Vedere il dolore della madre di una vittima della strada vale più di tanti anni di galera Il Mattino di Padova, 23 aprile 2012 Non si parla mai abbastanza degli omicidi che avvengono sulle strade. Tutti noi abbiamo bisogno continuamente di essere richiamati alle nostre responsabilità quando dobbiamo guidare un mezzo. Nei giorni scorsi si è discusso di una proposta di legge di iniziativa popolare che introduce il reato di “omicidio stradale” se alla guida c’è una persona sotto effetto di alcol o droga. L’Associazione Italiana Familiari Vittime della Strada, che si batte per pene più giuste per coloro che provocano simili tragedie, ha criticato questa proposta, sostenendone a sua volta un’altra, che prevede pene più pesanti per gli omicidi che avvengono per “una guida aggressiva, azzardata o temeraria”. Non solo per droga e alcol, dunque, ma per tutti i comportamenti, compreso l’uso del cellulare, che sulla strada sono da irresponsabili. In carcere i detenuti hanno incontrato una madre che si è vista uccidere un figlio in questa maniera: lei però ha proposto una strada diversa, che è quella di una pena che abbia davvero un senso, e forse la sua umanità ha colpito le persone detenute più di tanti anni di galera, e dalla sua testimonianza sono nate riflessioni profonde. Vorrei potermi incontrare con la persona che ha investito e ucciso mio figlio Mio figlio era un giovane ingegnere, che per andare a lavorare doveva compiere un tragitto in motorino. Un pomeriggio ritornando dal lavoro è stato scaraventato, da una signora alla guida di un’auto, in un fosso, lei non si è fatta niente e invece mio figlio è morto sul colpo. Claudio era un ragazzo meraviglioso, non ci sono parole per esprimere quello che io ho provato, qualche volta penso che il dolore di una madre racchiuda e riassuma i dolori di un padre, di una sorella, di una compagna. Oltretutto mio figlio era una sorta di mio alter ego, per cui bastava che noi ci guardassimo e lui capiva ciò che io pensavo e viceversa. La cosa che ho chiesto ben presto è stata quella di potermi incontrare con la persona che l’aveva investito, una signora che gestisce un’azienda. Quando un giornale locale mi ha intervistato io ho detto che mio figlio non era stato ucciso, come sempre immaginiamo, dal solito marocchino, dal solito tunisino ubriacone, ma da una donna italiana, ricca, che non aveva neanche avuto il coraggio di scusarsi per l’accaduto, un fatto così terribilmente irreparabile, con la madre del ragazzo ucciso. Noi all’inizio non abbiamo ricevuto da lei neppure un telegramma, poi un giorno mi ha telefonato, una telefonata piena di tracotanza, cercando di giustificarsi. Allora io le ho detto che desideravo incontrarla, ma non c’è stato niente da fare. Spesso chi compie questo reato cerca di rimuovere subito, non rielabora nulla. Questa è una caratteristica comune, io ho avuto modo di avvicinare altri genitori e ho capito che la prima cosa che anche all’interno della famiglia della vittima si tenta di fare è di rimuovere, perché la morte improvvisa di un proprio caro è un dolore troppo forte. Io invece ci penso sempre, e quando dico per esempio “questo piaceva tanto a Claudio…”, cerco sempre di riconquistarmi la sua memoria, in qualsiasi momento del giorno, in qualsiasi occasione. Mi sembra che la memoria sia l’unica maniera per coltivare lo spirito di una persona che non c’è più. Allora io che cosa chiederei? Chiederei che chi commette questo tipo di reato non vada in prigione, perché penso che la prigione non aiuti a elaborare niente, ma debba assolutamente per qualche anno prestare servizio civile in un ospedale, o in una comunità dove ci sono persone paraplegiche, perché qui noi parliamo di morti ma i paraplegici sono molto più numerosi tra le vittime della strada. Ci vuole un risarcimento morale per i famigliari, non è possibile che un famigliare continui a vivere sapendo, come nel mio caso, che questa signora è tranquilla con suo figlio piccolino, e mio figlio io non ce l’ho più. A lei io ho detto: “Signora, venga a casa mia, venga a vedere chi era mio figlio!”, e la risposta è stata: “Ma io l’ho già visto sulla strada, suo figlio”. Alla famiglia non interessano i soldi, questo vi potrà stupire, io sono una pensionata quindi di soldi non ne ho molti, ma a me interessava solo vedere questa donna, che per l’uccisione di mio figlio ha avuto due anni di sospensione della patente, e 18 mesi di sanzione penale. Quando succede una morte così, avviene una lacerazione all’interno delle famiglie, c’è un tessuto sociale e civile che viene smembrato, e io mi sono trovata da sola a gestire questa situazione. Io non so come, ma cercherò di incontrare questa persona, finché avrò vita e salute. Elisabetta B. Devo imparare a tenere ben chiaro davanti a me il dolore delle vittime Qualche giorno fa abbiamo avuto un incontro in redazione con una giornalista, Elena Valdini, che ha scritto un libro sulla tragedia delle morti sulle strade, “Strage continua”, e una insegnante, Elisabetta, madre di Claudio, che è stato ucciso mentre tornava dal lavoro in motorino. Avendo discusso giorni prima, nelle riunioni che teniamo all’interno della redazione, sulla proposta di legge per introdurre il reato di “omicidio stradale”, che prevede di aumentare le attuali condanne portandole fino ad un massimo di diciotto anni, e sapendo che Elisabetta ed Elena hanno a cuore questo tema, pensavo di trovarmi di fronte a due persone che avessero un’idea del tutto punitiva su come risolvere il problema delle morti sulla strada, quindi in netto contrasto con la mia. La mia idea è quella che non sia la quantità della pena a far riflettere una persona sui comportamenti che l’hanno spinta a commettere il reato e a renderla poi una volta fuori più responsabile, ma la qualità della sanzione. Per cui lascerei le pene che già ci sono senza aumentarle, ma aggiungendo un lungo percorso di lavoro non pagato, magari con vittime di incidenti stradali. Devo dire che aver ascoltato la testimonianza della mamma di Claudio e aver visto ancora oggi la sofferenza che esprimeva nei suoi occhi, nel raccontare la storia di come hanno tolto la vita al figlio, ha causato dentro di me una forte emozione, perché anch’io ho dei figli, sono padre di tre bimbe, e per la prima volta ho provato a mettermi nei panni della vittima e a pensare a come avrei reagito se tutto ciò fosse accaduto a una delle mie figlie. Tenere ben chiaro davanti a me il dolore degli altri e pensare che un giorno potrei io trovarmi dall’altra parte mi ha aiutato a essere meno superficiale e a pesare ogni parola. Non avevo mai incontrato parenti delle vittime di reati, averlo fatto e avere ascoltato le loro testimonianze mi ha portato a una profonda riflessione personale su quanto io sia stato superficiale in passato nel pensare che guidare senza avere la patente o sotto effetto di alcol fosse solo una trasgressione di una piccola regola. Non ho avuto mai né la sensibilità né la capacita di pensare invece che, se avessi causato un incidente, avrei potuto non solo togliere la vita a qualcuno ma compromettere la stabilità dell’intera famiglia, come è successo alla famiglia di Elisabetta. Luigi Guida Giustizia: il 25 aprile “liberiamoci”… marciando per l’amnistia di Valeria Centorame Notizie Radicali, 23 aprile 2012 “Dietro ogni articolo della Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”. P. Calamandrei. Da ogni statistica sul nostro fallimentare sistema giustizia e sulle nostre carceri emerge un analisi spietata che dipinge l’Italia nella sua drammatica realtà: maglia nera per la carcerazione preventiva, maglia nera per le morti in carcere, maglia nera per la lunghezza dei processi, maglia nera per le prescrizioni, maglia nera per le pochissime misure alternative al carcere concesse, ed infine migliaia di condanne dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Direi che un attento osservatore, potrebbe addirittura porre la questione sulla denuncia per Crimini contro L’Umanità, come recita l’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Ora mi chiedo, si esagera sul serio quando si parla di Crimine contro l’Umanità e di Tortura per spiegare tecnicamente ciò che accade nelle immonde carceri italiane e nella nostra Giustizia? Oppure gli atti di una denegata giustizia, e di uno Stato che vìola costantemente, consapevolmente e tecnicamente la legge, interna e sovranazionale vedono l’Italia invece coinvolta ed attrice attiva in uno dei peggiori crimini che uno Stato possa commettere? Quello di “tortura” e possa quindi essere denunciata per Crimini contro l’Umanità quando lascia morire cittadini, rei o presunti innocenti nelle proprie carceri per mancanza di assistenza medica, per sovraffollamento illegale? Può il nostro “belpaese” tranquillamente rientrare in violazione del trattato della Corte Penale Internazionale anche per l’ “imprigionamento o altre gravi forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale” comminato in quelle carceri che chiamare sovraffollate è semplice eufemismo? Può definirsi democratico un paese quando rinchiude in lager fatiscenti oltre 66.000 persone negando i più elementari diritti umani? Può definirsi democratico un paese quando a causa di una politica criminogena e carcerocentrica imprigiona migliaia di innocenti? Può definirsi democratico un paese che detiene bambini assieme alle madri in carcere? Può definirsi democratico un paese che legifera sull’opportunità del singolo ed a discapito delle masse sociali? Può definirsi democratico un paese che “cura” la tossicodipendenza e la malattia mentale con il carcere? Perché se è eufemismo definire le nostre carceri sovraffollate, credo sia ipocrita e non aderente alla realtà definire invece il nostro un paese “democratico”. Non è invece un atto di verità ammettere la resa dello democrazia e l’errore di una politica becera che ha legiferato negli anni sull’onda emotiva e del consenso elettorale, trasformando il nostro Stato di Diritto in un guazzabuglio di norme, spesso contrastanti e malfunzionanti visti gli effetti drammatici, con un sovraffollamento addirittura mai visto dal nostro dopoguerra e con una disparità sociale all’interno delle nostre carceri, degna di un solo nome: shoah? Eppure l’Amnistia osteggiata da alcuni, è stata studiata ed inserita all’art. 79 proprio dai nostri padri costituenti, proprio dagli esponenti dei partiti che avevano dato vita al Cln, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche ed ispirandola ai princìpi della democrazia e dell’antifascismo. Democrazia ed antifascismo che ancora a pieno titolo non rientrano purtroppo e non sono parte integrante del nostro sistema giuridico “il passaggio del ventennio fascista ha deliberatamente portato nella disciplina dei reclusori, colla riforma della legislazione penale e dei regolamenti carcerari, un soffio di gelida crudeltà burocratica e autoritaria, che senza accorgersene sopravvive al fascismo.” (Cit. P. Calamandrei) Il 25 aprile è appunto la Festa della Liberazione e rappresenta il passaggio dalla dittatura alla democrazia, credo che non ci possa essere data più adatta per dar vita alla seconda “Marcia per l’amnistia, la giustizia la libertà” promossa dal Partito Radicale ed appoggiata da un lunghissimo ed importante comitato promotore, marcia a cui hanno aderito migliaia di persone, proprio perché lo Stato di Diritto è strettamente connesso al concetto di democrazia, anzi ne è parte fondamentale ed integrante e riguarda proprio tutti. Appuntamento ore 10.00 davanti a Regina Coeli. Si chiede quindi il rientro nella legalità da parte del nostro Stato, il termine della strage di diritto in atto, il rispetto delle Convenzioni sovranazionali e della nostra stessa Costituzione, affinché cessi la strage di diritto che è causa di strage di popoli. L’amnistia è quindi non la liberazione dei detenuti, ma la liberazione dalla tortura legalizzata (ed illegale) cui sono sottoposti grazie al sovraffollamento ed a leggi criminogene migliaia di cittadini, per la metà in attesa di giudizio. L’amnistia è l’interruzione della flagranza di reato, del quale cui lo stato italiano è ritenuto responsabile dalle massime istituzioni internazionali con le infinite condanne ricevute. L’Amnistia prevista dalla nostra Costituzione è ora un atto di Giustizia, non di clemenza, imprescindibile e tecnicamente unica risposta a deflazionare e porre immediato termine alla strage di legalità in atto nelle nostre carceri e nella nostra giustizia. È ora che la politica si faccia carico di quello che ormai come attestano anche recenti sondaggi Eurispes è uno dei nodi focali e centrali del nostro paese, quello di un sistema Giustizia in cui gli italiani hanno sempre meno fiducia; solo una piccola quota di intervistati giudica positivo l’operato di questa Istituzione (1,6%), segno di una progressiva perdita di fiducia da parte dell’opinione pubblica verso un sistema che, ormai dal tempo fascista, tarda a rinnovarsi sul serio e sulla base delle reali esigenze sociali e che mette e sta mettendo in pericolo l’intera democrazia perché come dichiara Marco Pannella “Ormai da decenni, si tratta di una delle più grandi questioni sociali in Italia”. Amnistia per la Repubblica! Giustizia: da Montalcini a Don Gallo, in piazza il 25 aprile a Roma per l’amnistia Agi, 23 aprile 2012 Partirà alle 10 dal carcere di Regina Coeli a Roma la marcia del 25 aprile per “l’amnistia, la giustizia e la libertà”. I Radicali Italiani, a pochi anni di distanza dalla prima mobilitazione che poi portò all’approvazione dell’indulto del 2006, chiedono nuovamente al Parlamento di porre un freno al collasso del sistema carcerario italiano. Tante le adesioni giunte ai Radicali, da Rita Levi Montalcini a Don Andrea Gallo, anche se il movimento lamenta il silenzio dei mezzi di informazione che, spiega Emma Bonino, “hanno creato, con il loro silenzio, un paradosso: persino quanti hanno aderito alla marcia non conoscono il numero esatto delle adesioni”. Vi prenderà parte anche il deputato del Pdl Alfonso Papa, che dal giorno della sua scarcerazione ha abbracciato la campagna radicale a favore dell’amnistia. “L’unico modo per uscire dalla bancarotta giudiziaria, rappresentata numericamente dai 9 milioni di procedimenti pendenti e dalle 180mila prescrizioni annuali, - afferma Alfonso Papa - è il varo di una grande amnistia, misura di civiltà e pacificazione nazionale, per porre mano a una massiccia opera di depenalizzazioni. Occorre azzerare per ripartire. A chi dice che l’amnistia sarebbe solo una misura tampone, io rispondo che l’amnistia è sempre stata il viatico per le riforme. All’ultima amnistia risalente al 1990 fece seguito la riforma del Codice di Procedura penale. Chi oggi è contro l’amnistia, è contro la riforma della giustizia”. Adesioni sono giunte anche dal Partito Democratico: “Il 25 aprile saremo alla marcia che si terrà a Roma, organizzata dai Radicali per l’amnistia, la giustizia e la libertà”, annunciano i senatori Ecodem: “Sarà l’occasione, nel giorno di una storica ricorrenza per il nostro Paese, per accendere un faro sulle carceri italiane sempre più affollate e incapaci di rieducare, dove troppo spesso si muore per suicidio o per cause da accertare”, dichiarano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta. Duro, sull’emergenza carceri, Niccolò Amato, già direttore delle carceri italiane: “I livelli di crisi del nostro sistema carcerario hanno raggiunto la bancarotta”, spiega Amato intervistato da Radio Radicale: “I Radicali da anni sono sostanzialmente gli unici a porre con forza questi temi, che sembrano scorrere nella totale indifferenza del Paese e della classe politica”. Per l’Unione delle comunità islamiche italiane “aderire a questa manifestazione è un obbligo non solo religioso ma civile. La nostra Costituzione dice in modo molto chiaro che deve essere rispettata la dignità umana dei detenuti. Per questo l’Ucoii ha aderito in modo ufficiale, e darà il proprio contributo a questa marcia, e per la battaglia per l’amnistia”, spiegato Izzedin Elzir, Presidente dell’Ucoii. A prendere parte alla marcia saranno, tra gli altri, la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, Ilaria Cucchi (sorella di Stefano, morto all’ospedale Sandro Pertini dopo una breve detenzione a Regina Coeli, per cause ancora da accertare), Lucia Uva (sorella di Giuseppe Uva, deceduto dopo essere stato fermato dai carabinieri della caserma di Via Saffi, a Varese), Rudra Bianzino (figlio di Albo, morto nel carcere di Capanne). Tra le associazioni, parteciperanno Articolo21, Antigone, Gruppo Abele, Nessuno Tocchi Caino, ed altre. Non mancherà poi la presenza dei garanti dei detenuti del Lazio e di Roma, di Rovigo, e della Puglia e nutrito è anche il gruppo di parlamentari: dal deputato del Pdl Mario Baccini al capogruppo di Fli benedetto della vedova, da Roberto Giachetti del Pd al Lorenzo Emilio Ria dell’Udc. E poi, ancora: la vice presidente del senato Emma Bonino, il vice presidente dei senatori democratici Luigi Zanda, il senatore democratico e presidente della commissione di inchiesta sugli errori in sanità Ignazio Marino. Senatori Ecodem: in marcia con Radicali per amnistia “Il 25 aprile saremo alla marcia che si terrà a Roma, organizzata dai Radicali per l’amnistia, la giustizia e la libertà. Sarà l’occasione, nel giorno di una storica ricorrenza per il nostro Paese, per accendere un faro sulle carceri italiane sempre più affollate e incapaci di rieducare, dove troppo spesso si muore per suicidio o per cause da accertare. L’amnistia si impone sempre più come una delle soluzioni, quasi una precondizione in questa situazione emergenziale”. Lo annunciano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta. “Occorre un impegno concreto - continuano i senatori del Pd - per far fronte alle drammatiche condizioni in cui versano la giustizia e le carceri nel nostro Paese. Non si tratta solo della condizione delle carceri, nelle quali 67mila detenuti sono ammassati in celle che potrebbero ospitarne al massimo 45 mila, ma della vita di milioni di cittadini italiani e delle loro famiglie, che sono parti in causa negli attuali oltre 10 milioni di procedimenti penali e civili pendenti nei nostri tribunali, molti dei quali destinati a risolversi dopo troppi anni, se non anche vedere i reati imputati cadere in prescrizione”. “Dallo stato delle carceri si misura il livello di civiltà di un Paese, e uno Stato di diritto non deve mai ripagare con la vendetta, ma solo col rispetto delle leggi e con processi rapidi e giusti. Finché la politica non avrà il coraggio di affrontare con onestà questa situazione - concludono i parlamentari - l’Italia continuerà a scontare un gap nei confronti dell’Europa e continuerà ad essere messa all’indice dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Giustizia: la marcia misteriosa di Furio Colombo Il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2012 Caro Furio, ormai mancano pochi giorni all’evento. Sarà il 25 aprile. Sarà la seconda volta che c’è una marcia per l’Amnistia, la Giustizia, la Libertà. Il giorno della Liberazione partirà da Castel Sant’Angelo per raggiungere piazza San Silvestro, a Roma. La tua partecipazione può fare la differenza per la riuscita dell’evento che vede al momento straordinarie adesioni di personalità, associazioni, sindacati, religiosi, eletti nelle istituzioni, che hanno annunciato di prendervi parte, laici, cattolici e appartenenti ad altre religioni uniti da un unico obiettivo sempre più urgente e vitale, di interrompere la flagrante violazione dei diritti umani universali che da decenni è quotidianamente consumata in Italia a causa della drammatica situazione nelle nostre carceri, per il malfunzionamento della giustizia, soffocata da dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi. Rita Bernardini Ho pubblicato soltanto un paragrafo della lunga lettera di Rita Bernardini, ma il nome per intero dell’autrice è imposto dal senso politico della lettera, perché mi preme pubblicamente dire alla deputata Radicale che intendo accettare l’invito. Non si tratta (e accade spesso con i Radicali) di condividere ogni specifico punto (ce ne sono molti di più nel loro programma e su alcuni il dibattito è appassionato e continuo). Ma mi sento in buona compagnia con persone che mettono davanti a tutto, dai fatti personali alla convenienza politica, i diritti umani e civili. Anche prima di questa crisi eravamo cittadini di un mondo gelido e distratto, nel quale te la cavi se sei potente, o ti aggreghi a un partito in cerca - magari anche onesta e disperata - di un aiutino. Qui l’idea, così ostinata da rasentare l’ossessione, è che ci sono alcuni diritti (che vengono sempre visti non come qualcosa che spettava a me e che mi hanno tolto, ma come qualcosa che spettava ed è stato sottratto ad altri) che non è tollerabile negare ad alcuni sole perché non sono abbastanza forti da garantirsi da soli. Neppure i radicali sono forti, e questa è la ragione per cui non voglio trascurare il loro appello e il loro invito. Non sono forti ma non pensano che sia una buona ragione per rinunciare, non vincono (non sempre, qualche volta in modo clamoroso perché la gente all’improvviso si sveglia e vede il paesaggio con occhi normali) ma ritentano sempre da capo. Mi conviene, da cittadino, che ci sia questo filtro di mondo pulito. E come posso, cerco di prendere parte. Giustizia: 25 aprile, la marcia ignota di Valter Vecellio Notizie Radicali, 23 aprile 2012 Furio Colombo, che ne ha scritto su “Il Fatto”, l’ha chiamata “La marcia misteriosa”. La si potrebbe anche definire: “La marcia ignota”, come ignote sono quasi tutte le iniziative e le proposte radicali: nel senso che non se ne parla, non diventano argomento di dibattito e confronto. Fra due giorni avrà luogo a Roma, la marcia per l’amnistia, la libertà, la giustizia. Andate nei siti radicali. La lista delle adesioni, di organizzazioni e di singole personalità è sterminata, sono davvero tanti e di ogni orientamento politico e culturale. Beh, non lo sa nessuno. Hanno aderito sacerdoti, cappellani, uomini di chiesa e non solo cattolici; una quantità di parlamentari, di dirigenti politici di destra, centro e sinistra; i garanti dei detenuti, i direttori penitenziari, sindacati dalla Cgil all’Ugl, scrittori e personalità dello spettacolo, consigli comunali, provinciali, regionali. Un giornale che sia andato a chiederne le ragioni, una televisione pubblica o privata che sia che abbia dedicato alla questione - si ripete: per l’amnistia, la libertà e la giustizia - una delle tante trasmissioni che vanno in onda ogni giorno, per chiedere a tutte queste persone perché secondo loro le questioni della libertà e della giustizia passano per l’amnistia. Niente. È da credere che gli stessi aderenti alla marcia, per paradosso, ignorino cosa sia l’iniziativa che promuovono e cosa si prefigga e chieda. Certo: si parla molto della situazione delle carceri. E finalmente, dopo che per anni la questione era stata ignorata, rimossa. Ora non v’è chi non riconosca che la questione è intollerabile, indegna; e, beninteso, lo è, una autentica vergogna per non dire di peggio; e tuttavia, accade che proprio in questo modo, si finisca, magari al di là delle intenzioni, per sfuggire alla questione essenziale. La questione essenziale è costituita dai milioni di processi in corso, e la loro irragionevole durata, come dicono gli organismi europei che per questo ci condannano in continuazione. Già quasi dieci anni fa il Consiglio d’Europa, attraverso la relazione del parlamentare spagnolo Álvaro Gil - Robles, individuava nella lentezza della giustizia italiana l’elemento che “indebolisce lo Stato di diritto”. Lo scandalo sono i circa 180mila processi che ogni anno vanno in prescrizione, un’amnistia di clandestina e di classe, perché ne beneficia solo chi ha la possibilità di pagarsi un buon avvocato che sa come destreggiarsi tra norme e leggi dei codici. Nel 2010 lo Stato ha dovuto indennizzare cittadini che hanno vinto il ricorso alla Corte europea per oltre sei milioni di euro. Nel 2011 la cifra è salita a otto milioni e mezzo. La Corte inoltre ha già condannato più volte l’Italia per il malfunzionamento dell’unico rimedio, la legge Pinto, finora fornito agli italiani per rivalersi contro lo stato per la durata eccessiva dei processi. Ecco: è questo quello che non ci vogliono far sapere, che ci nascondono, che impediscono diventi oggetto di riflessione, dibattito, confronto, consapevolezza comune. È la non democrazia che avvolge e stritola questo paese. Questo regime di non conoscenza e negata verità è la peste di cui da tempo parlano Pannella e i radicali. Prima di chiudere, un pensiero, un fiore ideale per una persona, un compagno, che ci ha lasciato, l’avvocato Peppino Ramadori: radicale quando esser radicale non era facile, da anni non era più iscritto, era sceso dall’autobus radicale. L’ultima volta che l’ho visto, appena un poco invecchiato, un paio d’anni fa, in occasione di un venti settembre a Porta Pia. Peppino ha fatto parte della nostra storia, e poco importa che non condividesse più, o solo in parte, le cose che si cerca di fare. Che la terra ti sia lieve, Peppino. Giustizia: Pannella a Napolitano, in Italia legalità offesa Agi, 23 aprile 2012 “La Repubblica e lo Stato italiano stanno dando, Presidente della Repubblica, un contributo potente: stiamo sputtanando non solo più solo l’Autorità garante sulle comunicazioni in Italia, ma la giurisdizione europea e, poiché essa è fondata sui diritti umani, anche tutti i patti costitutivi, bilaterali, trilaterali e regionali, della legalità da 50 anni a oggi”. Lo ha detto Marco Pannella, rivolgendosi al Presidente Napolitano, nel corso della conversazione settimanale con Radio Radicale, parlando della marcia per l’amnistia convocata per il 25 aprile a Roma. “Il Presidente della Repubblica, se non lo si vuole offendere, è l’interlocutore obbligato di questo discorso”, ha sottolineato. “Abbiamo un’Italia in indiscutibile flagranza di reato contro la nostra stessa Costituzione; per cui hai detto che ci dobbiamo vergognare davanti a tutta l’Europa, hai evocato il termine orrore per parlare della realtà carceraria, hai parlato di prepotente urgenza eppure non hai fatto messaggi alle Camere”, ha ricordato Pannella. “Oggi la situazione è peggiorata - prosegue Pannella - e il garante della legalità non solo tace ma, inseguito dal suo passato, cosa che fa di lui un politico di grande esperienza e profonda conoscenza anche degli strumenti tecnici e di governo, riesce a concepire perfino l’annullamento della legalità, della Costituzione. C’è il disastro alle porte e nomina subito Monti senatore a vita, poi gli dà l’incarico di governo e riesce in questo modo - con il suo patrimonio di uomo di governo, sostanzialmente di premier vero - a illudersi di aver ottenuto che il disastro ‘grecò non accada. Certo, è rimandato. Ma in Italia la legalità non vale più nulla, viene vilipesa e offesa, tanto è vero che il suicidio diventa una malattia nazionale, dappertutto spuntano suicidi”. Mentre sulla Marcia per l’amnistia, “non c’è stato un solo dibattito, perché l’argomento è scottante, come l’eutanasia”. Giustizia: Bonino; muro del silenzio su marcia del 25 aprile Agi, 23 aprile 2012 “Il muro del silenzio è tale che persino coloro che hanno aderito non conoscono l’entità delle adesioni che stanno arrivando, che abbiamo costruito in mesi di lavoro”. Lo ha detto la senatrice radicale Emma Bonino, intervistata da Radio radicale sulla marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà che si terrà a Roma il prossimo 25 aprile. La marcia partirà dal carcere romano di Regina Coeli. “A promuovere la marcia è una base sociale vera, che non è fatta solo da tutti coloro che lavorano nelle carceri o con la giustizia”, ha spiegato la Bonino. “La rete che si muove sulla parola d’ordine ‘amnistia per la repubblica, democrazia e libertà è un punto di riferimento essenziale, ampio, perché continuiamo a pensare che senza legalità non c’è democrazia. E questo è uno degli elementi della putrefazione, ed il silenzio della televisione e dei giornali ne è l’ulteriore prova”, ha concluso la vicepresidente del Senato. Giustizia: la Conferenza Nazionale Volontariato partecipa a Marcia 25 aprile per amnistia Ristretti Orizzonti, 23 aprile 2012 Lo scandalo delle nostre carceri, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni, convenzioni, trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. La Conferenza esprime preoccupazione per la gravità dell’attuale sovraffollamento delle carceri, che si traduce in un ostacolo all’attuazione del percorso rieducativo dei detenuti e, più in generale, alla realizzazione dei loro diritti fondamentali, e si unisce alle preoccupazioni espresse ormai da tempo da eminenti figure costituzionali. Anche ultimamente, Alfonso Quaranta, Presidente della Corte Costituzionale, ha dichiarato che “Il sovraffollamento è inaccettabile, ma la situazione del carcere nel suo complesso è “gravissima” e deve diventare a tutti gli effetti una priorità politica perché il sistema, così com’è, non garantisce la “salvaguardia dei diritti umani” ma è indegno di un Paese civile”. Noi ci siamo. Ci siamo sempre stati, quando si trattava di attivarsi per una mobilitazione e protesta pacifica, per tenere accesa la fiaccola della ragione e non spegnere il faro sulla situazione delle carceri. Vorremmo che questa marcia fosse un forte richiamo alla politica affinché cambi passo per garantire la legalità costituzionale. Di depenalizzazione e decarcerizzazione si parla da molto tempo, ma le cose sono andate molto diversamente. Ora è necessario spegnere l’incendio di illegalità delle carceri italiane. Lo stesso Presidente Napolitano, lo scorso anno, ha affermato che sul problema delle carceri la politica deve trovare soluzioni “non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Marceremo quindi, insieme ai tanti partecipanti, per difendere l’art. 27 della Costituzione, per chiedere una rapida adozione di misure che possano riformare l’attuale situazione di disagio dovuta al sovraffollamento delle carceri, perché lo spirito e la tenacia con cui i Radicali, e tanti altri insieme a noi, conducono le battaglie per le condizioni delle carceri italiane ed i diritti umani non vanno lasciati marciare da soli. Il Presidente Elisabetta Laganà Giustizia: il 25 aprile i direttori delle carceri marciano per la tutela dei diritti Comunicato stampa, 23 aprile 2012 Il Si.Di.Pe. (Sindacato Direttori Penitenziari), sindacato che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari, torna ad esprimere la posizione dei direttori, di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna, a favore di un sistema penitenziario che sia coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena, rispetto alla grave situazione di disagio che esiste negli istituti penitenziari della Repubblica: per questa ragione, dopo aver preso parte al sit-in di annuncio svoltosi nella giornata di Pasqua, parteciperà alla II Marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà, che si terrà il 25 aprile prossimo. La grave situazione delle carceri, causata dal pesante sovraffollamento, che ha determinato la dichiarazione dello stato di emergenza, e la previsione di apertura di nuove strutture penitenziarie e di nuovi padiglioni detentivi sono, invero, circostanze incompatibili con la drastica riduzione delle risorse finanziarie per la gestione dei penitenziari ed ancor più con la progressiva riduzione degli organici, dirigenti penitenziari compresi. Difatti il carcere è realtà complessa e occorrerebbe, invece, implementare tutte le risorse professionali necessarie al funzionamento della macchina, quello di polizia penitenziaria ma anche quello amministrativo e pedagogico. Il momento di grave recessione del Paese fa registrare un arretramento di fatto dei diritti di tutti, e in questo contesto il mondo penitenziario, da sempre destinatario di una scarsa attenzione, subisce un arretramento ulteriore poiché, pur a fronte dei recenti sforzi del governo, la carenza di risorse acuisce un disinteresse culturale profondamente radicato all’interno della società nel corso degli anni, a causa di politiche, qualunque maggioranza abbia governato, per un verso o per un altro del tutto inadeguate. In questo contesto anche gli sforzi tentati dal Ministro della Giustizia Paola Severino, per far fronte alla crisi del sistema penitenziario, rischiano di non trovare adeguato supporto. I dirigenti penitenziari, infatti, sono i primi garanti dei principi di legalità nell’esecuzione penale e ritengono il rispetto dei diritti della persona una condizione essenziale senza la quale non esiste giustizia degna di uno Stato di diritto ed il Si.Di.Pe., con la sua partecipazione alla II marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà del 25 aprile, intende promuovere una cultura sociale e penitenziaria, del carcere e sul carcere, che veda i dirigenti penitenziari protagonisti, per una reale affermazione di quei principi di legalità e di giustizia spesso solo affermati in vuote formule di stile da coloro che del carcere vogliono occuparsi, per gli interessi più vari, indossando i guanti della retorica, ma che non vivono, non conoscono, né comprendono il mondo penitenziario, le difficoltà ed i disagi degli operatori penitenziari e le spesso più che disperate condizioni di vita delle persone detenute. I dirigenti penitenziari, infatti, vivono quotidianamente e con sofferenza l’impossibilità di garantire quei diritti che l’ordinamento penitenziario proclama, nonostante siano anch’essi privati dei loro diritti e, primo tra tutti, quello ad avere il loro primo contratto di categoria, pur previsto dalla legge. Il Segretario Nazionale Rosario Tortorella Giustizia: Uil Penitenziari; in marcia con i Radicali, per informare su criticità carceri Adnkronos, 23 aprile 2012 “Parteciperemo alla marcia di mercoledì 25 aprile perché dobbiamo uscire dallo steccato corporativo, che nel passato ha alimentato l’isolamento del mondo penitenziario. Ci metteremo in moto per essere in sintonia con la società che chiede diritti, non avendo paura di contaminarci”. È questo uno dei passaggi del videomessaggio che il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, ha pubblicato sul sito www.polpenuil.it e postato sulla sua pagina di Facebook per spiegare le ragioni dell’adesione e della partecipazione del sindacato alla marcia organizzata dal Partito Radicale Italiano, che partirà dal Lungotevere all’altezza del carcere romano di Regina Coeli. “Noi partecipiamo per alimentare l’informazione sulle criticità che si abbattono sul sistema penitenziario che riguarda tanto i detenuti quanto il personale penitenziario, polizia penitenziaria in testa - prosegue Sarno - Parteciperemo per dire con chiarezza che occorre ancora intervenire per via legislativa per risolvere i tanti problemi che ancora avvolgono il mondo carcerario. Noi partecipiamo - sostiene Sarno - per dire che la foglia di fico della politica dello svuota - carceri (che non ha svuotato nulla) non basta e che occorre trovare altri rimedi. Noi che di carcere abbiamo conoscenza e competenza avevamo individuato in 1.500 i destinatari delle norme varate, ne hanno beneficiato in 1.400, che non sono certo gli 8.000 annunciati. Per questo occorrono soluzioni strutturali rispetto al momento sanzionatorio, ma occorre soprattutto mettere mano alla riforma della giustizia. Il segretario generale della Uil Penitenziari ha anche ricordato che “dal 1 gennaio 2012 ad oggi sono 16 i detenuti suicidatisi in cella, 65 i detenuti salvati in extremis da tentati suicidi, 98 gli agenti penitenziari aggrediti e feriti da detenuti e circa 1.000 gli atti di autolesionismo grave compiuti dai detenuti”. “Noi marceremo per ridare piena attualità a quella prepotente urgenza richiamata dal Presidente della Repubblica - sottolinea Sarno - ma marceremo anche per rendere noti tutti i nostri dubbi rispetto all’azione amministrativa del Dap, che ha inteso accelerare su alcune aperture di nuove strutture (Rieti, Avellino, Velletri, Piacenza, ecc.), aggravando i carichi di lavoro della polizia penitenziaria quando sarebbe stato opportuno spostare di qualche settimana queste aperture. A fine giugno, infatti, ci sarà da assegnare circa 850 neo agenti di polizia penitenziaria ed avremmo avuto il tempo di pianificare e condividere un piano di assegnazioni cui abbinare un piano di mobilità ordinaria, in modo da garantire i diritti di quel personale che ne ha fatto richiesta e che da tempo aspetta l’occasione di vedere soddisfatte le proprie aspirazioni”. “Noi dobbiamo partecipare, abbiamo ragione per partecipare, abbiamo diritto a partecipare - conclude il leader della Uil Penitenziari - perché attraverso i canali della comunicazione dobbiamo ricordare alla stampa, alla società, alla politica che c’è un grave problema, una prepotente urgenza che attraversa il sistema penitenziario. Noi manifesteremo e marceremo per rivendicare dignità della detenzione, ma anche dignità del lavoro; per chiedere civiltà della detenzione, ma anche civiltà del lavoro; diritti per i detenuti, ma anche diritti per il personale”. Giustizia: il Forum Nazionale dei Giovani alla marcia del 25 aprile per l’amnistia Agenparl, 23 aprile 2012 Il Forum Nazionale dei Giovani parteciperà il prossimo 25 aprile, a Roma, alla “Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà” per chiedere al Parlamento un impegno concreto e solerte, adeguato ad affrontare le drammatiche condizioni in cui versano la giustizia penale e le carceri nel nostro Paese. “Siamo convinti che la questione delle carceri sia una tema centrale del delicato capitolo della giustizia italiana. Pessime condizioni igienico - sanitarie, carenza di personale, condizioni generali di vita non degne di un Paese come il nostro: tutto ciò costituisce un oltraggio alla dignità della persona umana”. È quanto afferma il Consiglio Direttivo del Forum Nazionale dei Giovani, piattaforma di rappresentanza dell’associazionismo giovanile italiano. “Due dati su tutti - conclude il Portavoce del Forum Nazionale dei Giovani, Antonio De Napoli - richiedono attenzione e impegno: i numeri del sovraffollamento e il dato dei suicidi all’interno delle carceri italiane. Tutto ciò non può non interrogare le coscienze di tutti noi. Questi problemi, troppo a lungo dimenticati, devono essere inseriti tra le urgenze dell’agenda politica del Paese. Parlamento e Governo devono intervenire presto e bene”. Lo rende noto il Forum Nazionale dei Giovani. Giustizia: la crisi arriva anche in carcere, scure tagli su colonie agricole Adnkronos, 23 aprile 2012 La crisi arriva anche dietro le sbarre. I penitenziari italiani, infatti, sono costretti a fare i conti con il taglio dei fondi pubblici destinati a sostenere le attività lavorative dei detenuti. Al 30 giugno scorso, il numero dei detenuti lavoranti è di 13.765 unità, mentre il fondo della legge Smuraglia che prevede sgravi fiscali per le imprese che assumono detenuti non è stato ritoccato dal 2000. Ridotti anche i fondi destinati alle colonie agricole, laboratori sociali del reinserimento. A fare il punto sul lavoro in carcere, è la rivista “Le Due Città”, periodico mensile dell’Amministrazione Penitenziaria. La scure dei tagli ha colpito i due tipi di lavoro praticato in carcere: quello alle dipendenze dell’Amministrazione (i cosiddetti lavori domestici e le lavorazioni industriali per provvedere alle esigenze di casermaggio e arredo degli istituti), e quello alle dipendenze di soggetti terzi, come imprese o cooperative che avviano attività all’interno dei penitenziari o assumono detenuti all’esterno. Alcuni penitenziari hanno ridotto le ore di lavoro pro capite e aumentato i turni per mantenere inalterato il numero di occupati. A incidere sull’occupabilità della popolazione detenuta, è anche il cosiddetto fenomeno delle porte girevoli, cioè delle migliaia di persone che dopo l’arresto rimangono in carcere per pochi giorni (circa 17.000 nel 2011). Nel frattempo, una risorsa per affrontare la crisi continua ad essere rappresentata dalla Cassa delle ammende grazie alla quale solo nel 2011 sono stati finanziati quattordici grandi progetti lavorativi per un totale di circa 5 milioni di euro. La relazione sullo svolgimento da parte dei detenuti di attività lavorative o di corsi di formazione presentata dal Guardasigilli, Paola Severino, nel dicembre scorso, contiene un chiaro invito alle direzioni degli istituti e ai provveditorati di presentare per sopperire alle ristrettezze di bilancio progetti di finanziamento della cassa ammende con la previsione di opportunità lavorative e formative per i detenuti, nell’attesa di integrazioni di bilancio a sostegno dell’occupazione della popolazione detenuta e di una modifica dei limiti di spesa previsti dalla legge Smuraglia. Dai dati elaborati dall’Ufficio statistiche del Dap non risulta una flessione apprezzabile rispetto all’anno precedente nella percentuale dei detenuti lavoranti - il 20,87% a dicembre 2011 e il 20,86% a dicembre 2010. La differenza, però, si inizia a notare rispetto al 2009, anno in cui ha lavorato il 22,03% dei 64.791 detenuti, ed appare più consistente se confrontata all’ultimo semestre pre indulto, periodo in cui la percentuale è stata del 25,30 %. “Gli unici dati purtroppo di lampante chiarezza - rimarca lo studio - sono quelli relativi all’entità dei tagli. Il budget previsto per la remunerazione dei detenuti lavoranti alle dipendenze dell’amministrazione, passato dai 71 milioni del 2006 (quando le carceri italiane contavano 59mila reclusi) ai 49 milioni del 2011 (quando la media dei reclusi ha toccato le 67mila unità). Oltre a incidere sul numero di detenuti occupati, la riduzione dei finanziamenti ha avuto inevitabili effetti sulla qualità della vita in carcere, perché la maggior parte delle mansioni svolte all’interno riguardano proprio i servizi di pulizia, la cucina e la manutenzione ordinaria dei fabbricati. Un altro capitolo colpito dai tagli è quello delle lavorazioni industriali: si è passati, dagli 11 milioni del 2010 ai 9,3 del 2011. Questo proprio nel momento in cui la creazione di nuovi spazi detentivi, comporta un aumento della domanda di arredi e suppellettili, come armadietti, tavoli, biancheria e coperte. Alleggerito inevitabilmente anche un altro capitolo di spesa, quello legato al lavoro penitenziario nelle colonie e nei tenimenti agricoli. Qui i tagli di bilancio delle ultime finanziarie hanno segnato una riduzione dei fondi previsti per questa voce dai 7,9 milioni del 2010 ai 5,4 milioni del 2011. Il più colpito è però il settore delle colonie agricole, anche se l’Amministrazione e i singoli penitenziari, grazie anche a progetti finanziati dalla Cassa delle ammende, sono comunque riusciti a mantenere inalterate produzioni che vanno dall’orto cultura biologica alla frutticoltura in serra, fino all’allevamento dei conigli, all’itticoltura e all’apicoltura. Grazie a queste tipicità, nel tempo si è andata formando tra i detenuti una forza lavoro dotata di competenze professionali, espressione di un riuscito esperimento di recupero sociale capace di andare di pari passo con i valori dell’impresa e dell’economia di mercato, anche in settori più tradizionali come quello agricolo. Notizie non buone anche dal fronte della presenza privata nell’ambito delle attività produttive legate al mondo del carcere. La legge 193/ 2000 (conosciuta come legge Smuraglia) che prevedendo sgravi fiscali ed altre facilitazioni per i privati che investono nel lavoro penitenziario, rischia di esaurire i suoi benefici effetti. Infatti la somma di 4.648.112 euro, messa a disposizione dalla legge per coprire i vantaggi contributivi e tributari delle ditte che assumono detenuti, non è stata mai adeguata dal 2000 e il raggiungimento del limite di spesa previsto ha impedito già nel 2011 di prevedere nuovi sgravi fiscali a favore di privati che avessero avuto intenzione di investire nel lavoro penitenziario. Tutto questo mentre la conoscenza della legge andava aumentando nell’imprenditoria privata e sociale grazie anche ad iniziative d’informazione (come la vetrina “Prodotti dal carcere” allestita sul sito www.giustizia.it) e ai tanti protocolli d’intesa tra l’Amministrazione e cooperative di solidarietà sociale. “Senza un incremento delle somme previste - conclude la rivista del Dap - sarà difficile da quest’anno in poi continuare ad assumere detenuti alle dipendenze di datori di lavoro esterni”. Giustizia: il ministro Severino; lavoro utile per recupero detenuti e per la società Tm News, 23 aprile 2012 I detenuti possono essere recuperati destinandoli a lavori socialmente utili: lo ha sostenuto il ministro della Giustizia Paola Severino, presentando a Roma, nell’area del Teatro di Marcello, un progetto avviato con i reclusi di Rebibbia che lavoreranno alla pulizia della zona archeologica. Di fronte alle rovine romane, la guardasigilli ha ricordato “l’antica civiltà” che ha prodotto una “cultura giuridica esportata in tutto il mondo”. Una civiltà che oggi “vede nella rieducazione del detenuto l’esito più felice per la vita di chi ha sbagliato e deve rientrare nella società”. In questo modo, “ci sono persone - ha sottolineato Severino - che vengono recuperate alla vita sociale: il lavoro socialmente utile è utile non solo per chi lo fa ma anche per chi gode dei risultati. Il cittadino comprende che si può uscire dal carcere migliorati. Noi crediamo che questo sia il futuro dell’emergenza carceri”. “Anche se ci sono state già delle sperimentazioni”, ha detto ancora il ministro, affiancato nell’occasione dal sindaco della capitale Gianni Alemanno, “vorrei che questo progetto fosse un punto di partenza nuovo per portarlo in tutta Italia. Siamo lavorando, è quasi maturo, un progetto con l’Anci (l’Associazione dei Comuni, ndr) per portare sul territorio questo esperimento - nel quale Roma ha il primato come iniziativa - e far sapere ai cittadini che dal carcere si può uscire facendo qualcosa di utile per la collettività”. Vantaggi per istituti con spending review “Spero che le carceri abbiano vantaggi dall’annunciata spending review. La riduzione delle spese serve a dare un vantaggio a quei settori che hanno maggior bisogno di finanziamenti”. Così il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha risposto a chi le chiedeva quali saranno gli effetti sul suo ministero della “spending review” che il governo sta preparando. “Noi - ha aggiunto il ministro, a margine della presentazione di un progetto per l’utilizzo dei detenuti per la pulizia dei siti archeologici di Roma - la spending review l’applicheremo su alcuni settori come i tribunali, attraverso la revisione della geografia giudiziaria che ha già portato all’eliminazione di alcune sedi dei giudici di pace e porterà all’eliminazione dei tribunali non efficienti. Per quanto riguarda le carceri il nuovo piano per l’edilizia carceraria ha cercato di concentrare le spese sulle sedi indispensabili”. Giustizia: Osapp; il costo mensile di un detenuto equivale a stipendio di un parlamentare Agi, 23 aprile 2012 “Se si considera la spesa complessiva, comprensiva dei costi per il Personale, per la manutenzione delle infrastrutture, per il vitto e l’alloggio e per le attività ricreative e culturali, che lo Stato esborsa per il mantenimento dell’attuale sistema penitenziario e la si divide per ciascuno dei 66.153 detenuti presenti nei 45.746 posti delle carceri italiane, si arriva alla somma di circa 12mila euro mensili pro - capite, quasi identica allo stipendio di un parlamentare italiano.” è quanto afferma l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una nota a firma del Segretario Generale Leo Beneduci. “La singolare similitudine, dal punto di vista della spesa a carico della Collettività, tra parlamentari e detenuti non è del tutto casuale, se si valuta che i primi hanno contribuito a determinare i secondi, ovvero che molta parte degli attuali disagi e inefficienze del sistema penitenziario derivano dalle scelte sbagliate o dall’assenza di debita considerazione riscontrate in Parlamento da più di un decennio riguardo all’emergenza delle carceri.” “Di conseguenza, non appare assolutamente inopportuno affermare - prosegue il sindacalista - che così come ci si propone di ridurre i costi della politica in Italia, abbassando il numero dei deputati e dei senatori, si possa immaginare un sistema penitenziario con un minore numero di presenze detentive, anche tenuto conto che, in almeno il 50% dei casi, scontare fino alla fine la pena nella promiscuità degli attuali istituti di pena peggiora e non migliora la pericolosità sociale”. “20mila detenuti in meno, per una capienza delle carceri italiane che torni ad essere pari ai posti disponibili, anche considerando l’invariabilità delle spesa per il Personale, significherebbero almeno due miliardi di euro in meno l’anno a carico della Collettività, oltre che una maggiore sicurezza sociale per un sistema finalmente in grado di recuperare i detenuti alla civile convivenza”. Conclude, quindi, Beneduci: “come cittadini e come poliziotti penitenziari saremmo curiosi di conoscere, al di là dei facili propositi elettorali, quanti degli attuali partiti politici sarebbero in grado di sostenere pubblicamente tali tesi, ben sapendo che non lo farà nessuno, almeno nell’attuale maggioranza che sostiene il Governo”. Liguria: Sappe; nel 2011 nelle carceri i più di trenta tentati suicidi, risse ed aggressioni Comunicato stampa, 23 aprile 2012 “Nel 2011 nelle carceri liguri più di trenta tentati suicidi, risse ed aggressioni. Quasi 3.200 i detenuti coinvolti in manifestazioni di protesta contro sovraffollamento, condizioni di vita intramurarie ed a favore dell’amnistia”. “I dati recentemente elaborati dall’Amministrazione Penitenziaria, riferiti agli eventi critici accaduti nelle carceri liguri nel corso dell’anno 2010, devono fare seriamente riflettere sulle evidente problematiche del sistema e su quanto essi vadano ad incidere sul duro, difficile e delicato lavoro che quotidianamente le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria in servizio in Liguria svolgono con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità. Da questi dati emerge una volta di più quali e quanti sacrifici affrontano ogni giorno le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria per garantire vigilanza e sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti di pena liguri partecipando nel contempo alle attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti. Nel 2011 in Liguria 33 detenuti hanno tentato il suicidio (erano stati 23 nel 2010), 317 gli atti di autolesionismo (220 nel 2010), 27 i ferimenti e 46 le colluttazioni: 2 i suicidi e 3 le morti per cause naturali. 7 le evasioni dopo aver fruito di permessi premi. Sono stati infine quasi 3.200 i detenuti della Liguria coinvolti in manifestazioni di protesta contro sovraffollamento, condizioni di vita intramurarie ed a favore dell’amnistia”. È il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, commentando i dati relativi agli eventi critici che si sono verificati negli istituti penitenziari liguri nell’anno passato. Martinelli sottolinea che “nel 2011, nelle sovraffollate carceri liguri, le situazioni di estrema tensione sono state molte. Per quanto concerne gli atti di autolesionismo - ingestione di corpi estranei, chiodi, pile, lamette, pile; tagli diffusi sul corpo e provocati da lamette - ben 16 se ne sono registrati a Pontedecimo, 7 a Sanremo, 3 a Savona, 31 a Marassi, a Chiavari, 13 a Spezia e 7 ad Imperia. La Polizia Penitenziaria ha sventato tanti tentativi di suicidio: 1 a Imperia, 5 a Spezia, 1 a Chiavari, 10 a Marassi (dove pure 2 suicidi purtroppo ci sono stati ed anche 2 morti per cause naturali), 1 a Savona, 3 a Sanremo (anche qui una persona detenuta è morta per cause naturali) e 6 a Pontedecimo. Pesante anche il resoconto circa i ferimenti e le colluttazioni: a Sanremo 6 ferimenti e 15 colluttazioni, a Spezia 3 colluttazioni e ad Imperia 8, a Marassi 21 ferimenti ed a Savona 3 colluttazioni che a Pontedecimo sono state 17”. Il Sappe torna a proporre con urgenza un nuovo ruolo per l’esecuzione della pena in Italia, che preveda ad esempio circuiti penitenziari differenziati per i tossicodipendenti, il lavoro obbligatorio in carcere, l’espulsione dei detenuti stranieri ed un maggiore ricorso alle misure alternative e sottolinea l’importante ruolo svolto quotidiano dai Baschi Azzurri del Corpo: “L’organico della Polizia Penitenziaria nei 7 penitenziari della Liguria dovrebbe contare 1.264 unità: in realtà, ne abbiamo in forza 890. Nonostante queste gravi carenze, nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento i Baschi Azzurri della Penitenziaria in servizio in Liguria credono nel proprio lavoro, hanno valori radicati ed un forte senso d’identità e d’orgoglio, e ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti”. Abruzzo: la Giunta approva provvedimento per migliorare la salute mentale dei detenuti Ansa, 23 aprile 2012 La Giunta regionale, su proposta dell’assessore con delega alla Prevenzione collettiva, ha approvato un provvedimento che si prefigge di migliorare la tutela intramuraria della salute mentale delle persone ristrette negli istituti penitenziari della regione. Pertanto, nell’ambito della programmazione delle articolazioni del servizio sanitario nei vari Istituti di pena, è stato stabilito che nell’Istituto penitenziario di Vasto sarà istituito un apposito reparto composto da tre camere detentive destinate ai detenuti comuni della regione, in quello presente a Pescara, all’interno di una sezione saranno destinate cinque camere detentive per detenuti comuni e collaboratori di giustizia della regione, nell’istituto penitenziario di Teramo si adibiranno due camere detentive per maschi “Reparto protetti” e due camere per donne della regione, nell’istituto penitenziario dell’Aquila verranno destinate due camere detentive per detenuti di cui all’art.41 bis l. 374/75, in quello di Sulmona verranno destinate tre camere detentive per detenuti “Alta sicurezza” e due camere per gli internati” ed infine nell’istituto penitenziario di Lanciano verranno destinate due camere detentive delle quali una per “Alta sicurezza” ed un’altra per la sezione Z relativa ai familiari dei collaboratori di giustizia. Brescia: muore 33enne croato che si era impiccato in cella dopo l’arresto per droga Ansa, 23 aprile 2012 Non ce l’ha fatta il 33enne croato arrestato nel corso dell’operazione "Elefante bianco" che ha portato all’arresto di 54 persone per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Il giovane aveva tentato il suicidio nel carcere bresciano di Canton Mombello. Era conosciuto dalle forze dell’ordine con diversi alias: Davor Brletic, croato nato il 28 gennaio del 1979, ma anche Sasa Durmic serbo nato il 15 aprile del 1980 e, ancora, come Sasa Jovic, nato in Serbia il 12 novembre 1974. L’uomo era stato trovato in cella, impiccato al soffitto con un lenzuolo. Soccorso ed immediatamente trasferito in ospedale, le sue condizioni erano apparse subito molto critiche. L’uomo è deceduto nel reparto di rianimazione dell’ospedale Civile di Brescia dove era ricoverato dopo il gesto estremo, effettuato subito dopo la carcerazione. Roma: il Garante regionale Marroni; a Rebibbia maxirissa fra detenuti, uno accoltellato Dire, 23 aprile 2012 Una maxirissa fra detenuti, scoppiata nel carcere di Rebibbia penale a Pasqua è finita, nei giorni successivi, con un recluso operato d’urgenza all’ospedale Pertini di Roma per una ferita da arma da taglio all’addome, numerosi contusi, e fino ad oggi, cinque giorni di chiusura punitiva comminati dalla direzione dell’Istituto, a tutti i detenuti. Lo rende noto il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, secondo cui “il comportamento di pochi sconsiderati, alla base della rissa e dei gravi fatti che ne sono seguiti, non può mettere in discussione un modello di detenzione all’avanguardia, come quello praticato a Rebibbia Penale, preso a modello da tutte le regioni d’Italia”. La casa di reclusione di Rebibbia penale, che attualmente ospita 421 reclusi a fronte di una capienza regolamentare di 370 posti, è destinata ad ospitare detenuti con condanne definitive di medio-lungo periodo, per i quali l’area trattamentale prevede forme di reinserimento lavorativo e sociale, in vista del loro rientro nel mondo esterno. Secondo gli operatori è “il carcere più ambito della Regione”, per via degli spazi di libertà concessi ai detenuti all’interno della struttura e le numerosissime attività formative che vi si svolgono. A quanto appreso dai collaboratori del garante, la rissa fra detenuti italiani di diversa provenienza è scoppiata il giorno di Pasqua ed ha coinvolto numerose persone. Una settimana dopo, probabilmente per regolare i conti, è scoppiata un’altra rissa nel corso della quale un detenuto 40enne, è stato ferito ad una gamba e all’addome, da una rudimentale lancia, costruita montando lamette da barba sulla punta di una canna. Trasportato d’urgenza all’ospedale Sandro Pertini di Roma, il detenuto è stato immediatamente operato, per ridurre l’ematoma creato ed è stato suturato, con oltre 15 punti. Un altro detenuto è stato medicato al Pronto soccorso dello stesso ospedale, con diversi punti di sutura in testa ed è subito rientrato in carcere. Come diretta conseguenza di quanto accaduto, i detenuti sono costretti, da cinque giorni, a vivere sempre all’interno delle loro celle, con il divieto di partecipare ad ogni attività trattamentale, ricreativa e sociale. “Negli ultimi tempi la qualità di vita all’interno di Rebibbia penale - ha detto Marroni - è progressivamente calata non solo per il sovraffollamento, comune a tutte le strutture, ma anche per il discutibile metodo di assegnazione dei detenuti a questo istituto. Nella casa di reclusione, infatti, sono presenti numerosi detenuti con fine pena brevissimi e con una condotta penitenziaria non sempre regolare. Tutti elementi, questi, che hanno progressivamente minato quel clima di concordia e di fiducia, che qui ha sempre caratterizzato il rapporto fra detenuti e operatori penitenziari”. “Occorre ristabilire al più presto - ha concluso Marroni - delle severe modalità di selezione, per evitare che vada disperso quello che è un patrimonio di tutto il sistema penitenziario italiano”. Foggia: interrogazione di Rita Bernardini dopo la visita ispettiva al carcere www.statoquotidiano.it, 23 aprile 2012 Carcere di Foggia: una lunga interrogazione parlamentare, dettagliatissima, quella che l’onorevole Rita Bernardini (e altri: Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti) ha indirizzato al Ministro della Giustizia, Paola Severino, e al Ministro della Salute, Renato Balduzzi, con resoconto preciso della visita che la deputata radicale ha effettuato presso la struttura foggiana - il 24 marzo - accompagnata dai rappresentanti dell’associazione “Mariateresa Di Lascia” (Antonella Soldo, Elisabetta Tomaiuolo e Dino Tinè; l’ispezione si è svolta alla presenza del comandante della polizia penitenziaria Montanaro e dalla direttrice Maria Consiglia Affatato). Nel documento sono descritte tutte le criticità della struttura “da dieci anni nel carcere di Foggia manca la figura del vicedirettore; i detenuti presenti sono 710 a fronte di 378 posti regolamentari disponibili; 407 hanno una sentenza definitiva, 182 sono in attesa del 1o giudizio, 60 sono appellanti, 57 hanno fatto ricorso in cassazione, 3 sono gli internati e 1 detenuto è “da impostare”; gli stranieri sono circa il 30 per cento; il nucleo traduzioni della polizia penitenziaria deve far fronte a tutte le incombenze con 49 agenti effettivamente in servizio, mentre la pianta organica del 2001 ne prevedeva 64; per comprendere la mole di lavoro sopportata dal nucleo, basti pensare che nel 2011 ha effettuato 2.234 traduzioni di cui 137 solo per ricoveri in ospedale e 684 per visite ambulatoriali; il nucleo effettua spesso traduzioni presso tribunali fuori regione e si occupa del piantonamento in corsia negli ospedali di Foggia (D’Avanzo e ospedali riuniti), Cerignola, Manfredonia e San Giovanni Rotondo; ci sono agenti che ancora non hanno goduto le ferie del 2010; il reparto detentivo ospedaliero pronto da tempo è chiuso in attesa del collaudo; l’infermeria del carcere è tale per modo di dire in quanto non sopperisce nemmeno alle minime cure, come mettere dei punti di sutura in casi di autolesionismo; i medici della Asl preferiscono mandare i detenuti in ospedale e ciò crea ulteriore sovraccarico di lavoro per gli agenti di polizia penitenziaria; incredibilmente il reparto risulta essere “centro clinico” tanto che nel carcere di Foggia vengono indirizzati detenuti malati prevenienti da altre realtà penitenziarie; all’ingresso che porta all’ufficio matricola e alle sezioni detentive c’è una parte recintata a causa della caduta di calcinacci dalla facciata che non viene riparata per mancanza di fondi; l’area verde destinata ai colloqui dei detenuti con i figli minori non è utilizzata per mancanza di personale; in 3 delle 4 sale colloqui esiste ancora il muretto divisorio; la chiesa è chiusa a causa di un cedimento delle fondamenta e, per questo motivo, la messa si celebra nel teatro dell’istituto; all’ufficio matricola ci dicono che ogni giorno ci sono molti nuovi ingressi: “del decreto Severino - afferma qualcuno - non ce ne siamo nemmeno accorti”. La direttrice del carcere Maria Affatato ha riferito alla delegazione di avere numerosi progetti, anche di revisione organizzativa, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. “Per esempio - si legge nell’interrogazione - intende impiegare i detenuti nei lavori di tinteggiatura delle celle, della costruzione di muretti che separino la zona bagno dalla zona dove sono i fornelli; quanto all’organizzazione del lavoro ha rilevato l’esigenza di un miglioramento che passi anche dalla rotazione delle mansioni fra gli agenti; un altro obiettivo è quello di potenziare il gruppo MOF, ovvero la squadra di agenti preposta alla sorveglianza dei detenuti impiegati in attività lavorative di manutenzione; tra gli altri progetti c’è quello teatrale per i detenuti in alta sicurezza, quello di modista per la sezione femminile, un corso di informatica e, ancora per la sezione femminile, quello della produzione di monili di alta bigiotteria; inoltre, nel carcere ci sono già una falegnameria ed una sartoria, dotate di tutti i macchinari, ma completamente abbandonate, che la direttrice vorrebbe rimettere in funzione.” In calce al documento Rita Bernardini chiede ai Ministri: “se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Foggia; se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori; se e quali iniziative di competenza si intendano assumere per quanto di competenza affinché sia assicurata un’adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l’assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza; quando verrà aperto il reparto detentivo ospedaliero pronto da tempo; se corrisponda al vero la creazione di un “repartino” psichiatrico all’interno del carcere di Foggia; se siano stati previsti adeguati finanziamenti per le opere di ristrutturazione e per le iniziative trattamentali descritte in premessa; in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa; cosa intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena; se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti; quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza; se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Foggia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo; cosa intenda fare per incrementare le possibilità di studio per i detenuti; se intenda intervenire per fare in modo che i bambini detenuti con le loro madri nel carcere di Foggia possano avere nel corso della giornata momenti di vita all’esterno dell’istituto senza vivere 24 ore su 24 l’incubo delle sbarre; quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Foggia, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall’articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena”. Roma: 18 detenuti del carcere di Rebibbia al lavoro in aree archeologiche e giardini Agi, 23 aprile 2012 Diciotto detenuti reclusi nel carcere di Rebibbia, a partire da domani, lavoreranno alla manutenzione di 33 zone archeologiche e aree verdi pubbliche di pregio della capitale. Questo il risultato di un protocollo firmato oggi dal ministero della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Roma Capitale (assessorato alle Politiche e culturali e centro storico, sovrintendenza ai Beni culturali e assessorato all’Ambiente, dipartimento tutela ambientale del verde), presentato dal ministro della Giustizia, Paola Severino, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, il soprintendete Umberto Broccoli e il direttore generale del Dap, Giovanni Tamburino. Il progetto, denominato “Ras” (Recupero ambientale e sociale), è rivolto a 17 uomini e una donna, reclusi a Rebibbia, che hanno seguito un corso obbligatorio di formazione in storia dell’arte, sicurezza del lavoro e giardinaggio, sviluppato e gestito dalla Sovrintendenza capitolina e dal Dipartimento ambiente. I detenuti lavoreranno per un anno, cinque giorni alla settimana - dal lunedì al venerdì per quattro ore al giorno - , alla manutenzione delle 33 aree, a partire dal Teatro di Marcello, per un totale di 300 mila metri quadri, di cui 127 mila posti nel verde. A supervisionare il loro lavoro saranno 31 dipendenti della Sovrintendenza e sei rappresentanti del Dipartimento ambiente. Tra le aree in cui lavoreranno i detenuti ammessi al lavoro esterno (ai quali Atac darà gratuitamente le tessere per utilizzare i trasporti pubblici), spiccano i Fori Imperiali, Largo Argentina, il Circo Massimo, il Campidoglio, il Mausoleo di Augusto, le Terme di Traiano, nonché diversi acquedotti. Tra le aree verdi, invece, sono state scelte, tra gli altri, Villa Borghese, Villa Celimontana, Villa Torlonia, Villa Pamphili, la Casa del Jazz e i Giardini di Colle Oppio, via dei Cerchi, piazza Vittorio e piazza Dante. Alemanno: coniugare certezza pena e recupero detenuti “Dal punto di vista politico sono schierato sul versante della fermezza e della certezza della pena. Ma proprio per questo sono ugualmente impegnato sul versante del recupero, nell’ottica di dare una possibilità a chi dimostra un reale ravvedimento e di voler entrare nel circuito dell’integrazione”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, presentando insieme al ministro della Giustizia, Paola Severino, il progetto promosso in collaborazione tra il Campidoglio e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che prevede, a partire da domani, l’impiego di 18 detenuti per la manutenzione di aree archeologiche e verdi della capitale. “Non si tratta solo di assistenzialismo - ha precisato Alemanno - ma di riconoscere a questi detenuti il fatto che fanno bene il loro lavoro e che hanno una produttività dal punto di vista economico altissima per il nostro Comune. È un investimento positivo per la nostra città”, ha concluso. Severino: progetto da estendere in tutta Italia Il progetto firmato con Roma Capitale dal ministero della Giustizia che prevede, a partire da domani, l’impiego di 18 detenuti per la manutenzione di aree archeologiche e verdi della capitale, “è un punto di partenza, stiamo studiando un progetto che ci vede legati all’Anci per portare iniziative del genere in tutta Italia”. Lo ha dichiarato il ministro della Giustizia, Paola Severino, intervenuta oggi al Teatro di Marcello, a Roma, per presentare la nuova iniziativa per il lavoro dei reclusi. “In questo luogo - ha detto il guardasigilli - si sente il radicamento di una antica civiltà, che vede nella rieducazione del condannato l’esito più felice per la vita di chi ha sbagliato e deve rientrare nella società. Il lavoro socialmente utile è a vantaggio non solo di chi lo svolge ma anche di chi gode dei risultati. Il cittadino, in questo modo, vede che dal carcere si può riemergere migliorati. Progetti di questo genere sono il futuro per risolvere l’emergenza carceraria”. Dello stesso parere il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino: “Quando si parla di recupero, si rischia di rimanere i un discorso astratto e vuoto, che va invece riempito attraverso il lavoro. In questo modo il detenuto riconquista un posto nella società, impara a guadagnare in modo non illecito e restituisce una parte di interessi alla società lesa dal suo reato”. Osapp: bene il Sindaco Alemanno e il capo del Dap Tamburino “L’utilizzo dal prossimo 24 aprile e per un anno di 18 detenuti, di cui 11 provenienti dalla casa di reclusione di Rebibbia, una dalla limitrofa casa circondariale femminile e altri 7 dell’ufficio per l’esecuzione penale esterna, per il recupero e la manutenzione di alcune aree verdi e archeologiche della Capitale, costituisce uno stupendo esempio di come una perfetta sinergia tra il Comune e l’Amministrazione penitenziaria possa rendere concreto il principio costituzionale della pena intesa quale momento utile al reinserimento sociale di chi sta pagando il proprio debito alla società”. è quanto si legge in una nota a firma di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) e indirizzata al Sindaco di Roma e ai Vertici dell’Amministrazione penitenziaria centrale”. “Le nostre più vice felicitazioni - prosegue il sindacalista - vanno quindi al Sindaco Gianni Alemanno e al Capo del Dap Giovanni Tamburino per aver saputo compiere una scelta coraggiosa ed utile, al di sopra di qualsiasi preconcetto, in grado di rendere non solo più pulite e fruibili alla cittadinanza zone di indubbia rilevanza quali quelle di Largo Argentina, Colle Oppio e Villa Pamphili ma anche più sicure per la collettività capitolina”. “Il nostro auspicio è quindi - conclude Beneduci - che il progetto di inclusione e di recupero dei detenuti degli istituti di pena romani a beneficio di Roma Capitale venga ripreso anche in altre città quali quelle metropolitane e, in un prossimo futuro, tali collaborazioni vedano coinvolti gli appartenenti alla di polizia penitenziaria, persino in funzioni preventive e di controllo sul territorio, in ausilio alle altre forze di polizia e alle polizie urbane, per l’ esperienza e per la diretta conoscenza acquisite in carcere riguardo ai soggetti e alle emergenze di maggiore pericolosità”. Pordenone: la Regione destina 15 milioni per la costruzione del nuovo carcere Messaggero Veneto, 23 aprile 2012 Nuova svolta sulla vicenda del carcere di Pordenone. Il presidente della Regione, Renzo Tondo, ha avuto un colloquio con il commissario del piano carceri che, dopo l’audizione alla commissione Giustizia della Camera, nel corso della quale ha confermato i finanziamenti per la struttura pordenonese sulla base dell’intesa sottoscritta a suo tempo con la Regione, ha confermato i contenuti della sua audizione, incluso il rischio che spostando tutto a San Vito i soldi del ministero vengano destinati ad altre strutture. A creare i buoni uffici per il colloquio il deputato Manlio Contento, che da anni ormai segue la vicenda del carcere. “Tondo - sottolinea il consigliere regionale del Pdl, Franco Dal Mas - ha confermato la volontà della Regione di dar corso all’intesa assicurando i finanziamenti necessari”. Ai 30 milioni dello Stato si aggiungerebbero, quindi, i 15 della Regione e altri 4 ripartiti tra Provincia e Comune. “Mi aspetto ora che il sindaco - aggiunge Contento - si esprima per ufficializzare il suo impegno come stabilito nell’intesa di programma sottoscritta a suo tempo”. Ieri mattina, peraltro, i consiglieri comunali Lucia Amarilli, Giovanni Del Ben, Loris Pasut, Alberto Rossi e Giovanni Zanolin hanno incontrato il sindaco di San Vito, Antonio Di Bisceglie, per conoscere le sue valutazioni sulla questione del nuovo carcere e hanno, assieme, visitato l’area dell’ex caserma Dall’Armi. I consiglieri di Pordenone hanno ribadito che ciò che interessa loro è la rapida chiusura dell’attuale carcere. “Il progetto che ha la possibilità di riuscirci - hanno detto - sarà il migliore, indipendentemente se la soluzione sarà trovata a Pordenone o a San Vito. Ora è il presidente Tondo a dover dire se ha 15 milioni da investire nel nuovo carcere a Pordenone - hanno detto i cinque - ed è evidente che il Comune di San Vito, mettendo a disposizione un’area di più di 50 mila metri quadri con alcune costruzioni recuperabili, ha da offrire una opportunità che sarebbe folle non tenere in seria considerazione. Inoltre il fatto che una azienda locale, seguendo le indicazioni del decreto sul sovraffollamento delle carceri, abbia elaborato una proposta, non è cosa da sottovalutare, di questi tempi”. Televisione: stasera a “Rapporto Carelli” (Sky Tg24) il sistema carcerario italiano Italpress, 23 aprile 2012 Gherardo Colombo, uno dei magistrati simbolo della stagione di Mani Pulite, è ospite di Rapporto Carelli. Le carceri, il sistema giudiziario e le alternative alle punizioni carcerarie tra gli argomenti al centro dell’approfondimento curato e condotto dal fondatore di Sky Tg24, in onda oggi 23 aprile alle 21.00. Oltre all’ex magistrato Colombo, oggi presidente di “Garzanti libri” e autore de “Il perdono responsabile”, ospiti di Emilio Carelli saranno anche don Gino Rigoldi, storico cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e Leopoldo Grosso del Gruppo Abele. Il programma, in onda il lunedì e il martedì alle 21.00 su Sky TG24 (canali 100 e 500), è visibile anche su iPad e tablet Samsung grazie all’esclusiva applicazione Sky Go. Sky TG24 Eventi (canale 504) proporrà due repliche consecutive subito dopo il termine della puntata, alle 22.00 e alle 22.50. Sky Tg24 è visibile in streaming 24 ore su 24 su sky.it. Immigrazione: l’Arci sulle visite ai Cie “si entra solo a Bologna, a Milano è inaccessibile” Redattore Sociale, 23 aprile 2012 L’associazione commenta la visita dell’onorevole Zampa in via Mattei, ma si rammarica per l’inaccessibilità di via Corelli. “Clima omertoso che certo non fa onore alla nostra democrazia”. “In Italia, nonostante la decisione del nuovo ministro Cancellieri di sospendere il divieto di ingresso imposto nel 2011 dall’allora ministro Maroni, la possibilità di accedervi non è per nulla garantita e per lo più è affidata alla discrezionalità della autorità del territorio dove ha sede la struttura. E così, mentre a Bologna questa mattina una delegazione accompagnata dalla parlamentare Sandra Zampa ha potuto visitare il Cie di via Mattei, la richiesta avanzata dall’Arci di visitare nella giornata di domani il Cie di Trapani Milo non ha avuto risposta, mentre quella di entrare nel centro di via Corelli il 25 aprile è stata “differita a data da destinarsi in attesa della risposta del ministro Cancellieri cui è stata inoltrata per competenza”. È quanto si legge in una nota dell’Arci. In questa situazione, prosegue l’Arci, “va dunque apprezzata la risposta positiva del Prefetto di Bologna che ha consentito a diversi esponenti della società civile, tra cui Stefano Brugnara, presidente dell’Arci provinciale, di entrare nella struttura. La situazione che si sono trovati davanti è stata definita “drammatica” da Brugnara, sia per le condizioni di degrado ambientale che caratterizza in particolare il reparto maschile, sia per la condizione psicologica dei trattenuti. Spaesamento, disperazione e rabbia rappresentano infatti lo stato d’animo dominante. Spaesamento perché, a causa della mancanza di informazioni, nessuno conosce con precisione i motivi della reclusione nè quando potrà uscire; disperazione perché per alcuni il trattenimento nel Cie è arrivato per ritardi amministrativi nel rinnovo del permesso di soggiorno dopo anni di permanenza regolare in italia; rabbia per una condizione vissuta come ingiusta e senza speranza”. “Una detenzione che può rubarti anche un anno e mezzo di vita, senza nessuna distinzione tra chi è accusato di reati penali e chi di inadempienze amministrative, senza possibilità di svolgere quelle attività che persino il carcere in molti casi garantisce, a causa della carenza di fondi. E tutto lascia pensare che i fondi che si intende investire diminuiranno e con essi la qualità dei servizi che l’ente gestore potrà fornire. È evidente allora quanto sia importante e urgente stabilire un flusso costante di informazioni, sia per chi è rinchiuso sia come strumento di sensibilizzazione e controllo su quanto succede all’interno. Bologna, da questo punto di vista, rappresenta per ora un’eccezione. Abbiamo infatti già detto che dalla Prefettura di Trapani non è arrivata nessuna risposta mentre filtrano notizie su 70 detenuti che avrebbero da giorni iniziato uno sciopero della fame e della sete, mentre ci sarebbe stato anche un tentativo di fuga in parte riuscito. È intollerabile che di tutto ciò l’opinione pubblica non sia messa in condizione di conoscere nulla, in un clima omertoso che certo non fa onore alla nostra democrazia”. “A Milano la risposta è invece arrivata ed è ancora una volta negativa. La “fortezza” Corelli continua a restare inaccessibile, visto che i dinieghi vanno ormai avanti da anni. Per visitarla questa volta era stata scelta non a caso la giornata del 25 aprile, festa della Liberazione. E nella manifestazione di Milano che commemora questa storica data il problema dei Cie sarà visibile a tutti, attraverso uno striscione che porterà scritto “Aprire gli occhi Aprire Corelli”, dietro cui sfileranno persone con la bocca chiusa dal nastro isolante, per ricordare l’incivile episodio dei due ragazzi rimpatriati con le bocche tappate e le mani legate”. “Il senso più generale di tutte queste mobilitazioni sta però nella necessità di aprire con urgenza una riflessione sull’urgenza di metter fine alla lunga stagione della detenzione amministrativa, indicando alternative che mettano al primo posto il rispetto dei diritti anche nel caso di persone sprovviste di documenti. Perché nessuno dimentichi che democrazia, diritti, dignità e trasparenza devono essere garantiti sempre e dovunque”. Immigrazione: LasciateCIEntrare; il Cie Vulpitta di Trapani è una gabbia disumana Redattore Sociale, 23 aprile 2012 La denuncia arriva dal sit-in della campagna LasciateCIEntrare, il primo della settimana di mobilitazione promossa con quella europea Open Access Now. “Abbiamo ricevuto una richiesta d’aiuto”. Il Cie Vulpitta di Trapani è “una gabbia disumana”. È quanto denunciano gli organizzatori del sit-in LasciateCIEntrare, che per questo chiedono “con forza ai parlamentari di impegnarsi per visitare al più presto i Cie italiani, a partire dai Cie Vulpitta e Milo di Trapani”. È partita dalla città siciliana la mobilitazione davanti ai Centri di identificazione e di espulsione (Cie), in cui sono reclusi fino a 18 mesi gli stranieri che devono essere identificati in attesa del rimpatrio. I promotori della campagna LasciateCIEntrare, aderendo alla mobilitazione europea Open Access now hanno denunciato ancora gravi limitazioni al diritto di cronaca giornalistica a causa della discrezionalità delle singole prefetture nel gestire gli accessi della stampa e nei tempi di risposta alle richieste di autorizzazione, che partono da un minimo di un mese. “La prefettura di Trapani al momento non sta rilasciando le autorizzazioni per la visita dei giornalisti, il rifiuto non arriva per iscritto ma nei lunghi tempi di attesa per chi ha fatto richiesta” afferma il video reporter Alessio Genovese, presente al presidio davanti al Cie Serraino Vulpitta, il più vecchio d’Italia, nato come cpt nel 1998. Un anno dopo sei migranti tunisini morirono nel Cie in un rogo. La struttura non rispettava le norme antincendio. Per questo, dieci anni dopo, un tribunale ha condannato lo Stato italiano a risarcire alcuni sopravvissuti. Nel 2010 Medici senza Frontiere chiese la chiusura del Cie Vulpitta e il ministero dell’Interno si impegnò in tal senso. Ma a due anni di distanza, quando è ormai in funzione il nuovo Cie di Trapani in contrada Milo, il Vulpitta è ancora utilizzato a pieno regime. Giornalisti aderenti alla campagna e cronisti locali hanno chiesto l’autorizzazione per entrare nel Cie in occasione del presidio, ma non hanno ricevuto risposta. “Le voci dei ragazzi da dietro le sbarre denunciano l’isolamento in cui sono finiti - racconta Genovese - braccia e mani sono le uniche parti dei loro corpi che riescono a passare il ferro delle sbarre alle finestre, mostrandoci i segni e le cicatrici dei tagli autoinflitti per protesta”. Attraverso le urla dei reclusi nel Cie, dal presidio a Trapani arrivano notizie di continui tentativi di fuga, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio e poi lo sciopero prolungato della fame portato avanti da uno di loro che verrebbe trattenuto da ben 8 mesi. Oltre alla presenza di due minori, Genovese racconta “ l’incredulità e la rabbia di un ragazzo colombiano finito a Trapani dopo avere scontato 6 anni di carcere che ci chiede com’è possibile che in un paese democratico possano esistere posti del genere”. Da Trapani arriva la testimonianza di Fulvio Vassallo Paleologo, giurista dell’Asgi e docente di Diritto d’Asilo all’università di Palermo. “In un angolo della gabbia esterna erano ancora evidenti le tracce dell’ultimo fuoco appiccato per protesta dai detenuti, che il ministero dell’Interno definisce ancora come “ospiti”, un’immagine sinistra perché ricorda l’immane rogo fatto scoppiare la notte del 28 dicembre 1999”. Secondo quanto urlato dai trattenuti verso i manifestanti in strada, “tra i cinquanta immigrati detenuti al Vulpitta, ci sarebbe anche un minore - afferma Paleologo - e molti che denunciavano l’assenza del diritto di difesa, dopo mesi di trattenimento. Abbiamo ricevuto una richiesta di aiuto per porre termine ai trattamenti disumani o degradanti che venivano denunciati all’interno di quelle sbarre, a partire dalla frequente privazione dell’ ora d’aria, peggio che in carcere”. Al presidio erano presenti , fra gli altri, rappresentanti di Asgi, Borderline - Europe, Borderline Sicilia, Forum Antirazzista Palermo. Immigrazione: la gestione del Cie di Bologna appaltata per 28 euro al giorno a persona Redattore Sociale, 23 aprile 2012 La notizia è ancora ufficiosa. Ma sembra che il bando per la gestione del Cie di via Mattei sia stato vinto dal consorzio siciliano Oasi con 28 euro al giorno a persona. Sarebbe stata scalzata, dunque, la Misericordia (l’attuale gestore) che aveva proposto 69 euro al giorno a persona. “La notizia è pessima”. A parlare è la deputata del Pd, Sandra Zampa, che oggi, insieme a Danilo Gruppi della Cgil, Stefano Brugnara dell’Arci, Daniela Vannini del Pd e Cecyle Kyenge Kashetu della Campagna LasciateCientrare è entrata nella struttura di detenzione amministrativa di via Mattei, dove attualmente sono rinchiuse 72 persone (48 uomini e 24 donne). Tra loro ci sono richiedenti asilo, vittime di tratta, persone che hanno perso il lavoro, ex detenuti in una promiscuità che, come ha precisato Brugnara, “accelera la tensione”. Nei giorni scorsi, infatti, c’è stata una rivolta nella sezione maschile, con materassi bruciati e vetri rotti, e un tentativo di fuga. In due ci sono riusciti. “Qui dentro ci sono coloro che non possono difendersi - ha detto Kyenge Kashetu - Il governo dia un segnale forte per cambiare la legge che ha portato a 18 mesi il termine ultimo per la detenzione”. Zampa annuncia un’interrogazione al ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri sui bandi. “Dal ministro ci attendiamo un’attenzione prima di tutto ai diritti delle persone e decisioni ispirate al buon senso - ha chiarito - Com’è possibile che nei Cie entrino persone uscite dal carcere che, una volta uscite dai Cie, sono destinate a rientrare nel carcere? Com’è possibile che non si comprenda che le donne vittime di tratta vanno aiutate a denunciare e non penalizzate? Com’è possibile che non si affronti il problema dei minori stranieri non accompagnati evitando che finiscano, da maggiorenni, nella microcriminalità, nel lavoro nero e, infine, in un Cie?”. Da luglio, quindi, il nuovo gestore avrà a disposizione meno della metà dei fondi attuali per gestire il centro. “In quei 28 euro ci deve stare tutto, guardiania, medico, vitto, indumenti, mediazione culturale e ogni altro intervento ordinario e straordinario - sottolinea Zampa - Credo che nessuna persona sana di mente possa dubitare che con queste cifre non si possono garantire i servizi essenziali a queste persone”. Già oggi ne sono stati chiusi alcuni, come lo sportello legale che, però dovrebbe riaprire grazie a un protocollo avviato dalla garante regionale dei detenuti, Desi Bruno, e dall’assessore comunale al Welfare, Amelia Frascaroli, e sono a rischio anche le risorse per garantire le attività minime offerte alle donne recluse. “Possiamo solo immaginare quali conseguenze possa provocare a livello psicologico, passare 24 ore al giorno senza fare niente o a fissare un muro”, afferma ancora Zampa. “I bandi al massimo ribasso sono demenziali - ha sottolineato Gruppi - mettono in una difficile situazione i lavoratori e provocano un detrimento delle condizioni complessive del servizio”. Ma chi sono i reclusi del Cie? C’è un uomo che ha lavorato in Italia per 27 anni e improvvisamente si è trovato senza lavoro. Ora è dentro da un mese e fuori c’è la sua famiglia che lo aspetta. C’è una donna cinese che ha vissuto in Italia per 30 anni e non ha mai chiesto il permesso di soggiorno e una donna bosniaca che è qui da 27 anni e ha perso il lavoro. Ci sono 2 ragazzi tunisini arrivati nel 2011 a Lampedusa su un barcone che, dopo essere stati in Francia, sono ritornati in Italia in cerca di una sanatoria che non c’è stata. Ma non hanno commesso nessun reato. C’è un ragazzo del Burkina Faso richiedente asilo che non parla italiano e non sa perché è stato portato lì. “Mi ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa nel luglio del 2011 e di essere finito in carcere perché individuato, erroneamente, come uno degli scafisti del barcone - afferma Kyenge Kashetu. Nell’aprile di quest’anno è uscito dal carcere ed è finito qui: ma non sa il motivo e sta aspettando che venga accolta la sua domanda di asilo”. Molti reclusi sono malati e sono diversi i tossicodipendenti. L’80% delle donne è vittima di tratta. Sono ragazze molto giovani, sui 18 - 20 anni, arrivate in Italia da minorenni che, grazie al servizio gratuito Sos Donna, stanno iniziando un percorso di tutela. “Questo dato è il segno che è necessario iniziare un percorso di accoglienza per i minori”, conclude Zampa. “Queste persone sanno quando entrano ma non sanno quando ne usciranno - afferma Brugnara - In questo i Cie si differenziano dal carcere dove, al contrario, i detenuti cercano in qualche di costruirsi e preservare il loro spazio: qui, al contrario, il fatto di non sapere perché sono reclusi per un tempo ignoto porta tensione e aumenta la volontà di distruzione”. Il presidente dell’Arci parla di una “situazione disumana” per i reclusi e “difficile” per chi lavora all’interno dei centri di detenzione. In questo senso, la situazione è stata aggravata dall’estensione a 18 mesi della detenzione all’interno delle strutture. A questo si aggiunge il problema della promiscuità. “Dentro al Cie ci sono persone con percorsi travagliati e persone la cui unica colpa è quella di aver perso il lavoro, e di conseguenza il permesso di soggiorno o ancora donne vittime di tratta che, al contrario, dovrebbero essere tutelate - conclude Gruppi - Si tratta di una situazione intollerabile per un Paese civile: è necessario ripensare radicalmente le politiche sull’immigrazione”. Stati Uniti: meno reati ma celle scoppiano, nel paese 25% detenuti mondiali Adnkronos, 23 aprile 2012 Il sovraffollamento carcerario non è solo un grave problema italiano. Gli Stati Uniti, con il 5% della popolazione mondiale, detengono il poco invidiabile record del 25 % della popolazione carceraria del pianeta. Un’inchiesta della Cbs rivela il paradosso americano: in tutti gli Stati Uniti i detenuti sono quasi 2,4 milioni, nonostante negli ultimi 20 anni il tasso di criminalità sia diminuito di oltre il 40 per cento. Alcuni esperti del settore, definiscono ormai gli Usa una “nazione di carcerati”. Non solo, di carcerati costretti a vivere in condizioni rese ancora più drammatiche dal sovraffollamento che affligge gran parte degli istituti penitenziari del Paese. Un continuo aumento di detenuti a partire dagli anni ‘70, quando soprattutto nei principali centri urbani vi fu un aumento vertiginoso delle violenze e dei reati legati al consumo di droghe. Un esempio su tutti. Nella ricca California, che se fosse una nazione indipendente entrerebbe di diritto nel G8, la Corte Suprema Usa ha definito il sovraffollamento dei penitenziari una “punizione crudele e insolita”, ordinando lo scorso maggio alle autorità dello Stato di tagliare di 30mila detenuti la popolazione carceraria. “Gli Stati Uniti hanno circa il 5 per cento della popolazione mondiale, ma hanno anche il 25 per cento della popolazione carceraria del mondo. Mettiamo in carcere una percentuale della nostra popolazione maggiore di quella di qualsiasi altro Paese”. A riferire questi dati ai microfoni della Cbs è Michael Jacobson, direttore del “Vera Institute of Justice”. Jacobson, negli anni ‘90 fu uno dei direttori del sistema carcerario di New York. Un rapporto della sua organizzazione, “The Price of Prisons” (Il prezzo delle prigioni), rivela che nell’anno fiscale 2010 il costo di mantenimento annuale di un detenuto è stato di 47.421 dollari. “In Stati come Connecticut, Washington e New York, può variare tra i 50mila e i 60mila dollari”, dice Jacobson. Cifre che fanno riflettere, visto che il costo annuale del salario di un insegnante o di un vigile del fuoco si aggira proprio intorno ai 60mila dollari. In totale, ai contribuenti americani, l’enorme popolazione carceraria degli Stati Uniti costa 63,4 miliardi di dollari l’anno. Un risultato, sostiene Jacobson, dovuto ad atteggiamenti della pubblica opinione, incoraggiati dalla politica, traducibili in slogan del tipo, “metteteli dentro e buttate via la chiave”, che a loro volta si sono tradotti in condanne sempre più lunghe. Stati Uniti: il boia fermato dalla crisi di Valter Delle Donne Il Secolo d’Italia, 23 aprile 2012 Per ragioni umanitarie l’Italia ha messo fuori produzione il Pentothal, potente anestetico utilizzato per addormentare i condannati a morte negli Usa. Il prezzo del farmaco è così passato da 83 a 1.286 dollari. L’effetto si è fatto sentire sulle esecuzioni in Texas, drasticamente crollate. Gli abolizionisti americani sono passati dallo slogan: “Non è giusto” a “Non è conveniente”. Laddove non arrivano i principi umanitari riesce la crisi. Il calo delle esecuzioni negli Stati Uniti, secondo quanto riporta l’American Statesman di Austin sarebbe dovuto infatti all’aumento del costo dell’iniezione letale. Il costo di ogni esecuzione in Texas nell’ultimo anno sarebbe infatti salito da 83,35 a 1.286,86 dollari. Secondo quanto riportato dall’Agenzia radicale “non è da escludere a tal proposito che l’Italia abbia giocato un ruolo significativo, impedendo la produzione del Pentothal, un potente anestetico utilizzato nelle iniezioni letali per addormentare il condannato”. In seguito, infatti, “alla mozione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti che impediva ogni iniziativa volta a incoraggiare la pena capitale e prevedeva che l’autorizzazione italiana all’immissione in commercio e i contratti di compravendita di Hospira dovessero prevedere che l’utilizzo del prodotto fosse consentito solo in strutture ospedaliere ed escluso dalla pratica dell’iniezione letale, la Hospira aveva bloccato la produzione del farmaco nello stabilimento di Liscate, vicino Milano”. “La nostra decisione - ipotizzano i Radicali - avrebbe quindi costretto gli Stati americani in cui si effettuano le esecuzioni dei quali eravamo fornitori a guardare altrove per cercare delle alternative che - come il ricorso a agli anestetici destinati gli animali - spesso e volentieri si sono rivelate più costose”. “La pena di morte costa cara, quindi, non conviene” è di fatto lo slogan adottato dagli abolizionisti statunitensi che, facendo appello al proverbiale pragmatismo anglosassone, stanno incassando risultati inattesi. L’ultimo in ordine di tempo, quanto approvato il 13 aprile dalla Camera dei Rappresentami del Connecticut che ha definitivamente abolito la pena di morte nello Stato. Ora manca solo la firma del governatore, il democratico Dannel P. Mal - loy, che ha più volte annunciato di voler ratificare la legge. Il fattore economico pesa molto anche in senso inverso, ovvero quando si tratta di attuare una moral suasion nei confronti degli Stati che ricorrono con più frequenza alla pena capitale. Il riferimento, in questo campo, sono i dati dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino. Relativamente al rapporto 2011 “Cina, Iran e Corea del Nord sono risultati essere nel 2010 i primi tre Paesi per numero di esecuzioni eseguite; la Cina da sola, ne ha effettuate circa 5.000, l’85,6 per cento del totale, l’Iran almeno 546, la Corea del Nord - dove le esecuzioni sono triplicate - almeno 60, lo Yemen 53. Ma il numero potrebbe essere molto più alto perché non esistono statistiche ufficiali fornite da questi paesi. Dei 42 paesi ancora detentori della pena capitale, 35 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. Lì sono state compiute circa il 99 per cento delle esecuzioni”. Mentre tutti scrivono e sanno degli Usa, si parla pochissimo del Giappone: l’unica nazione industrializzata e democratica ad applicare ancora la pena di morte. Nel Paese nipponico i condannati vengono giustiziati quasi sempre in gran segreto, senza dare alcun preavviso ai condannati o ai loro familiari e senza testimoni. Gli ultimi, in ordine di tempo, a marzo: tre detenuti impiccati, in tre differenti prigioni, erano stati riconosciuti colpevoli di vari omicidi. Le esecuzioni di Tomoyuki Furusawa, Yasuaki Uwabe e Yasutoshi Matsuda sono avvenute nelle carceri di Tokio, Hiroshima e Fukoka. Inutile dire che il nostro premier Monti, quando è andato in Asia non ha minimamente affrontato la questione né con i rappresentanti del regime di Pechino né con quelli del governo di Tokio. Davanti all’export, lo spread e il Pil che cosa contano le “pruderie” umanitarie? Bahrain: arrestata figlia attivista in sciopero fame in carcere, il padre è simbolo protesta Ansa, 23 aprile 2012 La figlia di un noto oppositore in Bahrain, Abdul Hadi al - Khawaja, che da due mesi è in sciopero della fame in segno di protesta, è stata arrestata ieri sera, e a quanto si apprende poi rilasciata, mentre tentava di organizzare una manifestazione nella capitale Manama alla vigilia del Gran Premio di Formula 1. Non è la prima volta che per Zainab al-Khawaja scattano le manette: la figlia di Abdul Hadi al-Khawaja è stata più volte fermata dalla polizia nei mesi scorsi durante sit-in e manifestazioni, detenuta per alcune ore e poi rilasciata. Intanto oggi l’ambasciatore danese in Bahrain ha fatto visita in ospedale ad Abdul Hadi al-Khawaja, che ha anche la cittadinanza danese, affermando di averlo trovato “in buone condizioni”. L’attivista è da 70 giorni in sciopero della fame - e al momento rifiuta anche di bere - da quando è stato arrestato per aver manifestato contro il governo. Dovrebbe comparire in tribunale domani per l’appello contro la condanna all’ergastolo con l’accusa di cospirare contro il governo.