Giustizia: intervista a Michele Vietti… un consiglio superiore alla magistratura di Ubaldo Casotto Tempi, 30 agosto 2012 Michele Vietti, avvocato torinese, docente universitario, già parlamentare dell’Udc, ha presieduto in precedenti legislature la Commissione ministeriale per la riforma del diritto societario ed è stato sottosegretario al ministero della Giustizia nel secondo governo Berlusconi. Attualmente è vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Riservato, soprattutto quando si deve parlare di giustizia, accetta questa intervista sulle polemiche nate intorno alle intercettazioni del presidente della Repubblica e al dibattito sulla loro riforma che ne è scaturito, con toni aspri non solo tra esponenti politici, ma anche tra personaggi delle istituzioni (quelli dei giornalisti non fanno più notizia). Il presidente del Consiglio, Mario Monti, in un’intervista a Tempi, parlando delle intercettazioni telefoniche e del caso che ha coinvolto il capo dello Stato, ha usato due parole che hanno scatenato la polemica reazione di alcuni giornali e di taluni magistrati. Sono finiti sotto accusa l’aggettivo “grave”, riferito dal presidente del Consiglio all’ascolto e alla registrazione delle telefonate del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e il sostantivo “abusi”. Lei pensa che Monti abbia usato correttamente questi due termini? Io penso che il presidente del Consiglio abbia tutto il diritto di parlare di questioni attinenti alla giustizia, perché sin dalla nascita del suo governo ha rivendicato correttamente la stretta correlazione che lega il buon funzionamento del sistema giudiziario al buon funzionamento del sistema economico e al buon funzionamento del sistema paese. Non mi scandalizza che chi deve risanare il paese parli di giustizia, che non è una variabile indipendente di un’economia che funzioni. Monti ha parlato in modo specifico di intercettazioni... Del sistema giustizia fanno parte le intercettazioni, che in un paese civile debbono rispettare tre interessi concorrenti: quello degli inquirenti di disporre di un insostituibile strumento di indagine al cui utilizzo non si devono frapporre ostacoli speciosi; quello della libera stampa di esercitare il suo diritto all’informazione, attraverso cui si esercita anche il controllo democratico delle istituzioni e dei suoi rappresentanti; e, infine, quello della riservatezza, che nel concorso con gli altri due diritti può affievolirsi nei confronti degli indagati, almeno da una certa fase processuale, quando viene meno il segreto, ma che, viceversa, va rigorosamente tutelato a norma di Costituzione nei confronti dei terzi estranei alle indagini, specie quando riferiscono circostanze ininfluenti e prive di rilevanza penale. Le sembra una fotografia dei giornali italiani? Dire che nella nostra cronaca più o meno recente l’equilibrio tra questi diritti sia stato sempre rispettato senza che si siano verificati abusi vuol dire recitare la parte di Alice nel paese delle meraviglie. Perciò credo che un intervento normativo su questa materia sia opportuno, non con spirito di rivalsa contro qualcuno e tanto meno contro un ufficio giudiziario, né prendendo spunto dalla contingenza, che inevitabilmente porta con sé strascichi polemici, ma con la lucidità e la visione generale che dovrebbero sempre ispirare il legislatore, il quale scrive regole generali e astratte e non consuma mai vendette. A proposito di insostituibilità delle intercettazioni, le leggo una frase di Roberto Scarpinato, pubblico ministero a Caltanissetta: “Unico momento di visibilità del modo in cui viene realmente esercitato il potere sono rimaste le intercettazioni; solo le macchine (le microspie) ci consentono di ascoltare in diretta la vera e autentica voce del potere. Le intercettazioni sono rimaste l’ultimo tallone di Achille di un potere che nel tempo ha sempre più circondato di segreto il proprio operato, perché l’opposizione è venuta meno al proprio compito, il giornalismo indipendente è emarginato e non ha più spazi nella televisione, la magistratura rischia di divenire sempre più addomesticata”. Mi sottraggo decisamente allo sport estivo, che ho visto molto diffuso, consistente nel chiosare le dichiarazioni di magistrati come il dottor Scarpinato o il suo collega palermitano Antonio Ingroia, del quale, peraltro, preferisco limitarmi a ricordare l’ultima intervista al Corriere della Sera, che mi è sembrata ispirata a equilibrio e ragionevolezza. Resto convinto che i magistrati, sia i pubblici ministeri sia i giudicanti, debbano accertare e perseguire le responsabilità penali specifiche individuali e non occuparsi di fenomeni storico-sociologici. In via di principio voler riscrivere la storia in una chiave manichea, che vede un popolo idealizzato sempre buono contro un potere demoniaco sempre cattivo, mi sembra francamente semplicistico e fuorviante. Giorgio Napolitano, vistosi immotivatamente intercettato, si è rivolto alla Corte costituzionale. Anche questo atto ha suscitato aspre critiche da parte di settori della magistratura e dei media, oltre che di qualche esponente politico. A suo avviso il capo dello Stato poteva percorrere altre strade? Il presidente della Repubblica ha esercitato un suo legittimo diritto, utilizzando uno strumento che l’ordinamento appronta proprio per risolvere, nel rispetto delle regole, casi in cui le norme possono prestarsi a plurime interpretazioni. Altre volte uffici giudiziari hanno sollevato conflitti con altri poteri dello Stato, ad esempio con le Camere, e nessuno si è mai sognato di gridare alla lesa maestà. La Corte costituzionale ha tra le sue competenze anche quella di dirimere i conflitti di attribuzione, e interpellarla sul punto in un caso di contrasto di interpretazioni è non solo legittimo ma opportuno. Eviterei qualunque drammatizzazione e tanto più rifuggirei dal tipico sport nazionale di dividersi sempre su tutto in opposte tifoserie. Nel merito del caso Mancino-Napolitano, al capo dello Stato si imputava una indebita pressione sulla Corte di cassazione perché intervenisse su alcune procure avocando a sé il potere di coordinare le indagini sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Lo spettacolo di procure che si accavallano tra loro soprattutto su alcune inchieste, che si sovrappongono, che si contendono gli imputati, fa parte da tempo del panorama mediatico italiano. È fisiologico o si può intervenire? L’ordinamento giudiziario attribuisce esplicitamente al procuratore generale della Cassazione un potere di coordinamento delle indagini, il che vuol dire che il legislatore immagina che esigenze di questo genere possono verificarsi e che chi esercita questa funzione lo fa legittimamente. Ora, soprattutto su vicende complesse e delicate, la preoccupazione di evitare sovrapposizioni o contraddizioni nell’operato dei diversi uffici risponde al principio del buon andamento della giurisdizione. Che impressione le fa che il dibattito sulla giustizia in Italia, sul ruolo dei giudici, sull’uso delle intercettazioni, sul coinvolgimento del capo dello Stato... si sia aperto in modo decisamente franco e con posizioni dure all’interno della sinistra, in Magistratura democratica? In un paese democratico i dibattiti sono sempre benvenuti, specie quando mettono in discussione luoghi comuni, talora cristallizzati. Se tutto questo ci aiuta ad uscire anche qui dalla logica da stadio secondo cui la sinistra è giustizialista e sta con i magistrati e la destra è garantista ed è contro i magistrati, vorrà dire che avremo fatto un bel passo avanti. A proposito di garantismo. La situazione delle carceri italiane è insostenibile, l’uso della carcerazione preventiva, che contribuisce ad affollarle, sembra, in certi casi, disinvolto. La carcerazione preventiva in un paese normale dovrebbe essere l’extrema ratio a cui si ricorre solo in ipotesi eccezionali e residuali. Purtroppo l’irragionevole durata dei processi e il meccanismo perverso della prescrizione rendono spesso impossibile pervenire all’accertamento definitivo della responsabilità penale e all’irrogazione della pena finale. Questo non giustifica ma spiega il ricorso anomalo alla carcerazione preventiva. Modifichiamo il regime della prescrizione, sospendendola in un certo stadio del processo, e avremo processi più rapidi, pene definitive più certe e meno misure cautelari. È uno dei tanti punti di una ormai chimerica riforma della giustizia... O forse oggi, come dicono anche esponenti di fronti politici opposti, sono maturate condizioni per cui dopo le elezioni sarà possibile parlare di riforma della giustizia senza i veti contrapposti che hanno ingessato ogni possibile cambiamento in questi anni? Sulla cosiddetta “grande riforma della giustizia” si è fatta molta retorica e nessun fatto. Forse sono maturate le condizioni per ragionare di giustizia non più e non tanto come potere contrapposto agli altri poteri, in un tentativo di scavare continuamente trincee tra i poteri da cui cannoneggiare l’avversario. Se vogliamo fare interventi efficaci per ottenere un sistema giudiziario efficiente che contribuisca alla modernizzazione del paese, dobbiamo incominciare a ragionare di giustizia in termini di servizio per i cittadini, che hanno il diritto di ottenere risposte tempestive e prevedibili alle proprie aspettative di sapere chi ha ragione e chi ha torto. In questa “grande riforma della giustizia” lei inserirebbe qualche condizione in più per chi volesse passare dalla magistratura alla politica, magari dopo la gestione di inchieste e processi mediati-camente clamorosi? Il magistrato, fino a quando fa il suo mestiere, deve essere terzo e imparziale e impedire... Anche il pubblico ministero? Anche il pubblico ministero, almeno se vogliamo mantenere un assetto in cui il pubblico ministero ha le stesse garanzie del giudice, altrimenti lo trasformiamo in avvocato dell’accusa o separiamo le carriere; ma nel nostro sistema la terzietà e l’imparzialità sia del pm che del magistrato giudicante sono la condizione per la loro credibilità nella delicata funzione che esercitano agli occhi dei cittadini. Quando decidessero di scendere nell’agone politico, cosa che nessuno può negare loro, personalmente ritengo che non dovrebbero più poter tornare a fare i magistrati. Giustizia: Osapp; 600 detenuti in più in 6 giorni… si pronunci il Consiglio dei ministri Ansa, 30 agosto 2012 “Stanti le premesse, la presenza di 66.648 detenuti a fronte di 45.566 posti e pari ad un aumento nelle carceri italiani di 600 detenuti in soli 6 giorni, (66.065 presenze il 23 agosto scorso) è persino inferiore a quanto potevamo aspettarci, tenuto conto che per il sistema penitenziario italiano a parte alcuni effimeri trionfalismi, nessuno ha voluto fare alcunché di concreto negli ultimi mesi”. È quanto si legge in una nota dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) a firma del segretario generale Leo Beneduci ed indirizzata, come precedenti analoghe missive, ai gruppi parlamentari di Camera e Senato e alla Guardasigilli Paola Severino. “Nei giorni scorsi, infatti - commenta ancora l’Osapp - c’è stato persino chi tra i gli esponenti di partito ha plaudito all’approccio graduale e tutt’altro che energico del Dicastero della Giustizia rispetto alle iniziative legislative da assumersi nei confronti delle emergenze della Giustizia e delle carceri. In realtà, le carceri sono un’emergenza nell’emergenza, in quanto risentono delle disfunzioni e delle incongruenze del sistema Giustizia (ad es. riguardo all’eccessivo utilizzo della custodia cautelare in carcere) e determinano, a loro volta, uno stato di perenne ingiustizia nei confronti di chi viene a trovarsi nelle attuali infrastrutture penitenziarie con meno del 50% dello spazio necessario a garantire condizioni igienico-alloggiative almeno umane”. Oltre ad un provvedimento di Amnistia che il Parlamento dovrà prima o poi assumersi la responsabilità di esaminare, appare indispensabile ed urgente - conclude Leo Beneduci - che rispetto ad una situazione irrimediabilmente compromessa, anche per le disattenzioni e per i tentennamenti della politica, sia per quanto concerne il sovraffollamento e l’assenza di risultati, nell’attuale sistema penitenziario, per la sicurezza della collettività e sia per ciò che attiene alla crescente penuria di personale, soprattutto di Polizia Penitenziaria, si provveda mediante strumenti legislativi compatibili con la necessità e l’urgenza richieste dalle condizioni delle carceri italiane, ovvero mediante un nuovo e specifico decreto legge. Giustizia: la Norvegia del processo a Breivik è la Norvegia di Mathiesen e Christie di Marco Del Ciello Notizie Radicali, 30 agosto 2012 Il 24 agosto scorso la giustizia norvegese ha condannato Anders Behring Breivik, famigerato autore della strage di Utoya in cui sono morte 77 persone, alla pena massima prevista dal codice: 21 anni da scontarsi in un carcere moderno e sicuro. Il direttore di “Notizie Radicali” Valter Vecellio, nel suo editoriale di lunedì 27 agosto, ha commentato questa sentenza paragonando il sistema penale norvegese a quello italiano, un confronto che naturalmente risulta impietoso per noi. I dati dell’International Centre for Prison Studies di Londra (www.prisonstudies.org) ci permettono di apprezzare meglio il divario tra i due paesi: in Norvegia ci sono 72 detenuti ogni 100.000 abitanti contro i 113 italiani; in Norvegia ci sono 3.600 detenuti su 3.826 posti disponibili, inutile ricordare ancora una volta i numeri dello spaventoso sovraffollamento delle carceri italiane. Differenze che non sono frutto del caso, ma di due approcci profondamente diversi al controllo del crimine. La Norvegia è un paese di quattro milioni e mezzo di abitanti collocato alla periferia geografica e politica del continente europeo, non fa neanche parte dell’Unione Europea, eppure negli ultimi anni ha prodotto ben due criminologi di fama mondiale: Thomas Mathiesen e Nils Christie, entrambi professori universitari e attivisti politici allo stesso tempo. Nel suo libro più celebre (“Perché il carcere?”, Edizioni Gruppo Abele, 1996) Mathiesen ricorda le difficoltà dei suoi primi contatti con l’universo carcerario. A metà degli anni Sessanta era già pienamente consapevole dei pericoli insiti nella crescita del sistema penale del suo paese, ma sapeva anche che i cittadini non conoscevano e non potevano conoscere questa realtà a causa dell’indifferenza dei mezzi di informazione. Per questo motivo si fece promotore della costituzione dell’Associazione Norvegese per la Riforma del Sistema Penale (Krom). Il Krom ebbe il merito di mettere per la prima volta in contatto politici e studiosi direttamente con i detenuti, superando gli ostacoli burocratici che all’epoca erano molto forti. Mathiesen vede proprio in questa inedita collaborazione tra attivisti e detenuti il segreto che permise al Krom di influenzare le politiche penali del governo, promuovendo la riduzione del numero dei reati e della durata delle pene, a cominciare naturalmente dall’abolizione dell’ergastolo. Noi conosciamo la Norvegia come una società del benessere, grazie al suo welfare scandinavo e alla generosa rendita petrolifera di cui beneficia, ma questo non vuol dire che lì non esistano situazioni di disagio sociale. Nei suoi libri, tradotti in varie lingue (in italiano sono disponibili: “Abolire le Pene?”, Edizioni Gruppo Abele, 1985; “Il business penitenziario”, Elèuthera, 1996; “Oltre la solitudine e le istituzioni”, Elèuthera, 2001), Nils Christie ha spesso considerato i problemi legati all’abuso di alcolici e di sostanze stupefacenti oltre che alla disabilità mentale, stigmatizzando la tendenza presente anche nel suo paese a trattarli attraverso forme di detenzione nelle carceri o in strutture simili. Christie invece, richiamandosi al pensiero di Rudolf Steiner e all’esperienza non solo norvegese dei villaggi Camphill, propone un modello di giustizia in cui i conflitti sociali vengano inseriti nel contesto della comunità e affrontati con la partecipazione di tutte le persone coinvolte. E il carcere rappresenti solo l’ultima, estrema risorsa. Quando la Norvegia è uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, un’intera generazione di politici che avevano sperimentato in prima persona il carcere sotto l’occupazione nazista costruì un sistema penale a misura d’uomo, rispettoso dei diritti dei detenuti. Ma con l’uscita di scena di questa generazione, rischiavano di scomparire anche le sue idee e i suoi valori. Intellettuali come Mathiesen e Christie hanno vigilato e continuano a vigilare perché questo non accada, permettendo ai norvegesi di affrontare anche un crimine brutale come quello di Breivik secondo i principi del diritto e dell’umanità. In Italia invece sembra che siano sempre e solo Marco Pannella e i radicali a difendere questi principi. Giustizia: Si.Di.Pe.: l’Italia rinasce nella scuola e... muore nelle carceri Comunicato stampa, 30 agosto 2012 Il Si.Di.Pe. interviene nuovamente sulle scelte del Governo con un comunicato stampa: “Apprendiamo dal Comunicato stampa relativo al Consiglio dei Ministri n. 43 del 24.08.2012 che per il comparto Scuola il Governo ha dato il via libera a oltre 22 mila assunzioni nella scuola. Il Miur è stato ad assumere a tempo indeterminato entro il 31 agosto, per l’anno scolastico 2012-2013, dirigenti scolastici, personale docente, personale tecnico-amministrativo e direttori amministrativi. Più precisamente le assunzioni riguardano: 1.213 dirigenti scolastici e 21.112 unità di personale docente ed educativo. Il Miur è stato inoltre autorizzato a trattenere in servizio 134 dirigenti (si ricorda che i trattenimenti in servizio sono da considerare, sotto l’aspetto finanziario, assimilabili a nuove assunzioni). Speriamo, però, che il Paese non muoia nelle carceri. Giusta l’attenzione per il mondo della scuola e per l’educazione dei nostri figli, che sono il futuro del nostro Paese, ma speriamo che non ci si dimentichi delle carceri dove la “rieducazione” del condannato assicura a questo stesso Paese sicurezza, perché rieducare chi ha delinquito attraverso il reinserimento sociale consente l’abbattimento della recidiva. Per intanto nelle carceri si muore: muoiono i detenuti in celle sovraffollate (oltre 66.000 su una capienza di circa 45.000 posti), muoiono gli operatori penitenziari, stremati da condizioni di lavoro difficilissime. Si potrebbe certo obiettare che non c’è correlazione provata tra suicidi penitenziari e sovraffollamento carcerario, ma le drammatiche condizioni di vita e di lavoro nelle carceri non solo non aiutano a superare i problemi personali e familiari ma sicuramente acuiscono il disagio e favoriscono scelte disperate. E se si trovano i danari per oltre 22 mila assunzioni nella scuola di certo si potrebbero trovare quei pochi spiccioli che servono per evitare la follia di una riduzione del personale penitenziario, prevista dal D.L. 95/2012 relativo alla spending review, nonostante che il Governo stesso abbia dichiarato lo stato di emergenza delle carceri: se ci sono i soldi per assumere 1.213 dirigenti scolastici e per trattenerne in servizio 134 si spera che il Governo vorrà fare qualcosa per evitare che si riduca il già scarno organico dei dirigenti penitenziari, per assicurare che il sistema penitenziario e le nostre carceri possano avere un direttore in pianta stabile, affinché sia garantito l’equilibrio tra sicurezza e trattamento, rispetto dei doveri del detenuto ma anche dei diritti costituzionalmente garantiti. Se dopo 13 anni è possibile un nuovo concorso per circa 12.000 docenti scolastici e se si è potuto dare il via libera a oltre 22.000 assunzioni nella scuola, ci sarà pure qualche spicciolo per assumere qualche dirigente penitenziario, visto che dall’ultimo concorso per direttore penitenziario sono passati non 13 ma 15 anni - era il lontano 1997. Allo stato tutti i dirigenti penitenziari sono solo 392, compresi i dirigenti generali, e per effetto dei pensionamenti si stanno progressivamente riducendo sempre più: sono pochi e mal pagati, unico esempio di dirigenti dello Stato senza contratto. Forse potrà evitarsi di ridurre ulteriormente quell’altro personale penitenziario che con i direttori delle carceri e degli uffici di esecuzione penale esterna (u.e.p.e.) collabora, anzitutto educatori e assistenti sociali, ai quali è demandato non il difficile compito di educare ma quello difficilissimo di rieducare, nelle carceri e negli U.E.P.E., chi ha violato le regole sociali e che, dopo aver commesso degli errori che sta pagando, intende riabilitarsi. Forse è possibile trovare qualche spicciolo per impedire che le carceri e gli U.E.P.E. siano privati di quel personale amministrativo, già ridotto all’osso, che deve mandare avanti quella macchina amministrativa complessa che è il carcere. Forse può farsi qualcosa per evitare il blocco del turn over previsto dal provvedimento di spending review per una polizia penitenziaria che è già carente di 7000 unità. Il Si.Di.Pe. confida, allora, che il Governo, con la sua competenza tecnica, sappia eliminare gli sprechi per dare risorse dove servono e, quindi, che sappia guardare anche alle nostre carceri, per ridare dignità a chi deve scontare una pena ed a chi quella pena deve fare scontare? “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri - scriveva Voltaire - poiché è da essi che si misura il grado di civiltà di una nazione”. E oggi le carceri italiane sono spesso, purtroppo, disumane, tanto per chi in esse si trova per un provvedimento giudiziario quanto per chi vi lavora”. Lettere: se la sanità non è garantita… di Maurizio Battistutta (Garante dei detenuti di Udine) Messaggero Veneto, 30 agosto 2012 “La notte, sulle nostre brande, pensavamo tutti a quel ragazzo, ne sono sicuro. Se c’è una cosa che lascia assolutamente indifferente chi sta fuori, è proprio la sorte di un detenuto”. “Dentro”, Sandro Bonvissuto. La morte di Matteo Hudorivic di 28 anni, se impone innanzitutto la vicinanza al dolore della compagna, alla figlia di 9 anni e ai suoi familiari, ripropone un problema non poco critico, che più volte anche le persone detenute hanno sollevato su questo quotidiano, tramite la rubrica “Vite in sospeso”, e che riguarda la tutela della salute delle persone detenute nella nostra regione e quindi nelle cinque sedi di carcere. Non si può non citare a questo proposito la legge numero 230 del lontano 1999, ibernata per ben dodici anni, che definiva il “Riordino della medicina penitenziaria” e che dichiara che “i detenuti e gli internati hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, alla erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali e uniformi di assistenza individuati nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali”. Oggi questa legge nella nostra regione non è ancora applicata nonostante la normativa di trasferimento delle competenze sanitarie alla Regione previste con apposito decreto numero 274 del dicembre 2010 con il quale si stabiliscono “Le norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia in materia di sanità penitenziaria”. Con questo decreto, in altri termini, si definisce che tutte le funzioni sanitarie svolte nell’ambito del territorio regionale dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono trasferite al Servizio sanitario della regione e quindi alle Aziende sanitarie locali. Certamente il trasferimento non è cosa semplice anche se, come si precisava all’inizio, questo era previsto già dal lontano 1999 e si possono intuire le difficoltà per rendere operativo tale trasferimento: l’assenza di risorse economiche, l’incertezza dei nuovi inquadramenti del personale sanitario, il censimento delle strutture e delle strumentazioni; eppure il Consiglio regionale e in particolare l’Assessorato alla sanità dovrebbero attuare questo trasferimento di competenze alle Aziende sanitarie con particolare urgenza anche alla luce del sovraffollamento presente in tutti gli istituti della regione che rende ancor più critiche le condizioni di detenzione. Basterebbe riprendere i dati dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, pubblicato da “Ristretti Orizzonti”, nel quale si evidenzia che nel solo mese di luglio sono morti 13 detenuti e 3 agenti di polizia penitenziaria, per evidenziare la grave situazione che si vive oggi nelle strutture penitenziarie del nostro paese e non a caso l’ultimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, curato dall’associazione Antigone, si intitola emblematicamente proprio “Le prigioni malate” proprio per sollecitare un intervento strutturale sul nostro sistema penitenziario che necessita di non “poche cure”, in primis la tutela della salute. Certamente questa breve riflessione non potrà confortare i familiari di Matteo Hudorovic e certamente non si può ricorrere sempre a un evento tragico per richiamare l’attuazione di determinati provvedimenti che in questo caso dovrebbero favorire una migliore tutela della salute per le persone detenute. Il garante delle persone private della libertà personale del comune di Udine, di recente nomina, nei limiti delle sue competenze, avrà anche il compito, già con queste poche righe, di sollecitare i consiglieri, soprattutto quelli che dimostrano maggiore sensibilità visitando gli istituti penitenziari, ad applicare quanto ormai quasi tutte le regioni italiane hanno reso operativo in materia di sanità penitenziaria. Pensare alla futura riforma della sanità regionale non può far dimenticare quanto deve essere applicato per legge nelle strutture penitenziarie della regione e non è più pensabile attendere! Lazio: il Garante; 7.068 detenuti, 2.200 in più rispetto posti, limite sopravvivenza Dire, 30 agosto 2012 Continuano a crescere i detenuti reclusi nelle carceri del Lazio. Secondo il Dap, il 28 agosto i reclusi presenti nei 14 istituti della regione erano 7.068, oltre 2.200 in più rispetto ai 4.838 posti disponibili e ben 33 in più rispetto all’ultima rilevazione diffusa, solo due settimane fa. Il dato è stato reso noto dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che ha invitato a guardare oltre le cifre: “A Regina Coeli i detenuti in sovrannumero sarebbero circa 300, ma non si tiene conto che sono state chiuse due sezioni, la V e la VI, e dunque i posti disponibili sono molti di meno. A Velletri per accogliere i nuovi giunti è stato aperto anche il terzo piano del nuovo padiglione detentivo ed anche a Paliano, considerata un’oasi immune dal sovraffollamento, per la prima volta da molto tempo le presenze sfiorano effettive sfiorano i posti disponibili”. Nelle 206 carceri italiane sono recluse 66.138 persone (2.834 le donne) a fronte di 45.588 posti disponibili. Nel Lazio sono reclusi 6.595 uomini e 466 donne. I detenuti stranieri sono quasi il 40%. Ulteriori spunti di riflessione sono dettati dalle posizioni giuridiche dei reclusi. Quasi la metà è, infatti, in attesa di giudizio definitivo. Di questi, quasi il 60% è rappresentato dai detenuti stranieri. Numeri sempre più preoccupanti perchè si sommano alla cronica carenza di risorse finanziarie - necessarie a garantire il funzionamento degli istituti e le manutenzioni ordinarie - e a quelle di personale. “Come ogni estate- ha detto il garante- il personale di polizia penitenziaria si assottiglia per il necessario e doveroso godimento delle ferie. Non è infrequente imbattersi, all’interno delle carceri, in padiglioni con più sezioni controllate da un solo agente. Una situazione, questa, che produce l’autogestione da parte dei detenuti”. “Ormai non ha più senso - ha concluso Marroni - parlare di presenze record visto che ogni rilevazione è superiore alla precedente. Ma non sono solo i numeri a renderci pessimisti: in questi abbiamo registrato molti casi di persone di scarsa pericolosità sociale costrette, dopo tempo, a tornare in carcere per scontare residui pena di poche settimane o addirittura di persone malate che in cella proprio non dovrebbero stare. È sotto gli occhi di tutti che una legislazione che produce troppo carcere e i lunghi tempi della giustizia hanno creato un corto circuito che sta portando al collasso il sistema. In queste condizioni, era inevitabile che ogni misura adottata, in questi anni, dai governi per ridurre il sovraffollamento si rivelasse inefficace”. Zaratti: inderogabile un intervento immediato del governo “I dati presentati dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, relativi la situazione carceraria nel Lazio, aumentano la preoccupazione, già grave, che avevamo espresso nel corso di due audizioni dedicate a questo tema della commissione regionale Sicurezza, integrazione sociale, lotta alla criminalità. Un anno fa circa avevamo evidenziato la presenza negli istituti di 6.598 persone (6.143 uomini e 455 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 4.856 posti. Oggi il garante ci informa che le presenze sono salite a 7.068 e la crescita è continua”. Così in una nota Filiberto Zaratti, presidente della commissione regionale Sicurezza, integrazione sociale, lotta alla criminalità. “Il governo - prosegue Zaratti - trattandosi di una questione che la Regione non può affrontare con le proprie sole competenze e risorse, deve impegnarsi per avviare la soluzione di questo gravissimo problema, sia in termini economici che organizzativi, un impegno inderogabile da mettere in campo immediatamente poiché le condizioni sanitarie e di sicurezza sono così gravi da non consentire più alcun indugio”. “Da parte sua la Regione - conclude Zaratti - deve sollecitare questo impegno in ogni sede deputata. La commissione che presiedo tornerà dunque ad occuparsi di questo tema quanto prima, allo scopo di individuare le forme più opportune per porlo all’attenzione immediata del Governo e della Giunta Regionale, ascoltando tutte le componenti interessate”. Umbria: Assessore Vinti aderisce a proposta legge di iniziativa popolare contro ergastolo Ansa, 30 agosto 2012 “Desidero esprimere piena adesione alla proposta di legge iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo”: l’assessore regionale Stefano Vinti ha reso noto di aderire all’iniziativa lanciata dallo scrittore ergastolano Carmelo Musumeci, il quale sta scontando la sua pena nel carcere di Spoleto, che sta raccogliendo numerose adesioni di giuristi, personalità del mondo scientifico, artisti, politici, scrittori, esponenti del volontariato carcerario tra le quali quella di Margherita Hack, Umberto Veronesi, Don Luigi Ciotti, Vauro, Erri De Luca, Franca Rame, Ascanio Celestini. “La nostra Costituzione - ricorda Vinti in una nota - stabilisce all’articolo 27 che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, una norma che si scontra con l’istituzione dell’ergastolo. L’ergastolo, ed in particolare l’ergastolo ostativo che esclude l’accesso alle misure alternative al carcere, rendendo questa pena un effettivo fine pena mai, può essere peggiore della pena di morte, in quanto togliere la libertà ad un uomo per sempre significa condannarlo ad una pena molto più lunga e disumana”. “Una pena che non finisce mai - sottolinea Vinti - non rieduca nessuno e toglie qualsiasi speranza di riabilitazione. La civiltà di una nazione si misura anche sulla possibilità che viene offerta a chi sbaglia di espiare la pena per il reato commesso e nello stesso tempo di rimediare a quanto compiuto. Per questo - conclude l’assessore regionale - invito tutte e tutti a firmare la proposta di legge per cancellare dal nostro ordinamento una pratica contraria ad ogni senso di umanità e ad ai principi fondanti del nostro ordinamento”. Udine: suicida detenuto con problemi mentali, doveva stare in un “luogo di cura” Ristretti Orizzonti, 30 agosto 2012 Alessandro Marchioro, nato a Padova nel 1960, era un operaio metalmeccanico, con problemi mentali di “media gravità”. In cura presso i Servizi Territoriali, ha sempre vissuto con i genitori, che sopportavano in silenzio il suo comportamento irascibile e a volte violento. Nel 2009 ha perso il lavoro ed è stato messo in “lista di mobilità”, senza però riuscire a trovare un’altra occupazione. La situazione in famiglia è peggiorata di mese in mese, finché a gennaio i genitori non ce l’hanno più fatta ed hanno chiamato la polizia. Il Gip del Tribunale di Padova “nell’ottica della tutela anche del reo”, decide la sua custodia in un “luogo di cura”. (Un Reparto Psichiatrico Ospedaliero? Un Opg?) Evidentemente dal “luogo di cura” per qualche motivo è passato in carcere... prima a Padova, poi a Udine, dove la scorsa notte si è impiccato. Procura apre indagine (Ansa) La Procura di Udine ha aperto un’indagine conoscitiva, senza indagati nè ipotesi di reato, sul suicidio del detenuto che, la notte scorsa, si è tolto la vita in carcere, impiccandosi con una cintura. Dopo un’indagine interna già condotta dalla polizia penitenziaria, questa mattina hanno fatto un sopralluogo in carcere anche il Procuratore aggiunto Raffaele Tito e il sostituto Paola De Franceschi. I magistrati sono stati nella cella del detenuto e hanno parlato con la direttrice della struttura penitenziaria. Il compagno di cella verrà sentito dai carabinieri di Udine. Sono in corso alcuni semplici accertamenti, in particolare sulla cintura in possesso del detenuto. La Procura ha già acquisito la documentazione dal carcere di Padova, da dove il detenuto era stato trasferito il 28 agosto. L’uomo era stato dichiarato compatibile con il regime carcerario. Il medico del carcere di Udine aveva chiesto per lui un colloquio con lo psichiatra; l’incontro sarebbe dovuto avvenire a giorni. Il comunicato della Uil-Pa Penitenziari (Adnkronos) “Un detenuto di origini italiane si è suicidato questa notte, impiccandosi con una cintura del suo compagno di cella, nel carcere di Udine. L’uomo era arrivato nel capoluogo friulano solo da poche ore, proveniente dal carcere di Padova per sfollamento. Era stato arrestato nella città patavina per violenze ai familiari e all’atto dell’arresto era stato ricoverato nel Reparto Psichiatrico, per oltre dieci giorni, considerato i disturbi psichici di cui soffriva”. Lo rende noto il Segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, ricordando che “Si tratta del 36esimo suicidio in cella verificatosi dal primo gennaio ad oggi”. “Purtroppo - commenta ancora Sarno in una nota - questa strage silenziosa continua nel più assoluto silenzio e nella quasi totale distrazione della stampa, della società e della politica, nonostante i fervidi solleciti del Presidente Napolitano rispetto alla prepotente urgenza, che si perpetua nel tempo, e alla vergogna dell’Italia in Europa per le condizioni delle proprie prigioni”. “Considerato che a oltre un anno da questo autorevole pronunciamento del Capo dello Stato nulla è mutato per alleviare le criticità del sistema penitenziario - denuncia - non possiamo, amaramente, non rilevare come, pur nella loro incisività e forza, le parole di Napolitano siano state sostanzialmente inutili”. Le recenti determinazioni del Governo in materia di spending review alimentano le perplessità della Uil Penitenziari sulla volontà di incidere sulla deriva del sistema penitenziario, si legge nella nota del sindacato. “Il Presidente Monti - prosegue Sarno - aveva annunciato che alla ripresa dei lavori il Governo avrebbe posto in agenda l’emergenza penitenziaria e la questione giustizia. Non ci pare, dal resoconto dell’ultimo Consiglio dei Ministri, che ciò sia avvenuto. Noi non disperiamo. C’è sempre tempo. Purtroppo - sottolinea Segretario generale della Uil Penitenziari - i tagli al personale amministrativo e agli organici della polizia penitenziaria e i ridotti stanziamenti economici rappresentano la realtà, gli impegni l’utopia. Si rileva, quindi, una contraddizione evidente tra ciò che il Governo dice voler fare e tra ciò che realmente si fa in materia penitenziaria”. Proprio per tenere alta la soglia dell’attenzione sul dramma sociale della Questione penitenziaria la Uil ha organizzato per l’8 ottobre a Roma una tavola rotonda il cui titolo è “Le (S)Torture dell’Esecuzione Penale in Italia e i loro costi sociali”. “Intendiamo alimentare confronti ed attenzione su un tema di particolare rilevanza sociale. Il sistema penitenziario - spiega Sarno - è parte integrante del sistema sicurezza del Paese e deve assolvere ad alti e nobili obiettivi assegnatigli dalla Costituzione. In questo panorama ed in queste condizioni, però, riusciamo a malapena a garantire una sorveglianza ai livelli minimi di sicurezza, fatto salvo qualche raro esempio di efficienza. Con questa consapevolezza - conclude il sindacalista - piuttosto che prevedere un percorso di proteste e manifestazioni vogliamo chiamare al confronto tecnici e politici e non disperiamo di avere con noi anche il ministro della Giustizia”. Il comunicato del Sappe (Il Velino) “A poche settimane dalle violente colluttazioni contro poliziotti nelle carceri di Sanremo, Orvieto, Saluzzo, Pisa e Como e a diversi suicidi di detenuti, questa notte a Udine un altro detenuto - M.A., nato nel 1960 a Padova e detenuto per maltrattamenti in famiglia - si è tolto la vita tramite impiccamento nonostante gli encomiabili sforzi che quotidianamente svolge la polizia penitenziaria per evitare che le nostre carceri sprofondino nel baratro dell’inciviltà”. Lo denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, in relazione a quanto avvenuto questa notte nel carcere di Udine. “Questo ennesimo suicidio - sottolinea - ci preoccupa. La carenza di personale di polizia penitenziaria e di educatori, di psicologi e di personale medico specializzato, il pesante sovraffollamento dei carceri italiani (67mila detenuti in carceri che ne potrebbero ospitare 43mila,con le conseguenti ripercussioni negative sulla dignità stessa di chi deve scontare una pena in celle affollate oltre ogni limite tenuto anche conto che più del 40 per cento di chi è detenuto è in attesa di un giudizio definitivo) sono temi che si dibattono da tempo, senza soluzione, e sono concause di questi tragici episodi”. Per Capece, inoltre, “spesso, come a Udine, il personale di polizia penitenziaria è stato ed è lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensione, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Le tensioni in carcere crescono non più di giorno in giorno, ma di ora in ora: bisogna intervenire tempestivamente per garantire adeguata sicurezza agli agenti e alle strutture ed impedire l’implosione del sistema”. Insomma, prosegue il segretario generale del Sappe, “la situazione è ben oltre il limite della tolleranza. Lo dimostra chiaramente l’inquietante regolarità con cui avvengono episodi di tensione ed eventi critici, tra i quali le tragedie dei suicidi, nelle sovraffollate prigioni italiane”. Il Sappe, che auspica urgenti interventi dell’amministrazione penitenziaria, rinnova l’invito alle istituzioni di “arrivare a definire, come sosteniamo da tempo, circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità o che necessitano di un percorso carcerario differenziato (come i detenuti con problemi sanitari e psichiatrici), specifici circuiti di custodia attenuata anche potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Quello che invece non serve è la delegittimazione del ruolo di sicurezza affidato alla polizia penitenziaria, come invece previsto da una recente nota del capo Dap Tamburino che vorrebbe consegnare le carceri all’autogestione dei detenuti attraverso fantomatici patti di responsabilità”. Il Sindaco di Udine: sono molto addolorato (Ansa) “Sono profondamente addolorato per quanto accaduto - dichiara il sindaco di Udine, Furio Honsell, nell’apprendere la notizia del detenuto suicida nel carcere del capoluogo friulano. A nome mio e di tutta l’Amministrazione esprimo vicinanza ai familiari del detenuto. Come Amministrazione siamo vicini sia ai detenuti sia agli operatori, in particolare alla direttrice, per le difficoltà con cui devono quotidianamente operare”. Lo ha detto il sindaco di Udine, Furio Honsell. In una nota il sindaco ricorda che “il sovraffollamento delle carceri, così come quello delle difficoltà finanziarie in cui versa il sistema carcerario è tema più volte sollevato, da sempre al centro della nostra attenzione. Proprio per questo motivo il Comune ha istituito il Garante dei detenuti”. A Udine per la prima volta la figura del Garante dei detenuti è stata istituita nella seduta del Consiglio comunale del 22 dicembre 2011. Nell’ultima seduta di luglio a ricoprire questo ruolo il Consiglio ha eletto Maurizio Battistutta, presidente dell’Associazione di volontariato penitenziario Icaro di Udine. Papa (Pdl): ogni suicidio è fallimento Stato, 36 da inizio anno (9Colonne) “Ogni morte in carcere è un fallimento dello Stato”. È quanto dichiara il deputato del Pdl Alfonso Papa in seguito al suicidio di un detenuto quarantenne nel carcere di Udine. “Si tratta del trentaseiesimo suicidio accertato dall’inizio dell’anno - continua Papa - Il detenuto, che versava già in condizioni psichiche assai fragili, era stato appena trasferito dal carcere di Padova a Udine per sfollamento. Purtroppo la situazione è allo stremo in ogni istituto penitenziario nazionale”. “Direttori, agenti di polizia e detenuti sono uniti nel domandare alla politica un’azione concreta. Con il Comitato per la prepotente urgenza che presiedo - conclude il deputato Papa - presenteremo nelle prossime settimane al Guardasigilli Severino un pacchetto organico di proposte, la prima delle quali si chiama amnistia. L’inerzia è criminale, e noi non vogliamo renderci complici”. Venezia: donna di 46 anni uccisa dalla compagna di stanza in un Centro psichiatrico Il Gazzettino, 30 agosto 2012 Una lite violenta tra due pazienti è finita in tragedia poco dopo le 16 nel centro riabilitativo psichiatrico “Fossalto” di Portogruaro di proprietà comunale ma gestito da una cooperativa: una paziente ha ucciso la compagna di stanza. Non è ancora chiaro per quali motivi le due donne stessero litigando. L’omicida, una 50enne, avrebbe ucciso la rivale, di 46 anni, soffocandola, forse con una cinghia. La paziente deceduta risiedeva nel Portogruarese, dopo il fatto è stata soccorsa e rianimata dal personale infermieristico professionale della cooperativa Itaca che gestisce da diversi anni la struttura. Contemporaneamente, spiega la Ulss 10, è stato chiamato il 118 che ha proseguito le cure del caso. La donna, nonostante la rianimazione intensiva, è tuttavia deceduta per arresto cardiaco. La vittima era da anni in trattamento presso il servizio psichiatrico dell’Ulss 10 per una grave patologia con aspetti depressivi e difficoltà relazionali; era monitorata quotidianamente per la sua riabilitazione dagli operatori dell’unità operativa di psichiatria di Portogruaro. Era anche in trattamento farmacologico. Il fatto, i cui dettagli sono oggetto di indagine da parte della magistratura, secondo i medici sarebbe nato “da un gesto impulsivo e imprevedibile. Sul collo della donna - viene spiegato - sono stati individuati segni di violenza”. Roma: il Centro clinico di Regina Coeli affidato ad Alfonso Sabella, pm antimafia Corriere della Sera, 30 agosto 2012 Alfonso Sabella, il magistrato condannato a morte da Cosa nostra per il suo ruolo decisivo nelle catture di Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Pietro Aglieri e tanti altri capicosca, riparte da Regina Coeli: sarà il responsabile del centro clinico. “È una sfida che mi appassiona, sono uno che per natura ama mettersi in gioco”. Ormai lontani - anche se di stretta attualità nella polemica politica - i ricordi della stagione di Palermo, anno 1993, dopo le stragi di Falcone e Borsellino. A trent’anni si trovò nel pool più famoso d’Italia e al fianco del “capo”, Gian Carlo Caselli. Vita sotto scorta. Anni terribili ed esaltanti per chi combatteva l’Antistato sentendo un intero Paese, la coscienza civile di una nazione ferita, dalla sua parte. Ma anche un periodo di ombre, snodo di passaggi oscuri. Fu lui, quasi incredulo, nei tre interrogatori del 23 febbraio 1998, 22 aprile dello stesso anno e 19 marzo 1999, a recepire le dichiarazioni del pentito Brusca sulla trattativa Stato-mafia e sul “papello” di Riina. Lui a lasciare gli esplosivi verbali dello “scanna cristiani” nelle mani del nuovo procuratore Piero Grasso. Lui, trasferito a Roma, a dirigere il Servizio ispettivo del Dap, ad entrare in contrasto con il direttore Tinebra, a essere spostato alla Procura di Firenze e poi tornare ancora a Roma, giudice di tribunale... Oggi Sabella, 49 anni, magistrato per vocazione fin da quando diciottenne preparò la sua prima valigia per partire da Bivona, minuscolo paese dell’agrigentino, e andare a studiare Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, volta pagina. Non più inquirente né giudicante: nei giorni scorsi si è insediato alla guida della commissione paritetica voluta dal ministro Severino e dal governatore Polverini “per affrontare - come da comunicato ufficiale - le criticità del Centro diagnostico terapeutico della casa circondariale di Regina Coeli”. Fuori dal burocratese, Sabella, in qualità di direttore generale dell’Ufficio beni e servizi del ministero di Giustizia, è chiamato a trasformare il centro clinico del carcere di Trastevere in un posto in cui i detenuti vengano curati e non scelgano di uccidersi, come accaduto poche settimane fa a un magrebino. Ma va da sé che la scommessa dell’ex braccio destro di Caselli è di maggior respiro: partire dall’ emergenza per fare del penitenziario più famigerato d’Italia, 1.200 detenuti invece dei 700 previsti e 140 guardie di sotto-organico, un modello di carcere giusto e umano, finalizzato davvero alla riabilitazione. “Se prima i delinquenti li prendevo, d’ora in poi metterò in campo lo stesso impegno per garantire loro i giusti diritti, degni di un Paese civile”. Il primo segnale dell’ex cacciatore di mafiosi è in linea con il personaggio: pancia a terra e lavorare. La commissione mista si è insediata prima di Ferragosto, nella città svuotata e riarsa, e ha definito un crono-programma: entro il 20 settembre i gruppi di lavoro individuati da alti funzionari di via Arenula e dai responsabili dei centri di spesa della Regione (presente anche il direttore della Asl RmA) dovranno mettere a punto entità e scadenze degli interventi tecnici ed edilizi necessari a “ottimizzare l’assistenza sanitaria e rendere maggiormente fruibile il centro clinico”. Milano: carcere di Bollate; dai lavoratori-carcerati fatturato di 2 milioni di euro www.milanotoday.it, 30 agosto 2012 A Bollate, ci sono “mini-imprese” di sarti, scenografi, cuochi, esperti di controllo qualità, giardinieri. Tutte costruite da detenuti. Che fatturano 2 milioni all’anno. E, se si lavora, la recidiva scende del 50% C’è una realtà a Milano che non chiude per ferie. È costantemente chiusa per mandato, per compito, per legge, e necessita di percorsi particolari e dedicati di visibilità e di contatto. È il carcere di Bollate. Per oltre 200 detenuti, su un totale di 1.150, “la vacanza” sta nella grande opportunità di uscire dalla cella e raggiungere, all’interno del penitenziario, le serre dove coltivare le piante, le cucine dove preparare catering di qualità, il laboratorio con le macchine da cucire dove realizzare le creazioni di moda, gli attrezzi per intagliare i mobili o riparare i cellulari. Il tutto, con una dedizione assoluta che genera prodotti di altissima qualità artigianale. “Questa dedizione va sostenuta e fatta rientrare a pieno titolo nel comparto economico di produzione di qualità della città di Milano”, ha dichiarato l’assessore allo Sviluppo economico Cristina Tajani. In continuità con le azioni di sostegno promosse già da un anno dal suo assessorato, il “Sindaco d’agosto” Tajani ha incontrato questa mattina le imprese e le cooperative che, scegliendo di operare nelle carceri, costruiscono opportunità di lavoro e contribuiscono alla produttività milanese. Nel solo carcere di Bollate, le otto cooperative e imprese presenti generano complessivamente un fatturato per oltre 2 milioni di euro. “Siamo vicini a queste realtà marginali e ristrette per collocazione, ma capaci di contribuire allo sviluppo cittadino, e abbiamo dedicato ad esse un acceleratore d’impresa, inaugurato nel novembre scorso (con uno stanziamento di 500 mila euro), che le sostiene nel delicato passaggio da una logica assistenzialistica ad una imprenditoriale. Alle imprese e cooperative più “mature” (in seguito alla partecipazione a un bando del valore di 500 mila euro), stiamo anche dando la possibilità di realizzare piani di sviluppo concedendo agevolazioni economiche fino a 45 mila euro ciascuna (di cui il 50% a fondo perduto). Siamo riusciti a finanziare queste iniziative grazie a un uso innovativo delle risorse ministeriali e, in particolare, dei fondi della legge 266/97, per la realizzazione di azioni a sostegno dell’imprenditoria in ambiti urbani di degrado”. Complessivamente, all’acceleratore hanno aderito ad oggi 15 imprese collocate nei quattro penitenziari milanesi, mentre sono 9 (la maggior parte nel carcere di Bollate) le realtà produttive risultate beneficiarie del bando. Sono presenti oggi nel carcere di Bollate le cooperative sociali Alice (sartoria, confezioni e riparazioni abbigliamento), Abc la Sapienza in tavola (catering, cucina), Estia (allestimenti scenografici, scenotecnici e illuminotecnici teatrali), Cascina Bollate (commercializzazione di piante), Out&Sider (telemarketing, call center), Stile libero (packaging), oltre alle imprese Bee-2 Srl (promozione di prodotti e servizi, controllo qualità) e Sst Srl (riparazione cellulari, call center). Nel corso della visita di stamattina è stato sottolineato, inoltre, come le imprese e le cooperative attive nelle carceri offrendo occasioni di reinserimento per i detenuti, contribuiscono a ridurre fortemente il tasso di recidiva (in media del 20% anziché del 70%) tra chi lavora. Nuoro: Sdr; in nuova ala del carcere di Badu e Carros zone senza luce Asca, 30 agosto 2012 “La nuova ala del carcere di Badu e Carros, destinata ai detenuti in alta sicurezza non solo soffre per il sovraffollamento per cui gli ergastolani sono in cella anche con tre, quattro o cinque persone ma ci sono addirittura zone prive di luce”. Lo afferma, in una nota, Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti riforme”, denunciando ancora una volta il mancato rispetto delle disposizioni di legge da parte del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria “che ha trasferito nell’isola senza alcun criterio molti dei detenuti di Spoleto dove le attività e prospettive erano ben diverse”. “La sezione, appena ristrutturata, sta creando - sottolinea la presidente - seri problemi di gestione in quanto risponde a una logica punitiva che estranea gli agenti di Polizia Penitenziaria dal loro ruolo di diretti interpreti delle questioni attinenti i detenuti. In AS1ci sono spazi non sufficientemente illuminati naturalmente. L’uso costante della luce elettrica danneggia la vista e in alcuni casi accelera il decorso di disturbi visivi come accade in alcuni casi di ipermetropia o miopia grave. In considerazione della gravità delle denunce si rende necessaria una visita della commissione Diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna”. “Gli ergastolani giunti a Nuoro alcuni dei quali con 35 anni di limitazione della libertà sono stati allontanati - osserva ancora Caligaris - dalle famiglie che, in alcuni casi, per poter incontrare i parenti ed effettuare un colloquio devono sobbarcarsi lunghissimi viaggi e spese esorbitanti”. “Anche nei periodi di crisi economica non rispettare le norme vigenti in Italia significa - conclude la presidente - stravolgere i principi fondamentali della democrazia, attuare in modo mascherato la tortura per piegare la volontà individuale non per rieducare e far perdere fiducia nelle istituzioni”. Bari: Osapp; in carcere manca il personale, turni di lavoro massacranti www.baritoday.it, 30 agosto 2012 Situazione critica in particolare nella sezione femminile, dove ieri sera una poliziotta è stata colta da malore dopo essere stata costretta a prolungare di tre ore il turno di lavoro. Allarme per la carenza di personale nel carcere di Bari. A denunciare la situazione è il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, secondo cui la cronica mancanza di agenti nell’istituto di pena barese rischia di provocare una vera e propria “paralisi operativa”, senza contare i disagi per gli agenti in servizio, costretti a turni di lavoro sempre più stressanti. A questo proposito, l’Osapp riferisce un episodio avvenuto ieri, quando una poliziotta è stata colta da malore e ricoverata in ospedale, dopo essere stata costretta a prolungare di tre ore il turno di lavoro. “Sono anni - scrive in una nota il segretario generale dell’Osapp Mimmo Mastrulli - che si denuncia il degrado del settore Femminile e maschile del Carcere del Capoluogo barese senza che da parte di chi è deputato ad amministrare, organizzare, pianificare e disporre quale il provveditorato regionale abbia seriamente proposto il concreto confronto con le Parti Sociali quali i Sindacati di Polizia se non un interlocutorio fallimentare incontro dello scorso febbraio 2012 senza un nulla di fatto, un’amministrazione Regionale fallimentare che continuerebbe a mantenere la propria testa sotto la sabbia probabilmente per non ascoltare le richieste di aiuto che pervengono dalla “voce” del popolo delle divise e dai loro rappresentanti sindacali”. “Con ulteriore atto riservato odierno - informa ancora Mastrulli - il Sindacato Osapp ha proposto soluzioni e richiesto interventi sulla Puglia e sul carcere Femminile di Bari direttamente con un documento al Capo del Dipartimento Presidente Giovanni Tamburino ed al Vice capo Vicario del Dap Presidente Simonetta Matone. Domenico Mastrulli Vicesegretario Generale Nazionale Osapp Ferrara: carceri e diritti dei detenuti domani sera alla Festa comunale del Pd Ristretti Orizzonti, 30 agosto 2012 Domani, venerdì 31 agosto ore 21, presso la spazio dibattiti della Festa Comunale del PD di Ferrara a Pontelagoscuro si terrà un dibattito dal titolo “Si esce dal carcere ma non dalla condanna. Carcere e amnistia”. Ne parleranno il Prof. Andrea Pugiotto, ordinario di diritto costituzionale Università di Ferrara e responsabile scientifico ed organizzativo della scuola di formazione per una consapevole cultura costituzionale, che affronterà il tema del carcere sotto il profilo della legalità, Michalis Traitsis regista e direttore artistico di “Balamòs Teatro” e responsabile del progetto “Passi sospesi”, che da anni si occupa delle tematiche della prevenzione e della detenzione attraverso lo strumento delle arti (teatro, cinema, musica, danza). Proprio in questi giorni Traitsis ha organizzato incontri con la regista indiana Mira Nair presso la casa di Reclusione di Giudecca in collaborazione con la 69° mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia. Al dibattito parteciperà anche Paolo Niccolò Giubelli, segretario dell’associazione Radicali di Ferrar, che affronterà tematiche care ai radicali quali i procedimenti e le sanzioni comminate al nostro paese dalla UE relativamente alla situazione delle carceri italiane e Marcello Marighelli, garante dei detenuti di Ferrara, offrirà interessanti spunti di riflessione sull’importanza del rapporto “carcere-città” per l’effettività dei percorsi rieducativi. Modererà l’incontro l’Avvocato Elisabetta Soriani. Milano: nuova attività nel carcere di Bollate, i “Laboratori Pupazzetti” Comunicato stampa, 30 agosto 2012 Si è recentemente aggiunta una nuova attività stanziale nella 2° C.R. Milano-Bollate che desideriamo condividere nell’ottica della maggiore informazione su ciò che viene attuato in questo Istituto. I “Laboratori Pupazzetti”, tre presenti - due nei reparti maschili e uno al femminile - stanno formando quotidianamente alla manualità creativa di manufatti con cartapesta circa quaranta persone detenute, tutte animate da spirito costruttivo per un volontariato qualificato e competente. Scopo di questa ed altre attività ideate e promosse dalla nostra Associazione, è la costituzione di un “Fondo Odontoiatrico” per cure protesiche atte a fornire un apparecchio ortodontico completo a chi è privo di dentatura e non dispone di mezzi economici né di aiuti esterni. Sono evidenti i risvolti che tale iniziativa riveste in termini di salute fisica (ripristinare, con una corretta masticazione, le normali funzioni digestive), e di benessere psicologico (una dentatura completa accresce l’autostima e facilita le relazioni interpersonali e i rapporti sociali in genere). La nostra Associazione si è sempre posta come obiettivo l’accrescimento, nel “Progetto Bollate”, di nuove attività “pilota” mai esperite prima e non sperimentate in altri Istituti, come un periodico registrato sulla salute “Salute inGrata” e lo “Sportello Salute” per soddisfare le richieste dei ristretti di maggiore informazione su quanto ottenibile in carcere per il benessere fisico e psichico. Questa considerazione non è per noi un vanto, ma stimolo a fare sempre meglio e di più. Viviana Brinkmann Presidente Ass.ne Gli amici di Zaccheo Potenza: in distribuzione Dvd realizzato dalla Casa Circondariale di Melfi Ristretti Orizzonti, 30 agosto 2012 All’interno della Casa Circondariale di Melfi con il concorso dell’Apofil della Provincia di Potenza e con la collaborazione di alcune Associazioni di Volontariato è stato realizzato il dvd “Dietro il muro” sulla condizione carceraria. La detenzione, la libertà, il contatto con l’esterno sono gli argomenti trattati nel dvd. Due spot di comunicazione sociale e le interviste agli ospiti della Casa Circondariale ci aiutano a capire chi sono queste persone. Chi volesse averne una copia può farne richiesta a info@aicsbasilicata.it o per tel-fax allo 0971.442230 Cinema: Valeria Golino a breve sul set nei panni di Armida Miserere Asca, 30 agosto 2012 Impegnata con il montaggio del suo primo lungometraggio dal titolo “Vi perdono” con protagonista Jasmine Trinca, Valeria Golino tornerà sul set a breve come attrice, diretta da Marco Puccioni nel film per il cinema dal titolo “Come il vento”. Ispirato alla vera storia di Armida Miserere, una delle prime direttrici di carcere in Italia morta suicida, sparandosi alla testa un colpo della sua pistola d’ordinanza per non essersi ripresa dalla morte dell’uomo, educatore del carcere di Opera, ucciso nel 1990 dalla criminalità organizzata. Il progetto ha ottenuto il riconoscimento di interesse culturale ed il contributo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Si parla della presenza, non confermata, nel cast anche di Francesco Scianna. Libri: “Dentro”; intervista all’autore, Sandro Bonvissuto di Josephine Condemi www.strill.it, 30 agosto 2012 Sandro Bonvissuto è a Reggio Calabria, vincitore del Premio “F. Seminara” del Rhegium Julii. Il suo libro d’esordio, “Dentro”, è diventato un caso letterario per l’abilità dell’autore di condividere con il lettore tre eventi di una vita con altrettanti racconti: l’esperienza del carcere (“Il giardino delle arance amare”), del liceo (“Il mio compagno di banco”), un momento dell’infanzia (“Il giorno in cui mio padre mi ha insegnato ad andare in bicicletta”). Tre flash, tre quadri a loro volta suddivisi in mini pennellate, in frammenti, separati graficamente da uno spazio bianco, cosicché sia chi legge a trovare gli eventuali nessi causali, con la sensazione che capire tutto non è tutto. Raccontare una vita e, forse, la vita attraverso tre momenti è una bella scommessa stilistica e concettuale… È vero, ma credo che la vita abbia due velocità: ci sono gli eventi e ci sono i momenti di transizione che sembrano fatti di niente ma sono altrettanto importanti, perché sono quelli in cui si amministra la materia del passato e la coscienza chiude dei conti. Io non sono né gnostico né religioso ma credo nei tempi della coscienza, quelli in cui ci si guarda dentro. Però è un dentro che non trascura il fuori… Non volevo chiudere un libro che fosse l’emissione di un io narrante, un solipsismo. Il mio protagonista è recettivo, sa che ci sono gli altri, ha la consapevolezza di un mondo che trasmette e che lui è destinato a ricevere e sentire. D’altronde, ho scelto di scrivere in prima persona non solo perché è più facile rispetto alla terza, ma perché in questo modo si viene catapultati già nel racconto, già sei dentro… Ha fatto molto rumore il primo dei tre racconti, in cui l’io narrante descrive la propria esperienza in carcere e tra l’altro dice : “In carcere è come se dessero la stessa medicina a tutti i malati, anche se affetti da patologie diverse. La stessa pena per tutti. C’è molta più fantasia nel crimine che nella pena” e anche “oggi so perché la sorte dei detenuti non interessa a nessun politico: perché i detenuti, mediamente, non votano più”… delle considerazioni sociologiche o cosa? Sono considerazioni di carattere commerciale: il detenuto non interessa perché non è più un cliente del sistema. Quando perdi i diritti politici e non puoi sostenere la meccanica di una grande democrazia, non sei più un cliente a cui far vedere lo spot, quindi perdi di significato, non interessi più alla politica. Ma molti i diritti li hanno persi perché hanno compiuto dei crimini contro il sistema… non se ne esce facilmente… Per me i detenuti sono un grande patrimonio per la democrazia: le loro storie, gli errori che hanno fatto, andrebbero studiate, perché mostrano in modo macroscopico le falle del sistema. Io penso che la colpa non possa essere esclusivamente del detenuto, e credo che le circostanze dominino l’uomo più di quanto egli sia capace di dominarle… Non voglio dire che è giusto che possano succedere delle cose, ma credo che bisogna creare le condizioni affinché non succedano. Per me questo è il lavoro per il progresso: fare in modo che il mondo in cui si vive sia sempre più umanamente compatibile. Credo che in condizioni di grande difficoltà, nella vita, un uomo possa arrivare a gesti molto gravi. Non giustifico, ma mi sforzo di contestualizzare, perché il gesto assurdo non è sempre animato da pazzia, non aprirei sempre scorci sulla psicanalisi. Nel racconto dedicato all’adolescenza e alla scoperta dell’altro si insiste molto sul “non lo so”… L’obiettivo del protagonista è fare del “non lo so” uno stile di vita. Perché anche chi sa qualcosa in realtà si riempie di incertezze, dubbi, domande… che male c’è a dire non lo so? È un atteggiamento provocatorio di moderato, socratico scetticismo, in un età come quella adolescenziale in cui si ha il coraggio di sostenere anche la convinzione di non avere convinzioni… nell’era del dover sapere tutto, rivendicare il diritto di non sapere, di domandare. “Dentro” è un libro che paradossalmente già dalla struttura punta sulla pluralità delle interpretazioni, lasciando molto spazio al lettore… Sì perché per me esiste l’obbligo morale dello scrittore alla condivisione… non mi reputo padrone di niente, il libro è dei lettori. A me è successa una cosa impossibile, una storia che racconto sempre con cautela, perché io per primo diffido del mito dell’uno su mille ce la fa: uscire dall’anonimato di una vita di padre di famiglia, con un lavoro in trattoria, avere la fiducia di un grande editore e pubblicare… non posso fare altro che questa esperienza restituirla alla società da cui proviene. Anche quest’esperienza a Reggio Calabria, con gente appassionata ai libri, che li ama, li legge, con cui ci si può confrontare, scambiarsi idee. Nonostante la logica della funzionalità, la tendenza a inscatolare tutto, in “Dentro” si continua a camminare, perché “sulla giostra era meglio, la vita era più bella”. E si può sempre imparare ad andare in bicicletta. Svizzera: Rapporto Commissione nazionale per la prevenzione della tortura www.news.admin.ch, 30 agosto 2012 Troppe ore in cella per i detenuti in Ticino, misure disciplinari non regolate e poco personale medico specializzato nelle carceri ticinesi. Questo il resoconto dei risultati che la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura (Cnpt) ha pubblicato in merito alla visita del 21-23 novembre 2011 al penitenziario La Stampa e al carcere giudiziario La Farera. La Commissione ritiene problematiche le scarse possibilità occupazionali e di movimento che vengono date ai detenuti in Ticino. Inoltre ha criticato il fatto che nei confronti dei detenuti vengono presi provvedimenti disciplinari poco chiari. Durante la visita al carcere giudiziario La Farera, la Commissione ha potuto rendersi conto dei vantaggi offerti da una moderna infrastruttura. Ha invece costatato che il carcere non offre alcuna opportunità occupazionale ai detenuti. Di conseguenza questi ultimi trascorrono nella propria cella 23 ore al giorno, il che, stando a quanto affermano molti di loro, si ripercuote negativamente sul loro stato psicologico. La CNPT è del parere che occorra fornire più possibilità occupazionali e di movimento soprattutto ai detenuti che restano in carcere per mesi. La Commissione ha poi rilevato che le misure disciplinari non sono formalmente regolate e che alcuni detenuti hanno trascorso troppo tempo in segregazione cellulare assoluta. Tuttavia, nel frattempo, la direzione carceraria ha formalizzato alcune procedure ed un regolamento ad hoc. Infine, la CNPT è rimasta sorpresa dalla prassi di affidare il servizio sanitario per i detenuti, a personale carcerario, espressamente formato allo scopo, che tuttavia non dispone delle necessarie conoscenze mediche. Pertanto ha proposto di migliorare la preparazione medica di tale personale mediante una serie di corsi di perfezionamento e ha chiesto di integrare il servizio sanitario carcerario nel sistema ospedaliero cantonale. Ha comunque apprezzato l’istituzione di un gruppo di lavoro, recentemente voluto dal Consiglio di Stato del Canton Ticino, il cui compito consiste nella creazione di un unico servizio sanitario e psichiatrico da collegare alla rete pubblica dell’ospedale regionale. La CNPT ha infine accolto favorevolmente il fatto che, dopo la sua visita, il regolamento carcerario sia stato tradotto in più lingue e il personale sia stato incaricato di garantirne la distribuzione ai detenuti al momento del loro arrivo. Detenuto rimane in carcere più del dovuto Lui era pronto ad uscire. Da un momento all’altro - pensava - avrebbe lasciato la propria cella. Sarebbe tornato a piede libero, in attesa di giudizio, così come stabilito. E invece no. Con sua grande sorpresa, le porte della Farera sono rimaste chiuse. Tutta colpa di una svista. Il titolare dell’inchiesta, il procuratore generale John Noseda, non aveva intimato l’ordine di scarcerazione; indispensabile per poter rilasciare il detenuto. Detenuto che dietro le sbarre ha quindi dovuto trascorrere un giorno in più. La vicenda - di cui si è avuto notizia soltanto ora - risale alle scorse settimane. La Divisione della giustizia conferma: “Sì, è vero. Si tratta comunque di un episodio isolato. Anzi, di un caso rarissimo.” Un caso rarissimo, che vede coinvolto - come detto - proprio il numero uno del ministero pubblico. Noseda, da noi contattato, ha preferito non entrare nel merito. “La questione riguarda infatti un’indagine ancora in corso. Comunque sia - ha aggiunto il procuratore generale - quanto successo non è stato oggetto di alcun reclamo nelle sedi competenti.” Nessun ricorso, insomma, né segnalazioni al Consiglio della magistratura. La questione rischia però di non finire qui. L’organo di vigilanza potrebbe anche avviare un procedimento d’ufficio. “Se così dovesse essere - ha concluso John Noseda - trasmetterò naturalmente le mie osservazioni”. Iraq: Amnesty International chiede moratoria pena di morte Tm News, 30 agosto 2012 Amnesty International ha chiesto all’Iraq una moratoria sull’utilizzo della pena capitale e di commutare tutte le condanne a morte inflitte, dopo che Baghdad ha annunciato di aver giustiziato questa settimana ventisei persone. Le esecuzioni, che hanno portato ad almeno 96 il numero delle condanne a morte eseguite questa settimana, rappresentano secondo l’organizzazione per la tutela dei diritti umani con sede a Londra “un significativo e preoccupante aumento rispetto all’anno precedente”, quando almeno 68 persone furono giustiziate. “Molti processi di quanti sono condannati a morte non rispettano gli standard internazionali per i processi equi, comprese le confessioni ottenute sotto tortura o altri maltrattamenti utilizzati come prova contro di loro”, ha spiegato Amnesty International, “Alcune emittenti televisive irachene continuano a trasmettere testimonianze di detenuti che si autoaccusano ancor prima dell’apertura del processo, minando il diritto fondamentale degli imputati a essere considerati innocenti fino a una dimostrata colpevolezza”. “Amnesty International invita le autorità irachene ad astenersi dall’utilizzare la pena di morte, commutare tutte le condanne a morte in pene detentive e dichiarare una moratoria sulle esecuzioni”, ha indicato la note. Lunedì l’Iraq ha giustiziato ventuno persone, comprese tre donne e un cittadino saudita, e altre cinque persone, compreso un cittadino siriano, ieri: lo ha annunciato un portavoce del ministero della Giustizia.