Giustizia: è l’ipocrisia politica la vera emergenza… le carceri ne sono lo specchio di Valeria Centorame Notizie Radicali, 12 aprile 2012 Parlare di ipocrisia politica è ricordare come in questo nostro paese si legiferi troppo spesso sulla spinta dell’onda emotiva, sulla scorta dell’emergenza e del consenso pubblico. Non esistono piani programmatici di intervento, sull’ambiente, sul welfare sull’economia e purtroppo sulla giustizia. Non si può programmare e guardare al futuro, ma sempre e solo affrontare (male e con sperpero di denaro pubblico) l’emergenza! La politica radicale, lungimirante come al solito precorre i tempi ed accade che ciò che oggi si verifica nel nostro Paese a tanti livelli, crisi del debito pubblico, truffa del sistema elettorale, finanziamenti illeciti, crisi europea e disastro idrogeologico, sovraffollamento carcerario siano stati già da anni al centro del dibattito politico radicale e si siano fornite da molto tempo risposte e progetti per una vera e propria politica di programmazione. Ma si sa... la politica italiana intrisa di partitocrazia ama invece l’Emergenza! Infinite emergenze tutte italiane che vengono “cavalcate” con tavole da surf da provetti atleti della politica, affamati di consenso elettorale, notorietà e visibilità: emergenza bullismo, emergenza prostituzione, emergenza criminalità, emergenza droga, emergenza alcol, emergenza incidenti stradali, emergenza morti sul lavoro, emergenza siccità d’estate ed emergenza alluvioni d’inverno, emergenza neve, emergenza immigrati, emergenza sicurezza e chi più ne ha più ne metta, e per ogni emergenza, naturalmente, si propone una adeguata “cura”: come la creazione di qualche nuova fattispecie di reato oppure, si inaspriscono le norme già esistenti. Insomma, invece dell’acqua sembra che sul fuoco si preferisca spargere benzina, tanto poi si trova sempre, o almeno si promette, il giusto rimedio per ogni male. Ed il “rimedio” ovvero l’ ipocrisia politica trovata per lo stato di Emergenza dichiarato, delle nostre carceri era stato individuato dal passato Governo con la nomina di un commissario straordinario e di un procedimento legislativo articolato, avviato dalla “Disposizione in materia di infrastrutture carcerarie” contenuta dal Decreto Legge 30 dicembre 2008 n. 207 (convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 2009 n. 14). Il famigerato Piano Carceri Il rimedio di questo Governo tecnico? il proseguimento ed ampliamento del famoso (tristemente per la sua inefficacia) svuota-carceri, falso anche nel nome, e rinominato addirittura “salva-carceri”... che tristezza! Si pretende di far credere alla gente che si voglia spengere l’incendio con qualche goccia d’acqua. Quanta ipocrisia... mentre si continua a morire di carcere, tra una assurda trovata e l’altra. Siamo fuorilegge per capienza regolamentare? Ed allora eccola la nuova “ipocrisia politica”, la capienza regolamentare si trasforma in capienza “tollerabile” o “di necessità”. Sono queste le intollerabili ipocrisie, che giocano con la vita di esseri umani per una percentuale in più di voti... e questo protratto negli anni ha contribuito a creare il disastro totale della nostra (in)Giustizia. Sulla scorta dell’onda emotiva è stata varata la legge Cirielli ad esempio, la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, oppure il cosiddetto pacchetto sicurezza per il quale vengono raddoppiati i termini di fase della custodia cautelare se si è indagati per alcuni tipi di reato… e se si è innocenti… pazienza! Come sosteneva Calamandrei “La Giustizia non è merce in vendita” ed invece oggi si baratta anche la libertà e la privazione per un pugno di voti, la politica ipocrita ed il consenso elettorale come l’onda emotiva (spesso creata ad arte) hanno ormai un ruolo preminente in quelle che dovrebbero essere scelte legislative improntate al reale contrasto alla delinquenza ed alla “sicurezza” dei propri cittadini, con il triste risultato di vedere le nostre immonde carceri lager popolate dagli ultimi, da persone non pericolose socialmente e da molti troppi innocenti ai quali non vengono garantiti i più elementari ed inviolabili diritti umani. Il risultato matematico della assurda legiferazione sulla scorta dell’onda emotiva è quello che ad esempio per un furto spesso per fame o sopravvivenza si scontino anni di galera senza alcuna misura alternativa...mentre di contro ogni giorno si consumano 500 prescrizioni per chi può pagare bravi avvocati. Il triste risultato è l’arma di distrazione di massa, quello che ci fa vedere in Tv le immagini di Schettino e del suo “permesso premio” per il pranzo pasquale, ma non ci vengono fatte vedere le immagini di chi in carcere non riesce ad avere un permesso neanche per partecipare ad un funerale di un proprio figlio non ci vengono trasmesse le immagini di chi legato a letto e sotto crisi epilettiche e con pannolone contenitivo viene ancora considerato “pericoloso socialmente” e lasciato morire così, non ci vengono fatte vedere le immagini delle migliaia di famiglie italiane alle prese con una giustizia che non funziona e con una Stato che non tutela. Come allo stesso modo non si da notizia delle autorevoli voci del panorama italiano da Rita Levi Montalcini a Margherita Hack che hanno aderito alla nostra seconda marcia per l’Amnistia la Giustizia e la Libertà del 25 aprile. L’Amnistia, come apripista ad una vera riforma della Giustizia, alla depenalizzazione di reati legati alla droga ed all’immigrazione ad esempio, la stessa Amnistia che non seguì come avrebbe invece dovuto l’indulto del 2009 per “ipocrisia politica “ è l’unica “acqua” in grado di spengere un incendio “doloso” criminale ed in flagranza di reato in atto! L’unica proposta messa in campo, di fronte alla quale, chi la osteggia (per ipocrisia politica) non ha saputo ad oggi presentare proposte alternative della stessa dirompenza e dagli stessi effetti. Dalla politica e dal nostro stesso Presidente della Repubblica abbiamo ascoltato parole di indignazione per lo stato pietoso delle nostre carceri, allora che si agisca! subito! Perché come sostiene Henry de Montherlant “La falsa indignazione è la più ripugnante forma d’ipocrisia”. Giustizia: legalità violata in carcere di Pietro Marcenaro (presidente della Commissione Diritti umani del Senato) Agenparl, 12 aprile 2012 Se si guarda alla legislazione sulla tossicodipendenza, sugli immigrati e sulla recidiva, si capisce che ci sono tre o quattro leggi che se fossero modificate potrebbero contribuire fortemente a cambiare la situazione nelle carceri italiane. Il “Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti” dice che viviamo in condizione di violazione della legalità. La violazione dei diritti umani non è solo una violazione di principi etici, è una violazione di vere e proprie leggi. I diritti umani sono garantiti da leggi interne e da convenzioni internazionali che hanno forza e valore di legge. Il sovraffollamento è la conseguenza di una visione della pena che ha dimenticato la priorità di recuperare le persone, e di offrire loro una nuova possibilità. La parola pena è oramai identificata con la parola carcere. Quando si parla di certezza della pena in realtà si intende certezza del carcere, come se fosse la stessa cosa. E in questi anni c’è stata una legislazione che ha accentuato tutto questo. Il rapporto verrà presentato al Senato il prossimo 17 aprile alla presenza del guardasigilli Paola Severino e costituisce una base analitica e conoscitiva da cui partire per prendere decisioni efficaci e che può permettere un lavoro un pò più avanzato di quello realizzato in passato. Un primo intervento riguarda l’introduzione del reato di tortura. I senatori della Commissione diritti umani del Senato hanno deciso di unificare i progetti di legge che avevano già presentato per l’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano. Ci sono state molte resistenze, in particolare dopo i fatti di Genova. Oggi è ora che su questo si faccia un passo in avanti. Un reato che non vuole colpire le forze dell’ordine, ma che serve a evitare che la tortura avvenga e per difendere l’onore di chi nelle forze dell’ordine fa il proprio lavoro con serietà e che non deve essere coinvolto. Giustizia: Tamburino (Dap); serve un “patto di responsabilità” con i detenuti Ansa, 12 aprile 2012 “Un patto di responsabilità tra i detenuti e l’amministrazione, che da un lato assicuri ai detenuti dei vantaggi e che dall’altro comporti un’assunzione di responsabilità rispetto all’osservanza delle regole, utile ad abituare il detenuto al ritorno alla società”. È questa la ricetta del capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, per la gestione delle carceri italiane. Occorre un sistema “diverso da come è adesso”, ha affermato Tamburino, che non si basi tanto “sul controllo che in qualche modo blocchi il detenuto, ma che dia ragionevole fiducia, sempre nella massima prudenza, che occorre a tutela delle condizioni di sicurezza”. A tal proposito, intervenendo alla Scuola di perfezionamento per le forze di polizia a Roma, Tamburino ha portato ad esempio i sistemi adottati in Spagna e Germania: “possono essere una linea, percorsi per realizzare una sicurezza dinamica”. E nel costruirli, ha concluso, “possiamo anche commettere errori, anche perché l’errore misurato aiuta ed è necessario per fare passi avanti”. Polizia penitenziaria anche per misure alternative “La Polizia penitenziaria potrebbe assumere un ruolo di custodia e vigilanza anche per i condannati che scontano la loro pena con misure alternative al carcere”. Così il capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, in merito al ruolo della Polizia penitenziaria rispetto alle nuove misure alternative al carcere proposte dal Governo. Anche in questi casi, ha sottolineato Tamburino, “ci sono esigenze di controllo e vigilanza e bisogna valutare se questo compito potrebbe essere svolto dalla Polizia penitenziaria o dalle forze di polizia sul territorio. Bisogna valutare se tutto ciò che riguarda l’esecuzione della pena potrebbe essere affidato alla Polizia penitenziaria. Ciò richiederebbe una ristrutturazione”. Secondo il capo del Dap questa impostazione “potrebbe avere una logica”, ma bisogna evitare di fare “scelte confuse”. Il 41 bis ha dato buoni risultati contro la mafia Il regime di detenzione secondo il 41 bis “ha dato buona prova”, rivelandosi “un sistema di prevenzione rispetto al rischio di reati mafiosi. Da quando c’è, dagli anni 90, ha dato un risultato buono”. Lo ha detto il capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, intervenendo alla Scuola di perfezionamento per le forze di polizia, oggi a Roma. “Non possiamo dire che la mafia è stata sconfitta - ha aggiunto - ma un certo tipo di mafie sono state tagliate anche per merito del 41 bis”. Tamburino ha quindi portato l’esempio di altri reati come “il sequestro di persona e il terrorismo, che hanno trovato sul piano carcerario un forte sostegno alla sconfitta”. Moretti (Ugl): bene Tamburino su ruolo Polizia penitenziaria “Accogliamo con soddisfazione le indicazioni fornite dal capo del Dap in merito ad un diverso ruolo della Polizia Penitenziaria nell’esecuzione penale. Da oltre tre anni, infatti, l’Ugl chiede di modificare il sistema penitenziario, dando nuova collocazione operativa al Corpo”. Così in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commenta le dichiarazioni del capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino, in merito al compito di custodia e vigilanza che potrebbe avere la Polizia Penitenziaria rispetto alle nuove misure alternative al carcere proposte dal Governo. “La Polizia Penitenziaria - spiega il sindacalista - oggi svolge compiti che potrebbero essere superati dall’attuazione di un diverso sistema di gestione della detenzione, ma anche da un incremento della tecnologia nei sistemi di controllo, consentendo agli agenti di occuparsi delle misure alternative alla reclusione e, più in generale, del controllo di tutta l’esecuzione penale, sia essa interna che esterna”. “Siamo consapevoli che il recupero del reo non può più essere soddisfatto da una carcerazione che ne prevede la permanenza in cella per oltre 20 ore al giorno - continua Moretti - ma una maggiore mobilità dei detenuti nelle sezioni può portare ad un aumento delle risse o di situazioni critiche. Perciò, crediamo che la modifica del sistema di gestione dei detenuti debba presupporre interventi atti anche a diminuire il carico di responsabilità che ricade, in base all’attuale normativa, sugli agenti di Polizia Penitenziaria”. “I modelli come quello spagnolo o tedesco - conclude il sindacalista - possono essere una soluzione, fermo restando la necessità di ridurre i carichi di lavoro estremi che ora ricadono sul personale”. Giustizia: Garanti detenuti da Napolitano, per chiedere migliori condizioni di detenzione Ansa, 12 aprile 2012 I Garanti dei detenuti incontreranno il 27 aprile prossimo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per parlargli dei problemi delle carceri italiane. Lo ha reso noto il senatore Salvo Fleres, coordinatore dei Garanti e Garante dei detenuti della Sicilia, intervenendo alla presentazione del Rapporto su carceri e Cie della Commissione diritti umani del Senato, di cui fa parte come capogruppo del Pdl. “Al capo dello Stato - ha detto Fleres - diremo che l’amministrazione della Giustizia deve decidere se spendere per migliorare le condizioni degli istituti penitenziari o se deve accadere che, come già fatto a Catania a marzo, i detenuti chiedano il risarcimento legato al sovraffollamento. O si torna alla legalità o lo Stato pagherà i risarcimenti”. Giustizia: certezza della pena e futuro oltre le sbarre di Simona Carandente www.ilmediano.it, 12 aprile 2012 Contro le carceri che scoppiano sarebbe opportuno prevedere una gamma ampia di misure alternative alla detenzione. O perlomeno, la concreta attuazione degli istituti già previsti sulla carta. Non è facile spiegare alle “persone comuni” i meccanismi, spesso complessi e contorti, della detenzione; spesso non si può che rimanere senza parole di fronte a chi, madre o parente di una persona ristretta in carcere, ci chiede insistentemente il perché la giustizia funzioni solo per alcuni, mentre “assassini e pedofili” si trovano in libertà (a loro dire); non è neanche agevole, dal punto di vista etico, il far comprendere ad una persona offesa dal reato che la condanna, laddove dovesse essere pronunciata, non comporterebbe comunque l’automatico riconoscimento di un diritto al risarcimento, né l’ottenimento dello stesso in via immediata. Paradossi della giustizia per alcuni, falle del sistema per altri: due facce della stessa medaglia, che trovano il minimo comune denominatore nel problema della certezza della pena, nonché nell’aspetto rieducativo connesso a quest’ultima, anche alla luce dell’adempimento delle obbligazioni civili nascenti da reato. Per chi sbaglia la prima volta, commettendo naturalmente reati minori, è difficile che si spalanchino le porte del carcere, come forse è giusto che sia: l’istituto della sospensione condizionale della pena, ad esempio, fa salve le condanne a pena detentiva fino a due anni, a condizione chiaramente che non vengano commessi altri reati nel quinquennio successivo. Cosa succede per chi è ammesso a goderne? Sostanzialmente nulla, posto che alla prima condanna può accompagnarsi, come spesso accade, la non menzione nella condanna nel casellario giudiziale. Sarebbe opportuno che il legislatore prevedesse, in tutti i casi di riconoscimento del beneficio, la prestazione obbligatoria di lavoro di pubblica utilità, ancorché non retribuito, in attività legate al campo del sociale e magari legate al commesso reato, ovvero prevedere che quest’ultimo sia vincolato all’adempimento degli aspetti civili, quali ad esempio al pagamento della somma stabilita a titolo di provvisionale o al versamento dell’assegno di mantenimento. Chi ha commesso un reato, per la prima volta nella sua vita ma anche da recidivo, deve essere messo in condizione di capire la gravità del suo gesto, ma anche costituire una forza lavoro per la società civile: non un fardello del quale sbarazzarsi, ma un soggetto in carne ed ossa che deve essere rieducato, pagare per quello che ha commesso ma anche indotto a riflettere, oltre che ad adoperarsi continuamente per il bene comune, oltre che proprio. Anche se con peculiarità diverse, il problema della pena e del reinserimento sociale si pone anche per i condannati definitivi: contro le carceri che scoppiano, difatti, sarebbe opportuno prevedere una gamma ulteriormente vasta di misure alternative alla detenzione, che non prescindano dall’attività lavorativa e dal costante monitoraggio dei servizi sociali. Ancora una volta, come spesso accade nel nostro Paese, il vero problema non è l’esistenza di tali istituti sulla carta, ma la loro concreta attuazione: basti pensare alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 Ordinamento Penitenziario), sorta per offrire al detenuto una possibilità di inserimento attraverso gli stessi servizi sociali, che allo stato non trova applicazione se non è il recluso stesso, con difficoltà facilmente immaginabili, a fornire al magistrato la disponibilità all’assunzione da parte del datore di lavoro. Come a dire, il cane che si morde la coda. Giustizia: Sidipe; i dirigenti penitenziari garanti della legalità nell’esecuzione penale Comunicato stampa, 12 aprile 2012 Il giorno di Pasqua la nuova Segreteria Nazionale del Si.Di.Pe. era presente a Roma, davanti alla Casa Circondariale di Regina Coeli, al sit-in promosso dal Partito Radicale per annunciare la II marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà, che si terrà il 25 aprile prossimo. Il Segretario Nazionale Rosario Tortorella, il Vicario Francesco D’Anselmo, con il Segretario uscente Enrico Sbriglia, hanno così partecipato alla marcia in fila indiana fino a piazza San Pietro. Il Si.Di.Pe.. sindacato che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari, ha voluto così tornare ad esprimere la posizione dei direttori di istituto penitenziario e dell’esecuzione penale esterna, a favore di un sistema penitenziario che sia coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena, rispetto alla grave situazione di disagio che esiste negli istituti penitenziari della Repubblica. Per questa ragione il Si.Di.Pe. parteciperà anche alla II marcia per l’Amnistia, la giustizia e la libertà, che si terrà il 25 aprile, e che secondo l’intento degli organizzatori è un omaggio a Giovanni Paolo II che nella Pasqua del 1979 accolse con parole forti d’amore i marciatori contro lo sterminio per fame nel mondo che raggiunsero a migliaia, da Porta Pia, Piazza San Pietro. L’obiettivo è quello di sostenere una legalità reale perché sia interrotta la flagrante violazione di diritti umani universalmente acquisiti, a causa della drammatica situazione delle carceri e del malfunzionamento della giustizia soffocata da dieci milioni di procedimenti penali e civili inevasi. I dirigenti penitenziari, infatti, sono i primi garanti dei principi di legalità nell’esecuzione penale e ritengono il rispetto dei diritti della persona una condizione essenziale senza la quale non esiste giustizia degna di uno Stato di diritto. Il Si.Di.Pe. aderisce all’iniziativa radicale perché i dirigenti penitenziari vivono quotidianamente e con sofferenza l’impossibilità di garantire quei diritti che l’ordinamento penitenziario proclama, nonostante siano anch’essi privati dei loro diritti e, primo tra tutti, il loro diritto ad avere il loro primo contratto di categoria, pur previsto dalla legge. Attraverso la sua partecipazione all’iniziativa il Si.Di.Pe. intende, pertanto, promuovere una cultura sociale e penitenziaria, del carcere e sul carcere, che veda i dirigenti penitenziari protagonisti, per una reale affermazione di quei principi di legalità e di giustizia spesso solo affermati in vuote formule di stile da coloro che del carcere vogliono occuparsi, per gli interessi più vari, indossando i guanti della retorica, ma che non vivono, non conoscono, né comprendono il mondo penitenziario, le difficoltà ed i disagi degli operatori penitenziari e le spesso più che disperate condizioni di vita delle persone detenute. Il Segretario Nazionale Giustizia: Radicali; riaprire indagine su morte Aldo Bianzino, interrogazione al ministro Adnkronos, 12 aprile 2012 “Sul mensile Terra in edicola da domani emergono nuovi sconcertanti particolari in merito alla vicenda di Aldo Bianzino, morto nel carcere Capanne di Perugia nel 2007 pochi giorno dopo il suo arresto. Nel 2009 il gip archiviò le indagini stabilendo che la morte del detenuto avvenne a causa di un aneurisma cerebrale. Adesso però si apprende che quanto riscontrato in quella circostanza dai medici legali non era un vero e proprio aneurisma, ma “dei vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l’ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea della vena”. Lo dichiara in una nota Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Partito Democratico, componente della commissione Giustizia della Camera dei Deputati. “A questo proposito il giornale mostra per la prima volta le due fotografie inedite del cervello di Bianzino - prosegue Bernardini - indicando che quella cerchiata in rosso presente nel fascicolo processuale non appartiene al detenuto e riproduce in realtà materiale d’archivio. A questo punto ritengo necessaria la riapertura delle indagini per accertare l’evoluzione delle circostanze che hanno portato al decesso del detenuto, anche per sgomberare al più presto ogni nube e per evitare l’atroce sensazione di trovarsi davanti ad un nuovo caso di denegata giustizia”. “Nel frattempo - aggiunge - in attesa di capire dalla magistratura cosa sia successo quella notte nel carcere di Capanne, ho deciso di depositare una interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia sollecitandolo ad eseguire le verifiche del caso, atteso che l’intera vicenda processuale che ha portato il gip ad archiviare le indagini presenta dei lati non ancora chiariti, che necessitano di un approfondimento e, soprattutto, di chiarezza. Quella chiarezza che meritano i famigliari di quest’uomo e le centinaia di operatori della sicurezza che svolgono con correttezza e abnegazione il proprio lavoro”. “Nell’interrogazione ho anche chiesto al ministro della Giustizia di riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere - prosegue Bernardini - in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette; quanti sono stati i decessi avvenuti per “cause naturali” che si sono registrati negli ultimi cinque anni all’interno degli istituti penitenziari e quanti di questi, in percentuale, si sono verificati a poche ore dall’ingresso in carcere del detenuto”. “E, da ultimo, quali provvedimenti il governo intenda adottare - conclude - al fine di garantire, anche per il futuro, un attento monitoraggio delle condizioni in cui versano i detenuti negli istanti immediatamente successivi al loro ingresso in carcere, assicurando, per quanto possibile, l’eliminazione di ogni fattore di rischio per la loro vita e incolumità fisico-psichica”. Giustizia: processo Cucchi; giudici dispongono superperizia su cause della morte Tm News, 12 aprile 2012 Una perizia per chiarire cause della morte e decorso sanitario di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre del 2009 nel padiglione penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini. I giudici della III corte d’assise di Roma conferiranno incarico al collegio esperti, che dovrà esser nominato, il 9 maggio prossimo. La decisione del collegio, presieduto da Evelina Canale, è arrivata alla chiusura del dibattimento. Sotto processo ci sono 12 persone, tra cui 6 agenti di polizia penitenziaria, tre medici e tre infermieri. L’avvocato Gaetano Scalise, difensore del primario del primario del Pertini, Enrico Fierro, ha spiegato: “Apprezzo il provvedimento della Corte perché dimostra come la consulenza del pm sia franata di fronte alle critiche dei consulenti di parte dimostrando così che era già fondata la richiesta presentata in sede di udienza preliminare. Confidiamo nell’equilibrio del collegio di periti che verrà nominato, con la speranza che questo sia costituito non solo da medici legali ma anche da clinici”. Quando Stefano Cucchi cessò di respirare, il 31 ottobre del 2009, aveva 31 anni. Sei giorni prima era stato arrestato. Sul banco degli imputati ci sono sei medici (Aldo Fierro, Silvia Di Carlo, Stefania Corbi, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti, Flaminia Bruno) e tre infermieri (Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe) dell’ospedale Sandro Pertini che ebbero in cura Cucchi, nonché tre agenti penitenziari (Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici). Per questa vicenda è già stato condannato con rito abbreviato a due anni di reclusione, Claudio Marchiandi, direttore dell’ufficio detenuti del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Lesioni aggravate, abuso di autorità nei confronti di arrestato, falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento, omissione di referto, sono i reati contestati, a seconda delle singole posizioni processuali, agli imputati dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy. In particolare gli agenti penitenziari sono accusati di lesioni aggravate e di abuso d’autorità nei confronti di arrestati o detenuti per aver, secondo l’accusa, il 16 ottobre del 2009 picchiato Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida. Secondo l’originario capo d’accusa gli agenti avrebbero sottoposto Cucchi stante “le continue lamentele, a misure di rigore non consentite dalla legge per farlo desistere dalla reiterate richieste di farmaci”. Falso ideologico e abuso d’ufficio sono contestati a un medico e al direttore dell’ufficio detenuti per aver scritto cose non corrispondenti al vero nella cartella clinica del 31enne in merito alle sue condizioni generali di salute facendolo ricoverare in una struttura per pazienti non acuti, stabilizzati e non con politraumatismi come nel suo caso. In sostanza, secondo gli inquirenti, sarebbero state precostituite le condizioni formali per coprire gli agenti penitenziari. Gli altri medici e i tre infermieri sono accusati di falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuto di atti d’ufficio, favoreggiamento e omissioni di referto sono invece i reati contestati, sempre a seconda delle singole posizioni processuali. Secondo l’accusa, questi, “dal 18 al 22 ottobre abbandonavano Cucchi incapace di provvedere a se stesso”, omettendo anche “di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza che nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità e non comportavano particolari difficoltà di attuazione essendo per altro certamente idonei ad evitare il decesso di paziente”. Per l’accusa, questi, tra l’altro, omettevano “volontariamente di adottare qualunque presidio terapeutico al riscontri di valori di glicemia ematica pari a 40 mg/dl, rilevato il 19 ottobre, pur essendo tale valere al di sotto della soglia ritenuta dalla letteratura scientifica pericolosa per la vita, neppure intervenendo con una semplice misura quale la somministrazione di un minimo quantitativo di zucchero sciolto in un bicchiere d’acqua che il paziente assumeva regolarmente, misura questa idonea ad evitare il decesso”. La sorella Ilaria: perizia è fallimento consulenza pm “La corte ha predisposto oggi perizia per accertare le cause della morte di Stefano. Questo è il fallimento dei consulenti dei pubblici ministeri. Noi lo avevamo già detto un anno fa in udienza preliminare”. Così ha detto Ilaria Cucchi in merito alla decisione dei giudici della III corte d’assise che hanno disposto una perizia per chiarire le cause del decesso del fratello. “C’è tanta amarezza per l’atteggiamento dei pm nei confronti di coloro che hanno causato la morte di Stefano. Però ho fiducia in questa corte e nella giustizia”. Consulenti difesa: morì per severa malnutrizione Stefano Cucchi morì per una malnutrizione severa che giustificherebbe, tra l’altro, anche la presenza sul suo corpo di ecchimosi ed ematomi. Sono le conclusioni cui sono giunti il professore Costantino Ciallella, patologo forense dell’università La Sapienza, e il dott. Giuseppe Vetrugno, dell’università Cattolica di Roma, consulenti della difesa del processo per la morte del giovane romano, fermato per droga il 15 ottobre 2009 e trovato senza vita una settimana dopo nel reparto detenuti dell’ospedale Sandro Pertini della capitale. “La frattura sacrale che aveva Cucchi era certamente recente - ha detto Cialella - da trauma di minima intensità causato da una caduta sulle natiche. Nessun calcio (secondo l’accusa, il giovane sarebbe stato pestato nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma), né pugno, né bastonata. Per la frattura a livello lombare che aveva, poi, non ci sono dati che depongano per credere fosse da trauma recente”. Con riferimento alle ecchimosi a livello degli occhi, escludo che si tratti di un trauma contusivo diretto, per esempio da un pugno; anzi, “nel caso specifico la somministrazione di terapia anticoagulante ha di certo svolto un ruolo importante nell’impedire l’arresto dell’emorragia determinando una maggiore evidenza dell’ecchimosi”. Il medico-legale ha anche dato una indicazione temporale ai traumi da contusione che Cucchi avrebbe subito: “Nella notte tra il 15 e il 16 ottobre il trauma era già avvenuto”. Quindi, in tempo non compatibile con un eventuale pestaggio nelle camere di sicurezza del tribunale. “Il peso ideale di Cucchi - ha poi aggiunto Vetrugno - avrebbe dovuto essere di 62 chilogrammi, mentre era invece di 37 chilogrammi. Ne pesava 43-44 al Pertini, ovvero era in grave sottopeso. Con quello stato, praticamente il 60% per peso ideale, il paziente rasenta il limite della sopravvivenza”. Modena: detenuto tenta il suicidio, muore in ospedale dopo 4 giorni di coma Ansa, 12 aprile 2012 Aveva tentato di togliersi la vita a Pasqua, utilizzando un maglione e appendendosi al letto a castello. Tempestivo il massaggio cardiaco, che non è bastato: l’uomo non ha mai ripreso conoscenza. Il massaggio cardiaco non è bastato a salvargli la vita. Un detenuto del carcere di Modena, che aveva tentato di togliersi la vita il giorno di Pasqua, è deceduto oggi in ospedale. Si era impiccato alla terza branda del letto a castello usando un maglione come cappio. Era intervenuto immediatamente un agente della polizia penitenziaria che lo aveva adagiato a terra e lo aveva soccorso. Condotto in ospedale, l’uomo - dietro le sbarre per reati di natura sessuale - era però entrato in coma senza riprendersi più. “La polizia penitenziaria - ricorda Giovan Battista Durante del Sappe - riesce ogni anno a salvare oltre mille detenuti che tentano di suicidarsi, questa volta, purtroppo, l’uomo è’ deceduto, nonostante l’agente sia intervenuto immediatamente ed abbia fatto di tutto per salvargli la vita”. Trieste: Sbriglia promosso dirigente generale del Dap, dopo 21 anni lascerà il Coroneo di Laura Tonero Il Piccolo, 12 aprile 2012 Entro la fine dell’anno Enrico Sbriglia lascerà dopo 21 anni la direzione del carcere di Trieste. E questa volta il suo trasferimento non è una “punizione” per il suo impegno in politica ma un importante avanzamento di carriera. Lo scorso 16 marzo il Consiglio dei Ministri su proposta del ministro della Giustizia l’ha infatti nominato Dirigente generale penitenziario. Questa promozione ai vertici dell’amministrazione penitenziaria nazionale vedrà presto Sbriglia ricoprire il ruolo di provveditore penitenziario. Un traguardo importante nella carriera che però non si concilia con la direzione della casa circondariale della nostra provincia e con quella di segretario nazionale del sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari, il Si.Di.Pe, dal quale ha già dato le dimissioni. “È una promozione che mi gratifica ma che mi obbliga a lasciare la direzione del carcere di questa città - ammette Sbriglia commosso - ma non lascerò Trieste. La mia famiglia vive qui, questa ormai è la mia città dunque, indipendentemente da dove verrò destinato, appena potrò tornerò a casa. Farò il pendolare”. Il ruolo svolto dal provveditore penitenziario è quello di responsabile delle politiche penitenziarie di una regione o di un’area geografica. “Dovrò coordinare - spiega Sbriglia - vigilare e confrontare l’attività di più penitenziari”. Il Consiglio dei ministri lo scorso 16 marzo ha conferito la stessa carica di dirigente generale penitenziario anche a Carmelo Canton e Pietro Buffa. I tre neopromossi dovrebbero andare a ricoprire gli incarichi di provveditore probabilmente uno nel Triveneto, uno in Piemonte e uno in Abruzzo. Sbriglia è l’unico dei tre ad aver maturato importanti esperienze negli istituti penitenziari del Triveneto quindi è verosimile che venga affidato proprio a lui l’incarico di provveditore del Nord-Est. Le nuove nomine dovrebbero andare ad inserirsi in un vasto piano di mobilità che potrebbe riguardare almeno una decina di provveditorati. In scadenza anche gli incarichi dei provveditorati in Toscana, Emilia Romagna e Marche. Sembra inoltre ormai decisa anche la riduzione da 17 a 15 dei provveditorati penitenziari con la soppressione di quelli di Potenza e Perugia che saranno assorbiti da quelli di Puglia e Marche. Ma ora che Sbriglia lascia, chi arriverà a dirigere il carcere triestino? “Non è stato ancora deciso - precisa il direttore - spero arrivi una donna”. In Italia il 60 per cento dei direttori delle carceri è di sesso femminile. In regione, ad esempio, sono Irene Iannucci e Silvia della Branza e dirigere rispettivamente i penitenziari di Udine e Tolmezzo. “La direzione del carcere di Trieste oggi è ambita, - spiega Sbriglia - il lavoro fatto negli ultimi anni e le esperienze portate avanti grazie anche alla collaborazione con le istituzioni lo hanno reso una struttura guardata con particolare attenzione”. Pordenone: da Castelli a Mastella, il nuovo carcere è una priorità… ma i soldi? Messaggero Veneto, 12 aprile 2012 Giuseppe Magni era il consulente del ministro della Giustizia Roberto Castelli, dal 2001 al 2005, per l’edilizia carceraria. L’esponente di governo lo allontanò dopo un esposto alla Procura, a seguito del quale è stato assolto. Magni all’epoca era sindaco leghista di Calco, in quel di Lecco, dove Castelli è nato e vive, ma, scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, “soprattutto ex artigiano metalmeccanico ed ex grossista di pesce alla Seamar, nonché socio militante della Lega dal 1995 e parlamentare. Magni scorrazzò per quattro anni su e giù per l’Italia, con auto blu blindata e scorta armata, per il modico stipendio di 100 milioni di lire. Risultato, secondo il pm della Corte dei Conti: “Attività dall’indefinito contenuto senza raggiungere alcuno degli obiettivi menzionati nel decreto di incarico”. In quei tempi, per il carcere di Pordenone si parlava di una soluzione in leasing. “Il risultato - si legge nel post di Giuseppe Ragogna in Facebook - è sotto gli occhi di tutti. Il carcere è ancora in piazza della Motta. E lì vi resterà a lungo. Forse per sempre”. di Enri Lisetto “Pordenone è di centrosinistra? Varese è leghista? È fatta il carcere si farà a Pordenone”. Dopo sei mesi cominciarono a costruirlo. A Benevento. Era il 2006, le politiche le aveva vinte il centro-sinistra, Pordenone aveva confermato sindaco Sergio Bolzonello. Quest’ultimo assieme all’allora assessore alle Politiche sociali Gianni Zanolin volò a Roma, dal ministro della Giustizia Clemente Mastella per perorare la causa del carcere di Pordenone. Uscirono da quell’incontro, i due amministratori pordenonesi, soddisfatti, con il via libera del ministro. La visita di Castelli. Quattro anni dopo la visita in città dell’allora ministro leghista Roberto Castelli (“Pordenone è prioritaria”, 2002), la situazione pareva sbloccata. I retroscena di quelle trattative sono stati pubblicati su Facebook dallo stesso Zanolin, ieri, stimolato da una considerazione del vicedirettore del Messaggero Veneto Giuseppe Ragogna: “Nel 2002 l’allora ministro leghista Roberto Castelli visitò il carcere di Pordenone. La promessa: “Così non va. Vi garantisco che la nuova struttura penitenziaria si farà in tempi rapidi. Pordenone è tra le priorità”. Ovviamente non si è fatto nulla. Ho letto il pezzo di Travaglio sul Fatto Quotidiano. E ho capito perché l’operazione non produsse atti concreti”. Castelli aveva affidato l’edilizia carceraria a un consulente, Giuseppe Magni, sindaco leghista di Calco. Zanolin spiega, punto per punto, i retroscena della trattativa. Gara per il leasing. “Successe che - scrive Zanolin -, dopo aver scelto la forma del leasing per costruire il carcere, ci fu da scegliere come farlo, questo benedetto leasing. In buona sostanza, Magni propose di fare una gara riservata alle società finanziarie, quelle che avrebbero dovuto erogarlo, il leasing. A Castelli glielo dissero perfino in ginocchio, che quella gara era una grandissima sciocchezza e che così non si poteva fare. Niente, il padano si impose e il ministero bandì la gara come proponeva Magni e la assegnarono”. I ricorsi. Ci furono molti ricorsi, di cui due significativi. “Il primo della Ag, forse il più grande gruppo finanziario europeo, che contestava l’aggiudicazione ad altri. Il secondo, in sede europea, dell’Associazione nazionale costruttori edili, che contestava la violazione di norme europee, perché secondo i costruttori quelle erano vincolanti in materia e la Comunità aveva deciso che queste gare fossero riservate ai costruttori, i quali poi avrebbero scelto a loro convenienza il partner finanziario. L’Ance vinse il ricorso, la gara venne annullata e la Ue comminò una forte multa all’Italia e si portò via metà dello stanziamento che lo Stato aveva fatto per le carceri di Pordenone e Varese (la gara era stata fatta per i due stabilimenti carcerari assieme)”. Verso il voto. “Quelle cose a Castelli gliele avevano dette in molti. Lui deliberatamente scelse e si mangiò uno dei due carceri. Io sarei per farglielo pagare, al Castelli, quel carcere perso per quell’errore personale. Eravamo nel 2005, nel 2006 si vota per le politiche. Attenti ora. Si vota e Prodi, vincitore per pochi voti, chi ti fa ministro della Giustizia? Clemente Mastella”. Incontro con Mastella. Si votò nello stesso giorno anche per il Comune di Pordenone e Sergio Bolzonello fu rieletto trionfalmente. “Uno dei primi atti del rinnovato sindaco fu di andare a trovare Mastella, auspice il mitico Luciano Clarizia, allora uomo dell’Udeur a Pordenone. Fissato l’appuntamento, io accompagnai Bolzonello da Mastella. Fu una delle esperienze più educative della mia vita”. Bolzonello a Roma. Mastella li ricevette nella stanza del ministro della Giustizia, seduto alla scrivania che era stata di Togliatti. “La prima cosa che ci volle far sapere fu che quella era proprio la scrivania di Togliatti. “Lei è il successore di Togliatti!”, esclamai estasiato (so essere un tantino p..., quando mi va di giocare). Secondo me Mastella non se la scorderà mai questa mia frase. Aveva capito che quella era la scrivania di Togliatti, ma che lui fosse il successore del grande capo del Pci, di quello ancora non si era reso conto. Comunque sia, dopo averci parlato di scandalo scommesse e intercettazioni, cominciò a chiederci cosa volevamo da lui. Bolzonello gli spiegò la faccenda di Magni e Castelli, c’erano i soldi per un solo carcere, faccelo a Pordenone, Clemente! Mastella ci guarda e chiede: “Ma voi siete di centrosinistra?”. Bolzonello fa sì con la testa. “E a Varese sono di centrosinistra?” No, “sono leghisti!”, fa Bolzonello. “Allora è fatta, il carcere si fa a Pordenone!”, sentenziò il successore di Togliatti”. La promessa. Se ne uscirono felici: “Ce l’avevamo fatta! Dopo sei mesi cominciarono a costruire il nuovo carcere coi soldi che erano destinati a Pordenone. Sapete dove? A Benevento, nel collegio elettorale di Mastella. Secondo me, Togliatti, una cosa così, non l’avrebbe mai fatta. Ma questo è un parere personale”. Anno 2012. Sono passati 10 anni dall’inizio del racconto. Il nuovo carcere non c’è. C’è una ri-proposta di utilizzare una caserma dismessa di San Vito al Tagliamento. Ma il nuovo carcere, dopo dieci anni, ancora non c’è. Genova: Sappe; detenuto marocchino aggredisce agente di Polizia penitenziaria Il Velino, 12 aprile 2012 Un agente della Polizia Penitenziaria è stato aggredito, ieri pomeriggio, da un detenuto marocchino nel carcere genovese di Marassi. L’agente addetto all’area passeggi della Seconda Sezione, che da solo curava il rientro nelle celle di circa 250 detenuti, ha riportato la frattura dello scafoide e dovrà essere a breve operato. Ne dà notizia Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe che esprime al collega ferito “ la nostra vicinanza e solidarietà, ma ci domandiamo quante aggressioni ancora dovrà subire il nostro Personale di Polizia Penitenziaria perchè si decida di intervenire concretamente sulle criticità di Marassi? Questa aggressione ci preoccupa - prosegue Martinelli. La carenza di personale di Polizia Penitenziaria a Marassi - oltre 130 Agenti in meno rispetto all’organico previsto, il costante sovraffollamento della struttura (erano 820 i detenuti presenti il 31 marzo scorso - oltre il 60% dei quali gli stranieri - rispetto ai 450 posti letto regolamentari, con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite e soprattutto di chi in quelle sezioni deve lavorare rappresentando lo Stato come i nostri Agenti) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi. Bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli Agenti e alle strutture, punendo con severità e fermezza coloro che si rendono responsabile di aggressioni. L’auspicio è che la classe politica ed istituzionale del Paese faccia proprie le importanti e pesanti parole dette dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulle nostre carceri “terribilmente sovraffollate” e ci si dia dunque da fare - concretamente e urgentemente - per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, che preveda circuiti penitenziari differenziati a seconda del tipo di reato commesso ed un maggiore ricorso alle misure alternative per quei reati di minor allarme sociale con contestuale impiego in lavori di pubblica utilità per il recupero ambientale del territorio. Oltre alla non più rinviabile espulsione dei detenuti stranieri condannati per fare scontare loro la pena nelle prigioni del Paese di provenienza”. Sondrio: detenuto mongolo tenta per due volte il suicidio in carcere La Provincia, 12 aprile 2012 Per la seconda volta in pochi giorni ha tentato il suicidio in carcere. E per la seconda volta è stato salvato all’ultimo momento. L’uomo, adesso piantonato all’ospedale, è il giovane mongolo arrestato la settimana scorsa dai carabinieri assieme a una complice per una serie di furti nei negozi di abbigliamento, l’ultimo dei quali alla boutique Balestra. Tutto è successo poco prima delle 11, dopo che gli uomini della polizia penitenziaria hanno ritrovato il giovane (ha 27 anni) ormai privo di conoscenza. Per questo la centrale operativa del 118 ha dato l’allarme in codice rosso. L’ambulanza è arrivata pochi istanti dopo dall’ospedale, con tanto di lampeggianti e sirene accese. È stata molto probabilmente la rapidità dell’intervento ad aver salvato la vita al detenuto. Appena arrivato sul posto, il personale medico è riuscito a rianimare il giovane, che è così stato caricato sull’ambulanza, seguita da un mezzo della polizia penitenziaria, per l’immediato trasporto all’ospedale. Rispetto alla situazione di partenza, però, il quadro era decisamente migliorato. E da rosso il codice si è trasformato in giallo, indicando delle condizioni di media criticità che necessitano comunque di un certo periodo di osservazione. Senza contare il rischio che l’uomo ci riprovi, visto che, appena entrato in prigione, era stato bloccato per tempo mentre aveva tentato una prima volta di togliersi la vita. Finito in carcere con l’accusa di furto aggravato e continuato, fin da subito ha dato segni di cedimento, non riuscendo ad accettare di ritrovarsi rinchiuso in una cella. Verona: Garante dei detenuti; inaugurazione laboratorio di panificazione nel carcere Ristretti Orizzonti, 12 aprile 2012 Oggi, giovedì 12 aprile, alle ore 12, all’interno della Casa Circondariale di Montorio, è stato inaugurato il nuovo laboratorio per la formazione professionale di panificatori. La struttura, realizzata grazie al finanziamento della Fondazione Cariverona, rientra nell’ambito del Progetto Esodo per il recupero e il reinserimento socio-lavorativo delle persone detenute. All’inaugurazione sono stati presenti la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Margherita Forestan, promotrice dell’iniziativa; le autorità del carcere; i rappresentanti della Fondazione Cariverona; della Caritas, partner organizzativa del Progetto Esodo; della Magistratura di Sorveglianza e della onlus “La Libellula”, che ha collaborato alle attività di formazione degli allievi panettieri. “Un grazie all’Associazione Panificatori di Verona che ha dato sostegno a questa iniziativa e, naturalmente, alla Fondazione Cariverona - ha detto la Garante - non solo per le risorse economiche messe a disposizione, ma per la fruttuosa disponibilità e comprensione verso le necessità degli ultimi. I tanti che potranno avvalersi di questo laboratorio-scuola - ha concluso Forestan - potranno, è l’auspicio, guardare al loro futuro con maggiori prospettive”. Spoleto (Pg): “Cucinare in massima sicurezza”, ecco il libro delle ricette dei detenuti Ansa, 12 aprile 2012 Si chiama “Cucinare in massima sicurezza” un manuale di cucina che raccoglie le ricette e i metodi per cucinare in carcere, realizzato da un gruppo di detenuti dell’istituto penitenziario di Spoleto che da due anni si sta formando nella progettazione e nella produzione editoriale. Le ricette raccolgono le esperienze di chi cucina all’interno della cella grazie ai pochi materiali di cui ogni detenuto dispone. È anche un omaggio alla donna da parte di chi, difficilmente, ha la possibilità di avere il pranzo o la cena cucinata al femminile. Il libro - riferisce una nota del Comune di Spoleto - sarà presentato venerdì prossimo nella Biblioteca di Palazzo Mauri alle 18. Nel corso dell’incontro, cinque attrici della scuola di Teatro Teodelapio leggeranno altrettante ricette scelte tra quelle del manuale. Verrà infine realizzato uno dei piatti descritti che sarà offerto agli ospiti. Roma: Garante detenuti; quadrangolare di calcio per promuovere lavoro in carcere Agenparl, 12 aprile 2012 Si è tenuto questa mattina nella Casa Circondariale di Roma Rebibbia Nuovo Complesso, il quadrangolare di calcio promosso dalla Effegi Italia S.p.A. in collaborazione con l’Ufficio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale diretto dall’avvocato Filippo Pegorari e l’associazione Gruppo Idee. L’iniziativa denominata “ Libertà di costruire” ha visto coinvolti i detenuti, i consiglieri di Roma Capitale, gli agenti di Polizia Penitenziaria e i dipendenti della Effegi Italia S.p.A. Arbitro del torneo l’ispettore Luigi Giannelli, persona molto attiva nel settore sociale ed artistico per il recupero delle persone detenute. Per Federico Galoni, amministratore unico della Effegi Italia S.p.A., presente dal 2010 all’interno del carcere di Rebibbia con una propria struttura produttiva che al momento fornisce lavoro a 12 persone recluse, “Abbiamo voluto organizzare questo momento di gioco di squadra per sottolineare il fatto che proprio di un gioco di squadra si tratta, quando si vuole lavorare in un carcere. Ci vogliono unità di intenti e volontà chiare per riuscire a tirare fuori il meglio dalle risorse umane ed economiche di tutti”. Toccanti le parole espresse da Filippo Pegorari “oggi quattro squadre di calcio giocano per la vittoria. Queste quattro squadre, tutte insieme, nel rispetto della differenza dei ruoli, formano una grande squadra che sfida il destino per far vincere la vita”, parole che hanno riscosso il plauso dei detenuti presenti e l’approvazione del Provveditore Regionale del Dap Maria Claudia Di Paolo. Per quest’ultima “è molto importante essere presenti oggi per far si che da questa iniziativa ne possano nascere altre per aprire il carcere alle realtà esterne”. Per il consigliere di Roma Capitale Federico Rocca, che ha contribuito alla realizzazione dell’iniziativa “la presenza in questo quadrangolare della rappresentanza di Roma Capitale vuole dimostrare l’attenzione dell’ Amministrazione tutta nei confronti del carcere e delle problematiche ad esso legate e della promozione del lavoro penitenziario sia all’interno che all’ esterno delle mura di un penitenziario”. Lo si legge in un comunicato del Garante detenuti di Roma Capitale. Vigevano (Pv): incontro formativo “Oltre le sbarre” con direttore e cappellano del carcere La Provincia, 12 aprile 2012 È previsto per questa sera alle ore 21 l’incontro formativo “Oltre le sbarre” organizzato nella sala riunioni comunale di via Laboranti. A tenere le redini della serata saranno il direttore del carcere di Vigevano Davide Pisapia, i responsabili dei diversi settori della struttura e il cappellano don Lorenzo Montini. Insieme presenteranno anche i prossimi eventi di condivisione e solidarietà organizzati nella casa circondariale di Vigevano. “Per noi si tratta di una specie di esordio - ammette Matteo Gazzotti, responsabile dell’associazione San Martino Tromello - su impulso dell’Azione Cattolica Diocesana abbiamo organizzato due tornei di calcetto e pallavolo rivolti ai detenuti della struttura di Vigevano che si svolgeranno nel corso di due giornate all’insegna dello sport”. Durante l’incontro conoscitivo rivolto alla cittadinanza verranno spiegate le attività svolte all’interno della casa circondariale Piccolini e l’importanza del coinvolgimento tra il mondo esterno e quello interno al carcere: “Noi saremo in oltre venti, tra ragazzi e ragazze - prosegue Gazzotti - qui a Tromello il Comune dà alla nostra associazione la possibilità di avere due volte a settimana la disponibilità della palestra che sfruttiamo per calcetto e pallavolo, con allenamenti misti tra maschi e femmine, mentre in carcere le due attività si svolgeranno in momenti diversi, come ci è stato richiesto esplicitamente dalla direzione”. Torino: con “Giorni scontati” va in scena il dolore delle donne detenute La Repubblica, 12 aprile 2012 Cosa spinge un’attrice, con un consistente curriculum televisivo nonché teatrale, ad inventarsi autrice e per di più su un argomento urticante? “Il desiderio di parlare di donne in un contesto che non fosse troppo battuto, la volontà autentica di una ricaduta sociale” risponde da un set tv per Rai Uno Daniela Scarlatti, da domani a domenica impegnata al Teatro Erba in “Giorni Scontati”, di cui firma il testo e lo recita, con la coautrice Antonella Fattori e con Giusy Frallonardo e Lia Zinno. Una pièce sul carcere femminile, anzi dentro una prigione, con quattro detenute conviventi coatte. Scarlatti ha interpretato sul piccolo schermo “Vivere”, “Il maresciallo Rocca”, “Carabinieri”, “La squadra”, “Terapia d’urgenza”, aveva cominciato in palcoscenico con la regia di Aldo Trionfo e non ha mai smesso, tant’è che la stagione scorsa è passata all’Erba con “Tornerò prima di mezzanotte” di Peter Colley; nel 1997 realizza il progetto di scrivere a quattro mani “su una cosa di cui in Italia non esisteva niente, né in teatro né al cinema, a differenza dell’America, dove la tematica carceraria è molto sviluppata”. Come avete proceduto? “Ci siamo documentate su giornali e libri, poi abbiamo sottoposto ad una detenuta in semilibertà la drammaturgia, affinché non ci fossero inesattezze: il copione non è didascalico ma al pubblico diamo informazioni attendibili”. Il carcere è tortura, ma i reclusi dovrebbero aver commesso reati: qualcuno vi ha accusato di troppa indulgenza? “No perché le nostre quattro donne non sono giustificate, hanno pene diverse, trascorsi differenti e qui sono semplicemente personaggi molto umani, che avranno una possibilità di riscatto”. L’opera è prodotta da Molise Spettacoli, con l’importante patrocinio e sostegno del Garante dei Detenuti della Regione Lazio e con il patrocinio del Ministero della Giustizia; l’avete presentata anche in carcere? “Sì, ha debuttato a Rebibbia nel 2010, è stata una grande emozione, ci avevano detto che i detenuti ci avrebbero snobbato e invece sono stati ottimi spettatori”. E com’è invece il pubblico dei teatri? “La gente è sconvolta e partecipe, ci ringrazia perché la aiutiamo a destrutturare i suoi pregiudizi, la pièce smuove le coscienze”. Sarà ancora drammaturga? “Non credo, sono contenta ma ci abbiamo messo sei mesi, una tempistica esagerata per un professionista”. Dove è stato finora “Giorni scontati”? “Ha girato poco, siamo state a Milano, adesso a Torino e forse l’anno venturo a Roma, anche sull’onda dell’Orso d’Oro di Berlino dei fratelli Taviani con “Cesare deve morire” girato nel carcere di Rebibbia”. Che idea ha di Torino? “L’ho conosciuta per il set di “Mozart è un assassino” di Enzo De Caro realizzato con la Film Commission, penso che il pubblico sia attento e vada volentieri a teatro, a differenza di quello romano che è piuttosto svogliato”. In compagnia c’è un uomo, il regista Luca De Bei: perché questo “intruso”? “Le sue regie mi piacevano ma non sono mai riuscita a farmi scritturare, così l’ho scritturato io”. Aosta: Uisp; la maratona di “Vivicittà” che si corre nel carcere di Brissogne Adnkronos, 12 aprile 2012 Un’edizione speciale di Vivicittà, la manifestazione podistica dedicata ad atleti e non, verrà organizzata quest’anno all’interno del carcere di Brissogne. Ad annunciarlo sono gli organizzatori della manifestazione che ritorna ad Aosta domenica 15 aprile. Entro il mese di maggio 20 atleti, 20 detenuti e 20 studenti si confronteranno su un circuito di 1.500 metri all’interno delle mura della casa circondariale. La manifestazione podistica inoltre quest’anno sarà sotto il segno dell’ambiente. “Durante la manifestazione - spiega il presidente della Uisp valdostana Carlo Finessi - verrà somministrato un questionario per valutare gli indicatori di sostenibilità ambientale della manifestazione. Inoltre, i partecipanti verranno sensibilizzati alla raccolta differenziata: a questo scopo verranno distribuite delle borracce ecologiche”. Immigrazione: Marcenaro (Pd); nei Cie situazione inaccettabile, sono peggio delle carceri Redattore Sociale, 12 aprile 2012 L’analisi di Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani del Senato: “Il tempo di permanenza è aumentato a 18 mesi, vuoti e con una promiscuità veramente pericolosa”. E per i giornalisti è ancora impossibile entrare. “La situazione dei Cie è inaccettabile. Per certi aspetti sono in una situazione peggiore delle carceri”. È quanto ha affermato Pietro Marcenaro, presidente della Commissione diritti umani del Senato a margine della presentazione del rapporto stilato dalla Commissione sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza tenutasi questa mattina presso la sede della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi). “Il tempo di permanenza nei Centri di identificazione e di espulsione è aumentato e 18 mesi sono una parte importante della vita di una persona - ha spiegato Marcenaro. Non sono una cosa trascurabile anche perché sono mesi vuoti, con una promiscuità veramente pericolosa. Ci sono dei ragazzini che non hanno fatto niente se non arrivare qui per cercare di migliorare la propria vita, messi nella stessa stanza con persone che escono dal carcere con pene gravi per reati di vario tipo”. Una situazione che rischia di peggiorare ulteriormente con l’arrivo dell’estate e il riprendere degli sbarchi. “L’anno scorso sono morte più di 1.500 persone in mare - ha affermato Marcenaro. È inaccettabile girare la testa dall’altra parte e non guardare, quando invece servirebbe un tavolo per vedere cosa si può fare”. I Centri di identificazione e di espulsione, tuttavia, restano ancora dei luoghi inaccessibili ai giornalisti che vogliono raccontare le condizioni di vita all’interno delle strutture. Nonostante il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, abbia annullato la circolare che vietava il loro ingresso alle strutture, gli ostacoli non mancano. “Una parte del lavoro della Commissione diritti umani si intreccia con la campagna “LasciateCIEntrare” che abbiamo lanciato con l’Ordine dei giornalisti e con molte associazioni impegnate sui temi dei diritti dei migranti - ha spiegato Roberto Natale, presidente della Fnsi. Una campagna voluta per contrastare la circolare che nell’aprile 2011 l’allora ministro Maroni aveva fatto per impedire ai giornalisti l’accesso ai Cie e ai Cara, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo”. Una battaglia vinta, per il momento, ma solo sulla carta. “A dicembre il nuovo ministro dell’Interno ha superato la circolare Maroni, ma nonostante sia stato ripristinato l’accesso, ancora troppi colleghi si sono sentiti rifiutare la richiesta di poter visitare le strutture a causa di lavori in corso o altri ostacoli. Il principio è stato ripristinato, ma nella pratica ci sono ancora troppi ostacoli ad un concreto esercizio del nostro diritto-dovere di raccontare quello che avviene dentro i Cie e dentro i Cara”. Immigrazione: Natale (Fnsi); troppi ostacoli per giornalisti che chiedono di visitare i Cie Ansa, 12 aprile 2012 “È un bene che sia stato ripristinato il diritto dei giornalisti a entrare nei Cie, dopo che il precedente Governo ce lo aveva negato”: il presidente della Federazione nazionale della stampa (Fnsi), Roberto Natale, si è rallegrato per la circolare del dicembre 2011 del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, che ha praticamente annullato il divieto per gli organi di informazione di entrare nei Centri di identificazione ed espulsione introdotto dall’ex ministro Roberto Maroni nell’aprile 2011. Anche se, ha aggiunto, “ci sono ancora troppi ostacoli da parte delle singole strutture”. Il presidente del sindacato dei giornalisti ha però approfittato della presentazione del Rapporto sui diritti umani nelle carceri e nei Cie della Commissione diritti umani del Senato per fare una sorta di mea culpa per conto dell’intera categoria. Natale ha parlato di “ossessione securitaria che ha distorto il dibattito in Italia su carceri e Cie” e della quale “l’informazione è stata succube, andando al traino di un clima politico-culturale”. Clima che ora, ha precisato, è cambiato, mentre non è cambiata l’attitudine della stampa italiana, che anche ora “va al rimorchio”. Se comunque la battaglia dei giornalisti e delle associazioni per entrare nei Cie è stata vinta, ha concluso Natale, “ci sono ancora tanti ostacoli a una vera attuazione del diritto a informare, perché molte strutture si oppongono più o meno pretestuosamente”. L’esempio concreto è stato fatto da una giornalista del Tg3, che ha raccontato di aver chiamato le Prefetture per chiedere di visitare i Cie, ma quasi tutte hanno risposto di non poter far entrare i giornalisti perché i centri stanno facendo lavori di ristrutturazione. La circolare del Ministero dell’Interno del dicembre scorso infatti, ha spiegato Natale, chiede alle Prefetture di far entrare la stampa salvo che nella struttura siano in corso lavori di ristrutturazione o di manutenzione ordinaria che possano pregiudicarne la sicurezza. Turchia: morto il prigioniero curdo Nurettin Soysal, 900 decessi tra i detenuti in 10 anni www.eilmensile.it, 12 aprile 2012 Il blog Azardiya, che si batte per il rispetto dei diritti del popolo curdo, ha reso noto oggi, 11 aprile 2012, la morte di Nurettin Soysal, detenuto in un carcere turco. Ricordando come circa 900 detenuti abbiano perso la vita nelle carceri turche negli ultimi dieci anni, Azardiya afferma come Nurettin era stato ricoverato presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Ankara dopo un periodo di detenzione tra i penitenziari di Diyarbakir, Mus e Adiyaman dove per 16 anni ha sofferto di cancro linfatico e dove gli venne impedito - secondo gli attivisti - di poter usufruire delle cure mediche necessarie. In una Conferenza stampa al Parlamento turco, Idris Baluken del Peace and democracy party (Bdp), ha reso noto che nel 2011 hanno perso la vita a causa delle loro pessime condizioni di salute 31 prigionieri nello Stato turco. Stati Uniti: negata libertà condizionata a Charles Manson… è in carcere da oltre 40 anni Apcom, 12 aprile 2012 Una commissione del carcere californiano di Corcoran ha respinto la richiesta di libertà condizionata presentata da Charles Manson, uno dei criminali più efferati della storia. Il settantasettenne è condannato all’ergastolo per una serie di efferati omicidi commessi alla fine degli anni Sessanta. Charles Manson rimarrà in carcere. Una commissione speciale del penitenziario di Corcoran, in California, ha respinto la richiesta di libertà condizionale presentata dagli avvocati del detenuto. Manson, nato a Cincinnati il 12 novembre 1934, è in carcere dal 1969 e sta scontando una condanna a vita. La sua vita è stata comunque costellata di piccoli precedenti penali, fra cui spiccava una condanna a dieci anni, che scontò dal 1957 al 1967. Una volta uscito dal carcere divenne un musicista hippy, raccogliendo attorno a sé un piccolo gruppo di giovani seguaci. Ben presto Manson iniziò a darsi a furti e rapine, fino a quando nell’agosto 1969 iniziò a commettere alcuni degli omicidi più efferati che la storia ricordi. Tra le vittime della banda, chiamata “The Family”, anche Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, che al momento dell’assassinio aveva solo 26 anni. La Tate venne uccisa nella sua villa di Los Angeles assieme ad altre persone, nonostante fosse all’ottavo mese di gravidanza. Manson è stato condannato a morte nel 1971, per aver barbaramente trucidato almeno quattro persone con la sua banda nel 1969. Nel 1972 la Corte Suprema della California abolì la pena di morte, e la condanna di Manson e di altre tre donne appartenenti alla sua banda venne commutata nel carcere a vita. Nel corso degli anni Manson ha regolarmente presentato gli appelli per ottenere la libertà condizionata, ma questi sono stati respinti in ogni occasione. La commissione che ha respinto la richiesta di Manson ha giudicato nulli i tentativi del detenuto di reinserirsi nella società, e pertanto ha deciso di non considerare l’appello. Secondo la legge della California, essendo stata negata per dodici volte la libertà condizionata, Manson non potrà ripresentare l’istanza per almeno quindici anni, ovvero fino all’aprile 2027. Il viceprocuratore distrettuale Patrick Sequeira ha lasciato intendere che ormai Manson non abbia più alcuna possibilità di uscire vivo dal penitenziario. Stato Uniti: il Connecticut è il 17/o stato che abolisce la pena di morte Ansa, 12 aprile 2012 Dopo il Senato, anche la Camera del Connecticut ha dato il via libera all’abolizione della pena di morte. Si tratta del 17esimo stato americano a dire addio al boia. Come ampiamente previsto, la House ha approvato il bando della pena capitale a larga maggioranza, con 86 si e 62 contrari. Secondo questo provvedimento, in questo stato a due passi da New York la pena massima sarà il carcere a vita e non più l’iniezione letale. Marocco: prigionieri politici in sciopero fame contro le condizioni disumane di detenzione Asca, 12 aprile 2012 Ventisette prigionieri politici in Marocco hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni disumane della detenzione, con casi di tortura e di carcere senza processo. Molti di loro sono studenti arrestati durante delle manifestazioni di protesta e in parecchi non mangiano da settimane. Il gruppo ha scritto un comunicato per “domandare un rapido intervento dei responsabili per la difesa dei legittimi diritti dei prigionieri”. “Abbiamo inviati la lettera al direttore generale della carceri, Hafid Ben Hachem, lanciando l’allarme, ma non abbiamo ricevuto risposta”, ha detto all’Afp Khadija Ryadi, presidente dell’Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh). Uno studente, Ezzedine Alroussi, ha iniziato lo sciopero della fame il 12 gennaio scorso nel carcere della città di Taza ed è stato ricoverato in ospedale in condizioni critiche. Kuwait: pena di morte per “insulti a Maometto e sue mogli”, legge votata da parlamento Tm News, 12 aprile 2012 Il Parlamento kuwaitiano ha approvato oggi un emendamento del codice penale introducendo la pena di morte per i reati di blasfemia e di insulti al profeta Maometto e alle sue mogli. Quarantasei membri del Parlamento hanno votato a favore di questo inasprimento della legge che dovrà essere sottoposto ad una seconda lettura prima della sua promulgazione da parte del governo. Quattro deputati sciiti hanno votato contro, due erano assenti ed un sunnita si è astenuto. I deputati sciiti avevano chiesto che questo inasprimento fosse applicato anche per chi insulta i loro dodici imam ma la la richiesta è stata respinta dal Parlamento, dominato dai sunniti. Uno sciita è stato arrestato il mese scorso con l’accusa di aver rivolto degli insulti al profeta Maometto, a una delle sue mogli, Aisha, e ai suoi compagni. L’uomo, Hamad al Naqi, è ancora detenuto e dovrebbe essere sottoposto a processo entro breve. La magistratura kuwaitiana lunedì ha condannato a sette anni di reclusione un sunnita per avere fatto delle dichiarazioni offensive contro la comunità sciita su Twitter.