Giustizia: Opg verso la chiusura, ma dalle Regioni nessun progetto per accoglienza internati di Luca Attanasio La Repubblica, 10 aprile 2012 Mercoledì 31 marzo è scaduto il termine entro il quale le Regioni si sarebbero dovute dotare di un piano di accoglienza delle 1.400 persone rinchiuse negli Opg (gli ospedali psichiatrici giudiziari) che - in teoria - il prossimo 1° febbraio 2013 dovrebbero definitivamente chiudere. Il 31 marzo scorso scadeva il termine entro cui regioni ed enti locali si sarebbero dovuti dotare di piani per l’accoglienza degli internati degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) italiani. Entro il 1° febbraio 2013, infatti, tutte le strutture presenti in Italia dovranno chiudere. Ad oggi, però, non è stato presentato alcun progetto. Il presidente del Forum per la Salute in Carcere e la rappresentante della Caritas Diocesana di Roma, membro della Consulta regionale per la Salute Mentale, lanciano l’allarme. Immagini dall’inferno. Molti italiani hanno ancora negli occhi le immagini da girone dantesco raccolte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale e trasmesse nella puntata di Presa Diretta del 20 marzo 2011. Si vedevano gli ospiti di alcuni dei sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari dislocati nel territorio italiano in condizioni di assoluta privazione dei diritti elementari, reclusi in complessi fatiscenti che ricordavano più prigioni medioevali che strutture moderne di riabilitazione sanitaria e sociale, impossibilitati a difendersi, senza contatto con l’esterno. Pur non sembrando tali, sono esseri umani, alcuni finiti lì dentro per meri errori giudiziari, condizioni di povertà estrema, serie di sfortunati eventi. Altri entrati sani di mente e divenuti pazzi dopo anni di segregazione, altri ancora, certamente colpevoli, ma mai meritevoli di simili esistenze. Un’anomalia nell’anomalia. Gli Opg, ex manicomi criminali, sono l’anomalia nell’anomalia di un sistema carcerario italiano noto per le sue strutture al collasso, un terzo di detenuti in attesa di giudizio e tasso di suicidi, anche tra le guardie carcerarie, in costante aumento. A scrivere, almeno teoricamente, la parola fine al mix esplosivo di mala-giustizia, ingiustizia e mala-sanità rappresentato dagli Opg, ci ha pensato la legge n° 9 del 17 febbraio 2012, che fissa entro il 1° febbraio 2013 la loro definitiva chiusura e il successivo ingresso in nuove strutture dei circa 1.400 ospiti. Entusiasmo non motivato. Ma i toni trionfalistici usati negli ultimi tempi riguardo questa misura, non sembrano affatto giustificati. Innanzitutto, entro il 31 marzo scorso, le regioni avrebbero dovuto fornire un piano dettagliato di accoglimento degli internati e a tutt’oggi di strategie, non vi è la minima traccia. “Poi - denuncia Daniela Pezzi, Caritas Diocesana di Roma - il grosso timore di molti degli operatori del settore è che, dato il ritardo nel pianificare metodi e provvedere a complessi di accoglienza, ci si ritrovi a marzo del prossimo anno con strutture forse più decorose, ma che perpetuano la logica manicomiale criminale”. Per questo, associazioni come Stop Opg parlano di “riduzione del danno”, non di reale soluzione e invitano a riflettere sul cambiamento totale di prospettiva che una nuova legislazione dovrebbe comportare. Quanti sono, dove sono. “Bisogna mutare radicalmente la cultura riguardo queste strutture e ribaltare il concetto secondo cui viene prima la pena della cura”, dice Fabio Gui, segretario generale del Forum che dal Convegno Nazionale di Firenze. Gli Opg in Italia, se si esclude Solliccianino (Fi), una struttura penitenziaria che si occupa anche di sanità mentale, sono sei. Due di questi sono in Campania (Aversa e S. Eframo (Napoli); uno in Emilia (Reggio Emilia); un altro in Toscana (Montelupo Fiorentino), uno in Lombardia (Castiglione delle Stiviere) e uno in Sicilia (Barcellona Pozzo di Gotto). Ad un passo dalla svolta. “In linea di principio, la questione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, paradossalmente, non è mai stata tanto vicina ad una svolta - spiega il Senatore Roberto Di Giovan Paolo, Presidente del Forum per la Salute in Carcere - per la prima volta ci si prefigge di superare il concetto di cura subalterno alla pena e si chiama in causa, per attuare la riforma, il Ministero della Salute. Ci preoccupa, però, che le regioni tardino a presentare un piano; la situazione, se non si fa qualcosa, resterà esattamente come la si è vista in quel documentario di Presa Diretta”. Fortezze medicee (Montelupo Fiorentino), castelli medioevali (Aversa), complessi cadenti (Barcellona Pozzo di Gotto): le strutture che oggi ospitano i 1.400 detenuti psichiatrici riportano il sistema penitenziario italiano indietro di secoli. “Sono i nuovi luoghi dell’orrore - riprende Pezzi. Un microcosmo in cui alla durezza della vita in carcere si aggiunge la segregazione di un’esistenza in manicomio”. “Secondo la nostra indagine - conclude Di Giovan Paolo - almeno 200 detenuti negli Opg dovrebbero essere rilasciati immediatamente; altri hanno diritto a godere dei benefici di legge”. La corsa contro il tempo. La nuova legge di riforma carceraria stanzia 180 milioni (120 nel 2012 e 60 nel 2013) per la realizzazione o la riconversione delle strutture penitenziarie. Secondo gli esperti, con le risorse destinate agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, si potrebbe giungere finalmente al superamento definitivo di queste strutture e puntare a una reale riforma del sistema carcerario psichiatrico. Giustizia: chiusura degli Opg… non è un buon inizio. Allarme di Psichiatria Democratica Comunicato stampa, 10 aprile 2012 Le notizie pubblicare dal Sole 24 Ore sulla bozza riservata che fisserebbe i “requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” delle strutture destinate a sostituire gli attuali Opg in base alle Legge n. 9 del 17.2.2012, destano grande allarme e preoccupazione assai forte in Psichiatria Democratica (Pd) per l’ipotesi di una gestione privata - anche imprenditoriale - delle strutture, per le loro dimensioni come pure per alcune per interpretazioni sulla natura di queste strutture. Psichiatria Democratica , anche in questa occasione, ribadisce la propria contrarietà e opposizione netta, ferma e decisa a formulazioni che, se approvate, stravolgerebbero spirito e lettera della Legge. Tutto l’impianto della legge attribuisce ai Dipartimenti di Salute Mentale un ruolo centrale nella gestione dei soggetti sottoposti a misura di sicurezza laddove stabilisce la “gestione sanitaria” delle strutture di accoglienza e che “le persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose devono essere, senza indugio. dimesse e prese in carico, sul territorio, dai Dipartimenti di Salute Mentale”. È ovvio, considerato che in qualunque momento può essere richiesta la revoca anticipata della misura di sicurezza, che il ruolo dei Dsm non si espleta unicamente verso quei soggetti che hanno scontato il periodo minimo di durata della misura di sicurezza o che già si trovano in regime di proroga. Il Dsm è, nei fatti, responsabile del progetto terapeutico-riabilitativo per la dimissione di qualunque soggetto sottoposto a misura di sicurezza, è l’interlocutore istituzionale in ogni fase dell’iter del percorso giudiziario del soggetto autore di reato quindi tanto del giudice che della magistratura di sorveglianza. Appare quindi gravemente contraddittorio ed inaccettabile che la gestione delle strutture sanitarie destinate ad accogliere soggetti in misura di sicurezza possa essere affidata in toto, come sembra evincersi, ad un privato. Cosa ben diversa è se la gestione delle strutture, per es. per gli aspetti alberghieri, sia affidata dal Dsm titolare a terzi o che questi, forniscano, come già spesso avviene, personale per l’attuazione dei programmi formulati dai Dsm: questi aspetti vanno ben chiariti nel Regolamento anche per evitare che si crei il grave precedente, non previsto dalle nostre leggi, di strutture detentive, sia pure sui generis, gestite da privati. Per Psichiatria Democratica, insomma, la centralità del Servizio pubblico resta il fulcro dell’intera legge: la titolarità dei Dsm è fondamentale e ineludibile in qualsivoglia progetto di presa in carico. Come pure deve essere ben ribadita, secondo Pd, la “esclusiva gestione sanitaria all’interno delle strutture”: questo nulla ha a che vedere con l’applicazione del regolamento penitenziario quasi che questo fosse necessitato dalla misura di sicurezza. Già oggi la misura di sicurezza si può scontare in ambienti diversi dall’Opg, per es. agli arresti domiciliari anche presso strutture nelle quali ovviamente non si applica il regolamento penitenziario. Oltremodo peregrino è, pertanto, il richiamo al codice penale o a presunti automatismi regolamento penitenziario/ misura di sicurezza e speriamo che si tratti solo di una infelice sintesi delle posizioni degli esperti ministeriali. L’altro aspetto che suscita perplessità è quello delle dimensioni delle strutture: si parla di 20 - 30 posti. Gli “ulteriori requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi” sono da determinare con riferimento al Dpr 14.1.1997 che fissa gli standard per le strutture residenziali psichiatriche indicando in 20 il numero massimo dei posti letto. Questo limite appare, per Psichiatria Democratica, già eccessivo, dovendo le strutture conservare il carattere delle civili abitazioni, quindi le ulteriori specificazioni dovrebbero determinare standard più ridotti e non il contrario. In questo senso Psichiatria Democratica si è espressa fin dall’inizio del dibattito sul superamento degli Opg, avendo avuto modo di ribadire questa nostra posizione anche nel corso della recente audizione presso la Commissione di Inchiesta sulla efficienza ed efficacia del Ssn. Il 3 aprile, difatti, dove abbiamo anche denunciato, al Senato, allarmanti segnali (proprio nel senso delle modifiche annunciate) per l’attivismo registrato da parte di grandi strutture psichiatriche private per accogliere gli ex internati (ovviamente tutto questo non può avvenire senza il consenso dei Dsm che ne porterebbero comunque la responsabilità): per questo abbiamo invitato la Commissione a vigilare sulle modalità di applicazione della legge. Se venissero approvate le modifiche annunciate si aprirebbe una deriva neo-manicomiale che certamente la legge non auspicava: d’altra parte l’allarme è giustificato perché l’esperienza della gestione privatistica delle strutture psichiatriche, tanto nel passato che anche oggi, si è sempre tradotta in cronicizzazione e separatezza prevalendo gli interessi economici dei gestori su quelli di cura e riabilitazione del paziente. Il Regolamento è determinante non solo per l’applicazione della Legge per determinare le caratteristiche delle nuove strutture e il destino dei soggetti che continueranno, per ora, ad esservi ospitati ma anche per favorire modifiche legislative future: come Pd ha da sempre sostenuto queste strutture non saranno nuovi manicomi (mini - opg) e le persone ivi ricoverate pazienti e non internati, se avranno piccole dimensioni, una gestione affidata ai Dsm trasparente e in cui gli aspetti sanitari, come impone la legge, siano i prevalenti. Strutture così organizzate contribuiranno a favorire quella modifica dei codici in materia di imputabilità e misura di sicurezza auspicata dall’ordine del giorno (Miotto e altri) approvato dal Parlamento insieme alla Legge oltre che da tante espressioni della società civile. Giustizia: Farina Coscioni (Radicali); riforma Opg già disattesa prima di essere attuata Agenparl, 10 aprile 2012 “Già disattesa, prima ancora di essere attuata? La legge che sancisce lo smantellamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari da attuarsi per la fine di marzo del 2013, fissa anche per il 31 marzo 2012 il termine per l’emanazione del Decreto di natura non regolamentare, da parte del Ministero della Salute, di concerto con il ministero della Giustizia e d’intesa con la Conferenza Stato-Regione. Una scadenza disattesa, dal momento che solo nei giorni scorsi si è cominciata a profilare un avvicinamento tra le divergenti posizioni del ministero e delle regioni. Occorre chiarire fin da subito aspetti nient’affatto secondari: chi garantirà, e come, la sicurezza e la necessaria vigilanza delle strutture sanitarie destinate a sostituire gli Opg? Dal momento che l’orientamento, lo si ricava da una convergenza di precisi segnali, sembra essere quello di appaltare a privati le strutture, sarebbe opportuno predisporre opportune garanzie di cui, finora non si vede traccia. Dalle informazioni di cui siamo in possesso risulta ancora indeterminato chi deciderà l’assegnazione alle varie sedi; chi sarà l’interlocutore del magistrato di sorveglianza che deve valutare le condizioni dei pazienti. Il rischio, peraltro subito paventato, è che, come anni fa aveva previsto e denunciato Franco Basaglia per la riforma degli istituti psichiatrici che arbitrariamente porta il suo nome, si perfezioni ulteriormente l’inganno di una riforma-manifesto che non si sa come sostanziare, non essendo finora state le energie, i mezzi, le risorse, il personale. Si tratta di ineludibili questioni chiave che non possono e non devono essere ulteriormente eluse. Ed è quanto chiedo al Governo con un’interrogazione urgente”. Lo dichiara Maria Antonietta Farina Coscioni, deputata radicale e presidente onorario dell’Associazione Luca Coscioni. Giustizia: Ferranti (Pd); situazione del personale penitenziario da affrontare al più presto Agenparl, 10 aprile 2012 “La situazione dei suicidi in carcere è veramente allarmante . Dietro ogni scelta così drammatica vi è un caso umano difficile da scandagliare e perciò mi sembra un po’ frettoloso e poco prudente ricercare le cause del gesto nel diniego della proroga del distacco. La questione del personale penitenziario, le condizioni di lavoro sono e devono essere al più presto in maniera sistematica affrontate ..sul punto sarebbe interessante avere notizie sui risultati del lavoro della Commissione istituita presso il Dap e presieduta dalla dott.ssa Matone, nonché sulla Unità di monitoraggio ricostituita recentemente dal presidente Tamburino dirigente del Dap”. Così all’Agenparl, l’On Donatella Ferranti capogruppo Pd commissione Giustizia sulle dichiarazioni rese questa mattina da Gennarino De Fazio della Direzione Nazionale della Uil-Pa Penitenziari. Giustizia: detenuto semiparalizzato in cella aspetta solo di morire di Alberto Custodero La Repubblica, 10 aprile 2012 L’incredibile condizione di Vito Marciaracina, un recluso di 76 anni condannato all’ergastolo che sta scontando a Bari, le cui condizioni di salute - stando ad una perizia del Tribunale - risultano gravissime. Pur tuttavia, una neurologa, pur elencando le diverse patologie, sostiene che l’uomo non è in pericolo di vita, dunque deve restare in carcere. Un’interrogazione parlamentare. È il caso di Vito Manciaracina, 76 anni, ristretto nel carcere di Bari, in una situazione disumana. Fra i tanti detenuti anche molto malati, è senz’altro il carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia. A denunciare il suo stato, diventato ora anche un caso politico dopo un’interrogazione parlamentare dei radicali, del resto, non sono i familiari o l’avvocato, che in casi del genere hanno tutto l’interesse a strumentalizzarne le precarie condizioni di salute per ottenerne la liberazione. Ma è una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Bari. Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli, inspiegabilmente, i domiciliari. E lasciandolo, di fatto, in uno stato di detenzione ai limiti della dignità umana: immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie. Lo accudiscono i detenuti. Sono gli stessi detenuti, denuncia il suo avvocato Debora Speciale, “ad accudirlo per pietà, per quanto possono, ma col risultato che Manciaracina vive come un barbone in cella, sporco, maleodorante, le piaghe di decubito”. Ecco come il medico legale del Tribunale - la neurologa del Policlinico barese Elena Tripaldi - riassume il quadro clinico dell’uomo, portato in carcere nel 2008 per scontare l’ergastolo nonostante fosse già allora semiparalizzato. Le sue gravi patologie, va detto, cominciano molto tempo prima della detenzione, ma peggiorano dopo l’ingresso in prigione. Un’invalidità del 100%. “In seguito ad un ictus subito nel 1994 - si legge nella perizia medico legale - Manciaracina ha la parte sinistra del corpo (faccia, braccio e gamba), paralizzata”. Il distretto sanitario di Mazara del Vallo lo ha riconosciuto invalido al 100 per cento nel 2002: “Deficit neurologico grave a sinistra. Deambulazione autonoma impedita. Incontinenza urinaria. Necessita di sedia a rotelle”. Il quadro clinico già precario dieci anni fa, s’è ulteriormente aggravato nel tempo. Il corpo di Manciaracina è aggredito da un tumore alla prostata, che gli viene asportata: durante l’intervento chirurgico, il detenuto ha un arresto respiratorio e poi un arresto cardiaco da shock emorragico. Il cuore è minato da una cardiopatia ipertensiva. L’uomo crolla in depressione, e viene sottoposto ad una terapia farmacologica. Venti ore al giorno su una barella. Questa la sua condizione nel momento in cui la polizia penitenziaria si reca a casa sua, nel 2008, a Mazara del Vallo, per portarlo nel carcere di Bari. Ma proprio quando l’uomo è tradotto in carcere, iniziano violente crisi epilettiche che gli impediscono praticamente di stare seduto sulla sedia a rotelle, costringendolo 20 ore al giorno inchiodato immobile su una barella. Come accenna ad alzarsi, è aggredito dall’epilessia, alla quale si aggiungono “ernie discali multiple”. La situazione in cella precipita. La dose massiccia di farmaci che ingerisce gli intossica lo stomaco, procurandogli nausea e vomito continuo. “In stato pseudo demenziale”. Lo psichiatra che lo visita diagnostica “un atteggiamento a tratti pseudo demenziale”. La vita clinica del detenuto è ricostruita nei minimi dettagli dalla specialista Tripaldi che, ad un certo punto della sua relazione, annota: nel 2009 le autorità carcerarie sono costrette ad emettere “un ordine di servizio per disporre la grande sorveglianza del detenuto, per gravi problemi di adattamento alla vita carceraria, per rischio suicidario e autolesionistico”. Quando il medico legale del Tribunale lo visita dopo averne ricostruito l’anamnesi, gli diagnostica una “piaga di decubito sacrale” provocata dalla eccessiva permanenza in posizione orizzontale sulla barella. “Non è in pericolo di vita, che resti in carcere”. Registra nel verbale il perito: necessita di “pannolone per incontinenza sfinterica” e trova il detenuto settantaseienne “estremamente trascurato in generale e nell’igiene personale, barba e capelli lunghi incolti”. “Negli ultimi mesi - annota ancora il perito - s’è aggiunta gastrite atrofica erosiva e stenosi pilorica”. Nonostante questo quadro clinico sconcertante, la neurologa conclude la sua relazione per il Tribunale ritenendo (incredibilmente) il paziente idoneo alla vita carceraria. “Manciaracina non è in pericolo di vita - asserisce la specialista - le sue sono patologie gravissime, ma croniche, e in carcere, del resto, è ben curato”. La contraddizione. Ma non deve essere poi così ben curato, se la stessa Tripaldi, nella stessa relazione, ammette che “un pò di riabilitazione quotidiana potrebbe avere una ricaduta positiva sulla sindrome da immobilizzazione e prevenire le piaghe di decubito, il trofismo muscolare, la stipsi”. E le crisi epilettiche? “Di per sé - spiega ancora la Tripaldi - non aumentano la probabilità di mortalità”. E la forte depressione curata con una dose massiccia di farmaci? “Indubbiamente - ammette la Tripaldi - il detenuto vive il proprio stato con disagio psicologico”. “Però - aggiunge - come per ogni essere umano, tocca a lui volere stabilire se incrementare il proprio benessere fisico e mentale”. L’interrogazione parlamentare. La vicenda di Manciaracina è ora diventata un caso politico, con un’interrogazione parlamentare presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini al ministro della Giustizia Paola Severino. “Una recente sentenza della Cassazione - spiega Bernardini - afferma che “il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza. Sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari”. Perché, dunque, nel caso di Manciaracina non è stato applicato questo principio giuridico sancito dalla Suprema Corte?”. Giustizia: alla Camera prosegue confronto su disegno di legge per pene non carcerarie Asca, 10 aprile 2012 La Commissione Giustizia riprende domani l’esame, avviato nei giorni scorsi con un’ampia relazione di Donatella Ferranti del Pd, di uno dei provvedimenti contenuti nel cosiddetto “pacchetto Severino” per attenuare l’emergenza determinata dal sovraffollamento carcerario e avviare una deflazione nell’ingorgo del sistema penale. Si tratta del Ddl 5019 che in 7 articoli delega al Governo una serie di iniziative in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. La sospensione del provvedimento e la messa in prova è prevista solo per reati contravvenzionali, con sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore a 4 anni. La Commissione dovrà decidere in merito alla richiesta, formulata dalla stessa Ferranti, di approfondire l’esame procedendo ad audizioni di professori di diritto penale e di diritto processuale. Giustizia: Fnsi e Diritti Umani; giovedì a Roma presentazione dossier su carceri e Cie Adnkronos, 10 aprile 2012 Giovedì alle 11, presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), sarà presentato il rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti, a cura della Commissione Diritti Umani del Senato. “Il rapporto - si legge in una nota dell’Fnsi - dedicato alla figura di Antonio Cassese, è stato approvato con il voto unanime di tutti i gruppi parlamentari il 6 marzo 2012”. “Nel 2011 su un totale di 186 persone decedute nei penitenziari italiani 63 sono stati suicidi - ricorda la nota - Un numero elevato dovuto anche al fatto che l’Italia è agli ultimi posti in Europa nel rapporto fra detenuti e posti in carcere. A fine febbraio, su una capienza complessiva di 45.742 posti, nelle carceri italiane i detenuti erano 66.632, di cui solo 38.195 con condanna definitiva”. “Di questo e di altri temi - si precisa - come quello degli immigrati nelle carceri e nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), dei bambini reclusi con le detenute madri e della necessità dell’introduzione del reato di tortura parleranno Pietro Marcenaro, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, e Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana”, conclude la nota. Giustizia: Clemenza e Dignità; Costituzione unico punto fermo per trattamento detenuti Il Velino, 10 aprile 2012 “Oggi, la pena è sofferenza pura, sofferenza dell’anima e anche del corpo. Questa può essere una concezione del tutto legittima ed insindacabile, ma non è esattamente l’idea delineata nella nostra Costituzione, che discute, invece, di pene tese alla rieducazione del condannato”. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. “Su questo aspetto, - prosegue - l’equivoco in cui è facile cadere, è pensare che la nostra Costituzione abbia voluto solo proporre una finalità di massima, senza voler plasmare contemporaneamente la nozione della pena”. “Difatti, come vedremo, - osserva - la pena per essere in grado di rieducare, deve essere, comunque, caratterizzata, oltre che dalla sofferenza e dal dolore, da degli ulteriori ed altrettanto importanti componenti.” “Per comprendere appieno lo spirito costituzionale, - spiega - è opportuno, quindi, soffermarsi proprio sul significato del termine rieducare. Il suo significato letterale, ovvero l’educare di nuovo, a dir la verità non dice molto, ma costituisce pur sempre un importante indizio”. “Difatti, - aggiunge - da qui, si evince subito la necessità di meditare il concetto dell’educazione, proprio quello che normalmente segna in particolar modo il momento dell’infanzia e pure dell’adolescenza”. “Ebbene tutti, ma proprio tutti, - sottolinea - converranno sul fatto che l’educazione di una persona, non possa essere caratterizzata solamente dalla componente della sofferenza e della punizione, ma occorrano anche degli ulteriori elementi. Occorre poter praticare delle attività fisiche, potersi impegnare negli studi, potersi impegnare in una attività lavorativa, poter seguire degli interessi, coltivare anche delle amicizie e degli affetti”. “A sentire, invece, - rileva - le ultime raccapriccianti notizie sulle carceri, si apprende addirittura che 16.000 persone ristrette sono soggette all’interno degli Istituti ad una sorta di contenimento chimico”. “In un momento così difficile, di grande confusione e smarrimento sulle carceri italiane, dopo essersi discusso a lungo di nuove strutture penitenziarie, di depenalizzazione, di riforme, e di provvedimenti di clemenza, senza, però, giungere mai a qualcosa di concreto e di risolutivo, l’appello - conclude - è pertanto quello di approfondire meglio e seguire l’unico punto fermo che ormai ci rimane, la nostra stella polare: la Costituzione”. Giustizia: Rosario Tortorella nuovo Segretario nazionale Sindacato direttori penitenziari Comunicato stampa, 10 aprile 2012 In Roma nella serata del sabato di Pasqua, 7 aprile 2012, si sono riuniti la Presidenza e la Segreteria del Consiglio Direttivo del Si.Di.Pe. che, prendendo atto delle motivate dimissioni presentate dal segretario nazionale dr. Enrico Sbriglia, hanno convenuto sull’esigenza di assicurare, senza soluzioni di continuità, l’operatività del sindacato, conferendo conseguentemente al Vicario, dr. Rosario Tortorella, le funzioni di Segretario Nazionale pro-tempore. Contestualmente sono state assegnate all’attuale segretario nazionale aggiunto, dr. Francesco D’Anselmo, le funzioni di Segretario Nazionale Vicario. La Segreteria Nazionale si rinnova, quindi, mantenendo continuità di azione e di obiettivi che restano: il riconoscimento pieno della figura del dirigente penitenziario, primo garante dei principi di legalità nell’esecuzione penale, ma ancora privato dei propri diritti per l’assenza del primo contratto di categoria che pure è previsto dalla legge; la promozione di una cultura sociale e penitenziaria del carcere e sul carcere che veda i dirigenti penitenziari protagonisti, per una reale affermazione di quei principi di legalità e di giustizia spesso solo affermati in vuote formule di stile da coloro che del carcere vogliono occuparsi per gli interessi più vari indossando i guanti della retorica, ma che non vivono, non conoscono, né comprendono il mondo penitenziario, le difficoltà ed i disagi degli operatori penitenziari e le spesso disperate condizioni di vita delle persone detenute. La nuova segreteria insieme alla presidenza formulano i più affettuosi e sentiti auguri al dr. Sbriglia per il nuovo prestigioso incarico di Dirigente Generale, confidando che nelle nuove funzioni possa continuare ad affermare quei principi di legalità, trasparenza, garanzia e rispetto dei diritti umani che il Si.Di.Pe. ha sempre promosso e che qualificano la figura del dirigente penitenziario d’istituto e di ufficio dell’esecuzione penale esterna. Il nuovo segretario nazionale, dr. Rosario Tortorella, convocherà a breve il Consiglio Direttivo del Si.Di.Pe. al fine di programmare la prossima agenda di iniziative sindacali, ivi compresa l’organizzazione di un Convegno che si vorrebbe tenere entro l’anno e che avrà come tema il Project financing penitenziario come possibile volano per la valorizzazione del personale penitenziario. Lazio: il Garante Marroni; 77 reclusi laziali nell’Opg di Aversa, verso la chiusura Asca, 10 aprile 2012 “Rassicurare i circa 80 internati residenti del Lazio e internati nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario Francesco Saporito di Aversa ed iniziare un giro d’orizzonte sulle problematiche di queste persone anche alla luce della scadenza del 31 marzo 2013 quanto, come previsto dal D.L. 22.12.2011 n. 211, gli Opg italiani verranno chiusi”. È stato questo il senso della visita compiuta dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni nell’Opg campano di Aversa. Ad Aversa il Garante ha incontrato la direzione dell’istituto, i responsabili della polizia penitenziaria e gli operatori della Asl che si assicurano il servizio all’interno della struttura. Successivamente Marroni ha visitato le sezioni ed ha incontrato alcuni reclusi. Gli internati attualmente presenti nell’Opg sono 182, di cui 77 quelli residenti nella Regione Lazio. Nel corso dei colloqui con la direzione e con i medici il Garante ha inteso fare il punto - in vista dell’imminente chiusura degli Opg - sulle procedure attivate per favorire la presa in carico degli internati da parte dei servizi sanitari locali che saranno ancora detenuti a 31 marzo 2013. Dalla visita sono emerse, in particolare, alcune criticità che dovranno essere affrontate dalle diverse Aziende Sanitarie Locali della Regione Lazio. Oltre ai nodi di carattere economico, legati alla situazione economico/finanziaria della sanità laziale, “vi sono problematiche di carattere logistico. Diversi internati sono anziani e più che questioni di natura psichiatrica presentono problemi geriatrici. Altri 20 degli attuali internati possono essere dimessi subito perché sono cessate le ragioni che imponevano le misure di sicurezza, ma non ci sono strutture che li possano accogliere”. “È una sfida coraggiosa e complessa quella che abbiamo assunto di chiudere gli Opg - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Per questo occorre adoperarsi affinché gli organi competenti (Regione, comuni, Asl) si facciano carico di come assistere queste persone. Bisognerà creare strutture sanitarie di accoglienza e fondamentale sarà la presa in carico delle Asl per garantire la continuità terapeutica. Queste visita all’Opg di Aversa è servita ad avere un quadro di quelle che sono le necessità più urgenti. In parallelo, abbiamo avviato una ricognizione per conoscere il numero di residenti della Regione internati in altri Opg e se, per costoro, è stata avviata la presa in carico da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale competenti. Un quadro che contiamo di completare al più presto e che rappresenteremo nella prossima riunione della Commissione regionale per il superamento degli Opg”. Lombardia: alla Regione un piano per il dopo Opg Asca, 10 aprile 2012 Stop agli Ospedali psichiatrici giudiziari e apertura di una tavolo con Regione, Asl e Aziende ospedaliere per individuare soluzioni di accoglienza e cura umane e dignitose e prospettive di reinserimento per chi ancora si trova internato nelle strutture esistenti in Italia. Parte da Milano il 4 aprile e dal convegno organizzato a Palazzo Marino “Stop Opg - Portiamoli a casa”, l’appello di rappresentanti delle istituzioni, parlamentari, consiglieri comunali e psichiatri per l’applicazione tempestiva da parte delle Regioni delle disposizioni contenute nella legge 9 del 17 febbraio 2012 (conversione del decreto legge 211/2011 “svuota carceri”), in base alle quali gli ospedali psichiatrici giudiziari devono essere chiusi entro il 31 marzo 2013 e per gli ex internati (1.400 persone in tutta Italia, una quarantina di milanesi), devono essere individuate e indicate, proprio dalle Regioni, strutture idonee all’accoglienza e alla cura. In particolare, la legge appena approvata prevede che ogni Regione debba provvedere alla creazione di nuove strutture residenziali psichiatriche, di carattere esclusivamente sanitario, dove trasferire le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici. Numerose le adesioni e gli interventi che si sono susseguiti in Sala Alessi: l’assessore alle Politiche sociali Pierfrancesco Majorino e i consiglieri comunali Ines Quartieri e Marco Cormio; il parlamentare Ignazio Marino, firmatario dell’emendamento al disegno di legge 3074 (conversione del decreto cd. “svuota carceri” n. 211 del 22 dicembre 2011), che ha permesso di fissare una data certa alla chiusura degli Opg; Antonella Calcaterra, avvocato penalista, patrocinante in Cassazione, consigliere della Camera penale di Milano; Stefano Cecconi, Cgil, Politiche della Salute e della Contrattazione sociale; Franco Rotelli, psichiatra, Presidente della Conferenza permanente della Salute mentale nel mondo “Franco Basaglia”; Luigi Benevelli, portavoce del Comitato Stop Opg di Mantova; Alberto Villa, rappresentante di Stopopg Lombardia; Peppe dell’Acqua, psichiatra e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste; Andrea Materzanini, psichiatra, direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’Ospedale Mellino Mellini e Don Virginio Colmegna, Fondazione Casa della Carità. “L’emendamento proposto dagli onorevoli Marino, Maritati e Casson, approvato nel contesto del disegno di legge svuota-carceri ha rappresentato un´indubbia conquista di civiltà - ha dichiarato l’assessore Majorino -in quanto prevede entro marzo 2013 la definitiva chiusura degli attuali ospedali psichiatrici giudiziari, strutture indegne per le condizioni di vita delle persone internate, come ampiamente documentato proprio dalla Commissione di inchiesta presieduta dal senatore Marino, e pone le premesse per il trasferimento certo dei 320 soggetti già dichiarati immediatamente dimissibili”. “A fronte di tutto questo - ha aggiunto Majorino - riteniamo quindi nostro compito, pur non avendo il Comune deleghe operative riguardo a questo problema, chiedere con forza a Regione Lombardia di ottemperare ai contenuti e alle scadenze indicate dalla legge, aprendo al più presto un tavolo specifico con Asl e Aziende ospedaliere per verificare le condizioni migliori di tutela e di reinserimento dei nostri concittadini ancora rinchiusi in queste strutture”. Sardegna: Caligaris (Sdr); manca progetto della regione su internati negli Opg Agenparl, 10 aprile 2012 “La Regione Sardegna è latitante in materia di tutela e reinserimento dei cittadini rinchiusi negli Opg del Continente. Lo conferma il costante ricorso, nonostante l’annunciata chiusura, agli Ospedali Psichiatrici Giudiziari quando i reati sono commessi da persone incapaci di intendere e di volere”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, richiamando la necessità di un concreto impegno della Regione per l’accoglienza delle persone con gravi problemi psichici. “La questione - sottolinea Caligaris - è strettamente legata al tema della Sanità Penitenziaria. È quindi indispensabile l’attivazione di un tavolo regionale con il contributo delle Aziende Sanitarie Locali e le Aziende Ospedaliere in modo che la cultura psichiatrica elabori progetti individualizzati per le cure delle persone attualmente rinchiuse negli Opg evitando improvvisazioni. La salute dei cittadini deve essere garantita con opportuni interventi in modo che sia salvaguardata la dignità delle persone senza però mettere in crisi gli equilibri sociali. Occorre inoltre considerare la necessità di avvicinare il più possibile ai familiari le persone con gravi disturbi”. “Trovare una soluzione non è facile anche perché non si possono creare sedi che riproducono in dimensioni ridotte le stesse condizioni di vita degli Opg. Occorre però promuovere iniziative concrete altrimenti non solo andranno persi i finanziamenti previsti per il personale e per le strutture ma soprattutto non si concretizzerà il superamento di un Istituto che si è rivelato un lager autorizzato all’uso della tortura”. “Non convince peraltro l’ipotesi dei tecnici del Ministero della Salute di affidare le nuove strutture sanitarie alternative agli pg al privato sociale o imprenditoriale. Non vorremmo che i fondi previsti (180 milioni di euro per le residenze; 38 milioni di euro per il funzionamento nel 2012 e 55 milioni a partire dal prossimo anno) costituissero l’unico obiettivo e la soluzione risultasse peggiore del male. Sarebbe paradossale - conclude Caligaris - dare vita a nuovi lager”. Molise: Petraroia (Pd); salute nelle carceri, bisogna assumere medici e infermieri Agenparl, 10 aprile 2012 La salute nelle carceri italiane è diventata competenza delle Regioni. E nei tre penitenziari del Molise - Campobasso, Isernia e Termoli - ci sono complessivamente 520 detenuti. Il consigliere regionale Pd Petraroia chiede di stabilizzare il personale medico-infermieristico in servizio fin dal 1993. Petraroia si appella, nella sua richiesta inoltrata a tutti gli organismi preposti alla materia, regionali e nazionali, alla normativa di riferimento e agli impegni assunti col Ministero, sostenendo che la Regione Molise si è sforzata di migliorare la situazione dal 2008 a oggi, aumentando le ore di attività del personale medico e infermieristico, ma avvertendo che gli infermieri in servizio presso i tre Istituti Penitenziari rischiano di non vedersi più prorogato il contratto di lavoro da parte dell’Asrem “per via di scelte gestionali dubbie e penalizzanti che non hanno inteso valorizzare la proficua, reiterata e positiva esperienza del personale in servizio a vantaggio di logiche incomprensibili e non condivisibili” “L’Asrem - esorta il consigliere - si ponga l’obiettivo di tutelare la salute dei detenuti, verifichi col Ministero di Giustizia, e con i Direttori degli Istituti Penitenziari se sono mai sorte difficoltà con gli operatori sanitari in servizio dal 1993 e in caso di conferma che ci si trova al cospetto di professionisti competenti, si proceda verso forme di stabilizzazione e non di licenziamento”. Calabria: Uil-Pa; gli agenti si suicidano e il provveditore regionale è part time Agenparl, 10 aprile 2012 A suicidarsi non sono solo i detenuti, ma anche gli agenti di Polizia Penitenziaria. Qualche giorno fa, a Rossano un assistente capo della polizia penitenziaria si è suicidato nella caserma del carcere utilizzando la pistola d’ordinanza. Solo qualche settimana fa, nello stesso carcere calabrese un altro agente della Polizia era salito sul tetto per protestare contro l’amministrazione penitenziaria. “Il problema riguarda soprattutto la mancanza di risposte rispetto all’organizzazione del lavoro del Corpo ed in Calabria si aggiungono dei problemi accessori - è quanto spiega all’Agenparl, Gennarino De Fazio della Direzione Nazionale della Uil-Pa Penitenziari - Circa due anni fa, si è suicidato il Provveditore generale delle carceri calabresi Paolino Quattrone, con le stesse modalità del collega che si è tolto la vita qualche giorno fa. Da quella data la sede è rimasta vacante e i provveditori che si sono succeduti non hanno avuto il tempo di fare dei progetti a lungo termine. Ad oggi, abbiamo un Provveditore “part - time”, perché ricopre lo stesso ruolo anche in Sardegna. Fatto è che il Dr. Gianfranco De Gesu in Calabria viene un paio di giorni a settimana, ma neanche tutte le settimane”. “Sul tema dei distacchi per servizio, il Provveditorato regionale sta adottando una nuova politica che tende a respingerli tutti” - spiega il sindacalista - anche l’assistente capo che si è tolto la vita pochi giorni fa era distaccato al carcere di Rossano, ma gli era stata rifiutata una proroga. Di fatti quella mattina aveva avvertito i familiari che si sarebbe recato a ritirare gli effetti personali che aveva lasciato nella stanza della caserma quando era rientrato a Cosenza. Dopo aver salutato i colleghi si è recato nella caserma e lì si è suicidato con la pistola in dotazione. Il collega a quanto pare aveva dei problemi familiari e di salute. Per cui al rifiuto del distacco si sono sommate tante altre cose”. Roma: un protocollo con la Camera del lavoro a tutela dei detenuti di Rebibbia Ansa, 10 aprile 2012 L’accordo permette alla Camera del lavoro di Roma Est di entrare nella casa circondariale per offrire servizi di consulenza e assistenza ai reclusi. È il primo esperimento del genere nel nostro paese. Un protocollo d’intesa che permette l’ingresso della Camera del lavoro di Roma Est nella casa circondariale di Rebibbia. Lo hanno firmato la Cgil Valle dell’Aniene, lo Sportello per i diritti promosso dall’associazione Antigone e la direzione del carcere. L’accordo introduce servizi di consulenza e assistenza per i detenuti su questioni di natura contrattuale, fiscale, contributiva, pregressa e attuale, a partire dal lavoro in carcere, che di recente lo stesso ministro della Giustizia ha riconosciuto essere questione cruciale, ma che viene retribuito secondo parametri fermi al 1993. Con la sottoscrizione del protocollo nel carcere di Rebibbia - primo esperimento del genere nel nostro paese - la Camera del lavoro offrirà ai detenuti la consulenza e l’assistenza da parte del patronato Inca, del Caaf e dell’Ufficio vertenze della Camera del lavoro. “Un accordo importante - spiega Ernesto Rocchi, segretario generale della Camera del lavoro Roma Est-Valle dell’Aniene -, perché oltre a offrire questi servizi alle famiglie dei detenuti nella vicina sede Cgil di via Ripa Teatina, prevede incontri di formazione e approfondimento sul diritto del lavoro rivolti ai detenuti e l’accesso periodico nell’istituto degli operatori della Camera del lavoro regolarmente autorizzati dal magistrato di sorveglianza di Roma”. Siracusa: “Coltivare la libertà”, progetto per detenuti in esecuzione penale esterna La Sicilia, 10 aprile 2012 È prevista per giovedì la presentazione del progetto “Coltivare la libertà”, presso la sede del Tribunale di Siracusa. Interverranno: dott.ssa Carla Frau, Magistrato di Sorveglianza dott.ssa Maria Corda, Direttore Uepe Giovanni Romano, Presidente Coop. Sociale L’Arcolaio. Il progetto è stato finanziato tramite “Avviso Pubblico n. 1/2011 per la realizzazione di progetti volti all’inclusione socio-lavorativa di soggetti in condizione di disagio ed esclusione sociale - Asse III Inclusione Sociale”. “Coltivare la libertà” è rivolto, infatti, ai soggetti in esecuzione penale esterna in carico all’Uepe di Siracusa e Ragusa. Prevede azioni di ricerca, orientamento ed accompagnamento fino a giungere ad un auspicato inserimento lavorativo delle persone coinvolte come utenti. “Coltivare la libertà” avrà una durata di due anni. La Cooperativa sociale l’Arcolaio ne è il soggetto proponente. Altri partner sono l’Associazione Econ.form (Modica), Hcc Kairòs S.r.l. (Ragusa), Cooperativa Sociale A. Portogallo (Ragusa). Enna: visita dell’on. Granata al carcere; la struttura è da rifare, sollecito per aprire un’ala La Sicilia, 10 aprile 2012 Il 20 aprile il sindaco di Enna, Paolo Garofalo, sarà a Roma per partecipare alla manifestazione, organizzata dal Partito radicale, sul sovraffollamento delle carceri, sulla necessità di un’amnistia e sul potenziamento della polizia penitenziaria che allo stato attuale è insufficiente e il personale è costretto a effettuare dei turni massacranti. In mezzo a queste difficoltà c’è anche il carcere di Enna, che questa mattina sarà visitato dall’onorevole Fabio Granata con una delegazione provinciale del partito Fli per rendersi conto di quella che è la situazione del carcere di Enna, che ha bisogno si interventi urgenti sia a livello logistico sia anche a livello del personale, che è insufficiente tenuto conto che i detenuti ristretti nel carcere di Enna sono circa 190, decisamente più di quanto può contenerne. La visita di oggi di Granata è l’ennesima di un parlamentare, perché in un passato ci sono stati il senatore Salvo Fleres, garante in Sicilia per la tutela dei diritti dei detenuti, rappresentanti del Partito radicale e tutti hanno potuto constatare che la struttura è vecchia, inadeguata a ospitare detenuti, che sono ormai vicini al sovraffollamento e di contro c’è un numero inadeguato di agenti di polizia penitenziaria. La struttura in alcune aree è fatiscente, basta che arrivi la pioggia che diversi locali, comprese le celle, devono essere evacuate con tutte le complicazioni del caso. C’è un’ala del carcere che è stata ristrutturata, ma che ancora per difficoltà burocratiche non è stata autorizzata a essere utilizzata, e dire che la sua apertura potrebbe risolvere tanti problemi logistici. La direttrice, Patrizia Bellelli, si è attivata per avere l’autorizzazione, ma non c’è stato niente da fare, e si continua ad aspettare. Il senatore Fleres si è impegnato per l’utilizzazione della nuova ala sia per il potenziamento del personale. È venuto il momento di incominciare a pensare di realizzare una nuova struttura, magari alla periferia della città, realizzato con tutti i confort, mentre l’attuale carcere potrebbe essere abbattuto per realizzare un garage multipiano, che sarebbe molto utile alla città, che attualmente si trova a non avere alcun parcheggio nei pressi del centro storico. Latina: convenzione tra Comune, Tribunale e Uepe per pene esterne da parte dei detenuti Il Tempo, 10 aprile 2012 La Giunta comunale di Latina ha approvato lo schema di convenzione con il Tribunale e con l’Ufficio Locale di Esecuzione Penale Esterna di Latina (Uepe) che dipende dal Ministero della Giustizia. La convenzione, che sarà firmata dalle parti il prossimo 16 aprile, servirà ad accompagnare condannati di Latina nel percorso di espiazione esterna (alternativa al carcere) offrendo loro l’opportunità e l’esperienza di essere utili alla società ed alla loro comunità territoriale, occupandosi di persone meno fortunate e venendo in contatto con persone in disagio. La finalità è chiaramente educativa e riabilitativa. La collaborazione nasce dopo qualche anno che l’Uepe di Latina è divenuto stabile e autonomo sul territorio della nostra provincia (prima gli uffici dipendevano dal Uepe di Roma). L’attuazione della convenzione, che sarà curata dal segretariato sociale dell’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Latina, consentirà a sei condannati alla pena del lavoro di pubblica utilità di prestare attività non retribuita presso le seguenti strutture: collaborazione nell’accoglienza di ospiti del Centro di Accoglienza Notturno; collaborazione nelle attività svolte nei Centri Diurni per Disabili; collaborazione nelle attività amministrative del Servizio Segretariato Sociale. “Si tratta di un servizio coordinato e voluto dal segretariato sociale dell’assessorato ai servizi sociali - afferma l’assessore comunale Patrizia Fanti - in forma di collaborazione inter istituzionale, con le attività che rientrano nel circuito dei servizi sociali”. Nel maggio 2008 l’Uepe di Roma ha aperto una sede di servizio a Latina, dotata di personale e mezzi propri. Vi lavorano quattro Assistenti Sociali, un collaboratore amministrativo e tre poliziotti penitenziari. Ciò facilita gli spostamenti dell’utenza e incide in maniera più efficace sugli interventi a favore delle persone in esecuzione penale e della collettività di appartenenza. Brescia: “Zona 508”, ecco il nostro giornale dal carcere… non lasciatelo morire Corriere della Sera, 10 aprile 2012 Questa volta è stata dura, ma alla fine il nuovo numero di “Zona 508”, il giornalino delle carceri di Brescia, redatto da noi detenuti con l’aiuto dei volontari dell’Associazione Carcere e territorio, ha visto la luce. Questo numero, però, al momento sarà solo on line. Perché? Perché i fondi per la stampa sono finiti, l’Associazione Carcere e territorio che lo edita non è più in grado di sostenere le spese di pubblicazione e e fondi degli sponsor che hanno contribuito alla nostra piccola impresa si sono esauriti. Nonostante le difficoltà, però, abbiamo deciso di esserci comunque, di continuare a raccontare le nostre storie di detenuti alla città e a quanti ci leggono, di offrire le nostre riflessioni perché tutti conoscano i nostri sforzi per il cambiamento. Questo numero sarà diffuso solo on line e sarà è un po’ come tornare alle origini quando le poche copie fotocopiate finivano ai detenuti (in carcere non c’è accesso a internet) e i lettori potevano leggere Zona 508 on line. Verona: convegno del Volontariato giustizia il 21 e 22 aprile al Centro Carraro Comunicato stampa, 10 aprile 2012 “Il volontariato che sprona e accompagna la giustizia nel cambiamento” è il titolo del seminario organizzato dall’Associazione La Fraternità per conto delle Conferenze regionali Volontariato Giustizia del Triveneto e del Segretariato nazionale Enti di Assistenza ai Carcerati (Seac), che ogni anno (e con questo siamo al 34°) propone un’importante occasione formativa. Il volontariato impegnato in ambito giustizia del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige si troverà dunque a riflettere sull’evoluzione del ruolo profetico che dovrebbe incarnare a favore dei più deboli, accompagnando la Giustizia, in rete con le istituzioni, le amministrazioni locali e il terzo settore, nel suo travagliato tentativo di aderire al dettato costituzionale uscendo finalmente da inadempienze già stigmatizzate e sanzionate dalla Comunità Europea. Relatori esperti e qualificati si avvicenderanno con testimonianze dirette dei volontari, partendo dalla carta dei valori del volontariato, per affrontare i nodi della nostra scelta a fianco di detenuti, di ex detenuti, dei loro familiari, degli stranieri, specie se confinati nei Cie, delle persone senza dimora ma anche delle vittime dei reati ed altri ancora. Confronteremo le nostre esperienze con alcuni rappresentanti delle istituzioni nel tentativo di prefigurare buone prassi di progettualità concordate che aiutino e accompagnino istituzioni e operatori a migliorare in efficacia il proprio lavoro. Sabato 21 aprile, al Centro Carraro, in Lungadige Attiraglio 45, dalle 10,30 alle 18,30 parleranno Lucio Garonzi, direttore del Csv di Verona, sulla Carta dei valori del volontariato; volontari delle associazioni del Triveneto sui compiti del volontariato, oltre il carcere, nell’ambito della giustizia; Linda Arata, magistrato di sorveglianza di Padova, Antonella Salvan dell’Uepe di Verona e Vicenza, Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, sulle idee ed esperienze per il cambiamento della giustizia. Domenica 22 aprile, dalle 9 alle 12,30, sarà la volta di don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani penitenziari, sul volontario che si fa prossimo; infine Ivo Lizzola, preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’università di Bergamo, sulla responsabilità e autonomia nell’accompagnamento alla libertà. Seguirà la Santa Messa celebrata da don Virgilio Balducchi. La partecipazione è libera. L’iscrizione è necessaria per organizzare i pasti e il pernottamento. Per informazioni: La Fraternità - tel. 045.8004960 - info@lafraternita.it - www.lafraternita.it. Maurizio Mazzi 347.006400. Immigrazione: viaggio dentro i Cie tra pestaggi, psicofarmaci e strani suicidi di Raffaella Cosentino Corriere della Sera, 10 aprile 2012 Da Milano a Trapani decine di casi. La commissione diritti umani del Senato richiama la tortura. L’Onu condanna la detenzione di un anno e mezzo. Dentro ci finiscono anche minori. Pestaggi non denunciati per paura, armadietti delle infermerie pieni di psicofarmaci, terapie a base di sedativi. È questa la realtà che emerge dai Cie: teoricamente centri di identificazione e di espulsione, nei fatti funzionano come carceri per sans papiers, in cui si finisce senza avere commesso reati ma solo per un illecito amministrativo. Ne abbiamo visitati quattro, su dodici attivi: Roma, Lamezia Terme e due a Trapani. Dovrebbe essere solo una detenzione amministrativa per chi non ha il permesso di soggiorno. La fuga non è un’evasione. Ma dalla scorsa estate si può stare rinchiusi fino a un anno e mezzo soltanto per l’identificazione ai fini del rimpatrio. Questo rende gli ‘ospiti’ del centro dei reclusi a tutti gli effetti, dietro sbarre alte sette metri e filo spinato, sorvegliati 24 ore al giorno da militari e agenti. “Le condizioni nelle quali sono detenuti molti migranti irregolari nei Cie sono molto spesso peggiori di quelle delle carceri” si legge nell’ultimo rapporto della commissione Diritti Umani del Senato. La commissione richiama la tortura, lamentando il fatto che non esista questo tipo di reato nel codice penale italiano. Anche l’Onu, per bocca del comitato anti discriminazioni razziali, esprime preoccupazione per i 18 mesi di detenzione. Durante un’ispezione nel Cie di Santa Maria Capua Vetere (Ce) i senatori hanno trovato i reclusi con gli arti fratturati dopo una rivolta “e non tutti, come viene sostenuto, a causa del fallito tentativo di fuga, ma anche - e questo è stato accertato almeno in un caso - a causa dell’investimento da parte di un mezzo delle forze dell’ordine. Per alcuni giorni dopo la ribellione gli immigrati hanno avuto difficoltà addirittura ad espletare le loro necessità fisiologiche e sono stati costretti ad utilizzare delle bottigliette”. Abdou Said, un egiziano di 25 anni, si è suicidato a Roma l’8 marzo dopo essere uscito dal Cie di Ponte Galeria, dove è stato per più di sei mesi. Lavorava in Libia ed era scappato dalla guerra la scorsa estate. Anche nella sua storia c’è una fuga fallita. Secondo un ex trattenuto che l’ha conosciuto nel centro, Said sarebbe stato percosso dagli agenti e avrebbe assunto a lungo psicofarmaci fino a diventare “come matto”. Durante una nostra visita a Ponte Galeria, avvenuta prima del suicidio, il direttore del centro, Giuseppe Di Sangiuliano, bollava come “leggende” gli abusi di psicofarmaci. Serena Lauri, legale del giovane suicida, racconta: “Non so cosa sia successo esattamente, aveva riportato dei danni a seguito di una caduta durante la fuga”. L’avvocato ha notato “un cambiamento impressionante nei lineamenti e nella mente”. Lauri ricorda Said come “un ragazzo completamente diverso, appena entrato a Ponte Galeria era quasi arrogante, dopo questo episodio aveva lo sguardo fisso e l’espressione da persona indifesa”. Ma non c’erano state denunce. Secondo il legale “i reclusi hanno paura perché si confrontano ogni giorno con i poliziotti”. Ilaria Scovazzi, responsabile Immigrazione di Arci Lombardia, durante una visita nel centro di via Corelli un anno fa ha visto con i suoi occhi un cinese con il segno di una manganellata sulla schiena. Nel Cie milanese “i letti sono cementati al pavimento, gli armadi sono nicchie ricavate nel muro, l’unico arredo sono i materassi, per cui tutte le rivolte consistono nel bruciare dei materassi” spiega Mauro Straini, legale che difende sei immigrati accusati di devastazione per una sommossa dello scorso gennaio. Il ministero dell’Interno e la presidenza del Consiglio sono stati citati in giudizio al tribunale di Bari dagli avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci, che considerano il Cie “un carcere extra ordinem, non dichiarato, in cui numerosi cittadini provenienti da paesi extraeuropei sono detenuti senza aver mai commesso reati punibili con la reclusione”. La causa si basa su due perizie tecniche, di cui una del Comune, che documentano violazioni della dignità umana. “Noi abbiamo provato che nel Cie è in atto una detenzione carceraria, questo viola la legge” dice Paccione. “I prigionieri non possono accendere da soli la luce perché l’interruttore è comandato dall’esterno e neppure scegliere il programma tv da vedere. Hanno bagni alla turca “raccapriccianti” e alloggi “inabitabili”“. Un ex recluso tunisino in una lettera denuncia l’esistenza di celle di isolamento e abusi di sedativi. “Ci caricano di calmanti e anestetici - scrive - in modo che rimani drogato e senza che te ne rendi conto non dai fastidio”. Dentro i Cie finiscono anche minori stranieri soli. Sei erano nel centro “Milo” di Trapani. Altri sono in quello di Brindisi, dove li ha rintracciati Save The Children. L’Ong opera nel progetto Praesidium del Viminale, assieme all’Alto commissariato Onu per i rifugiati, la Croce Rossa e l’Oim. Accertata la minore età, i ragazzi vengono rilasciati ma intanto hanno vissuto per molti giorni l’esperienza della reclusione nel Cie, dove sono frequenti gli atti di autolesionismo e le rivolte finalizzate alla fuga, poi represse con la forza. “Le organizzazioni del Praesidium svolgono anche attività di monitoraggio e verifica delle condizioni all’interno dei centri. Da quest’anno abbiamo esteso il progetto a tutti i centri del territorio nazionale” spiega al Corriere.it il prefetto Angela Pria, a capo del dipartimento Libertà civili e Immigrazione del ministero dell’Interno. Sugli abusi documentati con la nostra inchiesta, Pria replica che “vengono effettuati monitoraggi sullo svolgimento della vita all’interno dei Cie, quindi se queste denunce ci sono state, verranno fatti gli accertamenti necessari”. Il prefetto nega che i centri di identificazione e di espulsione siano strutture di detenzione carceraria. “Non sono paragonabili alle carceri - afferma - I servizi che devono essere garantiti nei Cie riguardano l’assistenza alla persona come la mediazione linguistico - culturale, l’informazione sulla normativa sull’immigrazione, il sostegno socio-psicologico. Poi abbiamo servizi di assistenza sanitaria e mi pare che il servizio lo mostri in maniera evidente”. Sul caso di Bari, Pria spiega che “i Cie non sono un’invenzione di oggi, sono la trasformazione dei precedenti Cpt, sui quali la commissione De Mistura diede indicazioni per il loro miglioramento. Il nostro impegno è diretto a una manutenzione e un adeguamento costante. Interveniamo tempestivamente su richiesta delle prefetture. Su Bari c’è un giudizio pendente, l’udienza ci sarà il prossimo mese di luglio. Già da tempo abbiamo accreditato tutte le risorse necessarie per poter ristrutturare i vari danneggiamenti che ci sono stati. Questo perché i Cie vengono costantemente danneggiati”. Immigrazione: a Ravenna tunisino ucciso dai Carabinieri a un posto di blocco di Carlo Raggi Il Resto del Carlino, 10 aprile 2012 Pasqua di sangue a Ravenna con un giovane tunisino, fuggito all’alt su una Audi A3, ucciso da un colpo di pistola calibro 9 sparato dai carabinieri. E Pasqua anche di tensione quando, nel pomeriggio, si sono concentrati in centro decine di connazionali che hanno sfilato portando immagini-manifesto della vittima, Hamdy Ben Hassem, di 27 anni, con le scritte: “Ucciso dai carabinieri”, “Vogliamo giustizia”. Un corteo pieno di dolore, scioltosi pacificamente nel giro di mezz’ora. Tutto è cominciato alle 0,10 con una Audi A3 che procedeva a zig zag la notte di Pasqua nell’affollato viale delle Nazioni a Marina di Ravenna; all’alt della polizia municipale, la fuga, folle, rabbiosa, una prima auto dei carabinieri speronata allo svincolo per la Classicana e rimasta in bilico su una scarpata, poi un altro speronamento, venti minuti dopo, in via Bassano del Grappa, in centro città: e qui è finita la folle notte di Hamdy Ben Hassem. Quando i carabinieri, stavolta del Radiomobile, vedono che quell’Audi A3 appena bloccata punta contro di loro e che dal finestrino del passeggero spunta un braccio con un’arma in mano, sparano, basso, a livello delle ruote. Un colpo entra nell’abitacolo e trapassa Ben Hassem all’addome, da sinistra a destra. Il giovane, in Italia da cinque anni, meccanico, sposato con una riminese di 24 anni, morirà sei ore dopo, alle 7, in ospedale. Sull’auto c’erano due connazionali, Ali Ouertatteni di 33 anni, ovvero colui che - secondo le testimonianze raccolte dal pm Cristina D’Aniello - aveva mostrato l’arma (che si rivelerà una pistola giocattolo) e Samir Sahnoun di 30 (entrambi con permessi di soggiorno umanitari). Sono stati arrestati per concorso in tentato omicidio e resistenza, e ieri sera Sahnoun, a conclusione di ima lunga serie di interrogatori di testimoni da parte del magistrato, è stato rimesso in libertà. Lui era sul sedile dietro, “fatto” di alcool e hashish. Per Ourtatteni, che domani comparirà davanti al gip, il pm ha chiesto invece la custodia in carcere. I Carabinieri hanno sequestrato due pistole giocattolo: una era a terra vicino all’A3, l’altra nell’abitacolo. Sequestrate anche le armi dei due carabinieri che saranno necessariamente indagati per omicidio colposo. Ma la loro condotta sembra rientrare in pieno nell’uso legittimo delle armi. I tre ragazzi erano reduci da una festa a Riva-verde. E qui, è risultato dalle analisi in ospedale, avevano bevuto e fumato hashish. Questo, unitamente al fatto che Ben Hassem (due precedenti, per droga e resistenza) era senza patente e che solo 10 giorni fa gli avevano dissequestrato l’auto, gli ha fatto saltare il “cervello”. Germania: “vacanze-premio” agli ergastolani, la proposta scatena una bufera Agi, 10 aprile 2012 In un Paese che non conosce né l’indulto, né l’amnistia, la sola idea di concedere una vacanza premio agli ergastolani dopo 5 anni di reclusione sta sollevando un putiferio di polemiche. Bild rivela che 10 dei 16 Lander tedeschi hanno raggiunto un accordo per concedere una vacanza premio fino ad un massimo di 21 giorni di fila ai condannati all’ergastolo, che però di norma in Germania non dura più di 15 anni. Il ministro della Giustizia del Brandeburgo, Volkmar Schoeneburg, appartenente alla Linke, ha dichiarato a giornale che “un detenuto non deve essere totalmente isolato dal mondo esterno”, aggiungendo che la temporanea uscita dal carcere serve a favorire l’inserimento nella società. Immediata è stata la protesta del presidente del sindacato di polizia, Rainer Wendt, secondo il quale “rimandare in breve tempo tra i cittadini criminali incalliti è scandaloso e rappresenta un esperimento pericoloso sulle spalle della gente”. Di avviso identico si è espresso il deputato cristiano-democratico Wolfgang Bosbach, il quale ha detto di augurarsi che “nessun Land guidato dalla Cdu aderisca a questa iniziativa”. La Baviera, che in fatto di giustizia ha le norme più restrittive, con la vacanza premio che può essere concessa solo dopo 12 anni, a differenza dei 10 previsti negli altri Lander, ha già detto che non adotterà la proposta, come ha confermato anche la Bassa Sassonia. In uno Stato federale come la Germania ogni Land ha piena autonomia su ogni materia, a parte la Difesa e la politica estera, di competenza del governo centrale. Siria: Human Rights Watch; oltre 100 esecuzioni sommarie, uccidono a sangue freddo La Repubblica, 10 aprile 2012 Human Rights Watch diffonde la notizia delle stragi di 13 persone nella moschea di Bilal a Idlib l’11 marzo scorso. Oppure l’eliminazione di massa di 25 uomini durante un rastrellamento alla periferia di Homs il 3 marzo e il massacro di 47 civili - soprattutto donne e bambini - in tre quartieri di Homs l’11 e 12 marzo. In Siria, le forze di sicurezza e le milizie filo-regime hanno eseguito almeno 101 esecuzioni sommarie dalla fine del 2011: la denuncia arriva da Human Rights Watch in un rapporto pubblicato oggi. Secondo l’Ong, la maggior parte delle esecuzioni sono avvenute nel mese di marzo e almeno 85 delle vittime erano residenti che non avevano preso parte alle rivolte, tra cui donne e bambini. “A sangue freddo”. “Esecuzioni sommarie delle forze di sicurezza siriane e delle milizie filo-governative: è questo il titolo del rapporto che documenta una serie di uccisioni di massa, ad opera delle forze del regime, avvenute in pieno giorno e davanti a testimoni. Un esempio è la strage di 13 persone nella moschea di Bilal a Idlib, risalente all’11 marzo. Oppure l’esecuzione di massa di 25 uomini durante un rastrellamento alla periferia di Homs il 3 marzo e il massacro di 47 civili - soprattutto donne e bambini - in tre quartieri di Homs l’11 e 12 marzo. La testimonianza diretta. “In un disperato tentativo di sedare la rivolta, le forze siriane hanno giustiziato, sparando a bruciapelo civili ed esponenti dell’opposizione. Lo hanno fatto in pieno giorno e alla presenza di testimoni, evidentemente certi di non dover rispondere dei loro crimini”, ha spiegato Ole Solvang, ricercatore di Human Rights Watch. E gli scontri proseguono. Solo ieri, secondo gli attivisti, sono state uccise 70 persone, mentre tra venerdì e sabato i morti sarebbero stati 180, per la maggior parte civili. Oggi sono in corso nuovi scontri si sono registrati anche nella regione di Aleppo e nella zona di Deir Ezzor, con almeno 12 soldati regolari uccisi nei violenti combattimenti scoppiati con i disertori. “L’attuale escalation di violenze è inaccettabile”, ha avvertito Kofi Annan. Ma soprattutto appare sempre più il rischio di un fallimento del piano di pace a preoccupare la comunità internazionale. Con un improvviso voltafaccia, il ministero degli Esteri siriano ha detto di temere che un proprio disimpegno militare aiuti l’avanzata dei ribelli. Intanto, al confine con il Libano... È durato circa un’ora lo scontro a fuoco registrato questa mattina tra l’esercito di Damasco e i disertori dell’Esercito libero siriano nei villaggi di Bekaa, al confine con il Libano. Lo riferisce l’agenzia di stampa Xinhua, precisando che il suono dell’artiglieria pesante proveniva dal lato siriano del confine. I media siriani riferiscono che l’esercito regolare si è scontrato con alcune bande armate che sono entrate per un centinaio di metri nel territorio siriano dal Libano, attraverso i valichi di Naoura e Halat. Il governo di Bashar al Assad. “Dire che la Siria ritirerà le sue forze dalle città il 10 aprile (cioè domani) è inaccurato. Kofi Annan non ha ancora presentato la garanzia scritta dei ribelli che essi accettano la fine di tutte le violenzè’, ha annunciato il ministero, chiedendo inoltre “garanzie scrittè’ da Qatar, Arabia Saudita e Turchia sullo stop dei finanziamenti “ai gruppi terroristici”. Immediata la risposta dei ribelli. Il capo del Libero Esercito Siriano, Riyad al-Asaad, ha ribadito l’impegno dell’opposizione armata verso il piano di pace di Annan, ma ha aggiunto di non riconoscere il governo di Assad. “Per questo motivo non forniremo alcuna garanzia al regime”. Un appello “al governo siriano e alle parti interessate a cogliere le importanti opportunità, onorare i propri impegni per il cessate il fuoco e per il ritiro delle truppe” è giunto dalla Cina, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Liu Weimin. Iran: nove uomini sono stati impiccati nelle ultime 24 ore Aki, 10 aprile 2012 Lo riferisce il sito dell’opposizione all’estero Iran Press News, spiegando che le esecuzioni sono avvenute nelle carceri delle città di Isfahan, Kerman, Bam e Tabas. Non si conoscono per ora le identità dei giustiziati, in gran parte condannati a morte per traffico di droga. Secondo siti attivi nell’ambito dei diritti umani come Herana e Hrdai, negli ultimi due anni sono state impiccate in Iran oltre settecento persone. Nella Repubblica Islamica vige il diritto penale islamico sciita, che prevede la pena capitale anche per reati come il traffico di droga, l’apostasia, l’opposizione politica armata. Stati Uniti: i detenuti della rete di writeaprisoner.com… di Ilaria Lonigro La Repubblica, 10 aprile 2012 Di ognuno puoi vedere la foto, lo status, la condanna (pure a vita) e il reato. Ma anche gli hobby e gli interessi, le aspirazioni, i gusti. Sono i detenuti della rete di writeaprisoner. Catalogati sul sito, cercano amici di penna o corrispondenze amorose che li salvino dalla solitudine. “Ciao! Sono Melissa. Sono in carcere dall’ottobre del 2001. È stato un lungo percorso e una lotta ma riesco a farcela ogni giorno. Sono una donna di mente aperta e onesta e non ho paura di dire come la penso”. Melissa Ashton, numero OH3312, cattolica, single, eterosessuale, è nata il 2 marzo del 1979 e potrebbe uscire dal penitenziario di Muncy, Pennsylvania, nel 2040, comunque non prima del 2019. Crimine commesso: omicidio di terzo grado. Volete contattarla? Potete farlo tramite il sito commerciale writeaprisoner.com: trovate profili dettagliati, con tanto di foto e lettera di presentazione, orientamento sessuale e religioso, di centinaia di detenuti degli Stati Uniti. In mostra per essere notati da qualcuno “fuori” e avviare così una corrispondenza postale che li salvi da anni (a volte vite) di solitudine e dolore. Sono catalogati sotto diverse voci, tra cui l’istruzione, il profilo legale e se ricevono già lettere o meno. La procedura da rispettare per scrivere a un detenuto è rigidissima, come spiega il sito del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria della Florida. I fogli devono essere di una certa misura e qualità, non si possono mandare Polaroid e si deve fare estrema attenzione ai contenuti delle lettere. Scrivere a un prigioniero non è solo un fatto personale, ma combatte la recidività, come spiega il proprietario del sito, Adam Lovell. Mantenere un contatto con l’esterno, non sentirsi esclusi dalla società, aiuta i carcerati, una volta fuori, a non ricadere nella delinquenza. Lo confermano le ricerche, tra cui quella di Hoan Bui e Merry Morash pubblicata nel 2010 sul Journal of Offender Rehabilitation. L’idea della corrispondenza tra le sbarre non è nuova. Esistono associazioni, come Human Wright, che fanno arrivare lettere di solidarietà nel braccio della morte. In Italia, la Comunità di Sant’Egidio organizza lo stesso con i condannati di molti Paesi del mondo. Ciò che colpisce di writeaprisoner, però, è l’esibizione sistematica dei detenuti e dei loro dati sensibili, alla portata della curiosità morbosa di chiunque navighi in rete. Sarà per questo che non tutti i governatori degli States hanno permesso questo servizio? Gran Bretagna: Corte europea diritti umani dà l’ok a estradizione Abu Hamza Tm News, 10 aprile 2012 Via libera all’estradizione negli Usa di Abu Hamza e altri quattro islamisti accusati di crimini legati al terrorismo. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), infatti, la loro estradizione dalle carceri britanniche agli Stati Uniti non rappresenta una violazione della Convenzione per i diritti umani. La corte di Strasburgo ha respinto oggi l’appello di cinque su sei imputati per terrorismo attualmente detenuti nelle prigioni del Regno Unito. I magistrati hanno comunque chiesto che l’estradizione di tutti e sei sia sospesa per almeno tre mesi, fino al termine della procedura d’appello. Abu Hamza al-Masri - al secolo Mustafa Kamel Mustafa - è l’ex imam radicale della moschea londinese di Finsbury Park, ribattezzato dai tabloid britannici “lo sceicco cieco” o “Uncino” per via delle menomazioni riportate tanti anni fa sul fronte afgano. Arrestato nel 2004 in un raid delle forze anti-terrorismo di Scotland Yard; su di lui pesano undici capi d’imputazione fra cui: organizzazione di una cellula terroristica in Oregon, sequestro e pluri omicidio di ostaggi nello Yemen, addestramento di terroristi in Afghanistan, reclutamento di combattenti per la “guerra santa” in varie parti del mondo, stretti legami con Al Qaida. Cina: 2 anni e otto mesi di prigione per l’attivista Ni Yulan Ansa, 10 aprile 2012 L’attivista cinese Ni Yulan è stata condannata a due anni e otto mesi di prigione per aver “creato instabilità” e “distrutto proprietà pubblica e privata”, mentre suo marito Dong Jiqin ha ricevuto una condanna a due anni. I due erano stati arrestati nell’aprile del 2011, nel quadro delle misure restrittive contro i dissidenti prese dalle autorità cinesi per prevenire la nascita di movimenti democratici come quelli che si sono verificati in alcuni paesi arabi. Ni Yulan, un’avvocatessa che dal 2002 non ha avuto la licenza, e suo marito hanno difeso in passato numerose vittime delle espropriazioni di terra. Già condannata a pene detentive per due volte, Ni Yulan, 51 anni, è costretta dal 2002 su una sedia a rotelle in seguito a violenze subite mentre era detenuta. Amnesty chiede il rilascio immediato Amnesty International ha chiesto il rilascio immediato di Ni Yulan, avvocata e attivista per il diritto all`alloggio, condannata oggi a due anni e otto mesi di carcere per “frode” e per “aver disturbato la quiete pubblica e provocato disordini”. Per quest`ultimo reato, è stato condannato a due anni di carcere anche il marito, Dong Jiqin. Nu Yilan, in sedia a rotelle dal 2002 quando subì un pestaggio in carcere da parte della polizia che le procurò la frattura dei piedi e delle ginocchia, è nota per il suo impegno in favore delle vittime degli sgomberi forzati e di altre violazioni dei diritti umani. Nel corso dell`ultimo decennio, Ni Yulan ha subito persecuzioni, arresti e torture. Nel 2002, come ritorsione per il suo attivismo in favore dei diritti umani, le è stata ritirata la licenza di avvocata. Norvegia: Breivik, il killer di Oslo, è sano e penalmente responsabile Agi, 10 aprile 2012 Anders Behring Breivik, l’autore delle stragi di Oslo dello scorso luglio, è sano di mente ed è quindi penalmente responsabile dei due attacchi di Oslo e Uttoya che causarono 77 morti. Lo ha stabilito una nuova perizia psichiatrica sull’estremista di destra norvegese che ha riaperto il dibattito sul fatto se l’assassino debba essere o no tenuto in carcere. La nuova perizia smentisce un esame precedente, secondo cui Breivik soffriva di “schizofrenia paranoide”. Breivik, secondo il nuovo rapporto, sapeva invece esattamente quello che stava facendo il 22 luglio dello scorso anno. Il pronunciamento, che non ha valore vincolante, è comunque un passaggio importante in vista del processo del 16 aprile e per la perizia definitiva prevista a metà luglio. Se fosse passata la prima perizia il killer norvegese che ha reso vulnerabile e affollato gli incubi della Norvegia, sarebbe finito con molta probabilità in un manicomio evitando così il carcere. La prima perizia aveva sollevato un’ondata di dubbi e proteste: un persona malata di mente infatti non sarebbe stata in grado di orchestrare un simile piano. D’altronde anche lo stesso Breivik sin dall’inizio aveva sostenuto la sua integrità mentale spiegando che i delitti erano stati compiuti per militanza politica e non per una forma di follia. “Non abbiamo riscontrato alcuna evidenza di psicosi” ha spiegato lo psichiatra Asgar Aspaas che ha presentato oggi ai giornalisti il suo rapporto di 310 pagine. Una diagnosi che ha soddisfatto anche lo stesso Breivik, secondo quanto ha fatto sapere il suo avvocato Geir Lippestad. “Non solo Breivik ora spiegherà le sue azioni - ha detto l’avvocato - ma ha anche intenzione di far sapere il perché non sia andato oltre”. Breivik ha comunque sempre negato la sua responsabilità penale spiegando che il motivo della strage è quello di salvare la cultura europea. “Sono un comandante del movimento di resistenza norvegese - ha affermato di recente l’uomo - un eroe europeo, un servitore della nostra gente e della Cristianità”. In una lettera la scorsa settimana Breivik aveva addirittura definito “umiliante” la diagnosi di una psicosi spiegando che gli esperti probabilmente erano tropo traumatizzati dagli omicidi per essere obiettivi.