Giustizia: Italia, da culla del diritto… a bara della legalità di Pier Paolo Segneri L’Opinione, 9 settembre 2011 Quando lo Stato viene meno alla propria legalità, si avverte subito il segnale inequivocabile del disfacimento stesso dello Stato, della sua agonia, della sua imminente scomparsa. Manca poco. Si sta diffondendo tra le persone una sfiducia profonda nei confronti delle Istituzioni. È un sentire comune. E questo accade perché è venuto meno lo Stato di Diritto. Perché la partitocrazia, in sessanta anni, ha distrutto la nostra Costituzione facendone brandelli. E i cittadini lo hanno capito, lo sanno, ne subiscono le conseguenze. È la Peste Italiana denunciata dai Radicali e ignorata dai più, come se, negando il problema, si risolvesse o svanisse la questione, che è grave. Il sistema della Giustizia, in Italia, è al collasso. Lo dimostrano i dati e le cifre. Lo si vive sulla propria pelle, lo si vede nei tribunali e nelle procure, lo si nasconde nelle carceri, dentro le celle sovraffollate, nei penitenziari, lontano da occhi indiscreti. Lo ha denunciato addirittura il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, definendolo “un tema di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” . Se non si interviene tempestivamente e con strumenti immediatamente efficaci, una Giustizia al collasso rischia di far morire l’intero paese. Almeno se non facciamo quello che si deve fare per il ripristino dello Stato di Diritto. Infatti, se il sistema della Giustizia, come accade oggi in Italia, non riesce più a garantire il proprio funzionamento e il rispetto della propria legalità democratica, allora si finisce in quella che i Radicali chiamano “democrazia reale”, cioè l’esatto opposto di una democrazia liberale. Senza il rispetto della legalità, si finisce con il calpestare i diritti umani e civili dei cittadini, delle persone, degli individui. Ma non basta: sembra affacciarsi, nell’antipolitica, un riflesso assolutista, come conseguenza del giustizialismo che, in quanto tale, è anti - liberale, anti - democratico e anti - legalitario. Perché il giustizialismo è un’ideologia che acceca. A tal proposito, leggendo alcuni articoli e commenti sulla stampa, appare chiaro un ripiegamento verso forme assolutiste della parola e della sintassi. Quindi nell’uso dei termini, nella scelta dei vocaboli, delle parole. È ritornato di moda, per esempio, il vocabolo “nessuno”, in genere per dire che “nessuno” degli attori politici ha fatto questa o quell’altra cosa che sarebbe stata auspicabile. Ma chi è nessuno? Nell’immaginario letterario, Nessuno è Ulisse. Infatti, quando si sente dire “nessuno”, si pensa all’Odissea e al mito greco, in particolare ritorna alla mente l’episodio di Ulisse e Polifemo, cioè dell’Uomo contro il Gigante. Nessuno è l’Uomo. Il Gigante è il Potere. Ma il Nessuno della politica italiana ha un nome ed un cognome: si chiama Marco Pannella. Perciò, quando leggete “Nessuno” traducete con “Pannella” o con “i Radicali”. Faccio un altro esempio: si usa molto il “tutti”, spesso per dire che “sono tutti uguali”. Senza eccezioni. Senza specificare. Come accade per ogni concetto assolutista, che non lascia spazio alla possibilità di non essere “tutti”, ma di essere uno o “altro”. In altri casi, su questa stessa linea, per rafforzare un ragionamento, si usa maldestramente il termine “mai” o anche il “sempre” o “totale”, come se fosse divenuta impellente la tendenza verso concetti assoluti, cioè verso l’assolutismo delle forme, quindi della sostanza, ma è un crimine: perché in politica forma è sostanza. Leggo e ascolto i vari interventi scritti e improntati su un tale stile e mi viene nostalgia del futuro, alla memoria che si fa futuro, quindi ripenso alle parole di Leonardo Sciascia, alle sue analisi sul Potere, alle sue indagini dentro l’animo umano, al suo mostrarci “il contesto”, l’impostura, il delitto: “Si suol dire che l’Italia è culla del diritto, quando evidentemente ne è la bara”. Oggi che non c’è più Sciascia, acquista ancor più forza quanto, nei giorni scorsi, ha detto e continua a ripetere Pannella da Radio Radicale: “Avete potuto sentirmi? Comunque, in sostanza, ho inteso annunciare la assoluta urgenza (prepotente) di rilanciare la lotta compresa nelle sue forme più dure, nonviolente! per la riforma della giustizia attraverso l’amnistia! E ho detto esplicitamente che questo è assolutamente urgente e necessario, anche per aiutare il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a essere concretamente efficace e coerente in quanto Garante del diritto, dei diritti: umani, politici, civili, costituzionali!”. Giustizia: basta con la parodia del perdono… inutile coinvolgere i familiari delle vittime di Claudio Magris Corriere della Sera, 9 settembre 2011 Scelta della coscienza e non pubblica: inutile coinvolgere i familiari delle vittime. Si racconta che, durante una guerra civile in Messico, alcuni rivoltosi volessero fucilare un sacerdote, pretendendo però che questi, prima dell’esecuzione, li assolvesse dal peccato che stavano per commettere. Vero o falso, l’aneddoto indica quanto siano radicati nell’animo umano sia la, violenza sia il bisogno di sentirsi perdonati, innocenti, lavati dalla colpa - magari per accingersi poco dopo, col cuore tranquillo, a un’ altra azione malvagia. Anche le cose e i valori più sacri, come il perdono, possono diventare un’empia parodia, quando vengono ostentati con superficiale e oltraggiosa vacuità. Già anni fa alcuni giornalisti avevano sferzato una mania che dilagava negli organi di informazione: appena un tabaccaio, un benzinaio, un gioielliere o chi altro ancora veniva assassinato da un rapinatore, ci si precipitava a chiedere ai genitori o ai figli della vittima se perdonavano l’uccisore del loro caro, magari non ancora catturato o identificato. La forza di perdonare, di non lasciarsi imprigionare e oscurare dall’odio e dalla vendetta, è un valore altissimo, rivela ima libertà pure dalle più sacrosante pulsioni emotive, che dà senso e dignità alla persona. Tuttavia il perdono è un fatto esistenziale e morale che riguarda soltanto la coscienza di un individuo e il rapporto fra una vittima e il suo persecutore. Non interessa l’opinione pubblica, non è e non dovrebbe essere una notizia e soprattutto non riguarda la legge né i rapporti fra il colpevole e la società. Dinanzi a un omicidio, la legge non ha né da perdonare né da far vendette; il suo compito consiste nel ricostruire il fatto, qualificarlo giuridicamente, valutarne le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti e comminare la pena. La giustizia non ha certo da considerare un assassino con maggior benevolenza perché è stato perdonato dai congiunti della sua vittima né con maggior severità perché questi ultimi chiedono vendetta. Far assistere ad esempio i parenti di un assassinato all’esecuzione dell’assassinò, come accade in alcuni degli Stati Uniti, declassa la giustizia a vendetta. Ma c’è un’altra ragione che rende ambigua e regressiva questa smania - che ora sembra riprendere vigore, specie alla televisione - di chiedere alla gente, se perdona l’uccisore di un figlio, di un genitore, di un fratello. Si può perdonare solo in nome proprio, per torti fatti a noi, non ad altri, neppure se ci sono cari come la vita. Non siamo i proprietari dei nostri cari, non possiamo decidere per loro. Siamo padroni della nostra automobile: se qualcuno ce la sfascia possiamo - se lo crediamo - perdonarlo e rinunciare a chiedergli un risarcimento. Ma un figlio, una madre, una sorella, un amico non ci appartengono come una macchina; se qualcuno arreca loro violenza, li fa soffrire, li tortura o li uccide, possiamo - e dobbiamo - rinunciare a vendicarci direttamente e personalmente, ma non possiamo certo “perdonare” (che in qualche modo vuol dire assolvere) chi ha ucciso non noi, ma lui o lei. Soltanto la vittima ha il diritto di perdonare, anche se talora non può più farlo perché la sua vita è stata spenta. Il perdono di un omicidio che ha colpito la propria famiglia caratterizza le arcaiche società tribali e sopravvive nella società mafiosa, perché in quelle culture è la “famiglia” - in senso stretto o traslato - che conta, non il singolo individuo, il quale le appartiene ed è appunto considerato una sua proprietà. L’omicidio diviene allora un danno, ancorché ingente, subito dalla “famiglia” e, come tale, può essere perdonato mercé un adeguato risarcimento. La civiltà - almeno la nostra - si fonda invece sul valore insopprimibile, irripetibile e insostituibile del singolo individuo, di ogni individuo; sul suo inalienabile diritto alla dignità e alla vita, la cui infrazione non può essere “perdonata” da nessun altro. Chiedere, pubblicamente, a chi soffre la morte di una persona amata se perdona o no chi l’ha uccisa è una pacchiana sfacciataggine, che viola il senso della legge e offende l’autentica, non sbandierabile pietà del perdonare. Giustizia: nel 2010 ventimila “clandestini” processati per essersi sottratti all’espulsione di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 9 settembre 2011 Nel 2010 sono stati 19.031 i procedimenti penali avviati nei confronti di cittadini extracomunitari non in regola coi documenti. I delitti loro contestati sono stati quelli legati al mancato ottemperamento agli obblighi di espulsione in violazione degli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998 così come innovati dalla legge Bossi-Fini sulla immigrazione del 2002. Sempre nel 2010 20.223 sono stati gli immigrati andati a finire sotto processo per questi reati. Nell’83,6% dei casi il giudice ha convalidato l’arresto, il quale era previsto come obbligatorio. Ciò vuol dire che 16.906 extracomunitari sono passati, seppur per pochi giorni, nelle 207 prigioni italiane per essersi sottratti alla esecuzione del decreto di espulsione. Nel 77,6% dei casi in questione gli stranieri sono stati condannati. Nel 22,4% dei casi è vi è stata assoluzione. Nei quattro anni precedenti, secondo le statistiche rese pubbliche nei giorni scorsi dal ministero della giustizia, i numeri erano più o meno paragonabili. Eppure risaliva al 2008 la direttiva comunitaria sui rimpatri, che l’Italia aveva solo parzialmente adempiuto e mai per la parte di cui stiamo qui trattando, che imponeva la depenalizzazione di tutti quei crimini definiti tali artificiosamente dalla legge italiana sulla immigrazione e che avevano a che fare con lo status di soggetto non regolarmente soggiornante in Italia. Secondo il legislatore europeo bisognava facilitare i rimpatri volontari e escludere ogni forma di ingresso carcerario per gli irregolari in via di allontanamento. Come sappiamo, la Corte di giustizia dell’Unione europea, dopo un lungo braccio di ferro tra le autorità italiane e quelle europee e dopo interpretazioni contraddittorie da parte delle procure sul territorio, lo scorso 28 aprile ha sentenziato l’illegittimità, per incompatibilità con la normativa europea, di quelle disposizioni (articoli 13 e 14 del Testo unico sull’immigrazione) che avevano prodotto circa 20 mila procedimenti penali illegittimi e circa 16 mila carcerazioni. Da quel 28 aprile quindi il flusso di ingresso di detenuti stranieri nelle carceri italiane è lentamente diminuito così agevolando una condizione di sovraffollamento oramai difficilissima da gestire. I detenuti stranieri sono al 31 agosto 2011 24.155 di cui 1.173 donne. Un anno fa, di questi tempi, erano 25.164 ossia 1.000 circa in più rispetto a oggi. Se al momento rappresentano il 36% della popolazione reclusa in Italia, alla fine del 2010 erano oltre il 37%. Nei precedenti dieci anni erano sempre cresciuti in termini percentuali e assoluti. Per la prima volta il dato è in controtendenza. Un dato, però, che continua a essere ben superiore rispetto alla media europea. Le nazionalità più rappresentate continuano a essere quella rumena, quella tunisina, quella marocchina e quella albanese. Nei prossimi mesi vedremo se quei 20 mila procedimenti penali in meno e quelle 16 mila carcerazioni in meno saranno compensate da altre fattispecie delittuose. Dell’impianto repressivo originario presente nella legge sulla immigrazione è rimasto ben poco. Oltre al già citato intervento della Corte di giustizia Ue vi sono state le sentenze plurime della Corte costituzionale, tra cui quella che ha cancellato la norma che prevedeva la circostanza aggravante di clandestinità. Giustizia: Ferranti (Pd); tubercolosi in carcere inevitabile, a causa di condizioni disumane Agenparl, 9 settembre 2011 La tubercolosi in carcere “è inevitabile, visto il sovraffollamento e le condizioni quasi disumane in cui versano le nostre carceri”. Donatella Ferranti, deputata Pd in Commissione Giustizia della Camera, commenta con l’AgenParl l’emergenza tubercolosi negli istituti penitenziari. “Un problema - spiega - che si è acuito anche con il fatto che il servizio sanitario nelle carceri è stato disgiunto dall’amministrazione penitenziaria e affidato poi alle Regioni”. “Tra l’altro - conclude - è stato finanziato il Piano Carceri con 600 milioni di euro già due anni fa e non riusciamo ancora ad avere risposte su come verrà attuato, se verrà attuato e quali sono i programmi del Governo”. Giustizia: Osapp; 67.116 detenuti presenti per 45.646 posti, ma capienza in realtà è minore Agenparl, 9 settembre 2011 “Ieri 8 settembre 2011 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 67.116 con 18 regioni su 20 che avrebbero superato la capienze regolamentari, mentre Emilia Romagna (4.078 presenze per 2.394 posti), Liguria (1.824 presenze per 1.139 posti), Lombardia (9.324 presenze per 5.652 posti), Marche (1.233 presenze per 775 posti), Puglia (4.503 presenze per 2.458 posti), Valle d’Aosta (263 presenze per 181 posti) e Veneto (3.171 presenze per 1.972 posti) risulterebbero ben al di sopra anche delle capienze massime tollerabili”, a darne notizia è l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci che aggiunge: “ma si tratta di dati che risultano sfalsati ed inesatti, visto che tra gli spazi in cui allocare detenuti sarebbe stata considerata la disponibilità dei posti nelle infermerie degli istituti che, invece, sono sottratti agli enti dell’amministrazione penitenziaria in quanto gestiti direttamente dal Servizio Sanitario Nazionale”. “In sintesi si tratterebbe di circa 1.500 posti in meno nella c.d. capienza regolamentare ufficialmente fissata in 45.646 e di 2.300 posti in meno nella capienza massima che l’amministrazione stima essere pari a 69.125 e che quindi, da tempo, sarebbe stata superata su tutto il territorio nazionale e non solo in alcune sedi”. “Ma quello che in questo momento suscita particolari sconcerto e preoccupazione - prosegue il sindacalista - deriva dall’organizzazione e dalla gestione in ambito centrale della polizia penitenziaria”. “Purtroppo gli organi centrali del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ed in particolare la direzione generale del personale dal Dap e l’ufficio centrale della polizia penitenziaria, stanno risentendo di una percezione del territorio obsoleta e del tutto avulsa dalla realtà e tale da sfociare nell’assoluta inefficienza che individuerebbe le carenze di organico concentrate esclusivamente al nord e non anche al centro e al sud”. “Eppure e per fare esempi concreti - indica ancora il leader dell’Osapp - rispetto ad una carenza organica complessiva, sulla carta non inferiore alle 6.000 unità, 1.000 sono gli agenti che mancano in Sicilia e 810 quelli che mancano nel Lazio, ma gli organi del Dap, per 800 neo-agenti che assumeranno servizio il prossimo mese di ottobre, vorrebbero assegnarne solo 26 in Sicilia e non oltre 40 unità nel Lazio”. “Stanti gli evidenti errori, riteniamo, quindi, quanto mai opportuno che il Ministro Palma, che ci ha convocato per il prossimo 26 settembre, mettendo finalmente fine al preoccupante silenzio nei riguardi dei sindacati dell’ex Guardasigilli Alfano - conclude Beneduci - valuti la possibilità di avocare alla responsabilità propria o di addetti di comprovate capacità, le future esigenze gestionali della polizia penitenziaria”. Giustizia: Fp-Cgil; mancanza di fondi, “saltano” le assunzioni di 1.600 poliziotti penitenziari Agenparl, 9 settembre 2011 Da ormai due anni denunciamo la mancata copertura per le assunzioni dei poliziotti penitenziari. Assunzioni promesse a più riprese dall’Ex Ministro della Giustizia Angelino Alfano, da ultimo stabilite con l’art.4 della legge 26 novembre 2010, n199, e assicurate in una farsesca conferenza stampa in cui l’attuale segretario del Popolo delle Libertà dichiarò lo stato di emergenza delle carceri alla presenza del Capo del Dap e del Presidente del Consiglio. A quanto ci risulta, la Ragioneria Generale dello Stato ha dato parere negativo al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) in merito a tali assunzioni. Un fatto che confermerebbe le nostre denunce, alle quali Alfano e il suo staff hanno sempre risposto con trionfalistiche dichiarazioni, salvo poi dover ridimensionare il numero delle assunzioni, passate dagli oltre 2000 dell’esordio a poco più di 1.600. Assunzioni mai davvero finanziate, quindi inesistenti. L’ultimo botta e risposta si era concluso con l’accusa alla Fp - Cgil di “aver perso l’ennesima occasione per evitare una sterile polemica”. Sempre nella stessa nota dello staff dell’ex Ministro Alfano si autocelebravano le capacità del “Governo del fare, pronto a fronteggiare le emergenze con tempestività e concretezza”. Il Ministro Palma ha un’occasione unica, irripetibile. Dire la verità, smetterla con questo balletto delle responsabilità, con i toni da cavalieri coraggiosi. La crisi delle carceri ha radici antiche, ma l’immobilismo del Governo ha paralizzato di fatto il sistema. All’appello mancano 6.000 agenti, e degli oltre 37.000 in organico solo 18.000 prestano servizio effettivo dentro le strutture. Una situazione esplosiva che chiama in causa la diretta responsabilità politica di questo Governo, un’ingiustizia per chi nella carceri lavora in una situazione di costante rischio e per chi vi è detenuto in condizioni disumane. Il Ministro faccia chiarezza. Ma soprattutto si attivi per garantire nuove assunzioni. Potrebbe essere l’inizio di un percorso di riforma basato sulla concretezza. Giustizia: Ugl; ennesimo appello al ministro… garantisca assunzioni previste nel piano carceri Agenparl, 9 settembre 2011 “Lanciamo l’ennesimo appello al ministro della Giustizia affinché intervenga con tempestività e concretezza per ripianare le piante organiche, che registrano una carenza ormai di 6.000 unità, e per contrastare con misure efficaci il problema del sovraffollamento”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, in merito al parere negativo, dovuto ad assenza di risorse, dato dalla Ragioneria Generale dello Stato al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria riguardo l’assunzione dei 1.611 agenti prevista dal piano carceri. “A quasi due anni dalla dichiarazione di stato d’emergenza - aggiunge il sindacalista - e a quasi un triennio dall’annuncio del piano straordinario sugli istituti di pena, possiamo solo constatare che un progetto tanto pubblicizzato sta inesorabilmente naufragando”. “Il nostro timore è che ulteriori tagli orizzontali ad una situazione già compromessa dalla carenza di fondi per la manutenzione ordinaria, - conclude Moretti - determinino il definitivo collasso delle strutture esistenti”. Giustizia: Rainieri (Lega); carcere vero, per chi fabbrica e vende prodotti “taroccati” Il Velino, 9 settembre 2011 “Contro le false griffe della moda carceri vere”. Così Fabio Rainieri, parlamentare parmigiano della Lega Nord e capogruppo del Carroccio nella commissione contro la Contraffazione interviene a seguito dell’operazione della Guardia di Finanza che ha scoperto una vera e propria holding del falso. “Agli uomini delle Fiamme Gialle - spiega Rainieri - va il mio più sincero ringraziamento. A questi signori che pensavano invece di farla franca immettendo abiti tarocchi in un mercato parallelo a quello regolare evadendo così non solo i controlli di sicurezza della merce, ma anche il pagamento delle tasse, ricordo che il carcere che li aspetta è vero e non una sorta di imitazione. Ora - aggiunge Rainieri - mi auspico che la pena che la giustizia vorrà comminare a queste persone sia esemplare. Contro falsi e furbetti dobbiamo continuare a mettere in campo la Tolleranza Zero. Non possiamo chiedere sacrifici alla nostra gente e permettere che questi imprenditori del falso si arricchiscano alle spalle di chi le tasse le paga regolarmente”. Giustizia: Lumia (Pd); nessuno sconto a Provenzano, se sta male sia curato in carcere Il Velino, 9 settembre 2011 “Il diritto alla salute del boss Bernardo Provenzano non è in discussione. Le nostre strutture carcerarie sono nelle condizioni di garantire tutte le cure e l’assistenza necessaria anche per i detenuti in regime di 41 bis. Nessuno sconto può essere concesso a chi si è reso responsabile di crimini gravissimi”. Lo dichiara il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della commissione Antimafia. “Piuttosto mi auguro che Provenzano maturi al più presto la decisione di collaborare con la giustizia. È questa - conclude Lumia - l’unica strada per instaurare un rapporto chiaro e trasparente con lo Stato, fuori da qualsiasi trattativa a cui egli era abituato”. Lettere: una detenzione in condizioni di civiltà? è antieconomica… quindi non si può fare di Valentina Ascione Gli Altri, 9 settembre 2011 Un’oasi in cui è possibile lavorare tutti i giorni, perfino, e all’aria aperta, in una vera e propria azienda agroalimentare dove si allevano animali, si producono formaggi, miele, vino, olio, ortaggi. E altri frutti che la terra restituisce in cambio del sudore di chi ogni giorno compie un passo in più sulla via del riscatto. E soprattutto l’ambizione di una vita nuova, infatti, ciò che si semina qui, nel piccolo carcere di Gorgona. Isola (felice) nell’isola che al largo di Livorno si estende per appena due chilometri di larghezza e tre di lunghezza. “Forse l’unico luogo in Italia dove si applica l’articolo 27 della Costituzione” secondo il regista Paolo Virzì che l’ha visitato di recente. Un carcere modello che presto però chiuderà i battenti. Il ministero della Giustizia lo ritiene troppo costoso e tenerlo in funzione sarebbe dunque antieconomico: Proprio come il carcere di Spinazzola, in Puglia, nonostante i detenuti avessero lì l’occasione di studiare, recitare e anche conseguire la qualifica per l’impianto di pannelli solari. Uno spazio autentico di recupero, ma piccolo. Troppo piccolo. Antieconomico, insomma. E per due carceri che chiudono ce ne sono diverse altre che non aprono, sebbene pronte da tempo. Ad esempio quello di Arghillà, a Reggio Calabria: finito di costruire nel 2005 e dotato dei più sofisticati sistemi di sorveglianza, ma non raggiungibile perché manca la strada di accesso. È costato svariate decine di milioni, senza contare quelli che ogni anno si spendono per custodirlo vuoto. “Una telenovela che non si sa quando finirà”, dichiarava nel 2008 il provveditore regionale Paolo Quattrone. Presto, secondo quanto aveva assicurato Alfano. Ma sicuramente troppo tardi per Quattrone, morto suicida a luglio del 2010, a pochi mesi dal rinvio a giudizio disposto nei suoi confronti per abuso d’ufficio nell’ambito di un’inchiesta sulla ristrutturazione della casa circondariale di Cosenza. La storia del carcere di Gela, ancora più grottesca, ha invece inizio cinquant’anni fa. Inaugurato due volte, l’ultima nel 2007 alla presenza dell’allora ministro della Giustizia Mastella, non è mai stato reso operativo. A sentire il Dap, il ritardo sarebbe dovuto a un’insufficienza dell’approvvigionamento idrico, ma il sindaco del comune nisseno, Angelo Fasulo, smentisce e precisa che il problema è stato risolto da mesi: “Se non viene aperto è solo perché il Ministero non ha provveduto al trasferimento del personale necessario”. Un tasto dolente, quello della mancanza di personale, che costringe a tenere chiusi reparti o interi istituti, che giacciono in stato di abbandono. I Radicali ne hanno contati 40, tra cui alcune ex case mandamentali dismesse alla fine degli anni Novanta perché giudicate, neanche a dirlo, antieconomiche. Così, tra oasi sacrificate e cattedrali nel deserto, la popolazione reclusa continua ad aumentare, stipata in spazi malsani e imbarbarita da un amaro far nulla. Eppure ogni curo in più investito oggi nella salute, nella rieducazione e nella dignità dei detenuti domani rappresenterebbe per la società un guadagno certo in sicurezza e promozione della legalità. Un approccio antieconomico, forse, per una politica che preferisce investire nella costruzione di nuove carceri. Ma l’unico possibile in un paese civile e responsabile. Verona: suicidio in questura, marocchino si impicca in attesa del processo per direttissima Redattore Sociale, 9 settembre 2011 La vittima è M.K., 32enne marocchino con altri precedenti penali. Forse non ha retto il nuovo arresto e si è impiccato alle sbarre della cella di sicurezza. Non ha sopportato un nuovo arresto e si è tolto la vita nella cella di sicurezza della questura. È successo a Verona mercoledì sera, protagonista M.K., un 32enne marocchino con diversi precedenti penali, che si è impiccato alle sbarre della cella utilizzando la fettuccina dell’interno dei pantaloni. La notizia è diffusa oggi dall’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Questi i fatti: mercoledì pomeriggio l’uomo era stato arrestato dopo essere stato sorpreso a rubare due giubbotti. In attesa del giudizio per direttissima è stato portato nelle celle di sicurezza della questura. È qui che deve aver deciso di farla finita, nonostante la sorveglianza del poliziotto di turno, che lo ha trovato appeso alle inferriate. Neanche la presenza delle telecamere è servita a evitare il gesto: dall’immagine sullo schermo infatti M.K. sembrava in piedi, vicino al cancello, come se fosse appoggiato a guardare fuori. Non era così. L’immediato tentativo di rianimazione da parte dei poliziotti non è servito. Ora al sostituto procuratore spetterà il compito di stabilire eventuali responsabilità. Lucca: serve un lavoro per i detenuti, è un investimento in sicurezza La Nazione, 9 settembre 2011 Sempre più drammatica la situazione nel carcere di San Giorgio. A saltare agli occhi è l’emergenza lavoro fuori e dentro la struttura. Così l’avvocato Silvana Giambastiani del Gruppo volontari carceri apre un dibattito su questo tema. L’associazione gruppo volontari carceri ha avviato in questi ultimi due anni un percorso rivolto ai soggetti pubblici titolato “L’associazione interroga le Istituzioni”. Abbiamo così avviato con quest’ultime incontri di dialogo serio nei quali si sono indicate priorità riguardo al tema carcere. Una di queste è proprio l’emergenza lavoro. Su questo tema abbiamo chiamato le Istituzioni a misurarsi concretamente. L’appello, tra gli altri, è stato rivolto anche alla Provincia quale interlocutore privilegiato che assume in sé compiti di coordinamento, di monitoraggio, di specifiche competenze attraverso l’Osservatorio sociale, l’Osservatorio del lavoro, l’Osservatorio sul carcere (quest’ultimo frutto di una felice intuizione del compianto avvocato Giuseppe Bicocchi, già presidente del Gruppo volontari carceri) e primo fra tutti il “protocollo di intesa sui problemi del carcere e per favorire l’inserimento delle persone detenute, in esecuzione penale esterna ed ex detenute nella comunità lucchese”, costituito nel 2008. Il protocollo d’intesa sul carcere - prosegue l’avvocato Giambastiani - rappresenta uno strumento innovativo che vede soggetti pubblici e privati impegnati su un fronte comune di “sostegno alle persone detenute e di rinserimento sociale delle stesse”. Nel previsto Gruppo istituzionale carcere vi sono rappresentanze di tutti i sindaci della Provincia di Lucca, del Carcere, dell’Azienda sanitaria locale, dell’associazionismo, delle cooperative sociali, della Camera di commercio, delle Associazioni Industriali, Artigianali, Commercianti, Agricoltori e del Cooperativismo. Il protocollo ha dunque tutti i prerequisiti per funzionare concretamente, ma ciò non è ad oggi avvenuto”. “Siamo convinti che i progetti, le intuizioni, il buon governo creativo passa attraverso uomini che, sia nel pubblico che nel privato, vogliono spendersi per il bene comune. Perché non riattivare allora i percorsi, che già sono stati individuati e gli strumenti già esistenti, che hanno reali potenzialità culturali e operative di incidere? Perché - prosegue l’avvocato Giambastiani - non investire in questo ampio patrimonio umano di detenuti ed ex detenuti che attraverso il lavoro e l’accompagnamento possono aspirare a riscattarsi anche espiando la pena? Perché non rispondere all’appello, già lanciato in più occasioni e più sedi, affinché si crei un “tavolo trasversale della politica” che, risparmiandoci la passerella agostana delle visite dei politici in carcere, senza nulla togliere alla bontà delle intenzioni del singolo, affronti, da un osservatorio qualificato, le problematiche carcerarie in vista di effettive risposte ai bisogni emergenti?” Cagliari: Sdr; ricoverata per minaccia di aborto la detenuta 28enne incinta di 2 gemelli Agenparl, 9 settembre 2011 “È stata ricoverata al San Giovanni di Dio per minaccia d’aborto V. D. 28 anni, di nazionalità serba, madre di quattro bambini di 8, 6, 5 e 3 anni, incinta di due gemelli. La donna, al terzo mese di gravidanza, si è sentita male nell’Istituto Penitenziario di Buoncammino nella notte di mercoledì ed è stata immediatamente trasferita nel reparto di Ostetricia del nosocomio cagliaritano dove è piantonata”. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che “la giovane fin dalle prime settimane di gravidanza era stata ricoverata per un’intera settimana nell’ospedale “San Martino” di Oristano proprio per minaccia d’aborto. “La giovane slava che ha potuto effettuare alcuni colloqui telefonici con il marito, che attualmente si trova in un campo nomadi in Sardegna, era stata già sottoposta a terapia ormonale dai Medici del carcere ma non è stato sufficiente. La donna, costantemente monitorata per gravidanza a rischio, è stata quindi trasferita all’Ospedale dove sarà trattenuta per scongiurare il rischio della perdita dei due bambini”. “Il ricovero urgente nella struttura sanitaria cagliaritana - sostiene la presidente di Sdr - conferma che le condizioni di V.D. non possono essere ritenute compatibili con la detenzione specialmente in un Istituto sovraffollamento. Nel caso specifico alla condizione di gestazione a rischio si aggiunge l’ansia derivante dalla preoccupazione dei quattro bambini rimasti nel campo nomadi con il padre”. “L’auspicio è che il Magistrato - conclude Caligaris - consenta alla giovane donna di essere collocata ai domiciliari oppure in una struttura alternativa dove possa anche riabbracciare i suoi bambini”. Gela (Ct): Osapp; negato accesso al carcere, pronto e inspiegabilmente inutilizzato Comunicato stampa, 9 settembre 2011 “Sulle reali condizioni della Casa Circondariale di Gela qualcuno non dice la verità, visto che come sindacato ci vogliono impedire di visitarlo.” ad affermarlo è Mimmo Nicotra Vice Segretario Generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria). “Da diversi giorni, quale nostro diritto - dovere di organizzazione sindacale che tutela e rappresenta il personale di Polizia Penitenziaria, avevamo chiesto l’autorizzazione ad accedere all’istituto di Gela inspiegabilmente inutilizzato, benché da almeno 2 anni in carico all’amministrazione penitenziaria, e dove operano alcuni poliziotti penitenziari provenienti dalla casa circondariale di Caltanissetta”. “Nostro interesse, se del caso e come previsto dalle norme e dagli accordi nazionali vigenti, era verificare il prossimo 12 settembre se le condizioni di servizio e gli ambienti della struttura di Gela rispondono ai canoni nazionali - prosegue il sindacalista - ma con sconcerto abbiamo appresso che, in barba alle regole, tale autorizzazione ci è stata negata adducendo la motivazione che il carcere non sarebbe funzionante”. “Calando un velo pietoso sulla risposta che ci è stata fornita, appare del tutto ovvio - tuona ancora il vice segretario generale dell’Osapp - che qualcuno non vuole che per Gela la verità vera venga a galla, visto che, sempre per quanto abbiamo appreso informalmente, la decisione di negarci l’accesso proverrebbe direttamente dall’Ufficio della polizia penitenziaria dell’Amministrazione centrale in Roma, le cui recenti scelte nei confronti del personale, da quando è cambiato il responsabile, stanno generando non poche perplessità e malumori”. “Mai peraltro, potevamo immaginare che, forse per nascondere non si sa che cosa a Gela, per la polizia penitenziaria si tornasse indietro di vent’anni, negando le libertà sindacali ed è per questo che il prossimo 12 settembre, alle ore 11,00, saremo comunque a Gela e terremo, comunque, una conferenza stampa in prossimità della struttura unitamente ai Parlamentari e agli Amministratori che insieme a noi vorranno fare piena chiarezza sulla mancata apertura del carcere”. “Al Guardasigilli Palma chiediamo di disporre per gli urgenti accertamenti su una vicenda che presenta numerose zone d’ombra - conclude Mimmo Nicotra - mentre nei confronti del Capo del Dap Franco Ionta sollecitiamo immediati ed urgenti correttivi rispetto a quanto avviene presso l’indicato Ufficio centrale della Polizia Penitenziaria in Roma”. Rimini: “sport per tutti”, l’assemblea Uisp apre con il rinnovo del protocollo sul carcere www.volontariatoggi.info, 9 settembre 2011 È partita oggi l’Assemblea nazionale Uisp di Rimini e il primo momento pubblico della tre giorni si è svolto alle 12.00 presso lo Stand Uisp: è stato, infatti, firmato il Protocollo d’intesa tra Uisp e Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Erano presenti la Dott.ssa Maria Pia Giuffrida, Dirigente generale dell’Amministrazione Penitenziaria e Provveditore Regione Toscana dell’Amministrazione Penitenziaria, Filippo Fossati, presidente nazionale Uisp e Giuliano Bellezza, Responsabile nazionale settore diritti sociali Uisp. La firma è in realtà il rinnovo del protocollo, che era scaduto ad aprile 2011, ed ha durata triennale. Ha aperto l’incontro Giuliano Bellezza, ricordando che il rinnovo è una conferma della stima reciproca esistente tra i due sottoscrittori e, soprattutto, un impegno a continuare, riprendere e rafforzare il lavoro svolto dall’Uisp nei penitenziari. Filippo Fossati, presidente nazionale Uisp: “Siamo lieti di inaugurare l’Assemblea nazionale con questo firma, siamo consapevoli di quanto questo sia un momento critico per i carceri italiani e, a maggior ragione, non intendiamo allentare la forza del nostro impegno. Queste attività sono un punto strategico per dimostrare l’utilità dello sport per tutti in situazioni di disagio e di esclusione sociale: costruire nuove possibilità di crescita personale, aumentare l’autostima ed evitare l’isolamento”. La Dott.ssa Giuffrida ha portato il saluto del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Franco Ionta e ricordato che il lavoro dell’Uisp va ad intervenire su realtà che vivono tra molte difficoltà: sovraffollamento, carenza di personale, grande percentuale di extracomunitari con ulteriori complessità legate all’integrazione, alta percentuale di detenuti con pene non definite che quindi non hanno accesso ai servizi offerti da entità esterne come l’Uisp. “Siamo insieme in questo percorso - afferma la Dott.ssa Giuffrida - che conferma quanto lo sport sia elemento fondamentale del percorso di re - inclusione dei detenuti: imparare a stare con gli altri, condividendo spazi e regole, acquistare fiducia nel proprio corpo e quindi in sé stessi. Il mio augurio è che la progettualità condivisa di questo protocollo sposti sempre più l’attenzione su realtà più marginali e di dimensioni ridotte, che ancora non hanno usufruito di questi servizi e che anche il personale degli istituti abbia sempre più accesso alle attività Uisp”. Giuliano Bellezza ha poi riassunto i risultati raggiunti negli ultimi tre anni di attività del Protocollo: 29 istituti penitenziari con interventi strutturati, rispetto ai 22 del 2007, 9000 detenuti raggiunti dalle attività di cui 900 donne e la formazione di detenuti in semilibertà per permettere loro di operare come operatori anche all’esterno, in circoli o società sportive. Reggio Calabria: detenuto tenta il suicidio, salvato da agente della polizia penitenziaria Ansa, 9 settembre 2011 “La scorsa notte, nel carcere di Reggio Calabria, un agente della polizia penitenziaria ha salvato la vita a un detenuto italiano, evitando un’altra tragedia”. A riferirlo, in una nota, sono il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, e Damiano Bellucci, segretario nazionale dello stesso sindacato. “L’agente era appena arrivato nella sezione detentiva - aggiungono Durante e Bellucci - dopo il cambio turno, verso la mezzanotte e, insospettito dal comportamento del detenuto, lo ha controllato, osservandolo per oltre dieci minuti. L’uomo, coperto dalle lenzuola, si è procurato dei vasti tagli alle vene dei polsi. L’agente, intervenuto prontamente, ha lanciato l’allarme ed ha così salvato la vita del detenuto che già in passato aveva tentato il suicidio”. “Nonostante la polizia penitenziaria continui a lavorare tra mille difficoltà, con carenza di uomini, mezzi e risorse - sostengono ancora i due dirigenti del Sappe - riesce ancora a compiere gesti eroici come questo avvenuto a Reggio Calabria, dove mancano 50 agenti di polizia penitenziaria. Gli eventi critici si susseguono al ritmo di 200/250 al giorno, nelle 206 carceri italiane, aggravando ancora di più la situazione lavorativa. Chiediamo che all’agente venga dato un riconoscimento per l’alta professionalità dimostrata”. Teramo: una sezione di Scuola alberghiera nella Casa circondariale di Castrogno Il Centro, 9 settembre 2011 La scuola entra in carcere. Il “Di Poppa-Rozzi” aprirà una sezione di scuola alberghiera nella casa circondariale di Castrogno. È un programma impegnato, e di certo impegnativo, quello messo in cantiere quest’anno dall’istituto di istruzione superiore e reso possibile dalla collaborazione con l’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) e il carcere di Teramo. La scuola dalla doppia vocazione, alberghiera e agraria, dovrebbe partire quest’anno nel penitenziario cittadino con una prima classe a indirizzo alberghiero. Gli iscritti già ci sono, una ventina al momento, l’iniziativa sarebbe solo in attesa dell’autorizzazione. A parlarne la preside dell’istituto Silvia Manetta che ne spiega il percorso. “L’idea è nata in seguito al progetto “Agriliberi” presentato l’anno scorso insieme all’Uepe”. L’iniziativa aveva coinvolto venti detenuti, in misura alternativa, in un corso di formazione professionale sull’agricoltura biologica. La formazione prevedeva cinquanta ore di corso, fra lezioni in aula ed esercitazioni pratiche. Il progetto aveva fornito ai detenuti partecipanti - chi in semilibertà, chi in affidamento o ai domiciliari - l’attestato di esperto in agricoltura biologica. Una possibilità di spendersi in una nuova professione, una volta scontata la pena. “L’iniziativa”, racconta la preside, “ha ricevuto un’accoglienza molto positiva da parte del nuovo direttore dell’istituto di pena, Stefano Liberatore, che ha dato la sua approvazione per una seconda edizione del progetto”. Secondo la dirigente la ripartenza di Agriliberi attende solo il lasciapassare dell’ufficio scolastico regionale oltre a un supporto organico di docenti. La dirigente spiega che da lì sarebbe nata l’idea più grande, quella di introdurre una sezione alberghiera proprio all’interno del penitenziario. “Insieme a Teresa Di Bernardo dell’Uepe e al nuovo direttore”, continua la Manetta, “abbiamo verificato la fattibilità della proposta e abbiamo rilevato che la struttura carceraria è dotata di una grande cucina e di circa 800 metri quadrati di terreno, utili per la coltivazione degli alimenti”. La formazione all’interno dell’istituto penitenziario sarebbe quindi solo in attesa del nulla osta, e, anche qui, di docenti. La scuola sarebbe indirizzata ai detenuti con una pena minima di 5, 6 anni in maniera tale da garantire il completamento del corso di studi. È entusiasta dei progetti la preside Manetta, tuttavia non dimentica i suoi studenti, cogliendo l’occasione per esporre le criticità dell’istituto. “Abbiamo problemi di capienza al Di Poppa, abbiamo chiesto alla Provincia la sistemazione di tre aule nella sede del Rozzi in modo da poter spostare tre aule. Qui di studenti non ce ne entrano più”. E annuncia lavori di sistemazione e miglioramento: “Stiamo lavorando per creare un terzo laboratorio di cucina e per rinnovare l’entrata dell’istituto. Vorremmo trasformarlo in una vera e propria reception, proprio come quella degli alberghi”. Milano: domani convegno su carcere e giornalismo a Palazzo Marino Agi, 9 settembre 2011 Sabato alle 11 a Palazzo Marino gli Ordini dei giornalisti della Lombardia e dell’Emilia Romagna presentano la Carta del carcere e della pena, per un codice deontologico dedicato a chi scrive di condannati, detenuti, delle loro famiglie e del mondo carcerario in genere. A introdurre sarà Valerio Onida, presidente emerito Corte costituzionale. Interverranno Susanna Ripamonti, direttrice rivista carceraria carteBollate; Ornella Favero direttrice di Ristretti Orizzonti; Carla Chiappini, direttrice di Sosta Forzata; Luigi Pagano, provveditore regionale carceri. Parteciperà, per un saluto, anche Giuliano Pisapia, sindaco di Milano. Al dibattito prenderanno parte anche Letizia Gonzales presidente Ordine giornalisti Lombardia, Gerardo Bombonato presidente Ordine giornalisti Emilia - Romagna, Sandro Liberali consigliere delegato Ordine giornalisti Veneto, Pierfrancesco Majorino assessore Politiche sociali comune Milano, Lucia Castellano assessore Demanio, casa, lavori pubblici comune Milano, Massimo Parisi direttore carcere di Bollate, Mirko Mazzali direttivo Camera penale e presidente Commissione consiliare sicurezza e coesione sociale. A Moderare sarà Mario Consani, consigliere Ordine giornalisti Lombardia, cronista giudiziario del Giorno. Perugia: la Fondazione Gabriele Sandri dona articoli sportivi al carcere www.lavoce.it, 9 settembre 2011 Talvolta basta un pallone per riportare un po’ di serenità in un carcere come quello di Perugia, sovraffollato e con un numero insufficiente di agenti di polizia penitenziaria. Lo ha detto il comandante delle guardie, il commissario Fulvio Brillo, davanti a magliette, palloni ed altri articoli sportivi appena arrivati in dono per i detenuti a Capanne. C’erano anche i due calciobalilla nuovissimi regalati dalla Fondazione Gabriele Sandri, il giovane tifoso della Lazio ucciso a 26 anni in un’area di servizio dell’autostrada del Sole dal proiettile sparato da un poliziotto intervenuto per incidenti tra tifoserie rivali. Una fondazione in memoria del giovane ucciso che si propone di promuovere iniziative contro la violenza, non solo negli stadi, ed il razzismo. A consegnare i due calciobalilla alla direttrice del carcere Bernardina Di Mario sono stati il padre del tifoso, Giorgio Sandri, presidente della Fondazione, ed il fratello Cristiano. Con loro i due parlamentari umbri del Pd, Giampiero Bocci e Walter Verini, che stanno visitando le carceri dell’Umbria per rendersi conto personalmente della situazione e cercare soluzioni ai tanti problemi emersi. Una situazione che hanno definito “allarmante”, “drammatica”, “esplosiva”, “vicina al collasso”. I due parlamentari si sono impegnati a sostenere le istanze della Regione e di altri enti locali, che hanno chiesto al Governo di sospendere l’invio di altri detenuti in Umbria e di rafforzare la presenza del personale di custodia. Sono problemi che interessano tutta la società, da affrontare tutti insieme - hanno sottolineato - senza “bandierine di partito”. In carcere - ha detto Bocci - “abbiamo trovato personale dotato di grande competenza, professionalità e spiccata umanità, come confermato in colloqui privati dagli stessi reclusi. Fra tanti disagi fondamentale è il ruolo del volontariato, in particolare della Caritas”. Molti detenuti, in particolare gli stranieri così numerosi a Perugia, non solo non hanno punti di riferimento esterni ma spesso mancano delle cose più elementari, dalle scarpe allo spazzolino da denti. I due parlamentari hanno sottolineato il grande impegno delle direzioni e del personale delle carceri nel cercare di alleviare la situazione. In quello perugino di Capanne - ad esempio - nei circa 10 ettari di terreno i detenuti coltivano ulivi, alberi da frutto ed ortaggi nelle serre. La vendita dei prodotti è curata da una cooperativa anche con stand davanti al carcere. La Provincia ha istituito corsi di formazione professionale per i detenuti che si occupano di piante ed ortaggi, mentre si stanno avviando corsi di florovivaismo per le detenute che attualmente sono 89. Ma ci sono anche corsi di formazione professionale per cuochi, saldatori ed installatori di pannelli solari. “Questi due tavoli per il calciobalilla - ha detto il padre del tifoso ucciso - sono poca cosa per risolvere i tanti problemi delle carceri, ma sono sicuramente uno strumento utile per aiutare i detenuti nel percorso di reinserimento nella società civile, nella memoria di Gabriele”. Oltre ai calciobalilla offerti dalla Fondazione Sandri - come detto - stanno arrivando nel carcere perugino di Capanne indumenti ed attrezzature per la pallavolo ed il calcio, donati dalle rispettive federazioni umbre di questi sport, e per la palestra. La direttrice dell’istituto di pena, Bernardina Di Mario, nel ringraziare ha sottolineato che quello delle carceri “è un problema di tutta la società” e che iniziative come queste “sono segni tangibili” di attenzione e solidarietà per persone ed ambienti “che non possono essere dimenticati” dalla comunità perché il tanto dibattuto problema della sicurezza si affronta anche “con il prendersi carico delle esigenze dei carcerati e della polizia penitenziaria”. In Umbria 1.200 posti per 1.700 persone Nei quattro istituti di pena di Perugia, Terni, Spoleto ed Orvieto, sono stipati 1.700 detenuti in celle progettate per 1.200. Spazi “sociali” vengono occupati da brandine, e manca persino la carta igienica. Sovraffollamento di reclusi, guardie carcerarie sotto organico (solo a Perugia mancano una cinquantina di agenti), pochi educatori e turni di lavoro massacranti per tutto il personale. A Perugia i detenuti sono 560 (la capienza è di 480), il 70 per cento dei quali stranieri e quindi anche con gravi poroblemi di inserimento e convivenza. Quaranta di loro sono costretti a dormire in tre in celle da due posti. Questo significa che la sera vengono stesi per terra materassini poi ritirati al mattino. Molto grave la situazione anche a Spoleto, dove ci sono 700 detenuti in celle per 400, e quelle “di transito”, solitamente riservate a persone appena arrestate e spesso molto giovani, sono invece occupate da detenuti normali. Immigrazione: ventuno stranieri in fuga dal Cie di Ponte Galeria Agi, 9 settembre 2011 Ventuno stranieri di diverse nazionalità sono fuggiti ieri sera dal Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie) di Ponte Galeria. La notizia è stata confermata dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. A quanto appreso dal Garante la fuga sarebbe avvenuta nel corso di un trasferimento di routine all’interno del Centro. Le ricerche, subito avviate, non hanno dato ancora esito. "L’ennesima fuga di migranti da Ponte Galeria - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - è la conferma di quanto sia complessa la gestione quotidiana degli ospiti del centro dove, nonostante l’attenzione delle forze dell’ordine e degli operatori che gestiscono la struttura, è sempre più problematico garantire il rispetto dei diritti umani. Il caldo, l’affollamento, la disperazione degli ospiti e, non da ultimo, l’allungamento dei tempi di permanenza, sono ingredienti che contribuiscono a creare una miscela esplosiva. Spero che il governo e, in particolare il ministro dell’Interno, ripensino alla spaventosa situazione di sofferenza in cui si trovano queste persone e recuperino un senso di solidarietà che sembra, purtroppo, essersi perduto". Immigrazione: dalla Nigeria forti dubbi sull’asilo a Kate Omoregbe “ha raccontato tutte falsità” Agi, 9 settembre 2011 Dalla Nigeria vengono sollevati forti dubbi sul caso di Kate Omoregbe, la trentaquattrenne nigeriana a cui mercoledì l’Italia ha concesso l’asilo politico perché avrebbe rischiato la lapidazione se fosse rientrata in patria. “Tutto quello che questa nostra concittadina vi ha raccontato, tutto ciò che sulla vicenda è uscito sui giornali italiani è semplicemente falso”, ha dichiarato in un’intervista all’Agi Reuben Abati, portavoce del presidente nigeriano, Goodluck Jonathan. Perplessità emergono anche da ambienti musulmani e cattolici nel Paese africano. Kate, che in Italia ha appena finito di scontare quattro anni di carcere per spaccio di droga, aveva sostenuto che in Nigeria sarebbe stata messa a morte perché dieci anni fa si era rifiutata di sposare un uomo molto più grande di lei e di convertirsi all’Islam, ripudiando il cristianesimo. “Se fosse tornata l’avrebbero lapidata o buttato l’acido in faccia e cose del genere”, ha ribadito Franco Corbelli dei Diritti Civili, l’associazione che più di tutte ha sponsorizzato il caso. Aldilà delle motivazioni umanitarie e giuridiche su cui è stato basato l’asilo politico (“non vere”, insiste il portavoce nigeriano), il fastidio del governo di Abuja è legato all’immagine della Nigeria che sarebbe stata accreditata: “Il nostro è uno Stato laico, non è né cattolico e tanto meno islamico, la nostra Costituzione garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, impedisce che chiunque sia discriminato in base al credo religioso, all’appartenenza etnica”, assicura Abati. “In Nigeria ti sposi se ami qualcuno, altrimenti nessuno ti torce un capello, né per consuetudini, né, figuriamoci, per legge”. Il portavoce nigeriano ha spiegato che l’ambasciata a Roma ha scritto al governo italiano per denunciare “la falsità delle dichiarazioni” di Kate. “Ma come è possibile”, si è chiesto, “che i nostri rappresentanti accreditati presso la vostra Repubblica siano creduti meno di una trafficante di droga condannata da un vostro stesso tribunale?”. Stati Uniti: condanna dell’Ue; una vergogna che il carcere di Guantanamo sia ancora aperto Ansa, 9 settembre 2011 L’Unione europea è indignata per la mancata chiusura del penitenziario di Guantanamo. “Sì siamo insoddisfatti: è una vergogna che sia ancora aperto”, ha detto la commissaria Ue agli affari interni Cecilia Malmstrom, ai giornalisti che chiedevano se la Ue sia insoddisfatta per il mancato mantenimento della promessa di chiusura fatta dagli Usa.