Giustizia: il 25 aprile amnistia! di Luigi Nieri e Patrizio Gonnella www.linkontro.info, 11 aprile 2012 Il nostro sistema della giustizia è al collasso. Un processo penale dura in media cinque anni. Il senso di ingiustizia è diffuso. L’impunità dei potenti va di pari passo con la crudeltà delle pene nei confronti dei non garantiti. Il processo penale è oramai divenuto uno strumento di classe che serve a sancire con il suggello di una sentenza o di una prescrizione l’iniquità sociale che stiamo vivendo e subendo. I tentativi, seppur meritori, di porre freno alla crescita della popolazione detenuta non sono stati e non saranno risolutivi. I numeri restano impressionanti. Ci sono 22 mila detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. A chi non piace la ricetta neo-liberale di uscita dalla crisi economico-finanziaria si usa obiettare dalle parti del Pdl e del Pd che mancherebbe da parte nostra una ragionevole proposta alternativa. Non è vero, ma è oramai luogo comune. Per uscire dalla crisi della giustizia è questa volta il pensiero dominante neo-liberale a non avere una proposta per far fronte alla situazione di emergenza (così la definisce il governo con legge). Noi ne abbiamo tre. La prima è la riforma del codice penale fascista, la depenalizzazione, la decarcerizzazione, la rivisitazione del sistema sanzionatorio, la trasformazione del diritto penale massimo in diritto penale minimo, l’abrogazione delle leggi sulla recidiva e sull’immigrazione. La seconda proposta è la legalizzazione delle droghe. In questo modo toglieremmo dalle galere circa 15 mila tossicodipendenti e toglieremmo allo stesso momento respiro alle mafie che si arricchiscono con il traffico delle sostanze stupefacenti. La terza proposta è l’amnistia. Meglio sarebbe se accompagnata a una delle prime due proposte in modo da farne reggere nel tempo gli effetti. Ma se ciò, a causa degli ideologismi securitari e bacchettoni, non dovesse essere possibile, allora la si faccia subito comunque quale atto riparatorio di una giustizia formale impazzita produttrice di morti (suicidi) e torture. Per questo marceremo il 25 aprile, giorno sacro della resistenza e della liberazione, per i diritti umani, per lo stato di diritto, per l’amnistia, per la riforma del codice penale, per il ritorno alla legalità penitenziaria. Giustizia: piano carceri a caccia di privati di Julia Giavi Langosco Italia Oggi, 11 aprile 2012 Il project financing attribuisce ai promotori tutti i servizi tranne la custodia dei detenuti, ma la gestione troppo onerosa potrebbe scoraggiare gli investitori. Il piano carceri c’è e dovrà essere realizzato con il concorso dei capitali privati. Ma l’interesse dei possibili investitori è ancora tutto da dimostrare anche perché le regole del project financing consegnano ai promotori non soltanto l’onere della costruzione delle carceri, ma altresì la loro gestione, che in questo caso assume una complessità ben superiore rispetto per esempio ai parcheggi o gli ospedali. Molte le gare di project financing per la realizzazione degli ospedali che sono andate deserte. Il problema è la remunerazione del capitale. Nel caso delle carceri soltanto la sorveglianza dei detenuti viene sottratta alla gestione dei privati secondo quanto previsto dall’articolo 43 della legge in cui si parla di “equilibrio economico-finanziario dell’investimento”. Per assicurarlo al concessionario è riconosciuta, a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione della struttura carceraria e dei servizi connessi, a eccezione della “custodia”. In pratica lo stato fornirà solo la polizia penitenziaria. Tutto il resto, cucine, pulizia, assistenza medica, infermieristica, attività formative, laboratori per attività produttive e persino l’assistenza psicologica per il recupero sociale dei detenuti, insomma proprio tutto fuorché i secondini, sarà responsabilità dei concessionari privati. Funzionerà? “A occuparsene potrebbero essere le fondazioni bancarie”, ha suggerito Luigi Li Gotti, in quota Italia dei Valori. ex sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi, con delega proprio per il piano carceri. Ma le fondazioni bancarie hanno però già parecchia carne al fuoco con l’housing sociale, le residenze per anziani e gli investimenti per la ricerca scientifica e le erogazioni culturali. Si tratta di vedere se Giuseppe Guzzetti, appena riconfermato alla presidenza dell’Acri, e gli altri esponenti del direttorio delle Fondazioni riterranno di far rientrare un comparto bollente come quello delle carceri negli investimenti istituzionali delle loro rappresentate. Il piano carceri è stato infilato fortunosamente nella legge sulle liberalizzazioni, la n. 24 del 2012, approvata giusto in tempo per garantire la chiusura parlamentare della Settimana Santa. Ora che il decreto liberalizzazioni è diventato legge, Li Gotti continua a manifestare forti perplessità. Il dispositivo per la realizzazione di nuovi istituti di pena, indifferibili, parte in realtà con lacci complessi. L’aspetto più intricato riguarda proprio il project financing. Invocato nei sempre più numerosi settori in cui l’amministrazione pubblica non riesce a trovare i fondi per realizzare opere e servizi di sua naturale competenza, nel caso delle carceri ai privati il partenariato pubblico-privato attribuisce compiti più delicati di quelli che normalmente accompagnano questa soluzione finanziaria. Gli assegnatari degli incarichi non si limiteranno a costruire edifici adeguati e a garantirne la conduzione e la rispondenza nel tempo. Dovranno provvedere a tutta la gestione carceraria. “Il problema”, ha sostenuto Li Gotti, “sta nell’ammortamento dell’investimento, che ovviamente i privati vogliono raggiungere in tempi ragionevoli”. Presumibilmente assai prima dello scadere dei 20 anni previsti per la durata della gestione carceraria in concessione. Altrimenti non c’è remunerazione del capitale. Ed è appunto la questione della remunerazione del capitale che più impensierisce Li Gotti “con un impegno gestionale così vasto”, ha detto, “comprensivo addirittura della rieducazione sociale, da una parte si crea una pericolosa commistione e dall’altra si rende assai complesso per i concessionari garantirsi la remunerazione del capitale”. Il problema della remunerazione del capitale, in effetti, era già emerso, quando lo stesso Li Gotti aveva seguito la questione carceraria con Prodi. Allora, come potenziale partner, per così dire, privato, si era fatto avanti l’Inail, dotato di forte liquidità. E adesso? Giustizia: Capece (Sappe); 25% dei detenuti tossicodipendente, meglio pene alternative Adnkronos, 11 aprile 2012 “Brillante operazione della Polizia Penitenziaria di Viterbo che a seguito di accurate indagini ha rinvenuto e sequestro 20 involucri di 5 grammi ciascuno contenenti sostanze stupefacenti del tipo ‘hashish. L’importante attività condotta dal Personale di Polizia Penitenziaria viterbese ha visto stroncare sul nascere un tentativo di spaccio dello stupefacente, operazione conclusasi positivamente solo grazie all’acume e l’alta professionalità del nostro personale”. È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Esprimo dunque il convinto e sincero apprezzamento del Sappe - aggiunge Capece - per l’importante attività di Polizia giudiziaria svolta dai nostri baschi azzurri viterbesi. Ritengo che il ministero della Giustizia e il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria debba adeguatamente valorizzare questa attività di servizio, riconoscendo al personale di polizia impiegato una adeguata ricompensa”. Il Sappe torna a sottolineare come “nelle carceri italiane il 25% circa dei detenuti è tossicodipendente. Se per un verso è opportuno agire sul piano del recupero sociale, è altrettanto necessario disporre di adeguate risorse per far fronte alla possibilità che all’interno del carcere entri la droga. Alcuni recenti fatti di cronaca hanno dimostrato che è sempre più frequente il tentativo, anche da parte dei detenuti appena arrestati o di familiari e amici si ristretti ammessi a colloquio, di introdurre sostanze stupefacenti all’interno degli istituti penitenziari”. “Il costante e pesante sovraffollamento - rimarca il leader del Sappe - fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza. Da parte mia intendo ancora una volta esprimere la testimonianza di vicinanza del Sappe ai disagi delle colleghe e dei colleghi in servizio nel Lazio ed in particolare a Viterbo”. “Spesso la professionalità della Polizia Penitenziaria - rimarca Capece - come è avvenuto a Viterbo, consente di individuare i responsabili e di denunciarli all’autorità giudiziaria, ma ciò non è sufficiente. Nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti posano scontare la pena all’esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi”. “Noi riteniamo sia preferibile che i detenuti tossicodipendenti - conclude il leader del primo sindacato dei baschi azzurri - spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che essendo malate hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione”. Giustizia: Comitato “Stop Opg”; no al business dei manicomi privati Affari Italiani, 11 aprile 2012 “Di male in peggio: avevamo già criticato la nuova legge sugli Opg (uno specifico articolo del decreto “svuota carceri”), perché invece di privilegiare la presa in carico degli internati da parte dei Dipartimenti di salute mentale con progetti terapeutico-riabilitativi individuali, così da permettere l’effettiva costruzione di percorsi alternativi agli Opg, rischia di concentrare tutto sulla creazione di ‘mini Opg’ in ciascuna regione, perpetuando la logica manicomiale, con il tragico binomio cura/custodia”. Così si esprime il Comitato “Stop Opg” (costituito da una trentina di organizzazioni tra le quali Antigone, Cnca, Gruppo Abele, Cgil nazionale, Fondazione Zancan, Psichiatria democratica, Cittadinanzattiva, Auser, Arci, Forum droghe) a margine dell’ultima bozza di decreto per l’applicazione della nuova legge sugli ospedali psichiatrici giudiziari. Scrive il Comitato in una nota: “La notizia è pubblica: l’ultima bozza di decreto per applicare la nuova legge (9/2012) sugli Ospedali psichiatrici giudiziari stabilisce che le strutture residenziali in cui ricoverare gli attuali internati negli Opg potranno essere realizzate e gestite dalle Aziende sanitarie, tramite i dipartimenti di salute mentale (Dsm), o dal privato sociale e imprenditoriale. Ora - prosegue la nota - rischiamo addirittura il business, alimentato obbligatoriamente dalla spesa pubblica (dato che il ricovero è disposto dalla magistratura) e a pagare saranno le Asl (e lo Stato qualora sia prevista la vigilanza esterna). Mentre è inquietante l’idea che potrebbero essere soggetti privati a realizzare e gestire strutture detentive”. Per il Comitato si tratta di “un disastro, uno stravolgimento di quello che doveva essere il processo di superamento degli Opg: chiediamo al ministro della Salute la convocazione urgente dell’incontro, che pure aveva convocato e poi rinviato. Al presidente della conferenza delle Regioni, che abbiamo già incontrato, chiediamo un immediato intervento. Come auspichiamo una decisa azione del ministro della Giustizia contro la privatizzazione della giustizia e delle carceri”. Il Comitato insiste “perché si proceda subito a finanziare non ancora strutture manicomiali, ma i Progetti terapeutico riabilitativi individuali, in modo da “svuotare” gli attuali Opg, destinando i finanziamenti previsti dalla legge 9/2012 (intanto i 93 milioni nel biennio per l’assistenza sanitaria) ai Dipartimenti di salute mentale. L’ordine del giorno (9/4909/31) approvato alla Camera, in occasione del voto sulla legge per l’emergenza carceri, impegna il Governo proprio in questa direzione”. Secondo “Stop Opg” la prospettiva è la seguente: “Finché non cambierà finalmente la legge sull’imputabilità del “folle reo” e sulla “pericolosità sociale”, senza una vera presa in carico dei Dipartimenti di Salute Mentale per offrire percorsi individuali di assistenza come prevedono sentenze della Corte Costituzionale, tutti (o quasi) gli internati saranno inevitabilmente trasferiti nelle nuove strutture manicomiali (ora perfino private), dove la magistratura continuerà a disporre l’esecuzione della misura di sicurezza. L’urgenza - prosegue il Comitato - è certo quella di dare sollievo agli uomini e alle donne oggi internati negli attuali Opg, realtà indegne di un paese civile, ma bisogna farlo restituendo dignità e diritti di cittadinanza, non alimentando business o nuovi manicomi, che per loro natura impediscono la cura e la riabilitazione di persone malate”. Giustizia: maltrattamenti in carcere; la Cassazione riesamina il caso di Asti www.atnews.it, 11 aprile 2012 La vicenda processuale, diventata nazionale per l’interessamento di un’associazione “Antigone” che si occupa dei diritti dei reclusi, si era conclusa a gennaio con la sentenza di assoluzione o prescrizione dei reati per cinque agenti di custodia accusati di vessazioni nei confronti di due detenuti. Il 21 maggio a Roma in Corte di Cassazione verrà trattato nuovamente il caso dei presunti maltrattamenti all’interno del carcere di Asti. Il caso, divenuto nazionale per l’interessamento di un’associazione “Antigone” che si occupa dei diritti dei reclusi, si era concluso a gennaio con la sentenza di assoluzione o prescrizione dei reati per cinque agenti di custodia accusati di vessazioni nei confronti di due detenuti. Contro la sentenza del giudice Riccardo Crucioli, il pubblico ministero Giannone e Blanc con gli avvocati di parte civile avevano presentato ricorso in Cassazione che, ieri, ha stabilito la nuova data del ricorso. Se verranno accolte le istanze di pm e avvocati potrebbe esserci un nuovo processo. I due imputati Marco Sacchi e Cristiano Bucci, tramite i loro legali, si professano innocenti. La cronaca di gennaio. Il giudice Riccardo Crucioli al termine di un’ora di camera di consiglio ha assolto i cinque agenti del carcere di Quarto d’Asti dall’accusa di maltrattamenti e vessazioni a due detenuti. Per Gianfranco Sciamanna è stata accolta la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto; per Alessandro D’Onofrio e Davide Di Bitonto l’assoluzione per mancanza di querela di parte; infine per Marco Sacchi e Cristiano Bucci è stato emesso il non luogo a procedere per prescrizione del reato. Soddisfatti gli avvocati della difesa rappresentata da Aldo Mirate (difendeva D’Onofrio), Vincenzo Fusco (per Cristiano Bucci), Alberto Pasta (per gli altri tre). Nelle loro arringhe gli avvocati hanno smontato punto per punto le accuse evidenziando l’impossibilità di commettere i reati dei quali erano imputati gli agenti senza essere visti dai colleghi in carcere; inoltre alcune evidenti contraddizioni e inesattezze nei racconti dei reclusi. Nei giorni proprio per chiarire l’intricata vicenda giudiziaria il giudice Crucioli con avvocati e pubblica accusa si era recato in carcere per un minuzioso sopralluogo. Con la sentenza odierna il giudice Riccardo Crucioli lascia il tribunale di Asti dopo alcuni anni di encomiabile servizio. Numerosi i casi giudiziari curati dal magistrato con grande professionalità, oltre quello sugli agenti del carcere, altri processi del quale si è occupato hanno riguardato il procedimento al sindacalista Fausto Cavallo, la vicenda degli appalti dell’Asti Cuneo, un maxi processo per svariati reati dei quali erano accusati decine di nomadi. Giustizia: Cassazione; la guardia carceraria è responsabile del suicidio del detenuto La Stampa, 11 aprile 2012 Tre guardie carcerarie alla sbarra per rispondere di omicidio colposo a causa della morte di una detenuta, suicidatasi nella propria cella. Tuttavia, alla fine dei due giudizi di merito, solo un’addetta alla sorveglianza viene condannata per aver tenuto un comportamento non improntato alla diligenza nel vigilare la detenuta. L’imputata ricorre in Cassazione dicendo che la Corte territoriale non ha tenuto nel debito conto il fatto che era stata disposta la sorveglianza a vista senza provvedere all’aumento dell’organico. Infatti, la guardia non era stata per tutto il turno dinanzi alla cella, perché era andata al piano di sotto per far uscire le semilibere. In più, secondo la difesa, la Corte ha “omesso di considerare la non prevedibilità ex ante dell’evento dannoso”, poiché, diversamente, il penitenziario avrebbe dovuto prendere delle precauzioni di arredamento della cella per contrastare l’autolesionismo. La Cassazione, nelle motivazioni della sentenza 6744/12, ha ritenuto colposa la condotta della guardia. In sostanza, l’imputata ha omesso di effettuare il servizio affidatole, visto che, tra l’altro, la carcerata suicida era l’unica detenuta sottoposta alla sorveglianza a vista. È chiaro - si legge nella sentenza - “che l’omissione della condotta prescritta ha precluso, a monte, il tempestivo avvistamento della complessa manovra suicidaria e, con esso, il conseguente dovuto intervento per scongiurarne il fatale esito”. Inevitabile, dunque, il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Testo della Sentenza del 20.02.2012, n., n. 6744 Corte di Cassazione Sez. Quarta Pen. - Presidente Marzano - Relatore Massafra Ritenuto in fatto R.C. , unitamente ai colleghi C.P. e Ro.Pi. , la prima addetta alla sorveglianza nel medesimo turno ed il secondo addetto alla sorveglianza generale, veniva tratta a giudizio dinanzi al Tribunale monocratico di Roma per rispondere dei reati di cui agli artt. 41 e 589 c.p. per la morte della detenuta K.M. , verificatasi nel carcere (…) il (…), per asfissia meccanica da impiccamento. Veniva contestato alla R. l’omissione di diligenza nella sorveglianza della predetta detenuta per non aver impedito alla stessa, sottoposta al regime di sorveglianza a vista, di impiccarsi alla sponda del letto e per non essere riuscita a giungere in tempo per scongiurare la morte. Con sentenza in data 11.12.2008 il Giudice del Tribunale romano assolveva C.P. per non aver commesso il fatto e condannava la prevenuta e Ro.Pi. , avendo ravvisato nel comportamento di entrambi, non improntato alla diligenza nel vigilare la detenuta, la colposa omissione che aveva dato luogo alla responsabilità. Tale sentenza del Tribunale di Roma veniva parzialmente riformata da quella della Corte di Appello di Roma in data 9.3.2011 che assolveva il Ro. perché il fatto non sussiste, confermando la condanna della R. Avverso tale ultima sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di R.C. deducendo, in sintesi, il vizio motivazionale e l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Assume che la Corte territoriale aveva valutato solo il fatto che la R. non aveva stazionato per tutto il turno dinanzi alla cella ov’era ristretta la K. ma non aveva tenuto nel debito conto il fatto che era stata disposta la sorveglianza a vista senza provvedere all’aumento dell’organico ad hoc. Essendo rimasta sola, poiché a partire dalle prime ore del mattino la C. si era dovuta recare nel piano sottostante per fa uscire le semilibere, era giocoforza che la R. si muovesse dovendo badare a tutto il reparto (…) . Inoltre, la Corte aveva omesso di considerare la non prevedibilità ex ante dell’evento dannoso, poiché, diversamente, la detenuta avrebbe dovuto essere sedata per tutta la notte, con ulteriori accortezze di arredamento della cella tese a contrastare l’autolesionismo, di cui il Penitenziario non si era curato. La detenuta era stata invece valutata e curata, per quanto constava alle sorveglianti, come soggetto aggressivo verso gli altri. Né si poteva affermare che una sorveglianza a vista avrebbe impedito l’evento, tenuto conto delle modalità di esecuzione del suicidio, ad una sponda del letto non visibile dallo spioncino: si richiamano, al riguardo, i principi in tema di causalità del reato omissivo mutuati dalla sentenza c.d. “Franzese”. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto. Invero, è pacifica la condotta colposa della R.: sul punto la sentenza impugnata ha fornito adeguata motivazione con la quale è stato puntualizzato, sulla scorta della deposizione dell’assistente D’A., che la situazione della K., unica detenuta sottoposta alla sorveglianza a vista, era stata dettagliatamente evidenziata (come sostanzialmente ammesso dalla stessa ricorrente: v. pag. 2 sent.) alle colleghe del turno successivo (cioè, la stessa R. e la C. ) che, dunque, avrebbero ben potuto ripartirsi i compiti in maniera analoga a quella seguita dalle colleghe smontanti anche in mancanza di apposite istruzioni da parte del preposto alla sorveglianza generale. Secondo la ricostruzione dell’impugnata sentenza, la R., in quanto preposta alla (omissis) , era deputata alla sorveglianza a vista della detenuta K. ma aveva sostanzialmente omesso di effettuare il servizio affidatole: infatti, come riferito dalla C., si recava in continuazione presso la cella della detenuta ma non si era mai seduta dinanzi alla cella stessa, omettendo, pertanto, di svolgere il servizio di sorveglianza a vista secondo le istruzioni ricevute, ed anzi la stessa R., secondo quanto, tra l’altro, rilevato dal Giudice a quo, aveva ammesso di essersi allontanata in alcune occasioni dalla cella della K. e di non aver svolto il servizio di sorveglianza in modo continuativo. La disposizione della sorveglianza a vista fu impartita, evidentemente, in previsione di iniziative estemporanee e pericolose della detenuta ed era funzionale a scongiurare comportamenti autolesionistici e, come sottolineato dalla sentenza impugnata (pag. 6), la c.d. “cella liscia”, tipicamente idonea a tal fine le cui caratteristiche son richiamate in ricorso, non era mai esistita nella casa circondariale di (omissis): la dedotta aggressività verso terzi della donna non poteva richiedere tale stretto controllo che sarebbe stato superfluo essendo la detenuta rinchiusa nella cella, circostanza, questa, che escludeva di per se, in costanza di detenzione, la possibilità di comportamenti offensivi erga alios. Quindi non può certo ritenersi l’imprevedibilità del suicidio. Senza bisogno di richiamare i principi ai quali si è rimenata la ricorrente in tema di nesso eziologico nei reati omissivi, è chiaro che l’omissione della condotta prescritta ha precluso, a monte, il tempestivo avvistamento della complessa manovra suicidaria e, con esso, il conseguente dovuto intervento per scongiurarne il fatale esito. Né può sottacersi che la censura mossa sia prevalentemente aspecifica avendo riproposto in questa sede in buona parte la medesima doglianza rappresentata dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattesa con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Si deve, pertanto, rigettare il ricorso e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., condannare la ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Depositata in Cancelleria il 20.02.2012 Giustizia: l’agonia di mio padre in carcere… semiparalizzato, 76 anni di Mara Chiarelli La Repubblica, 11 aprile 2012 La figlia: “Lo stanno condannando a morte”. Per il perito del tribunale può rimanere in cella. Interrogazione della Bernardini. “Me lo stanno facendo spegnere poco a poco, non è giusto, i diritti umani vanno tutelati”. Piange al telefono, e non è la prima volta, Maria Mangiaracina, la più piccola dei quattro figli di Vito, ergastolano di 76 anni di Mazara del Vallo, detenuto “in condizioni disumane” nel carcere di Bari. Il suo è diventato anche un caso politico dopo un’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Rita Bernardini, ed è “certificato” da una consulenza medico legale disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Bari. Nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, l’anziano resta in cella. “Chiedo che almeno - continua Maria - venga trasferito in un centro clinico adeguato, per questi pochi giorni che gli rimangono”. Vito Mangiaracina è immobilizzato a letto, con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche molto precarie. “Stiamo vivendo un calvario - racconta sua figlia, 41 anni e madre a sua volta di due figli - questa è la realtà, me lo stanno facendo spegnere poco a poco, è completamente abbandonato a se stesso”. A dargli una mano, talvolta, intervengono gli stessi detenuti, come denuncia il suo avvocato Debora Speciale: “Lo accudiscono per pietà, ma col risultato che vive come un barbone in cella, maleodorante, sporco e con le piaghe da decubito”. L’ergastolano, riconosciuto invalido al cento per cento nel 2002, è semiparalizzato per un ictus, ha subito un tumore alla prostata, è affetto da cardiopatia, depressione e crisi epilettiche. I medicinali che assume gli provocano vomito continuo. Ma per il medico legale nominato dal tribunale, la neurologa Elena Tripaldi, è in grado di reggere il regime carcerario: “Mangiaracina non è in pericolo di vita - asserisce - le sue sono patologie gravissime, ma croniche, e in carcere, del resto, è ben curato”. I suoi figli, sua moglie (anche lei malata perché cardiopatica) non cercano sconti di pena, ma solo il rispetto della sua dignità umana: “Il diritto alla vita non può essere violato - riprende Maria - La situazione non è bella, anche perché ha una forte depressione e la nostra paura è quella. A volte è lucido a volte no, lui non vuole che lo andiamo a trovare perché viviamo distanti e anche perché non ci vuole lasciare brutti ricordi di lui per come si è ridotto”. Non lo sentono neppure al telefono, “lui non ci chiama”, ma non si arrendono: “Chiediamo aiuto al ministro Severino, in primis, poi a tutte le altre autorità competenti - si fa forte sua figlia. Ci diano una mano a trasferirlo in un posto dove possa essere degnamente curato”. Al loro fianco l’onorevole dei radicali Rita Bernardini: “Qualunque cosa abbia fatto, abbandonato in quel modo - dice - dimostra quanto lo Stato sempre di più è uno Stato criminale, nel senso che non rispetta le sue stesse regole a partire dall’articolo 27 della Costituzione che evidentemente ha dimenticato e sepolto. Vorrei sapere che rieducazione sta dando a questa persona”. Giustizia: permesso al mafioso pentito Spatuzza, esce dal carcere per incontrare un frate Affari Italiani, 11 aprile 2012 Un permesso straordinario per valorizzare la conversione religiosa e il percorso di redenzione individuale del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza è stato accordato dal tribunale di sorveglianza di Roma: Spatuzza sarà portato, nei prossimi giorni, dagli uomini del Servizio centrale di protezione, in una località segreta in cui potrà incontrare un sacerdote con cui è entrato in contatto in questi anni. Abbandonato dai familiari, che non ne hanno condiviso la scelta collaborativa, Spatuzza potrà fruire del primo permesso da quando ha iniziato a parlare con i magistrati, e cioè dall’aprile 2008: ha deciso così di trascorrerlo con i frati a cui si sente particolarmente vicino. L’uscita dal carcere durerà al massimo 48 ore, ma potrebbe essere limitata a poche ore, considerati i notevoli rischi che l’operazione comporterà. L’ex uomo di fiducia dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, con il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e poi con gli inquirenti di Caltanissetta e Firenze ha riscritto, fra le altre cose, la storia delle stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992 e degli eccidi di Roma, Firenze e Milano del 1993. Chiamando in causa, fra gli altri, l’ex premier Silvio Berlusconi e il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri. Alla base di tutto, secondo le sue spiegazioni, c’è un percorso di redenzione che ha portato l’ergastolano Spatuzza ad entrare in contatto con don Massimiliano De Simone e con frate Pietro Capoccia, i cappellani delle carceri in cui è stato recluso, L’Aquila e Ascoli Piceno. Nel capoluogo marchigiano si era iscritto all’Istituto superiore di Scienze religiose e aveva superato una serie di esami. Aveva anche intrapreso un carteggio col vescovo dell’Aquila, Giuseppe Molinari. Ora il luogo (un convento di frati o una struttura ‘neutrà, esterna) e l’identità della persona con cui si dovrà incontrare Spatuzza sono tenuti sotto una coltre di fitto riserbo, per motivi di sicurezza. Lettere: Pasqua radicale e libertà condizionale di Paolo Izzo Europa, 11 aprile 2012 Mentre l’Italia buona e cattolica macellava un milione di agnelli per festeggiare la resurrezione di Cristo, una fila indiana di Radicali si snodava lungo le pareti del carcere di Regina Coeli per raggiungere piazza san Pietro in tempo per il cosiddetto Angelus e manifestare così, ancora una volta, per i diritti di carcerati e “carcerieri”, di guardie e di ladri. Sarebbe stato almeno bizzarro vedere il papa affacciato al suo balcone e là sotto, mischiati alla sterminata folla di fedeli, quei pochi eretici che invocano diritti civili per tutti portando in spalla la croce di altri poveri Cristi che nessuno vuole addossarsi. “Sarebbe stato”, appunto. Perché l’arrivo dei Radicali in piazza san Pietro è stato impedito dallo stesso Stato italiano in una, non altrimenti spiegabile, genuflessione preventiva. “Sarebbe stato”: il condizionale è d’obbligo in questo paese. Come dovrebbe esserlo la libertà. Che invece è condizionale. Condizionata. Lazio: sovraffollamento carceri, la Regione chiama in causa il ministero della Giustizia Ansa, 11 aprile 2012 Il presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, è in pressing sul ministero della Giustizia per cercare di affrontare e risolvere il problema dell’emergenza carceri nel Lazio. “Dobbiamo continuare a lavorare per favorire quel clima di grande collaborazione che già si è ÿistaurato con gli uffici del Ministero della Giustizia, in questo momento già fortemente impegnato attraverso il ministro Severino su altri due temi di non poca importanza quali la riforma della Giustizia e il sovraffollamento delle carceri”. “Problema quest’ultimo - ha aggiunto Abbruzzese - che coinvolge anche gli istituti penitenziari del nostro territorio e del quale, appena possibile, è mia intenzione parlarne con il ministro, persona che ha preso molto a cuore le gravi difficoltà della vita carceraria, spesso al limite del rispetto dei diritti umani”. Calabria: Lo Moro (Pd); serve un Provveditore alle carceri sempre presente Agenparl, 11 aprile 2012 “In Calabria non si è data la dovuta risposta alla grave perdita del Provveditore Quattrone, persona eccezionale che aveva il controllo della situazione carceraria. Si è provveduto con una copertura a scavalco che, al di là delle competenze e della professionalità dell’individuo, non è in condizioni di dare la risposta giusta”. Lo dichiara la deputata Pd Doris Lo Moro, parlando dei problemi dell’amministrazione penitenziaria calabrese, tornati alla luce dopo il recente suicidio di un agente. Attualmente il Provveditore della Calabria, Gianfranco De Gesu, ricopre lo stesso ruolo anche in Sardegna. “Non è escluso - continua la Lo Moro - che il suicidio dell’agente sia stato favorito da un contesto in cui non c’è la giusta protezione, il giusto riferimento per il personale. Serve un Provveditore che conosce il personale, sceglie in maniera adeguata i direttori e parla con i dipendenti, come faceva Quattrone. Certo anche lui aveva dei conflitti, finiti tragicamente, ma non c’è dubbio che ci vuole presenza sul posto, e un coordinamento costante dei vari direttori, per avere un’idea di quali sono i reali problemi del personale. L’auspicio è che si provveda a risolvere una situazione che avrebbe dovuto essere provvisoria, ma che perdura invece da alcuni anni, aggravando l’attività del Provveditore a scavalco e non risolvendo i problemi”. Campania: Uil; nel carcere di Avellino apre nuovo padiglione detentivo di 160 posti Agenparl, 11 aprile 2012 Il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha esperito, nei giorni scorsi, un interpello regionale rivolto agli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, per acquisire la disponibilità di 19 unità dei baschi blu (1 ispettore, 3 sovrintendenti e 15 agenti/assistenti) ad essere temporaneamente assegnati presso la Casa Circondariale di Avellino, dove entro qualche settimana si attiverà il nuovo padiglione detentivo (di recente costruzione) che potrà ospitare circa 160 detenuti. Sul punto interviene il Segretario Generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno: “Credo che l’input ad attivare in tempi brevi il nuovo padiglione di Avellino sia arrivato direttamente dal Ministro Severino. Forse per contenere il fallimento delle norme deflattive, che non hanno svuotato nessun carcere, si pensa di porre sollievo al dramma del sovraffollamento aprendo quelle strutture pronte a ricevere detenuti come il nuovo padiglione di Avellino. Però - sottolinea Sarno - in questa accelerazione il rischio è che si aggravino i già pesanti carichi di lavoro della polizia penitenziaria. Responsabilmente comprendiamo che è necessario recuperare nuovi posti detentivi ma non possiamo tacere che questa operazione sarà pagata a caro prezzo dagli uomini e dalle donne della polizia penitenziaria. Tutto sommato si poteva anche aspettare qualche settimana in più. A fine giugno terminerà il corso formativo di circa 800 neo agenti e con un piano di assegnazione concordato si poteva dar corso all’apertura di Avellino senza dover sempre e comunque farlo in modo confuso, raffazzonato”. Fatta questa premessa il Segretario Generale della Uil Penitenziari non manca di sottolineare anche gli aspetti positivi di un progetto pilota che l’Amministrazione intende porre in essere con l’apertura del nuovo padiglione: “Siamo molto interessati a questo progetto e alla nuova metodologia di vigilanza dinamica che esso comporta. È chiaramente una sfida - commenta il leader della Uil Penitenziari - non solo per l’Amministrazione Penitenziaria quant’anche per la città, il territorio ed il tessuto produttivo. Per questo sto valutando l’opportunità di organizzare all’interno del carcere un convegno sulle possibili prospettive. Nei prossimi giorni ne parlerò con il Sindaco Galasso e con il Presidente della Provincia Sibilia nella certezza che anche la Direzione di Bellizzi Irpino approverà l’iniziativa e ne contribuirà al successo”. Catania: senza lavoro, poche speranze per detenuti… progetto “articolo 27, terzo comma” La Sicilia, 11 aprile 2012 Una cena di beneficenza e solidarietà per favorire l’inserimento lavorativo e sociale di soggetti svantaggiati, detenuti ed ex detenuti. L’iniziativa è promossa dalla cooperativa Centro Orizzonte Lavoro nell’ambito del progetto “Articolo 27, terzo comma”. L’articolo della Costituzione, a cui il nome del progetto si riferisce, prevede che le pene debbano concorrere alla rieducazione, piuttosto che alla sola custodia, dei detenuti. Rifacendosi proprio alla Costituzione, la cooperativa sociale Centro Orizzonte Lavoro, impegnata dal 1992 sul fronte delle politiche attive del lavoro rivolte specialmente ai giovani e alle fasce deboli, ha promosso negli ultimi mesi l’interessante iniziativa, in collaborazione con un partenariato che comprende numerosi enti pubblici e del privato sociale catanese. Tra questi: l’Associazione Nazionale Forense, la Camera Minorile, l’Uepe, l’Ussm, Confartigianato, Confcooperative, l’Associazione Antiracket e antiusura catanese, il Lions Giardini Naxos, il Movimento Cristiano Lavoratori, il Serra club, l’Associazione Euro, il Centro Astalli e diversi cittadini, a titolo personale. “In mancanza di lavoro, sarà sempre galera - spiega don Enzo Giammello, presidente della cooperativa Centro Orizzonte Lavoro - sono davvero poche le speranze per chi, uscito dal carcere, vuole cambiare vita, trovare lavoro e reinserirsi socialmente. Sappiamo che l’indice di recidiva per chi non trova un’occupazione è dell’85 per cento, mentre chi riesce ad inserirsi al lavoro torna a delinquere solo nel 15 per cento dei casi. Quindi, se un ex detenuto ricomincia, la società paga un prezzo più alto, in termini economici e di sicurezza sociale, rispetto a quello che avrebbe sostenuto se avesse dato una mano. Per questo motivo, abbiamo già attivato, nell’ambito del progetto “Fonda- Azioni per Librino”, delle borse lavoro che hanno permesso a dieci ex detenuti di intraprendere la strada del recupero, tutorati e remunerati per sei mesi, alcuni dei quali poi sono persino stati regolarmente assunti. Adesso, attraverso il progetto “Articolo 27”, vogliamo creare un polo permanente di accoglienza, perché il problema che si vuole affrontare è permanente e di enorme portata e le iniziative che vengono messe in campo per favorire il reinserimento socio-lavorativo di chi ha avuto problemi con la giustizia non si possono certo considerare sufficienti, rispetto al bisogno”. Sono numerosi i servizi che il progetto avvierà a breve: attività di formazione alla cultura, all’etica del lavoro e alla professionalità; accompagnamento al lavoro dipendente, anche attraverso percorsi di ricerca attiva del lavoro, l’avvio di nuove borse lavoro e del micro credito; accompagnamento nella creazione di imprese sia individuali che cooperative; valorizzazione di fondi agricoli e di strutture, confiscate alla mafia. Per raccogliere i fondi necessari, la cooperativa Centro Orizzonte Lavoro, insieme agli enti che hanno aderito al progetto, organizza una cena di beneficenza al Cnos/Fap Salesiani di via Giuffrida 208/A, che si terrà venerdì prossimo alle ore 20. I posti sono limitati ed è necessaria la prenotazione. Per informazioni, contattare il numero 095.320054. Enna: il report sulla visita dell’on. Fabio Granata (Fli) al carcere www.vivienna.it, 11 aprile 2012 È stato un incontro particolare quello dell’onorevole Fabio Granata al carcere di Enna. Un incontro con gli agenti penitenziari per rendersi conto della situazione del carcere ennese, che sta vivendo un’atmosfera drammatica, anche se il tutto viene smorzato dall’attività, dall’impegno costante e dalla professionalità degli agenti di polizia penitenziaria, coordinati dalla direttrice Letizia Bellelli. Nell’incontro è stato evidenziata la necessità di aprire la nuova ala ristrutturata, che si trova in condizioni migliori rispetto al resto, che dovrebbe essere aperta al più presto possibile, magari entro la fine dell’anno. Il carcere di Enna attualmente ospita 180 detenuti, con l’apertura del nuovo padiglione, si prevede non solo un leggero aumento dei detenuti, ma una sistemazione più razionale degli stessi, che attualmente vivono in celle sovraffollate “È una situazione che viene vissuta da me in due vesti - dice Fabio Granata - sia da politico ma soprattutto da professionista facendo io l’avvocato penalista e notiamo con notevole dispiacere il disinteresse verso le problematiche del carcere, perché i problemi dei detenuti nascono soprattutto dal problema strutturale, di organizzazione del carcere stesso, che il personale si fa in quattro ma obiettivamente ci sono carenze strutturali notevoli dal muro di cinta che da sei anni attende di essere ristrutturato che agli interni, all’umidità, alloggio e invivibilità. La polizia fa il massimo con uno straordinario permanente che è diventato ordinario con grandi difficoltà”. Vi è la necessità di aumentare l’organico e questo sarà un problema da affrontare prossimamente alla Camera con la presentazione di un ordine del giorno in cui si prevede l’immediato utilizzo del 30% delle somme destinate alle carceri per miglioramento e manutenzione delle strutture esistenti. Fabio Granata ha parlato delle urgenze relative il carcere di Enna, oltre all’apertura del nuovo padiglione, alla normale manutenzione, all’apertura della strada di via Palermo, dove c’è il pericolo di crollo del muro di cinta. Infine, l’onorevole Granata ha specificato che il partito di Fli è attento oltre al rispetto della legalità alle condizioni di vita sia degli agenti che dei detenuti. Il segretario provinciale di Fli, Alessandro Gravina, che ha da sempre attivato l’attenzione dell’onorevole Fabio Granata sul problema del carcere di Enna e c’è l’impegno di tutta la segreteria di attivarsi per affrontare altri problemi che riguardano gli ennesi. Il problema del carcere di Enna è una priorità importante per la città, per gli agenti di custodia, per i detenuti, costretti come sono a vivere una vita difficile. Rossano (Cs): il Sindaco; maggiore dialogo tra amministrazione comunale e carcere www.sibarinet.it, 11 aprile 2012 É necessario promuovere percorsi di reale integrazione delle carceri con il territorio. Le istituzioni comunali debbono concretamente porsi in dialogo con le amministrazioni carcerarie. È quanto dichiara il primo cittadino Filippo Sero in merito al tragico, non unico, suicidio di Mauro Cosentino, avvenuto lo scorso venerdì (6 aprile) nel carcere di Rossano. Dichiarazione del Sindaco avv. Filippo Sero: “Apprendiamo con dolore del suicidio, avvenuto in carcere, dell’assistente capo di polizia penitenziaria Mauro Cosentino. Nel manifestare, anche a nome dell’Amministrazione comunale e dell’intera comunità cariatese, i sentimenti di solidarietà e di vicinanza alla famiglia di “Mauruzzo” e all’intero corpo di Polizia penitenziaria della Casa di reclusione di Rossano, non possiamo non interrogarci su questa tragica scomparsa. Proprio il profondo e doveroso rispetto dovuto all’uomo e al travaglio interiore che lo ha condotto ad un gesto così estremo pur inducendoci ad un silenzio partecipe della sofferenza che ha colpito la sua famiglia, non ci esime da alcune amare considerazioni. Non abbiamo elementi, almeno allo stato, per affermare un rapporto diretto tra il contesto carcerario e l’inaspettato epilogo di un dramma umano per il quale - come sempre di fronte a episodi così sconvolgenti - non si trovano parole adeguate. Non è, quindi, nostra intenzione azzardare conclusioni che sarebbero affrettate e superficiali. Ciò nondimeno il sacrificio di Mauro che, purtroppo, non rappresenta un episodio isolato nelle nostre carceri, richiama le istituzioni a prestare la giusta attenzione al mondo carcerario, ove con cadenza ormai quasi quotidiana si consumano drammi umani nel silenzio e nella sostanziale indifferenza dei più. In troppi, difatti, ancora oggi considerano il carcere “un mondo a parte” rispetto alla “società dei liberi” o al c.d. “mondo di fuori”. È a tutti nota la situazione drammatica in cui versano le carceri italiane e tra di esse la Casa di Reclusione di Rossano. È importante per noi che lo abbiamo conosciuto, ricordare Mauro che in quel “mondo a parte” ha servito lo Stato e, quindi, la collettività. Matera: l’Ugl avvia protesta contro l’apertura di una nuova sezione detentiva Ansa, 11 aprile 2012 Per protestare contro l’apertura di una nuova sezione nel carcere di Matera, che potrebbe portare a “criticità” nella gestione della struttura, l’Ugl-Polizia penitenziaria della Basilicata ha deciso l’astensione del personale di sorveglianza dalla mensa dell’istituto, “per poi scendere in piazza con un sit-in di protesta, il più presto possibile”. Il sindacato ha denunciato “disinteresse” e la mancanza di “un confronto serio e serrato tra amministrazione e parti sociali”. Lodi: la Pasqua dietro le sbarre per la comunità di Civesio Il Cittadino, 11 aprile 2012 La comunità di Civesio va in carcere per diffondere l’atmosfera della Pasqua. Con l’ammirevole finalità di trasmettere e far vivere un può di gioia pasquale ai detenuti, la casa di reclusione di Opera, nella mattinata di sabato 7 aprile, ha aperto le sue porte a una delegazione di residenti. Ad avere accesso alle quattro mura, nondimeno ospitanti i maggiori esponenti del crimine italiano, la comunità credente di Civesio, composta, in questo caso, dai membri del coro parrocchiale della frazione, condotta da don Antonio Loi, sacerdote della limitrofa Sesto Ulteriano, promotore dell’iniziativa. Presente nell’occasione anche Andrea Petruzzella, vicepresidente del Comitato cittadino locale. “Dopo un accurato controllo iniziale, come previsto da regolamento, e una rapida visita ai locali interni, siamo stati accompagnati nel salone principale (il teatro, ndr) dove poco dopo si sarebbe dovuta celebrare la Santa Messa di Pasqua, di fronte a un cospicuo numero di presenti”, riferisce Petruzzella. La funzione è stata officiata, oltre che da don Antonio Loi (il quale svolge altresì attività di recupero presso la medesima struttura carceraria) anche da don Antonio Mazzi, fondatore di Exodus, importante realtà di carattere sociale e volto noto televisivo, a seguito delle svariate presenze in programmi sportivi. Durante il rito religioso don Mazzi ha improntato le sue riflessioni sulla differenza che c’è tra la giustizia terrena e quella divina, rammentando che Dio giudica in maniera differente rispetto agli uomini. Una divertente parentesi è stata inoltre aperta nei confronti del premio, ricevuto di recente, alla festa del Perdono di Melegnano da parte di don Mazzi. Ad avvicendare il suono delle parole, i soavi brani cantati dal coro di Civesio che, diretto da Alessandra Chiesa, ha confortato le anime - in un certo senso tormentate - in sala. “È stata una esperienza costruttiva - osserva Petruzzella. Credo che tutti, ospiti e ospitanti, abbiano potuto comprendere nella circostanza il vero senso di questa ricorrenza religiosa: del passaggio dalla morte alla vita, simbolo di rinascita e cambiamento. Non è escluso che non si possano programmare altre giornate di questo tipo”. Stati Uniti: e-book per rompere il muro del silenzio sul caso di cinque cubani detenuti www.informazione.it, 11 aprile 2012 Un libro digitale di poesie, creato attraverso la selezione di un concorso letterario di solidarietà, organizzato dal sito web italiano quintavenida.it, per rompere il silenzio sul caso dei cinque cubani detenuti negli Usa da oltre 13 anni. Poche persone in Italia conoscono il caso dei Cuban Five, i cinque cubani. Antonio Guerrero, René Gonzalez, Gerardo Hernandez, Ramon Labañino e Fernando Gonzalez, sono appunto cinque cubani incarcerati da oltre 13 anni nelle prigioni statunitensi, con pene variabili da caso a caso fino all’ergastolo. La loro colpa? Gli Stati Uniti li accusano di essersi infiltrati nel loro territorio e di aver attentato alla sicurezza nazionale. I cinque si difendono dicendo che sì, si sono infiltrati nel territorio statunitense, ma solo per scoprire e sventare i piani terroristici contro Cuba, da parte delle organizzazioni cubano - americane della Florida. A prima vista, potrebbe sembrare un caso semplice. Molti giornali li definiscono con l’aggettivo “spie” o “agenti dello stato cubano”. In realtà le pseudo prove del “processo farsa” che si è tenuto in Florida non hanno mai dimostrato che i Cinque cubani hanno “attentato alla sicurezza nazionale”, nonostante questo sono state inflitte delle condanne “esemplari”. Ci sarà un motivo se pure Amnesty International, non certo “clemente” di solito con Cuba, si sia mossa in questo caso, chiedendo al Governo degli Stati Uniti di revisionare il processo contro i Cinque Cubani. Se i mezzi d’informazione italiani ed europei sono sempre pronti a sottolineare gli aspetti negativi di Cuba, questo caso è passato invece sotto silenzio assoluto, tanto che la stessa Cuba si è dovuta muovere (come sempre) da sola, con l’aiuto di vari gruppi sparsi nel mondo che hanno provato a diffondere autonomamente le notizie ufficiali provenienti dagli Usa e da Cuba stessa. “Da tempo mi chiedevo cosa potessi fare per rompere questo muro di silenzio che c’era attorno al caso dei Cinque Cubani, finché non ho avuto l’idea di lanciare un concorso di poesie sul Web-Container www.quintavenida.it, con l’unico obiettivo di far conoscere questa storia attraverso il contributo poetico dei concorrenti”, dichiara Stefano Guastella, collaboratore del Portale Quintavenida. Il 22 giugno del 2011, è quindi partito un originale concorso letterario, intitolato “5 poesie a ognuno dei Cinque” che attraverso varie fasi arriva oggi al suo culmine: “L’unico premio per i partecipanti in gara era quello della pubblicazione su Quintavenida delle poesie vincitrici. Il concorso ha coinvolto circa 50 concorrenti, sparsi tra Italia, Brasile e Cuba, con oltre 120 poesie in gara. Tutto ciò ha portato alla selezione di 25 poesie grazie al lavoro di una giuria italiana e di una cubana”. Le 25 poesie vincitrici sono state tradotte in spagnolo o in italiano da Stefano Guastella e da Monica Palozzi, dell’Associazione Culturale Pragmata e tutti gli articoli che si sono susseguiti su Quintavenida, che facevano il punto sul concorso e contemporaneamente aggiornavano sul caso dei Cinque, sono stati visitati da migliaia di lettori, mentre la stessa Ambasciata di Cuba in Italia ha seguito con attenzione il concorso. “È stato un lavoro epico, che si è concluso dopo quasi un anno dall’invito alla partecipazione lanciato attraverso il nostro portale. Devo ringraziare tutti i membri della giuria italiana, Alessia e Michela Orlando, Monica Palozzi, Paolo Franchini e Carlo Cavalli (Joe Perfiumi) e i membri della giuria cubana, Melaneo Maden Betancourt, Miguel Ángel Martínez Sarduy, Edurmann Mariño Cuenca e Yuladis Rodríguez Borges. Un ringraziamento speciale va al Maestro Francesco Guerrieri, che ha messo due poesie fuori concorso a nostra disposizione per arricchire l’e-book”. Da oggi tutti possono scaricare gratuitamente, attraverso Quintavenida, l’e-book “5 poesie a ognuno dei Cinque”, con le 25 poesie vincitrici, tutte in doppia lingua, italiano e spagnolo. Prima di lasciarci, Stefano Guastella fa un’ultima considerazione: “Il libro esce in coincidenza con una data particolare. Oggi, 11 aprile, il nostro collaboratore David Pellegrini consegnerà il Premio Quintavenida Tricolore allo Storiografo della Uneac cubana Humberto Rodriguez Manso. Adesso il libro sarà stampato in un numero limitato di copie e sarà consegnato alle famiglie dei cinque cubani. Spero che il messaggio poetico del libro, espresso grazie ai concorrenti, possa rompere questa barriera di silenzio e ridare libertà ai cinque cubani, permettendo loro di tornare nella loro patria”. Medio Oriente: Unione Europea chiede ad Hamas di bandire la pena di morte a Gaza Tm News, 11 aprile 2012 L’Unione Europea ha chiesto oggi ad Hamas, il gruppo estremista al potere nella Striscia di Gaza, di mettere al bando la pena di morte, dopo l’annuncio di sabato di tre esecuzioni eseguite nel territorio palestinese. Sabato Hamas ha detto di aver impiccato un palestinese accusato di “collaborazionismo” con Israele, e altri due uomini accusati di “complicità in omicidio”. “Le autorità de facto di Gaza devono evitare di giustiziare i detenuti, e devono invece conformarsi alla moratoria de facto sulle esecuzioni applicata dall’Autorità Palestinese”, afferma un comunicato dell’Unione Europea. Iraq: parlamento Kurdistan approva legge amnistia generale Tm News, 11 aprile 2012 Il Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno ha approvato ieri, in una seduta a porte chiuse, un decreto legge di amnistia generale: stando a quanto ha riportato l'agenzia di stampa locale "Akanews" il presidente del Parlamento, Arsalan Paes, ha affermato che "la decisione di tenere una seduta non pubblica si è resa necessaria per la delicatezza della questione"; l'amnistia tuttavia non include i detenuti condannati per reati di terrorismo, per delitti di onore e per traffico di stupefacenti. Inoltre la nuova legge riduce la pena di morte alla pena dell'ergastolo. Libia: Saif al Islam; voglio essere processato in patria Tm News, 11 aprile 2012 Il figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, Saif al Islam, ricercato dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini contro l'umanità, vuole essere processato in Libia, anche a costo di essere giustiziato. E' quanto ha dichiarato oggi il cancelliere del Cpi, riferendo di di un incontro del 3 marzo di Saif al Islam a Zenten, dove è detenuto a 180 chilometri a sud di Tripoli, con un rappresentante dell'ufficio Difesa del tribunale dell'Aia e un rappresentante della Procura generale libica. "Said ha detto: 'Spero di essere processato qui nel mio Paese, che mi giustizino o no', ha raccontato il cancelliere del Cpi citando l'incontro che figura in un rapporto del 5 marzo reso pubblico oggi. "Il cancelliere ha avuto l'impressione che Gheddafi giocasse la parte a favore del procuratore (libico, ndr)" nel corso dell'incontro, ha tuttavia sostenuto il cancelliere, ricordando che la Libia vuole processare Saif. Saif al Islam, 39 anni, arrestato il 19 novembre nel sud della Libia, è sotto un mandato d'arresto del Cpi, per crimini contro l'umanità commessi durante la repressione della rivolta popolare che si è trasformata in guerra civile. Tripoli ieri aveva respinto una decisione del Cpi che gli chiedeva di consegnare "immediatamente" Saif. Detenuto da dei rivoluzionari libici, Saif al Islam dovrebbe essere trasferito nel carcere di Tajoura, 22 chilometri a sud di Tripoli, la cui costruzione dovrebbe essere terminata entro due mesi, ha precisato il cancelliere, basandosi su "informazioni ricevute" dalle autorità libiche. Sudafrica, mamme e bambini insieme nel carcere Pollsmoor au Cap Tm News, 11 aprile 2012 Il piccolo Chippa ha un anno e gioca con la mamma, circondato da altri bambini in una stanza piena di colori. Non siamo in un asilo, ma nel carcere di Pollsmoor au Cap, in Sudafrica, il primo nel Paese ad aprire una sezione dedicata alle detenute con figli. Una rivoluzione per Unathi, condannata a cinque anni per traffico di droga, che ora può assistere il suo piccolo non più chiusa in una piccolissima cella. "Prima, durante il giorno, si guardava la televisione: alle sette me lo toglievano e ci chiudevano in cella". Crescere in carcere è difficile per un bambino così piccolo: manca la luce, la vista e il tatto si svuluppano con difficoltà. Nelle carceri sudafricane vivono 70 bambini e Pollsmoor ha aperto la strada ad altre sezioni simili, come è successo a Durban. "L'obiettivo finale - spiega il capo del dipartimento della Sanità - è far uscire di qui mamme e bambini. Per ora siamo riusciti ad accogliere quelli più piccoli di due anni, ma tutto dipende dal sostegno fuori dal carcere". L'incubo per le carcerate è la separazione dai figli, che terrorizza Unathi, che presto dovrà affrontarla. "Sarà dura - dice triste - siamo abituati a stare insieme". La speranza è che la sezione del carcere per le mamme sia solo l'inizio di un percorso fuori dalla prigione, per queste donne e soprattutto i loro bambini.