Giustizia: quattro detenuti su dieci in attesa di giudizio… e spesso sono innocenti di Arianna Giunti www.linkiesta.it, 1 aprile 2012 Victor, Marco, Mahmoud. Sono i nomi di persone vittime di errori giudiziari che hanno subito periodi più o meno lunghi di carcerazione preventiva. Prima di aver ricevuto una condanna. Su oltre 66mila detenuti, quattro su dieci sono in attesa di giudizio. E trascorrono anche lunghi mesi o addirittura anni, in attesa del processo, rimandato a causa di continui rinvii e vizi procedurali. E molti di loro sono innocenti. Ecco le loro storie. Quando i carabinieri bussano alla sua porta, Victor dorme già da quattro ore. Filippino, in Italia da pochi mesi e senza permesso di soggiorno, non conosce una parola d’italiano. Fa solo in tempo ad annuire con la testa, davanti ai militari che pronunciano il suo nome. Nel giro di un’ora, si ritrova in caserma. Nel giro di sei, nel carcere di San Vittore. Lì, accusato aver sequestrato e tentato di uccidere la sua compagna, trascorre quasi due anni di carcerazione preventiva. Ma Victor, quel reato, non l’ha mai commesso. La verità viene fuori in sede di processo: la colpa è di un banale errore di traduzione. Marco, invece, operaio di Roma, deve la sua sfortuna al suo nome. Accusato di aver aggredito tre studenti con un’ascia, durante una rapina, trascorre un anno a Regina Coeli. Un suo omonimo, infatti, assomiglia come una goccia d’acqua al vero responsabile. Ma la polizia, sbagliandosi, arresta lui. E poi c’è l’egiziano Mahmoud. I carabinieri non hanno dubbi: ha gettato un giovane romeno sotto un treno, perché l’aveva preso in giro mentre pregava Allah rivolto verso La Mecca, nel piazzale della stazione San Cristoforo a Milano. Mahmoud sconta un anno di carcere e un altro in un ospedale giudiziario: il suo processo viene rinviato continuamente. Anche stavolta è nella fase dibattimentale che la verità viene a galla: non c’è stato nessun omicidio. Il giovane romeno è finito sulle rotaie durante una rissa con altre persone, dopo aver perso l’equilibrio. Ci avevano provato Alberto Sordi e Nanni Loy, nel lontano 1971, a raccontare, nel film - capolavoro “Detenuto in attesa di giudizio”, un esempio di “limbo” all’italiana, con la storia kafkiana del geometra romano Giuseppe Di Noi, intrappolato nelle maglie della giustizia e poi, da quelle stesse maglie, annientato. Oggi, 41 anni dopo, la situazione non è cambiata. Alcuni entrano ed escono nel giro di pochi giorni, ancora prima della convalida dell’arresto. Altri, invece, nel carcere, trascorrono anche lunghi mesi o addirittura anni, in attesa del processo, rimandato a causa di continui rinvii e vizi procedurali. Molti di loro sono innocenti. I dati parlano chiaro: su un totale di 66mila 632 detenuti rinchiusi nei 206 istituti di pena italiani, sono quasi 30mila quelli in attesa di giudizio. Una quota altissima pari al 42 per cento. Tredicimila di loro sono in attesa del giudizio di primo grado e in molti sono quelli che entrano ed escono nel volgere di pochi giorni. Una fotografia nera scattata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oggi diretto dall’ex pm antimafia Roberto Piscitello. “Molti dei detenuti che transitano dalle nostre carceri - dice Piscitello - spesso entrano ed escono prima di una condanna”. Si trovano all’interno di una fase, infatti, che può durare da pochi giorni a lunghi mesi, che va dalla mancata convalida dell’arresto fino a una probabile assoluzione di primo grado. Ma, con la loro presenza in carcere, impegnano agenti, risorse e contribuiscono al sovraffollamento. Dall’immatricolazione del detenuto al momento della libertà in caso di mancata convalida, che può avvenire entro 4 giorni (sono esattamente 96 le ore previste dalla norma), la prigione è comunque impegnata. “A volte nelle carceri - spiega Piscitello - si vedono detenuti che entrano ed escono nel volgere di un’ora”. Poi ci sono casi, come il carcere di Regina Coeli, dove il flusso quotidiano di reclusi in entrata è in media di 100: il 70% è destinato a uscire entro tre giorni, ma agenti e strutture sono impegnate come se questi 100 dovessero stare dentro più a lungo. Ecco perché l’accorciamento dei tempi per arrivare alla convalida dell’arresto e l’uso di strutture alternative alla cella per la custodia cautelare potrebbe portare un sostanzioso beneficio al sistema penitenziario. Anche sul versante dei costi. Un’emergenza, questa, su cui ha posto l’accento anche il ministro della Giustizia Paola Severino, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Nelle carceri ci sono troppi detenuti in attesa di giudizio: il costo sociale delle inefficienze della giustizia è pari a un punto del Pil”. Sempre secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel 2011 ogni recluso è costato allo Stato italiano mediamente 112,81 euro al giorno. Di storie di detenuti in attesa di giudizio che si sono rivelati innocenti durante la fase processuale, poi, i Tribunali sono pieni. Ma passano inosservate, relegate a poche righe nelle cronache locali. Come, appunto, quella che ha per protagonista l’egiziano Mahmoud El Gharib, arrestato due anni fa con la pesante accusa di omicidio volontario. A denunciare il clamoroso errore giudiziario, sono gli avvocati Manuel Galdo e Angelo Pagliarello. Mahmoud, ritenuto il colpevole certo di quello che poi, alla fine, si è rivelato un “non - omicidio”, ha scontato settecento giorni di carcere. I carabinieri - sostengono oggi i suoi legali - gli avevano persino attribuito una confessione che in realtà non c’era mai stata. “Il nostro assistito - raccontano oggi - aveva semplicemente evidenti problemi espressivi”. O come quella di Hassan Abdalla, egiziano di 35 anni, accusato di aver assassinato la compagna incinta, perché non voleva che tenesse il bambino. Abdalla, che si era sempre professato innocente, è stato alla fine assolto un anno fa in Corte d’Appello dopo cinque anni di carcere. Spiega oggi il suo difensore, l’avvocato penalista Corrado Limentani: “La Procura non aveva dubbi che il colpevole fosse lui, hanno concentrato le indagini a senso unico fin dal primo momento. E ha passato cinque anni della sua vita in una cella. Alla fine il vero colpevole non è mai stato trovato”. Ed è stato “dimenticato” in carcere, invece, per quasi due anni, il cubano Federico Gandoz, arrestato con l’accusa di aver violentato la ex compagna italiana, che lo aveva fatto arrivare in Italia e che lo stava ospitando a casa sua. Difeso da un legale d’ufficio, Gandoz vedeva, a causa di continui rinvii, la data del suo processo allontanarsi di mese in mese. Alla fine, nel penitenziario di Monza, è rimasto 650 giorni. Durante il processo di primo grado, la verità: quella violenza, in realtà, non c’era mai stata. La denuncia era stata solo una vendetta da parte della sua ex. Vendetta riuscita, grazie alla giustizia italiana. Giustizia: alla Camera avviato esame Disegno di legge su pene detentive non carcerarie Asca, 1 aprile 2012 La Commissione Giustizia ha avviato, con una relazione di Donatella Ferranti del PD, l’esame di uno dei provvedimenti contenuti nel cosiddetto “pacchetto Severino” per attenuare l’emergenza determinata dal sovraffollamento carcerario e avviare una deflazione nell’ingorgo del sistema penale. Si tratta del Ddl 5019 che in 7 articoli delega al Governo una serie di iniziative in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. La sospensione del provvedimento e la messa in prova è prevista solo per reati contravvenzionali, con sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore a 4 anni. Il confronto in merito si svilupperà la prossima settimana. Giustizia: intervista a Massimo Gletti “ho proposto in Rai un programma sul carcere…” di Annalisa Chirico www.radikalia.it, 1 aprile 2012 Massimo Giletti ha fatto “outing”. Ai corridoi bui dei palazzi Rai ha preferito un comunicato stampa, che diceva più o meno così: ho presentato un format per un programma sulle carceri al direttore di Radio Rai Antonio Preziosi e ad un anno di distanza non ho ricevuto ancora una risposta. Com’è nata l’idea di questo programma? L’ho pensato insieme a Klaus Davi. L’obiettivo è portare la radio all’interno del carcere coinvolgendo personaggi importanti della politica, del mondo della cultura e dello spettacolo. Vogliamo dar voce alle guardie penitenziarie e ai detenuti affinché possano raccontare la loro esperienza, le loro esigenze. A che punto eravate del lavoro? Avevamo avuto già l’autorizzazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Gli adempimenti burocratici per entrare in carcere erano stati espletati. Avevamo anche individuato gli istituti possibili, Regina Coeli oppure Rebibbia. E poi che è successo? Ho presentato il progetto al direttore di Radio Rai nel maggio 2011. L’idea gli piaceva, si pensava addirittura di farlo partire la scorsa estate. Poi così non è stato, e allora l’ho incontrato nuovamente a ottobre. Mi è stato posto un problema di budget. Vedo però che altri programmi si fanno, quindi è una scelta, un vero peccato. Sarebbe stato un programma oneroso sul piano economico? Non abbiamo mai fatto una trattativa economica perché uno come me che propone un programma di questo tipo non vuole certo speculare. I costi erano prossimi allo zero. Dopo la sua dichiarazione pubblica il direttore Preziosi si è fatto vivo? No, però mi ha chiamato il direttore generale Lorenza Lei. So che la Lei è molto sensibile al problema carcerario, lo ha dimostrato coi fatti. Rimane il disappunto perché forse un conduttore che propone una cosa del genere merita almeno una risposta. Quindi da Preziosi nessuna reazione. Nessuna. Apprendiamo da lei però che il dg della Rai è sensibile al tema. Si può ipotizzare un format simile in Tv? Portare la radio in carcere è più semplice. Con la Tv è più complicato. Certo che il mondo del carcere attraverso le immagini sarebbe tutta un’altra cosa… Perché è più complicato? Andrebbe modificato il progetto, dovrei ragionarci. La Tv ha un linguaggio diverso. Se domani mi chiedono di farlo però ci lavorerò. È nell’ordine del possibile secondo lei? Non posso saperlo. Certo che se già è stato impossibile realizzare un programma per la radio, si figuri per la televisione. Eppure, come ha denunciato il deputato del Pdl Alfonso Papa, l’informazione della Rai sulla questione carceraria è a dir poco “centellinata”. Non sono io che decido. Le decisioni le prendono i vertici dell’azienda. Io ritengo che al problema delle carceri sia legato il malessere del nostro Paese. Il servizio pubblico ha il dovere di aprire certi spaccati meno conosciuti. Poi però, come vede, il conduttore del principale talk show televisivo (l’Arena, ndr) seguito da oltre cinque milioni di spettatori fa una proposta e non riceve neppure una risposta per un anno intero. Lei ha preferito una denuncia pubblica dell’accaduto anziché chiedere aiuto a questo o a quel politico. Gliene va reso atto. Sono contento di aver sollevato il problema. Ho ricevuto una solidarietà trasversale. Magari ora in Rai qualcosa si sbloccherà. In Rai l’appoggio della politica conta. Io sono uno che lavora molto e ho sempre fiducia che le cose possano migliorare. Sono confidente. Giustizia: Ucpi; su caso di Michele Aiello denigrato Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila Ansa, 1 aprile 2012 “Per il solo fatto di aver concesso la detenzione domiciliare ad un detenuto condannato per mafia - peraltro in gravissime condizioni di salute e in passato già beneficiario dello stesso trattamento da parte del gip di Palermo - il Tribunale dell’Aquila e il suo presidente sono stati reiteratamente attaccati sui media da altri magistrati che hanno attivato una vera e propria campagna denigratoria”. Così l’Unione camere penali italiane commenta la vicenda della concessione dei domiciliari a Michele Aiello, l’imprenditore della sanità privata siciliana condannato a 15 anni. Secondo i penalisti, il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila e il suo presidente sono “passati sotto le forche caudine della pubblica disapprovazione delle Procure impegnate nel contrasto alla mafia, che, sia pur a scoppio curiosamente ritardato, hanno censurato in maniera virulenta e con largo uso di forzature e falsità, un provvedimento emesso da quell’ufficio pubblico”. Per l’Ucpi, al di là del merito, la questione è assai grave poiché dimostra, “per l’ennesima volta, il clima di intolleranza verso la libertà della giurisdizione che si respira all’interno della magistratura, con pm che si ergono a pubblici censori di giudici che decidono in maniera sgradita alle Procure”. Ma quel che “appare più grave, tanto da essere ancor più inaccettabile”, aggiungono i penalisti, è la notizia che su questa vicenda il ministero della Giustizia abbia disposto una ispezione. “Le decisioni dei giudici - conclude l’Ucpi - si possono criticare, ma non con l’intolleranza o le ispezioni ministeriali”. Basilicata: i Vescovi chiedono migliori condizioni di vita per i detenuti Adnkronos, 1 aprile 2012 “Nella sua quotidiana missione di testimonianza del Vangelo la Chiesa sente che l’impegno per l’amnistia, la giustizia, la libertà rappresenta un fatto che va nella direzione di una possibile e necessaria riconciliazione”. È uno dei passaggi del messaggio pre-pasquale dei vescovi della Basilicata, guidati dall’arcivescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, uno dei vicepresidenti della Cei. Il testo del messaggio richiama le parole di Papa Benedetto XVI in visita al carcere di Rebibbia a Roma sulla necessità di “rispetto e dignità” per la condizione dei carcerati. “L’attenzione verso i carcerati - dice Superbo insieme ai presuli lucani - si concretizza attraverso la quotidiana vicinanza dei cappellani e dei volontari ai drammi e ai percorsi di recupero di ciascuno nella convinzione che se lo Stato deve tutelare la società dalla minaccia dei criminali, deve pure, in pari tempo, reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità. Fa parte di questa sensibilità anche l’attenzione al mai risolto problema del sovraffollamento e del degrado delle carceri che attende di essere definitivamente affrontato”. Per i vescovi lucani, “ferma restando l’attuazione effettiva della giustizia, che va sempre assicurata in considerazione del doveroso rispetto verso le vittime e i loro familiari, l’auspicio - si conclude il messaggio - è che si punti a promuovere uno sviluppo del sistema carcerario capace di adeguarsi alle esigenze della dignità umana, anche attraverso il ricorso a pene non detentive o a diverse modalità di detenzione”. Sardegna: riaprire il carcere dell’Asinara? tutta la politica regionale boccia la proposta Dire, 1 aprile 2012 Pioggia di reazioni negative dopo la proposta della scorsa settimana del ministro di riapertura del carcere dell’Asinara. Dopo il governatore della Sardegna anche i sindacati e le associazioni bocciano l’idea. Coro di reazioni negative in tutta la Sardegna all’ipotesi di riaprire il carcere di massima sicurezza dell’isola dell’Asinara. Dopo il governatore Ugo Cappellacci e praticamente l’intero arco politico sardo, anche il mondo sindacale e del volontariato si scaglia contro chi, anche in forma puramente teorica, propone di rimettere i detenuti nelle celle del vecchio penitenziario di massima sicurezza che per decenni ha ospitato persine condannate per reati di mafia, terrorismo e altri reati gravi. “La realizzazione di una nuova struttura - aveva precisato Cappellacci - costerebbe molto meno rispetto alle spese necessarie per riattivare e mettere a norma l’Asinara che, come la Sardegna, non sono la dependance dello Stato Italiano e se qualche deputato, in spregio alla nostra autonomia e alla volontà del popolo sardo, sta vagheggiando l’idea di posare la prima pietra di una rinnovata struttura carceraria, sappia che un istante dopo finirebbe a nuotare nelle acque cristalline che circondano la nostra isola”. Insomma, parole chiare che non lasciano margini di apertura. Dopo la chiusura del maxi - carcere, l’area è diventata un parco e tra i più belli della regione, punto d’approdo di visitatori e intellettuali che non desiderano solo apprezzare lo splendore del mare della Sardegna, ma anche fare un tuffo su un pezzo di storia italiana. L’Asinara, infatti, è stata a lungo una prigione dedicata a detenuti politici o persone sottoposte a regime di carcere duro, ma è stato anche il luogo dove i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino prepararono per settimane gli atti del maxi - processo di mafia. Ha parlato di una “caduta di stile” l’associazione “Socialismo diritti e riforme” che da tempo si occupa dei problemi carcerari della Sardegna. “Una proposta che danneggia la Sardegna riconfigurandola come isola - carcere, ne moltiplica le servitù penitenziarie e negando prospettive serie di una riforma del sistema detentivo. Una inattesa caduta di stile di un Ministro in cui sono state riposte molte speranze”. Lo sostiene in una nota Maria Grazia Caligaris, ex consigliera regionale e presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla proposta del Ministro della Giustizia Paola Severino di riattivare l’Asinara e Pianosa. “Il problema delle carceri - ha aggiunto - deve essere assunto nella sua interezza non puntando sull’incremento degli spazi di reclusione. Non servono isole bunker anche perché sono contrarie ai fondamenti costituzionali e ostacolano la risocializzazione di chi sconta una pena detentiva. La questione è ormai sociale e investe diversi ministeri da quello alle politiche sociali fino al lavoro. La Sardegna è stanca di un uso del territorio che favorisce lo spopolamento”. “Il sovraffollamento dei Penitenziari deve essere affrontato e risolto con atti di coraggio. Soluzioni facili come la riapertura di Istituti chiusi da diversi lustri servono solo - conclude Caligaris - a distrarre dalla necessità di costruire reali opportunità di crescita civile”. Piemonte: Radicali; nomina Garante detenuti, seconda fumata nera Notizie Radicali, 1 aprile 2012 Ieri il Presidente del Consiglio Regionale, Valerio Cattaneo, ha ribadito ai microfoni di Radio Radicale – presente al sit-in organizzato sotto Palazzo Lascaris dall’Associazione Radicale Adelaide Aglietta – di voler risolvere l’evidente situazione di illegalità derivante dalla mancata nomina del garante regionale delle carceri, istituito dalla legge regionale n. 28 del 2 dicembre 2009. Le soluzioni prospettate da Cattaneo sono due: o la nomina del garante da parte del plenum del Consiglio Regionale; o un provvedimento che deleghi le funzioni del garante al Difensore Civico Regionale. Nel pomeriggio si è svolta per la seconda volta la votazione sul garante; per la seconda volta è mancato il numero legale. Il Presidente Cattaneo ha indetto una terza votazione per martedì 3 aprile. Dichiarazione di Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani) e Igor Boni (presidente Ass. Aglietta): "Diamo atto al Presidente Cattaneo di aver finalmente affrontato il problema del mancato rispetto di una legge regionale, mettendo il Consiglio di fronte alle proprie responsabilità. Ciò detto, siamo assolutamente pessimisti rispetto a quanto accadrà: la maggioranza di centro-destra continua a far saltare le votazioni per poi impacchettare una leggina che delegherà tutte le funzioni del garante carceri al Difensore Civico regionale o, peggio, all’Osservatorio regionale sull’usura (vedi PDL 188 “Pedrale e altri”). Tutti, sia i consiglieri dentro il Palazzo che i cittadini fuori dal Palazzo, sanno che il Difensore Civico regionale è già oberato di centinaia di pratiche (basti pensare alla materia sanitaria), per cui non avrà sicuramente il tempo necessario per occuparsi del “dossier carcere”, che ha problemi del tutto particolari e specifici, anche perché ognuno dei 13 istituti piemontesi richiede approcci diversi. Invitiamo i cittadini a fare pressione sui consiglieri regionali affinchè vi sia da parte del Consiglio un soprassalto di ragionevolezza". Lazio: l’Assessore Cangemi presenta bilancio del progetto “Salute nelle carceri” Il Velino, 1 aprile 2012 “Il progetto Salute nelle carceri che abbiamo finanziato con lo stanziamento di 130 mila euro è stato pensato per promuovere la salute e il benessere dei detenuti della nostra regione, con l’intento di raggiungere l’uguaglianza di trattamento e la possibilità di accesso alle cure sanitarie dei detenuti rispetto ai cittadini non privati della libertà personale”. Così l’assessore ai Rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, ha presentato oggi alla casa circondariale di Rebibbia nuovo complesso, il bilancio dell’iniziativa Salute nelle carceri, progetto finalizzato alla prevenzione e cura sanitaria per i detenuti del Lazio. “Sono state elaborate schede di rilevazione - ha aggiunto Cangemi che ha portato a tutti i presenti il saluto della presidente della Regione Lazio, Renata Polverini - sulle condizioni sociali e sanitarie di ciascuna persona prima e durante lo stato di detenzione. Sono state implementate azioni informative e formative sulla salute per chi vive e per chi lavora in un Istituto penitenziario, attraverso incontri individuali e di gruppo. Sono stati realizzati opuscoli informativi sulle principali patologie che possono manifestarsi nella realtà penitenziaria, tradotti in quattro lingue (inglese, romeno, arabo, spagnolo). In alcuni casi sono state rilevate situazioni di criticità (ad esempio nevi melanocitari con richiesta di esame istologico), segnalati immediatamente ai referenti sanitari interni delle Asl Rma e Rmb”. Il progetto, sostenuto dall’assessore Cangemi, in collaborazione con il San Camillo Forlanini, le Asl RmB, RmE e RmH è durato sei mesi ed è constato in screening specialistici, attività di formazione ed informazione e assistenza psicologica ai detenuti di Regina Coeli, Rebibbia Nuovo Complesso, Rebibbia sezione femminile, Rebibbia terza casa, Casale del marmo e della casa circondariale di Velletri. Alla presenza del direttore generale del San Camillo Forlanini, Aldo Morrone, del direttore della struttura carceraria, Carmelo Cantone e del Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Maria Claudia Di Paolo, sono stati resi noti i dati dell’attività che ha riguardato 1.229 screening specialistici ad altrettanti detenuti. In dettaglio: 94 sono state le visite cardiologiche, 205 ecografie, 14 visite odontoiatriche, 356 pneumologiche, 86 diabetologiche, 104 dermatologiche, oltre a visite ginecologiche, all’assistenza per la salute psicologica e psicofisica dei minori. “Si tratta di un bilancio più che positivo - ha aggiunto Cangemi. Voglio per questo ringraziare il professor Morrone, la sua struttura operativa e gli operatori delle Asl RmB, RmE e RomaH per la loro dedizione. La ratio dell’intervento è stata dettata dalle difficili condizioni in cui versano le carceri italiane che favoriscono l’insorgenza di disturbi di carattere psicologico oltre che fisico. L’assistenza del personale sanitario altamente qualificato ha contribuito sicuramente al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti, alla realizzazione della loro personalità. E quest’attività è importante anche nel quadro del complessivo trattamento rieducativo. Immediatamente dopo Pasqua, il personale del San Camillo Forlanini e delle Asl Rmb, Rme e RMH si occuperà degli agenti di polizia penitenziaria, dedicando loro una intera giornata ed espletando una serie di screening specialistici ed attività di prevenzione sanitaria per 100 operatori penitenziari”. Bologna: cala sovraffollamento grazie alle misure alternative, ma pochi detenuti lavorano Redattore Sociale, 1 aprile 2012 Il numero dei detenuti è passato dal picco dei 1.200 ai 1.023 attuali. La capienza tollerabile sarebbe di 880 persone. La direttrice Ione Toccafondi fa il punto della situazione nel carcere bolognese Cala il numero dei detenuti presenti nel carcere di Bologna. Dopo i picchi allarmanti raggiunti negli ultimi mesi, con circa 1.200 presenze, ora la situazione sta migliorando: attualmente sono 1.023 le persone recluse, ancora troppe rispetto alla capienza regolamentare del carcere (480 detenuti) ma anche rispetto a quella tollerabile (880 persone). “Siamo sempre oltre la capienza tollerabile, ma la situazione sta migliorando”, spiega la direttrice della casa circondariale, Ione Toccafondi. “Perché? Ci sono meno ingressi e un maggior ricorso alle misure alternative e ai domiciliari”. Se nella sezione penale, dove sta chi ha condanne definitive, i detenuti vivono in due per cella, i problemi riguardano chi è ancora in attesa di giudizio o in custodia cautelare: qui si è costretti a vivere in tre in celle da 10 metri quadri. A margine della presentazione del laboratorio di riciclo di rifiuti elettronici presente all’interno della Dozza, Toccafondi parla anche delle opportunità attualmente offerte ai detenuti, a partire dal lavoro. “Il carcere perfetto sarebbe quello che riuscisse a dare lavoro a tutti i detenuti”, spiega la direttrice, “purtroppo qui l’amministrazione penitenziare riesce a farlo solo con un centinaio di persone, meno del 10% di tutti i detenuti”. A dare opportunità di lavoro c’è il laboratorio di rifiuti Raee e la “sezione verde”, ma anche una sartoria in cui sono impiegate attualmente tre detenute. Alla Dozza però sta per nascere anche un’officina meccanica, realizzata grazie a un consorzio di imprese, che darà lavoro a 12 detenuti. Sono invece 400 i detenuti impegnati in attività scolastiche, dalle elementari all’università. “Alla scuola abbiamo dedicato un intero padiglione”, conclude Toccafondi. Dal 2009 impianto trattamento rifiuti Raee ha dato lavoro a 6 reclusi Sei detenuti impiegati in tre anni, 260 tonnellate di rifiuti smaltiti e riciclati solo nel 2011. Sono i numeri del laboratorio per il trattamento dei rifiuti Raee (lavatrici, lavastoviglie, forni) aperto dal 2009 all’interno della Dozza. Un modo per coniugare l’attenzione per l’ambiente - da ogni rifiuto viene recuperato l’80 - 85% del materiale - all’impegno sociale. “Per i detenuti il lavoro è un modo per riscattarsi, per ritrovare la dignità, per mantenersi autonomamente e a volte anche per dare una mano alla propria famiglia”, spiega la direttrice del carcere bolognese Ione Toccafondi. Nato grazie alla cooperativa sociale It2, all’ente di formazione Cefal e al consorzio di imprese Ecodom, il laboratorio della Dozza per ora ha dato lavoro a sei persone, assunte part - time con una paga di circa 500 euro al mese, ma soprattutto ha dato loro una chance di formazione professionale. Non a caso uno dei detenuti impiegati nell’attività a ottobre 2011 è stato assunto da Dismeco (una delle aziende del consorzio Ecodom) e ha ottenuto il beneficio del lavoro esterno. Dopo un corso di formazione di sei mesi gestito da Cefal, i detenuti possono cominciare a lavorare nel laboratorio. Il consorzio si occupa di fornire la materia prima, ovvero i Raee, i rifiuti elettronici da recuperare, che i tre detenuti impiegati smontano e dividono a seconda del materiale. Un’attività che solo nel 2011 ha permesso di smaltire 260 tonnellate di rifiuti, di far risparmiare un milione e 800.000 kwh di energia elettrica e di recuperare 180 mila chili di ferro, 3.800 di rame, 6.200 di alluminio e 7.200 di plastica. “La nostra collaborazione a questo progetto rappresenta un piccolo contributo alla costruzione di un futuro più sostenibile”, spiega Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom. “Il corretto trattamento dei Raee da parte dei detenuti aggiunge alla sostenibilità ambientale una sostenibilità sociale che è un traguardo ancora più significativo e importante”. Il consorzio Ecodom, nel 2011, ha gestito circa 86.000 tonnellate di Raee in tutto il territorio nazionale, ma quella bolognese non è l’unica esperienza svolta in un carcere. Un’iniziativa analoga a quella realizzata alla Dozza si svolge anche nella casa circondariale di Ferrara (mentre a Forlì dei Raee in carcere si occupa un altro consorzio). Leopoldo, Salvatore e Isal: liberi di progettare il futuro I tre detenuti attualmente impiegati nel laboratorio di riciclo dei rifiuti Raee della Dozza raccontano speranze e ambizioni. Ma i detenuti - lavoratori a Bologna sono solo un centinaio. “Di queste in un giorno ne facciamo anche 20 a testa”, dice Leopoldo, indicando la lavatrice appena smontata. Insieme a Salvatore e Isal, è uno dei tre detenuti attualmente impiegati nel laboratorio di riciclo di rifiuti elettronici del carcere di Bologna. In questa stanzetta piena di lavatrici, lavastoviglie e forni da smontare si lavora 18 ore a settimana, separando e riciclando i pezzi a seconda del materiale, sempre sorvegliati da una guardia. Da questo lavoro Leopoldo, Salvatore e Isal guadagnano circa 500 euro al mese, ma per una volta la paga non è la cosa più importante. Ogni lavatrice smontata infatti è un passo verso il futuro, verso una nuova vita che i tre detenuti ora possono davvero cominciare a sognare. Salvatore ha 45 anni, viene da Napoli, dove faceva il pizzaiolo. Ora spera “di poter continuare a fare questo lavoro anche fuori”, e in effetti uno dei loro predecessori nell’officina ora è stato assunto da una delle ditte del consorzio che ha messo in piedi il laboratorio. È ancora in carcere, ma ogni giorno esce fuori per andare a lavorare. Per Salvatore è una prospettiva, un’ambizione, qualcosa su cui costruire un futuro. Anche se l’uscita dal carcere è prevista per il 2014, sta già progettando il trasferimento a Bologna della sua compagna. “La distanza è tanta e i colloqui li facciamo solo ogni due mesi”, spiega, “ma prima di farla trasferire voglio vedere di poter lavorare io”. Come Leopoldo e Isal, Salvatore è un detenuto della sezione penale, dove si vive in due per cella e si sta un pò meglio che nel resto della Dozza. Ma stare tutto il giorno in cella non fa bene a nessuno. “Il lavoro cambia la tua giornata. Ti alzi presto, fai colazione e sai che hai delle cose da fare. E poi siamo più liberi di andare da una parte all’altra”, spiega Leopoldo, 34 anni, della provincia di Caserta. Anche lui è a Bologna da tre anni. “La vita in carcere è sempre dura, ma se riesci ad adattarti vivi tranquillamente”. Per lui il sogno è “proseguire il lavoro al bar tabacchi della mia famiglia, i miei fratelli, mio padre e mia madre”. Per Isal, 43 anni, nato in Marocco ma in Italia dal 1991, invece la famiglia è un cruccio perché è lontana. “Ci sentiamo solo due volte al mese per telefono”, spiega. E anche il futuro è più incerto: “Se mi lasciano i documenti rimarrò in Italia, altrimenti tornerò in Marocco”. Roma: i Radicali in visita al carcere di Regina Coeli, denunciano “gravi carenze sanitarie” Adnkronos, 1 aprile 2012 Al carcere romano di Regina Coeli ci sono “gravi carenze sanitarie”. Lo denunciano i Radicali dopo avere visitato l’istituto di pena. “Abbiamo avuto modo di riscontrare, oltre alla cronica situazione di sovraffollamento carcerario che riguarda tutte le carceri italiane, delle gravi carenze di tipo sanitario”, dice Rocco Berardo, consigliere regionale della lista Bonino Pannella. “In particolare, - rileva nella nota - a Regina Coeli, così come in molti altri penitenziari italiani, non esiste una adeguata assistenza medico - sanitaria rispetto alle situazioni di salute di molti detenuti”.”Tra le poche celle che abbiamo visitato molti casi apparivano manifestamente ai limiti della compatibilità detentiva. Tra questi - denuncia - anche il caso di un detenuto, rinchiuso in una cella della seconda sezione del carcere: ci ha mostrato un rigonfiamento molto grave di tutto il braccio destro, oltre a una medicazione trascurata sulla mano dello stesso arto, che evidentemente necessita di un ricovero con costante monitoraggio medico nel centro clinico, ma per eccessivo affollamento del centro lo stesso ricovero non si è potuto ancora effettuare”. Il secondo caso, denuncia ancora l’esponente dei Radicali, riguarda Luigi Lainà, “per il quale è già stata presentata una interrogazione parlamentare al ministro di Giustizia e quello della Salute, dalla deputata Radicale Rita Bernardini. Il detenuto, ricoverato da tempo presso il centro clinico del carcere, soffre di una grave situazione clinica essendo affetto da epatite, insufficienza polmonare da enfisema cronico, con un evidente deperimento organico e impossibilità alla deambulazione e di gravi forme di autolesionismo. Risulta evidente in questo caso la incompatibilità tra detenzione e salute, come già affermato dalla relazione degli stessi medici di Regina Coeli, per i quali, secondo una relazione del 30 gennaio 2012, il detenuto a causa delle sue condizioni di salute non è gestibile nell’ambiente carcerario”. Di Giovan Paolo (Pd): migliorare condizioni sanitarie a Regina Coeli “Anche per il carcere di Regina Coeli, come per tanti altri, servono interventi per migliorare le condizioni sanitarie. Bisogna far sì che la riforma della sanità penitenziaria sia applicata in tutte le sue parti, coinvolgendo di più i comuni, le Asl e i ministeri competenti”. Lo afferma il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum della Sanità Penitenziaria. “Di questo parleremo in un convegno a Firenze lunedì - continua Di Giovan Paolo - Serve attivare un cammino per far sì che la pena sia vissuta in modo più degno di quanto avviene ora”. Firenze: i Radicali visitano Sollicciano; mille detenuti, scarsi risultati misure deflattive Ansa, 1 aprile 2012 “Malgrado le misure del governo Monti l’amministrazione della giustizia in Italia resta intatta nella sua drammatica illegalità costituzionale. Le carceri son l’appendice di questo fenomeno, occorre perseguire una riforma radicale che non può che iniziare da un’amnistia”. È il commento del senatore Marco Perduca al termine della visita compiuta da una delegazione radicale al carcere di Sollicciano: erano presenti Maurizio Buzzegoli ed Emanuele Baciocchi rispettivamente segretario e tesoriere dell’Associazione radicale Andrea Tamburi. Ad oggi, riferiscono i Radicali, i detenuti presenti all’interno del carcere sono 993 a fronte di una capienza regolamentare di 460 unità (con una tollerabilità che non può spingersi oltre 630): solo due giorni fa si era arrivati a quota 1.003 detenuti. “Si tratta - spiegano - di una situazione intollerabile aggravata dalla chiusura e dallo sfollamento delle carceri di Arezzo e di Livorno. Una chiara dimostrazione di come sia la legge Alfano che il decreto Severino non siano riusciti ad apportare consistenti risultati di miglioramento al pianeta carcerario: infatti, i detenuti che hanno usufruito della Legge 199/10 sono stati solo 84, mentre coloro che potrebbero usufruirne entro un anno (coloro che risultano con fine - pena breve) sono 262”. “Tuttavia - proseguono, il pianeta carcere deve fare i conti anche con la carenza d’organico della Polizia Penitenziaria che è aumentata sino ad una percentuale pari al 31%”. Foggia: Osapp; detenuto in isolamento buca parete cella e dorme in quella accanto Foggia Today, 1 aprile 2012 L’uomo si trovava in isolamento per aver aggredito agenti di polizia penitenziaria. Nel corso della serata precedente, nella sua cella, aveva spaccato ogni suppellettile. “Al peggio non c’è mai fine”. È l’amara riflessione del vicesegretario Osapp Domenico Mastrulli nel commentare la notizia secondo la quale nel carcere foggiano un detenuto avrebbe fatto un buco nella sua cella per andare a dormire in quella accanto. Secondo fonti interne l’episodio sarebbe accaduto nella notte tra giovedì e venerdì scorso nel reparto isolamento dove il detenuto era stato messo per essersi reso responsabile di vari atti di aggressione ai danni del personale di polizia. L’uomo avrebbe scavato un buco nella sua cella per andarsi a riposare nel letto di quella accanto. Scoperto immediatamente, è stato rapportato e deferito all’Autorità Penitenziaria per gli adempimenti di legge. L’autore del “buco”, che nel corso della serata precedente aveva spaccato ogni suppellettile all’interno della propria cella, è stato successivamente sottoposto a controlli ed allocato in reparto IV Sezione Complesso. A Foggia la capienza dovrebbe essere di 320 detenuti, ma oggi ce ne sono oltre 780, divisi in cinque diramazioni (compreso il Reparto Femminile che risulta essere anch’esso sovraffollato). Nei mesi scorsi il penitenziario è stato meta di una approfondita Ispezione Ministeriale e del Prap Bari per tutto quello che in questi mesi è accaduto e le cui risultanze sarebbero al vaglio del capo dipartimento vicario e del direttore generale del Personale e della Formazione Dap Roma. Solo qualche giorno fa si è verificata un’aggressione ai danni di tre agenti. Urge un vicedirettore in affiancamento alla direttrice titolare, un comandante nel ruolo commissario, un vicecomandante e un contingente di almeno 80 agenti. Invieremo una dettagliata richiesta al ministro della Giustizia, Paola Severino, ed al capo del dipartimento, il presidente Giovanni Tamburino. Forlì: sul nuovo carcere interrogazione parlamentare di Bianconi (Pdl) e Brandolini (Pd) Sesto Potere, 1 aprile 2012 Un’ interrogazione parlamentare sul nuovo carcere di Forlì è stata presentata nei giorni scorsi nei due rami del Parlamento rispettivamente dalla senatrice Laura Bianconi (Pdl) e dall’onorevole Sandro Brandolini (Pd). L’interrogazione è stata indirizzata al Ministro di Giustizia e al Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti in quanto fu proprio questo ministero a redigere nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale il programma delle nuove infrastrutture penitenziarie da realizzare in tutta Italia; tra esse rientra appunto il nuovo carcere della Cava per il quale sono stati stanziati 20 milioni di euro per realizzare oltre ai servizi necessari spazi per 225 detenuti. Tra i punti posti in evidenza dai parlamentari romagnoli, vi è la carenza di spazi e il conseguente problema del sovraffollamento, oltre alle condizioni generali dell’attuale struttura che essendo stata realizzata da oltre un secolo presenta problemi di infiltrazioni e di impianti. “Il nuovo carcere di Forlì - hanno dichiarato Bianconi e Brandolini - è un’opera di fondamentale importanza per l’intera provincia ed è auspicabile che esso veda la conclusione, come programmato, nel 2014. Per questo auspichiamo che i ministri competenti si impegnino affinché questa scadenza venga mantenuta”. Forlì: pizza gratis per tutti i detenuti, iniziativa di Radio Maria di Piero Ghetti Forlì Today, 1 aprile 2012 Approfittando della diretta della “Messa delle Palme” dal carcere mandamentale di Forlì, Radio Maria ha chiesto ed ottenuto gratuitamente a 15 esercizi locali la pizza per tutti i “residenti” di via della Rocca. Ristoratori forlivesi offrono la pizza ai detenuti di via della Rocca. Approfittando della diretta della “Messa delle Palme” dal carcere mandamentale di Forlì, Radio Maria ha chiesto ed ottenuto gratuitamente a 15 esercizi locali la pizza per tutti i “residenti” di via della Rocca. “Non hanno battuto ciglio neanche quest’anno - dichiara soddisfatto Daniele Siroli, responsabile di Radio Maria per la Romagna - nonostante la grave crisi finanziaria in atto”. Ma vediamoli questi magnifici 15: “Da Gusto”, “Da Scarpina”, “Del Corso”, “Fofò”, “Il Fienile”, “L’Aquilone”, “L’Insonnia”, “Lo Spizzico”, “Le Macine”, “Le Querce”, “Le Terrazze”, “Los Locos”, “Mufaffè”, “Peter Pan”, “Vecchia Forlì”. Molti pizzaioli hanno acconsentito persino di escludere dai loro prodotti la carne di maiale, andando così incontro al desiderio di alcuni carcerati di religione islamica. Le pizze saranno raccolte la sera della vigilia, a partire dalle 18.30, da un gruppo di volontari capitanati da Giovanni Laghi. Il merito di aver “scatenato” questa inconsueta gara di solidarietà va alla stessa Radio Maria, il network cattolico presente in 40 paesi al mondo, che si collegherà via etere con il carcere forlivese per il 15° anno consecutivo. volta. La diretta, prevista per domenica, alle 10.30, sulle canoniche frequenze 103.600 e 106.500 in modulazione di frequenza, consentirà all’intera popolazione dell’istituto di pena, 151 detenuti rispetto ai 135 previsti, di cui 77 stranieri e 74 italiani (le donne sono 20) di evadere per un’ora dall’informe quotidianità di una prigione. La funzione, rievocazione dell’ingresso festante di Gesù a Gerusalemme e avvio formale della Settimana Santa, sarà presieduta dal cappellano del penitenziario don Dario Ciani e animata dalla corale “La Gregoriana” di Cesena diretta da Pia Zanca. Nell’omelia, il noto sacerdote, fondatore della comunità di recupero di Sadurano, illustrerà brevemente la realtà carceraria forlivese. Durante la messa, tutti i detenuti presenti riceveranno la palma d’ulivo in segno di riappacificazione con la società civile. Alcuni leggeranno la “Passione di Nostro Signore Gesù Cristo”, mentre una giovane carcerata divulgherà l’augurio pasquale scritto dalle monache Agostiniane di Forlimpopoli. Il collegamento sarà condotto dal cesenate Daniele Siroli, che è anche pioniere dei pellegrinaggi al santuario mariano di Medjugorje, in Bosnia. Al termine, le pizze per il pranzo giungeranno in via della Rocca ancora calde e rigorosamente tagliate a spicchi. Non mancheranno neppure le tradizionali colombe pasquali, donate dai dipendenti della Banca di Forlì Credito Cooperativo. Radio Maria farà avere a tutti i residenti della casa Circondariale anche una radiolina, corone del Santo Rosario, libri ed opuscoli. Palmi (Rc): Corbelli (Diritti Civili); aiutare detenuto colpito da tumore Asca, 1 aprile 2012 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, in una nota, ha rivolto un appello in favore di un detenuto nel carcere di Palmi, malato di tumore, che chiede di essere curato in una struttura adeguata. I familiari del detenuto hanno inviato una lettera a Corbelli nella quale “chiedono aiuto”. “Un nostro congiunto - è scritto nella lettera diffusa da Corbelli - rischia di morire in carcere se non si interviene subito. È detenuto da poche settimane a Palmi, dopo essere stato nel carcere di Vibo Valentia. È in carcere da un anno e mezzo. È innocente. Ma quello che ci preoccupa e angoscia a tutti noi in famiglia è la sua malattia. In vita sua ha sempre sofferto. È stato operato per un tumore. Ogni mese doveva andare a controllarsi, da quando è in carcere non lo può più fare. Rischia di morire abbandonato e dimenticato in una cella”. Sulla vicenda Corbelli afferma che “ancora una volta dall’inferno delle carceri viene fuori il dramma umano di un detenuto gravemente malato. Non conosco questo recluso, né la sua vicenda processuale. So solo che il disperato e accorato grido di aiuto dei familiari non può e non deve cadere nel vuoto”. Firenze: domani convegno sul carcere organizzato da Legautonomie e Forum Salute Dire, 1 aprile 2012 Sovraffollamento, condizioni igieniche precarie, carenza di percorsi di inclusione sociale e di reinserimento nel mondo del lavoro. Sono questi i problemi che affliggono perennemente le carceri italiane e a cui si tenta da decenni di trovare una soluzione, con risultati più o meno incisivi. In questo quadro possono intervenire gli enti locali? In che tempi e con quali modalità possono ricoprire un ruolo determinante? È possibile riqualificare gli istituti penitenziari e rendere più tollerabile per i detenuti scontare la loro pena? Di questi temi si occuperà il convegno organizzato lunedì prossimo a Firenze da Legautonomie e Forum per il diritto alla salute in carcere. Convegno che vedrà la partecipazione del ministro della Salute Renato Balduzzi, di Marco Filippeschi, sindaco di Pisa e presidente di Legautonomie, di Roberto Di Giovan Paolo, commissione Diritti Umani del Senato e presidente Forum per il diritto alla salute dei detenuti. Interverranno, tra gli altri, Stefano Ceccanti, senatore e Ordinario di diritto pubblico comparato Università La Sapienza di Roma, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Giovanni Tamburino, Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Stefania Saccardi, assessore al welfare del Comune di Firenze, Salvatore Allocca, assessore al welfare e alle politiche per la casa Regione Toscana. “Il problema della civiltà delle carceri - dice Marco Filippeschi, sindaco di Pisa e presidente di Legautonomie - la possibilità stessa di garantire la salute dei detenuti così come degli operatori penitenziari, necessita di un progetto organico con adeguati provvedimenti legislativi, a partire dalla riforma del codice penale, con la depenalizzazione dei reati minori, forme attenuate di detenzione e l’ampio ricorso a misure alternative al carcere, l’affidamento ai servizi sociali, con percorsi di riabilitazione e di inclusione sociale”. “Occorrerebbe - continua Filippeschi - una politica organica di riforma del sistema giustizia. Non si deve più commettere l’errore di prendere provvedimenti fuori da una riforma generale, ‘alleggerendò le carceri senza interventi strutturali: i cittadini, che vogliono una giustizia più rapida e la certezza della pena, non capirebbero”. “Assistere i comuni che ospitano le carceri - afferma il senatore Di Giovan Paolo - vuol dire assistere l’intero Paese. Sono loro che hanno ‘in caricò l’assistenza sociale alle famiglie dei detenuti, ai detenuti stessi quando cercano un domicilio, un lavoro, una opportunità di rientrare nella società civile. Sono loro che cogestiscono le Asl assieme alle Regioni nella programmazione sanitaria e sono loro che possono dare oggi un contributo positivo al superamento di ogni ostacolo che si frappone alla definitiva inclusione della tutela della salute dei detenuti nel sistema sanitario pubblico. Lo Stato - conclude - dovrebbe porsi il problema dei servizi sociali di questi comuni che sopportano un peso maggiore degli altri. Dovrebbe quantomeno permettergli di usare, quando siano comuni virtuosi, i soldi bloccati dal patto di stabilità”. Pordenone: nel carcere del Castello pochi agenti e detenuti stipati come sardine Messaggero Veneto, 1 aprile 2012 Carenza pressoché cronica di agenti, abbondanza, anch’essa cronica, di detenuti. Ecco la fotografia del carcere di Pordenone, con celle che ospitano fino a sette detenuti e spazi invivibili, in termini di rispetto della dignità umana, al di là dei crimini commessi e delle pene da scontare. Più volte, fino alla fine della scorso anno, l’ex castello di piazza della Motta ha ospitato un’ottantina di detenuti, quando la tolleranza massima prevista dalla legge per questa struttura è di 68 unità. “Siamo arrivati anche a 85 - aveva confermato il direttore del carcere di Pordenone, Alberto Quagliotto, nell’ultima uscita pubblica - quando, come la scorsa settimana ed è stato anche necessario far scattare il piano di sfollamento da parte del Provveditorato regionale, con redistribuzione dei detenuti in altre strutture”. In media, circa il 60 per cento dei detenuti non è italiano ed è alto (circa 40 persone) il numero delle persone ristrette nell’ala speciale (la maggior parte italiani) riservata ai sex offender, coloro cioè che sono accusati di crimini inerenti la sferra sessuale delle persone. Quanto alla polizia penitenziaria, la pianta organica della sede pordenonese prevede 59 agenti in servizio: in realtà le persone su cui può contare il direttore Alberto Quagliotto non arrivano a 50 Roma: l’Assessore regionale Cangemi visita la carrozzeria del carcere di Rebibbia Il Velino, 1 aprile 2012 “D’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria stiamo studiando la possibilità di mettere a punto una convenzione che ci permetta di finanziare il rilancio della carrozzeria di Rebibbia. Ne discuterò con la presidente Polverini, vista anche la sua sensibilità al tema delle carceri e dei diritti dei detenuti”. È il commento dell’assessore ai Rapporti con gli enti locali e politiche per la sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, che a margine della presentazione dell’iniziativa “Salute nelle carceri”, progetto finalizzato alla prevenzione e cura sanitaria per i detenuti del Lazio, ha visitato la carrozzeria della Casa circondariale di Rebibbia, accompagnato dai generali Bruno Pelliccia e Mauro D’Amico del Corpo di polizia penitenziaria, dal Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Maria Claudia Di Paolo e da Roberto Rialti, rappresentante della polizia penitenziaria, membro dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio. “La carrozzeria - ha aggiunto Cangemi - gestita da una cooperativa di detenuti, rappresenta senza ombra di dubbio un valido strumento di riscatto per i detenuti, grazie alla possibilità da parte degli stessi di imparare un mestiere, trascorrere il periodo di pena laboriosamente, ed avere una chance maggiore di reinserimento in società una volta scontato il periodo di reclusione: così da ridurre al minimo il pericolo di recidiva. D’altro canto, il funzionamento a pieno regime della carrozzeria rappresenterebbe un sicuro strumento di utilità sociale, in quanto si riuscirebbero ad ottenere riparazioni a prezzi vantaggiosi, ferme restando le garanzie di eccellenza di mano d’opera prestata. Sono sicuro che riusciremo a trovare un accordo soddisfacente, da realizzarsi nel breve periodo”. Milano: Bollate, dal carcere al palcoscenico Ansa, 1 aprile 2012 La casa di reclusione di Bollate, in provincia di Milano, è una vera e propria eccellenza all’interno del desolante panorama delle carceri italiane. Oltre alla rivista Carte Bollate, al vivaio Cascina Bollate e a numerose altre iniziative per l’educazione e il lavoro, i detenuti hanno un inedito canale per esprimersi: un vero e proprio laboratorio teatrale. La casa di reclusione di Bollate, in provincia di Milano, è una vera e propria eccellenza all’interno del desolante panorama delle carceri italiane. Oltre alla rivista Carte Bollate, al vivaio Cascina Bollate e a numerose altre iniziative per l’educazione e il lavoro, i detenuti hanno un inedito canale per esprimersi: un vero e proprio laboratorio teatrale. A gestirlo è la cooperativa E.S.T.I.A., nata nel 2003 e attiva in diversi campi (dalla falegnameria al service tecnico). A partire dal 2007 l’attività di produzione teatrale in carcere ha ottenuto il sostegno della Fondazione Cariplo e delle istituzioni locali. “Facciamo teatro danza, quindi un lavoro molto corporeo”, racconta il presidente Michelina Capato Sartore. “A partecipare sono due gruppi di circa quindici persone, formati da detenuti ed ex detenuti: ma ci sono anche allievi esterni”. Fra i testi messi in scena Camus, Testori, Panizza. Ma ci sono anche spettacoli di clown come Sogni in bolla, che viene portato nelle scuole, e in primavera si riprenderà Non più - Frammenti di libertà, all’improvviso, già rappresentato lo scorso novembre. Libri: "Gli uomini ombra", di Carmelo Musimeci vince Premio Alberoandronico www.infooggi.it, 1 aprile 2012 “Vorrei che si sapesse che io scrivo, oltre che per passione, per attirare l’attenzione sulle carceri e sulle numerose morti che accadono dentro le loro mura. Vorrei che si sapesse anche che molti scrivono cercando di inventare le trame dei loro romanzi, io invece sono fortunato: a me per scrivere basta ricordare quello che ho vissuto in prima persona o che hanno vissuto i miei compagni”. Sono le parole scritte da Carmelo Musumeci, 57 anni, condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Spoleto, vincitore nella sezione dedicata ai libri editi del Premio di poesia, narrativa e fotografia “Alberoandronico”, giunto alla quinta edizione. La sua lettera, inviata agli organizzatori, è stata letta durante la cerimonia di consegna dei riconoscimenti nella Sala Protomoteca in Campidoglio. “Gli uomini ombra”, questo il titolo del volume, racconta i drammi e le violenze che si consumano dietro le sbarre, ma anche storie di umanità e di solidarietà tra detenuti. Perché anche chi si è reso colpevole di gravissimi reati, e per questo giudicato nella maniera più severa da un Tribunale, può sempre trovare, attraverso la scrittura, una strada per ritornare in contatto con il mondo che vive fuori dal carcere. Tema, quello della condizione dei detenuti, di particolare attualità in questo momento nel nostro Paese. Essere sull’onda del presente è proprio la principale missione dell’Associazione che basa il suo essere e il suo operare esclusivamente sul volontariato. Il Premio istituito cinque anni fa, ha confini ampi e spazia dalla poesia all’opera fotografica, dal testo inedito per una canzone d’autore al racconto dedicato ai temi dello sport. Nell’edizione 2011 i partecipanti sono stati 842, per un totale di circa 1300 opere esaminate. I lavori sono arrivati da tutte le regioni italiane, con in testa il Lazio, la Lombardia e la Toscana. Qualche dato statistico per dare le dimensioni del coinvolgimento e della passione di tante persone: 47% la quota femminile, 22 partecipanti hanno meno di 20 anni e altrettanti hanno invece più di 80 anni. Il più giovane ne ha 10, il meno giovane è nato nel 1915, pochi mesi dopo il volo di Gabriele d’Annunzio su Trieste. Poesie e testi di narrativa sono arrivati anche da Argentina, Albania, Bosnia, Brasile, Cina, Croazia, Egitto, Eritrea, Etiopia, Francia, Germania, India, Romania, Repubblica di San Marino, Somalia, Svezia, Svizzera, Venezuela, Ucraina e Usa. Un bel giro del mondo per la lingua italiana. La Giuria, composta da critici, scrittori, giornalisti, fotografi ed esponenti del mondo della cultura, ha valutato con estrema attenzione tutti i lavori e ha assegnato numerosi riconoscimenti. Oltre a Musumeci, si sono affermati Franco Fiorini di Frosinone (poesia), Cristina De Filippis di Pofi (sillogi), Antonio Bonelli di Casalpusterlengo Lodi (racconti), Antonio Giordano di Palermo (sul tema “la strada, la casa, la città, l’ambiente: vivere e costruire il territorio), Gianluca Marini di Fonte Nuova (testi per una canzone), Fabio Pasian di Trieste (sport), Francesca D’Onofrio di Roma (mare), Salvatore Cangiani di Sorrento (poesia dialettale) e Raffaele Di Santo di Roma (fotografia). “Il sogno di scoprire nuovi grandi poeti o scrittori - ha detto Pino Acquafredda, Presidente dell’Associazione Alberoandronico - un sogno non è, ma una realtà. E’ la consapevolezza di essere diventati un riferimento di qualità e una vetrina per la cultura italiana, specie quella fuori dai circuiti ufficiali. L’Albero” è ormai un punto fermo nel mondo letterario, costituendo anche un’opportunità di affermazione per talenti di ogni età”. L’Associazione, che basa il suo essere e il suo operare esclusivamente sul volontariato, ha ricevuto un importante sostegno, quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha inviato una medaglia di rappresentanza. Una curiosità: il Premio prende il nome da un pioppo che si trova in Via Livio Andronico, nel quartiere romano della Balduina, nel Municipio 19. Sull’onda del successo del 2011, sul sito www.alberoandronico.net è già pronto il bando per l’edizione 2012 aperta alla partecipazione di tutti. Roma: la follia va in scena, quando il teatro promuove la salute dei detenuti Agi, 1 aprile 2012 La follia va in scena, il buio della ragione che genera mostri diventa spettacolo per comunicare l’orrore delle carceri, il disagio dei detenuti, ma anche il loro diritto a esistere e a essere persone. L’iniziativa, promossa dalla presidenza del Consiglio della Regione Lazio, dal Garante dei diritti dei detenuti e dalla Consulta femminile, si è tradotta in uno spettacolo dal titolo “Certe notti non accadono mai” messo in scena dalla compagnia Bolero al Teatro di Roma. “Ci siamo rotolati nella follia - ha detto la regista Patrizia Masi - non ci siamo distratti mai”. E in effetti con lo scopo di “mettere a nudo la verità“ degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari che da marzo 2013 verranno definitivamente chiusi, lo spettacolo scorre in un coloratissimo alternarsi di storie e testimonianze di un gruppo di psicotici in fuga che decidono di entrare a sorpresa in un teatro. Con loro un’intransigente direttrice, due guardie carcerarie, uno psichiatra e una dipendente del teatro. Le loro storie riempiono la scena di dolore ma anche di leggerezza dello spirito, anime nude che gravitano in uno spazio al confine dell’irreale, bisognose di amore e attenzione, che mostrano come la follia sia non solo una condizione umana ma anche creativa e non una semplice malattia. “Un’iniziativa che vuole sensibilizzare i cittadini a collaborare per ripristinare i diritti e la dignità umana dei detenuti”, ha spiegato il presidente della Consulta femminile Donatina Persichetti. Ma, ha fatto notare il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni: “Di fronte alla fragilità umana devono essere le istituzioni a riconoscere i diritti delle persone”. In attesa della chiusura effettiva degli Opg, ha aggiunto Marroni, “bisogna prepararsi e non farsi cogliere impreparati “garantendo la realizzazione di strutture alternative adeguate all’accoglienza socio - sanitaria e terapeutica. “In Italia ci sono circa 1.500 detenuti psicotici di cui circa 300 potrebbero essere rilasciati già in tempi rapidissimi”, ha ricordato in un messaggio il presidente del Consiglio della Regione Lazio, Mario Abbruzzese, che ha anche invitato attori istituzionali e privati a finanziare le nuove iniziative. Sul palcoscenico del Teatro è salito anche Cosimo Rega, l’ergastolano di Rebibbia tra i protagonisti del film “Cesare non deve morire” di Paolo e Vittorio Taviani, vincitore dell’Orso d’Oro alla 62esima edizione del Festival di Berlino che ha letto dei passi di poesie di detenuti dal carcere. Immigrazione: Vendola; il Cie di Brindisi è una vergogna, va chiuso Ansa, 1 aprile 2012 Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, accompagnato dall’assessore regionale alle Politiche per l’immigrazione, Nicola Fratoianni, ha compiuto ieri nel pomeriggio “una visita ispettiva presso il Centro di identificazione e di espulsione di Restinco, nel territorio di Brindisi”. È detto in una nota dell’ente nella quale Vendola afferma di aver provato “un grande sentimento di vergogna visitando un luogo così degradato, così umiliante, cosi insopportabilmente lesivo della dignità della persona umana”. “Il Cie di Restinco - aggiunge il governatore - è una prigione fatta di rettangoli di sporcizia, di ambienti privi di qualunque confort, di muri che sono depositi di muffe, di bagni luridi e spesso privi di acqua calda. Non penso che sia accettabile un luogo di reclusione nel quale non è possibile esercitare neanche i diritti che sono disponibili per i normali detenuti. Io credo che, in ogni caso, il Cie sia in sé una realtà antigiuridica e incivile”. “Quello che ho visto oggi con i miei occhi - conclude Vendola - è un piccolo inferno. Per questo chiedo al governo e al ministro Cancellieri di chiudere, per ragioni di igiene pubblico e di decoro istituzionale, il Cie di Brindisi”. Giappone: il premier vuole mantenere pena capitale, l’85% della popolazione è d’accordo Tm News, 1 aprile 2012 Il premier giapponese si è detto favorevole al mantenimento della pena di morte nel suo Paese fin quando non diminuirà la criminalità. “Non vi è alcuna modifica della nostra politica sulla pena di morte”, ha dichiarato Yoshihiko Noda nel corso di una conferenza stampa all’indomani dell’esecuzione di tre detenuti colpevoli di omicidio. Forte dei sondaggi, che registrano un sostegno dell’85% dei giapponesi alla pena capitale, il premier ha comunque riconosciuto che “esistono punti di vista differenti nella popolazione”. “Abbiamo ritenuto che fosse difficile abolire immediatamente la pena capitale, data l’attuale situazione in cui il numero dei reati violenti non diminuisce e la criminalità si mantiene sugli stessi livelli”, ha argomentato il premier. Medio Oriente: la detenuta palestinese Shalabi mette fine allo sciopero della fame Nova, 1 aprile 2012 La detenuta palestinese Hanaa Shalabi ha deciso di mettere fine allo sciopero della fame che sta ponendo in atto da 43 giorni in cambio di un accordo con gli israeliani che prevede il suo confino a Gaza per tre anni. Lo hanno rivelato fonti palestinesi alla tv satellitare araba “al Jazeera”, aggiungendo che la donna ha accettato l’accordo dopo il peggioramento delle sue condizioni di salute. Commentando la decisione, l’Associazione palestinese per la tutela dei detenuti ha criticato le pressioni esercitate dalle autorità israeliane su Hanaa per costringerla all’esilio definendole “illegali”. Hanaa Shalabi (34 anni) di Jenin in Cisgiordania, era stata arrestata dagli israeliani il 16 febbraio scorso in quanto sospettata di attività contro l’occupazione, ma senza prove a suo carico. Per imprigionarla le autorità israeliane hanno fatto ricorso alla misura dell’arresto amministrativo, in vigore in Palestina dai tempi dall’occupazione britannica e che consente l’arresto di chiunque per un periodo di sei mesi, rinnovabili fino all’infinito. Isaa Qaraqaa, ministro palestinese degli Affari dei detenuti, ha accusato le autorit israeliane di aver sottoposto Hanaa a pressioni e ricatti approfittando del deterioramento delle sue condizioni di salute. Nigeria: Boko Haram attacca carcere, evadono in 14 Aki, 1 aprile 2012 Gli islamici nigeriani di Boko Haram hanno attaccato una sede della polizia nello stato nordorientale di Yobe, facendo evadere da un carcere 14 detenuti. Lo ha rivelato oggi la polizia locale, spiegando che i fatti risalgono a mercoledì. Tra degli uomini armati che hanno eseguito l’attacco sono stati uccisi dagli agenti e un poliziotto è rimasto ferito, ha spiegato Toyin Gbadegesin, portavoce della polizia locale. Gli attacchi di Boko Haram, setta religiosa di matrice fondamentalista islamica, che ha preso di mira il governo del presidente Goodluck Jonathan, sono ormai quotidiani e un tentativo di colloqui di pace è fallito la scorsa settimana. Bahrain: Amnesty chiede rilascio leader opposizione in sciopero della fame Aki, 1 aprile 2012 Amnesty International ha chiesto oggi al Bahrain di rilasciare immediatamente un attivista per i diritti umani arrestato per il suo ruolo nelle manifestazioni anti regime, avvertendo i rischi che corre dopo oltre sette settimane di sciopero della fame. Abdulhadi al-Khawaja, 52 anni, ha perso16 chili da quando ha iniziato lo sciopero della fame 50 giorni fa, l’8 febbraio, come ha denunciato l’osservatorio sui diritti umani citando l’avvocati dell’attivista. Al-Khawaja è stato arrestato ad aprile dello scorso anno mentre guidava una manifestazione di protesta contro la monarchia sunnita. “Il Bahrain deve garantire che Al-Khawaja sia rilasciato immediatamente e senza condizioni”, ha detto Philip Luther, direttore di Amnesty International per il Medioriente e il Nord Africa. “Le autorità del Bahrain hanno detto che avrebbero rilasciato le persone che avevano incarcerato per aver esercitato il loro diritto di espressione e di libertà, ma il prosieguo della carcerazione di Abdulhadi al-Khawaja dimostra che non sono seri nel mantenere le promesse”, aggiunge Amnesty, che considera Khawaja un prigioniero di coscienza. Il gruppo denuncia che l’attivista è stato torturato in carcere e condannato all’ergastolo a giugno tramite un “processo sommario ingiusto”. Stati Uniti: in cella a Guantanamo da 10 anni, senza capi d’accusa né processo Apcom, 1 aprile 2012 Abu Zubaida, definito da Bush “il numero 3 di al Qaeda”, in carcere senza prove dal 2002. La denuncia del suo avvocato. La guerra al terrorismo di Bush, la prigione di Guantanamo. Detenuti catturati e rinchiusi in cella senza diritti. Una delle pagine più nere dell’America dei nostri giorni. Protagonista di questa storia è Abu Zubaida, catturato 10 anni fa, detenuto per quattro anni e mezzo nelle prigioni segrete della Cia e poi trasferito a Guantanamo. A denunciare questa situazione è il suo avvocato, Amanda Jacobsen, in un articolo apparso sul Washington Post. Quello che chiede è molto semplice: la possibilità per il suo cliente di comparire davanti ad un giudice dopo 10 anni di detenzione. “Quando la gente mi chiede se Abu Zubaida sia colpevole, l’unica cosa che posso rispondere è che è il momento di scoprilo - scrive il legale - il governo ha avuto 10 anni per mettere insieme il caso, chi crede che Zubaida sia un terrorista dovrebbe presentare le accuse di fronte ad un tribunale e permettere a lui di difendersi”. Queste le parole della Jacobsen riportate da Corriere.it. Abu Zubaida venne catturato durante i rastrellamenti ordinati da Bush che lo aveva bollato come “il numero tre di al Qaeda, capo delle operazioni a diretto contatto con Osama bin Laden”. Queste ipotesi, valse una carcerazione decennale, si sono poi rivelate infondate. Negli scorsi anni, infatti, fonti dell’intelligence americano hanno ammesso che non si trattava di un membro effettivo di al Qaeda, tanto meno di un suo leader. Quel che è peggio è che Zubaida è stato sottoposto almeno 83 volte alla tortura del water boarding ed ha subito mesi di torture e sofferenze. Che cos’è il water boarding ce lo mostra in questo video il giornalista Christopher Hitchens che si è sottoposto intenzionalmente a questo esperimento.