Giustizia: la compassione e le regole di Michela Marzano La Repubblica, 19 aprile 2012 La sicurezza innanzitutto. E poi le regole da rispettare e gli ordini da seguire. Ma fin dove? Dove comincia e dove finisce la “normalità”? Imbavagliare con nastro da pacchi due cittadini tunisini che vengono rimpatriati non dovrebbe essere qualcosa di “normale”. Anche quando si ritiene “normale” metterli su un aereo per rispedirli nel loro paese. Perché, nonostante tutto, il viso di una persona ha sempre un valore simbolico. È attraverso il viso e la bocca che ognuno di noi esprime la propria soggettività. È attraverso il proprio sguardo che si entra in relazione con gli altri. E la soggettività di un essere umano, anche quando si è commesso un crimine o un delitto, non dovrebbe mai essere negata o cancellata come accade quando. per applicare le procedure ed evitare di creare scompiglio e confusione, si cede alla tentazione di far tacere a tutti i costi, anche con del nastro adesivo. Per garantire il buon funzionamento della società, ciascuno di noi è chiamato a fare il proprio dovere e ad assumersi le responsabilità che gli competono. Non si tratta qui di negare l’importanza delle regole che, da sempre, rendono possibile il “vivere insieme”. Dovere e responsabilità, però, non dovrebbero implicare né un’assenza di compassione, né l’indifferenza. Perché gli esseri umani non sono dei semplici automi, delle macchine che si limitano ad eseguire i programmi con cui sono state concepite. La compassione nei confronti di un’altra persona, però, è possibile solo quando si è capaci di immedesimarsi nell’altro. E, quindi, quando si riconosce l’altro come un essere umano simile a noi. Altrimenti si scivola, anche senza rendersene conto, in una forma di barbarie. Come ci insegna Hannah Arendt nel 1963, il problema del rapporto tra “dovere” e “umanità” è molto complesso. Perché talvolta accade che, proprio nel nome del dovere, ci si dimentica che chi ci sta accanto è anche lui una persona. È allora che si commette il “male”. Paradossalmente nel nome del “bene”. Anche banalmente. Non perché il male, in sé, sia banale. Ma perché può accadere a chiunque di “smettere di pensare” quando si tratta di applicare una regola, e di non sapere più fare la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Umiliare una persona non dovrebbe mai essere giusto, anche in nome della sicurezza e della giustizia. Eppure è proprio di umiliazione che si tratta quando si parla di nastro da pacchi sulla bocca. Questi due tunisini li si doveva, certo, rimpatriare. Si doveva probabilmente immobilizzarli. Ma c’era veramente bisogno di farli tacere imbavagliandoli? Non è solo una questione di “eccessi” o di “misura”. È una questione simbolica. Gli esseri umani sono caratterizzati dal linguaggio e dalla parola, come spiega bene Lacan. Perché privarli allora di ciò che li rende umani? Giustizia: custodia cautelare, la tortura italiana che non ha pari in Europa di Chiara Rizzo Tempi, 19 aprile 2012 Ben 27mila persone su 66mila detenute nelle nostre carceri sono ancora in attesa di giudizio. Un’anomalia che rende unico il nostro paese in tutta Europa. Record negativo anche per le misure alternative alla detenzione. Ecco un po’ di numeri e grafici per capire perché in Italia, soprattutto a partire da Tangentopoli, c’è un abuso della custodia cautelare. Secondo i dati più recenti del ministero della Giustizia, alla fine di marzo le persone detenute nelle carceri italiane sono più di 66 mila. Di queste, 27 mila non hanno ancora ricevuto una condanna definitiva (43,8 per cento del totale) e ben 13.493 sono quelle in attesa del giudizio di primo grado. Dati impressionanti, che mettono in luce l’uso massiccio della custodia cautelare nel nostro sistema penale, come ha confermato anche l’VIII rapporto sulle carceri dell’Osservatorio Antigone, in un raffronto tra ciò che accade in Italia e il resto d’Europa (dati 2009 del progetto Space I, Statiques penales annuelles, creato dal Consiglio d’Europa). Scopriamo così che nel 2009, mentre in Francia le persone detenute in attesa di giudizio sono state il 23,5 per cento del totale, in Germania il 16,2 per cento, in Spagna il 20,8 per cento, nel Regno Unito il 16,7 per cento, in Italia sono stati ben il 50,7 per cento. Sempre dai dati Space I apprendiamo che l’Italia presenta un tasso di sovraffollamento record assoluto in tutta Europa: 148 per cento da noi, secondi solo alla Serbia (157 per cento), mentre in Francia il tasso è stato del 123 per cento, in Spagna del 141 per cento, e nel Regno Unito del 98 per cento (la media europea è del 98 per cento). Eppure, l’Italia è anche uno dei paesi del Vecchio Continente che ha uno dei tassi di criminalità più bassi: 4.500 reati registrati ogni mille abitanti, mentre in Germania sono circa 8 mila, nel Regno Unito 7 mila, in Francia 5.559. Dato significativo è quello sulle misure alternative, dove di nuovo l’Italia è il fanalino di coda per un record negativo. Mentre in Francia 123 mila persone scontavano pene diverse dal carcere, e nelle sole Inghilterra e Galles 197 mila, in Spagna 111 mila e in Francia 123 mila, in Italia erano appena 13.383. L’uso massiccio della custodia cautelare, come si evince dai dati, vede sull’altro piatto della bilancia i numerosi paletti imposti dal codice di procedura penale, secondo cui “nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza” (articolo 273). La giurisprudenza e poi la legge sul giusto processo hanno fatto sì che nel codice fossero inoltre fissati ulteriori paletti per la valutazione, ad esempio che le accuse rese da un coimputato (o da qualcuno a sua volta imputato in un altro procedimento connesso) fossero valutate insieme ad altri riscontri più oggettivi. Per evitare il dilagare delle delazioni è inoltre previsto che non sia utilizzabile come accusa la testimonianza di chi si rifiuta di citare la fonte da cui ha appreso una certa notizia. Il codice di procedura prevede anche che le misure cautelari personali siano disposte quando “sussistono specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini” (cioè che ci sia il concreto pericolo di inquinamento delle prove, che però assolutamente “non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta a indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni, né nella mancata ammissione degli addebiti”); quando ci sia il concreto pericolo di fuga; quando per la personalità dell’indagato, emersa da atti concreti o da precedenti penali, “sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti” (un esempio classico può essere quello di membri della criminalità organizzata, o di assassini che volessero tentare di eliminare eventuali testimoni). Anche la giurisprudenza ha tracciato il solco preciso entro cui il giudice si deve muovere nel confermare ordinanze di custodia cautelare. Tra le sentenze di legittimità più complete, quella emessa dalle Sezioni Unite di Cassazione nel novembre 2002: nella sentenza si ricorda che anche la Corte Costituzionale “ha ribadito con fermezza che le linee direttive della Costituzione in tema di favor libertatis (sempre a favore della libertà dell’imputato, ndr) pretendono che le decisioni dei giudici ai fini dell’adozione di una misura cautelare siano fondate con il massimo di prudenza su una ragionevole e consistente probabilità di colpevolezza e quindi di condanna dell’imputato”. Per le Sezioni unite di Cassazione i gravi indizi di colpevolezza vanno individuati “in quegli elementi a carico, i quali resistendo a interpretazioni alternative”, anche se “non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità del reato all’indagato con la certezza propria del giudizio” processuale, tuttavia “consentono di prevedere che attraverso l’acquisizione di ulteriori elementi” a dibattimento “saranno idonei a dimostrare la responsabilità”. Le garanzie costituzionali della libertà personale impongono al giudice “un’esaustiva e logica motivazione”. Un’altra sentenza delle Sezioni Unite, del 2006, ricorda tra l’altro che tra queste motivazioni il giudice deve “esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati forniti dalla difesa e comunque a favore dell’accusato”. Storicamente è stato in particolare tra il ‘92 e il ‘93 che il ricorso alla misura della custodia cautelare è aumentato drammaticamente, durante la stagione di Tangentopoli. Solo nel primo anno (17 febbraio ‘92-31 marzo ‘93) vennero firmati 1.356 ordini di custodia cautelare, insieme a 1.119 avvisi di garanzia, così come è ricordato nel libro Eutanasia di un potere di Marco Damilano. Giustizia: l’ex ministro Nitto Palma parteciperà alla marcia dei Radicali per l’amnistia Adnkronos, 19 aprile 2012 Il senatore Nitto Francesco Palma, già ministro della Giustizia, aderisce e parteciperà alla “marcia per l’amnistia, la giustizia e la legalità promossa dagli amici del Partito Radicale”. Lo comunica il commissario straordinario del Pdl Campania in una nota. “Come sempre - dichiara Palma - Marco Pannella si batte per un problema vero, che tocca nodi ancora irrisolti del Paese, e che deve trovare una sua soluzione nei limiti consentiti dall’ordinamento e dalle esigenze di sicurezza dei cittadini. Da ex ministro della Giustizia, conosco bene quanta ulteriore sofferenza ricada sul mondo del carcere a causa di un intollerabile sovraffollamento, dovuto a milioni di procedimenti destinati a non sfociare in processo penale e che impediscono l’efficace azione della Magistratura e la repressione di reati anche di particolare gravità”. “Invito altresì - conclude Palma - il presidente della Regione e i presidenti delle Province campane, a valutare l’opportunità di partecipare, con i loro gonfaloni, alla marcia della libertà”. Giustizia: Papa (Pdl); nelle carceri rischio stupri e violenze per promiscuità Tm News, 19 aprile 2012 “La condizione di promiscuità in cui i detenuti sono costretti a vivere, potrebbe favorire il rischio di episodi di violenze e di stupri. Se questo non avviene è solo grazie ai meccanismi di umanità, di autoconservazione e di dignità che si instaurano all’interno del carcere tra la popolazione detenuta, consapevole delle condizioni in cui si trova”. L’allarme è stato lanciato dal deputato Pdl Alfonso Papa, commentando a Klaus Condicio, il salotto tv di Klaus Davi su You Tube, la denuncia lanciata dall’associazione Every One proprio su questo argomento. “Se questi episodi non avvengono non è grazie al Dap - ha precisato Papa nella nota riassuntiva diffusa dall’ufficio stampa della trasmissione - ma grazie ai detenuti e al lavoro terribile che svolgono le guardie carcerarie. Ciò non toglie che il rischio esiste quando esseri umani sono costretti a vivere in quelle condizioni e nell’indifferenza generale dell’amministrazione centrale. Grazie a questo spirito di fai da te italico, si sviluppa un senso di responsabilità del tutto autonomo e autogestito, uno spirito di sopportazione che se non ci fosse il sistema sarebbe già scoppiato da parecchio tempo”. “Questo però non ci esime - ha concluso l’esponente azzurro - dal compiere un’opera di denuncia su quello che accade, perché quello che accade nelle carceri italiane vede responsabili ognuno dei cittadini italiani che stanno fuori”. Emilia Romagna: carcere, oltre gli orizzonti ristretti di Teresa Marzocchi (Assessore alle Politiche sociali) Comunicato stampa, 19 aprile 2012 Su certi temi parlare di quello che si è fatto e che si sta facendo è importante tanto quanto farlo. Del carcere e della condizione dei detenuti, ad esempio, è fondamentale parlare. Per non dimenticare, per condividere battaglie e progetti e per rendere visibile quello che di norma è “invisibile agli occhi”. Ecco perché desidero insistere su questo tema. Sul mondo del carcere il nostro impegno è costante e a 360 gradi, seppure i margini di movimento siano minimi, così come i possibili esiti. Un passo importante è stata la nomina del Garante regionale dei diritti dei detenuti, che fornisce un prezioso affiancamento nell’ascolto, nella presa in carico e nella messa in evidenza di chi vive dentro “orizzonti ristretti”, in cui convivono l’espiazione della pena ma anche, troppo spesso, la solitudine e la sofferenza. A questo va aggiunto il riavvio della Commissione area penale adulti , che ci impegna a lavorare in piena condivisione a livello territoriale e in spirito di collaborazione tra i diversi attori che si occupano di questo settore, attraverso un confronto che integri saperi e risorse, dando allo stesso tempo sostegno agli enti locali in questo momento di grave difficoltà. Incoraggiati dai primi positivi esiti delle progettazioni integrate portata a termine grazie all’attuazione del Protocollo del teatro in carcere, proseguiamo nella ricerca di una sempre più ampia collaborazione. Poi l’attuazione della progettazione di “Cittadini sempre” per la messa in rete del volontariato carcerario. Lo scorso febbraio, il percorso formativo sul carcere e sulla pena, rivolto a giornalisti, avvocati e volontari, ci ha dato modo di alzare il tiro, offrendo l’opportunità di conoscere la realtà del carcere e il significato della pena, i diritti dei carcerati e la giustizia minorile, comunicando l’importanza di usare un linguaggio adeguato alla delicatezza del tema e applicare le regole per la sua corretta comunicazione. Ma il progetto non si ferma qui e proseguirà con la messa in rete di tutte le esperienze del volontariato sul mondo del carcere, con il sito internet che permetterà la ricerca dei dati e la valorizzazione del lavoro con le famiglie. Senza dimenticare il rapporto con le Istituzioni sia locali che nazionali, per sollecitare interventi e nello stesso tempo lavorare in piena integrazione, confidando in ogni possibile esito per la migliore applicazione dei provvedimenti generali e per lo sviluppo delle singole esperienze territoriali. Infine prosegue il continuo confronto sui Centri di identificazione ed espulsione, ingiusti luoghi di detenzione, nonostante l’impegno quotidiano di chi ci lavora. Tutte sfide che ci vedono convinti protagonisti, promotori, e che nello stesso tempo ci costringono continuamente ad interrogarci sul sistema penitenziario italiano e sulla condizione delle persone private della libertà. Sfide che mettono alla prova la volontà del fare, nel constatare l’esiguità degli esiti, ma a cui non ci sottraiamo, convinti che operare sia il miglior modo per non dimenticare. Con questo spirito ci stiamo mettendo al lavoro per aggiornare la relazione annuale sul carcere che nei prossimi mesi porteremo alla condivisione in Commissione in Commissione assembleare e in visibilità per la cittadinanza tutta. Abruzzo: iniziative Giunta regionale per migliorare salute mentale detenuti Agenparl, 19 aprile 2012 La Giunta regionale, su proposta dell’assessore con delega alla Prevenzione collettiva, ha approvato un provvedimento che si prefigge di migliorare la tutela intramuraria della salute mentale delle persone ristrette negli istituti penitenziari della regione. Pertanto, nell’ambito della programmazione delle articolazioni del servizio sanitario nei vari Istituti di pena, è stato stabilito che nell’Istituto penitenziario di Vasto sarà istituito un apposito reparto composto da tre camere detentive destinate ai detenuti comuni della regione, in quello presente a Pescara, all’interno di una sezione saranno destinate cinque camere detentive per detenuti comuni e collaboratori di giustizia della regione, nell’istituto penitenziario di Teramo si adibiranno due camere detentive per maschi “Reparto protetti” e due camere per donne della regione, nell’istituto penitenziario dell’Aquila verranno destinate due camere detentive per detenuti di cui all’art. 41 bis l. 374/75, in quello di Sulmona verranno destinate tre camere detentive per detenuti “Alta sicurezza” e due camere per gli internati” ed infine nell’istituto penitenziario di Lanciano verranno destinate due camere detentive delle quali una per “Alta sicurezza” ed un’altra per la sezione Z relativa ai familiari dei collaboratori di giustizia. Milano: una buona ragione per radere al suolo il carcere di San Vittore di Diego Mazzola Notizie Radicali, 19 aprile 2012 Lunedì 16 aprile ho accompagnato il senatore radicale Marco Perduca in una visita ispettiva nello storico carcere milanese di San Vittore, insieme con i compagni Nicolò Calabro e Andrea Andreoli. Ho conosciuto per la prima volta la realtà di questo istituto circa trent’anni fa e ricordo che allora c’erano tre “ospiti” in celle di circa otto metri quadrati. Oggi ce ne sono sei. Oggi ben più di allora colpisce il dolore di quegli “ospiti”, che neanche capiscono il senso della propria sofferenza e immediatamente si accendono di speranza accogliendo la visita di un parlamentare e dei suoi collaboratori. Guardando i volti dei 1.685 detenuti (su una capienza di soli 550) non posso fare a meno di pensare che non passa molta differenza tra queste carceri e i lager e i gulag dei totalitarismi novecenteschi e che la detenzione è solo un sostituto moderno, ma non meno violento, della pena di morte e della tortura. Provare per credere. Se l’esperienza di scottarsi può indurre una persona alla maggior prudenza nel maneggiare un braciere o il fuoco, vorrei tanto che chiunque potesse vivere l’avventura di una visita a San Vittore (o in qualsiasi altro carcere italiano) per poter finalmente buttare via il cappio del forcaiolo, in politica come nelle relazioni interpersonali. Il carcere insegna che chiunque può diventarne ospite, che ciascuno di noi può essere il ‘mostrò e che, forse, bisogna guardarsi dalla propensione a punire con tanta facilità o con troppo rigore. Bisogna superare l’idea del carcere quale luogo in cui, con la sofferenza e l’annichilimento della personalità del reo, ci si può redimere o si può espiare una condanna. Ma bisogna farlo prima che qualcuno, più potente o prepotente di noi, approfitti della crisi della democrazia in Europa per impiegarlo come metodo o mezzo per un ulteriore controllo sulla società tutta. Per fortuna cominciano ad accorgersene anche i cosiddetti esperti del settore, tra cui l’ex magistrato di “Mani Pulite” Gherardo Colombo. Colombo, in un suo recente volume, ha infatti scritto che “il carcere, per come è congegnato, confligge con la dignità, con l’appartenenza al genere umano di chi vi è sottoposto, perché esclude dalla comunità e dalle relazioni con gli altri” (G. Colombo, “Il perdono responsabile”, Ponte alle Grazie, 2011). Per questo nella conferenza stampa che abbiamo tenuto all’uscita dal carcere, nel deserto dell’informazione di regime, ho voluto dire con chiarezza che dobbiamo lavorare per il superamento del carcere e Marco Perduca non ha potuto non condividere le mie parole. D’altronde l’articolo 27 della nostra Costituzione dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Napoli: Vaccaro (Pd); a Poggioreale condizioni intollerabili Adnkronos, 19 aprile 2012 “È scandalosa e umiliante la situazione nelle carceri nel nostro Paese. Sono intollerabili le condizioni da terzo mondo nelle quali sono costretti a sopravvivere i detenuti, soprattutto nella casa circondariale di Poggioreale a Napoli”. A dichiararlo è Guglielmo Vaccaro, esponente del Partito Democratico. “Con Enzo Amendola, segretario regionale Pd Campania, in diverse occasioni - come durante le festività natalizie - siamo stati presso la struttura carceraria partenopea e a Roma, per denunciare il sovraffollamento e lo stato di invivibilità. Fa piacere che oggi anche il commissario regionale del Pdl ed ex ministro della Giustizia, Nitto Palma, si interessi a questa drammatica vicenda. Meglio tardi che mai”. Brescia: Sinappe; detenuto croato tenta suicidio a Canton Mombello Comunicato stampa, 19 aprile 2012 È accaduto nel tardo pomeriggio di ieri presso il carcere di Canton Mombello. A porre in essere il gesto estremo un giovane detenuto croato, ma la prontezza dei poliziotti penitenziari in servizio ha evitato il peggio. Un tentativo di impiccagione attuato con una corda rudimentale ricavata da brandelli di lenzuola agganciata a tubi che attraversano la stanza detentiva. “Nonostante si lavori in un continuo clima emergenziale, in una struttura fatiscente ed inadeguata, con una carenza di uomini che definirei “patologica” - commenta il segretario Generale del Sinappe Roberto Santini, da sempre la prima organizzazione sindacale nel territorio bresciano - posso affermare con orgoglio che l’indiscussa professionalità dei poliziotti penitenziari affastella giorno dopo giorno gesti eroici di cui quasi nessuno parla”. “è solo grazie alla prontezza e alla competenza della polizia penitenziaria - prosegue Santini - che oggi parliamo di un tentativo di suicidio e non dell’ennesima vittima di questo sistema penitenziario “indecente”. 18 i suicidi in carcere solo in questo primo quadrimestre dell’anno in corso: e di certo la causa di questa mattanza non può non ricercarsi nel sovraffollamento delle carceri che ospitano circa 21.000 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. È ora di dire basta”. Ma a queste aspre parole di condanna per l’intero sistema penitenziario espresse dal Segretario Generale del Sinappe si affianca il plauso per i colleghi poliziotti di cui lo stesso si dice orgoglioso e che definisce come la vera forza trainante di una barca alla deriva. Il Sinappe esprime i più vivi complimenti a tutto il personale di polizia penitenziaria del carcere bresciano. Bologna: Garante Bruno; al Pratello situazione non positiva, regione e comune si attivino Ristretti Orizzonti, 19 aprile 2012 Desi Bruno, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, è appena uscita dalla visita al Pratello, l’istituto penale per minorenni di Bologna, e afferma che la situazione di sovraffollamento della struttura, denunciato anche in una lettera della Fp-Cgil bolognese, permane anche se è diminuita in questi ultimi giorni. Con lei la Garante comunale, Elisabetta Laganà. Dai 29 ragazzi presenti nei giorni scorsi si è passati ai 25 di oggi, un numero comunque maggiore dei 22 regolamentari nell’unico piano aperto della nuova struttura. Bruno ha riferito che quattro minori stanno espiando pene definitive, mentre gli altri sono in misura cautelare e il sovrannumero è stato determinato dall’aggravamento di misure di collocamento in comunità da parte dell’autorità giudiziaria. La direzione dell’istituto, sottolinea la Garante regionale, ha dovuto acquistare quattro brande, due ancora presenti, che raccontano una situazione “non positiva per i ragazzi”, aggravata dal fatto che non si intende aprire il secondo piano dell’istituto penale perché mancherebbe il personale disponibile. Bruno evidenzia poi altre criticità collegate ai lavori di ristrutturazione dell’area cortiliva e della parte esterna che, dopo un decennio dall’inizio dell’opera di riqualificazione dell’intera struttura, non sono ancora terminati “a causa del mancato pagamento dello stato di avanzamento dei lavori”. Sulla vicenda - aggiunge - si aspettano notizie dopo il sollecito da parte di Paolo Attardo, dirigente Csm. I lavori ancora in corso creano quindi problematiche anche di ordine igienico, tanto che l’area occupata dagli uffici del servizio sociale è stata di recente disinfestata per la consistente presenza di insetti. Manca anche la cucina, la cui consegna (prevista per gennaio 2012) consentirebbe alla ditta, vincitrice del bando, di cucinare per i minori: nell’attesa, i pasti sono assicurati da un catering. Servono infine risorse per ripristinare il tetto danneggiato dalla neve. Ma la richiesta considerata da Bruno “più urgente” è che sia “dato un assetto definitivo alla dirigenza dell’Ipm, tanto più necessaria dopo l’inizio di un periodo di rinnovamento a seguito dell’ispezione disposta dal ministro Paola Severino”. La sollecitazione, presente anche nella lettera del sindacato (alla visita ha partecipato anche Maurizio Serra della Fp-Cgil), riguarda “l’interpello fatto per il comandante degli agenti di polizia penitenziaria e per il direttore, che quindi cambieranno, ma è necessario - afferma Bruno - che sia assicurata in tempi rapidi una nuova dirigenza competente e stabile, per proseguire il lavoro in corso”. La richiesta dei due Garanti al ministro di Giustizia è che “si definisca in tempi rapidi la nomina del nuovo comandante e del direttore” e che “si concluda positivamente l’azione intrapresa”: di qui la richiesta di Bruno e Laganà ai massimi rappresentanti di Regione e Comune di attivarsi in tal senso. Asti: 86 detenuti scioperano per sollecitare la nomina del Garante regionale Notizie Radicali, 19 aprile 2012 Salvatore Grizzanti (segretario Associazione radicale Adelaide Aglietta, candidato alle comunali di Asti nella lista Pd) ha ricevuto dal signor Vincenzo De Raco, detenuto nel carcere di Asti, una lettera contenente le firme degli 86 detenuti (sezioni A3 e B3) che sono in digiuno, per due giorni a testa, dal 10 al 20 aprile, per richiedere la nomina del garante regionale delle carceri. Ricordiamo che la nomina del garante è prevista dalla legge regionale n. 29 del 2 dicembre 2009, mai attuata. Grizzanti ha dichiarato: “Nelle due visite ispettive compiute dal senatore Marco Perduca nel carcere di Asti a gennaio e a marzo avevamo avuto modo di illustrare ai detenuti le motivazioni dell’iniziativa dell’Associazione Aglietta, per il rispetto della legalità ma anche per dotare la regione Piemonte di uno strumento di vera e propria riduzione del danno all’interno delle tredici carceri piemontesi. Come già hanno fatto in precedenza rispetto al loro digiuno a sostegno di un ricorso contro il sovraffollamento carcerario, i detenuti di Asti si sono organizzati, hanno raccolto le adesioni, hanno organizzato i turni di digiuno e li hanno comunicati alla Direzione del carcere. E questo è tanto più significativo perché avviene in un carcere dove sono avvenuti veri e propri episodi di tortura nei confronti dei detenuti, come ha scritto nero su bianco il giudice Riccardo Crucioli nella sentenza di primo grado del Tribunale di Asti del 30 gennaio 2012. Alla violenza decine di detenuti rispondono né con la violenza né con la rassegnazione ma con la lotta nonviolenta. Invito altri detenuti in altre carceri piemontesi ad associarsi al digiuno a sostegno della nomina del garante regionale delle carceri. Ma c’è da fare anche e soprattutto per chi è fuori dalle sbarre: si può aderire all’Appello per la nomina del garante regionale, lanciato da Emma Bonino; si può partecipare alla Marcia per l’amnistia, la giustizia e la libertà, che si terrà mercoledì 25 aprile, giorno della Liberazione, a Roma”. Pordenone: addio fondi se la struttura sorgerà a San Vito di Stefano Polzot Messaggero Veneto, 19 aprile 2012 Il commissario per gli istituti di pena: i soldi ci sono, gara possibile in ottobre, ma solo se la struttura si realizzerà nel capoluogo. Se la Regione persegue l’ipotesi di realizzare il carcere a San Vito al Tagliamento, mette a rischio i finanziamenti statali, che ci sono. Dopo la determinazione della giunta Tondo, che ha aperto al project financing nella caserma Dall’Armi, ipotesi prospettata dall’impresa Polese, il “siluro” giunge non da una parte politica, ma dal neo commissario alle carceri, Angelo Sinesio, che ieri mattina, dalle 12.30 alle 13.40, è stato ascoltato in commissione Giustizia della Camera. Il piano. Sinesio ha sottolineato che rispetto ai fondi inizialmente stanziati per il piano carceri, ovvero 675 milioni di euro, il governo Monti, a gennaio, ha tagliato 220 milioni. In pochissimo tempo il commissario ha riprogrammato il piano che, con limature e accorpamenti delle strutture, fa salire i nuovi posti da 9 mila 300 a 11 mila 573. Le priorità. La prima è quella degli ampliamenti di padiglioni nelle strutture più importanti e che sono a rischio collassamento. Quindi i nuovi penitenziari che garantiranno mille 800 posti (450 ciascuno) distribuiti in 4 strutture: Torino, Catania, Camerino e Pordenone. Il finanziamento complessivo è di 122,2 milioni di euro. Comina. Su richiesta del deputato del Pdl, Manlio Contento, Sinesio ha specificato che per Pordenone “il progetto preliminare è pressoché ultimato e si prevede entro ottobre di bandire la gara”. La svolta. Il problema, però, ora giunge proprio dal Friuli. Il commissario ha specificato che la giunta Tondo ha trasmesso una determinazione del presidente volta a modificare il sito per la realizzazione dell’istituto in project financing. “Ho il dovere di informare - ha detto Sinesio - che questa scelta è a forte rischio di perdita dei fondi” che a quel punto potrebbero essere trasferiti ad altri istituti. Finanza di progetto. Il commissario ha anche escluso l’utilizzo di fondi del piano carceri per la compartecipazione dei privati. Le disposizioni contenute nell’ultima Finanziaria, infatti, stabiliscono che i soldi non possono essere indirizzati a tale scopo. Semmai si potrebbero utilizzare quelli connessi alle emergenze, una possibilità allo stato esclusa. I soldi. Lo stanziamento statale si basa sulle intese con la Regione: in sostanza i fondi nazionali coprono solo una parte dell’investimento, mentre 20 milioni li deve mettere Trieste. Il commento. “È evidente - dichiara Contento - che la strada è indirizzata in base alle intese pregresse e il prossimo anno il nuovo carcere in Comina potrebbe essere cantierato. Ora spetta alla Regione consentire la costruzione del nuovo carcere e, parallelamente, ottenere il castello di piazza della Motta che sarà ceduto alla città”. Lucera (Fg): il carcere visto dai tecnici, raccontato dai detenuti Riccardo Zingaro www.luceraweb.eu, 19 aprile 2012 Non capita tutti i giorni di vedere seduti intorno a un tavolo esponenti dell’avvocatura, della magistratura e dell’amministrazione penitenziaria, tanto più se lo fanno dall’interno del problema, ovvero le case circondariali italiane e le loro condizioni di vivibilità. Quella di Lucera lunedì scorso ha ospitato una delegazione di “tecnici”, su diretta iniziativa della locale Camera Penale che ha coinvolto (così come sta accadendo in tante altre realtà della nazione) quasi tutti i protagonisti di una questione che assume sempre più interesse e importanza, tanto più in Puglia che risulta la regione con il maggiore tasso di sovraffollamento. La visita non è stata di pura facciata, come spesso se ne vedono dietro le sbarre specie da parte dei politici chiamati invece a prendere decisioni definitive e risolutive, non fosse altro perché c’è stata la possibilità di incontrare direttamente una rappresentanza dei 240 detenuti attualmente ospitati in una struttura che in realtà ne potrebbe contenere solo 156. Possibilità di svolgere attività sociali e ricreative, avere opportunità di crescita personale e dell’autostima già da dentro le celle, riconoscimento di misure alternative soprattutto verso fine pena. Queste le richieste arrivate direttamente agli interlocutori: il giudice per le indagini preliminari Filomena Mari, anche presidente della sottosezione di Lucera dell’Associazione Nazionale Magistrati, il presidente delle sezione penale del tribunale di Lucera Giancarlo Pecoriello, il sostituto procuratore della Repubblica Pasquale De Luca, il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lucera Giuseppe Agnusdei, e il presidente della Camera penale di Lucera Raffaele Lepore, affiancato dal segretario del sodalizio Antonio Santacroce e dal tesoriere Nicola Delle Vergini. “L’opportunità di preparare un nostro nuovo inserimento per una successiva utilità - ha chiesto uno dei detenuti con spiccato accento salentino - è forse il migliore risarcimento che si può fare alla società in cui dobbiamo tornare”. La voce da dietro le sbarre è così rimbalzata direttamente sugli esponenti dell’Amministrazione della giustizia che forse si aspettavano problematiche più spicciole e legate alla vivibilità quotidiana, signorilmente tralasciate nonostante l’edificio abbia delle oggettive carenze e limitatezze strutturali in termini di superfici e di volumi, a cui si aggiungono i disagi sopportati dai parenti in visita, costretti a rimanere fuori dalla porta in attesa del proprio turno di ingresso. “Noi operiamo al massimo delle nostre possibilità e riusciamo comunque a sopperire al meglio a sofferenze e problemi di ogni tipo che una cittadella come questa presenta ogni giorno”, ha affermato Davide Di Florio, direttore della casa circondariale affiancato dal comandante della polizia penitenziaria Daniela Occhionero. “Si va dalla gestione degli stranieri alle traduzioni dei detenuti, dalla necessità di un adeguato trattamento alle questioni strettamente sanitarie. Il carcere va vissuto per poterlo capire, ma noi possiamo vantarci di un vistoso calo di atti lesionistici verso se stessi e gli altri, anche grazie alle attività che riusciamo a svolgere”. Dal canto suo il Comune qualche piccolo segnale l’ha mandato, visto che già da due anni il Consiglio comunale ha deliberato l’istituzione della figura del garante delle persone private della libertà, con l’incarico affidato a Luigi Delle Vergini. “È una conquista di civiltà per il nostro territorio - ha aggiunto Di Florio - perché non sono molto i comuni italiani ad aver avuto questa sensibilità”. “Noi giudici siamo chiamati a erogare le pene ma sempre con l’attenzione all’umanità di ogni singola situazione - ha affermato il gip Filomena Mari - sebbene la legge vada applicata a prescindere dalle modalità con cui poi viene espletata. Fortunatamente quella di Lucera è una struttura che ha un’ottima gestione interna anche grazie al personale che vi lavora (gli operatori sono stati definiti “eroi oscuri” dal pm Pasquale De Luca, ndr), anche nel settore sanitario”. “Per affrontare problemi seri come questi - ha detto invece l’avvocato Raffaele Lepore - è necessaria la sinergia che stiamo mettendo in atto con tutti i soggetti preposti, sia con la magistratura che con gli operatori penitenziari. Per fare un buon lavoro è opportuno partire dalle piccole cose che possano in qualche modo migliorare le condizioni dei detenuti”. In realtà poi finisce che un altro detenuto ivoriano, con italiano incerto ma sicuramente esplicito, ha raccontato che a Lucera sta benissimo, specie se rapportato alle sue esperienze di carcerato sia in patria che in Libia. “Questa non è neanche una galera per me - ha detto nella piccola aula scolastica che ha ospitato il breve incontro - perché qui le condizioni sono migliori rispetto ai posti dove sono già stato”. Alghero: incontro tra studenti e detenuti, per conoscere più da vicino i loro mondi Quotidiano di Alghero, 19 aprile 2012 Lezione di legalità in carcere mercoledì mattina, con una ventina di detenuti della Casa circondariale di Alghero. È un paradosso? Forse, ma anche la vita spesso lo è. Così, l’iniziativa degli educatori della struttura algherese e degli insegnanti dell’Ipia (Professionali e Industriali) e dell’Ipsar (Alberghiero), di superare “la linea d’ombra oltre le sbarre” - com’è intitolato il progetto - è stato raggiunto più che con qualsiasi “illuminata” conferenza o lezione di diritto. Le risposte agli studenti delle scuole superiori cittadine sono arrivate direttamente dai carcerati, “colleghi” perché frequentano i corsi di cucina e ricevimento dell’istituto Alberghiero. “Ho perso molto tempo nella vita, aria e cella, allora ho deciso di studiare” dice Antonio che la libertà l’ha persa fin da giovanissimo. Nessun accenno di vittimismo nelle loro testimonianze, la consapevolezza di aver sbagliato è una spinta - almeno per tanti - a capire che fuori ci potrà essere un’altra occasione. Tanto vale provarci e crederci con una preparazione professionale. La struttura carceraria di Alghero - diretta da ottobre dalla dottoressa Milanesi - è conosciuta nell’ambiente per essere indirizzata al reinserimento attraverso attività ricreative, lavorative e professionali. Oltre le scuole medie e superiori, ci sono dieci universitari, laboratori teatrali e di canto - è in uscita un cd di Tenores - e perfino un corso di arbitri. Attualmente la occupano 185 detenuti - “più del consentito ma sotto la soglia tollerabile” - di cui la metà sono stranieri. La maggior parte è dentro con pene definitive, molti reati comuni, ma anche numerose condanne lunghe e una decina di ergastoli. Gli spazi a cielo aperto sono più generosi rispetto ad altre strutture isolane, e in un attrezzato campetto di calcetto si organizzano partite quasi all’ordine del giorno. “Una passeggiata? Nemmeno a pensarci” risponde un detenuto ad uno studente che chiede se si aspettavano che il carcere fosse così. “Non è un passaggio e non è mica quello che fa vedere Fabrizio Corona. Poi ognuno lo vive nel suo modo, a seconda di quella che è la sua vita, e nel modo che ritiene utile”. Una strada è quella di imparare, così, tra i professori, le nozioni e i compiti a casa (si fa per dire) “ci si sente di nuovo persone”. Pavia: “La voce del Gallo”, i detenuti scrivono un giornale La Provincia Pavese, 19 aprile 2012 Tutto è cominciato leggendo libri, commentandoli, condividendo parole e pensieri che, nonostante l’orizzonte stretto dalle mura del carcere, portavano lontano. Con un gruppo di dieci detenuti: una versione di “leggevamo quattro libri al bar” dell’associazione l’Arte di Vivere con lentezza trasportata a Torre del gallo un anno fa. Poi è nato il giornale, periodico perché non si sa bene quando e come riuscirà ad uscire, pieno delle voci di Torre del Gallo: ci sono le ricette perché, spiega Bruno Contigiani, che con Ella Ceppi è l’anima del progetto, i detenuti spesso cucinano in cella, e prestano molta attenzione al cibo. Si scopre così che il tiramisù è tra i dolci più amati anche tra le mura di via Vigentina. C’è una rubrica sul linguaggio del carcere, lo slang che si parla dietro le sbarre: e si impara che “montare le biciclette” non è per forza il mestiere del ciclista, ma significa anche “raccontare storie”. Ci sono i pensieri in libertà, le poesie e il Sudoku nel primo numero del giornale, c’è la storia dell’Haiku, la poesia giapponese, c’è una piccolissima rassegna stampa. “Sia negli incontri di lettura che sul giornale vediamo che la poesia è molto amata - spiega Bruno Contigiani. È un modo che utilizzano per comunicare, anche con l’esterno. Per esprimere pensieri, identità”. Il giornale i chiama “Numero zero. La voce del gallo”, per il momento. Il primo numero è stato scritto a mano, ricopiato, poi stampato dalla tipografia della Casa del Giovane e distribuito ai detenuti. Ora è arrivato un computer, donato al carcere da una volontaria dell’Arte di vivere con lentezza, e il lavoro si fa più professionale. Nel secondo numero, in preparazione in questi giorni, potrebbe anche cambiar nome: a deciderlo saranno Bruno, Floriano, Michele, Antonio e Boris aiutati dall’educatrice Daniela Bagarotti, i componenti della redazione. Che ora si è allargata, coinvolgendo, in separata sede, anche un detenuto protetto e uno dell’ala di alta sicurezza. Roma: mozione a sostegno biblioteca Ponte Nona, unico polo creato e gestito da ex detenuti Dire, 19 aprile 2012 Il Consiglio regionale del Lazio, presieduto da Mario Abbruzzese, ha approvato all’unanimità la mozione 121 a sostegno all’attività della biblioteca del Casale Ponte di Nona, l’unica in Europa ad essere stata creata e gestita, fuori dalle carceri, da un gruppo di detenuti ed ex detenuti. Una meritoria attività portata avanti, a partire dal 2004, dall’associazione culturale Papillon-Rebibbia, anche grazie a finanziamenti regionali. Lo rende noto la Regione Lazio. Finanziamenti “la cui erogazione rischia di non tenere il passo con le esigenze economiche legate alle quotidiane iniziative della biblioteca, che svolge una rilevante funzione socioculturale e persino ludica per il quartiere Nuova Ponte di Nona e per tutti quelli limitrofi”, avendo inserito a sue spese, a ridosso della propria sede, “un piccolo parco giochi e delle piscine esterne, di cui i cittadini usufruiscono gratuitamente”. “Tutta l’attività svolta dalla Papillon a Nuova Ponte di Nona, è finalizzata a prestare un vero e proprio servizio culturale, sociale e ludico ai cittadini di ogni età che abitano in questo grande quadrante della periferia romana - ha spiegato il primo firmatario della mozione, Ivano Peduzzi - Tuttavia, negli ultimi cinque anni, essa non ha mai goduto di nessun sostegno economico da parte della Regione Lazio”. “Considerato il pur lodevole impegno dell’attuale assessore alla Cultura, che si sostanzia nell’idea di partecipazione ad un futuro bando regionale - ha argomentato Peduzzi - anche nella favorevole ipotesi di affermazione di un progetto presentato in quella occasione dalla Papillon, i primi benefici economici non potrebbe vedersi prima della prossima estate, ossia troppo tardi per evitare una brusca interruzione delle attività per mancanza di fondi”. Per questo motivo, il Consiglio regionale ha impegnato il presidente della giunta e l’assessore al Bilancio “ad intervenire urgentemente per evitare la morte, per disinteresse istituzionale, della biblioteca del Casale Ponte di Nona”. La mozione, sottoscritta inizialmente dai consiglieri di opposizione Berardo, Celli, Maruccio, Nobile, Peduzzi, Rodano, Rossodivita, è stata sostenuta in Aula anche da rappresentanti della maggioranza, ricevendo un sostegno unanime. Alla discussione ha partecipato, per la giunta, l’assessore Cangemi. Fds: bene sostegno a biblioteca Ponte di Nona “Il Consiglio regionale approva una nostra mozione che impegna la Giunta a supportare l’attività della Biblioteca del Casale Ponte di Nona, creata e gestita da un gruppo di detenuti ed ex detenuti, riconoscendone la funzione culturale e sociale”. È quanto dichiarano, in una nota congiunta, i consiglieri della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi e Fabio Nobile, primi firmatari della mozione 121, approvata oggi all’unanimità. “La Biblioteca, nata da una splendida idea dell’Associazione culturale Papillon-Rebibbia Onlus, costituisce un ponte tra le persone che pagano o stanno pagando il proprio debito con la giustizia e le realtà sociali esterne al carcere. Un’esperienza - continuano - di altissima qualità culturale e sociale, in cui si intrecciano i valori costituzionali del reinserimento sociale e della diffusione quotidiana di ogni forma culturale, anche nelle periferie urbane. Non possiamo che dirci soddisfatti - proseguono i consiglieri - per il voto unanime arrivato dall’aula della Pisana che impegna la Giunta e l’assessore Cetica ad intervenire urgentemente per non far morire un’esperienza unica in Europa. Esprimiamo anche apprezzamento per le parole dell’Assessore Cangemi che ha palesato la volontà di incontrare l’associazione Papillon-Rebibbia al fine di valutare un sostegno concreto alla loro meritevole attività”. Roma: “Arte on the wall”, la cultura come forma di rieducazione penitenziaria di Veronica Altimari Corriere della Sera, 19 aprile 2012 Il progetto, durato due anni, ha ottenuto in marzo 2012 un riconoscimento dalla Provincia. Il curatore: “Ai detenuti è stato regalato un presente e una ragione di vita” Arte e cultura come rieducazione penitenziaria, ma anche come formazione. Gli obbiettivi della direzione della Casa circondariale di Rebibbia, nuovo complesso, ha le idee chiare. “La detenzione deve essere un momento di costruzione - dice Carmelo Cantone, direttore di Rebibbia nuovo complesso - altrimenti è solo parcheggio e questo non va bene”. Dal penitenziario negli ultimi anni, sono stati molti gli eventi e le attività che ne hanno fatto un “sistema modello”. Dal teatro alla pittura, arrivando anche alla distribuzione di testi universitari per i detenuti. Questo certamente non risolve la questione centrale - e più che mai attuale - della condizione di vita dei detenuti, tra sovraffollamento e situazioni critiche, ma sicuramente aiuta e fornisce stimoli nuovi. In questi giorni nelle sale si può vedere il lavoro dei fratelli Taviani con “Cesare deve morire”, girato interamente tra le mura dell’alta sicurezza di Rebibbia, mentre tra maggio e giugno, il “Giulio Cesare” di Shakespeare sarà protagonista nel teatro del penitenziario dove gli attori saranno i detenuti stessi. Un progetto di arte pubblica permanete che si è svolto, in due fasi, tra il 2010 e il 2011. Il riconoscimento da parte della Provincia di Roma - vincitore del bando “Iniziative creative” - arriva solo nel marzo 2012, ma a conferma che progetti come questo sono importanti e da premiare. Come racconta Simone Pallota, curatore artistico dell’associazione Walls, “oltre a sostituire le pareti grigie dell’alta sicurezza di Rebibbia, questo progetto ha regalato ai detenuti un presente, una ragione di vita che sposta i limiti che le persone talvolta di prefiggono nell’effettuare un’attività apparentemente sconosciuta”. I disegni sono davvero notevoli e regnano proprio in quegli spazi dove i carcerati passano le proprie ore d’aria: il campo di pallavolo, quello di calcetto e il passaggio centrale. Grazie alla collaborazione di Matteo Milaneschi - prima fase del progetto - e di Agostino Iacurci - seconda - artisti provenienti dalle “scuderie” di Walls, i detenuti hanno potuto partecipare come parte attiva e decisionale. “Questo è stato importante - prosegue Cantone - perché si sono sentiti parte attiva di un qualcosa che loro stessi avevano deciso di far entrare nel loro quotidiano, i murales”. L’associazione Walls, attraverso l’arte pubblica dei murales, da tempo opera anche nel sociale. Dopo questa collaborazione avvenuta con “La rondine”, associazione dei detenuti all’interno del penitenziario, la voglia è di andare avanti: “Ci simo chiesti più volte quale sia stato il senso ed il risultato di questa esperienza - racconta Pallotta - quello di cui ci siamo trovati a parlare con Cosimo Rega de “La Rondine”, è che sarebbe davvero bello poter costruire una cooperativa di ex detenuti da impiegare nelle nostre opere più grandi, affiancando l’artista”. Un idea innovativa, quanto difficile da far partire, ma che costituirebbe a tutti gli effetti un risultato concreto che dalle mura di Rebibbia continua anche fuori. Il segreto dell’arte murale contemporanea, probabilmente. Viterbo: spettacolo teatrale dei detenuti a Mammagialla, in sala autorità e scolaresche Viterbo News, 19 aprile 2012 Venerdì 20 aprile alle ore 14,45 presso la Sala Teatro della Casa Circondariale di Viterbo, si terrà lo spettacolo che conclude il laboratorio teatrale di una rappresentanza di detenuti, dal titolo “Ciò che si pensa, ciò che si prova”, frutto di una importante sinergia fra la Direzione del Carcere, il Gavac (Gruppo Assistenti Volontari Animatori Carcerari) Onlus, e le Associazioni Teatro degli Incerti e Vera Stasi, già da qualche anno impegnati all’interno del Carcere nell’ambito di laboratori teatrali con detenuti appartenenti a vari settori. I temi affrontati sono la verità e il giudizio, su cui i detenuti-attori si sono messi in discussione in prima persona non soltanto nell’imparare ed interpretare il copione, ma anche nel collaborare alla sua stesura. Oltre alle Autorità, al Garante dei detenuti e alle Associazioni di Volontariato, saranno presenti in sala alcune scolaresche, i familiari dei detenuti-attori e una parte dei reclusi, mentre la gran parte degli stessi avrà la possibilità di assistere allo spettacolo giovedì 19. Il laboratorio, come tutte le attività che si svolgono all’interno degli Istituti Penitenziari, è stato portato avanti anche grazie all’impegno profuso dalle varie professionalità che lavorano in sinergia all’interno del Carcere, con particolare evidenza per la Polizia Penitenziaria che, pur in grave carenza di organico, ha adempiuto puntualmente ai propri compiti, consentendo lo svolgimento dell’attività con grande professionalità e garbo, ampiamente riconosciuto anche dagli operatori delle Associazioni coinvolte nello spettacolo. Un bellissimo esempio a dimostrazione di quanto l’Istituzione Carcere sia parte integrante della società, nel suo ambizioso progetto di risocializzazione di coloro che, per vari motivi, hanno deviato da essa. Imperia: malore in carcere, Bellavista Caltagirone ricoverato in ospedale e poi dimesso Agi, 19 aprile 2012 L’ingegnere Francesco Bellavista Caltagirone, 73 anni, detenuto presso le carceri di Imperia, dal 5 marzo scorso, quando venne arrestato per truffa ai danni dello Stato, nell’ambito dell’inchiesta sulla costruzione del porto è stato condotto, la scorsa notte, in ospedale per un malore. Secondo quanto si apprende, intorno alle 4.30, un’automedica del 118 e un’ambulanza si sono recati presso il penitenziario e il costruttore è stato subito condotto al pronto soccorso. Massimo riserbo sui motivi del ricovero. Caltagirone dimesso da ospedale È stato dimesso intorno alle 10 dopo una visita al pronto soccorso, Francesco Bellavista Caltagirone, 73 anni, detenuto presso il carcere di Imperia dal 5 marzo scorso, quando venne arrestato per truffa ai danni dello Stato, nell’ambito dell’inchiesta sul porto turistico. La scorsa notte un’automedica del 118 e un’ambulanza si erano recati presso il penitenziario per accompagnarlo in ospedale. Secondo quanto si apprende, dopo una lunga visita, i medici hanno valutato che non c’era bisogno di ricoverarlo, quindi è stato dimesso per fare rientro in carcere. Cinema: in “Hunger” il dramma di Bobby Sands mentre muore per fame in carcere Ansa, 19 aprile 2012 Un film duro e di forte impatto che dopo quattro anni ha trovato una distribuzione anche in Italia. Michael Fassbender è protagonista di un altro ruolo importante in Hunger, brillante esordio alla regia di Steve McQueen, nelle sale italiane il 27 aprile con la Bim, dopo essere stato presentato a Cannes nel 2008 dove ha vinto la Caméra d’Or e aver conquistato altri riconoscimenti internazionali. In Shame l’attore tedesco naturalizzato irlandese, interpretava un uomo ossessionato dal sesso, qui è impressionante e potente, così come il film, nel ruolo di Bobby Sands, militante dell’Ira che guidò lo sciopero della fame dei detenuti fino alla morte nel 1981. McQueen descrive nei minimi dettagli ciò che avvenne nel carcere di Long Kesh nell’Irlanda del Nord. Fa vedere la dura protesta messa in atto dai detenuti repubblicani per riconquistare lo status di prigionieri politici, le violenze estreme usate per sedare le rivolte, con inquadrature ferme, volti provati, ed estremo realismo. Protagonista di tutto è il corpo, in primis quello di Fassbender-Sands che il primo marzo del 1981 iniziò lo sciopero della fame a oltranza. Nel film si vede il suo lento deteriorarsi fino alla morte, il dimagrimento estremo, la sofferenza fisica ma non spirituale per la fermezza nel portare avanti la sua battaglia. Sands fu il primo di dieci detenuti che persero la vita nella protesta e morì dopo 66 giorni di digiuno. “È l’atto estremo della disperazione: il corpo è l’ultima risorsa di cui si dispone per protestare”, ha dichiarato McQueen, “alla fine ci ritroviamo da soli con un uomo che trascorre i suoi ultimi giorni nel modo più estremo che esista, ma che è a un passo dalla scelta di arrendersi e vivere”. E Fassbender, che sarà al cinema anche in Prometheus di Ridley Scott, si prepara a tornare sul set per un terzo film con il regista che ha definito “un genio”. Immigrazione: a casa (e state zitti)… le scandalose immagini di un rimpatrio all’italiana di Alessio Gervasi Il Fatto Quotidiano, 19 aprile 2012 Guardate cosa è accaduto oggi sul volo Roma-Tunisi delle 9-20 Alitalia: due cittadini tunisini respinti dall’Italia e trattati in modo disumano. Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca ai due e fascette in plastica per bloccare i polsi”. Su quel volo Alitalia delle 9-20, martedì, c’era anche il regista Francesco Sperandeo. Che vedendo due uomini imbavagliati con lo scotch da imballaggio e le fascette di plastica ai polsi, non è riuscito a stare zitto. Ha chiesto alla polizia cosa stesse succedendo. Ma, come racconta lo stesso Sperandeo sul suo profilo Facebook: “Mi è stato intimato in modo arrogante di tornare al mio posto perché si trattava di una normale operazione di polizia... Normale? Sono riuscito comunque a rubare una foto. Fate girare e denunciate.” E la denuncia è partita e non si è fermata al mondo della rete ma è approdata fra le aule del Parlamento. La presidente del Pd Rosy Bindi: “Ci aspettiamo che i ministri Cancellieri, Severino e Riccardi prendano tutte le misure necessarie per evitare che si ripetano episodi del genere e per garantire il rispetto dei diritti umani e la dignità della persona. L’Italia è stata più volte sanzionata per la gestione dell’immigrazione da parte dei governi di centrodestra, non vorremmo si ripetessero i comportamenti del passato”. Il presidente della Camera Gianfranco Fini: “Massima urgenza sulla vicenda dei cittadini tunisini rimpatriati in aereo da Roma “. LiIdv Stefano Pedica, vice presidente della Commissione Affari Europei al Senato: “È indecente ciò che è avvenuto 2 giorni fa sul volo Roma-Tunisi: due rimpatriati legati e imbavagliati col nastro adesivo in un volo di linea. Il Governo e i ministri degli Interni e degli Esteri vengano nelle aule parlamentari a spiegare perché queste procedure vengono considerate di routie”. Già. La routine. È questo il punto. Una routine poco edificante non soltanto per le forze dell’ordine ma per tutti quelli che si trovavano a bordo dell’aereo e al contrario del regista Sperandeo hanno voltato la testa dall’altra parte. “Questa è la civiltà e la democrazia europea - attacca il regista - ma la cosa più grave è stata che tutto è accaduto nella totale indifferenza dei passeggeri. Forse è questo ciò che ferisce di più”. Sul suo profilo Facebook oltre al coro di “basta”, “vergogna”, “che schifo” anche alcuni allarmanti messaggi: “Anche io ho fatto un viaggio Roma Tunisi qualche anno fa e il detenuto rimpatriato sputava contro i passeggeri per sfregio. Forse è loro consuetudine farlo e hanno trovato il sistema per evitarlo”. Oppure: “Quando uno viene ammanettato vuol dire che volontariamente su quell’aereo per la sua espulsione non ci voleva proprio salire, se poi urla, fa schiamazzi, offende è opportuno tappargli anche la bocca. bisogna dire le cose come stanno e non tagliare il pezzo a proprio favore, storcendo l’informazione (dire che è disumano). Hanno fatto bene”. Il capo della polizia Antonio Manganelli chiede una “dettagliata relazione” alla Polizia di Frontiera di Fiumicino e una prima ricostruzione del dipartimento di Pubblica Sicurezza c’è già: dice che i due immigrati, probabilmente algerini, provenivano da Tunisi ed erano diretti in Turchia ma una volta giunti a Roma, la mattina del 15 aprile, si sono rifiutati di proseguire il viaggio e il giorno dopo hanno di nuovo rifiutato l’imbarco opponendosi in tutti i modi, mordendosi l’interno della bocca e sputando sangue. Per questo, dicono dal dipartimento, gli hanno applicato una mascherina sanitaria, poi fissata con lo scotch perché i due continuavano a tentare di sfilarsela. Una misura presa per garantire la sicurezza: una volta ristabilita la calma il nastro sarebbe stato tolto. Di certo, fanno sapere dalla Corte di Cassazione, nessuna norma autorizza un trattamento del genere: “È incostituzionale”. Immigrazione: Asgi; in Italia gravi violazioni dei diritti umani Dire, 19 aprile 2012 L’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) “denuncia con forza le gravi carenze sul piano della tutela dei diritti fondamentali nel sistema di trattenimento, espulsione e rimpatrio dei cittadini stranieri in Italia. Negli ultimi giorni sono accaduti due episodi gravissimi: la morte, nel Commissariato di Villa Opicina (Trieste), di una cittadina moldava, in circostanze non ancora chiarite e trapelate a 2 giorni dai fatti. E oggi la pubblicazione della fotografia scattata da un passeggero sul volo Roma-Tunisi che ritrae un giovane tunisino forzatamente rimpatriato e al quale le forze di polizia hanno chiuso la bocca con del nastro adesivo”. Due episodi che, secondo l’Asgi, “dovrebbero indurre il Governo Italiano a modificare urgentemente l’attuale legislazione, la cui principale caratteristica è di essere di per sé priva di umanità e solidarietà e applicata porta alla costante violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Oggi è possibile trattenere per un anno e mezzo nelle carceri amministrative - strutture non soggette alle garanzie previste dall’ordinamento penitenziario e penale- delle persone solo perché prive di permesso di soggiorno. Oggi, anche a chi ha le condizioni (di lavoro, ad esempio, o di famiglia) e non è consentito di ottenere in Italia il permesso di soggiorno. Una legislazione irragionevole, che non si preoccupa dell’umanità ma solo di controllare ed espellere. Una legislazione disumana e degradante”. Asgi chiede che “venga fatta piena luce sulle circostanze connesse alla tragica morte della giovane cittadina ucraina” e che “vengano individuati e perseguiti i responsabili del trattamento inumano e degradante inferto al giovane tunisino”. Chiede poi al governo “di ripristinare quei principi di umanità e solidarietà che hanno informato i padri costituenti”. Francia: Consiglio d’Europa denuncia violenze da parte della polizia durante interrogatori Asca, 19 aprile 2012 “In Francia i funzionari di polizia usano metodi violenti nelle indagini e soprattutto durante gli interrogatori”. L’accusa emerge dall’ultimo rapporto del Cpt (il Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle pene disumane o degradanti), corredato dalle giustificazioni del governo e reso noto oggi. Il Consiglio d’Europa, di cui il Cpt è un’emanazione, sollecita “le autorità francesi a rafforzare le garanzie giuridiche degli indagati e controllare che il comportamento degli inquirenti sia più consono al rispetto dei diritti fondamentali e alla dignità del cittadino, anche se delinque”. Il rapporto raccomanda “un miglioramento delle condizioni di detenzione sia nelle celle di sicurezza dei commissariati, sia nei centri di accoglienza”. Il governo replica di “avere già preso le misure suggerite dal Cpt per ridurre i rischi di violenza da parte della polizia”. In effetti, nel rapporto si rileva che, “grazie a riforme legislative effettuate dal parlamento dopo l’ultimo controllo del Cpt quattro anni prima, c’è stata un certo miglioramento nel trattamento degli ospiti delle gendarmerie e delle carceri, soprattutto degli ospedali psichiatrici. Ma permangono le perplessità del Cpt”. “Nei centri di detenzione - tranne che a Le Havre e Poissy, dove si sono riscontrati comportamenti violenti da parte del personale penitenziario - non sono emerse lamentele da parte dei detenuti. Anche se qualche preoccupazione sorge per quanto riguarda il sovraffollamento (le autorità assicurano che sono allo studio altre forme di detenzione alternativa), il trasferimento dei detenuti e le cure negli ospedali vicini. Salvo rari casi - come il gruppo ospedaliero di Val de Lys Artois - generalmente negli ospedali psichiatrici i pazienti si sono dichiarati soddisfatti del trattamento”. Il Cpt raccomanda “l’istituzione di maggiori conforti nelle strutture di isolamento e in quelle destinate a ospitare detenuti di lungo periodo”. Libia: Amnesty, un’altra morte sotto tortura a Misurata, il Cnt indaghi Asca, 19 aprile 2012 “Indagare immediatamente sulla morte sotto tortura, in un carcere di Misurata, di un uomo appartenente all’etnia tawargha, la popolazione libica nera che sta subendo gravi violazioni dei diritti umani”. È la sollecitazione rivolta al Consiglio nazionale di transizione della Libia da Amnesty International. “Il corpo di Barnous Bous’a, 44 anni, padre di due figli - spiega Amnesty in una nota -, è stato restituito alla famiglia il 16 aprile pieno di ematomi e ferite da taglio, tra cui una ancora aperta sulla nuca. Durante il conflitto, era fuggito dalla sua città, Kararim, riparandosi a Sirte. Quando anche questa città era stata coinvolta nei combattimenti, si era rifugiato a Misurata. Qui, a ottobre, mentre cercava di tornare a Sirte, era stato arrestato dalle milizie locali ed era stato trasferito in una struttura detentiva gestita dal Comitato per la sicurezza di Misurata. Le ricerche di Amnesty International hanno messo in luce come dal settembre 2011 più di una decina di persone siano morte mentre si trovavano in centri di detenzione diretti dalle milizie armate”. La tortura nei confronti di presunti sostenitori e soldati di Gheddafi e soprattutto dei neri libici dell’etnia tawargha, si legge ancora, “è assai diffusa in Libia. L’intera popolazione della città di Tawargha, 30.000 persone, è stata colpita dalle azioni di rappresaglia delle milizie armate, che accusano i tawargha di aver sostenuto il deposto regime e di aver commesso crimini durante l’assedio e il bombardamento di Misurata da parte delle forze di Gheddafi. Nell’agosto 2011, le milizie di Misurata hanno espulso tutti gli abitanti di Tawargha, saccheggiando e incendiando le loro case. Da allora, le milizie continuano a dare la caccia ai tawargha in tutta la Libia, cercandoli nei campi per gli sfollati, ai posti di blocco e persino negli ospedali. Quelli che vengono trovati finiscono nei centri di detenzione di Misurata, dove vengono regolarmente torturati, in alcuni casi fino alla morte. Nuovi arresti di tawargha sarebbero avvenuti anche questa settimana”. “La morte brutale di Barnous Bous’a evidenzia il continuo pericolo in cui si trovano i detenuti nella nuova Libià - ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. Quante altre persone moriranno di tortura prima che le autorità si rendano conto della gravità della situazione e rispettino gli impegni di indagare, punire e far cessare questi crimini? Lunedì 16 aprile le autorità locali di Misurata hanno negato l’esistenza di casi di tortura e di altre violazioni dei diritti umani, aggiungendo che “al momento la riconciliazione tra le due città è impossibile” e che “si dovranno cercare altre soluzioni alternative per i tawargha. Le autorità di Misurata stanno chiudendo un occhio sulle crescenti prove di violazioni dei diritti umani commesse dalle milizie locali, dicendo che si tratta di “errori individuali”. È fondamentale, invece, che il Consiglio nazionale di transizione assuma il controllo delle milizie, indaghi su tutte le violazioni e punisca i responsabili, nel rispetto del diritto internazionale. Solo allora, la Libia inizierà a girare pagina lasciandosi alle spalle decenni di sistematiche violazioni dei diritti umani. Medio Oriente: secondo giorno di sciopero della fame dei detenuti palestinesi in Israele Nova, 19 aprile 2012 Secondo giorno di sciopero della fame dei detenuti palestinesi in Israele. I prigionieri palestinesi nel carcere israeliano di Nafhaa, che stanno osservando da 48 ore uno sciopero della fame ad oltranza, ora minacciano di intraprendere uno sciopero della sete in risposta alla decisione “arbitraria” della direzione del penitenziario di confiscare gli elettrodomestici in loro possesso. Scarcerato ieri il detenuto palestinese Khedr Adnan, noto per aver effettuato uno sciopero della fame lungo ben 66 giorni, per protesta contro la sua detenzione illegale da parte di Israele. Ieri, al ritorno nel suo villaggio in Cisgiordania, gli stata tributata un’accoglienza solenne. Medio Oriente: campagna “Benvenuti in Palestina”, 31 francesi ancora detenuti in Israele Tm News, 19 aprile 2012 Trentuno militanti francesi pro-palestinesi che avevano partecipato alla campagna “Benvenuti in Palestina” lo scorso fine settimana, oggi erano ancora in stato di fermo in Israele. Lo ha reso noto il portavoce dei servizi di immigrazione israeliani. “Nove attivisti pro-palestinesi sono stati espulsi ieri e attualmente restato 31 francesi detenuti”, ha precisato la portavoce Sabine Hadad. In totale a 79 militanti è stato impedito l’accesso in territorio israeliano. Su circa 1.500 partecipanti attesi, fra cui da 500 a 600 francesi, meno di un centinaio è riuscito ad arrivare a Tel Aviv; la grande maggioranza è stata bloccata all’imbarco su richiesta delle autorità israeliane. Questa iniziativa, dal 15 al 22 aprile, lanciata per il terzo anno consecutivo, consiste nel tentare di far arrivare in Cisgiordania dei simpatizzanti del mondo intero via Tel Aviv, per denunciare il controllo da parte di Israele dell’accesso ai Territori palestinesi. Cina: ondata di arresti tra sostenitori Bo Xilai, presi decine di imprenditori e funzionari di Beniamino Natale Ansa, 19 aprile 2012 Decine di persone, almeno 39 secondo alcune fonti, sono state arrestate insieme all’ ex-segretario del Partito Comunista Cinese di Chongqing, Bo Xilai, e si troverebbero sotto sorveglianza a Beidahe, una località marittima a 300 chilometri da Pechino. Le rivelazioni vengono da fonti di Chongqing e in particolare da Wang Kang, che si definisce uno “studioso indipendente” e che è uno dei pochi cinesi disposti a parlare della vicenda di Bo Xilai con i giornalisti stranieri. Bo Xilai è stato destituito da tutte le sue cariche il 10 aprile. Sua moglie, Gu Kailai, è stata arrestata per l’assassinio dell’uomo d’affari britannico Neil Heywood, morto in novembre a Chongqing in circostanze oscure. La crisi, ritenuta la più grave dal 1989, l’anno del massacro di studenti su piazza Tiananmen, è esplosa a sopresa in febbraio quando Wang Lijun, capo della polizia di Chongqing e fino ad allora alleato di Bo Xilai, si è rifugiato nel Consolato americano della vicina Chengdu. Wang Lijun è rimasto nella sede diplomatica americana per oltre 24 ore, prima di uscirne e consegnarsi ad un gruppo di funzionari venuti da Pechino. Da allora è detenuto in una località segreta e rischia di essere incriminato per tradimento, un reato che può essere punito con la pena capitale. Secondo le parziali ricostruzioni emerse in questo periodo, Wang Lijun avrebbe raccontato di aver scoperto il ruolo di Gu Kailai nell’ assassinio di Heywood e di averlo confidato a Bo Xilai, che avrebbe cercato di metterlo a tacere per coprire il crimine della moglie. Secondo Wang Kang tra i detenuti ci sarebbero Xu Ming, un ricco imprenditore alleato di Bo Xilai, e Xia Deling, un leader di medio livello del Partito Comunista di Chongqing che avrebbe fornito ai sicari il cianuro con il quale Heywood sarebbe stato avvelenato. Wang ritiene “improbabile” che Xia abbia giocato questo ruolo. “Era stato promosso grazie a Bo Xilai - ha sostenuto - ma non credo che abbia personalmente procurato il cianurò. La maggior parte degli arrestati, secondo le fonti, non sarebbero di Chongqing, la ma di Dalian, la città sulla costa nordorientale della Cina della quale Bo ha ricoperto cariche di primo piano - prima sindaco, poi segretario del locale Partito Comunista - per otto anni. Il Comitato centrale comunista si è impegnato pubblicamente, nei giorni scorsi, ad “indagare fino in fondo” sulle drammatiche vicende che si sono svolte a Chongqing. Il Cc ha definito la defezione di Wang Lijun e le rivelazioni che sono seguite “un grave caso criminale che coinvolge i parenti e i collaboratori di un leader del Partito e dello Stato”. Bo Xilai non è stato finora accusato di alcun reato ma è sotto inchiesta per “gravi violazioni della disciplina di Partito”. Russia: restano in carcere le femministe punk Pussy Riot Asca, 19 aprile 2012 Un tribunale di Mosca ha esteso fino a giugno il periodo di carcerazione preventiva per due componenti della band punk femminista Pussy Riot, arrestate dopo una performance all’interno della Cattedrale di Cristo il Salvatore giudicata blasfema e oltraggiosa. Un tempo pressoché sconosciute, le Pussy Riot sono diventate il nuovo simbolo del movimento di protesta contro Vladimir Putin, che a maggio tornerà al Cremlino per il suo terzo mandato da presidente. Le ragazze (una terza attende un verdetto per la tarda serata) rischiano una condanna fino a sette anni di prigione. “Era una performance contro le commistioni fra Stato e Chiesa”, ha detto una di loro, Nadezhda Tolokonnikova, parlando dall’interno della gabbia di metallo in cui è comparsa oggi davanti alla Corte. “Dietro le sbarre mi sento più libera di coloro che mi ci hanno messo”, ha detto l’altra, Maria Alyokhina. Decine di fan del gruppo si sono riuniti fuori dal tribunale e si sono confrontati con la polizia e con alcuni sostenitori della Chiesa ortodossa. Un reporter dell’Afp ha visto gli agenti arrestare almeno 15 persone che lanciavano fumogeni e cantavano slogan in favore della band.