, commentando la sollecitazione del presidente Schifani sul tema delle carceri. “Una tale iniziativa non può lasciare indifferenti le forze politiche: bisogna al contrario avere il coraggio di affrontare con onestà intellettuale e lontano da demagogie la drammaticità della situazione delle carceri e la sostanziale applicazione distorta della custodia cautelare. Un gesto di alta politica - conclude Tomassini - che mi auguro i colleghi parlamentari non vogliano lasciar cadere nel vuoto”. Di Giovan Paolo (Pd): rafforzare misure alternative “Bisogna rendere davvero effettiva la riforma della sanità penitenziaria, investire di più nel personale e comunque incrementare le misure alternative alla detenzione in carcere. La condizione della sanità aggrava la situazione già difficile di strutture penitenziarie affollate oltre il limite tollerabile, costituendo un pericolo aggiuntivo per la salute dei detenuti e degli operatori”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la Sanità Penitenziaria. “Non è accettabile che un Paese come il nostro che vuole tornare a dire la sua in Europa e nel mondo continui ad avere strutture e leggi contrarie non solo agli standard internazionali - continua Di Giovan Paolo - ma anche al dettato della nostra Costituzione in materia di pena e recupero del cittadino detenuto”. Bonino (Radicali): capisco Schifani, ma leva riforme è amnistia “Capisco perfettamente la dichiarazione del Presidente Schifani, ma mi viene da dirgli che proposte per affrontare la questione carceri ne abbiamo fatte molte, e che l’unica riforma strutturale rimane l’amnistia per la Repubblica che noi proponiamo”. Lo ha detto la senatrice radicale Emma Bonino, nell’intervista del lunedì a Radio radicale. “La dichiarazione di Schifani alla fine ci dà ragione, perché dobbiamo constatare un semplice fatto: l’amnistia non la vuole nessuno, si dice. Ma evidentemente non vogliono nemmeno altro, neppure quelle riforme che Schifani invoca e che non sono state mai. La verità è che la leva da cui partire è proprio l’amnistia, un punto di partenza che eviterebbe la totale paralisi che vediamo oggi”, ha concluso Emma Bonino. Unione Camere Penali: politica accolga monito Schifani “L’iniziativa odierna del presidente del Senato non può essere lasciata cadere, o peggio essere iscritta nel già corposo elenco delle declamazioni senza conseguenze in tema di pena, carceri e custodia cautelare”. Così l’Unione delle Camere penali italiane interviene dopo le dichiarazioni del presidente del Senato, Renato Schifani. All’offerta di una specifica sessione parlamentare, fa notare l’Ucpi, i partiti e il Governo “devono rispondere agendo tempestivamente di conseguenza ed accorpando in un’unica discussione le proposte che già da tempo sono pendenti in Parlamento. Tra queste quelle a suo tempo presentate dal cartello delle associazioni che si occupano del carcere, tra le quali l’Unione delle camere penali, inopinatamente accantonate nei giorni scorsi al momento della discussione di alcune proposte governative di fronte alla commissione Giustizia della Camera”. Per i penalisti è “necessario” che a questa iniziativa “corrisponda anche una assunzione di responsabilità da parte dell’intera classe politica e del governo, con iniziative efficaci, strutturali, sia sul sistema delle pene, sia in punto di misure alternative, sia sulla custodia cautelare”. Il tempo dei moniti senza conseguenti assunzioni di responsabilità, aggiunge l’Ucpi, è “ormai finito poiché la situazione di sostanziale illegalità, sia sul piano costituzionale sia su quello delle convenzioni internazionali, in cui versa il Paese è sotto gli occhi di tutti. Il Governo, in particolare, che più volte ha riconosciuto la drammaticità della situazione delle carceri e la sostanziale applicazione distorta della custodia cautelare - concludono le Camere penali - ha l’obbligo di formulare proposte concrete e non provvedimenti timidi, come quelli avanzati in tema di depenalizzazione, ovvero sostanzialmente inefficaci come il cosiddetto decreto svuota carceri”. Palomba (Idv): Schifani scarica sue colpe. Guai a ferire certezza pena “Chi, come Schifani, è responsabile di aver lasciato marcire il problema carcerario avendo governato per circa nove degli ultimi undici anni, eviti ora di scaricare sul Parlamento le proprie colpe. Sappiamo dove vuole andare a parare: il solito perdonismo, magari attraverso un indulto di cui lui ed il suo partito furono tra i principali promotori nel 2006”. È quanto afferma Federico Palomba, capogruppo Idv in commissione Giustizia alla Camera. “Guai a ferire la certezza della pena ed a mettere di nuovo sulla strada criminali già condannati - aggiunge Palomba. Si può fare una oculata depenalizzazione. Ma chi è condannato sconti la pena, ovviamente in condizioni di pieno rispetto della dignità umana con interventi di ampliamento delle disponibilità carcerarie e di miglioramento delle condizioni di vita fino a standard di rispetto della persona. Ci siamo già dichiarati pronti a votare simili provvedimenti”. “Quanto al proposito di rivedere radicalmente la custodia cautelare - continua Palomba - non è cancellabile il sospetto che la manomissione sarebbe solo a favore dei sempre più numerosi indagati per gravi delitti di aggressione alle risorse pubbliche e ai beni comuni. Se si vogliono carcerazioni preventive più brevi, si mettano finalmente a disposizione dei magistrati strumenti operativi e normativi per far durare meno il processo, e non per impedirne la conclusione o vulnerare la sicurezza. Idv ha riempito le commissioni di proposte serie in tali senso. Proprio per questo non sono mai arrivate alla approvazione”. Sappe: attivare tavoli tecnico-politico su criticità penitenziarie “Esprimiamo vivo apprezzamento alle dichiarazioni riportate oggi dalla stampa del Presidente del Senato della Repubblica Schifani sull’emergenza penitenziaria e sulla volontà dell’Aula di Palazzo Madama di intervenire concretamente per la risoluzione delle criticità penitenziarie. Faccio mio il suo appello a mantenere alta l’attenzione sulle questioni del carcere ed auspico che si attivino presto tavoli politici e tecnici per trovare, insieme, soluzioni al grave problema del sovraffollamento penitenziario. È quanto dichiara Donato Capece, Segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe - il primo e più rappresentativo della Categoria, a commento dell’intervista odierna a Il Giornale del Presidente del Senato della Repubblica Renato Schifani. “Come sigla sindacale abbiamo l’obbligo istituzionale di svolgere un’opera di controllo sulle questioni che ledono i diritti dei nostri iscritti e come Sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo anche l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra ventennale esperienza sul campo. Per questo auspichiamo che si attivi presso il Ministero della Giustizia un tavolo tecnico sulle criticità penitenziarie, presieduto dalla Ministro Severino, che elabori proposte concrete di ripensamento dell’intero sistema dell’esecuzione penale. Va ad esempio ripreso, a nostro avviso, il Decreto sull’utilizzo della Polizia Penitenziaria presso gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe), per il controllo sulle persone che usufruiscono delle misure alternative, anche avvalendosi dei braccialetti elettronici di controllo per il cui utilizzo lo Stato ha recentemente rinnovato il loro impiego. La Polizia Penitenziaria, in virtù anche degli istituendi Ruoli Tecnici, potrebbe facilmente ed efficacemente provvedere alla loro installazione e gestione, con conseguente maggiore e più efficace controllo delle misure alternative, di quanto non succeda oggi. Chiediamo quindi di aprire da subito un tavolo di trattative tecniche con il Ministro Severino e le altre realtà sociali che operano negli Istituti penitenziari, per trovare insieme delle soluzioni condivise e risolvere il grave momento di crisi che il settore penitenziario sta vivendo e che principalmente la Polizia Penitenziaria sta fronteggiando e pagando in termini di condizioni di lavoro gravose e particolarmente stressanti”. Giustizia: Volontè (Ppe) presenta risoluzione su condizione detenuti al Consiglio d’Europa Adnkronos, 30 aprile 2012 “Il nostro rapporto ha origine da un altro rapporto del Consiglio d’Europa, ripreso al Parlamento europeo nella prima metà del 2000, per avviare una indagine seria sulla condizione carceraria nel continente europeo e per elaborare una Convenzione quadro sulla condizione delle carceri nei Paesi del Consiglio d’Europa”. Lo ha spiegato Luca Volontè, capogruppo Ppe in Consiglio D’Europa, intervistato da Radio Radicale sulla sua proposta all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di istituire una Convenzione quadro sulle carceri nei 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa. “Da venerdì è partito un lavoro tra i parlamentari dell’Assemblea del Consiglio d’Europa - ha detto - per riaprire la questione. Ci sarà un anno di lavoro ma penso che, quando arriveremo alla richiesta di una Convenzione, questa Convenzione non potrà che stabilire gli standard minimi delle condizioni di carcere per i detenuti e, nello stesso tempo, stabilire anche delle sanzioni per gli Stati che non rispettano questi standard. Sappiamo che su questi parametri, anche nei Paesi delle democrazie occidentali, ci sono situazioni se non simili a quella italiana sicuramente gravi”, ha concluso Volontè. Giustizia: interrogazione di Farina (Pdl) per tutela condizioni detenute in gravidanza Ansa, 30 aprile 2012 Renato Farina (Pdl) ha presentato oggi un’interrogazione parlamentare su quanto rilevato dalle visite effettuate in carcere ex art. 67 O.P. e precisamente lo scorso 28 aprile a San Vittore “dove ho potuto verificare - dichiara Farina - che due donne in stato di gravidanza anche avanzata sono detenute in condizioni chiaramente non idonee al loro stato. E questo non certo per responsabilità dell’eccellente personale del carcere”. “A questo riguardo invece - prosegue il Deputato - la recente legge 21 aprile 2011 n. 62, recante modifiche al Cpp e contenente disposizioni per la tutela delle detenute madri, ha stabilito che, in assenza di particolari e rilevanti esigenze cautelari, il regime di detenzione carceraria non si addice alle donne in stato di gravidanza o con figli conviventi fino ai tre anni”. “Ritengo che - conclude Renato Farina - se si difendono con tanta veemenza i diritti degli animali, debbano essere altrettanto difesi e tutelati i diritti della donna nel prezioso periodo della maternità”. Giustizia: ancora tensioni nelle carceri minorili, appello del Sappe al Ministro Severino Comunicato stampa, 30 aprile 2012 “La situazione penitenziaria minorile è sempre più incandescente. Ogni giorno registriamo segnali di continue tensioni. A pochi giorni dalla sommossa nel carcere minorile di Roma, ieri in quella di Firenze, al termine dell’ora d’aria intorno alle ore 18/00 ed al momento della risalita dai cortili passeggi, al riparo delle scale che consentono l’accesso alle sezioni detentive e in una zona interamente affrancata da telecamere a circuito chiuso, i detenuti hanno dato vita ad una vera e propria rissa. Tutta la polizia penitenziaria presente in istituto - 3 poliziotti penitenziari appena - è dovuta accorrere per evitare il peggio ma un sovrintendente di turno M.C. è dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso dopo aver ricevuto un fendente al viso. Prezioso e fondamentale è stato, al riguardo, l’operato dei pochi poliziotti penitenziari del carcere minorile fiorentino che hanno scongiurato che potessero avvenire più gravi episodi. Ai nostri valorosi colleghi va tutta la solidarietà del Sappe. Ma, ribadisco, tutta la mia sincera preoccupazione se le tensioni che già da molto tempo si registrano nei penitenziari per adulti iniziano a verificarsi anche nelle strutture detentive per minori. Questo non è certo un segnale positivo”. Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. Capece sottolinea “che oggi abbiamo oltre 500 minorenni detenuti negli Istituti di Pena per minori italiani. Quella della detenzione minorile è una specificità della giustizia di cui si parla, a torto, sempre troppo poco. Eppure è sempre più frequente l’utilizzo dei minori coinvolti in attività criminose. Le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, personale specializzato nel trattamento dei detenuti minorenni, fanno davvero un encomiabile lavoro con una utenza particolarmente difficile e con molte criticità. Ma bisogna intervenire concretamente. Partendo da una rifondazione complessiva del mondo della giustizia minorile, oggi peraltro senza un Capo Dipartimento e già questa è una grave anomalia. Ci si deve attivare perché anche nella Giustizia Minorile vengano assegnati stabilmente in servizio Commissari della Polizia Penitenziaria in grado di conciliare al meglio le esigenze di sicurezza a quella rieducative. Ci sono situazioni che davvero hanno dell’incredibile: come a Firenze, ad esempio, dove mancano agenti e i turni di servizio sono a perenne rischio. Mentre in Puglia, il carcere minorile di Lecce è chiuso da circa 5 anni ma restano in servizio circa 30 persone tra poliziotti penitenziari e personale amministrativo, educatori ed il Centro di prima accoglienza di Taranto con una decina di persone tra poliziotti penitenziari e personale amministrativo che in un anno riceve pochissimi ragazzi che sono trattenuti per non più di 48 ore, mentre nelle carceri per adulti delle due città la carenza di Poliziotti Penitenziari e personale amministrativo costringe a turni di lavoro massacranti. Mi appello alla Ministro della Giustizia Severino perché non si rinvii ulteriormente un tavolo di confronto sulla Giustizia minorile”. Giustizia: Perduca (Radicali); condizione carceri minorili necessita di attenzione particolare Ansa, 30 aprile 2012 “La rissa di ieri al carcere minorile di Firenze di ieri, che fa seguito all’incendio di una stanza avvenuto all’inizio dell’anno, e che fa seguito ai fatti del carcere minorile di Roma di qualche giorno fa, è un segnale preoccupante da non sottovalutare”. È quanto afferma in una dichiarazione il Senatore Marco Perduca, co-vicepresidente del Senato del Partito Radicale. “Nello stato di illegalità costituzionale in cui versano da anni le nostre carceri il circuito dei carceri minorili, dove ormai esiste una consistente quota dei cosiddetti giovani adulti, necessita di attenzioni particolari perché‚ è un luogo dove è ancora più evidente il fallimento delle politiche trattamentali per il reinserimento sociale dei detenuti. Il caso del minorile Meucci di Firenze, che invece si distingue per la qualità e quantità di attività che si svolgono è grave - sottolinea Perduca - dal punto di vista della carenza degli agenti che, nei fine settimana o in occasione di festività, si contano sulle dita di una mano. Il carcere non grande, ma non è possibile che una ventina di ragazzi con varie problematiche e di età così diverse possano essere controllati da tre o cinque agenti” Giustizia: l’Italia vanta il più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo… di Lucia Brischetto La Sicilia, 30 aprile 2012 L’Italia vanta il più alto numero di condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo per violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Condanne divenute più frequenti dopo l’introduzione nell’art. 111 della Costituzione del principio della “ragionevole durata” del processo. Occorre pertanto non solo ampliare il ricorso alle misure alternative alla detenzione prevedendo norme che ne favoriscano l’applicazione, ma anche pensare di riservare il carcere solo ai reati di particolare gravità. Riferiscono gli alti funzionari della Giustizia penitenziaria che nel contempo occorre potenziare anche i controlli sull’esecuzione delle misure alternative alla detenzione con personale competente che conosca la materia dell’esecuzione della pena e dell’ordinamento penitenziario tutto, garantendo così la sicurezza dei cittadini e la certezza della pena. Si grida da tutte le parti che occorre un modello nuovo di esecuzione della pena in carcere, un modello che vada nella direzione della responsabilizzazione del detenuto e non solo del suo contenimento, ma un modello nel quale il piano di trattamento trovi la principale risorsa nel lavoro penitenziario dentro e fuori l’istituto. E ovviamente tutto questo non può realizzarsi in istituti fatiscenti e decadenti, in istituti sovraffollati e maleodoranti, in luoghi dove appena entri, senza sapere quanto tempo ci resterai, ti passa la voglia di vivere. La marcia per l’amnistia di Roma che ha visto la presenza di personaggi di altissimo profilo impegnati sui grandi temi della legalità e della giustizia, ha “gridato” ancora una volta l’impossibilità di potere garantire ai detenuti quei diritti che l’ordinamento penitenziario proclama. L’80% degli istituti penitenziari in Italia sono strutture fatiscenti mai ristrutturate. I diritti degli ultimi in questo stato di cose non possono sicuramente essere garantiti. Anche la società civile, urgentemente deve impegnarsi a promuovere una cultura del carcere, un sostegno solidale per una reale affermazione dei principi di legalità e di giustizia, una promozione che non proclami solo vuote formule di carattere propagandistico come spesso sta accadendo. C’è in atto una schizofrenica e incoerente azione politica, partitica e amministrativa che non può sentirsi accreditata come referente e garante di legalità degli Istituti penitenziari se è solo propagandistica! Serve intervenire sull’intero sistema e pertanto occorre una sorta di competenza che concorra ad una depenalizzazione importante (non si possono assecondare e nemmeno sottovalutare gli umori dell’opinione pubblica spaventata e disorientata da gruppi di interesse che parlano e non “fanno”). Il gruppo “marcia su Roma” ha gridato che il carcere è troppo costoso e deve costituire l’estrema ratio, deve essere il rimedio riservato solamente ai reati molto gravi e non il farmaco venefico spacciato come curativo di malattie sociali che imporrebbero ben altri interventi di carattere sociale e sistemico. Occorre che la custodia cautelare in carcere sia applicata solo quando si appalesi indispensabile. Secondo i dati del ministero della Giustizia, alla fine del mese di marzo scorso le persone detenute nelle carceri italiane erano oltre 66mila e di queste 27mila senza una sentenza di condanna definitiva e ben 13.493 in attesa del giudizio di primo grado! È urgente e necessaria la riforma del processo penale perché una percentuale dei detenuti ancora imputati e quindi presumibilmente innocenti è altissima, pari al 43%. Utilissimo sarebbe un nuovo modello di esecuzione della pena in carcere che vada nella direzione della responsabilizzazione del detenuto e della sua famiglia, un modello nel quale il trattamento trovi la principale risorsa nel lavoro dentro o fuori dell’istituto. È stupefacente il fatto che proprio gli operatori penitenziari, e solo loro, debbono vivere quotidianamente con sofferenza l’impossibilità di garantire quei diritti di dignitosa sopravvivenza che non possono essere rimandati perché utili ed essenziali per la persona singola per la sua famiglia e per la società tutta. Un detenuto un giorno ebbe a dirmi: “Sono contento di essere qui perché qui, bene o male, in cucina, come scopino, come imbianchino e porta pacchi, sto lavorando, mentre fuori sarei a spasso!”. Giustizia: Granata (Fli); nell’Italia delle mafie paradossale carcerazione animalisti di Brescia Agenparl, 30 aprile 2012 “Con il massimo rispetto per magistratura e forze dell’ordine credo sia paradossale, nell’Italia delle mafie e della corruzione, la misura della carcerazione disposta per gli animalisti che hanno liberato i cuccioli di Green Hill”. Lo dichiara il vice coordinatore di Futuro e Libertà, Fabio Granata. “Il Senato chiuda definitamente la struttura e il Parlamento sancisca lo stop definitivo alla vivisezione approvando la proposta di legge di Futuro e Libertà. Soprattutto non copriamoci di ridicolo con una misura preventiva francamente incomprensibile anche alla luce della personalità dei cittadini arrestati e dei fatti concreti accaduti”, conclude Granata. Giustizia: processo per la morte di Stefano Cucchi; assolto funzionario provveditorato carceri Agi, 30 aprile 2012 Per la morte di Stefano Cucchi lui non c’entra. I giudici della corte d’appello di Roma hanno fatto cadere tutte le accuse nei confronti di Claudio Marchiandi, dirigente del Prap-provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, che all’esito del rito abbreviato, nel gennaio 2011, era stato condannato a 2 anni di reclusione. Il pg nel febbraio scorso aveva chiesto la conferma della condanna per falso, favoreggiamento e l’assoluzione per l’imputazione di abuso di ufficio. I giudici, con presidente Laura Cerini, hanno invece accolto di fatto le richieste e la ricostruzione offerta dal difensore di Marchiandi, l’avvocato Oliviero De Carolis. L’assoluzione è stata completa, “perché il fatto non sussiste”. Parte civile si era costituita, oltre alla famiglia di Cucchi, anche il Comune di Roma. Secondo l’impostazione degli inquirenti il ruolo giocato da Marchiandi era quello di avere concorso in qualche modo alla falsa rappresentazione delle condizioni di salute di Stefano Cucchi e farlo così ricoverare nella sezione speciale dell’ospedale Sandro Pertini, nel quale poi il giovane morì nell’ottobre del 2009. Il processo principale per la morte di Stefano Cucchi è in corso davanti alla III corte d’assise dove sono imputate 12 persone. Si tratta in particolare di 6 medici, di 3 infermieri e di 3 agenti della polizia penitenziaria. È stata disposta una super perizia per accertare le cause del decesso. “Rispettiamo la decisione dei giudici perché per come era stata impostata l’accusa non c’erano i presupposti per giungere ad una decisione diversa. I nostri legali ci avevano preparato a questa assoluzione. Ce l’aspettavamo quindi, ma restiamo comunque molto amareggiati”. Così ha detto il papà di Stefano Cucchi, Giovanni, dopo la sentenza della corte d’appello con la quale è stato assolto un dirigente del Prap, Claudio Marchiandi. “L’impostazione che la Procura ha dato a questa vicenda ci stanno portando al massacro, stanno uccidendo di nuovo Stefano. Adesso speriamo che nel processo principale la superperizia che sarà disposta sia equa e che porti ad una verità che fino ad oggi non è arrivata”, ha continuato il signor Giovanni. Il difensore di Marchiandi, l’avvocato Oliviero De Carolis, si è detto soddisfatto della decisione e poi ha aggiunto: “Sarebbe comunque importante conoscere la verità. Lo dobbiamo a Stefano Cucchi e speriamo che sulla sua morte sia fatta luce”. Ilaria Cucchi: i pm ci portano al massacro "I pm ci stanno portando al massacro come il nostro avvocato aveva previsto un anno fa. Questo accade quando si vogliono dare contentini e non verita'". Lo afferma Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, commentando l'assoluzione in Corte di Appello, perchè il fatto non sussiste, per il funzionario del Prap (Provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria) Claudio Marchiandi, che con il rito abbreviato era stato condannato in primo grado nell'ambito del processo per la morte del ragazzo. "Noi abbiamo sperato nella conferma della condanna di colui che ha fatto in modo che Stefano, ferito, venisse nascosto agli occhi di tutti e soprattutto ai nostri occhi, facendolo ricoverare al Pertini - afferma Ilaria Cucchi - Ma il nostro avvocato ci aveva avvisati. All'udienza preliminare si è rivolto ai pubblici ministeri dicendo queste precise parole "cambiate il capo d'imputazione. La famiglia Cucchi non vuole contentini ma solo verità e giustizia". Infine si era girato verso di loro dicendo "non portateci al massacro. Vedete tutti questi valenti avvocati? Ci faranno a pezzi con questo capo d'imputazione". "Noi siamo normali cittadini che pagano le tasse e rispettano la legge. Abbiamo chiesto alla procura di avere copia della fonoregistrazione di quell'intervento per farlo ascoltare ma ci è stata inspiegabilmente negata - prosegue - Comprendiamo questa sentenza che era stata prevista anche dal nostro avvocato". "Quello che non comprendiamo è l'atteggiamento della procura di Roma - sottolinea Ilaria Cucchi - Tutti possono sbagliare o accorgersi che le proprie idee o convinzioni vengano superate o corrette dagli eventi processuali e non. Ma perchè questo per principio non 'devè mai accadere ai pm?". "Perchè noi dobbiamo assistere ad alleanze strane quanto incomprensibili tra pm e difese a seconda dei momenti e degli accadimenti, ma comunque sempre contro di noi? Attendiamo con fiducia la nomina dei periti del processo principale - prosegue - Quando ne conosceremo l'identita' capiremo meglio cio' che dalla giustizia ci verra' riservato. Immagino che ora, come le vittime di piazza della Loggia, dovremmo anche noi pagare le spese processuali. Ma i pm? Rispettiamo questa sentenza". "Lo spettacolo a cui assistiamo quando i pm fanno comunella con gli avvocati delle difese è indecoroso - continua - E poi si oppongono alle domande pertinenti del nostro avvocato che potrebbero far emergere la verita'. E tutto questo solo per portare avanti la questione di principio piuttosto che ammettere di aver sbagliato tutto. Imputati sbagliati. Capi d' imputazione sbagliati. E nessun rispetto per la morte di Stefano, per il nostro dolore e per la verita'. Spero che i giudici porranno fine a tutto questo". Lettere: gli ergastolani di Spoleto scrivono agli studenti dei Licei di Foligno e Assisi Adnkronos, 30 aprile 2012 “Cari ragazzi, ringraziamo voi e i vostri insegnanti per la visita che ci avete fatto. Molti di noi non vedevano dei bei visi così giovani e così tanti ragazzi da dieci, venti e, in alcuni casi, da trent’ anni. I vostri sorrisi hanno illuminato un po’ i nostri cuori alla vita e alla speranza che forse un giorno grazie anche a voi il mondo sarà un po’ migliore di adesso”. Comincia così la lettera aperta degli “ergastolani in lotta per la vita” di Spoleto agli studenti del Liceo di Foligno e di Assisi che si sono recati in visita nel carcere della città umbra. “Non vi nascondiamo - scrivono gli ergastolani che si autodefiniscono “Uomini Ombra” - che quando ci hanno detto della vostra visita molti di noi avevano paura di incontrarvi. Eravamo convinti che con tutte le cose brutte che leggete nei giornali e che sentite di noi alla televisione ci avreste guardato come dei mostri, perché nel mondo dei liberi ci vedono come ci vogliono vedere: colpevoli e cattivi per sempre. Invece è stato bellissimo avere i vostri occhi addosso perché ci avete guardato come esseri umani e per molti di noi questo non succedeva da tanto tempo. Cari ragazzi, raccontate questo incontro con noi “cattivi” ai vostri amici e amiche e dite che la pena, qualsiasi pena, deve servire a migliorare e non a distruggere chi la subisce. E poi domandate loro come fa una pena che non finisce mai a migliorare una persona? Dite ai vostri genitori che quando la società perdona un ‘cattivò questo si sente veramente sconfitto. Al contrario, quando lo odiano, lo trattano male come una belva chiusa in una gabbia e non gli dicono quando finirà la sua pena, questo si sentirà più forte, invincibile e migliore degli altri che lo tengono murato vivo per tutta la vita”. “Cari ragazzi, dite alle persone che incontrate che i “cattivi” cambiano e migliorano di più quando sono perdonati e amati dalla società che non quando sono abbandonati a se stessi, perché il male non porta mai al bene, anche quando è commesso in nome della giustizia - aggiungono - Cari ragazzi, venite presto a trovarci di nuovo o invitate ufficialmente qualcuno di noi a venire a parlare nelle vostre scuole. E cercate di realizzare i vostri sogni, anche quelli che non abbiamo potuto realizzare noi alla vostra età. Gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto v’inviano fra le sbarre il loro migliore sorriso”. Lettere: il male va compreso senza essere giustificato di don Marco Pozza Il Mattino di Padova, 30 aprile 2012 Il loro paese è il “parcheggio” con la più alta densità di popolazione di Padova: in un pugno di metri quadrati sono parcheggiati anche in 3. L’ultima volta che hanno fatto notizia è stato perché pure loro fanno la “Raccolta Differenziata”. È il “parcheggio della sicurezza”, il bocconcino ghiotto quando s’avvicinano le elezioni. Perché basta assicurare che il pedofilo è stato arrestato, che Salvo Riina tornerà a casa sua, che i ladri della banda fra poco finiranno in galera per far vivere sonni pacifici alla città di Padova. Qualcuno inizia a farsi giustizia da solo: segno che il carcere non tranquillizza come si vorrebbe far credere. Anche perché dalle sbarre del carcere Due Palazzi la cronaca quotidiana cittadina offrirebbe spunti interessanti di lettura. L’arresto di un pedofilo Viaggiava per un patronato del centro e adescava i bambini con le caramelle: il solito cliché che ci raccontava pure la nonna. Ma non basta aver ammanettato il pedofilo per risolvere il problema della tutela dell’infanzia a Padova: il male va compreso, analizzato, affrontato per poter diventare occasione di riflessione per un’intera comunità. È darsi da fare con tutte le forze per cercare di salvare Abele senza per forza dover ammazzare Caino, perché se chi sbaglia si sentirà accolto, magari abbandonerà le armi e sarà una soddisfazione per un’intera comunità. Il più delle volte è la paura che acceca il cuore dell’uomo, è quel senso di insicurezza che non ci fa più sentire sicuri nemmeno a casa nostra, è quel desiderio mai velato di sapere che chi ha compiuto un delitto deve marcire nel ventre di una patria galera. Senza chiederci chi si prenderà cura di lui perché dietro un delitto c’è sempre una storia ferita: nei sentimenti, negli affetti, nei sogni. Dietro certi reati qualche volta è nascosto l’essere stato vittima prima che carnefice. La caccia ad un pedofilo - sia esso reale o semplicemente portatore di un sospetto malevolo - non è una vittoria di civiltà: chi lavora dentro le galere apprende ben presto che esistono gli uomini malvagi. Ma ancor prima tocca con mano che gli uomini infelici sono molti di più; e sono loro a creare quel sovraffollamento dietro il quale nascondiamo tutta la nostra incapacità di guardare in faccia la realtà. Chi stupra, chi fa del male ad un bambino, chi violenta una donna per tanti è difficile da guardare negli occhi: eppure gettare lo sguardo dentro quell’abisso è l’ultima chance che abbiamo in mano per capire certi passaggi della vita dell’uomo. Un caso di pedofilia è un “gancio in mezzo al mare” della disperazione: per insegnare a denunciare i soprusi subiti, per togliere quel senso di vergogna che ancor oggi attanaglia troppe persone che sono state vittime, per fare luce su una piaga che si potrà conoscere nella misura in cui ci sarà il desiderio e la pazienza di confrontarci. Per sensibilizzare i bambini attraverso una cultura della prevenzione. Ma occorre essere in tanti a farlo perché il lavorare sulla strada dove vita e morte ogni giorno s’affrontano chiede la forza di un gruppo per non inghiottire la buona volontà di chi si trova da solo ad agire. Quando “Caino” esce dalle sbarre La vita in galera è questione di una data: se c’è, la speranza rimane accesa. Quando non c’è, la speranza vacilla tremendamente: non è per niente facile assuefarsi ad una morte che s’avvicina giorno dopo giorno senza più possibilità d’uscita. Ma anche per chi un giorno uscirà, la paura è tanta di non essere accolto. Salvo Riina a Padova non lo vogliono: basta il gesto semplice d’accoglienza di una donna che da anni lotta sulla frontiera per fare della sicurezza la più becera campagna politica. Eppure una chance andrebbe data a tutti, se non altro per lasciare aperta la porta di una possibile redenzione. La mafia a Padova non la porta lui: le infiltrazioni esistono da tempo perché la mafia prima di essere un’associazione è uno stile già in auge, anche in ambienti insospettabili: Salvo Riina arriverebbe in ritardo. Lui conosce Padova e il suo carcere: ha scontato la pena, ha conosciuto il volto bello del volontariato cittadino, ha accettato di re-iniziare una nuova vita, stavolta alla luce del sole. E la sua storia diventa l’emblema di mille altre storie perché un giorno il detenuto uscirà dalle sbarre: non sono rifiuti o bestie da tenere dentro le gabbie a marcire. A Gubbio frate Francesco fece un doppio lavoro: il più semplice fu quello d’ammansire il lupo. Il più complicato, probabilmente, quello di convincere i cittadini di Gubbio che il lupo non avrebbe più fatto paura. Se nel periodo della detenzione anche una città non accetta di rimettersi in gioco, di rielaborare un crimine, di tentare l’attraversata di questi deserti di disperazione, la sicurezza rimarrà solo un prevedibile slogan elettorale. Durante una trasmissione televisiva, Franco - un ergastolano di vecchia data - ebbe il coraggio di dire: “capisco chi dice di gettare le chiavi delle nostre celle in mare. Li capisco, ma non è così che si recupera un uomo (…) Rimanendo a stretto contatto con il bene, mi sono reso conto del male che ho fatto e ho preso le distanze da esso”. Franco: ma anche Filippo, Andrea, Marino e Silvano, Tommaso e Battista. Sono una schiera coloro che rimanendo a contatto con il bene si convincono della loro vecchia infelicità e vogliono ripartire. Sottovoce, senza clamore, rimettendo in ordine il loro alfabeto: chiedono una chance per dimostrare d’essere diventati forse uomini diversi, non certamente i migliori uomini del mondo ma, per quanto concesso da un regime poco rieducativo, i migliori uomini possibili. Uomini che non vogliono più scambiare l’abat-jour con la luce del sole. Le celle della disperazione In carcere non ci sono solo omicidi di vecchia data o volti di mostri “creati” ad hoc per debellare la paura. C’è anche gente della porta accanto perché in carcere si entra anche per disperazione: vittime del gioco d’azzardo, “ladri di polli” costretti all’illegalità per non morire di fame, spacciatori di piccolo cabotaggio, stimati professionisti caduti nelle maglie dell’usura e magari divenuti usurai. In carcere è ben visibile il labile confine tra legalità e illegalità, tra giustizia e malvagità, tra angoscia e disperazione. Fare del carcere un tabù oggi non è più possibile, forse non è nemmeno giusto: perché l’errore è accovacciato di fronte ad ogni porta. Perché un bambino/a che sperimenta la carcerazione di papà non deve più vergognarsi di andare a scuola o di affrontare gli amici, perché la sposa e la fidanzata di un detenuto non merita d’essere considerata la strega del quartiere. Perché la mamma di un brigante è pur sempre una donna dai sentimenti accentuati e materni che mai rinnegherà l’amore per il frutto del suo grembo. Altra cosa è il delitto. Sono Chiesa pure loro E ti chiedono di Dio Il Papa per loro ha fatto un gesto d’insopportabile emozione: è entrato a Rebibbia (e simbolicamente in tutte le carceri d’Italia) e ha parlato loro col cuore. Senza discorsi scritti, a braccio, scrutandoli nel volto e carpendo la nostalgia nelle loro frasi sgrammaticate. Ma il Papa è solo, tremendamente solo in certi gesti. Nella diocesi di Padova il carcere è una parrocchia di modeste dimensioni, sono papà di bambini che passano per gli oratori, mariti di qualche donna impegnata nelle pulizie della chiesa, anime che chiedono dei loro parroci. A sommare le loro storie esce la sintesi più bella del mistero dell’iniquità e della salvezza, dei fili del bene che s’intrecciano inevitabilmente coi fili del male: come chiesa non possiamo permetterci di considerarli alla stregua di come li considera il mondo: “Ero visitato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36). E pure il contrario. Il mattino di Pasqua uno di loro ha scritto un biglietto per i suoi due compagni di cella: “La fede non è una bandiera da portarsi in gloria, ma una candela accesa che si porta in mano tra pioggia e vento in una notte d’inverno” (N.Ginzburg). Conoscerli, stringere loro le mani, scrivere loro una lettera: magari non fanno parte di nessuna associazione cattolica, eppure nei loro sguardi c’è sete di Dio, c’è voglia di riscatto, c’è bisogno che qualcuno li aiuti nel riconciliarsi con i parenti delle loro vittime. Nei loro sguardi c’è nostalgia di Dio. Qui dentro la chiesa avrebbe in mano la sfida più bella: spostare il reato e guardare la persona per risalire assieme con lei alle radici di una storia che il più delle volte ha compromesso e definito il loro presente. Le visite di routine non bastano per far sentire loro Dio “di casa”. Si tratta di incastrare le loro storie nel piano pastorale della Diocesi, di dare loro voce nelle migliaia di congreghe vicariali, di aprire loro la porta nel Consiglio presbiterale, di agganciare i loro sguardi nei mille volantini diocesani: non è fare di loro dei privilegiati ma mostrare una Chiesa che sta con i fatti dalla parte dei poveri e degli erranti. E che dalla profezia del Papa sa lasciarsi interpellare. Nel cuore di Padova da oltre 800 anni campeggia l’Università, bottega di cultura, di elaborazione del pensiero e di ricerca. Il Battistero è sfoggio d’arte e di tradizione. Forse rimane da compiere un piccolo passo: cercare di comprendere il male senza mai giustificarlo. Perché evitare di analizzarlo è sembrare come quei bambini che chiudono gli occhi per non farsi vedere. Molise: braccialetto elettronico per detenuti, a Campobasso un “caso” da 700mila euro www.primonumero.it, 30 aprile 2012 La storia dell’indiano ai domiciliari nella sua casa di Baranello al centro dell’Arena di Massimo Giletti. Su RaiUno il Molise come esempio di utilizzo di uno strumento diffuso in Francia e in Inghilterra e assolutamente snobbato in questo Paese. Eppure lo Stato continua a rinnovare costosissime convenzioni. Il giudice del tribunale di Campobasso, Vincenzo Di Giacomo, tra i rarissimi innovatori: è lui che ha inflitto la pena moderna allo straniero. Di sicuro per il giovane indiano è soltanto un odioso strumento di costrizione. Allacciato alla caviglia, sul calzino di spugna bianco, quel braccialetto verifica, attraverso la linea telefonica, in ogni momento della giornata che lui sconti la sua pena detentiva in casa. Ma chissà se l’uomo ai domiciliari a Baranello, comune alle porte di Campobasso, non tratterebbe con maggior riguardo quell’aggeggio - che porta il nome di ornamento, ma che ornamento non è - se sapesse che costa ben 700 mila euro. A dispetto della mancata diffusione del braccialetto elettronico - soluzione approdata in Italia come sperimentazione nel 2001 e mai diventata vero e proprio sistema - i ministeri italiani di Giustizia e Interno continuano a stipulare convenzioni con la Telecom. Risultato disastroso: in dieci anni appena 14 persone condannate all’arresto sono state portate fuori dalle carceri, senza essere rimesse in libertà, controllate appunto dal braccialetto. Nella nota trasmissione domenicale questo si denuncia. E ancora i costi lievitati di un’operazione nata come soluzione al sovraffollamento delle carcere italiane, nei fatti mai applicata eppure costantemente sostenuta dallo Stato. In Francia e in Inghilterra è una pratica molto diffusa. In Italia una rarità e il Molise è i pochi posti che fanno eccezione. Il giudice del Tribunale di Campobasso, Vincenzo Di Giacomo, ha messo in pratica la sperimentazione con l’indiano, assistito dall’avvocato molisano Giuseppe de Rubertis. Lo straniero sconta la pena a casa, monitorato dal braccialetto, e il Molise così diventa per una volta davvero europeo. Di Giacomo dunque è tra i pochissimi magistrati italiani che hanno provato a testare, dimostrando di crederci, l’efficacia dello strumento, la cui fase di sperimentazione è partita in undici anni fa e poi è assurta a sistema, non praticato però. A dispetto della mancata risposta da parte di chi stabilisce la punizione per chi ha violato la legge, l’autorità giudiziaria, lo Stato ha continuato a rinnovare costosissime convenzioni. L’ultima, viene detto e ripetuto all’Arena di Giletti - l’ha stipulata poco tempo fa proprio il ministro dell’Interno Cancellieri. La realtà che emerge - in termini di spesa pubblica - è inquietante. 110 milioni nel totale. Nella puntata di Giletti trasmessa domenica 29 aprile si ironizza: il braccialetto elettronico molto più costoso di un prezioso bracciale del gioielliere più quotato di Roma. 700mila euro è la cifra che ripete, incredulo, il conduttore. Provare a capire le ragioni di uno sperpero scandaloso è naturale. E a tentare una giustificazione del mancato utilizzo è stato direttamente il giudice di Di Giacomo. Ai microfoni di RaiUno il magistrato molisano sostiene che non ci sarebbero “fatti addebitabili” ai suoi colleghi togati, per questo uso “evidentemente - riconosce anche Di Giacomo, limitato dello strumento”. A suo avviso la colpa sarebbe un’altra: “L’uso sarebbe stato più esteso se l’informazione fosse stata maggiore”. Chissà. Il problema resta però in un’Italia stanca di soldi che non ci sono per le persone comuni e sempre più stremata da scandali per cattiva amministrazione. In dieci anni sono stati spesi 110 milioni per un sistema di controllo sostitutivo delle carceri nei fatti completamente snobbato. Ad eccezione di pochissimi giudici come il giudice di Campobasso. “Il costo del braccialetto - riflette Di Giacomo nell’intervista tivvù -, deve essere ridotto perché evidentemente a costi così alti a sfoltire le carceri non ci riusciremo mai. Questo tipo di braccialetto con il sistema gsm o con il sistema gps equivale a un navigatore satellitare di un’automobile. Quanto costa un tom tom?”, chiede polemicamente il giudice. Attorno ai cento euro. Cifra assai distante dai gioielli di Roma e dal braccialetto che controlla i passi di un detenuto in casa sua. A Baranello l’indiano in fondo deve pensarla così. Ravenna: detenuti impiegati in una azione a favore della collettività, per una giustizia riparativa www.ravennanotizie.it, 30 aprile 2012 Si sta avviando alla conclusione il progetto “Onda su onda”, promosso dal Comune in collaborazione con l’Azienda servizi alla persona Ravenna Cervia e Russi, la casa circondariale, l’Ufficio di esecuzione penale esterna, il Corpo forestale dello Stato, la cooperativa sociale “La Pieve”. Il progetto, di cui questa mattina è stato fatto un bilancio nel corso di una conferenza stampa in municipio, è fondato sul concetto di giustizia riparativa (ovvero di una giustizia che assume il compito di realizzare una sorta di riparazione del danno arrecato attraverso il compimento di uno o più reati) e ha visto due detenuti e un beneficiario di misure alternative alla detenzione impegnati dal 19 marzo al 27 aprile, in diciotto giornate per un totale di 127 ore di lavoro volontario, nella pulizia di aree pubbliche/demaniali di competenza del Comune di Ravenna e del Corpo forestale dello Stato sottoposte a tutela. In totale sono stati raccolti 1.533 chili di rifiuti, nell’area di Marina di Ravenna all’altezza dell’ex colonia, nell’area di Punta Marina Terme all’altezza dell’ex distributore, nell’area di Lido Adriano tra i bagni Alessandra e Oasi, alla Bassona a Lido di Dante. L’assessore ai Servizi sociali Giovanna Piaia ha sottolineato come progetti come questo “siano generativi di dignità e responsabilità per i detenuti e diano una risposta concreta al dettato costituzionale, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Inoltre questo progetto contiene un valore aggiunto, che è quello della sua natura di cittadinanza attiva; si compie una attività utile a tutta la comunità, ci si occupa di un bene comune. Per questo vorremmo che diventasse un modello”. Sono inoltre intervenuti, per l’Asp Gabriele Grassi, che ha spiegato come si è svolto il progetto; per la cooperativa sociale La Pieve il presidente Idio Baldrati e l’operatore Ettore Miserocchi, che ha accompagnato e riportato alla casa circondariale o nei luoghi di dimora i detenuti/beneficiari di misure alternative alla detenzione e che ha detto di averli visti molto motivati; per il Corpo forestale dello Stato Giovanni Nobili e per l’Ufficio di esecuzione penale esterna Anna Giangaspero. Nuoro: il “Centro di aggregazione sociale”… una casa per detenuti in permesso e famiglie La Nuova Sardegna, 30 aprile 2012 Funziona già da un anno e mezzo, ormai, un Centro di aggregazione sociale che per i detenuti del carcere cittadino in permesso premio funziona come una sorta di “micro purgatorio”. Nel senso che possono sostarvi per uno o più giorni (vale a dire il tempo fissato per i giorni di libertà) in compagnia dei famigliari che avevano programmato di rendere loro visita nel penitenziario. Vacanza-premio che, secondo lo spirito della legge, vale come prova di una nuova presa di coscienza e di responsabilizzazione di colui che può riguadagnare la propria libertà per poi tornare a far parte del consorzio civile. Il discorso vale anche per i detenuti della colonia penale di Mamone. Il complesso della chiesa intitolata alla beata Maria Gabriella si è rivelato una iniziativa importantissima, di grande valore sociale ed educativo, grazia alla intraprendenza del parroco Pietro Borrotzu, che è anche delegato regionale della pastorale del lavoro. Un sacerdote che su questo fronte è attivissimo, sempre pronto a schierarsi a fiano dei lavoratori, anche nelle manifestazioni di protesta. Il centro sociale può ospitare fino a dodici persone, compresi, eventualmente, ai i bambini. Il detenuto che ottiene il permesso-premio, invece che rientrare nel paese o città di residenza, fa arrivare i famigliari per godere tutti insieme la vacanza. Nei locali del Centro di aggregazione, oltre alle camere da letto, è disponibile anche un’attrezzata cucina dove preparare pranzo e cena. Cosa che contribuisce a ricreare il clima familiare affettivo e a socializzare con gli estranei. Il massimo, sotto questo profilo, lo si raggiunge quando sono presenti i bambini. Anche perché il complesso della parrocchia del quartiere di Badu ‘e Carros dispone di un campo di calcio con il fondo di erba sintetica. Don Borrotzu si è impegnato a trovare i soldi per dotare l’impianto sportivo di moderni spogliatoi. Ci sono settimane in cui si registra il tutto esaurito, con la presenza di carcerati uomini e carcerate donne. Chi vuole può anche frequentare l’adiacente biblioteca o l’aula del catechismo. Nel centro sono stati ospitati anche un alcolista e un minorenne disadattato, sottoposti entrambi a un particolare programma di recupero sociale. Don Borrotzu, che ha personalità intraprendente, non si perde mai d’animo. Chiavari (Ge): Sappe; quanto è costata la claque per il Capo del Dap al convegno di sabato? Comunicato stampa, 30 aprile 2012 Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo di Categoria, chiede conto alla Ministro della Giustizia Severino Di Benedetto delle spese sostenute dall’Amministrazione penitenziaria in relazione alla partecipazione del Capo del Dap Giovanni Tamburino al convegno dell’Unione Camere Penali che si è tenuto a Chiavari sabato scorso. “Si è trattato di un Convegno certamente interessante sul tema del carcere e delle misure alternative”, afferma il Segretario Generale Sappe Donato Capece. “Ma da quel che si è visto nelle riprese tv dei telegiornali erano tra gli altri presenti nella sala tutti i Direttori e i Comandanti delle carceri liguri, il Provveditore regionale ligure e molte unità di Polizia Penitenziaria provenienti da tutta la Regione per rappresentanza ed autisti. Quanto è costato tutto ciò in termini di servizi di missione, ore di straordinario, consumo carburante, evidentemente solo per garantire un servizio autoreferenziale al Capo del Dap, soprattutto ora che si invoca sobrietà e risparmio tanto che non si pagano lo straordinario e le missioni ai poliziotti che lavorano in carcere? Persino le mura del carcere di Chiavari sono state ridipinte in tutta fretta in onore della visita del Capo Dap, come se questo potesse bastare a risolvere i problemi della struttura: perché Tamburino non è andato a visitare il carcere di Marassi, con oltre 800 presenti a fronte di 400 posti letto, o quello di Savona, a vedere le persone detenute in celle senza finestre?”. Carinola (Ce): musica e cultura, per un giorno nella Casa circondariale www.interno18.it, 30 aprile 2012 Cultura e musica per un giorno anche tra le sbarre. Interessante manifestazione culturale presso la Casa Circondariale di Carinola quale momento integrativo della consueta attività scolastica curricolare. I detenuti-studenti dei vari indirizzi scolastici (Scuola Secondaria di I e II grado ), presenti all’interno del carcere, il giorno 27 Aprile 2012 sono stati spettatori, ma anche protagonisti per l’interesse e l’entusiasmo manifestati, di un originale spettacolo che ha visto le esibizioni dei Musicalia e dei Posteggiatori tristi, due gruppi musicali accomunati dall’obiettivo di far musica all’insegna della tradizione culturale, portando alla ribalta testi e canzoni popolari nonché l’arte di strada della posteggia, fantasiosamente interpretata dai giovani artisti Pietro Botte, Davide D’Alò e Ivan Virgulto , già vincitori del Premio Carosone 2011. Tematiche autentiche legate a valori quali l’amore, l’emigrazione, il lavoro nei campi, le festività, hanno preso vita nei toni mediterranei della tammorra e castagnette, nonché nella elegante gestualità della tammurriata, ballo rituale e simbolico della tradizione popolare campana, sapientemente eseguito dalle ballerine del gruppo Musicalia, Adele Bassi e Simona De Angelis. Entusiasmo alle stelle ed emozione tra i detenuti che hanno applaudito ripetutamente, fortemente coinvolti non solo dai ritmi musicali ma dall’omaggio tematico ad un repertorio dalla funzionalità collettiva e soprattutto alla meridionalità, denominatore comune del pubblico in sala. Soddisfazione e ringraziamenti sono stati espressi dalla direttrice del carcere, Carmela Campi, a tutti i presenti tra cui anche i dirigenti scolastici Giovanni Battista Abbate e Carmela Messa e dalla promotrice della manifestazione Caterina Di Iorio. Un detenuto studente ha espresso ringraziamenti e gratitudine per il pomeriggio diverso trascorso: momenti di divertimento, di gioia, ma anche di riflessione personale. Messina: Crivop Onlus; “Un’ora di arcobaleno” per le detenute della Casa circondariale Comunicato stampa, 30 aprile 2012 Lunedì 14 maggio, dopo i successi della festa del papà del 19 marzo nella Casa di Reclusione di Noto (Sr), in occasione della “festa della mamma”, la Crivop Onlus di Messina ripropone in collaborazione con l’associazione Comunione Fraterna, competente in intrattenimenti per bambini, terrà nella Casa Circondariale di Messina per la sezione femminile una manifestazione intitolata “Un’ora di arcobaleno”. Durante l’incontro nel teatro del penitenziario i figli delle ristrette saranno coinvolti in giochi di gruppo, puppets, canti e degustazione di dolci e patatine offerte dalla Crivop. Siamo convinti che, come nel successo dei due spettacoli di Noto a Marzo, anche a Messina sarà una mattinata speciale e commovente, dove, i figli, avranno il privilegio di stare sulle gambe delle mamme, dimenticandosi per qualche ora l’infelicità di avere la propria mamma detenuta. Il Presidente Michele Recupero Immigrazione: Federazione della sinistra visita Ponte Galeria; i Cie vanno chiusi Dire, 30 aprile 2012 “Quanto abbiamo avuto modo di osservare oggi conferma quello che abbiamo sempre visto e pensato: i Cie sono solo luoghi di privazione della libertà personale e di sistematica violazione dei diritti umani. I Cie sono irriformabili e vanno chiusi”. Questo il commento di Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, consiglieri regionali della Fds, Federazione della sinistra del Lazio, dopo la visita alla struttura di Ponte Galeria che si è svolta in continuità e in adesione alla campagna LasciateCIEntrare. Per una settimana sono state effettuate ispezioni nelle strutture di detenzione per migranti di mezza Europa, grazie al coordinamento con Open access now. Lo scopo era duplice: da un lato continuare un intervento di ascolto e di monitoraggio delle condizioni di vita dei migranti reclusi, dall’altro ribadire la necessità che queste strutture siano sempre piu’ accessibili agli operatori dell’informazione, strumento fondamentale “per far conoscere alla pubblica opinione gli elementi di nocività, inutilità, spreco di risorse, distruzione di vite umane e violazione del diritto che la loro esistenza determina”. Nella struttura di Ponte Galeria la delegazione, di cui ha fatto parte anche Stefano Galieni, responsabile nazionale immigrazione del Prc, “ha posto particolare attenzione a storie individuali ed emblematiche su cui intende avere chiarimenti. La delegazione non ha potuto non evidenziare come le 190 persone trattenute nel centro, in maggioranza uomini, si trovino in condizioni di degrado, chiusi in recinti di sbarre in cui le uniche migliorie apportate (plexiglas e badge elettronici per l’ingresso del personale) non hanno fatto altro che rendere Ponte Galeria sempre più simile ad un carcere di massima sicurezza”. “Una radicale riforma delle leggi sull’immigrazione che questo governo non vuole fare- hanno affermato gli esponenti FdS- si rivela sempre più necessaria e urgente”. Francia: morte Daniele Franceschi; madre a Parigi, chiederà di vedere Sarkozy o Carla Bruni Ansa, 30 aprile 2012 Cira Antignano, la madre di Daniele Franceschi il viareggino morto il 25 agosto 2010 nel carcere francese di Grasse, partirà nel pomeriggio insieme ai familiari dall’aeroporto di Pisa diretta a Parigi dove, ha confermato la donna, la mattina di martedì 2 sarà davanti all’Eliseo per cercare di essere ricevuta dal presidente francese Nicolas Sarkozy o dalla first lady Carla Bruni per chiedere ancora una volta che sia fatta luce per la morte del figlio. Nei giorni scorsi la donna aveva prospettato anche la possibilità di uno sciopero della fame per richiamare l’attenzione su questo caso ancora irrisolto. Domani raggiungerà Parigi anche uno dei legali che seguono la donna, l’avvocato viareggino Aldo Lasagna. “Il segretario del partito Radicale, Rita Bernardini, che ha incontrato Cira Antignano insieme agli altri parlamentari radicali a Roma - dice l’avvocato Lasagna - ha presentato una interrogazione urgente al ministro delle giustizia per chiedere che sia fatta una volta per tutte chiarezza su quanto accaduto a Daniele Franceschi, e i parlamentari hanno ribadito ancora una volta di affiancare la donna in questa sua lotta”. Vicini a Cira Antignano anche i comitati delle vittime della strage ferroviaria del 29 giugno 2009 di Viareggio che più volte hanno manifestazione al suo fianco. India: caso marò, carcere preventivo esteso di 14 giorni Ansa, 30 aprile 2012 Il tribunale di Kollam, in Kerala, ha disposto oggi il rinvio di altri 14 giorni di carcerazione preventiva per i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Lo ha appreso l’Ansa da una fonte italiana che segue la vicenda. I due militari si sono presentati davanti al giudice istruttore con diverse ore di ritardo a causa di una manifestazione di protesta che ha bloccato le vie di accesso al tribunale. Turchia: 100 giornalisti in carcere; appello Fnsi a Monti, sollevi questione in vertice con Erdogan Ansa, 30 aprile 2012 Il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) Roberto Natale ha lanciato oggi a Istanbul un appello al presidente del Consiglio Mario Monti perché sollevi la settimana prossima durante il vertice a Roma con il premier di Ankara Recep Tayyip Erdogan la questione dei circa 100 giornalisti detenuti in Turchia. “Chiediamo a Mario Monti di porre con la necessaria forza la questione fondamentale del rispetto della libertà di espressione e di stampa in Turchia” con Erdogan, ha detto Natale. Il presidente Fnsi assiste oggi a Istanbul a una udienza nel caso del giornalista Baha Okar, direttore della rivista Scienza e Futuro, arrestato il 21 settembre 2010 e da allora in carcere preventivo nella prigione di massima sicurezza di Tekirdag. Okar, uno dei due giornalisti turchi in carcere che la Fnsi ha deciso di adottare, è accusato di associazione e favoreggiamento del movimento armato separatista curco Pkk. Circa 100 giornalisti turchi, per la metà di origine curda, sono in questo momento in carcere in Turchia, ha detto Natale, “con fantasiose accuse di supporto al terrorismo”. Monti riceverà Erdogan l’8 maggio a Roma per il secondo vertice bilaterale italo-turco. ‘Ci aspettiamo che il governo italiano faccia sentire la sua voce e decida di esigere la rimessa in libertà dei quasi 100 giornalisti turchi ha detto Natale, e che “sollevi la questione anche in sede di vertici europei”, perché “la costruzione dell’Ue non può fermarsi ai palazzi dei banchieri”. Natale ha ricordato che la recente classifica di Reporter senza Frontiere sul rispetto della libertà di stampa piazza la Turchia al 148mo posto su 176 stati.