Giustizia: giusto… amnistia e non solo di Donatella Poretti e Marco Perduca Europa, 27 aprile 2012 Nel loro pezzo di ieri, “Amnistia, ma non solo”, Francesco Ferrante e Roberto Della Seta hanno ricordato nel dettaglio i numeri dello stato di patente illegalità costituzionale delle carceri italiane, un’illegalità denunciata pressoché quotidianamente dalla Corte europea dei diritti umani alla quale si aggiunge quella relativa alla irragionevole lunghezza dei processi e, recentemente, anche il mancato adeguamento normativo alle sentenze della Corte stessa. Le carceri fuorilegge, dove si violano i diritti umani delle persone ristrette - sempre tenendo a mente che il 40% dei detenuti non ha una sentenza definitiva - sono quindi il prodotto del mancato rispetto degli obblighi internazionali che la repubblica italiana ha di fronte ai trattati internazionali ratificati negli ultimi 50 anni. Il governo Monti era partito bene mostrando interesse al tema, ma tutte le misure adottate e proposte hanno avuto, e avranno, secondo dati del ministero della giustizia resi noti su richiesta di Rita Bernardini alla camera, un impatto intorno allo 0,5%, altro che “salva carceri”. L’amnistia è quindi sicuramente la prima necessaria e urgente riforma strutturale che potrebbe ridurre, oltre che il sovraffollamento carcerario, i procedimenti penali di quasi il 90% liberando risorse umane e finanziarie per avviare un minimo rientro nella legalità violata. Ricordiamoci però che un’amnistia, che si configura sempre più come di classe, già oggi esiste: quella delle oltre 120mila prescrizioni che ogni anno cancellano il lavoro dei pm consegnando alla pericolosa libertà possibili delinquenti. Chissà perché poi, salvo interessarsi esclusivamente delle prescrizioni che interessano Berlusconi, non ci si interroga mai sulla mancata crescita del tasso di criminalità a seguito di tutte queste persone che sfuggono alla giustizia. Altri dati confermano in toto la crisi in atto: infatti, su circa tre milioni di delitti denunciati, quasi due terzi riguardano i furti, gli autori restano ignoti nel 97,4% dei casi. Per gli altri reati non va meglio: omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona a scopo di estorsione restano impuniti per l’80%. Ferrante e Della Seta affrontano inoltre la relazione tra le leggi Fini-Giovanardi, tra l’altro mai sconfessata dal primo, con l’inasprimento del 2009 della Bossi- Fini, anch’essa mai sconfessata, colla ex-Cirielli che ha drammatiche conseguenze sui recidivi, ma non chiudono il cerchio del vero combinato disposto esplosivo che è quello che intreccia quelle leggi criminogene coll’obbligatorietà dell’azione penale - altro nodo da sciogliere della trama della pessima qualità dell’amministrazione della giustizia italiana. Inoltre, possibile che l’indipendenza della magistratura in Italia debba poggiare, non solo sulla mancanza di una responsabilità chiara dei magistrati sulla quale in queste ore stiamo discutendo in parlamento, ma anche sulla mancanza della separazione delle carriere? È possibile, giusto per restare all’interno del pianeta carcere, che un magistrato di sorveglianza si possa trovare a dover decidere di benefici per qualcuno che ha fatto arrestare qualche anno prima? Un sistema che può consentire, anzi prevedere, ciò difficilmente può esser considerato imparziale. infine, al di là dell’imparzialità e qualità professionale dei magistrati, che qui non ci interessa affrontare, devono esser sicuramente affrontati prima delle prossime elezioni tempi e modi del loro passaggio alla politica ponendo paletti chiari e certi al fine di evitare conflitti di interessi se non poteri ricattatori o intimidatori. Non solo quindi amnistia, ma è del tutto evidente che essa resta la prima riforma strutturale necessaria per rispondere a quanto affermato dal presidente della repubblica nel suo magistrale intervento al convegno organizzato dal Partito Radicale al senato nel luglio 2011. La prepotente urgenza lamentata da Napolitano allora interessa non solo, o comunque non tanto, le carceri, ma l’amministrazione della giustizia in Italia. Giustizia: il vero 25 aprile è quello di Pannella di Dimitri Buffa L’Opinione, 27 aprile 2012 Viva il 25 aprile di Marco Pannella. Non c’è dubbio. Chi ha partecipato alla marcia promossa dai radicali “per l’amnistia, per la repubblica e per la riforma della giustizia” non può non rendersene conto: è stato quello il vero 25 aprile che unisce e non continua a dividere gli italiani tra odio e risentimento, buoni e cattivi, fascisti di repertorio e anti fascisti della retorica. E il comizio tenuto davanti al Senato da Super Marco a bordo del camion musicale jazzistico della Carlo Loffredo Band rimarrà un cult, un classico di quella politica che è anche amore, ricordo, buona fede. Il vero antidoto all’antipolitica dei mestieranti cinici e dispotici alla Grillo e alla Di Pietro. Ma anche al cappio boomerang della lega di Bossi. Bisognava vederlo questo vecchietto arzillo di 82 anni per 190 e passa centimetri, con una coda di cavallo bianco, agitarsi su una sedia dentro al camion della band e dimenarsi a ritmo di jazz sulle note di Mille lire al mese, molto attuale di questi tempi, o cantare “Fiorin Fiorello, l’amore è bello pensando a te”. In fondo Pannella è anche questo: un ponte umano e politico tra un passato che affonda i propri ricordi nella guerra e nel dopoguerra, con l’Italia del piano Marshall, della ricostruzione, ma anche della speculazione edilizia e politica, e il futuro, attualmente pieno di incognite e vuoto di progetti di riforme credibili. E lui è sempre stato lì con noi, con loro e con quegli altri ancora. Con la gente. A raccontare che la vera utopia non è la politica liberale o il guardare avanti ma il rimanere chiusi nel proprio comodo corporativismo che “il fascismo dell’antifascismo” ha ereditato direttamente dal crepuscolo di quell’infausto ventennio. L’Italia della Dc ieri e quella di questo putridume partitocratico oggi non è altro che l’erede di sessant’anni di illegalità costituzionale. Oggi che tutti i nodi vengono al pettine è veramente paradossale invocare Grillo e Di Pietro per cambiare le cose quando c’è un sano Pannella a portata di mano e di voto. E questo paradosso è il frutto di una informazione ieri legata a carri politici e oggi a carrozzoni industriali peraltro in disfacimento, vista la congiuntura di crisi in atto. Quei tribuni televisivi della sinistra che ieri dileggiavano Pannella perché promuoveva referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, la golden share, l’abolizione dell’ordine dei giornalisti con che faccia (“come il culo”, direbbe l’interessato, anzi ha detto nell’unica puntata di Ballarò cui partecipò, per volere dell’autorità garante sulle telecomunicazioni, al malcapitato Dario Franceschini) oggi promuovono dibattiti sui medesimi argomenti, con vent’anni di ritardo e senza invitare chi per primo e con lungimiranza tentò invano di proporli all’attenzione dell’opinione pubblica? Oggi dopo sessant’anni qualcuno si è accorto persino che dentro i partiti non esiste quella democrazia (e lo stesso dicasi per sindacati con gli articoli 38 e 39) che veniva postulata dall’articolo 49 della Costituzione. E questa mancanza ha portato ai casi Lusi, ai casi Belsito e soprattutto ai casi e ai casini di chi dietro le malefatte del tesoriere nasconde le proprie, di mandante politico e istituzionale. Pannella nei propri comizi, come quello bellissimo con cui ha ringraziato il presidente del Senato, Renato Schifani, per aver fatto organizzare il simposio sulle carceri e la giustizia che si tenne lo scorso 28 luglio in un aula di pertinenza di palazzo Madama (quello stesso convegno in cui anche il presidente Napolitano espresse il proprio impotente imbarazzo e orrore di fronte a una situazione di illegalità costituzionale, delle leggi ordinarie e dei diritti umani), non può fare sconti a nessuno. Perché per gente come lui la politica non è l’arte del compromesso e del possibile, che in Italia si traduce in immobilismo e palude, bensì quella della rottura lungimirante e della fuga in avanti. Fuga quasi sempre in solitaria perché, nonostante i suoi quasi 82 anni (li compirà il 2 maggio), nella corsa politica e istituzionale non ci sono gambe di nano (Alfano, Bersani, Casini, Fini, Vendola o Di Pietro) che tengano per stare dietro a un gigante buono come Marco Pannella. Viva quindi, ancora una volta, il suo 25 aprile. E viva la faccia di chi, a 82 anni quasi suonati, mantiene intatta la propria passione politica e il proprio entusiasmo da ex goliarda universitario, esistenzialmente prestato prima al giornalismo e poi al partito radicale stesso. Giustizia: Anm; la carcerazione preventiva non è una misura cautelativa ammissibile di Chiara Rizzo Tempi, 27 aprile 2012 L’Anm di Roma interviene sul problema del sovraffollamento delle carceri: “Serve un uso più equo e selettivo dalla carcerazione preventiva”. “Se è vero che la prigione è la figlia prediletta della giustizia, il carcere è il tema che ci interroga più di altri. Eppure il paradosso è che la figlia della giustizia, la prigione appunto, è percepita invece come un territorio oscuro, abbandonato, dove nel silenzio si consuma la violazione dei diritti umani dei detenuti”. Così Evelina Canale, segretaria romana dell’Associazione nazionale magistrati, ha introdotto lo scorso 19 aprile un interessante incontro a tema sovraffollamento. Un momento in cui ci si è interrogati su quali siano le cause di questo “lato oscuro” della giustizia che è il nostro carcere, perché “ci sentiamo colpiti come cittadini prima ancora che come magistrati, perché è una costante violazione dei diritti umani”. Si è parlato anche di possibili soluzioni, tanto che al dibattito è intervenuto anche l’attuale capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Giovanni Tamburino. Tra i presenti, inoltre, anche Giorgio Santacroce, presidente della Corte di Appello di Roma, che ha esordito ricordando che “le carceri scoppiano da anni, e nelle carceri si muore. Sappiamo bene però che la costruzione di nuove carceri porta consensi elettorali, mentre impegnarsi ad assumere nuovi educatori che lavorino nell’esecuzione della pena verrebbe visto come un inutile spreco, con buona pace dell’articolo 27 della Costituzione che dice che la pena deve tendere alla rieducazione. Non è più possibile voltare la testa altrove, purtroppo però l’opinione pubblica ha un atteggiamento di indifferenza o rassegnazione. Il sovraffollamento delle carceri è entrato nel novero delle emergenze, quasi naturali, a cui ci si abitua, al punto da non reagire più. In Italia siamo abituati a farci scivolare di dosso tutto, anche le cose più umilianti”. Per Santacroce: “il problema delle carceri è specchio di una giustizia che funziona male, e non c’è solo l’alternativa secca tra amnistia, misura impopolare, o costruzioni di nuove carceri, soluzione inutile e impraticabile. Il sovraffollamento è la conseguenza di una visione della pena che ha dimenticato lo scopo di recuperare le persone. La visione attuale fa coincidere la certezza della pena con il carcere. Ma quando si arriverà a capire che la pena del carcere, in quanto più severa, deve rappresentare l’extrema ratio riservata a criminali di altissima pericolosità sociale? Ma davvero si pensa che sbandierare lo slogan “più galera per tutti” risolva il problema della sicurezza?”. Queste le soluzioni prospettate dal magistrato: “Dobbiamo domandarci se una soluzione per il decongestionamento delle carceri non arrivi da un uso più equo e selettivo dalla carcerazione preventiva, lontano da pulsioni giustizialiste di bassa lega. Un uso più prudente risponde a principi elementari di civiltà giuridica, come ci hanno ripetutamente insegnato tanto la Corte costituzionale che quella europea per i diritti dell’uomo: il principio del minimo sacrificio della libertà personale prima della condanna, per cui la custodia preventiva non può essere usata in funzione di anticipazione della pena, ma solo per soddisfare precise ragioni cautelari. Per realizzare un carcere più umano è necessario rafforzare il sistema delle misure alternative, introducendo sanzioni sostitutive. Va rivisto il concetto di pena. Va velocizzato il processo e quindi l’esecuzione della pena, che oggi quando arriva è inadatta a svolgere le funzioni che la Costituzione le assegna. Anche Luigi Ciampoli, procuratore generale della Corte d’appello di Roma, è intervenuto sul tema della custodia cautelare: “Parlare di sovraffollamento significa parlare di un effetto ultimo, constatare che ci sono parecchie persone costrette a vivere la violazione dei diritti umani più basilari e ultimi, ma non significa risalire alle cause. Si parla di edificazioni, di effetti di permessi, ma non si parla del problema a monte, che è quello che porta parecchie persone a stare in carcere e richiama un principio di carattere fondamentale. L’uso di carcerazione preventiva, che non so ancora quanta concordanza trovi con la carta costituzionale, è semplicemente una cautela anticipata, ma non è certo la sanzione prevista dal nostro ordinamento per la constatazione di un reato”. Giustizia: Garanti detenuti a Napolitano; serve un’autorità indipendente di monitoraggio Ansa, 27 aprile 2012 Il primo nodo da affrontare con urgenza, in relazione alla condizione dei detenuti in Italia, è l’istituzione di un’autorità indipendente di monitoraggio: è quanto hanno detto oggi al capo dello Stato i Garanti regionali dei detenuti e il coordinatore dei Garanti cittadini, Franco Corleone, ricevuti al Quirinale. Lo riferiscono gli stessi Garanti. L’Italia infatti ha firmato ma non ancora ratificato - contrariamente alla grande maggioranza degli altri Paesi europei - il Protocollo Opzionale delle Nazioni Unite che prevede appunto l’istituzione di un’autorità di monitoraggio della situazione carceraria. A evidenziare la necessità dell’Authority è stato Mauro Palma, membro italiano del Consiglio europeo per la cooperazione nell’esecuzione penale, che ha accompagnato i Garanti insieme al nuovo capo dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. I Garanti hanno esposto a Napolitano il proprio apprezzamento “per il segnale anche culturale che i primi provvedimenti del governo hanno rappresentato rispetto alla grave situazione delle carceri”, ma hanno anche espresso la preoccupazione per una situazione “che permane di grave difficolta”. Si è parlato della necessità di dare piena attuazione a quanto previsto dal Regolamento adottato nel 2000 e finora attuato in maniera limitata e di avviare un tavolo operativo che metta in dialogo i vari punti di vista, degli operatori, dell’amministrazione, dei garanti. Altro tema prospettato ha riguardato la necessità d’incidere sul vasto fenomeno della carcerizzazione dei tossicodipendenti - che costituiscono una percentuale notevole della popolazione detenuta - anche con un provvedimento parziale che, pur nell’attuale quadro normativo complessivo, alleggerisca la presenza di coloro che rispondono di reati di lieve entità. Inoltre, si sono posti all’attenzione del capo dello Stato i problemi relativi alla necessità di rifinanziare le legge per il lavoro detentivo e la carenza di direttori in molti Istituti che, accompagnata dalla riduzione delle figure di educatori e assistenti sociali, rischia di dare un profilo al carcere centrato solo sulle esigenze di sicurezza e non anche su quelle di risocializzazione. “La cordialità dell’incontro, la sua durata e l’attenzione ai temi mostrata dal Presidente della Repubblica - hanno detto i partecipanti all’incontro - sono un segnale d’incoraggiamento verso l’adozione di provvedimenti coraggiosi che riportino il carcere a condizioni di vivibilità e di aderenza al dettato costituzionale”. Giustizia: Alessandro Margara; indulto non è praticabile, su amnistia c’è poca chiarezza Ansa, 27 aprile 2012 “Il sovraffollamento delle carceri si sta smontando, perché a forza di risparmiare su tutto, anche sulle forze dell’ordine, stanno diminuendo gli arresti e con essi anche i detenuti”. Ne è convinto il garante toscano dei detenuti Alessandro Margara, intervenuto oggi a margine di un convegno in Consiglio regionale organizzato dal gruppo Fds-Verdi. Secondo il garante toscano “un indulto non è praticabile, si parla di amnistia ma non capisco di cosa si parli perché Pannella non è mai chiaro. Comunque - ha aggiunto Margara - un’amnistia non avrebbe effetti sulla popolazione carceraria, perché interesserebbe i reati minori ma per i reati minori non c’è la galera”. Carceri in mano a Commissari Polizia penitenziaria “In Italia mancano i direttori delle carceri e si sta prospettando la consegna degli istituti di pena alla polizia penitenziaria. Questo non è un buon modo di agire”. Lo ha detto il garante toscano dei detenuti Alessandro Margara, intervenendo oggi a margine di un convegno in Consiglio regionale organizzato dal gruppo Fds-Verdi. Margara ha spiegato di essere stato oggi ricevuto, insieme ad altri garanti, dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per parlare della situazione delle carceri italiane. “Al Presidente - ha sottolineato - ho fatto presente questo aspetto. Praticamente non ci sono più direttori penitenziari, e non ci sono concorsi per farne di nuovi. Allo stesso tempo stanno per entrare 400 commissari di polizia penitenziaria, e di fatto saranno loro a diventare in i direttori delle carceri”. Lettere: come fare il poliziotto, tra rigoristi e comprensivi di Roberto Martinelli, risponde Sergio Romano Corriere della Sera, 27 aprile 2012 Ho letto le espressioni di indignazione, sconcerto, vergogna di taluni politici dopo aver visto una foto che immortala, su un volo di linea per Tunisi, l’uso di scotch sulla bocca di alcuni extracomunitari rimpatriati perché clandestinamente sul territorio italiano. La procedura è sicuramente anomala ma bisogna contestualizzare l’accaduto ripreso nella foto scattata da un passeggero. Dalla ricostruzione in Parlamento del ministro dell’Interno, emerge che i due tunisini hanno da subito avuto atteggiamenti aggressivi con sputi, morsi, calci e pugni all’indirizzo del personale di scorta. E lo stesso facevano a bordo dell’aereo. Non solo: per ostacolare la loro espulsione, i due avrebbero iniziato a sputare sui poliziotti e sui passeggeri il sangue fuoriuscito dalle labbra che avevano cominciato a mordersi. Cosa doveva fare la polizia? Cosa avrebbero detto quei politici “indignati e sconcertati” se, seduti davanti ai due agitati, fossero stati colpiti dalla loro saliva e dal loro sangue? Mi auguro che quei politici “indignati e sconcertati” esprimano analoghe espressioni “perché fino ad oggi non mi risulta l’abbiano fatto” anche la prossima volta che qualche poliziotto penitenziario sarà fatto oggetto, nella sezione detentiva di qualche carcere o su uno dei mezzi impiegati per il trasporto dei detenuti, di sputi, lancio di urine, feci e bombolette di gas, di sangue, olio bollente e liquami vari (accade più frequentemente di quanto si pensi) o ancora quando (come accaduto di recente in Sicilia) a un nostro ispettore viene strappata dal morso di un internato la falange di un dito. Roberto Martinelli Segretario gen. Aggiunto Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Caro Martinelli, approfitto della sua lettera per accennare a un problema tipico di tutte le società moderne. Esiste una domanda di sicurezza che esplode ogni qualvolta la stampa e la televisione danno notizia di un furto, di un omicidio, di uno stupro, di una rapina, di un campo rom sorto alla periferia della città o dello sbarco a Lampedusa di una nave carica di clandestini. In quelle occasioni il partito del rigore chiede leggi più severe, pene più drastiche, inflessibili estradizioni di stranieri indesiderabili, poliziotti all’angolo di ogni strada e persino, in qualche caso, il ritorno alla pena di morte. Ma esiste anche un partito della comprensione e della tolleranza, particolarmente forte fra coloro per cui la colpa di ogni devianza è sempre del capitalismo rapace, dell’ingiustizia sociale, dei “poteri forti” e dello Stato. Per i militanti di questo partito vi è sempre, dietro ogni evento criminale, un caso umano da trattare con particolare delicatezza. Ho parlato di due partiti, caro Martinelli, ma nella realtà di ogni giorno ogni cittadino può appartenere ora all’uno ora all’altro. Reagisce con rabbia di fronte a un evento sanguinoso e rimprovera di negligenza coloro che avrebbero dovuto prevenirlo. Ma reagisce con indignazione ogniqualvolta il malfattore viene trattato rudemente. Sembra che la società contemporanea abbia sempre bisogno di commuoversi per una vittima. In qualche caso la vittima è il cittadino che la polizia non protegge sufficientemente. In altri casi la vittima è il ladro, l’assassino, il rapinatore. Fra questi due scogli le forze dell’ordine sono costrette a navigare molto scomodamente. In questa contraddizione vi è un dato paradossale: le statistiche della criminalità in Italia non sono particolarmente preoccupanti. Un lettore, Alberto Carzaniga, mi ha ricordato che “siamo tra i Paesi col più basso tasso di omicidi per 100.000 abitanti al mondo (circa 1), vale a dire circa 600 omicidi all’anno per 60 milioni di abitanti, con un numero di poliziotti più che doppio rispetto ai Paesi che hanno più o meno gli stessi nostri livelli di criminalità. Abbiamo un tasso di suicidi dell’ordine di 5 per 100.000 abitanti, se ho capito bene, ed anche qui siamo sul lato basso delle statistiche. Le vittime della strada sono più o meno su livelli medio-bassi europei: 8 per 100.000 abitanti”. Non ho potuto verificare l’attendibilità di queste statistiche. Se qualcuno ha dati diversi, ci scriva. Sardegna: l’Assessore De Francisci; garantire servizi sanitari di qualità anche nelle carceri Adnkronos, 27 aprile 2012 Garantire una sanità di qualità anche a chi è detenuto e allo stesso tempo salvaguardare le professionalità del personale sanitario che opera nelle carceri della Sardegna (in tutto 238 lavoratori) sono i principi ispiratori delle Linee guida per l’ordinamento della sanità penitenziaria approvate dalla Giunta regionale della Sardegna, su proposta dall’assessore della Sanità Simona De Francisci. “Abbiamo utilizzato una metodologia innovativa - ha spiegato - perché si tratta di un percorso, nel passaggio dallo Stato alla Regione, che abbiamo voluto condividere il più possibile con i sindacati, le Asl, il dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e con il dipartimento per la Giustizia minorile. Novità anche sul fronte degli attuali Ospedali psichiatrici giudiziari: “Stiamo lavorando - ha anticipato l’assessore - assieme alle Regioni che afferiscono all’Opg di Montelupo (Toscana, Sardegna, Liguria, Umbria) per favorire le dimissioni e diminuire gli ingressi dei pazienti, in modo tale da inserirci in un percorso di appropriatezza sui detenuti che possono essere così assistiti in nostre strutture sanitarie. L’obiettivo è garantire un percorso riabilitativo valido e condiviso con i responsabili psichiatrici delle Asl e con la magistratura di sorveglianza. Stiamo valutando dunque, per chi ha necessità di misure particolari, di attrezzare strutture idonee secondo quelle che saranno le disposizioni ministeriali come previsto dalla legge nazionale 9/2012”. Emilia Romagna: Garante dei detenuti in visita a strutture penitenziarie di Reggio Emilia Asca, 27 aprile 2012 Desi Bruno, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale dell’Emilia-Romagna, visiterà per la prima volta le due strutture penitenziarie di Reggio Emilia: la Casa circondariale e l’ospedale psichiatrico giudiziario; le visite saranno effettuate insieme al direttore della Casa e dell’Opg, Paolo Madonna. Di particolare significato, la visita all’Opg, l’unico attivo in Emilia-Romagna, uno dei 5 ancora aperti nel territorio nazionale (gli altri sono a Napoli, Aversa, Castiglione delle Stiviere e Montelupo Fiorentino), alla luce di quanto prevede la legge 9/2012, la cosiddetta legge Severino contro il sovraffollamento delle carceri: l’articolo 3 della nuova legislazione dispone, infatti, il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il primo febbraio 2013. Venezia: magistrati in visita al carcere; sovraffollamento e “sofferenze gratuite” La Nuova Venezia, 27 aprile 2012 “Il giudice non può ignorare le conseguenze delle sue sentenze, delle decisioni giudiziarie che prende, il giudice deve sapere come il condannato sconta la propria pena”. A parlare è il presidente della giunta veneta dell’Associazione nazionale magistrati Lorenzo Miazzi, che con la corrente di Dialogo per la giustizia ha organizzato una visita alle carceri venete per i magistrati. Dopo quelli di Padova e Verona, a visitare Santa Maria Maggiore e quello femminile della Giudecca erano in 24. “Le dolenti note del sovraffollamento”, spiega Miazzi, “sono scandite dai numeri: la capienza ottimale di Santa Maria Maggiore è 121, quella tollerabile 200. Il giorno della nostra visita erano 297 detenuti, prima degli ultimi interventi del ministro Severino ben 360. Tradotto nella vita quotidiana dei carcerati significa 8 persone in celle anguste, con livelli inferiori ai 3 metri quadrati per ciascuno. Il sovraffollamento rende insopportabile i livelli minimi di vivibilità nelle celle, stipate di letti a castello e spazi ridottissimi. Non stupisce, a questo punto, che vi sia un gran uso di medicinali, in particolare sedativi, così il contenimento è farmacologico. Come rendere sopportabile la situazione altrimenti?”. “E poi”, continua il magistrato, “non vi è un adeguato servizio sanitario, nulla è previsto per le urgenze se non il trasporto in ospedale. Vi sono soltanto venti posti si lavoro disponibili, a differenza che a Padova, dove la metà dei detenuti lavora all’esterno o all’interno del carcere. Vi dovrebbero essere almeno due educatori, che sono pochi, ma spesso ce n’è solo uno. Il personale di sorveglianza è circa la metà di quello previsto e, quindi, per ragioni di sicurezza le celle, dove non possono neppure camminare, restano chiuse 20 ore su 24. Infine, i prezzi dello spaccio per l’extra vitto sono addirittura più alti di quelli di un normale supermercato all’esterno e così i detenuti raramente possono acquistare qualche cosa”. Lorenzo Miazzi non mette in discussione che la pena va espiata, ma critica il “surplus di sofferenza che i detenuti devono sopportare, una sofferenza gratuita” e per questo ritiene che da un lato sia necessario creare canali preferenziali per celebrare i processo con detenuti in modo da renderli più veloci e accorciare la custodia cautelare, dall’altro utilizzare il carcere per le misure cautelari soltanto quando quelle alternative non sono possibili, insomma come extrema ratio”. La visita alla Giudecca è andata sicuramente meglio: non c’è sovraffollamento, le celle sono ampie e buona parte delle 70 detenute può lavorare grazie ai cinque laboratori interni. Ravenna: Garante visita il carcere; criticità, ma “un istituto dentro la città e con la città” Il Velino, 27 aprile 2012 Al termine della prima visita alla Casa circondariale di Ravenna nelle vesti di Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Desi Bruno ha voluto evidenziare che “la sinergia fra carcere e città appare molto forte, favorita dalla collocazione dell’istituto nel centro cittadino, dalle sue ridotte dimensioni, dalla capacità e dallo spirito di collaborazione fra i soggetti più direttamente coinvolti: la Direzione dell’istituto, la Polizia penitenziaria, il Comune, il volontariato”. Non mancano le criticità - dal sovraffollamento al frequentissimo turn over dei detenuti, alla carenza di agenti di polizia - tuttavia l’ambiente carcerario appare fra i più vivibili nella realtà regionale, e questo nonostante si tratti di un edificio vecchio, costruito ai primi del Novecento. Nella visita, il Garante era accompagnata dalla Direttrice della casa circondariale, Carmela De Lorenzo, dal comandante della polizia penitenziaria, Stefano Cesari, e dall’assessore comunale alle Politiche sociali, Giovanna Piaia. Ecco qualche dato. Nell’istituto sono attualmente rinchiusi 109 detenuti, tutti uomini (la capienza regolamentare è 59, quella “tollerata” 106; in passato si è sfiorata la soglia dei 170); misure igieniche, lavori di ristrutturazione (a cura dei detenuti) e donazioni periodiche di prodotti contribuiscono a garantire una buona manutenzione delle celle e degli spazi comuni. Solo 27 detenuti risultano condannati in via definitiva (82 sono in attesa di giudizio). A fronte di una media nazionale del 50%, gli stranieri raggiungono il 70%, e anche la percentuale di detenuti tossicodipendenti è alta (circa il 48%). Quanto alla carenza di personale della polizia penitenziaria, la pianta organica prevede 74 unità, ma solo 55 sono effettivamente in servizio (di cui 8 adibiti alle traduzioni), il che provoca uno stress sistematico nella gestione dei turni, a cui andrebbe posto rimedio. In stretta collaborazione con la direzione della Casa circondariale e con il contributo del volontariato, il Comune di Ravenna mostra una particolare attenzione al tema dei lavori socialmente utili e alle attività formative: 6 detenuti frequentano un corso curato da docenti dell’Istituto alberghiero, altri 2 (non retribuiti) lavorano alla pulizia delle spiagge dei lidi sud e alla manutenzione del verde pubblico, 22 (a rotazione) sono impegnati nei lavori interni (pulizia e distribuzione dei pasti), 2 borse-lavoro del Comune finanziano la raccolta differenziata dei rifiuti e una attività al canile. Inoltre, si svolgono corsi di informatica e corsi di alfabetizzazione per stranieri ed è assicurata la scuola media; 2 le educatrici presenti, 2 gli psicologi, per il Sert e per i nuovi giunti. In questo clima, non è casuale che negli ultimi anni siano molto diminuiti i fenomeni di autolesionismo; gli stessi detenuti, nei colloqui diretti con il Garante, hanno riconosciuto un clima corretto e buone relazioni con il personale, civile e di polizia. Dal Garante viene anche un giudizio positivo sull’assistenza sanitaria (viene assicurato l’intervento psichiatrico, neurologico, infettivo logico e di dermatologia) e l’ospedale di Ravenna garantisce un piccolo reparto dedicato al ricovero dei detenuti (una struttura ben attrezzata, adeguata alle esigenze), oltre a due accessi mensili “dedicati” per le cure odontoiatriche. La direzione del carcere è tuttora in attesa di risposte positive a un paio di richieste avanzate al Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). La prima, per una cifra di 50.000 euro, risale al 2010 ed è finalizzata a una serie di opere di manutenzione straordinaria; la seconda (del 2008) punta a ristrutturare la caserma che fa parte dell’istituto, il che consentirebbe di ospitare agenti di polizia penitenziaria non residenti in città o provincia. Rieti: Sappe; nuovo carcere è emblema di una amministrazione penitenziaria inefficiente Comunicato stampa, 27 aprile 2012 La situazione del carcere di Rieti è la prova provata dell’inefficienza del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dell’incapacità di ben amministrare dei dirigenti che vi lavorano a partire dal Capo Giovanni Tamburino. Rieti, infatti, è l’esempio di come una burocrazia inefficiente riesce a vanificare anche quelle pochissime opere pubbliche realizzate bene e in tempi brevi. Il carcere di Rieti, appunto, è una struttura all’avanguardia costruita bene e velocemente, senza eccessiva lievitazione dei costi previsti. Poi è arrivato il Dap a rovinare tutto. Il carcere viene aperto in tutta fretta nel 2009, trasferendovi personale e detenuti del vecchio istituto e qualche agente in più racimolato da altri penitenziari, così che dei quattro padiglioni detentivi esistenti è possibile utilizzarne soltanto uno. Da allora, un carcere con una capienza di 400 detenuti ne ha ospitati soltanto un centinaio, sorvegliati da un numero insufficiente di agenti che si sono dovuti sobbarcare turni onerosi, straordinari e superlavoro. Adesso a distanza di tre anni, qualche burocrate intorpidito si è improvvisamente svegliato ed ha deciso che si poteva completare l’apertura dell’istituto di Rieti. Ecco che, allora, è stato diramato un interpello in tutta Italia per verificare se c’erano agenti disposti ad andare a Rieti senza oneri a carico dello Stato. Dopo un primo tira e molla di qualche mese, qualcuno al Dap, ignorando l’interpello fatto, ritiene di voler inviare altro personale prelevandolo dagli uffici della capitale, non più gratis ma con trattamento economico di missione. A seguito delle vibrate proteste sindacali, il Capo del Dap è costretto a fare dietro front sul provvedimento e, finalmente, a disporre l’invio di quel personale che aveva espresso il desiderio di andare a Rieti, senza oneri a carico dello Stato. Passati pochi mesi, però, il Capo del Dap (forse per non darla vinta ai sindacati) decide nuovamente di mandare personale dagli uffici romani, sempre pagando l’indennità di trasferta, e dando il benservito ai trenta ragazzi che erano giunti a Rieti di propria volontà. Ovviamente, i trenta ragazzi non vogliono andar via e i colleghi provenienti da Roma non vogliono andare a Rieti. La classica situazione nella quale si scontentano tutti e si sprecano soldi dello Stato. Oltretutto, il Capo del Dipartimento emana un provvedimento per inviare personale a Rieti nel quale vengono indicate persone in pensione, persone trasferite in altre sedi e addirittura un agente proveniente da Rieti stessa (cioè distaccato da Rieti a Roma e che dovrebbe “rientrare” a Rieti con l’aggiunta dell’indennità di trasferta!). Nel frattempo, sempre il Capo del Dap Tamburino, che ostenta la volontà di “dimagrire” gli uffici ministeriali dall’eccesso di personale, dispone l’arrivo di una trentina di agenti al suo dipartimento togliendoli dai sofferenti istituti penitenziari. A questo punto, secondo noi se c’è qualcuno che deve essere trasferito questo è il Capo del Dap Giovanni Tamburino! Considerata, quindi, l’ostinata arroganza con la quale il Dap persiste nel difendere provvedimenti scriteriati e contrari alla buona amministrazione, il Sappe ha proclamato lo stato di agitazione del personale della polizia penitenziaria, programmando una mobilitazione nazionale che inizierà con un Consiglio regionale straordinario del sindacato a Rieti il prossimo 2 maggio, nel corso del quale si terrà una conferenza stampa ed un’assemblea con il personale del carcere. Successivamente, il Sappe intende tenere un’altra assemblea con il personale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria all’interno del palazzo di Largo Daga a Roma. La mobilitazione, proseguirà, quindi con una grande manifestazione di protesta in piazza a Roma, in concomitanza con la Festa del Corpo, il 18 maggio 2012. Nel frattempo il Sappe ha inviato una nota al Ministro della Giustizia Severino con la quale si richiede l’avvio delle procedure di valutazione degli incarichi dirigenziali ad Dap ai sensi dell’art. 10, lett. b) del D.Lgs. 63/2006, con opportuni accertamenti volti ad assumere eventuali determinazioni necessarie anche, se del caso, con la revoca degli incarichi conferiti in ambito penitenziario. Pordenone: Osapp; nuovo carcere sarebbe in area di non facile raggiungimento stradale Messaggero Veneto, 27 aprile 2012 “È ormai solo uno spreco di tempo e di risorse continuare a portare avanti un piano carceri che, in quasi 4 anni, ha prodotto solo i progetti (e non ancora la realizzazione) dei nuovi istituti di pena di Camerino e di Pordenone, entrambi per 450 posti detentivi e il primo da situarsi in un’area di non facile raggiungimento stradale e l’altro da realizzarsi in una zona a rischio smottamenti”. È quanto sostiene l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), secondo cui anche per quanto riguarda le strutture penitenziarie realizzate “la musica non cambia”. Ha quindi pienamente ragione il ministro Severino quando si riferisce ai risparmi collegati all’esigenza di mantenere nelle carceri una sorveglianza rigida solo per 28mila detenuti di comprovata pericolosità su 66mila presenze detentive. Peccato che, parlando di risparmi - conclude il sindacato - si dimentichi di considerare le 7mila unità in meno della polizia penitenziaria rispetto ad un organico fermo al 1992 e si lasci nel contempo in piedi, per una spesa di diverse centinaia di milioni di euro, un piano di edilizia penitenziaria né utile né produttivo”. Chiavari (Ge): Sappe; arriva il Capo del Dap… pareti imbiancare per effetto miracoloso Comunicato stampa, 27 aprile 2012 “La preannunciata visita del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Giovanni Tamburino a Chiavari nel prossimo fine settimana ha già prodotto un effetto “miracoloso”. Sono infatti state prontamente ridipinte le pareti del carcere, determinando l’aria irrespirabile nei piccoli locali, e nascosti quei cavi penzolanti la cui pericolosità era stata denunciata dal Sappe tempo fa. Evidentemente l’apparenza conta più della sostanza. Più delle mura imbiancate per l’occasione, noi ci auguriamo che il Capo del Dap Tamburino si renda conto ed intervenga sulle criticità del carcere di Chiavari. Sul sovraffollamento della struttura, ad esempio, che il 31 marzo scorso ospitava 92 persone detenute a fronte di una capienza regolamentare di 78 posti letto. Dei presenti, 32 erano gli imputati e 60 i condannati. Gli stranieri sono circa il 45%. Ha certamente inciso sul contenimento delle presenze la recente legge che limita a casi eccezionali la presenza in carcere fino all’udienza di convalida. Ma il sovraffollamento alimenta la tensione lavorativa dei poliziotti penitenziari. L’organico del carcere di Chiavari è previsto in 71 unità di Polizia penitenziaria ma in realtà i poliziotti in forza sono 50: sono dunque 21 le unità in meno rispetto a quanto previsto. Si pensi, a proposito di eventi critici, che nel corso del 2011 i detenuti hanno posto in essere 1 tentativo di suicidio, 4 atti di autolesionismo e 3 colluttazioni. E nonostante il lavoro sia elemento cardine del trattamento penitenziario, di fatto, a lavorare nelle carceri oggi è una percentuale davvero irrisoria di detenuti e questo alimenta l’ozio e una tensione detentiva fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Noi crediamo che siano queste le cose che deve sapere e sulle quali deve intervenire il Capo del Dap Tamburino sul carcere di Chiavari. Altro che mura verniciate di fresco”. Lo dichiara Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Palermo: al Mercato del contadino i prodotti agricoli dei detenuti Il Velino, 27 aprile 2012 Sono i prodotti agricoli del riscatto. Testimoniano la voglia di normalità dei detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo. Sono stati coltivati all’interno del penitenziario e il frutto del lavoro viene presentato ai cittadini. L’appuntamento è per domani mattina, sabato 28 aprile, al Mercato del contadino che si svolge all’Istituto zootecnico per la Sicilia di via Roccazzo, a Palermo. I detenuti saranno impegnati in prima persona al banco della vendita. Una vendita simbolica, visto che sarà il cliente a stabilire, con un’offerta libera, il prezzo di zucchine, fave, cipolle, melanzane e quant’altro è stato coltivato nell’orto del carcere palermitano. Il progetto denominato L’Errore, voluto da Confesercenti Palermo, euro, Rem e Movimento del Cittadino, non ha scopo di lucro. “La nostra associazione ha sposato con entusiasmo il progetto - spiega Pietro Solazzo, commissario di Confesercenti Palermo. Oggi ne raccogliamo i frutti nel vero senso della parola. Grazie all’impegno del direttore Francesca Vazzana e del personale penitenziario del carcere Pagliarelli - aggiunge - offriamo una vera occasione di riscatto per i detenuti, non tanto per il valore simbolico della giornata, quanto in prospettiva futura. Sentirsi utili e parte integrante di un’iniziativa può aiutare i detenuti a capire che, oltre le sbarre, un altro mondo è possibile”. Il ricavato della vendita servirà per acquistare nuove attrezzature. Sono quaranta, di cui dieci donne, i detenuti che si sono dedicati alla cura dell’orto. Hanno imparato a lavorare la terra e ora, per completare la filiera produttiva, cureranno il rapporto con i “clienti” sotto gli occhi dei parenti con i quali, per una volta, potranno interagire in un luogo diverso dalla struttura penitenziaria. Bologna: tagliatelle per la sartoria della Dozza, piatti a 5 euro in Piazza Nettuno Dire, 27 aprile 2012 Voglia di tagliatelle al ragù in perfetto stile bolognese? Arriva “Fatte, cotte e mangiate”, l’iniziativa di degustazione gastronomica in programma sabato 28 e domenica 29 aprile in piazza del Nettuno. L’evento è organizzato da 5 associazioni che collaborano per l’occasione: l’Associazione Panificatori di Bologna e provincia (grazie anche all’aiuto delle Sfogline da poco associate), la Federcarni, l’Unione italiana cuochi di Bologna, l’Ascom e la Cooperativa sociale “Siamo qua”. Obiettivo della manifestazione è promuovere la gastronomia bolognese, puntando su due prodotti d’eccellenza, tipici della cucina bolognese, le tagliatelle e il ragù. Ma c’è anche una finalità solidaristica. L’intero ricavato della vendita (si parte da un’offerta minima di 5 euro a porzione) sarà, infatti, donato alla Cooperativa “Siamo qua” per sostenere il progetto “Gomito a gomito”, il laboratorio sartoriale che dal dicembre 2010 dà lavoro alle detenute della sezione femminile del carcere della Dozza. Per l’occasione, in piazza del Nettuno saranno allestiti alcuni stand, dove sarà possibile comprare le tagliatelle al ragù e vedere all’opera le sfogline e i cuochi volontari. “Abbiamo previsto di preparare 7.000 porzioni di tagliatelle al ragù da distribuire sabato e domenica - racconta Francesco Mafaro, presidente dei Panificatori. La ricetta che useremo per cucinare è quella che fin dal 1982 è depositata presso la Camera di Commercio, come ricetta tipica bolognese”. Il ricavato andrà a sostegno della sartoria della Dozza. Il progetto “Gomito a gomito” nasce 3 anni fa quando la direzione del carcere, in collaborazione con il Cefal, decide di promuovere alcuni corsi di formazione per i detenuti. Dalle 4 coinvolte all’inizio, oggi le detenute impegnate nel laboratorio sono diventate 3, tutte con una lunga pena da scontare. Vestiti, borse, pantofole, biancheria per la casa: questi sono alcuni dei capi prodotti dalle detenute della Dozza. Dopo un periodo iniziale di vendita ai negozi, ora gli indumenti di “Gomito a gomito” vengono venduti direttamente al pubblico, con un banchetto presente tutti i sabati dalle 9 alle 14 al Mercato della Terra di via Azzo Gardino. “Vorremmo diventare autosufficienti- commenta Fra Martino della Cooperativa sociale “Siamo qua”. Grazie al laboratorio, le detenute imparano un lavoro e si sentono utili: è anche un ottimo modo per far passare il tempo durante il periodo di reclusione”. Evoluzione gastronomica, crescita professionale e miglioramento della qualità dei prodotti grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie: questi sono gli obiettivi che da anni animano il lavoro, e la collaborazione, dei cuochi, delle sfogline, dei macellai e, più in generale, del settore gastronomico bolognese. “I bolognesi, ma anche i turisti, hanno ormai dimostrato di apprezzare la degustazione di prodotti tipici nelle piazze e nelle strade della loro città - commenta Giancarlo Tonelli, direttore generale Ascom Bologna. Per questo progetto, come per altri, abbiamo collaborato con la Usl per garantire una sana e corretta alimentazione, in un momento in cui vogliono togliere anche la nostra mortadella dalle scuole”. L’appuntamento è sabato 28 aprile dalle 10 alle 19 e domenica 29 aprile dalle 10 alle 18 in Piazza Nettuno (orario continuato). Roma: la musica come opportunità di recupero per i detenuti Il Velino, 27 aprile 2012 “Abbiamo avuto modo di riscontrare che la musica, come per esempio i concerti di artisti famosi nelle carceri del Lazio, nella cornice delle diverse attività consentite all’interno degli Istituti penitenziari, non ha svolto solo una funzione rilassante e di passatempo, bensì ha costituito anche, nella sua potenzialità espressiva, un utilissimo strumento di comunicazione e di superamento di quelle difficoltà comunicativo-relazionali, spesso riscontrabili in alcune persone detenute”. È quanto ha dichiarato l’assessore agli Enti Locali e Politiche per la Sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, partecipando, oggi, insieme all’artista Marco Masini alla trasmissione Uno mattina su Rai 1. “È così - ha continuato l’assessore Cangemi - che la partecipazione dei detenuti ad attività di tipo musicale, oggi diffusamente organizzate negli istituti penitenziari grazie all’impegno e all’indirizzo politico fortemente voluto dalla presidente Renata Polverini, è divenuta una vera e propria opportunità di crescita soggettiva e di recupero dello stesso detenuto, oltre che una validissima modalità di arricchimento del proprio spessore culturale”. “È da sottolineare tra l’altro - ha concluso Cangemi - che grazie a questa attività musicale e all’intelligenza e buona volontà delle attuali direzioni delle carceri e del Provveditorato del Lazio, numerosi detenuti hanno avuto la possibilità di esibirsi, anche nel corso della scuola di musica, con i nostri artisti più famosi. Questo contatto con il mondo esterno e con personalità dello spettacolo italiano, anche se sporadico, accresce l’autostima e aiuta a superare molte forme di pregiudizio: e da parte del detenuto e, soprattutto, da parte della società civile nei confronti di chi ha commesso degli errori. È urgente e importante, in ultimo, far comprendere alla società che la persona vale di più di qualsiasi reato commesso e che, offrendo a tempo debito opportunità e fiducia, è possibile aiutare chi ha sbagliato a rifarsi una vita “normale”. Questo rappresenta il succo della concezione italiana della carcerazione al fine del riscatto sociale”. Modena: domenica sul palco della Tenda i detenuti della casa di lavoro di Saliceta Gazzetta di Modena, 27 aprile 2012 Nei prossimi giorni il tema della “liberazione”, per simboli o paradossi, s’intreccia nuovamente agli eventi in programma alla Tenda, la struttura di viale Molza (angolo viale Monte Kosica) gestita dall’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Modena. Domenica 29 aprile protagonisti di “Siamo tutti fuori” sono i reclusi della Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano che alle 16.30 presentano il progetto “Il bagaglio della vita”, condotto dalla cooperativa sociale Mediando, in cui i detenuti hanno elaborato ed espresso attraverso tecniche artistiche i propri vissuti, legati alla condizione di reclusione. Segue un dialogo con le persone internate. “La musica libera. Libera la musica” è invece il concorso promosso dall’assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e dall’Agenzia informazione e comunicazione della Giunta regionale che approda alla Tenda sabato 28 aprile alle 20.30. Durante la serata, condotta da Francesca Leoni e Gianni Gozzoli, si svolgerà la premiazione e si esibiranno i sette artisti vincitori; tra loro anche i Soul Stirring Sound di Modena a cui la giuria ha assegnato il premio sezione Soul and R&B. Il premio speciale Consulta degli Emiliano-Romagnoli nel Mondo è andato invece ad Alvaro Scaramelli di Santiago del Cile e il premio Aie Emilia-Romagna a Macòla di Forlì-Cesena. I restanti premi saranno assegnati dopo le audizioni, aperte al pubblico, che si terranno nel pomeriggio di sabato 28 aprile, sempre alla Tenda. Alla realizzazione del concorso ha collaborato anche il Centro Musica di Modena e alla premiazione sarà presente anche l’assessore alle Politiche giovanili del Comune Fabio Poggi. Venerdì 27 aprile alle 21.30 nella struttura di viale Molza la serata di letture, in collaborazione con Artestampa e con la partecipazione musicale di Gruppo fonico locale sarà con Fabrizio Cavazzuti che presenta “Le cattive intenzioni”. Cinema: in “Hunger”, la brutale violenza dei carcerieri di Long Kesh in Irlanda di Sandra Campanini La Gazzetta di Reggio, 27 aprile 2012 Dopo il successo di “Shame” di McQueen interpretato da uno straordinario Michael Fassbender, Bim fa uscire “Hunger”, il brillante esordio di McQueen, presentato a Cannes nel 2008 dove vinse anche la Camèra d’or come miglior esordio. Dopo quattro anni esce quindi finalmente “Hunger”, un film duro e di forte impatto, con protagonista sempre Michael Fassbender . In “Shame” l’attore interpretava un uomo ossessionato dal sesso, qui è impressionante e potente nel ruolo di Bobby Sands, militante dell’Ira che guidò lo sciopero della fame dei detenuti fino alla morte nel 1981. McQueen descrive nei minimi dettagli ciò che avvenne nel carcere di Long Kesh nell’Irlanda del Nord. Mostra la dura protesta messa in atto dai detenuti repubblicani per riconquistare lo status di prigionieri politici, le violenze estreme usate per sedare le rivolte, con inquadrature ferme, volti provati, ed estremo realismo. Protagonista di tutto è il corpo, in primis quello di Fassbender-Sands che il primo marzo del 1981 iniziò con determinazione lo sciopero della fame a oltranza. Nel film si vede il suo lento deteriorarsi fino alla morte, il dimagrimento estremo, la sofferenza fisica ma non spirituale per la fermezza nel portare avanti la sua battaglia. Sands fu il primo di dieci detenuti che persero la vita nella protesta e morì dopo 66 giorni di digiuno. McQueen confeziona un film raro, in cui la brutale violenza dei carcerieri si combina con la delicatezza della composizione dell’immagine. “È l’atto estremo della disperazione: il corpo è l’ultima risorsa di cui si dispone per protestare - ha dichiarato McQueen -. Alla fine ci ritroviamo da soli con un uomo che trascorre i suoi ultimi giorni nel modo più estremo che esista, ma che è a un passo dalla scelta di arrendersi e vivere”. Viaggio all’interno della violenza e della brutalità delle istituzioni carcerarie di massima sicurezza, il film cerca anche di scongiurare le visioni semplicistiche che portano a classificare gli individui come “eroi”, “vittime” o “martiri”. Come già avvenuto in “Shame”, anche a proposito di quest’opera McQueen ha sottolineato: “La mia intenzione era quella di provocare, sfidare le convenzioni morali, disarmare lo spettatore. L’obiettivo era di abbattere le barriere tra il pubblico e ciò che si stava narrando, catturandone l’attenzione e stimolandone la riflessione” E Fassbender, che sarà al cinema anche in “Prometheus” di Ridley Scott, si prepara a tornare sul set per un terzo film con il regista che ha definito “un genio”. Immigrazione: appello dal Cie di Bari ai giornalisti “ci trattano peggio degli animali” www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 27 aprile 2012 “Ci trattano peggio degli animali e, per evitare proteste, ci riempiono di tranquillanti e altre medicine che ci fanno sempre dormire”. È la prima cosa che alcuni detenuti nel Centro di Bari di identificazione ed espulsione (Cie), raccontano che oggi ha visitato la struttura con una delegazione di giornalisti che hanno aderito all’iniziativa LasciateCientrare, promossa dall’Associazione della stampa di Puglia e della Fnsi. La prima cosa che i migranti hanno mostrato ai giornalisti è la piccola infermeria del Cie, con un solo lettino per le visite, dove dovrebbero essere curati i 196 “ospiti” del centro che al momento ne accoglie 119. Per tutto il Cie sono al lavoro solo un infermiere h24 e un medico che sta quattro ore al mattino e quattro il pomeriggio. In un modulo, alcuni migranti dicono di essere “in 24 ma con un solo bagno e una sola doccia che funzionano”. Mentre nel corridoio dietro la ‘stanza tv’, un altro migrante è intento a pulire i bagni e ad asciugare un piccolo fiume d’acqua sporca nel corridoio: “Se non puliamo noi - dice - viviamo ancora di più nella cacca”. I bagni sono davvero tutti arrugginiti e sporchi. Le docce molto piccole, le porte e i muri fatiscenti. Il responsabile della gestione del Cie, Umberto Carofiglio, assicura che sono stati aggiudicati, per 531.000 euro, i lavori per ristrutturare i due moduli adesso chiusi: “Noi - dice - li facciamo giocare anche a pallone e guardare le Tv straniere come al Jazeera. Cosa possiamo fare di più?”. “Continueremo a chiedere la chiusura di questa struttura, che è davvero difficile non paragonare a un carcere, ma soprattutto un profondo mutamento delle politiche di accoglienza su scala nazionale ed europea”. Lo ha detto l’assessore alle politiche dell’accoglienza del Comune di Bari, Fabio Losito, a margine della visita di una folta delegazione di giornalisti pugliesi nel Centro identificazione e espulsione (Cie) di Bari. Per Losito, “la maggior parte dei problemi che ci troviamo ad affrontare, nascono proprio dall’approccio dell’Europa rispetto a un fenomeno che la interroga e davanti al quale si vogliono chiudere gli occhi”. “Oggi più che mai, nell’ambito della settimana europea “Open access now” alla quale ha aderito la Federazione nazionale della stampa con la propria iniziativa LasciateCientrare, noi diciamo che bisogna continuare a entrare in queste strutture, semplicemente per fare il nostro lavoro: raccontare ai cittadini come si svolge la vita all’interno di queste strutture”. Così il presidente dell’Associazione della stampa di Puglia, Raffele Lorusso, a margine della visita di una delegazione di giornalisti nel Centro identificazione e espulsione (Cie) di Bari. “Questa - ha ricordato Lorusso - è una iniziativa che la Federazione nazionale della stampa ha promosso già l’anno scorso quando l’ingresso in queste strutture era assolutamente bandito. Ma da gennaio di quest’anno - ha concluso - una circolare del ministero dell’Interno ha reso meno stringenti vincoli e divieti, per cui, sia pure dopo lunghe trafile burocratiche, si riesce a entrare”. “La campagna nazionale “LasciateCIEntrare” a cui abbiamo aderito fin dal suo avvio, rappresenta uno strumento straordinario per fare luce su luoghi come i Cie che rappresentano una insopportabile sospensione della democrazia e della civiltà del nostro Paese”. Lo afferma a nome di Sel-con Vendola, Nicola Fratoianni, della segreteria nazionale di Sel dopo che una delegazione di giornalisti ha visitato il Cie di Bari, nell’ambito della campagna nazionale promossa dalla Fnsi e dalle associazioni impegnate sul terreno dell’immigrazione. “Solo poche settimane fa - prosegue Fratoianni, che è anche assessore della Regione Puglia - abbiamo denunciato con Nichi Vendola le indecenti condizioni del Cie di Restinco (Brindisi)”. “In un Paese civile - insiste l’esponente di Sel - è insopportabile, e lo diciamo con forza al ministro Cancellieri, che esistano luoghi nei quali si può essere reclusi fino a 18 mesi, peraltro in condizioni inumane, solo perché privi di un documento”. “La chiusura dei Cie - conclude Fratoianni - è il primo e necessario passo per una revisione della nostra legislazione sull’immigrazione”. “È davvero sconcertante il racconto fatto alla stampa da alcuni detenuti del Cie di Bari in merito ai trattamenti subiti all’interno della struttura. L’uso di tranquillanti o di altre medicine a base di sedativi per evitare eventuali proteste, se fosse confermato, sarebbe a dir poco vergognoso e inaccettabile in un paese democratico”: così Livia Turco, responsabile Immigrazione del Pd. “Come Pd - aggiunge - abbiamo sempre denunciato il degrado di questi centri in cui i diritti umani e civili sono purtroppo spesso sospesi. È più che necessario trovare una soluzione alternativa a questa forma di detenzione. Serve subito una seria riflessione sia a livello nazionale che internazionale per rivedere la normativa attualmente vigente, che ha dimostrato troppe volte di essere fallimentare. Chiediamo al governo - conclude - di riferire in Parlamento su quanto denunciato dai migranti e di adottare misure efficaci in tempi rapidi per porre rimedio ad una situazione diventata insostenibile”. “È davvero inquietante il quadro delle condizioni di vita dei migranti all’interno del Cie di Bari: dobbiamo subito intervenire coinvolgendo anche i nostri parlamentari, sia nazionali sia europei, perché queste strutture di detenzione e sofferenza siano chiuse in tutta la Puglia”. Lo afferma il capogruppo del Pd alla Regione Puglia, Antonio Decaro, commentando il quadro che viene tracciato dai giornalisti che oggi hanno visitato la struttura. “Stando al racconto dei cronisti - spiega - nel Cie di Bari i migranti lamentano, fra l’altro, scarse cure, assenza di igiene, poca informazione sul loro destino, oltre alla privazione della propria libertà personale senza aver commesso alcun reato: praticamente - rileva Decaro - nel Cie si assiste a una continua violazione dei diritti fondamentali dell’uomo”. “Ritengo che una regione come la Puglia - conclude Decaro - che ha fatto dell’accoglienza la propria cifra distintiva, non possa tollerare ancora a lungo che questa vergogna avvenga sul proprio territorio”. San Marino: il carcerato più coccolato (e annoiato) del mondo perde il suo status Corriere della Sera, 27 aprile 2012 Detenuto in un ex monastero riceve i pasti da fuori, ha una palestra ed è solo. Ma ora è in arrivo un altro prigioniero. Palestra privata, libreria e salotto per guardare la televisione: benvenuti nell’unico carcere di san Marino, dove è detenuto un trentenne (la cui identità non viene svelata) che vive quasi come in un albergo. Salvo la condanna alla totale solitudine. Il condannato in questione per la maggior parte della sua detenzione è stato infatti l’unico prigioniero del carcere dei Cappuccini di San Marino. Riceve i suoi pasti da un ristorante esterno alla prigione (del resto organizzare una mensa ad hoc per un solo detenuto sarebbe antieconomico), può liberamente allenarsi in una palestra tutta per lui, consultare la libreria e vedere la tv in una cameretta destinata all’entertainment. Ma nei prossimi giorni il trentenne, che ha ancora otto mesi da scontare in seguito a una condanna per violenza domestica, perderà il suo status, nel bene e nel male. Arriverà infatti un nuovo ospite e il carcerato più coccolato, ma anche più annoiato del mondo si sentirà meno isolato. Nel carcere dei Cappuccini di San Marino, ex monastero con sei celle disposte su due piani, non c’è alcun problema di sovraffollamento, né ci sono processioni per andare in infermeria o materassi scaraventati per terra. Semmai il problema è opposto: in questa prigione, che altri carcerati hanno soprannominato Seychelles, non c’è quasi nessuno. Il mono-detenuto più invidiato del mondo (tra i detenuti si intende) a onore del vero ha attraversato qualche mese della sua detenzione in compagnia, ma a conti fatti si è trattato sempre di brevi periodi. Nel 2010 arrivarono sette detenuti, ma vi rimasero per 83 giorni. L’unico periodo caotico, se così si può definire, fu nel 2009, quando arrivarono ben 14 carcerati. Per il resto la solitudine è stata completa, fino al punto di impazzire nonostante tutti gli invidiati agi. E del resto anche in passato la prigione è stata frequentata da altri detenuti che hanno scontato la pena in totale solitudine. Ma come si spiega l’esistenza di questo carcere a pochi chilometri da Rimini? Le ragioni sono in realtà diverse. Nello Stato di San Marino, che conta solo trentamila residenti, i pericoli di evasione e latitanza, considerate le dimensioni, sono minori e non esiste la carcerazione preventiva. Inoltre vige un sistema di pene alternative alla carcerazione molto più esteso di quello italiano. Insomma, nel piccolo tutto funziona meglio. Anche le prigioni. Anche se forse questo viziatissimo detenuto solitario avrebbe preferito in molti momenti essere un prigioniero qualunque. Stati Uniti: Rapporto Senato; tortura dei prigionieri non serve per lotta al terrorismo Ansa, 27 aprile 2012 La tortura dei prigionieri non serve per combattere il terrorismo e non ha portato alla cattura di Bin Laden. È la conclusione a cui è arrivata una commissione del Senato americano dopo un’indagine di tre anni. Secondo i risultati, le tecniche di interrogatorio che di fatto sono delle vere e proprie torture sui prigionieri ‘di alto profilò non avrebbero portato a scoperte eclatanti ai fini dell’antiterrorismo. Gli esperti della commissione hanno passato al setaccio le documentazioni raccolte durante l’epoca in cui era presidente George W. Bush e sono giunti alla conclusione che non sono sufficienti ad appoggiare quanto sostenuto da alcuni sostenitori dell’ex presidente, secondo i quali quegli interrogatori erano utili per mettere a segno colpi al terrorismo. Tra le tecniche usate c’erano il water-boarding o affogamento simulato, la privazione del sonno, lo sbattere i detenuti contro un muro flessibile. La Cia aveva già cominciato a prendere le distanze da tali pratiche nel 2004, mentre il presidente Barack Obama le ha definitivamente bandite una volta arrivato alla Casa Bianca. Un funzionario ha detto che gli inquirenti non hanno trovato alcuna prova che l’uso della tortura abbia giocato un ruolo significativo nelle operazioni dell’intelligence che in tre anni hanno portato alla scoperta e all’uccisione di Osama Bin Laden lo scorso maggio. Tra i sostenitori del programma di torture della Cia l’ex vice presidente Dick Cheney, secondo il quale quelle tecniche erano necessarie anche se spiacevoli per fermare attacchi terroristici. Spagna: i detenuti dell’Eta forse presto in semilibertà Agi, 27 aprile 2012 Il governo spagnolo annuncia un piano di reinserimento che coinvolgerebbe i membri del crimine organizzato e anche i detenuti condannati per reati terrorismo. In primo luogo dunque i membri dell’Eta, a patto che abbiano rinunciato alla violenza. Madrid tende una mano, pur rifiutando ogni negoziato: “La condizione necessaria per prendere parte a questo programma - ha detto il ministro dell’interno Jorge Fernandez Diaz - è che il candidato dica chiaramente che abbandona la lotta armata”. Attualmente nei penitenziari spagnoli ci sono circa 400 detenuti affiliati al crimine organizzato, una quarantina di estremisti islamici e 500 membri dell’Eta che potrebbero usufruire della semilibertà. I nazionalisti baschi approvano: “È una misura positiva e noi la appoggiamo” ha dichiarato Josu Erkoreka del Pnv. Ma per i familiari delle oltre 800 vittime del terrorismo si tratta di un regalo inaccettabile e anche i movimenti politici vicini all’estremismo basco, criticano il piano. Per Martin Garitano, leader del partito indipendentista radicale Bildu, il vero passo avanti sarebbe il trasferimento nel paese basco dei detenuti, attualmente sparpagliati in carceri lontane dalle loro famiglie: “Quello che la società basca chiede è l’immediato rimpatrio di tutti i prigionieri politici baschi”. Nell’ottobre scorso l’Eta, considerevolmente indebolita, ha annunciato l’abbandono definitivo della violenza. Un impegno che non è stato ancora tradito dai fatti. Libia: sommossa nel carcere di Bengasi, 3 morti e 13 feriti Agi, 27 aprile 2012 In Libia è di almeno 3 morti e 13 feriti il bilancio della sommossa scatenata da alcuni prigionieri islamisti nel carcere di Kufia, a est di Bengasi. Secondo la stampa libica, un gruppo armato ha assaltato la prigione per liberare un detenuto coinvolto nell’uccisione del generale Abdel Fattah Younes, comandante militare dell’esercito Nazionale di liberazione libica, assassinato il 28 luglio scorso a Bengasi in circostanze poco chiare. Quando i detenuti sono riusciti a impossessarsi di alcuni arami, ne è nato un violento scontro a fuoco dentro e fuori il penitenziario, nel quale hanno perso la vita una guardia e due degli assalitori. Solo con l’arrivo di rinforzi le autorità hanno ripreso il controllo della zona. Younes era stato ministro della Sicurezza di Gheddafi ma poi era passato con gli insorti diventando capo di stato maggiore delle forze ribelli fino alla misteriosa uccisione, non è chiaro se in un’imboscata o dopo l’arresto per contrabbando di armi da parte degli stessi ribelli. Sempre a Bengasi è esploso un ordigno che ha danneggiato gravemente la facciata del tribunale su Maidan al-Shajara, la piazza dove si trovano diversi uffici governativi e la sede della Compagnia nazionale petrolifera. Le forze di sicurezza hanno riferito che all’alba un commando aveva disseminato l’edificio di trappole esplosive. Bengasi, la città da cui partì la rivolta contro Gheddafi, è da mesi teatro di violenze, compresi attacchi a uffici governativi, la profanazione del cimitero della seconda guerra mondiale e un fallito attentato contro un convoglio delle Nazioni Unite. Libano: richiesta condanna a morte per 26 rapitori dei ciclisti europei Ansa, 27 aprile 2012 Ventisei condanne a morte sono state richieste dalla procura militare libanese contro altrettanti presunti responsabili del rapimento di sette ciclisti estoni rapiti e poi liberati nella valle orientale della Bekaa l’anno scorso. Il quotidiano di Beirut an Nahar precisa che il procuratore militare Fadi Sawan ha emesso la richiesta della pena capitale per 26 su 29 accusati di associazione a delinquere con fini terroristici e affiliazione al gruppo Fatah al Islam ispirato ad al Qaida. Dei 29 accusati, solo nove sono finiti finora in carcere. Tra loro figura Wael Abbas, il leader della banda dei rapitori degli estoni e Muhammad al Ahmad, anche noto come Muhammad Zarife, arrestato dalle autorità siriane e ancora in carcere in Siria. I sette estoni erano stati sequestrati in aprile da ignoti uomini armati nei pressi di Zahle, principale centro della Bekaa. Erano stati liberati a luglio al termine di lunghe indagini conclusesi con un blitz dei servizi di sicurezza francesi. A settembre 2011, la polizia libanese aveva ucciso due presunti membri della cellula dei rapitori nella parte meridionale della Bekaa. Successivamente, due poliziotti erano stati feriti - uno in maniera grave, è poi morto - durante uno scontro a fuoco a Shtura, sempre nella valle libanese, con altri sospettati di aver preso parte al sequestro. Corea Del Sud: primi tre modelli RoboGuard già attivi nel penitenziario di Pohang Agi, 27 aprile 2012 I detenuti del carcere di Pohang in Corea del Sud che stanno pianificando la fuga da oggi dovranno fare i conti con un agente speciale: RoboGuard è il suo nome ed è immune ai proiettili o alle percosse. Un robot che, come riporta El Mundo, ha iniziato a pattugliare la struttura carceraria, armato di telecamere 3D, altoparlanti, microfoni e un sistema di computer che gli permette di avvertire i “colleghi” umani in tempo reale se si verifica qualsiasi inconveniente contro la legge e l’ordine. I creatori del robot carcerario sostengono che si tratta di un’invenzione che garantirà un futuro di sicurezza a bassi costi nelle prigioni di tutto il mondo. I primi tre modelli RoboGuard sono già attivi nel penitenziario di Pohang, cittadina di mezzo milione di abitanti. Anche se la versione attuale non prevede il porto d’armi, i realizzatori hanno preso ispirazione dal film “Robocop”. Le nuove guardie hanno la capacità di determinare, attraverso programmi complessi di analisi coordinata di gesti, suoni e movimenti, lo stato di stress e di aggressività dei prigionieri. Alto poco più di 150 centimetri, Roboguard può essere controllato da un computer o un iPhone e torna alla base da solo per ricaricare la batteria quando è al 20 per cento.