Giustizia: Radicali; domani a Roma la II marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà Agenparl, 24 aprile 2012 Sono migliaia le adesioni alla II Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà che si terrà a Roma domani 25 aprile, per chiedere al Parlamento un impegno concreto e solerte, adeguato ad affrontare le drammatiche condizioni in cui versano la giustizia e le carceri nel nostro Paese. È la nota diffusa dai Radicali. A più di sei anni dalla Marcia di Natale del 2005, la crisi della giustizia italiana si è ulteriormente aggravata. Si tratta di una delle più grandi questioni sociali nel nostro Paese, fonte continua da oltre trent’anni di condanne da parte delle Corti di Giustizia europea e internazionali, per violazione dei diritti umani fondamentali. L’appuntamento è per domani, alle ore 10, davanti al Carcere di Regina Coeli (Via della Lungara) da dove il corteo si muoverà alle 10.30, percorrendo le vie del centro fino a raggiungere le sedi del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, di Palazzo Chigi, per poi concludersi alle 12.30 in Piazza San Silvestro dove si alterneranno numerosi interventi tra cui quelli di Marco Pannella ed Emma Bonino. Centinaia le personalità e i soggetti che insieme al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, hanno deciso di farsi promotori di questa Marcia, tra cui Giuliano Amato, Rita Levi Montalcini, Adriano Sofri, Don Antonio Mazzi, Don Luigi Ciotti, Don Andrea Gallo, numerosi cappellani delle carceri, la moderatora della Tavola Valdese, Maria Bonafede, la Coreis, Comunità religiosa islamica e l’Ucoii, Unione comunità islamiche italiane; le maggiori sigle sindacali come Cgil Nazionale, Ugl e Cisl con il Segretario Generale aggiunto Giorgio Santini; il Si.Di.Pe, sindacato dei direttori penitenziari, i sindacati di Polizia Penitenziaria Uil-Pa e Osapp, l’Unione Camere Penali, la Cgia di Mestre, con Giuseppe Bortolussi; sindaci tra cui quello di Milano Giuliano Pisapia e quello di Padova Flavio Zanonato; Nicolò Amato, già capo del Dap, l’ex Guardasigilli Francesco Nitto Palma, centinaia di parlamentari di tutti gli schieramenti, consiglieri regionali, provinciali e comunali. Accademici, come Giuseppe Di Federico, Margherita Hack, Fulco Lanchester, Antonio Martino e Gianfranco Pasquino. Ilaria Cucchi, Rudra Bianzino, Lucia Uva, la madre di Daniele Franceschi Cira Antignano e numerosi altri familiari di detenuti. Associazioni come Antigone, A Buon Diritto, Articolo 21, Il detenuto Ignoto, Il Forum nazionale dei Giovani; il settimanale Tempi con il direttore Luigi Amicone, Giuliano Ferrara e il Foglio, il collettivo del Manifesto, il direttore di Europa Stefano Menichini e il condirettore Federico Orlando, Piero Sansonetti e il settimanale Gli Altri, e numerosi altri giornalisti, personalità del mondo della cultura e dello spettacolo. Giustizia; Radicali; lettera aperta ai Segretari Pd, Pdl, Udc, Idv, Lega, Sel, Verdi, Fli, Api di Mario Staderini, Michele De Lucia e Rita Bernardini Notizie Radicali, 24 aprile 2012 Il 25 aprile si terrà la II Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà. Sono i tre obiettivi intorno ai quali ci ritroveremo nel giorno della Liberazione insieme a religiosi e laici, sindaci e presidenti di provincia con i gonfaloni delle loro città, parlamentari di ogni schieramento politico, sindacati, parenti di detenuti, agenti di polizia penitenziaria, associazioni del volontariato, educatori, psicologi, assistenti sociali, giornalisti, altre personalità e cittadini comuni. La bancarotta del nostro “sistema giustizia”, con i suoi dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi, produce costi non tollerabili in termini di diritti umani violati e pone la Repubblica italiana in uno stato di manifesta flagranza di reato. La lentezza della giustizia civile, oltretutto, arreca all’economia un danno diretto valutato dalla Banca d’Italia in un punto di Pil, senza contare il disincentivo agli investimenti e l’ostacolo all’attuazione delle riforme. In Europa siamo dei “sorvegliati speciali”. A causa della irragionevole durata dei processi, per il quinto anno consecutivo l’Italia ha conquistato il poco invidiabile primato del Paese con il maggior numero di sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo rimaste inapplicate. La stessa Corte ha ripetutamente accertato che nelle nostre carceri, dove peraltro il 42% di detenuti è in attesa di giudizio e per la metà sarà assolto, si vive in condizioni disumane e degradanti. Il marzo scorso il Comitato dei Ministri ha chiesto alle autorità italiane di “presentare un piano d’azione che, oltre a proposte concrete su come risolvere la questione, contenga anche un calendario che permetta di monitorare attentamente gli effetti delle riforme già introdotte e la tempistica per le misure ancora da introdurre”. Ebbene, ad oggi nulla è stato fatto o si prevede di fare per rispondere a quanto da trent’anni ci viene formalmente ingiunto dalle giurisdizioni internazionali, per rispondere a quella “prepotente urgenza” di cui ha parlato il Presidente della Repubblica. Lo stesso Governo, per bocca del sottosegretario Salvatore Mazzamuto, ha ammesso che le depenalizzazioni previste nel disegno di legge Severino in discussione in Commissione Giustizia della Camera hanno una portata minima e sicuramente “non adeguata rispetto agli obiettivi deflattivi che si pone il Governo”. Da parte nostra, siamo convinti che un provvedimento di amnistia rappresenti la soluzione più efficace per il ripristino immediato della legalità nazionale e internazionale. Non un atto di clemenza, dunque, ma lo strumento per avviare una riforma strutturale della giustizia, capace di restituire una ragionevole durata ai processi e di superare la criminale condizione penitenziaria italiana. L’amnistia è la nostra proposta. E la vostra? Nessuno sinora ha saputo suggerire soluzioni alternative e operare perché si affermino. In nome di quale ragion di stato - o di partito - riuscite a sopportare inerti l’oggettiva complicità ad una patente violazione delle leggi e dei diritti umani? Una forza politica che non si occupi della crisi della giustizia può farlo solo perché all’opinione pubblica è vietato conoscerne gli effetti devastanti. Come per il debito pubblico, non c’è programma di approfondimento che in questi anni abbia informato gli italiani e consentito loro di confrontare le diverse proposte di riforma e di intervento immediato. Quanto ai notiziari, è sufficiente ricordare che nel 2011 la Rai ha dedicato 6mila notizie nei notiziari radio e tv a tre casi di cronaca nera (l’omicidio di Sara Scazzi, di Yara Gambirasio e di Melania Rea) e solo 26 notizie, ad esempio, ai 66 detenuti e agli agenti penitenziari che si sono suicidati. Domani marceremo perché vi sia una nuova liberazione da tutto questo, con la speranza che possa aiutare anche voi per affrontare - finalmente - ciò su cui, per calcolo o quant’altro, avete sinora scelto di tacere. Giustizia: grandi manovre di Pannella, tra amnistia e Norimberga Il Foglio, 24 aprile 2012 Domani la Marcia per la giustizia, intanto il gran politico radicale fiuta in Grillo un amico antipolitico. Dopo che Radio Radicale ha mandato in onda il comizio tenuto da Beppe Grillo a Sesto San Giovanni il 20 aprile, ci si chiede se in quella decisione non ci sia il solito genio pannelliano al lavoro. Che da una parte lancia la seconda Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà - domani, 25 aprile, anniversario della liberazione dal nazifascismo, a Roma, e dall’altra strizza l’occhio all’antipolitica a cinque stelle, riconoscendone qualche tratto di affinità, se non di diretta o indiretta filiazione. Ma c’entra davvero il leader radicale, con l’appello alla Norimberga per i partiti del comico capopopolo genovese? Pannella dice al Foglio di Grillo che “c’è una prima evidenza: è una forza della natura. Per intenderci, come lo sono anche io e quell’altro bestione dell’Umberto. Temo però sempre, e già ho avuto occasione di scriverglielo, a Grillo, che finisca per andare a sbattere, e che stavolta ci vada proprio lui, oltre a chi lo accompagna. Abituato come sono a giocare il possibile contro il probabile, l’idea che ho è che Beppe e i tanti suoi di oggi non costituiscano una dissipazione di un improbabile bene comune. Basterebbe, per esempio - prosegue Pannella - che comprendesse che una Norimberga dopo la nostra Corte penale internazionale è esattamente l’opposto dei processi da stadio ai quali sembra non troppo consapevolmente pensare. Ciò detto, è interessante leggere, sulla pagina Facebook del Popolo viola, il panico di quasi tutti gli intervenienti all’idea che io possa in qualche misura circuire Grillo, corromperlo. E poiché la dissipazione mi è più di ogni altra cosa estranea (e anche mi repelle), vi ripeto anche in casa di una quarta bestia come Giuliano Ferrara che è possibile concepire e mettere alla luce altro che l’eliminazione del perverso nemico”. Il flirt con l’antipolitica grillina non impedisce a Pannella di concentrarsi, in queste ore, sull’iniziativa politica per l’emergenza carceri. Dall’inizio dell’anno sono morti nelle galere italiane cinquantaquattro detenuti, diciotto dei quali suicidi (dato aggiornato al 17 aprile). Basta anche solo questa nuda cifra per capire che nei sei anni che separano la prima Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà - il giorno di Natale del 2005 - e quella convocata per domani mattina a Roma (partenza da via della Lungara, carcere di Regina Coeli, per raggiungere piazza San Silvestro, a un passo dal Parlamento) la situazione non è cambiata. Continuiamo ad avere 67.000 detenuti in celle che ne potrebbero ospitare in condizioni decenti non più di 45.000. Continuiamo ad avere nove milioni di procedimenti pendenti e 180mila prescrizioni annuali. La marcia di domani, promossa da Rita Levi Montalcini insieme con Ilaria Cucchi, Lucia Uva e Rudra Bianzino (le sorelle di Stefano Cucchi e di Giuseppe Uva e il figlio di Aldo Bianzino, che chiedono giustizia per i loro congiunti morti mentre erano in stato di detenzione) è quindi, ancora una volta, la richiesta al Parlamento di un’amnistia. La lista delle adesioni è lunghissima (c’è anche il Foglio con il suo direttore Giuliano Ferrara, come nel 2005: l’elenco completo delle adesioni su radicalparty.org). Ed è una lista del tutto trasversale, ricca di nomi di parlamentari di tutti gli schieramenti, di associazioni, di sacerdoti, di sigle dell’associazionismo cattolico e del volontariato, di nomi della cultura, di direttori di penitenziari, di sindaci e di sigle sindacali, dalla Cgil all’Ugl (c’è anche l’Unione delle comunità islamiche). Nel 2005, tra le adesioni alla marcia c’era anche quella di Giorgio Napolitano, non ancora presidente della Repubblica. A lui si è rivolto direttamente ieri Marco Pannella da Radio Radicale: “Abbiamo un’Italia in indiscutibile flagranza di reato contro la nostra stessa Costituzione. Hai detto che ci dobbiamo vergognare davanti a tutta l’Europa, hai evocato il termine orrore per parlare della realtà carceraria, hai parlato di prepotente urgenza eppure non hai fatto messaggi alle Camere”. La marcia chiede con forza l’adozione di un indulto, come nel 2006, e soprattutto di un’ampia e necessaria amnistia, unico provvedimento credibile per rispondere all’emergenza e per ripristinare la minima base di legalità nelle carceri italiane che sia di traino a quella riforma della giustizia da molti invocata e mai realizzata. Dei motivi di quella mancata realizzazione, Pannella ci dice che “l’ostacolo è uno solo: uno stato fuorilegge, tecnicamente criminale e costretto alla più volgare (e magari efficace) antidemocrazia. La data del 25 aprile è molto appropriata. Si tratta di liberare di nuovo l’Italia come ci liberammo del ventennio partitocratico fascista; ora dal sessantennio che ho sempre chiamato “monopartitico antifascista” perfetto. Qualcosa che deve cadere ma senza rovine, salvando anche i cattivi: che, in quanto tali non ci sono, per me” (è forse qui che risiede la differenza più marcata con Grillo?). Il sociologo Guido Vitiello, che sul Foglio scrive spesso di giustizia, ha aderito alla marcia del 25 aprile. La sua idea è che “il problema dell’amnistia si è impantanato nello stesso sistema di paralisi da veti incrociati di tutto, da quando è stato rimesso unicamente ai partiti. L’amnistia, insomma, non si fa da quando da prerogativa presidenziale è diventata tema di trattativa tra i partiti. Tutti sono favorevoli a parole, perché è nobile l’immagine di chi si preoccupa per i carcerati, ma poi non si trova nessuno che voglia intestarsela politicamente. Ricordiamoci quello che è successo con l’indulto, nel 2006: appena votato, tutti se ne dissociarono. Ma in questo momento l’amnistia dovrebbe essere condivisa anche dai contrari, perché è l’unica via per risolvere un’emergenza scandalosa. Un giurista insigne come Giuseppe Di Federico, che pure dice che di principio lo strumento dell’amnistia non gli piace, aggiunge che non c’è alternativa. Si può credibilmente parlare di riforma delle carceri e della giustizia solo una volta sanato lo scandalo umanitario sotto gli occhi di tutti”. Giustizia: l’amnistia necessaria di Marco Cappato Europa, 24 aprile 2012 Ci sono due crolli sotto i quali rischia di restare schiacciato il governo Monti, insieme a tutte le istituzioni. Il primo riguarda il sistema economico finanziario, ed è il rischio dalle conseguenze più immediate. Ma almeno se ne parla, nel senso che è al centro del dibattito anche transnazionale. Che le soluzioni non siano in vista, e che forse non lo saranno almeno fino a che non divengano esse stesse transnazionali, è un discorso che ci porterebbe lontano. Il secondo crollo sarà forse meno immediato, o soltanto meno facilmente misurabile attraverso indici istantanei tipo “spread”, ma non è detto che sia meno devastante: il collasso del sistema giustizia, che poi significa collasso dello stato di diritto, sta distruggendo la possibilità stessa di governare il paese, di riformarlo o semplicemente gestirlo. Non mancano gli esempi, alcuni dei quali rimandano direttamente all’impotenza del governo e di tutta la partitocrazia davanti alla crisi economica: quanto serve riformare l’articolo 18 se l’applicazione delle leggi sul lavoro è affidata a una magistratura agonizzante? Come rispondere al dilagare dei suicidi di imprenditori senza sciogliere il nodo di una giustizia civile che fa aspettare molti anni per riscuotere un banale credito? Gli stessi investitori internazionali fuggono di fronte a un mercato privo della possibilità stessa di far rispettare le regole, che poi rappresentano la condizione stessa per la vita di un mercato che non sia ridotto a riserva di caccia per affaristi e potentati. Bankitalia valuta in un punto del Pil la ricchezza che la malagiustizia manda in fumo. L’1 per cento è quanto basterebbe per evitare la recessione e innescare un circolo virtuoso, non solo civile, ma anche economico. Sono cifre che dovrebbero interessare anche chi rimane indifferente all’escalation di suicidi nelle carceri. Il governo Monti e il suo grande ispiratore al Quirinale non dovrebbero, nel loro stesso interesse, continuare a girare la testa dall’altra parte. Che alternativa propongono all’amnistia di fatto e strisciante rappresentata dalle 180.000 prescrizioni l’anno? Come altro propongono di affrontare i 9 milioni di procedimenti pendenti, se non scegliendo, attraverso un’amnistia legale, i processi più gravi da portare a termine e abbandonando tutti gli altri? Napolitano, Monti e tutti quanti esponenti e leader di questa partitocrazia e questa repubblica, non sono aiutati dalla disinformazione di stato, che finora ha negato a chiunque - dunque persino a loro, come loro hanno negato a se stessi - qualsiasi dibattito e confronto sulle soluzioni da dare per arginare la marea (montante) delle prescrizioni e per far ripartire la giustizia. Ma loro, almeno loro, non possono non sapere, perché sono stati raggiunti personalmente dal grido d’allarme della nonviolenza radicale. Il collasso della giustizia non è certo responsabilità di Monti. È eredità pesante di decenni fallimentari come e peggio di quanto accaduto sul debito pubblico. Ma se non ci sarà una risposta, il degrado istituzionale e il dilagare dell’illegalità finirà per travolgere anche questo esecutivo. L’invito all’appuntamento del 25 aprile alle 10 davanti a Regina Coeli - per la marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà - è dunque rivolto anche a loro. Giustizia: il Consiglio regionale della Basilicata alla marcia del 25 aprile per l’amnistia Asca, 24 aprile 2012 Sarà il capogruppo dell’Idv Nicola Benedetto a rappresentare il Consiglio regionale della Basilicata alla “Seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la legalità”, in programma domani a Roma su iniziativa dei Radicali italiani. Il tema della giustizia e delle carceri sarà inoltre oggetto di uno specifico dibattito che il Consiglio regionale terrà nelle prossime settimane. “Aderisco alla seconda marcia per l’amnistia, la giustizia e la legalità - scrive il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Vincenzo Folino a Maurizio Bolognetti dei Radicali italiani - perché condivido il vostro allarme lanciato sulla realtà carceraria italiana. Come è stato sottolineato più volte dagli stessi direttori penitenziari e dagli agenti di custodia, e come purtroppo viene testimoniato dalla tragica realtà dei suicidi dei detenuti, la situazione delle carceri è gravissima: in Italia siamo molto lontani dall’osservare i principi costituzionali sul rispetto della dignità della persona e sul carattere rieducativo del carcere”. “Questa riflessione ha una valenza generale, ma riguarda direttamente anche la Basilicata - conclude Folino - e deve vedere le istituzioni impegnate nella ricerca di ogni soluzione possibile per migliorare la condizione di vita delle persone ristrette negli istituti penitenziari e tutelare i loro diritti”. Giustizia: domani davanti alla sede della Corte Cassazione manifestazione anti-amnistia 9Colonne, 24 aprile 2012 Si terrà domani, dalle 13.30 alle 15.30, a Roma, in piazza Cavour, davanti alla Corte di Cassazione, un sit-in promosso dal movimento spontaneo Giustizia e Diritti per i Cittadini colpiti dai reati Contro la Vita nato dall’impegno della scrittrice Barbara Benedettelli, insieme a Elisabetta De Nando (madre di Andrea, ucciso a 15 anni davanti agli occhi del gemello mentre attraversava la strada), Erina Panepucci (madre di Giuseppe Magnifico, ucciso mentre stava tornando a casa in macchina) ed Angelo Bertoglio. “I familiari delle vittime di omicidio, le vittime della violenza e della strada, cittadini non colpiti dal reato, i partiti con bandiere diverse e le diverse associazioni di tutela - si legge in una nota - , si uniscono con lo scopo di contrastare le continue richieste di amnistia generalizzata, e di rimarcare, specie per tutti i reati contro la vita e la persona, l’importanza deterrente e riparativa della pena”. Il sit-in ha inoltre l’obiettivo “di tenere alta l’attenzione sul grave e ricorrente problema degli omicidi stradali”. Tra le associazioni presenti quelle dedicate a Lorenzo Guarnieri e Gabriele Borgogni, che con l’Asaps e il sindaco di Firenze Matteo Renzi hanno raccolto 60mila firme per l’introduzione del reato di omicidio stradale. Verranno in Italia per l’occasione i genitori di Vincent Lorin - uno dei quattro ragazzi francesi uccisi in Italia nell’agosto 2011 mentre andavano in vacanza - in rappresentanza dell’associazione Un chemin pour demain. Il Coisp (Coordinamento per l’Indipendenza Sindacale delle Forze di Polizia) sarà presente insieme alla vedova Raciti, Marisa Grasso. No amnistia: sit-in con Pedica (Idv) Si terrà domani 25 aprile dalle 13.30 alle 15.30 a piazza Cavour davanti alla Corte Suprema di Cassazione, il simbolo dell’amministrazione del potere giudiziario, un sit-in per la tutela delle Vittime di tutti i reati contro la Vita per dire: “No all’amnistia! No all’impunità”. Il sit-in ha lo scopo di contrastare le continue richieste di amnistia generalizzata e di rimarcare l’importanza deterrente, riparativa e preventiva della pena. Previsto anche un incontro dei familiari delle vittime. La manifestazione partirà dopo che una delegazione di familiari di vittime della strada saranno state ricevute dal Papa al termine dell’udienza della mattina. Previsto l’intervento del senatore Stefano Pedica, in prima fila nella battaglia per la certezza della pena, e primo firmatario della proposta di legge che punta all’inasprimento delle pene. Il senatore Pedica sta portando avanti anche la pdl sull’introduzione nel codice penale del reato di omicidio stradale. L’iniziativa vuole sensibilizzare l’opinione pubblica, le Istituzioni, i media sull’importanza di proteggere la vita con forza e determinazione anche attraverso la certezza della pena, strumento necessario a dare forza alla legge, e valore a ciò che il colpevole distrugge. La libertà prima da difendere è quella di esistere in serenità e salute, di vivere, consapevoli che la nostra libertà finisce dove comincia quella dell’altro. L’iniziativa è promossa da singoli cittadini Vittime e non, uniti dalla necessità umana di salvaguardare la sicurezza della persona, riunitisi in un movimento spontaneo partito dall’impegno civile di Barbara Benedettelli dal nome: “Giustizia e Diritti per le Vittime dei reati contro la Vita”. Giustizia: Severino; meno tribunali e giudici, risparmieremo su intercettazioni e carceri Intervista di Liana Milella La Repubblica, 24 aprile 2012 Lo chiama “risparmio da brava madre di famiglia”. Nella “lista” del Guardasigilli Severino - tra i 300 e i 350 milioni di euro da “salvare” - spiccano una gara unica per le intercettazioni (tra i 200 e i 250 milioni di euro in meno all’anno), sorveglianza ridotta per i detenuti non pericolosi, con personale riutilizzato altrove, ma soprattutto meno tribunali (80 milioni) e meno giudici di pace (circa 28). Cos’ha provato quando Giarda le ha chiesto la lista dei tagli? “Lui non ha chiesto una “lista”, ma collaborazione nel monitorare e riqualificare i processi di spesa. È la filosofia della spending review: spendere meglio, non solo spendere meno. Mi verrebbe da dire che l’operazione che ci aspetta altro non è che una sorta di risparmio da brava madre di famiglia che, in un momento difficile come questo, non solo taglia il superfluo, ma cerca le soluzioni più competitive sul mercato”. Finirà per passare alla storia come la prima Guardasigilli che assottiglia il budget dei giudici? “Spending review non è questo. Tant’è che mi sto dando molto da fare per trovare le disponibilità economiche affinché i 325 vincitori dell’ultimo concorso in magistratura possano essere assunti al più presto”. Considera giusto che tutti i ministeri debbano contribuire? “No, non è giusto, ma come diceva Einstein, non si può pensare di risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che ha creato il problema. E quello che ha creato un enorme debito pubblico è stato: “Le mie spese sono indispensabili”. Solo una revisione selettiva consentirà di operare tagli e investimenti mirati che renderanno la spesa più efficiente”. A via Arenula cos’ha trovato? “Per esempio che c’erano diverse schede di abbonamento a pay Tv attive, alcune con costi consistenti, ma nessuno sapeva a chi fossero attribuite. Le abbiamo disdette. E ancora: non è detto che per gli arredi si debba ricorrere a mobili costosi, è sufficiente che siano funzionali ma senza eccessi. Bisogna trattare il denaro pubblico come denaro di tutti e non come denaro di nessuno e distinguere tra ciò che è funzionale al servizio e ciò che non lo è. Stesso metodo per le carceri”. Risparmia pure su quelle? Ma se fanno pena... “Lavoriamo su modelli alternativi per ottimizzare la polizia penitenziaria impiegata nella vigilanza. Su 66mila detenuti quelli realmente pericolosi sono28 mila e si può ridurre del 20% il personale privilegiando altri mezzi di controllo, come già avviene a Trento. Ciò significa 3.500 - 4mila agenti da impiegare nelle carceri nuove. Per le quali, a fronte di 228 milioni di euro tagliati dal Cipe a gennaio, verranno realizzati 2.273 posti in più, 11.573 contro i 9.300 iniziali. È diminuito il numero delle nuove carceri, aumentando quello dei nuovi padiglioni nelle esistenti”. Cosa considera “intagliabile”? “Le risorse umane non sono assolutamente “tagliabili”, i magistrati (8.734) sono ben al di sotto dell’organico (10.151). Lo stesso per gli amministrativi, 38mila su 44.122, con un’età media molto alta per il blocco delle assunzioni e pensionamenti in vista. Con un bando per la mobilità esterna vorremmo coprire qualche centinaio di posti, con l’idea di estenderla ai dipendenti degli enti locali e delle altre amministrazioni dello Stato”. C’è qualcosa per cui vuole spendere di più? “Sicuramente il lavoro carcerario. Purtroppo non sono stati trovati fondi sufficienti a rifinanziare la legge Smuraglia che dà incentivi alle imprese che assumono detenuti. È un problemache mi affligge, sul quale concentrerò molte delle risorse ricavate dai risparmi. Solo col lavoro sono possibili rieducazione e reinserimento nella società”. Cancellieri pensa ai prepensionamenti, e lei? “Al momento per noi sarebbe molto difficile. Non possiamo privarci neanche di un’unità”. Magistrati al ministero. Rimandarli a casa? Sono un costo doppio perché sommano stipendio normale e indennità. “Non è vero. Da dicembre l’indennità non supera il 25% dello stipendio. Solo per chi ricopre posizioni apicali (poco più di 20) o collabora col ministro, e qui non ci sono né sabati, né domeniche. Stiamo verificando: per alcuni ruoli la presenza è indispensabile, in altri se ne potrebbe fare a meno”. Le auto blu? “In un anno 325 in meno, minore la cilindrata delle nuove”. Consulenze? “Sì, abbiamo lavorato pure su quelle. Un esempio: dei tre consiglieri del ministro previsti dal regolamento solo due sono retribuiti, un terzo lavora a titolo gratuito”. Se farà in tempo a ridimensionare il numero dei tribunali, liti permettendo, quanto risparmierà? “Sono fortemente determinata a portare a termine la revisione del - la geografia giudiziaria. Un processo che consentirà di ridurre in maniera significativa il numero degli uffici. Risparmieremo più di 80 milioni di euro l’anno per i tribunali e circa 28 per i giudici di pace. Poi 950 magistrati e 5.900 amministrativi recuperati nei primi, rispettivamente 1.944 e 2.014 nei secondi. Risorse per rendere più efficienti gli altri uffici. Un’operazione storica che vogliamo chiudere per settembre, nonostante molte resistenze localistiche, ma il supporto convinto di giudici e Csm”. Magistrati in meno? “Sicuramente non ci saranno tagli che li riguarderanno. Sto facendo di tutto per sanare le scoperture d’organico”. Meno soldi per le intercettazioni? “Forse sì, ma spesi meglio. Abbiamo chiesto all’Avvocatura un parere su una gara unica nazionale per la gestione del servizio di ascolti telematici e ambientali. Ci aspettiamo di risparmiare tra i 200 e i 250 milioni di euro l’anno”. Giustizia: sui penitenziari recuperati 220 milioni, no a nuove carceri, sì a nuovi padiglioni La Stampa, 24 aprile 2012 Spero che ne avremo dei vantaggi. La riduzione e la distribuzione delle spese dovrà andare a vantaggio dei settori dove c’è maggiore necessità”. Così la ministra Paola Severino difende la “sua” spending review che al ministero della Giustizia fa rima con taglio delle sedi minori. “La concentrazione porterà all’eliminazione di alcuni tribunali al di sotto del livello medio di efficienza. Abbiamo fatto lo stesso con le carceri”. Ed è quanto ha appena spiegato in Parlamento il nuovo commissario straordinario, il prefetto Sinesio: fare a meno di 220 milioni di euro rispetto al vecchio Piano Carceri, ma costruire solo nuovi padiglioni e arrivare a 11.573 posti in più (2.273 più del previsto). La ministra Paola Severino l’ha detto spesso: “Non possiamo più permetterci di tenere aperti tremila uffici giudiziari”. Tanti sono in Italia gli uffici dove si fa giustizia tra giudici di pace, tribunali, sezioni distaccate, corti d’appello e Alte corti. Di qui una drastica sforbiciata. Scompariranno 37 tribunali minori, 160 sezioni distaccate, 674 uffici dei giudici di pace per un risparmio previsto di 108 milioni di euro. E non c’è solo la questione delle sedi. La ministra Severino ha appena prospettato all’Avvocatura generale dello Stato l’ipotesi di una gara unica nazionale per il servizio delle intercettazioni. Noleggiando le macchine (nonché software e personale) in un’unica soluzione, pensa di risparmiare 200 milioni di euro ovvero la metà di quanto si spende per il noleggio. Ora è in attesa del parere formale dell’Avvocatura. La revisione delle sedi giudiziarie non sarà affatto una passeggiata, però. Il ministero si trova a dover fronteggiare la sollevazione degli enti locali, dei sindacati e degli avvocati. L’Organizzazione unitaria dell’avvocatura ha appena approvato un documento molto critico. “Va anzitutto osservato - spiega il presidente Maurizio De Tilla - che la ricerca di un presunto (e non veritiero) risparmio e i tagli alla spesa prevalgono sull’efficienza e su una visione complessiva di riorganizzazione della macchina giudiziaria”. Anche i sindacati sono in fermento. Si profila un travaso da una sede all’altra di 1.944 giudici di pace e di 950 magistrati ordinari, nonché di 7914 unità del personale amministrativo. Se questo processo per il ministero è “virtuoso” perché permetterà di spalmare meglio i carichi di lavoro sul personale, per quest’ultimo è una iattura che prevede solo pendolarizzazione nell’ambito provinciale. Sostiene dunque Nicoletta Grieco, Cgil-Funzione pubblica: “La riforma rientra in una politica che di fatto toglie progressivamente lo Stato dal territorio in una astratta logica ai risparmio”. Ora la palla è al Consiglio superiore della magistratura e al Parlamento. Se la riforma vedrà la luce, avremo tribunali con un organico minimo di 28 - 30 magistrati, un bacino medio di 360 mila abitanti ciascuno, e un carico di lavoro abbastanza equilibrato. Cadranno soprattutto le sezioni distaccate. Su queste, il giudizio del ministero della Giustizia è severo: “Si sono rivelate produttrici di inconvenienti”. Giusto per fare qualche esempio, in Lombardia dovrebbero chiudere Vigevano, Voghera, Busto Arsizio, Desio, Treviglio, Castiglione delle Stiviere, Cantù, Breno; in Veneto, Castelfranco, Conegliano, Bassano, Adria, Schio, Portogruaro, forse Chioggia; in Umbria, Orvieto; nel Lazio, Gaeta, Terracina, Anagni, Albano, Anzio, Poggio Mirteto, Palestrina, forse Ostia; in Toscana, Pontremoli, Orbetello, Cecina, Piombino, Portoferraio, Viareggio, Pontedera, Monsummano Terme, Pescia, Empoli, Pontassieve, Montevarchi, Sansepolcro; in Puglia, Andria, Cerignola, Ruvo di Puglia, Grottaglie, Campi Salentina, Trinitapoli; in Sicilia, Mistretta, Nicosia sarà ridimensionata a sezione distaccata, Caltagirone, Avola, Modica, Sciacca, Marsala, Termini Imerese, Sant’Agata di Militello, Taormina, Cefalù, Bagheria, forse Partinico; in Campania, l’accorpamento tra Marano e Pozzuoli potrebbe far nascere un tribunale di medie dimensioni e evitare un ingolfamento ulteriore di Napoli, saranno soppressi invece Ariano Irpino e Sant’Angelo dei Lombardi, Portici, Afragola, Casoria, Fratta Maggiore, Ischia, Capri, Aversa, Marcianise, Carinola, Sala Consilina e forse Lagonegro, Amalfi, Cava dei Tirreni. Giustizia: Osapp; piano edilizia penitenziaria… né utile né produttivo Il Velino, 24 aprile 2012 “È ormai solo uno spreco di tempo e di risorse, per le istituzioni e per la collettività, continuare a portare avanti un piano carceri che, in quasi 4 anni, ha prodotto solo i progetti (e non ancora la realizzazione) dei nuovi istituti di pena di Camerino e di Pordenone, entrambi per 450 posti detentivi e il primo da situarsi in un’area di non facile raggiungimento stradale (ad esempio per i parenti dei detenuti) e l’altro da realizzarsi in una zona rischio smottamenti”. È quanto si legge in una nota dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) a firma del segretario generale Leo Beneduci e indirizzata ai Gruppi parlamentari di Camera e Senato. “Ma anche per quanto riguarda le strutture penitenziarie realizzate mediante le Opere pubbliche la musica non cambia, se si considera che in Sardegna entrambe le nuove strutture già ultimate di Tempio Pausania (150 posti) e di Oristano (250 posti) non sarebbero state ancora consegnate del tutto per problemi ed irregolarità nella costruzione e nei pagamenti delle maestranze. Altrettanto - prosegue il sindacalista - starebbe avvenendo per le gravi carenze di Personale per quanto concerne i nuovi padiglioni di Massa (100 posti), di Biella e di Terni (200 posti ciascuno) solo formalmente ultimati e consegnati, nonché per i padiglioni in fase di consegna all’Amministrazione penitenziaria di Cremona (200 posti), di Modena (150 posti) e di Voghera (200 posti). “Ha quindi pienamente ragione la Guardasigilli Severino quando si riferisce ai risparmi collegati all’esigenza di mantenere nelle carceri una sorveglianza rigida solo per 28mila detenuti di comprovata pericolosità su 66mila presenze detentive (66.182 detenuti per 45.746 posti ieri 23 aprile 2012) - conclude Beneduci - peccato che, parlando di risparmi, il Ministro della Giustizia dimentichi di considerare le 7mila unità in meno della Polizia Penitenziaria rispetto ad un organico fermo al 1992 e si lasci nel contempo in piedi, per una spesa di diverse centinaia di milioni di euro, un piano di edilizia penitenziaria ne utile ne produttivo”. Giustizia: Moretti (Ugl); per razionalizzare sistema penitenziario non basarsi solo su tagli Agenparl, 24 aprile 2012 “Accogliamo con favore la prospettiva di un miglior impiego del personale di Polizia Penitenziaria nell’esecuzione penale, tuttavia crediamo che una razionalizzazione del sistema carcerario non possa continuare a basarsi sui tagli”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, in merito alle dichiarazioni del ministro della Giustizia che, in un’intervista a Repubblica, ha sottolineato l’intenzione di lavorare a modelli alternativi alla reclusione per ottimizzare la polizia penitenziaria impiegata nella vigilanza. “Non è possibile attuare alcuna riorganizzazione - spiega il sindacalista - basandosi solo sulla riduzione delle risorse destinate all’amministrazione penitenziaria e senza prima procedere ad un ripianamento degli organici. Le oltre 7.000 unità oggi mancanti nel Corpo, infatti, si riferiscono ad una capienza detentiva di 45.000 unità mentre, allo stato attuale, la presenza negli istituti penitenziari, nonostante le iniziative adottate, è di circa 67.000 unità”. “Al Guardasigilli chiediamo quindi un segnale in tal senso, anche perché - conclude Moretti - non possiamo accettare un’ulteriore riduzione dei livelli di sicurezza operativa derivante da una presunta modifica dei modelli custodiali che non tiene conto anche dell’adeguamento dei profili di responsabilità”. Giustizia: Lisiapp; nelle carceri situazione grave e non più sostenibile, la politica è assente Ansa, 24 aprile 2012 Il sindacato parla di una “situazione grave e ormai non più sostenibile” all’interno delle strutture penitenziarie. “Sono pronte per partire le note indirizzate ai capigruppo di Camera e Senato, ai segretari e ai presidenti di partito, il Libero Sindacato appartenenti di Polizia Penitenziaria (Lisiapp) invita i politici di maggioranza e opposizione a prendere posizione e condivisione del disagio e le problematiche che affliggono gli agenti di Polizia Penitenziaria in servizio nelle oltre 200 carceri italiane”. “Le note - fa sapere il segretario generale de Lisiapp, Mirko Manna - saranno consegnate nei prossimi giorni a tutti i partiti compreso la Ministra guardasigilli Severino”. Il sindacato parla di una “situazione grave e ormai non più sostenibile” all’interno delle strutture penitenziaria, che riguarda non solo il sovraffollamento dei detenuti. “Non viene prestata altrettanta attenzione ai 38mila poliziotti penitenziari in servizio in prima linea. Il nostro - afferma Manna - è l’unico Corpo di Polizia che per legge ha anche il compito di favorire il reinserimento sociale dei detenuti. Eppure l’organico attuale è quello di dieci anni fa, quando il numero dei detenuti era il 30% in meno di oggi (attualmente si contano circa 66mila detenuti)”. E ancora: “La Polizia Penitenziaria svolge innumerevoli servizi istituzionali e di specialità come quella di recente istituzione del servizio di polizia stradale ma, quello che non capiamo proprio in un momento di crisi e di austerity come questo, assistiamo a casi di servizi ancora attivi (auto blu) rivolti a ex ministri, sottosegretari, capi di gabinetto, ex capi dipartimento ma anche alti dirigenti che a tutt’oggi usufruiscono di auto, uomini e in alcuni casi di presidi fissi sotto l’abitazione il tutto a spese del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria”. Questi casi potrebbero rientrare e far risparmiare soldi nell’ottica della “spending review” messo in atto dal governo tecnico, ma che come sempre colpisce i poliziotti. Il sindacato Lisiapp fa notare inoltre che a differenza degli altri Corpi di Polizia Penitenziaria europei, quello italiano “è l’unico a svolgere non solo compiti di sorveglianza, ma anche di supporto a tutte le altre attività del carcere, come ad esempio il servizio per il sopravvitto mensa, la segreteria, i corsi di formazione e istruzione, di tutto e di più”. Il segretario del sindacato ritiene che per tutte queste ragioni debba essere considerato “luogo comune” quello che fa ritenere che la Polizia Penitenziaria italiana sia la più numerosa d’Europa, con un agente per 1,35 detenuti. “Non è così. Basti pensare che una decina d’anni fa accadeva nei turni festivi pomeridiani e notturni c’era un solo agente a controllare 150 detenuti. Oggi è una prassi consolidata durante tutti i turni pertanto siamo passati da un disagio avvertito solo durante i periodi di festività a un disagio ventiquattro ore. E questo - afferma Manna - avviene in tutte le strutture detentive da nord a sud isole comprese”. Per questo motivo il Lisiapp insiste affinché i politici prendano coscienza su cosa si prova a subire e vivere quotidianamente i disagi che provano sulla propria pelle i poliziotti: “Non si possono rendere più umane e vivibili le condizioni dei detenuti - conclude il segretario - senza rendere più umane e vivibili le condizioni dei poliziotti penitenziari”. Giustizia: Di Pietro (Idv); non serve ridurre spese, ma accrescere funzionalità sistema Ansa, 24 aprile 2012 “Per far funzionare la giustizia è necessario accrescere la funzionalità del sistema con più mezzi e più strumenti. Non serve certo ridurre le spese con tagli indiscriminati al settore”. Lo afferma il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. “Non bisogna limitare le intercettazioni - spiega - per combattere le mafie: sono uno strumento indispensabile per i magistrati e per l’accertamento della verità. Se la criminalità oggi utilizza la tecnologia, è con gli stessi mezzi che bisogna contrastarla. Il numero delle carceri non deve essere ridimensionato lasciando così liberi i delinquenti, ma occorre migliorare le condizioni all’interno delle strutture di detenzione. Se davvero il ministro Severino vuole far funzionare meglio la giustizia, acceleri l’iter per la ratifica della convenzione di Strasburgo sulla corruzione del 1999. Reinserisca immediatamente il falso in bilancio. Faccia propria la nostra proposta, che da tempo giace in Parlamento, di una riforma dei reati contro la Pubblica amministrazione, in cui si prevede che i condannati non possano essere candidati, che chi è imputato non possa svolgere, o continuare a svolgere, incarichi di governo locale o nazionale e che gli imprenditori che hanno commesso reati contro la Pubblica amministrazione non possano partecipare alle gare per appalti pubblici”, conclude Di Pietro. Giustizia: il “diritto all’oblio” e il “diritto alla storia” ai tempi di internet di Marzia Amiconi Finanza e Mercati, 24 aprile 2012 Con la strategia digitale fissata nel triennio 2012/2015 la Corte di Cassazione sembra volersi allineare agli obiettivi fissati dal Consiglio d’Europa per una nuova governance di Internet. Molto attuale e innovativo, infatti, appare il contenuto della sentenza 5525 del 2012 della Terza sezione civile della Corte. Il fatto riguarda gli anni 90, quando un assessore di un comune della Lombardia viene arrestato con accusa di corruzione e poi prosciolto. La notizia del suo arresto è tutt’ora riportata nell’archivio storico del Corriere della Sera, anche nella versione elettronica. Sia il garante della Privacy sia il Tribunale di Milano hanno respinto le richieste dell’ex assessore di “spostamento dell’articolo pubblicato molti anni prima in un’area di un sito web non indicizzabile dai motori di ricerca - poiché - l’articolo non può essere inteso come nuova pubblicazione (...) e la ricerca effettuata attraverso i comuni motori - non direttamente legata all’articolo del Corriere - dà in realtà contezza degli esiti processualmente favorevoli”. La Cassazione, invece, consolidando “il diritto alla storia” ha accolto con sentenza il ricorso e ha condannato l’editore ad aggiornare gli archivi e a “predisporre un sistema idoneo a segnalare, nel corpo o nel margine, la sussistenza di un seguito o di uno sviluppo della notizia e quale esso sia stato (...) consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento”. La doglianza dell’attore fa leva sulla circostanza che ogni libertà civile trovi il proprio limite nell’altrui libertà e nell’interesse pubblico idoneo a fondare l’eventuale sacrificio dell’interesse del singolo, esaltando il diritto alla riservatezza con la tutela del soggetto dalla curiosità pubblica. La Corte chiarisce come, nella fattispecie, non sussista un profilo di diffamazione o lesione della reputazione. La notizia, rispetto al tempo che fu, è vera e la problematica non può essere inquadrata e limitata a un diritto di rettifica. Neanche il confinamento dell’articolo in un’area non indicizzabile dei motori di ricerca è stato condiviso dalla Corte, sul presupposto che sussista ancora una rilevanza pubblica della notizia, in quanto il soggetto viene descritto come persona disponibile a future candidature politiche, anche incarichi non elettivi. La notizia deve essere però aggiornata, perché vera in un determinato tempo, ma successivamente modificata dalla conclusione del procedimento con il proscioglimento dell’imputato. L’esigenza, a salvaguardia dell’attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia che lo riguarda trova una sua soddisfazione nel collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l’evoluzione della vicenda, soprattutto se queste ultime mutino il quadro che si poteva evincere dalla notizia originaria. La sentenza afferma che “così come la rettifica è finalizzata a restaurare l’ordine del sistema informativo alterato dalla notizia “non vera” (poiché ormai parziale e inesatta) del pari l’aggiornamento e l’integrazione sono invero volti a ripristinare l’ordine del sistema alterato della notizia “parziale”“. L’aggiornamento deve quindi essere effettuato dal titolare dell’archivio e non dal motore di ricerca perché quest’ultimo è un semplice intermediario telematico che offre un sistema automatico di reperimento dei dati e informazioni attraverso parole chiave. La Corte ribadisce, infine, che deve riconoscersi al soggetto cui pertengono i dati oggetto di trattamento il “diritto all’oblio” e il diritto di ottenere, a tutela della propria immagine sociale, l’aggiornamento e l’integrazione dei propri dati personali anche quando trattasi di notizia vera ovvero ricompresa nel diritto di cronaca. Calabria: Uil-Pa; sistema penitenziario alla deriva Agi, 24 aprile 2012 “La Calabria è ormai parte integrante di un sistema penitenziario alla deriva, le cui aberrazioni sono sotto gli occhi di tutti. In meno di due anni - continua - abbiamo assistito al suicidio del provveditore Paolino Quattrone e a quello dell’assistente capo Mauro Cosentino”. Lo afferma in una nota Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, che aggiunge: “Ciò, unitamente ad altre vicissitudini che investono la Regione, non ha però indotto l’Amministrazione penitenziaria e il ministro della Giustizia ad assumere provvedimenti tangibili, tanto che da anni non viene assegnato un provveditore regionale in pianta stabile. Essere presente ai lavori del direttivo regionale, quindi, non è solo un dovere ma vuole essere una concreta prova di vicinanza al nostro personale che opera in una terra di frontiera, essendo ben noto il radicamento di organizzazioni criminali che inquinano il tessuto sociale ed economico. Ai nostri eroi di prima linea - continua - dobbiamo fornire ogni vicinanza, cercando per quanto possibile di risolvere qualche problema”. Sardegna: internati negli Opg, la Regione si mobilita per riportarli “a casa” Redattore Sociale, 24 aprile 2012 In programma per giovedì la giornata di approfondimento dal titolo “Un volto, un nome”, contro gli ospedali psichiatrici giudiziari che punta a far tornare i pazienti ricoverati fuori dall’Isola. Restituire ai cittadini sardi internati negli ospedali psichiatrici giudiziari il diritto ad essere curati nell’Isola, ma anche impedire che si costruiscano in Sardegna piccoli manicomi dove accogliere chi, a causa di reati legati al disagio psichiatrico, è costretto a vivere di fatto in uno stato di reclusione. È il tema della giornata di approfondimento che si celebrerà giovedì 26 aprile a Cagliari, all’interno della campagna “Un volto, un nome” organizzata dal comitato “Stop Opg Sardegna”. L’iniziativa partirà con un convegno regionale (giovedì alle 9, nella sala conferenza dell’Hotel Regina Margherita a Cagliari) dove verrà fatto il punto sulla situazione dei pazienti sardi ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari. “Vogliamo restituire identità, storia, cittadinanza ad ogni persona internata - ha detto Roberto Loddo, uno dei responsabili del comitato - con un percorso individualizzato, di rientro nella propria terra e vicino ai propri affetti”. Ma la giornata di mobilitazione, a cui hanno aderito anche molte associazioni che lavorano a stretto contatto col mondo del disagio mentale, vuole anche ribadire la contrarietà di buona parte del mondo del volontariato alla costruzione nell’Isola di strutture che possano, in qualche modo, ricordare i vecchi manicomi, sebbene in dimensione più ristretta. “Come organizzazioni aderenti al comitato sardo Stop Opg - ha proseguito Loddo - chiediamo alla Regione Sardegna, alle Asl e ai Dipartimenti di Salute Mentale, l’impegno per assistere e curare i cittadini sardi ancora internati negli Opg della penisola. Faremo di tutto per evitare che il ritorno di queste persone avvenga attraverso la costruzione di piccoli manicomi mascherati da strutture terapeutiche. Sollecitiamo l’apertura di un tavolo di confronto con Regione e direttori dei dipartimenti di salute mentale”. Alla giornata di approfondimento parteciperanno anche la vice presidente della Provincia di Cagliari, Angela Quaquero, l’assessore alle politiche sociali del Comune di Cagliari, Susanna Orrù, Stefano Cecconi (Cgil), Sergio Moccia (Giurista), Giovanna Del Giudice (Forum nazionale Salute Mentale), Gisella Trincas (Unasam) e Padre Pippo Insanna (Cappellano dell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto). Tra gli interventi anche quelli dei direttori dei dipartimenti di Salute mentale di Cagliari e Sassari, Augusto Contu e Donato Posadinu e don Ettore Cannavera (La Collina). Numerose le organizzazioni che hanno aderito al comitato sardo “Stop Opg”. Tra queste spiccano: l’Associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica, “5 Novembre per i diritti civili”, Forum sardo per la salute mentale, Cgil, Sos Sanità Sardegna, Cittadinanza Attiva, Tribunale per i diritti del Malato, Art Meeting, “I Girasoli”, “Asarp Uno”, Arci Sardegna, Coloris de Limbas, “Il Giardino di Clara”, “Giardino Aperto”, Comunità Casamatta, Associazione “Articolo 21”, Progrè comitato “A casa mia”, comitato “Verità e giustizia per Giuseppe Casu”, Unione sindacale di Base, Associazione bambini celebrolesi, Sviluppo e Territorio, Associazione sarda contro l’emarginazione, Unione culturale Islamica (Senegal) in Sardegna, Il Manifesto Sarde e l’associazione “Casa Museo di Antonio Gramsci”. A conti fatti, secondo le ultime stime, sono una trentina i pazienti sardi, costretti a stare nelle strutture di Montelupo Fiorentino (in maggioranza) oppure anche a Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere,Napoli e Reggio Emilia. Tutti oltre Tirreno, lontani dall’Isola, gli Opg obbligano le famiglie sarde a lunghe trasferte per andare a trovare i pazienti ricoverati. “Abbiamo, più volte, richiesto all’assessore regionale alla salute Simona De Francisci l’apertura di un tavolo di confronto insieme ai direttori dei dipartimenti di salute mentale” ha concluso Roberto Loddo, “Un tavolo che analizzi ogni singola situazione e proponga percorsi individualizzati di reinserimento sociale per chi ha scontato la misura di sicurezza e percorsi terapeutici riabilitativi per coloro che necessitano di misure più restrittive”. Ravenna; Sappe; pochi agenti e troppi detenuti, disservizi per il personale Dire, 24 aprile 2012 I posti sono 59, ma i detenuti presenti sono 109. Gli agenti di polizia penitenziaria, invece, dovrebbero essere 73, ma in servizio ce ne sono solo 54. Queste sono le condizioni del carcere di Ravenna, che stamattina ha ricevuto la visita di una delegazione del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe. Tanti sono i problemi di una struttura “spesso dimenticata da tutti, perché di modeste dimensioni, ma che meriterebbe molta più attenzione”, spiega in un comunicato il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante. A creare più difficoltà a chi vive all’interno del carcere sono innanzitutto il sovraffollamento, poi la carenza di personale e la mancanza di alloggi adeguati. Nella caserma agenti mancano i riscaldamenti, i bagni sono in comune e anche le docce. Date queste condizioni, il Sappe chiede “al capo del Dipartimento l’assegnazione di un congruo numero di agenti, a luglio prossimo, quando termineranno i corsi di formazione - prosegue Durante - , nonché lo stanziamento di adeguate risorse per migliorare le condizioni della caserma, considerato che in questo momento sono disponibili i soldi stanziati dal governo”. C’è anche qualche nota positiva, però. All’interno del carcere si tengono corsi di formazione per i detenuti e lavorazioni, “attivati grazie all’intraprendenza della dirigenza locale, che ha saputo coniugare esigenze di sicurezza e di rieducazione”, conclude Durante. Immigrazione: dai Cie ai rimpatri, costi elevati per la “macchina delle espulsioni” Redattore Sociale, 24 aprile 2012 Oltre 18 milioni all’anno costa la gestione dei centri di identificazione ed espulsione; 78 mila euro la costruzione di un posto in più. Si pagano cinque biglietti aerei per ogni straniero rimpatriato. E l’emergenza immigrazione dura da 10 anni. Per ogni cittadino straniero rimpatriato, lo Stato italiano paga 5 biglietti aerei, quello dello straniero e quelli di andata e ritorno per i due agenti che lo scortano. Il dato è contenuto nel rapporto della Commissione diritti umani del Senato su carceri e centri di trattenimento per migranti. La scorta sugli aerei è molto numerosa e rappresenta un costo perché gli agenti si sottopongono a una formazione specifica e a continui aggiornamenti. Abbiamo in Italia circa 600 operatori delle forze dell’ordine abilitati. Per farsi un’idea della spesa complessiva, si può ricorrere all’ultimo dato disponibile. Con quasi dieci milioni di euro arrivati nel 2008 dal Fondo Rimpatri dell’Unione europea sono state espulse in modo coatto meno di 4mila persone e solo alcune centinaia hanno beneficiato del rimpatrio volontario assistito. Alla presentazione dei risultati, nell’estate 2011 all’Istituto superiore antincendi di Roma, Michelangelo Latella, della direzione centrale Immigrazione e polizia delle frontiere, spiegava che “il rapporto è di 2 agenti per ogni straniero e se riusciamo, ne mettiamo qualcuno in più, ad esempio 70 poliziotti per 30 persone, perché ci sono state spesso delle intemperanze e il dispositivo di scorta è fondamentale per la sicurezza di tutti sul volo”. Si usano aerei di linea oppure charter appositamente organizzati dall’Italia, o con altri paesi membri dell’Unione attraverso l’agenzia delle frontiere, Frontex. Il Dipartimento di pubblica sicurezza è responsabile degli aspetti economici, logistici e operativi. Un ingranaggio fondamentale della macchina dei rimpatri forzati sono i Centri di identificazione e di espulsione, dove vengono reclusi gli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno. Secondo il dossier 2011 Caritas Migrantes, a fronte di 7 mila persone trattenute nei Cie nel 2010, poco meno della metà (48,3%) è stata effettivamente rimpatriata. L’ultimo pacchetto sicurezza del 2011 ha portato la detenzione massima da 6 a 18 mesi. I costi, già elevati, continuano a salire. Fino al paradosso che si costruiscono altri Cie quando i fondi non bastano nemmeno per gestire quelli esistenti. “Indubbiamente il prolungamento fino al limite massimo ha richiesto anche la realizzazione di altri centri. Se la permanenza è più lunga, servono più posti”, ha detto al Corriere.it Angela Pria, capo dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del ministero dell’Interno. 18 milioni di euro sono stati stanziati all’inizio dell’anno dal governo Monti per i nuovi centri di Santa Maria Capua Vetere (Ce) e Palazzo San Gervasio (Pz). Altri 18 milioni e 607mila euro li abbiamo spesi per un anno di gestione di quelli esistenti. Ma queste cifre raccontano solo una parte della realtà. “Spendiamo milioni di euro solo per risistemarli dopo i danneggiamenti”, ammette il prefetto Pria. La legge del precedente governo che ha triplicato il tempo di detenzione nei Cie prevede una spesa di 40 milioni di euro per ogni anno dal 2012 fino al 2014. Da una relazione tecnica del servizio studi della Camera dei Deputati del 2008 viene fuori che costruire un posto letto nel Cie di Torino è costato in media 78mila euro. E per la costruzione dei nuovi Cie, quell’anno con la legge 186 furono stanziati 3 milioni, più 37.500.000 euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010. Il totale fa 78 milioni di euro. Le gare d’appalto per la gestione dei centri di identificazione e di espulsione vengono effettuate dalle prefetture in parziale deroga alla disciplina sugli appalti, grazie all’emergenza immigrazione che è stata dichiarata nel 2002 e da allora prorogata di anno in anno da tutti i governi. I bandi si basano un capitolato d’appalto unico, ma fino all’anno scorso i budget variavano. Ad esempio a Modena e Bologna si toccavano i 75 euro giornalieri a trattenuto. Soldi che ovviamente non vanno ai migranti reclusi, ma agli enti che gestiscono i servizi nei centri. La novità di quest’anno è che tutte le gare si stanno facendo a 30 euro più Iva (siamo intorno ai 36 euro). “Questa scelta è stata determinata dai tagli lineari di bilancio al Ministero, pari a 70 milioni di euro - spiega il prefetto Nadia Minati, direttore centrale dei servizi per l’Immigrazione e l’Asilo - e dalla necessità di copertura finanziaria dei contratti pubblici. Solo in tal modo siamo riusciti a mantenere in piedi tutti i centri”. È già successo che gli enti gestori non siano riusciti a pagare gli stipendi di chi lavora nei Cie. “Per carenza di risorse, abbiamo avuto situazioni di dipendenti di gestori che protestavano per i mancati pagamenti”, conclude Minati. Immigrazione: Cie Modena; nel 2011 fra i “trattenuti” anche 5 minori e 3 comunitari Redattore Sociale, 24 aprile 2012 Dati forniti dall’ufficio stranieri Cgil. A Modena i giornalisti rimangono fuori dal Cie: questa mattina solo l’assessore regionale Massimo Mezzetti e due consiglieri sono entrati nel centro. Dopo la visita in uno dei padiglioni è esplosa una rivolta. Due consiglieri, un assessore regionale, ma nessun giornalista. Anche a Modena microfoni e taccuini rimangono fuori dal Cie: nella visita programmata per questa mattina gli unici a entrare nella struttura sono stati i consiglieri regionali del Pd Luciano Vecchi e Palma Costi e l’assessore alla Cultura dell’Emilia - Romagna Massimo Mezzetti. “Ho trovato una situazione gestita in maniera sufficientemente buona, compatibilmente con i limiti nelle risorse”, spiega l’assessore, “gli spazi comuni sono puliti, nelle camere ci sono i servizi, ma in alcune manca l’acqua calda”. I consiglieri però non sono entrati “nei padiglioni ad alto rischio”, continua Mezzetti, “e proprio in uno di questi, al termine della visita è esplosa una rivolta”. Intanto Ciro Spagnulo, dell’ufficio migranti della Cgil, fornisce alcuni dati sulla struttura relativi al 2011. Le persone che sono passate nel centro sono in tutto 594, quasi tutti uomini (588, solo 6 le donne). La nazionalità più diffusa è quella tunisina (47%), seguita da quella marocchina (33%) e da quella albanese (5,7%). Dal Cie di Modena però sono passati anche 3 cittadini rumeni e 5 minorenni. La media delle presenze è di 54,87 persone al giorno, e in media chi entra nel Cie vi rimane per 35 giorni. Nel 2011 le espulsioni effettivamente realizzate sono state 284. Diverse le persone che hanno chiesto un permesso umanitario (36) o l’asilo politico (40), ma da quando esiste il Cie solo 116 domande hanno avuto esito favorevole. Secondo Spagnulo all’interno della struttura c’è un “clima pesante”, lo testimoniano i 39 episodi di autolesionismo registrati nel 2011 e le 75 persone che hanno fatto ricorso allo sportello psicologico. La promiscuità fra le diverse “categorie” è uno dei principali problemi: nel Cie ci sono infatti persone che hanno perso il lavoro e quindi il permesso di soggiorno, richiedenti asilo, ma anche persone che hanno commesso reati. Sempre secondo i dati di Spagnulo, nel 2011 sono 32 le persone che sono arrivate al Cie direttamente dal carcere. Accanto a loro c’è chi ha semplicemente perso i documenti, come nel caso riportato dall’assessore Mezzetti, quello di un muratore di 51 anni, di origine marocchina ma in Italia dal 1990, che non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno. “Ci hanno spiegato che in questi casi si cerca di accelerare le procedure, e che l’espulsione in Marocco è prevista a breve”. Secondo Mezzetti sarebbero circa il 10% i casi di questo genere presenti al momento nel Cie modenese. Se però le condizioni di vita all’interno della struttura di Modena sono “sufficienti”, l’assessore esprime allarme per il Cie di Bologna, dove il bando per la gestione ha visto vincere un consorzio siciliano che ha dimezzato da 69 a 28 euro al giorno i costi di gestione a persona. “Se il criterio che si segue è questo, del massimo ribasso, la situazione diventerà ulteriormente preoccupante”. La promiscuità fra le diverse “categorie” è uno dei principali problemi: nel Cie ci sono infatti persone che hanno perso il lavoro e quindi il permesso di soggiorno, richiedenti asilo, ma anche persone che hanno commesso reati. Sempre secondo i dati di Spagnulo, nel 2011 sono 32 le persone che sono arrivate al Cie direttamente dal carcere. Accanto a loro c’è chi ha semplicemente perso i documenti, come nel caso riportato dall’assessore Mezzetti, quello di un muratore di 51 anni, di origine marocchina ma in Italia dal 1990, che non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno. “Ci hanno spiegato che in questi casi si cerca di accelerare le procedure, e che l’espulsione in Marocco è prevista a breve”. Secondo Mezzetti sarebbero circa il 10% i casi di questo genere presenti al momento nel Cie modenese. Se però le condizioni di vita all’interno della struttura di Modena sono “sufficienti”, l’assessore esprime allarme per il Cie di Bologna, dove il bando per la gestione ha visto vincere un consorzio siciliano che ha dimezzato da 69 a 28 euro al giorno i costi di gestione a persona. “Se il criterio che si segue è questo, del massimo ribasso, la situazione diventerà ulteriormente preoccupante”. India: marò italiani, per ora nessun trasferimento fuori dal carcere Ansa, 24 aprile 2012 “La situazione di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è quella di sempre e non si attendono novità per quanto riguarda una sistemazione alternativa al carcere di Trivandrum”. Lo ha precisato all’Ansa una fonte della delegazione italiana che si trova in Kerala per seguire la vicenda. Stamattina su alcuni blog e su Twitter erano circolate alcune indiscrezioni prive di fondamento relative a un imminente trasferimento dei due marò in una guest-house della polizia indiana. Stati Uniti: la California decide sulla pena di morte, referendum a novembre Ansa, 24 aprile 2012 Il prossimo novembre la California potrebbe diventare il diciottesimo Stato americano ad abolire la pena di morte: i promotori del referendum sulla pena capitale sono difatti riusciti a raccogliere le 800.000 firme necessarie per indire la consultazione popolare. I cittadini saranno così chiamati a decidere sul mantenimento o meno del boia - reintrodotto in California nel 1978 - e sul destino di 725 carcerati che attualmente si trovano nel braccio della morte. Secondo la proposta di “Safe” - l’associazione che con il sostegno della “American civil liberties Union” ha raccolto le firme - la pena capitale deve essere sostituita dall’ergastolo senza possibilità di sconti di pena. L’eventuale abolizione della pena di morte ha anche un aspetto economico: mandare a casa il boia farebbe risparmiare allo stato della California decine di milioni di dollari. Ogni anno il braccio della morte costa infatti 184 milioni di dollari. E le tre esecuzioni portate a compimento dal 1987 hanno fatto sborsare alle casse statali oltre 4 miliardi di dollari. “È arrivato il momento di voltare pagina”, ha declamato Jeanne Woodford, ex guardia carceraria nella tristemente famosa prigione di San Quentin. Woodford fu a suo tempo incaricata di coordinare quattro esecuzioni: da allora è divenuta una strenua avversaria della pena capitale e ha fondato l’associazione “Death penalty Focus”. La California negli ultimi anni aveva già compiuto una serie di passi, quali lo stop improvviso a tutte le esecuzioni ordinato nel 2006 da un giudice distrettuale il quale intravedeva il rischio di “amministrare dolore non necessario” ai condannati tramite le iniezioni letali. Ma la parola, ora, passerà agli elettori. Intanto in altri Stati l’azione del boia non si ferma. Tre giorni fa in Delaware è stata giustiziata la sedicesima persona dall’inizio dell’anno negli Usa. Il giorno prima l’iniezione letale era stata somministrata ad un altro detenuto in Ohio. Ucraina: la Tymoshenko dal carcere sfida il premier Yanukovic con sciopero della fame Tm News, 24 aprile 2012 Yulia Tymoshenko, già condannata a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio e detenuta nel carcere femminile di Kharkiv, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare con “la repressione politica” e il trattamento riservatole nella colonia penale, in una nuova, aperta sfida al presidente e suo nemico politico Viktor Yanukovic. “È uno sciopero della fame illimitato”, ha detto il suo avvocato Sergeui Vlasenko, “chiede che si ponga fine alla repressione politica nel Paese”. Secondo Vlasenko, l’ex premier avrebbe visibili lividi sulle braccia e un ematoma sulla pancia, a seguito del trasferimento forzato venerdì scorso dalla sua cella all’ospedale cittadino dove avrebbe dovuto essere ricoverata per curare un’ernia al disco. Due giorni dopo Tymoshenko era stata però riportata di nuovo dietro le sbarre, perché secondo il procuratore generale di Kharkiv Gennady Tyurin si sarebbe rifiutata di sottoporsi alla visita medica. Il legale ha smentito oggi questa versione, confermando il brusco prelevamento dell’eroina della rivoluzione arancione che prima si sarebbe rifiutata di muoversi poi avrebbe dovuto cedere alla maniere dure. “Il personale della prigione ha il diritto di usare la forza”, ha ammesso Tyurin. Da mesi Yulia Tymoshenko soffre di dolori alla schiena, ma ha sempre rifiutato di sottoporsi alle cure mediche sotto l’osservazione di medici ucraini.