Giustizia: il ministro Nitto Palma; la situazione delle carceri è drammatica Adnkronos, 8 settembre 2011 “La situazione carceraria è davvero drammatica. Mi auguro che, quanto prima, si apra la sessione sul tema chiesta e voluta dai Radicali. È una situazione che necessita di una riflessione urgente”. Lo afferma il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, interpellato sulla delicata questione dei penitenziari italiani in un intervento alla Summer School organizzata da Magna Charta a Frascati. Il Guardasigilli ripercorre a ritroso la storia dei penitenziari della penisola. “Nel 2006, quando votammo l’indulto in Parlamento - ricorda - c’erano 61 mila detenuti nelle nostre carceri”. Subito dopo la misura “raggiungemmo quota 39 mila. A fine 2008, tuttavia - sottolinea il ministro - eravamo quasi a 60 mila detenuti, mentre oggi tocchiamo la soglia dei 68 mila”. Se le carceri sono tornate a scoppiare, sostiene il Guardasigilli, “è perché nulla venne fatto dalla sinistra in termini di edilizia carceraria”. Su questo fronte i prossimi passi prevedono “il completamento di 20 nuovi padiglioni per la fine del 2012 - sottolinea Palma - a cui si aggiungono 11 nuovi penitenziari. L’emergenza - ribadisce il ministro - è dovuta all’assenza di azioni del passato”. Prima di chiudere il suo intervento sulle carceri, Palma rivolge un tributo al leader radicale Marco Pannella. “Grazie a lui - dice - e alla sua tenacia l’attenzione della gente è stata riportata su un problema urgente ma troppo spesso dimenticato”. Giustizia: emergenza tubercolosi nelle carceri italiane, manca un vero screening Agenparl, 8 settembre 2011 Un problema da risolvere, che è compreso in quello a più ampio spettro dell’emergenza sanitaria nei penitenziari. “Nelle carceri era scomparsa la Tbc - spiega all’AgenParl Angiolo Marroni, Garante dei Detenuti del Lazio - poi però, al di là degli andamenti ciclici sostenuti, è ricomparsa perché nelle carceri affollati, con la presenza di detenuti che provengono da più parti del mondo in qualche modo ha ripreso ad essere attiva”. Il carcere è un ambiente patogeno, a rischio per la promiscuità e il sovraffollamento. Una situazione per la quale si pensa e si parla sempre di emergenza, ma dove, a quanto pare, quello che manca è un vero screening, ossia quelle indagini diagnostiche generalizzate, utilizzate per identificare una malattia in una popolazione standard. “Al momento delle visite di primo ingresso non ci sono dati positivi, ma il problema è che non c’è uno screening che garantisca al 100 per cento tutte le visite - denuncia all’AgenParl Fabio Gui, responsabile sanità Garante detenuti del Lazio. Quello che è successo al Policlinico Gemelli in realtà viene denunciato per le carceri da diverso tempo, visto che laddove c’è promiscuità, problemi sanitari, problemi alimentari, il rischio è incombente. Manca un sistema regionale in rete, monitorizzato, quindi sono i vari uffici, i vari medici, la sensibilità degli infermieri che di volta in volta individuano il rischio. In questo momento la situazione sembrerebbe tenere, però c’è un malessere”. Lo screening effettuato nelle carceri è su base volontaria, quindi i dati a disposizione danno un quadro solo parziale. Non a caso per le carceri si parla sempre di indice di salute, visto che si tratta, semplicemente, di percentuali. “A Paliano, dove c’è un sanatorio per la tbc, dove i detenuti vanno dopo la fase acuta - dice Gui - normalmente ci sono 4/5 pazienti, oggi ce n’erano 10. Questo cosa vuol dire? Se a Paliano ci sono tante persone che in tutta Italia hanno fatto la post convalescenza, vuol dire che il fenomeno è attivo. Però si ragiona sempre su indici, non su numeri esatti. Il problema è che non esiste un sistema informatico di prevenzione, diagnosi e cura per le 63 mila persone detenute e quindi stiamo cercando un passaggio complesso che è quello dalla sanità penitenziaria alla sanità pubblica. C’è un problema professionale e di cultura, nel senso che esiste una cultura che è quella della prevenzione, mentre nelle carceri si lavora sull’emergenza”. Giustizia: il magistrato Simonetta Matone diventa numero due del Dap, via libera dal Csm Italia Oggi, 8 settembre 2011 Il plenum del Consiglio superiore della magistratura nella seduta di ieri ha dato il proprio consenso alla nomina del magistrato Simonetta Matone a vice capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (guidato da Franco Ionta) del ministero della Giustizia. La decisione è stata presa con 10 voti a favore eli astensioni. Ma tra questi ultimi c’è chi, nel palazzo dei Marescialli, ha dimostrato di non conoscere la lunga carriera di Matone: come il consigliere togato Francesco Vigorito, di Magistratura democratica, per il quale Matone dovrà occuparsi di una “materia della quale non si è mai occupata nella vita”. “C’è sempre da imparare”, ha affermato con una battuta il vicepresidente del Csm Michele Vietti. Già, ma il curriculum di Matone parla chiaro, apparendo anche nella Enciclopedia delle donne: “Dal 1983 è magistrato di sorveglianza presso la Corte di Appello di Roma fino al 1986. Organizza il primo convegno nazionale sulla detenzione in Italia e in quell’occasione i detenuti mettono in scena Antigone di Sofocle. Lavora in carcere e concede ben novecento permessi con un record assoluto di rientri: mancheranno solo nove alla sua fiducia. I detenuti della Casa Circondariale di Rebibbia (Roma), le regalano una targa: “A Simonetta, che a molti spezzò la chiave dell’attesa”. Crea, in favore della popolazione carceraria del Lazio, una fitta rete di rapporti con le amministrazioni locali per incoraggiare ogni utile intervento di risocializzazione e di sostegno”. Di carceri, quindi, se ne è sempre occupata. Con buona pace di chi si è astenuto. Giustizia: Apprendi (Pd) scrive a Napolitano; intervenire per le carceri, non c’è più tempo Il Velino, 8 settembre 2011 “Appena ieri avevo lanciato l’ennesimo grido di allarme, anche alla luce del caso di meningite nel carcere di Caltanissetta, fare in fretta, per evitare altre morti nelle carceri siciliane e puntualmente ieri mattina ci è giunta la notizia del suicidio di un giovane rumeno di 35anni nel carcere di Agrigento. Tutto ciò avviene nella totale indifferenza di un ministero della giustizia che è pressoché assente rispetto al crescere della crisi che si registra nelle carceri dell’Isola. Sig. Presidente, il sistema carcerario va riformato, ciò che sta accadendo ogni giorno è di una gravità inaudita. Le carceri scoppiano per il sovraffollamento che è causa di mancanza di igiene e di nervosismo fra gli stessi detenuti. Il personale è insufficiente, mancano psicologi, educatori, assistenti sociali e agenti costretti a turni massacranti e in solitudine”. Lo afferma in una nota indirizzata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita oggi e domani a Palermo, il deputato regionale del Pd Pino Apprendi. Giustizia: chi se la prende con l’operatore penitenziario…. di Lanfranco Palazzolo La Voce Repubblicana, 8 settembre 2011 Intervista a Leo Beneduci, segretario dellOsapp, ci parla delle carceri italiane, dei detenuti e di qualche episodio di violenza. La situazione nelle carceri italiane è difficile, ma è sbagliato legittimare i detenuti violenti accontentando le loro richieste. Così sì legittimano forme di protesta pericolose. Lo ha spiegato alla “Voce” Leo Beneduci, segretario dell’Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria (Osapp). Leo Beneduci, in questi giorni avete di nuovo lanciato un allarme sulla situazione nelle carceri italiane… “I nostri timori sono legati a diversi motivi che cercherò di riassumere, Le carceri italiane sono stracolme (63 mila detenuti in carceri che ne dovrebbero avere appena 43mila). Questa situazione provoca una promiscuità e un disagio incredibile negli istituti di pena italiani. Non a caso noi parliamo di pena nella pena. Non c’è soltanto l’esclusione dalla vita comune, per i detenuti, ma si aggiunge la sofferenza per le difficili condizioni in cui si trovano i carcerati. Questa condizione determina una serie di reazioni da parte di quei detenuti che non riescono a sopportare questa situazione. Alludo anche ai detenuti tossicodipendenti che non riescono a sopportare queste condizioni di vita e se la prendono con la polizia penitenziaria. La situazione relativa ai suicidi in carcere è cambiata. Rispetto allo scorso anno il numero dei suicidi in carcere è migliorato anche grazie all’opera di prevenzione messa in atto dalla polizia penitenziaria”. Gli episodi di violenza però non accennano a diminuire... “In questo caso ci sono ancora tante difficoltà. Gli episodi di violenza sono aumentati tra gli stessi detenuti e contro la polizia penitenziaria. Alcune tipologie di detenuti, che non sopportano questa situazione, se la prendono con i poliziotti penitenziari. Siamo stufi che a pagare per errori di altri siano gli operatori della polizia penitenziaria”. Lei ha denunciato degli episodi di violenza nei confronti della polizia penitenziaria. Che cosa è successo e quali conseguenze ci sono state? “Nelle carceri italiane ci sono tanti soggetti che non dovrebbero essere detenuti, ma dovrebbero essere tenuti in luoghi di ricovero ed osservazione. Credo che sia sbagliato accogliere certe richieste di detenuti se sono espresse con violenza. C’è stato un caso recente di un detenuto che aveva aggredito più volte altri detenuti e operatori di polizia penitenziaria nel carcere di Poggioreale; e poi lo aveva fatto a Rebibbia, al termine di un Consiglio di disciplina. Il detenuto era, infine, stato mandato nel carcere di Benevento, istituto nel quale voleva essere detenuto. Questo significa che chi agisce con violenza nel carcere viene legittimato... I propri diritti non possono essere difesi e legittimati con la violenza. Sarebbe un errore far passare questa linea”. Giustizia: il boss Provenzano; sto per morire, ma in carcere nessuno vuole curarmi Agi, 8 settembre 2011 “Voglio essere curato, ho diritto a essere curato”. Sono queste le parole di Bernardo Provenzano che il suo legale Rosalba Di Gregorio ha consegnato a Klaus Davi nell’ultima puntata di KlausCondicio, il programma di approfondimento politico in onda su YouTube. L’avvocato di Provenzano ha poi aggiunto: “In questo momento la situazione di Bernardo Provenzano è pessima. Potrebbe morire da un momento all’altro poiché le sue condizioni neurologiche e fisiche generali non rendono possibile intervenire con una chemio o con qualsiasi altra terapia per bloccare la ripresa del tumore alla prostata. Si sta solo intensificando la terapia ormonale che lascia il tempo che trova. È giusto che Provenzano, che è riconosciuto colpevole di qualcosa, paghi il suo debito, però in condizioni di vita carceraria adeguate alla società civile. Vorrei avere la fortuna di trovare un soggetto medico che sia disponibile a visitarlo come consulente di parte. Non ci sono molti soggetti disponibili ad andare a visitare Provenzano”. L’avvocato Di Gregorio ha poi spiegato: “Quello che è stato sottovalutato sia all’interno della perizia sia nei provvedimenti successivi è il problema cerebrale. C’è stata un’ischemia che ha bruciato, nel 2010, una parte del cervello e da qui residuò, come un fatto neurologico a caduta, un riflesso simile al Parkinson. Abbiamo un soggetto che in questo momento non è in condizione di accudire se stesso, nella maniera più categorica. L’ultima volta in cui sono andati i figli a trovarlo, si è messo a pregare al colloquio. E non riesce a capire che deve prendere il citofono e posizionare nel punto giusto l’orecchio e la bocca. Addirittura non riesce più neanche a fare uscire la biancheria sporca, sbaglia e manda fuori quella pulita”. Liguria: Sappe; 1.814 detenuti, ben oltre la capienza regolamentare delle carceri regionali Comunicato stampa, 8 settembre 2011 Secondo le ultime rilevazioni statistiche aggiornate al 31 agosto scorso, i detenuti presenti negli Istituti penitenziari della Liguria hanno superato la ricettività massima tollerabile delle strutture e si aggravano ogni giorno di più le gravi condizioni di lavoro del Personale di Polizia penitenziaria, nettamente sotto organico in Regione. È la denuncia del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa della Categoria, che con il segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli commenta: “Al 31 agosto scorso erano presenti in Liguria 1.814 detenuti, record storico mai registrato neppure ai tempi immediatamente precedenti l’indulto del 2006, a fronte di una capienza regolamentare degli Istituti pari a 1.140 posti letto. Non solo: la presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta stabilmente tra il 50 ed il 60% dei presenti: sono infatti complessivamente 1.027. In Liguria abbiamo anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% dei presenti rispetto ad una media nazionale del 25%) e, altro record negativo a livello nazionale, quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solo il 15% dei presenti. Abbiamo più detenuti in attesa di giudizio (908) che condannati (903), 29 detenuti in semilibertà e solamente 127 detenuti sono usciti, ad oggi, dalle carceri liguri per effetto della legge sulla detenzione domiciliare - legge 199/2011. Eppure nessuno fa nulla per deflazionare le carceri: mi chiedo ad esempio se ha contezza di questa drammaticità l’Assessore regionale alle politiche della sicurezza dei cittadini Claudio Montaldo che è del tutto disinteressato alle criticità penitenziarie liguri.” È quanto dichiara il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, per il tramite del segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli. “Questi emblematici dati dovrebbero far comprendere una volta di più anche ai non addetti ai lavori ma soprattutto a mondo politico e parlamentare come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino con professionalità e senso del dovere le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria in Liguria, carenti in organico di ben 400 unità in meno. Nessuno può sentirsi non competente sulle criticità penitenziarie liguri. Bisogna ad esempio lavorare per una maggiore implementazione dei detenuti nel lavoro di pubblica utilità, anche attraverso il coinvolgimento di Province e Comuni, affinché la Regione Liguria - d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, le Direzioni delle 7 Case circondariali regionali ed il qualificato e fondamentale contributo del Personale di Polizia Penitenziaria - promuova l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale, la pulizia dei greti dei torrenti e delle spiagge del nostro territorio regionale. O favorendo politiche abitative a canoni agevolati per i Baschi Azzurri. Ma di questo o di altri interventi per le carceri, fino ad oggi, l’Assessore Montaldo e la Regione Liguria mai hanno parlato o ragionato… Chi lavora o è detenuto in carcere è forse un cittadino di serie B?” Puglia: Ugl; sovraffollamento carcerario… rimangono solo posti in piedi (forse) www.sudnews.it, 8 settembre 2011 Ieri mattina si è svolto un cordiale incontro tra la segreteria regionale dell’Ugl - Polizia Penitenziaria Puglia ed il Provveditore per l’Amministrazione Penitenziaria per la Puglia, dott. Giuseppe Martone, determinato dalla presentazione del nuovo assetto organizzativo della segreteria, ed incentrato sull’analisi delle principali criticità del sistema penitenziario regionale, principiando dal drammatico problema del sovraffollamento. I dati snocciolati nel corso dell’incontro col Provveditore sono decisamente sconfortanti, alla luce non solo dell’indice di sovrappopolamento regionale, che oramai veleggia verso il 180%, rendendo la Puglia una delle regioni col più alto tasso di densità carceraria in Italia, ma soprattutto di alcune situazioni inumane e degradanti come quella registrata in una delle sezioni del Casa Circondariale di Bari, dove pare siano ospitati oltre 60 detenuti per una capienza tollerabile pari a circa 20 ospiti, con un indice di sovraffollamento pari al 400%, con conseguente commistione di utenza per circuiti. Un Paese civile non può tollerare situazioni simili e se il sistema penitenziario continua a reggere è solo per l’abnegazione del personale di Polizia Penitenziaria e civile che, nonostante tutto (straordinari e missioni che attendono di essere pagate; carichi e turni di lavoro notevolmente stressanti; incertezza sul futuro previdenziale…), continua ad essere presente in servizio, pur con tutti i disagi ed il senso di impotenza che si avverte di fronte a situazioni così drammatiche. “Riteniamo - dicono dall’Ugl - che alcuna colpa possa ascriversi all’Amministrazione Penitenziaria per quanto sta accadendo, visti gli obblighi normativi gravanti sulla medesima e sui suoi organi, che, da un lato, impongono di accogliere coloro i quali vengono accompagnati in carcere muniti di idoneo titolo di carcerazione; dall’altro lato, di non rimettere in libertà i detenuti, se non in possesso di un valido titolo di scarcerazione. Di conseguenza, l’Ugl - Polizia Penitenziaria Puglia esprime la propria solidarietà ai colleghi che faticosamente lavorano negli Istituti penitenziari, senza distinzioni di ruoli, e stigmatizza la tesi pur avanzata da alcuni illustri esponenti dell’Accademia penalistica, che vorrebbe far gravare sugli operatori responsabilità addirittura penali (si ipotizza il reato di maltrattamento ai danni dei detenuti), dimenticando che la colpa di quanto sta accadendo ricade su una politica sorda al grido di aiuto inascoltato che viene lanciato da anni dal sindacalismo penitenziario. Ci chiediamo, quindi, dove sono ora quei parlamentari che hanno visitato le carceri il giorno di Ferragosto, invitandoli a trascorrere due giorni in una delle sezioni sovraffollate pugliesi (uno come poliziotto in sezione e l’altro come detenuto), così da comprendere il dramma vissuto da chi vi lavora, servendo il nostro Paese, e da chi ci vive! Il Provveditore Martone si è impegnato a perorare presso gli uffici centrali del Dap la situazione pugliese, richiedendo opportune soluzioni, sebbene sia stato manifestato al Dirigente generale un ovvio scetticismo, determinato dalla generalizzata e diffusa situazione di endemica sovrappopolazione. È stata proposta al Provveditore anche la riapertura dell’Istituto di Spinazzola, chiesta da questa O.S. proprio per dare ossigeno a quelle strutture la cui densità carceraria è diventata intollerabile, per potervi continuare a lavorare. Riportando a Spinazzola il personale che vi operava e, parafrasando il titolo di un noto film di azione di qualche anno fa, recuperando “quella sporca dozzina” di unità mancanti, la struttura tornerebbe a vivere e qualche istituto a respirare. Altri sono stati i temi toccati nell’incontro, ma la loro delicatezza, unitamente al work in progress di questa O.S. sui medesimi, induce a rinviare ulteriori notizie ai prossimi comunicati. Al Garante del sistema penitenziario pugliese si rivolge un accorato appello, affinché porti all’attenzione della politica regionale questa situazione prima che accada l’irreparabile”. Piemonte: nomina Garante dei detenuti; il Presidente del Consiglio regionale risponde… Notizie Radicali, 8 settembre 2011 A seguito della lettera inviata il 23 agosto scorso per sollecitare la chiusura dell’iter di nomina del Garante regionale per le persone private della libertà personale, il Presidente del Consiglio Regionale Valerio Cattaneo ha risposto a Bruno Mellano, componente della Direzione nazionale di Radicali Italiani, che ha dichiarato: Occorre dare atto al Presidente Valerio Cattaneo di aver, sin dall’inizio della legislatura, affrontato la questione aperta della nomina del “garante dei detenuti”. Già alla mia prima lettera di autocandidatura individuale, il Presidente del Consiglio regionale si è fatto garante della procedura di nomina, in base al mandato della legge 28 del 2009 ed al ruolo istituzionale ricoperto, scontando un ritardo dovuto alla prima applicazione della legge ed ai problemi di questo inizio contestato di legislatura. La pubblicazione dell’avviso pubblico, la raccolta delle candidature, l’istruttoria presso la Commissione Nomine e la validazione dei curriculum rappresentano indubbiamente il corretto incardinamento dell’iter. Ma purtroppo non è bastato. È anche con questa consapevolezza che la mia lettera indirizzata al Presidente Cattaneo ho ritenuto di doverla inviare, per opportuna conoscenza, anche a tutti i capigruppo ed ai componenti della Commissione Nomine: in tutto una trentina di consiglieri - metà dell’intero Consiglio regionale - hanno ricevuto la lettera. Il Presidente Cattaneo mi ha cortesemente risposto con espressioni di condivisione del problema della Comunità penitenziaria piemontese e con l’impegno di portare all’attenzione della Conferenza dei Presidenti di Gruppo la questione. Indubbiamente non si tratta tanto di rispondere alle mie sollecitazioni, quanto di dare risposte e soluzioni politiche alle questioni poste dal Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano, nei suoi autorevoli e ripetuti interventi sulla realtà carceraria italiana, così lontana dal dettato costituzionale. Io, con gli amici e compagni radicali, ho creduto negli anni scorsi, nel proporre la figura e nel chiederne la legge, come credo ora, nel candidarmi e nel sollecitare la nomina, che l’istituzione del Garante sia una risposta adeguata alle responsabilità regionali in materia ed al ruolo avuto in questi decenni dalla Regione Piemonte: certo non é l’unica risposta, né tanto meno può essere una risposta esaustiva e risolutiva, ma l’inizio di un lavoro di rete e di sinergia che renda efficaci ed efficienti gli interventi e le iniziative sul territorio e dei vari enti. Al 31 agosto la Comunità penitenziaria piemontese contava 5188 detenuti, di cui 162 donne e ben 2564 non italiani, su 13 Istituti per una capienza regolamentare complessiva di 3628 posti, a fronte di cronica mancanza di personale fra gli agenti, gli educatori e persino degli amministrativi. Allora la domanda non può che essere: che fa la politica regionale? Buquicchio (Idv): fermiamo strage detenuti, sì al Garante “Fermiamo la strage dei detenuti e del personale penitenziario al carcere delle Vallette. Anche la Regione deve fare la propria parte mantenendo per il prossimo anno la figura del Garante dei Detenuti, che qualche esponente di maggioranza vorrebbe sopprimere per risparmiare pochi euro. Si tratta di un servizio fondamentale, istituito con una legge regionale del 2009, in difesa dei diritti e della salute psicofisica dei carcerati”. È quanto afferma Andrea Buquicchio, capogruppo Idv al Consiglio del Piemonte, in merito all’ennesimo suicidio sventato dalla Polizia penitenziaria ed al suicidio di un agente avvenuto ieri. “Il personale del carcere - aggiunge Buquicchio - è lasciato solo a fronteggiare questa emergenza. Agli agenti che operano alle Vallette occorre fornire mezzi e fondi necessari per svolgere al meglio il proprio lavoro. Allo stesso tempo è necessario migliorare le condizioni di permanenza dei detenuti, spesso indegne di un paese civile. Solo salvaguardando la dignità dei detenuti e della Polizia carceraria è possibile diminuire drasticamente il numero dei suicidi. Sono necessari dunque investimenti urgenti che devono giungere al più presto dal Ministero della Giustizia da cui dipendono le case circondariali. Purtroppo il dicastero sembra più impegnato a risolvere i problemi giudiziari del Premier piuttosto che ad occuparsi della disastrosa situazione delle strutture detentive”. Torino: ancora un suicidio tra i poliziotti penitenziari, si uccide un assistente capo Comunicato stampa, 8 settembre 2011 “Siamo sgomenti e sconvolti. A pochi mesi dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Mamone Lodè, Caltagirone e Viterbo, piangiamo la vittima di un’altra tragedia che ha sconvolto i Baschi Azzurri. Un agente di Polizia penitenziaria in servizio presso il carcere Lorusso e Cutugno di Torino si è suicidato con un colpo di pistola alla testa questa notte nel piazzale del cimitero di Foglizzo (Torino). Non sono ancora chiare le ragioni che hanno spinto l’uomo, 43 anni, a compiere il gesto estremo. Siamo impietriti per questa nuova immane tragedia immane. Ci stringiamo con tutto l’affetto e la solidarietà possibili al dolore indescrivibile dei familiari, degli amici, dei colleghi”. È il commosso commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Capece aggiunge: “Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 90 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Quattro suicidi in pochi mesi sono sconvolgenti. Da tempo sosteniamo che bisogna comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l’attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere. L’Amministrazione penitenziaria, dopo la tragica escalation di suicidi degli scorsi anni - nell’ordine di 10 casi in pochi mesi!, accertò che i suicidi di appartenenti alla Polizia Penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, sono in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria assicurò i Sindacati di prestare particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l’eventuale istituzione di centri di ascolto. Ma a tutt’oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti Centri di ascolto e questa colpevole superficialità su un tema tanto delicato quanto importante è imperdonabile, se in poco tempo 4 appartenenti alla Polizia Penitenziaria si sono tolti la vita. Ed è grave che su un tema tanto delicato quanto il disagio lavorativo dei Baschi Azzurri ci sia così tanta superficialità. Chiediamo al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma di farsi carico in prima persona su questo importante problema. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire un buon supporto psicologico agli operatori di Polizia - garantendo la massima privacy a coloro i quali intendono avvalersene - può essere un’occasione per aumentare l’autostima e la consapevolezza di possedere risorse e capacità spendibili in una professione davvero dura e difficile, all’interno di un ambiente particolare quale è il carcere, non disgiunti dai necessari interventi istituzionali intesi a privilegiare maggiormente l’aspetto umano ed il rispetto della persona nei rapporti gerarchici e funzionali che caratterizzano la Polizia penitenziaria. Su queste tragedie non possono e non devono esserci colpevoli superficialità o disattenzioni!” Sassari: “così abbiamo giustiziato Erittu”, il killer pentito e i retroscena dell’omicidio L’Unione Sarda, 8 settembre 2011 Il falso suicidio, le rivelazioni, i legami coi sequestri di persona. Il Tribunale della libertà di Cagliari ha confermato gli arresti di Vandi e Sanna. Avrebbero ucciso Erittu nella sua cella per chiudergli la bocca. Marco Erittu è morto perché sapeva troppo sui rapimenti di Giuseppe Sechi e Paoletto Ruiu. Lui, un detenuto qualunque, finito a San Sebastiano per reati di piccolo conto, rappresentava una minaccia per troppa gente pericolosa, forse anche per qualche personaggio illustre mai sfiorato dal sospetto di collusioni con l’Anonima. E dopo 13 anni aveva deciso di sollevare il velo di mistero che ancora avvolge una dei capitoli più atroci dell’infame storia dei sequestri di persona in Sardegna. Sul movente non ci sono dubbi: “Occultare prove dei delitti di sequestro di persona”, scrivono i giudici della Libertà nel confermare la competenza della Distrettuale di Cagliari sull’inchiesta. E in particolare impedire a Erittu di rivelare i nomi dei responsabili della morte di Giuseppe Sechi, il giovane di Ossi sequestrato e ucciso nel 1994 al solo scopo di tagliargli un lobo dell’orecchio da inviare come prova in vita ai familiari del farmacista orunese Ruiu, rapito un anno prima e mai tornato a casa. Dunque il pentito Giuseppe Bigiella, già condannato a 30 anni per omicidio, non racconta balle. Anzi, per i giudici “è pienamente attendibile”. Intanto perché si autoaccusò di quel delitto mascherato da suicidio compiuto nel 2007 dentro il carcere di Sassari quando ormai nessuno ci pensava più. E poi perché ne rivelò senza reticenze le ragioni inconfessabili facendo il nome del mandante e dei complici. Il Tribunale della libertà di Cagliari nell’ordinanza del 5 agosto scorso l’ha vista come il Gip Giorgio Altieri. L’inchiesta dei carabinieri di Nuoro e del pm della Dda Giancarlo Moi è solida, non ha crepe. Ecco perché il presunto mandante, Giuseppe Vandi, 48 anni, considerato uno dei boss della droga del Sassarese, deve restare in cella. Così come Mario Sanna, l’agente penitenziario di Bonorva accusato di aver aiutato gli assassini. A piede libero c’è solo Nicolino Pinna (l’altro presunto killer): nei suoi confronti il Gip ha ritenuto che non ci fossero “riscontri individualizzanti” nonostante “le accuse di Bigiella siano pienamente attendibili anche in riferimento alla sua partecipazione”. San Sebastiano, Sassari, 18 novembre 2007. Marco Erittu è nella cella “liscia”, la numero 3 del reparto promiscui, isolato dal resto dei detenuti perché ha minacciato di darsi fuoco. In realtà - racconterà il pentito - non vuole uccidersi, ma cerca di stare lontano dagli altri reclusi. Ha paura. Vandi, Bigiella e Pinna, hanno programmato tutto. E stanno per entrare in azione. “Vandi mi disse che Erittu stava facendo rivelazioni perché aveva visto casualmente delle persone trasportare e seppellire il cadavere di Sechi”. Sapeva pure che Erittu aveva inviato una lettera all’allora procuratore di Sassari Giovanni Porqueddu. A mostrargliela e a farla sparire è un agente corrotto che lavorava all’ufficio matricola. “Vandi mi confidò che la lettera era compromettente per lui e per altre persone e che per questo era necessario uccidere Erittu. Io accettai l’incarico perché avevo poco da perdere e perché sapevo che ne avrei avuto dei vantaggi visto che Vandi controllava il traffico di droga in carcere e aveva grande ascendente su alcune guardie”. Mì, ti apre lui. Vandi risponde così, indicando l’agente Sanna, che fa un cenno di assenso, quando Bigiella gli chiede come sarebbe entrato nella cella di Erittu. “Sanna era da solo in reparto, aprì la cella 3, poi la mia e quella di Pinna e si allontanò verso la rotonda”. I sicari si muovono veloci. “Il piano prevedeva che lo soffocassimo con una busta, ma se non ci fossimo riusciti ci eravamo portati dietro le lamette da barba con cui gli avremmo dovuto tagliare la gola”. Non ce ne sarà bisogno. “Erittu era disteso sul letto spalle alla porta, mentre Pinna gli immobilizzava i piedi io gli ho infilato una busta di cellophane in testa e ho stretto sino a quando ha smesso di muoversi. Prima di morire Erittu ha vomitato e mi sono sporcato. Io sono uscito, Pinna è rimasto per simulare la scena di un’impiccagione”. Mezz’ora più tardi, l’agente Sanna dà l’allarme. Tre anni dopo, 11 di giugno. Bigiella, che sta già collaborando in un’indagine sullo spaccio di droga in carcere, svela per la prima volta i retroscena dell’omicidio Erittu. Poi viene interrogato altre volte, l’ultima il 27 maggio scorso. A luglio scattano gli arresti. La sua confessione è il pilastro dell’intera inchiesta. Senza, crollerebbe tutto. Ecco perché quando sarà interrogato in incidente probatorio, pare presto, le difese (Elias Vacca e Patrizio Rovelli per Vandi, Agostinangelo Marras per Sanna) tenteranno in tutti i modi di minarne la credibilità. Una confessione genuina e attendibile C’è un carcere col suo boss, che traffica in droga e ha sul libro paga alcune guardie. E c’è un detenuto comune che sa troppo sul suo conto, che conosce retroscena scottanti su alcuni gravi crimini mai risolti. Per questo il boss decide di chiudergli la bocca. Il testimone viene ucciso in cella prima che possa rivelare i segreti che custodisce e il caso viene archiviato come suicidio. Sino a quando, 3 anni dopo, uno dei killer decide di confessare e fa riaprire il caso. L’inchiesta sull’omicidio di Marco Erittu sembra davvero la trama di un romanzo intricato e feroce. Una (presunta) storia criminale venuta a galla solo grazie all’improvviso pentimento di uno dei killer, Giuseppe Bigiella, già condannato per omicidio a 30 anni. Ma - ed è questo il modo dell’indagine - Bigiella dice il vero? O mente nel tentativo di guadagnare punti agli occhi degli inquirenti e garantirsi dei vantaggi? Il Gip e ora anche per il Tribunale della Libertà non hanno dubbi: è pienamente credibile. È vero, all’interrogatorio di garanzia non ha risposto, cosa piuttosto strana per un collaboratore che ha già ammesso le sue colpe. Ma - fanno notare i giudici - “la sua confessione è stata comunque resa del tutto spontaneamente” quando “il procedimento per la morte di Erittu era già archiviato”. Inoltre “ha coinvolto personaggi come il Pinna e il Vandi, molto pericolosi e capaci di attuare nei suoi confronti gravissime ritorsioni”, senza considerare che autodenunciandosi e dando di sé un’immagine di persona “spietata e priva di scrupoli” si è esposto a “una pressoché certa condanna all’ergastolo”. C’è, infine, una serie di riscontri alle sue parole: “La sparizione, in epoca anteriore e prossima all’omicidio, di una lettera indirizzata dall’Erittu al Procuratore consegnata e registrata all’ufficio matricola e da lì scomparsa senza lasciare traccia”; “il fatto, accertato solo successivamente, che all’ora del delitto le guardie Sotgiu e Sanna” non avessero tenuto come da consegne “sotto continua sorveglianza i detenuti”; “il rinvenimento nella cella di Erittu di un pezzo di plastica ricavato da un rasoio Bic della cui esistenza il Bigiella non avrebbe potuto essere a conoscenza leggendo gli atti”; “la presenza sul volto di Erittu, di cui pure il Bigiella non avrebbe potuto avere contezza perché mai rilevata, di grumi di materiale secco, compatibile con l’ipotesi di un rigurgito verificatosi nel corso del soffocamento”. Poco fumo insomma. E, almeno per i giudici, tanto arrosto. Quella strana impiccagione nella relazione del Ministero Se Giuseppe Bigiella non avesse deciso di vuotare il sacco nessuno avrebbe mai scoperto la verità sulla morte di Marco Erittu. Ma già nel 2007 sul tavolo c’erano parecchie stranezze che facevamo dubitare dell’ipotesi di un suicidio. L’autopsia eseguita dal professor Lorenzoni non rilevò nessuno dei segni obiettivi tipici dello strangolamento. Inoltre il corpo fu ritrovato a terra, accanto al letto, con una coperta sopra. Ma la cosa più incredibile è che la striscia di stoffa con cui si pensava si fosse impiccato non era annodata alla spalliera del letto, bensì solo appoggiata. Tanto che il Gip di Cagliari non esita a definire arzigogolata la spiegazione che diede all’epoca il Ministero: “Presumibilmente il detenuto ha appoggiato il cuscino in posizione verticale sulla spalliera, si è disteso sotto la coperta e ha avvolto con due giri la fettuccia attorno al collo e alla spalliera da ambo le parti e tirando i due capi con violenza è riuscito a strangolarsi e dopo aver perso conoscenza e mollato la presa è scivolato a terra sciogliendo parzialmente le spire e rimanendo coperto”. Assurdo? Forse, ma per tre anni, prima della confessione di Bigiella, la verità ufficiale è stata questa. Torino: Sappe; la polizia penitenziaria sventa tentativo di suicidio di un detenuto kosovaro Comunicato stampa, 8 settembre 2011 “Esprimo il sincero e convinto apprezzamento del primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ai colleghi del Reparto di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Torino “Lorusso Cutugno” del Padiglione detentivo B che con il loro tempestivo intervento hanno salvato la vita, alle 6.30 circa di questa mattina, a un detenuto kosovaro che ha tentato il suicidio in cella. È ancora una volta solo grazie alla professionalità, al tempestivo intervento, alle capacità, all’umanità ed all’attenzione del Personale di Polizia Penitenziaria che un detenuto è stato salvato da un tentativo di suicidio. Un gesto particolarmente importante e da mettere in evidenza, tanto che il Sappe chiederà all’Amministrazione penitenziaria di Roma una adeguata ricompensa (lode o encomio) al Personale di Polizia che è intervenuto per salvare la vita al detenuto. Un gesto eroico e da valorizzare che nelle carceri italiane accade con drammatica periodicità: si pensi che nel solo 2010 la Polizia Penitenziaria ben 1.137 tentativi di suicidio di detenuti ed impedendo che i 5.703 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze” Lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. “I nostri Agenti, a Torino, pagano ancora una volta in prima persona le tensioni che si registrano nelle carceri. Parliamo di una realtà caratterizzata da un pesante e costante sovraffollamento penitenziario, che aggrava le già pesanti condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria. A fronte di 1.092 posti regolamentari, sono infatti presenti oltre 1.550 detenuti (per più del 50% stranieri) mentre oltre 300 sono gli agenti di Polizia Penitenziaria che mancano dagli organici del Reparto. Il suicidio sventato dai nostri colleghi non deve passare inosservato perché la dimostrazione concreta della realtà quotidiana della nostra professione di Baschi Azzurri è rappresentare ogni giorno lo Stato nel difficile contesto penitenziario con professionalità, senso del dovere, spirito di abnegazione e, soprattutto, umanità. Si pensi che nel solo 2010 nel carcere di Torino si sono verificati 119 episodi di autolesionismo, 4 decessi per cause naturali, 25 tentati suicidi, 30 episodi di ferimenti, 131 scioperi della fame, 164 proteste violente con danneggiamenti di beni dell’Amministrazione penitenziaria, 184 rifiuti di vitto e terapie sanitarie! Questo dovrebbe indurre gli Uffici centrali dell’Amministrazione penitenziaria di Roma all’urgente invio di nuovi Agenti di Polizia Penitenziaria a Torino e nel Piemonte, non solo limitarsi a registrare gli eventi critici che si verificano purtroppo nelle nostre carceri”. Torino: Osapp; detenuto per un giorno, accompagnato in carcere per trascorrervi la notte Comunicato stampa, 8 settembre 2011 “Questa notte verso 2.00 al carcere di Torino è entrato, in quanto colà accompagnato dai carabinieri, un detenuto che dovrà scontare 1 giorno di pena e che ovviamente uscirà questo pomeriggio”. È quanto comunica l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. “Altro che depenalizzazioni, decarcerizzazioni o amnistia, qui c’è da lavorare in profondità e subito - tuona il leader dell’Osapp - a meno di non voler condannare definitivamente il sistema penitenziario italiano al completo disfacimento come certi fatti starebbero a dimostrare, visto che di casi simili se ne verificano centinaia ogni giorno e già in carcere ci sono 22 mila detenuti in più dei posti disponibili. Il ministro Palma - conclude Beneduci - se c’è batta un colpo il prima possibile e non come l’ex Guardasigilli Alfano che a tali problemi, pur conoscendoli da tempo, non aveva mai posto alcun riparo”. Ragusa: da Rita Bernardini un’interrogazione parlamentare a Nitto Palma sul carcere Notizie Radicali, 8 settembre 2011 Rita Bernardini, parlamentare dei Radicali Italiani, difende i detenuti e denuncia la situazione insopportabile che si vive nelle celle italiane. Sul suo blog, l’onorevole Bernardini scrive che: “La situazione non esplode solo grazie alla grande capacità di sopportazione dei detenuti, all’abnegazione del personale e alla professionalità e umanità delle due giovanissime comandanti della polizia penitenziaria”. Per denunciare tale situazioni, Rita Bernardini ha presentato un’interrogazione parlamentare in data martedì 6 settembre, a firma anche degli onorevoli Beltrandi, Farina, Coscioni, Mecacci, Turco e Zamparutti. I parlamentari hanno chiesto al ministro della giustizia informazioni relative alla casa circondariale di Ragusa. “Il 30 agosto 2011 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Ragusa si legge nel teso dell’Interrogazione pubblicata sul blog di Bernardini - accompagnata da Gianmarco Ciccarelli (segretario dell’associazione Radicali Catania). La delegazione è stata ricevuta e accompagnata dalla comandante di polizia penitenziaria, commissario Maria Teresa Lanaia, e dalla vicecomandante Chiara Morales; la visita ha avuto una durata di circa cinque ore; la situazione riscontrata è la seguente si legge ancora nel testo - il carcere è una struttura costruita nella prima metà del secolo scorso; l’istituto è gravemente sovraffollato: i detenuti ristretti all’interno della casa circondariale sono 195, a fronte di una capienza regolamentare di 116 posti; tale capienza regolamentare, peraltro, secondo quanto riferito, include anche i posti di alcuni reparti che, al momento della visita, risultano essere chiusi (sezione femminile e sezione minorati fisici); analogamente a quanto verificato in relazione ad altri istituti di pena, il dato sulla capienza regolamentare contenuto in una recente statistica pubblicata sul sito internet del Ministero della giustizia è di gran lunga superiore rispetto al dato fornito e riscontrato in occasione della visita: la suddetta statistica, infatti, indica per la casa circondariale di Ragusa una capienza regolamentare di 173 posti alla data del 30 giugno 2011”. Nell’interrogazione parlamentare di Rita Bernardini viene anche sottolineata la carenza di personale della polizia penitenziaria: “La carenza di personale di Polizia penitenziaria è particolarmente marcata: la pianta organica prevede il 117 agenti, quelli effettivamente in servizio sono 67, a cui vanno aggiunte 11 unità del Nucleo traduzioni e piantonamenti che svolgono la loro attività nei due penitenziari della provincia di Ragusa (casa circondariale di Ragusa e casa circondariale di Modica) e, fra le altre cose, garantiscono la partecipazione dei detenuti alle udienze, non di rado in altre regioni d’Italia, a causa dei frequenti sfollamenti da penitenziari del centro e del nord della penisola; la carenza di agenti c’è ed è grave”. E ancora si denuncia carenza di acqua nel periodo estivo, ristrettezza di spazi, inesistenza di attività ricreative e così via. Al Ministro, Nitto Palma, viene chiesto, infine se: “Sia a conoscenza della situazione descritta in premessa; se i dati relativi alla capienza regolamentare degli istituti di pena contenuti nelle statistiche pubblicate sul sito internet del Ministero della giustizia siano corretti; quali atti intenda assumere affinché sia garantito il rispetto del terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione; quali urgenti provvedimenti intenda adottare per colmare il deficit di organico di polizia penitenziaria, posto che la gravissima carenza di agenti determina seri rischi in termini di sicurezza e notevoli disfunzioni per la vita dei reclusi e per le condizioni di lavoro e di vita degli agenti stessi; quali atti intenda assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette”. Inoltre, si legge ancora nell’interrogazione parlamentare presentata da Rita Bernardini: “Se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche e di formazione; se intenda adoperarsi per quanto di competenza al fine di potenziare l’assistenza psicologica ex articolo 80 ordinamento penitenziario; se, e in che modo, intenda intervenire per far s che le finestre delle celle siano conformi a quanto stabilito dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 e, infine, quali iniziative urgenti intenda adottare, in definitiva, al fine di ricondurre le condizioni di detenzione vigenti all’interno dell’istituto penitenziario di Ragusa alla piena conformità al dettato costituzionale e normativo”. Firenze: Osapp; ennesima aggressione nella sezione tossicodipendenti di Sollicciano Comunicato stampa, 8 settembre 2011 “L’ennesima aggressione nella stessa sezione per tossicodipendenti della casa circondariale di Firenze Sollicciano ha avuto per vittime, ieri pomeriggio, 2 appartenenti alla Polizia Penitenziaria “ - è quanto comunica l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. Aggiunge il sindacalista : “un detenuto italiano ristretto nella sezione, senza apparente motivo, ha aggredito i 2 poliziotti presenti con una sedia arrecando ad uno dei 2 colleghi lesioni per 20 giorni di prognosi s.c. e purtroppo si tratta del settimo caso nella stessa sede, mentre il numero complessivo dei poliziotti penitenziari che hanno subito lesioni dall’inizio dell’anno sale ad 820.” “Avevamo già chiesto,anche mediante comunicazioni stampa, al capo del Dap Ionta e al ministro Palma di intraprendere iniziative appropriate quali l’allocazione dei detenuti più violenti in appositi reparti in cui potevano essere assistiti da personale specializzato, ma - conclude amaro Beneduci - nessuno ha inteso risponderci e, purtroppo, l’unico interesse che sembra in questo momento coinvolgere le attività congiunte del dicastero della giustizia e dell’amministrazione penitenziaria centrale riguarda la regolarizzazione degli accompagnamenti dei dirigenti mediante le cosiddette auto blu”. Treviso: “Viaggio del diavolo”, all’Ipm spettacolo conclusivo del laboratorio video-teatro La Tribuna di Treviso, 8 settembre 2011 Si terrà venerdì 16 all’Istituto penale minorile di Santa Bona la prima proiezione di “Viaggio del diavolo”, spettacolo conclusivo del laboratorio di video-teatro promosso da Ipm, Coordinamento delle associazioni di volontariato di Treviso, Ctp 2 “Coletti” e dalle Opere riunite Buon Pastore di Venezia. Quest’anno il progetto è arrivato a compiere dieci anni. Per i ragazzi detenuti è l’occasione di poter raccontare le proprie storie di vita e di confrontarsi con altri sette studenti trevigiani che questa estate, da giugno a settembre, hanno svolto attività di volontariato all’interno dell’istituto minorile. Fra i racconti messi in scena quelli di un giovane egiziano che ha descritto la sua traversata dal Nord Africa a Lampedusa alla ricerca disperata di fortuna. È stata questa storia a ispirare il titolo dello spettacolo che è stato realizzato grazie alla collaborazione e alla gestione di due trainer teatrali, Valentina Paronetto e Marika Tesser, e di un video maker, Nicola Mattarolo. Il laboratorio è stato inserito quest’anno in un progetto più ampio, “Vite allo specchio”, promosso dalle Opere Riunite Buon Pastore, che prevede anche uno scambio di esperienze tra l’Ipm di Treviso e la sezione minorile del penitenziario di Slobotia in Romania. Immigrazione: Consiglio d’Europa; l’Italia rispetti i diritti di migranti e rom di Stefano Galieni Liberazione, 8 settembre 2011 Ancora una volta sul banco degli imputati. L’accusa è di quelle infamanti per un Paese civile e riguarda l’Italia, in particolar modo una componente affatto marginale dei propri esponenti politici e istituzionali. Tutto è contenuto nell’ultimo rapporto dei Commissario europeo per i diritti umani dei Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg che emerge dal risultato dell’ultima visita compiuta in Italia il 26 e il 27 maggio scorso. La sintesi è chiara e priva di margini di ambiguità: “Per l’Italia è arrivato il momento di sviluppare con vigore le disposizioni dei codice penale relative ai reati di matrice razzista per arginare il continuo uso di slogan razzisti da parte dei politici”. Per Hammarberg i politici italiani debbono abbandonare slogan razzisti e xenofobi, soprattutto nei confronti dei rom. Viene rilevata la necessita di contrastare un vero e proprio fenomeno diffuso, per esempio proponendo iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici e attraverso una vigorosa attuazione del codice penale relative ai reati di matrice razzista in modo da arginare Puso di slogan di tale impostazione da parte dei partiti stessi. Implicitamente si chiede di superare una condizione di ignoranza diffusa, imperdonabile ancora di più se attiene alia classe dirigente. D commissario chiede infatti di promuovere in Italia la conoscenza della storia e della cultura rom per combattere il razzismo contro che più si accanisce contro questa minoranza, per esempio attraverso la diffusione e l’utilizzo di schede informative sulla storia rom messe a punto dal Consiglio d’Europa. Il richiamo è però anche alle autorità nazionali e locali affinché agiscano in conformità delle norme internazionali e dei Consiglio stesso, sul fronte delle abitazioni e degli sfratti per riportare la situazione in linea con la Carta sociale europea. Secondo il rapporto infatti, la politica degli sgomberi, soprattutto contro rom e sinti, avviene a volte in violazione dei diritti umani, determinando un impatto negativo sulla fruizione non solo del diritto alla casa ma anche di altri diritti umani compreso il diritto dei bambini all’istruzione. Si denunciano con particolare evidenza i casi di violenza contro i rom, a volte perpetrati dalle forze dell’ordine e si evidenzia la necessita di migliorare la risposta alla violenza razziale in generale. Una raccomandazione particolare è poi rivolta alle autorità italiane affinché venga affrontata e risolta positivamente la condizione di circa 15 mila rom apolidi provenienti dalla ex Yugoslavia, attraverso una strategia nazionale per l’inclusione sociale in Italia. Ma la lista delle inadempienze italiane è ancora lunga. Viene espressa preoccupazione per gli standard di vita bassi e inaccettabili riscontrati in molti insediamenti abitati da rom e da migranti e dalle loro famiglie e si considera la cosiddetta dichiarazione dello “stato di emergenza nomadi” un elemento ulteriormente negativo. In questa maniera i prefetti h anno assunto il ruolo di commissari straordinari, detenendo i poteri per effettuare sgomberi in ambito locale. Uno stato di emergenza che ancora risulta in vigore in 5 regioni. A detta del commissario europeo, prendendo come riferimento il rapporto del 2006 la situazione italiana non è progredita ma per certi aspetti si è ancora più deteriorata. La risposta dei Comitato interministeriale dei Diritti Umani italiano è giunta immediata ma è difficile non trovarla lacunosa. Vi si afferma che il governo italiano sta utilizzando una notevole quantità di risorse nazionali e locali al fine di monitorare le reali dimensioni degli insediamenti, sostenere l’inclusione sociale delle comunità rom, soprattutto nel campo dei diritto all’istruzione e alia salute e offrire migliori opportunità di lavoro. Il governo ha dichiarato di aver adottato già numerose iniziative in tal senso tra cui l’assegnazione di unità abitative, l’accesso all’istruzione, alla formazione professionale, mediazione culturale e assistenza medica. Peccato che la cronaca quotidiana ci riservi, soprattutto nelle grandi metropoli, soltanto notizie di sgomberi, di cacciate di massa, di “piani nomadi” che restano campati in aria e di politiche repressive. Peccato che autorevoli esponenti dei governo e membri dei parlamento europeo abbiano, dopo la visita di Hammarberg che si era dichiarato scandalizzato dai manifesti xenofobi affissi nelle città italiane, non abbiano perso occasione per alzare il tiro con dichiarazioni o provvedimenti di chiaro carattere vessatorio e razzista, da ultimo il “pizzo” sulle rimesse degli Peccato che, in contemporanea con l’uscita dei rapporto, il governo italiano stia dimostrando per l’ennesima volta la propria vocazione vigliaccamente razzista, accanendosi a Lampedusa contro profughi anche minori costretti a ribellarsi per avere dignitosa accoglienza. Immigrazione: il termine “extracomunitario” via dai verbali di polizia L’Unità, 8 settembre 2011 La legge, scriveva Kant, deve proteggere l’autonomia, la libertà e i diritti di tutti gli uomini. E forse per questa ‘deontologià, per la quale un fine giusto è il risultato dell’utilizzo di giusti mezzi, il procuratore capo di Savona Francantonio Granero ha deciso di firmare una circolare, protocollata proprio oggi, con la quale si invitano le forze di polizia giudiziaria a non utilizzare più in un verbale di contestazione di reato la parola “extracomunitario” sostituendola con il termine “cittadino straniero”. Il magistrato, che non vuole commentare la sua decisione, deve aver pensato che la formula “extracomunitario” stava cominciando ad avere connotazioni se non palesemente razziste comunque negative tanto che nei verbali di polizia l’aggettivo si applica essenzialmente a persone di colore, preferibilmente nord africani e senegalesi e mai ad americani, canadesi, australiani e via dicendo. Dunque, dietro alla parola “extracomunitario” ci sarebbe, secondo il ragionamento del magistrato, una “antropologizzazione del reato” già predicata nell’Ottocento dal giurista - antropologo Cesare Lombroso che s’era inventato lo ‘stigma della criminalità’, e la determinazione genetica criminogena del “reo nato”. Granero ha probabilmente pensato che l’utilizzo di una parola ormai divenuta negativa non andava bene e così è partita la circolare che chiede alle forze di polizia di non utilizzare più quel termine. E ancora, visto che non esiste più la Comunità Europea ma l’Unione Europea, inutile parlare di extra-communitas. “Ha ragione - ha commentato il professor Luigi Lombardi Satriani, etnologo e antropologo, docente al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Sussistono vecchie teorie riciclate con una patina di modernismo che hanno inquietante sapore razzista. Non esistono etnie, razze che abbiano propensione a delinquere. Il vocabolario non è mai innocente, veicola valori e concetti e il termine extracomunitario rivela una terribile regressione”. Congo: attacco di un commando al carcere, per liberare signore della guerra Agi, 8 settembre 2011 L’attacco al carcere di Lubumbaschi nella Repubblica democratica del Congo, di ieri, è stato pianificato per liberare un vecchio signore della guerra. Lo rendono noto le autorità. Si tratta di Kyungu Mutanga Alias Gedeion, signore della guerra che ha seminato il terrore tra gli anni 2002 e 2005 durante i disordini che hanno colpito la provincia del Katanga, di cui Lubumbaschi ne è il capoluogo. L’azione è stata portata a termine da un commando composto da otto uomini che sono riusciti ad entrare nel carcere con un furgone. Appena entrati hanno aperto il fuoco contro le guardie carcerarie, uccidendone due e ferendone altrettante. Secondo il ministro provinciale dell’Interno, Jean - Marie Dikanga Kazadi, l’operazione è riuscita anche grazie alla complicità di persone che lavoravano dentro il carcere. Nel trambusto generale sono riusciti ad evadere 963 detenuti e, sempre secondo le autorità, altri 163 sono stati ripresi dalla polizia durante la giornata di ieri. Sempre il ministro provinciale, spiega che i rinforzi inviati dallo stato maggiore della polizia sono arrivati un’ora dopo l’evasione. Bahrain: rilasciati 20 medici arrestati durante proteste contro il governo Aki, 8 settembre 2011 Un tribunale speciale del Bahrain ha rimesso in libertà, dietro il pagamento di una cauzione, 20 medici sciiti che erano stati arrestati per il loro ruolo nelle proteste a favore della democrazia. Lo riferisce l’agenzia di stampa statale Bna, ricordando che molti di loro erano in sciopero della fame. Il Tribunale, nominato durante i tre mesi di stato di emergenza proclamati da re Hamad mentre era in corso la protesta guidata dagli sciiti, emetterà il suo verdetto il prossimo 29 settembre. Oltre un centinaio di detenuti sono in sciopero della fame, 17 dei quali sono stati ricoverati dal ministero degli Interni dopo che le loro condizioni di salute sono peggiorate, come ha detto la Commissione d’inchiesta del Bahrain, panel indipendente composto da esperti stranieri e creata da re Hamad per farl luce sulla repressione. Le autorità bahrainite hanno arrestato 24 dottori e 23 infermieri, tra cui molte donne in servizio nell’ospedale Salmaniya a Manama per incitamento alle rivolte contro il regime guidato dalla dinastia sunnita degli al - Khalifa.