Giustizia: i giornalisti presentano la Carta della pena Redattore Sociale, 7 settembre 2011 Il nuovo documento deontologico per tutelare il diritto di cronaca e il diritto di detenuti ed ex - detenuti a ricostruirsi una nuova vita sarà presentato il 10 settembre dagli ordini di Lombardia ed Emilia Romagna. Sì a un’informazione contro i pregiudizi sul carcere. I giornalisti della Lombardia e dell’Emilia Romagna da quest’estate devono osservare un nuovo codice deontologico: la “Carta del carcere e della pena”. L’idea è stata appoggiata dalle associazioni legate al mondo del carcere e dai periodici carcerari “Carte Bollate” (della casa di reclusione di Bollate, Mi) e “Ristretti Orizzonti” (della casa di reclusione di Padova). Due sono i punti decisi della Carta: “Comunicare le misure alternative alla reclusione, come la comunità, non come una forma di libertà ma una modalità di esecuzione della pena - spiega Mario Consani, giornalista del “Giorno” e consigliere dell’Ordine dei giornalisti lombardo - , sottolineando il basso tasso di recidiva per chi le segue”. In secondo luogo, continua Consani, “rispettare il diritto all’oblio dei crimini di una persona affinché non rimanga per tutta la vita inchiodato al suo passato senza considerare il percorso di crescita”. Dalla neonata Carta anche l’obbligo di usare una terminologia appropriata per riferirsi alle varie fasi che accompagnano il reinserimento sociale. Stessa cosa vale quando il giornalista vuole riferirsi a una delle figure in divisa che opera all’interno del carcere, dagli agenti di polizia penitenziaria ai poliziotti. Importante è dare voce all’esperienze positive di ritorno alla libertà. Dal canto suo, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti lavorerà alla formazione dei redattori per affrontare al meglio questi argomenti. Nei piani, anche un Osservatorio sull’informazione relativa al carcere. Si impone la questione di internet. “Compito dei gestori di siti è tenere aggiornati i dati su persone e vicende in modo da non bollare per sempre la vita di una persona”, sottolinea Mario Consani. Il nuovo codice deontologico verrà presentato sabato 10 settembre, alle ore 11, nel Comune di Milano. A introdurre i lavori sarà Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale che ha dato un importante contributo alla stesura della Carta. Ne discuteranno: i presidenti dell’Ordine dei giornalisti di Lombardia e di Emilia Romagna, Letizia Gonzales e Gerardo Bombonato; il provveditore regionale carceri, Luigi Pagano; la direttrice di “Carte Bollate”, Susanna Ripamonti; gli assessori comunali alle Politiche sociali e al Demanio, Pierfrancesco Majorino e Lucia Castellano; il direttore del carcere di Bollate, Massimo Parisi; e il presidente della Commissione consiliare sicurezza e coesione sociale di Milano, Mirko Mazzali. Il moderatore, invece, sarà Mario Consani. Giustizia: istituito dal ministero un tavolo tecnico in materia di depenalizzazione di Anna Costagliola Notizie di Diritto, 7 settembre 2011 Il Ministro della giustizia ha annunciato la costituzione di un tavolo tecnico che dovrà studiare la materia della depenalizzazione, in modo da elaborare proposte per la stesura di una legge delega che lo stesso Guardasigilli vorrebbe far approvare in tempi rapidi quale risposta concreta al sovraffollamento delle carceri. Sei gli esperti chiamati dal Ministro; invitata anche l’Associazione nazionale magistrati a prender parte ai lavori, questa, pur avendo manifestato disponibilità a fornire un contributo ogni qualvolta le venga richiesto, non ha ritenuto di dover partecipare direttamente al tavolo tramite l’indicazione di magistrati. L’idea è quella di una revisione del codice penale che miri a ridurre l’area delle condotte penalmente rilevanti e veda nel carcere solo l’extrema ratio della risposta dello Stato. Un valido punto di partenza cui guardare è costituito da un disegno di legge presentato nel 2002 e tuttavia mai giunto ad approvazione per lo scadere della legislatura. Detto provvedimento, infatti, attraverso una meticolosa opera di ricognizione normativa, sottoponeva a modifiche circa 80 leggi speciali, prevedendo un taglio addirittura di 180 reati mediante la trasformazione delle pene per essi previste in sanzioni di tipo amministrativo. Oggi, anche in considerazione del fenomeno sempre più imponente del sovraffollamento delle carceri, diviene prioritaria l’esigenza di un ripensamento dei reati “minori”, che pure incidono sul lavoro delle Procure. Non si fa riferimento, nel comunicato del Ministero, a tempi precisi per la conclusione dei lavori, anche se, trattandosi di una delega, si presume che non debbano essere molto lunghi. Giustizia: da agosto 12 decessi nelle carceri, 10 i suicidi Redattore Sociale, 7 settembre 2011 Il dossier dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere riepiloga gli ultimi casi che hanno contrassegnato questa estate. notizia di oggi del giovane rumeno che si è tolto la vita ad Agrigento arriva al termine di una lista già lunga di nomi. Continua a salire il numero di detenuti che perdono la vita dentro le carceri italiane. La notizia odierna del giovane rumeno che si è tolto la vita ad Agrigento arriva al termine di una lista già lunga di nomi e di storie. Da inizio agosto sono 12 i decessi registrati dall’Osservatorio permanente delle morti in carcere. Di questi, 10 sono stati suicidi, compiuti da 5 detenuti, 2 persone appena scarcerate, una “testimone di giustizia”, un condannato in attesa di affidamento ai servizi sociali e perfino dalla compagna di un carcerato, disperata per il suo arresto. Prima di Agrigento le cronache hanno raccontato la storia di Giovanni Bisaccia, 42 anni, che la scorsa domenica è stato ritrovato morto, seminudo e scalzo, sulle alture di Voltri. L’uomo era uscito dal carcere di Genova a fine agosto e aveva trascorsi di tossicodipendenza. La dinamica dell’accaduto non è chiara e restano per ora aperte le ipotesi di suicidio o di omicidio. A Macerata invece L.P. 35 anni, all’indomani dell’uscita dal carcere di Camerino si è impiccato nel bagno dell’ospedale dopo aver scoperto di avere una malattia infettiva. Giuseppe Siracusa, 35 anni, si trovava invece nel carcere di Caltanissetta da poco più di un mese con l’accusa di associazione a delinquere: è stato stroncato da una meningo-encefalite. I familiari hanno presentato un esposto ai carabinieri denunciando presunti ritardi nelle cure. A fine agosto si è tolta la vita Maria Concetta Cacciola, 31 anni, testimone di giustizia, che ha bevuto acido muriatico. Figlia del cognato del boss Gregorio Bellocco di Rosarno, era stata trasferita in una località protetta, ma il 10 agosto era tornata nel suo paese. Soltanto quattro giorni prima nel carcere milanese di Opera si è impiccato Serghiei Dragan, 32 anni, moldavo, con due tentativi di suicidio alle spalle. Sui generis invece è la storia di una ragazza ritrovata morta a Bari il 14 agosto, lasciatasi annegare in seguito all’arresto del fidanzato. In un biglietto d’addio il messaggio: “Senza di te non ce la faccio ad andare avanti”. A Roma invece l’11 agosto Fabrizio, 30 anni, si è tolto la vita dopo aver patteggiato una condanna per “traffico di marijuana”: era da mesi in attesa di essere ammesso all’affidamento ai servizi sociali. Ioan Tomoroga, 28 anni, romeno, si è impiccato nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Pontremoli (Massa Carrara). Con un suicidio si è conclusa anche la storia di Francesco Beniamino Cino, 66 anni, e quella di F.P., 36 anni, originario di Rieti, trovato senza vita nel bagno della sua cella nel penitenziario di Capanne, a Perugia, per aver inalato del gas. Giustizia: Apprendi (Pd); ancora morti in carcere, il ministero intervenga Italpress, 7 settembre 2011 “Appena ieri avevo lanciato l’ennesimo grido di allarme, anche alla luce del caso di meningite nel carcere di Caltanissetta. Bisogna fare in fretta per evitare altre morti nelle carceri siciliane e puntualmente questa mattina ci è giunta la notizia del suicidio di un giovane rumeno di 35anni nel carcere di Agrigento. Tutto ciò avviene nella totale indifferenza di un ministero della giustizia che è pressoché assente rispetto al crescere della crisi che si registra nelle carceri dell’Isola”. Lo dice il parlamentare del Pd Pino Apprendi, rivolgendosi anche al presidente Napolitano, domani in visita a Palermo: “Il sistema carcerario va riformato - aggiunge Apprendi - , ciò che sta accadendo ogni giorno è di una gravità inaudita. Le carceri scoppiano per il sovraffollamento che è causa di mancanza di igiene e di nervosismo fra gli stessi detenuti. Il personale è insufficiente, mancano psicologi, educatori, assistenti sociali e agenti costretti a turni massacranti e in solitudine”. Giustizia: l’Osapp scrive al Governo; far intervenire la Protezione civile nelle carceri Agi, 7 settembre 2011 Fare intervenire la protezione civile all’interno degli istituti di pena. Un provvedimento estremo richiesto dall’Osapp per dare risposta immediata allo stato di crisi vissuto da operatori e detenuti all’interno delle carceri italiane. L’Organizzazione sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria ha scritto al presidente del consiglio Silvio Berlusconi, al ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, e al sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, per chiedere una valutazione dei rischi e dei gravi eventi critici (suicidi, risse e aggressioni) che, soprattutto da 6 mesi a questa parte, si stanno verificando negli oltre 200 istituti penitenziari sul territorio nazionale. “I poteri straordinari per l’edilizia penitenziaria conferiti al capo dell’amministrazione penitenziaria, quale commissario delegato - si legge nella missiva a firma del segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci - seppure ragguardevoli e di notevole utilità, non possono garantire da soli la salvaguardia dell’incolumità fisica, del lavoro e persino della mera dignità umana di chi opera e di chi vive all’interno degli istituti penitenziari, tenuto conto che è in piena ripresa il trend di crescita della popolazione detenuta (67.038 presenti per 45.647 posti) mentre stanno diminuendo in maniera preoccupante gli operatori penitenziari presenti, in particolare di polizia penitenziaria”. Secondo l’Osapp, quindi, “occorre valutare l’opportunità di un intervento della protezione civile in ambito penitenziario e a supporto del personale e degli assetti organizzativi già esistenti e in questo momento in grave affanno. Ferma restando l’esigenza irrinunciabile delle riforme del sistema penitenziario, delle pene e della stessa polizia penitenziaria - conclude Beneduci - in questo momento, l’intervento della protezione civile all’interno degli istituti di pena potrebbe contribuire a ridurre i livelli di rischio per gli operatori e per l’utenza penitenziaria, restituendo sicurezza ai cittadini e nuova funzionalità al sistema penitenziario per quanto riguarda il produttivo reinserimento sociale dei detenuti”. Giustizia: iniziative e proposte dal comitato “Stop Opg” La Gazzetta di Mantova, 7 settembre 2011 Il degrado delle condizioni di vita delle persone internate fa pensare ai vecchi manicomi. La situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari viene sollevato dal neo comitato “Stop Opg”. Ne fanno parte Forum Salute Mentale, Arci e Cgil che, rilanciando la campagna di denuncia, propone la chiusura degli Opg. Un obiettivo non velocemente raggiungibile: serve una riforma del codice penale. Nel frattempo potrebbero essere messe in campo soluzioni per alleviare il forte stato di disagio. Il comitato chiede al presidente della Provincia Alessandro Pastacci e al presidente del consiglio provinciale Simone Pistoni di istituire la figura del Garante per la tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute e internate, che opererà anche per il loro reinserimento sociale. “Dagli Ospedali psichiatrico giudiziari dovrebbero essere dimesse trecento persone; invece continuano a rimanere dove sono perché a casa non li rivuole nessuno - obietta il portavoce del comitato Luigi Benevelli, psichiatra - la proposta di chiusura farà discutere, ma sono diventati dei manicomi : serve un progetto di cura vicino alle residenze di queste persone”. Tra le iniziative pubbliche martedì 13 a Villa Brescianelli a Castiglione delle Stiviere si discuterà del superamento degli Opg. Mercoledì 14, alla libreria Nautilus, si parlerà del libro “Il folle reato”, affrontando le metodologie della perizia psichiatrica. All’Opg di Castiglione sono presenti 285 detenuti: erano meno di 200 fino a poco tempo fa. Le camere da due posti sono occupate da sei persone e spesso nei corridoi stazionano letti e armadietti. Giustizia: due Circolari Dap su auto blu; a dirigenti generali vetture non superiori a 1.600 cc Ansa, 7 settembre 2011 Con due circolari, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, è intervenuto per mettere ordine nella vicenda del parco auto in dotazione al Dap su cui il Guardasigilli Francesco Nitto Palma aveva chiesto informazioni. Il ministro si era mosso dopo che sulla stampa era apparsa la notizia secondo cui, nonostante i recenti tagli alle auto blu in tutte le amministrazioni, il parco auto del Dap risulterebbe costituito da 17 vetture per 8 dirigenti. Palma aveva chiesto a Ionta di verificare se l’utilizzo delle vetture fosse “in linea con la recente normativa dettata in materia”. Con una circolare del due settembre, a decorrenza immediata ed emessa il giorno stesso in cui il Guardasigilli ha sollecitato chiarimenti, il capo del Dap ha disposto che, come previsto dalla manovra di luglio, le auto blu in dotazione ai dirigenti generali del Dap non siano di cilindrata superiore ai 1.600 cc. Per quanto riguarda invece i dirigenti generali o di seconda fascia e i magistrati del Dap ai quali è stata assegnata una tutela del livello L4 (il più basso, che prevede macchina non blindata con autista), Ionta ha previsto l’assegnazione di una vettura di cilindrata non inferiore ai 2.000 cc. Le auto più potenti di 1.600, anche quelle targate polizia penitenziaria, rimarranno in garage: si ritiene opportuno - scrive Ionta in una seconda circolare datata 5 settembre - procedere al fermo temporaneo dei mezzi nelle more di una valutazione della loro cessione all’Usvep (l’ufficio sicurezza e vigilanza del ministero della Giustizia, ndr), o al Gom (il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, ndr) per l’espletamento dei compiti istituzionali del Corpo e fatta salva l’auspicabile sostituzione con veicoli di cilindrata fino a 1.600 cc. Ionta conclude la circolare preannunciando “ulteriori direttive in merito ai limiti di utilizzo delle autovetture di servizio”, non appena sarà pubblicato il Gazzetta ufficiale il Decreto della presidenza del Consiglio sul taglio delle auto blu del 3 agosto scorso. Giustizia: Osapp; su auto blu bene il ministro Palma, ma occhio alle facili speculazioni Agi, 7 settembre 2011 “Riguardo alla vicenda delle cc.dd. auto blu presso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, come da articoli apparsi su il Fatto Quotidiano lo scorso 1° settembre, bene ha fatto il Ministro Palma a pretendere immediate e puntuali disposizioni dal capo dell’amministrazione Franco Ionta il successivo 2 settembre, anche nell’osservanza delle direttive del Ministro Brunetta di cui al Dpcm 3 agosto 2011, ma a volte la cura può essere peggiore della malattia”. Tale è il commento di Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) rispetto alle polemiche di questi giorni sull’utilizzo nell’amministrazione penitenziaria, per servizi di accompagnamento, di automezzi di 3.000 e più CC di cilindrata. Secondo l’Osapp, infatti: “rispetto agli sprechi di cui molto spesso le pubbliche amministrazioni, quella penitenziaria compresa, si macchiano, dovrebbero in primo luogo evitarsi le facili speculazioni e si dovrebbe badare ai fatti concreti, visto che, ad esempio, l’imporre in ambito penitenziario periferico e centrale l’utilizzo di automezzi con una cilindrata non superiore ai 1.600 che, di fatto, non ci sono se non in minima quantità, può anche significare doverli acquistare ex novo senza attendere che gli attuali automezzi, spesso neanche acquistati ma acquisiti in comodato d’suo, vadano in fuori uso”. “Come sindacato - prosegue il leader dell’Osapp - ci scandalizzano davvero e molto di più della storia delle macchine gli 8 milioni di euro di debito dell’amministrazione penitenziaria nei confronti dei poliziotti penitenziari per servizi di missione svolti e non pagati, oppure la mancata assunzione delle 1.611 unità di polizia penitenziaria, indispensabili per la realizzazione del c.d. piano - carceri promesse per almeno due anni dall’ex Ministro della Giustizia Angelino Alfano e per le quali i relativi stanziamenti di bilancio sarebbero inspiegabilmente spariti”. “D’altra parte - conclude Beneduci - non a caso parliamo di facili speculazioni visto che come Osapp il 25 novembre u.s. denunciammo con lettera al allora Ministro Alfano e al tuttora attuale Capo di Gabinetto Settembrino Nebbioso, che 8 Bmw serie 523i (dal costo di 50mila euro ciascuna) nuove risultavano abbandonate alle intemperie con i pneumatici irrimediabilmente danneggiati e del tutto inutilizzate da più di un anno nelle adiacenze della palazzina in uso all’Ispettorato Magistrati del Ministero della Giustizia, ma nessuno ci ha mai risposto”. Giustizia: fino a 6 anni di carcere per chi emette fatture false Italia Oggi, 7 settembre 2011 Pugno di ferro sulle false fatturazioni: chiunque, a fini di evasione fiscale, emette o utilizza fatture per operazioni inesistenti rischierà fino a sei anni di carcere, quale che sia l’importo. La revisione della manovra - bis, tra le varie modifiche al sistema penale - tributario, scrive Italia Oggi, prevede infatti la soppressione della fattispecie delittuosa “minore” nel caso in cui il danno erariale sia contenuto. Ai sensi dell’art. 2 del dlgs n. 74/2000, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso quando le fatture o i documenti per operazioni inesistenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Giustizia: evasione fiscale, il ricorso alle manette è ingiusto e inefficace di Bruno Assumma Il Sole 24 Ore, 7 settembre 2011 La manovra di Ferragosto potrebbe puntare sullo strumento della sanzione penale per disincentivare l’evasione. La commissione Bilancio del Senato ha approvato una serie di disposizioni che incidono sul decreto legislativo 74/2000: qualora il maxi - emendamento che va oggi all’esame dell’aula non le modificasse l’intervento sarebbe molto significativo. Il ricorso a disincentivi penali per risolvere o, comunque, limitare l’evasione delle imposte difficilmente potrà dare i risultati sperati. Sia chiaro non si intende plaudire all’evasione. Si dubita dell’efficacia dello strumento prescelto, in cui spesso il legislatore mostra di riporre le speranza di controllo del fenomeno e di una possibile moralizzazione. L’esperienza applicativa di norme penali in materia tributaria (legge 516/1982) e in quella valutaria, in vigore negli anni Settanta e Ottanta, dimostrano in modo eloquente che la norma penale ben difficilmente riesce ad arginare fenomeni “finanziari”. Nella vigenza della legge 516/1982, più conosciuta come “manette agli evasori”, ebbi occasione di incontrare, a Washington, presso il Dipartimento della Giustizia, i responsabili del diritto penale dell’economia per confrontare il nostro sistema normativo con quello statunitense e analizzare le ricadute applicative delle scelte legislative. Un dato emerse immediato: in Italia ogni anno si celebravano da 1,2 a 1,5 milioni di processi all’anno per reati tributari (pari a circa il 30% del carico giudiziario penale), contro i circa tremila processi celebrati in tutti gli Usa. Grande fu la meraviglia del mio interlocutore americano, che sottolineò la sostanziale inefficacia, anzi dannosità, dell’elefantiasi giudiziaria verificatasi in quegli anni nel nostro Paese. E invero l’abrogata disciplina penal - tributaria determinò un intasamento degli uffici giudiziari, distogliendo molte risorse dalla trattazione di altri processi. Ma ciò che più conta la norma incriminatrice non determinò lo sperato incremento di gettito tributario. Furono queste le ragioni che indussero il Governo di allora a cambiare rotta, introducendo la disciplina ora vigente. E invero la norma penale, per sua natura, mal si presta al contrasto dell’evasione, che è fenomeno endemico. Chi evade non lo fa una volta sola. La fattispecie penale, invece, persegue fatti episodici e non un modus operandi. E ancora: l’efficacia dissuasiva è fortemente attenuata dai tempi della nostra giustizia, che non è in grado di assicurare l’irrogazione della pena in un lasso di tempo ragionevole. La condanna a pena detentiva, pronunciata a distanza di sette - dieci anni dal fatto illecito, perde ogni significato e, spesso, incide su situazioni personali e aziendali a volte molto diverse da quelle in cui è maturato l’illecito. La scelta di escludere la sospensione condizionale della pena - qualora non venga modificata - lascia molto perplessi dal punto di vista sistematico e da quello applicativo. Questo istituto, infatti, ha lo scopo di evitare al delinquente primario il deleterio contatto con l’ambiente carcerario, per effetto di un favorevole giudizio prognostico sulla non recidiva futura del condannato, che il giudice formula al momento della sentenza di condanna. La proposta in esame esclude la possibilità, nel caso espressamente previsto, che il giudice formuli tale prognosi, sovvertendo la finalità di favore propria della condizionale, che non si presta a essere utilizzata per finalità punitive. In altre parole il giudice non potrà considerare le cause dell’evasione (erronea interpretazione della norma tributaria, crisi dell’impresa, utilizzazione delle scarse risorse economiche per pagare dipendenti e fornitori anziché il fisco). Ciò rischia d’introdurre vistose disparità di trattamento tra cittadini in relazione sia al principio di eguaglianza che alla finalità rieducativa della pena. Peraltro la proposta mal si concilia con le particolarità del nostro ordinamento, che prevede l’autonomia del giudizio penale e di quello tributario, con la concreta possibilità di un conflitto di giudicati. Ben può capitare, perciò, che il giudice penale pronunci sentenza di condanna la cui esecuzione non può sospendere anche nel caso in cui, in sede tributaria, sia accertata l’inesistenza del debito tributario o che l’entità delle imposte evase è inferiore a tre milioni. Lettere: nell’amministrazione penitenziaria lusso per pochi e degrado per tanti di Enrico Sbrigia (Segretario nazionale Si.Di.Pe.) Il Piccolo, 7 settembre 2011 Questa non è la mia amministrazione, non può esserlo. Mi hanno insegnato a rispettare le persone, mi hanno detto che dovevo rappresentare lo Stato e la legalità dentro le carceri, nei confronti di tutti, nessuno escluso. Lavoro, ma in realtà vivo, all’interno di un carcere che ogni giorno degrada sempre di più: il personale mostra scontento e inquietudine, al punto che diversi operatori, perché pressati da un lavoro difficile e che mette a nudo le proprie fragilità e insicurezze, non adeguatamente supportati sul piano psicologico e motivazionale, economicamente maltrattati, rischiano di lasciarsi andare a reciproche intemperanze, a far prevalere le ragioni delle gerarchie a quelle della dialettica e dell’unicità di missione istituzionale che sintetizzo in sicurezza e recupero delle persone detenute. Pareti sempre più scrostate, finestre e porte pietosamente riempite di cartoni dove una volta c’erano vetri, distrutti dalla rabbia e dalle paure di detenute e detenuti soli con se stessi, con le loro malattie, con i loro reati, neon esauriti che si spengono e si riaccendono, segni di sporcizia che ricordano il passaggio continuo di persone sulle scale e attraverso i corridoi deserti di agenti ma gremiti di detenuti, il caldo che ti affoga e che soprattutto nelle ore notturne diventa gelatinoso e che ricopre i profili dei prigionieri e dei loro sorveglianti ma che soprattutto per i primi diventa una sorta di prigione nella prigione, non potendo disporre di quelle pre-condizioni che fanno la differenza tra un carcere civile ed un serraglio: ambienti sufficientemente ampi e puliti, ricambio dell’aria, bagni attrezzati come in una modesta ma onesta pensione, un minimo d’intimità invece che di mille occhi che ti vedono seppure non ti guardano, come può accadere in una cella che pensata per due persone ne ospita il doppio o il triplo… Non è la mia amministrazione, non è il mio Paese, non è … Questi pensieri si affollano, si ribaltano, si urtano e mi vengono spontanei mentre leggo su un quotidiano quello che come sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari (Sidipe) abbiamo denunciato già in passato e urlato nel corso della prima protesta pubblica, nella storia dei direttori penitenziari, alla Funzione Pubblica il 6 luglio scorso a Roma. Mentre nelle carceri manca di tutto e si umiliano insieme detenuti e operatori penitenziari, esiste una casta di super dirigenti, che poco o nulla conoscono delle carceri, che viaggiano in Jaguar, Bmw, Audi di lusso, Suv o cos’altro, per asseriti motivi di sicurezza ma certamente per comodità, e che sembrano irridere ai tanti i quali, ancora credendo nello Stato, servono la collettività e non si servono del potere. Siamo felici di sapere che qualcun altro voglia finalmente scoprire il paradosso penitenziario, lusso per pochi e miseria per tanti, non lasciandoci soli in questa battaglia di rispetto per i cittadini e per un carcere che abbia un senso. È davvero arrivato il momento di portare al centro dell’attenzione della buona politica i temi della giustizia e delle carceri, per questo ringrazio Pannella e quanti, con lui, da tutti i fronti si stanno impegnando al riguardo. Campania: verso una legge regionale per migliorare le condizioni di vita nelle carceri La Città di Salerno, 7 settembre 2011 Migliorare le condizioni di vita nelle carceri, promuovere percorsi formativi, garantire il mantenimento del rapporto affettivo tra genitori detenuti e figli: questi i principali scopi della proposta di legge presentata in consiglio regionale, ad inizio agosto, da Donato Pica, presidente della Commissione speciale per la prevenzione del fenomeno del mobbing sui luoghi di lavoro e di ogni forma di discriminazione sociale, etnica e culturale. Il consigliere regionale del Pd, ieri mattina, presso l’associazione “Trecentosessanta” di Salerno, ha illustrato la sua proposta. All’incontro con la stampa ha preso parte anche la sua collega di partito Anna Petrone, altrettanto sensibile al problema delle condizioni di vita nelle carceri. “La condizione di vita degli oltre cinquemila reclusi nei 18 istituti di pena campani è una realtà poco nota all’opinione pubblica - ha esordito Pica. Il sovraffollamento, pari a duemila unità, l’inadeguatezza delle strutture, la carenza di personale, e l’emergenza sanitaria per l’altissimo numero di detenuti tossicodipendenti, rendono drammatico il panorama delle carceri”. Servizi di prima accoglienza, micro - asili nido negli istituti penitenziari femminili, il “Fondo di prima necessità” per i detenuti indigenti ed un altro per concedere micro crediti ai giovani ex - detenuti: queste le proposte avanzate da Pica. Veneto: giro di vite sugli sgravi alle cooperative che assumono detenuti Redattore Sociale, 7 settembre 2011 La contrazione del credito della legge Smuraglia è “una condanna a morte”. Da ottobre “o si chiude o si inizia a licenziare” La provocazione delle cooperative “Il cerchio” e “Altracittà”: “Diteci da chi iniziare a tagliare”. Inizia nel peggiore dei modi il mese di settembre per le cooperative che danno lavoro ai detenuti in carcere e all’esterno in articolo 21. Con una lettera a firma del provveditore regionale del Dap, Felice Bocchino, si impone da oggi un giro di vite sugli sgravi fiscali previsti dalla legge Smuraglia (n. 100/2000). Una novità che per le cooperative interessate “suona come una condanna a morte”, come spiegano Gianni Trevisan e Rossella Favero, presidenti rispettivamente di “Il cerchio di Venezia e “Altracittà” di Padova. In questa situazione, dunque, l’unica chance per sopravvivere è iniziare a licenziare. Per fare chiarezza sul problema e sulla natura degli sgravi, i due presidenti sottolineano che “non si tratta di soldi erogati alle cooperative dallo stato, ma della possibilità per chi dà lavoro di non versarli e di usarli per compensazioni nei mensili versamenti fiscali e previdenziali”. In dettaglio la missiva, arrivata lo scorso lunedì, riferisce che ogni cooperativa “potrà richiedere per il periodo agosto - dicembre per sgravi fiscali un importo complessivo non superiore a “una cifra personalizzata per ogni realtà. Il motivo è per “non superare il budget annuo assegnato dal Dap” al provveditorato regionale. La reazione delle cooperative che oggi denunciano l’accaduto è di sconcerto e paura. Perché, nel concreto, le disposizioni implicano che “con il credito previsto si va avanti fino a circa ottobre - mettono in chiaro Trevisan e Favero. Quindi, o si comincia a licenziare subito scegliendo quali lavoratori detenuti tagliare o a ottobre si chiude”. Mentre tutto sta per cambiare resta un nervo scoperto per una comunicazione tardiva e una misura non annunciata: “La possibilità di contrazione del credito era stata smentita lo scorso gennaio, quando qualcosa di simile era accaduto nel Lazio” riferiscono i due presidenti, che provocatoriamente chiedono: “Da chi dobbiamo cominciare con i licenziamenti? Dai detenuti che lavorano fuori o da quelli che lavorano dentro?”. E inoltrano una precisazione al Dap: tutto questo “non procurerà maggiori entrate perché noi saremo costretti a chiudere o a ridurre il lavoro, perché soldi per versare il corrispondente dello sgravio non ne abbiamo, neppure se proviamo a dissanguarci”. Intanto l’intenzione è di rivolgersi al presidente della Repubblica Napolitano. Quanto al ministero della Giustizia, l’accusa è di voler, “in questo momento drammatico, spingere il mondo del carcere ancora più all’inferno, riducendo il lavoro, già insufficiente, e affossando le cooperative sociali”. Lazio: Cisl; nelle carceri oltre al sovraffollamento c’è l’emergenza acqua Ansa, 7 settembre 2011 Roma - “Sovraffollamento, mancanza di agenti di polizia penitenziaria, carenza di risorse finanziarie in tutti gli istituti penitenziari laziali ed ora, anche l’emergenza causata dall’acqua ad elevato contenuto di arsenico nel carcere Mammagialla di Viterbo, dove da mesi manca un direttore titolare”. Lo afferma, in una nota, Mario Costantino, coordinatore regionale Fns Cisl. “Una situazione, quest’ultima - aggiunge il sindacalista - che ha costretto il Comune ad installare distributori pubblici di acqua depurata dove si affollano gruppi di cittadini. Sembra senza fine la situazione di emergenza che colpisce gli istituti laziali”. Infatti, “dall’inizio del 2011 - precisa la nota - i detenuti nel Lazio sono cresciuti di 162 unità, passando dai 6.377 di gennaio ai 6.539 attuali a nulla è servito l’adozione di misure, come il decreto svuota carceri, che avrebbero dovuto favorire il calo delle presenze. Nelle ultime settimane - continua Costantino - nelle carceri della regione, si sono verificate situazioni paradossali: celle per 5 detenuti che ne contengono 11, locali destinati allo svago e alla ricreazione trasformati in celle, un solo agente di polizia penitenziaria che gestisce reparti con centinaia di persone. Una situazione drammatica - prosegue l’allarme del sindacalista - di cui, davvero, non si riesce a vedere la fine”. Il coordinatore regionale Fns Cisl sottolinea che i casi più “problematici di sovraffollamento si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece quasi il doppio), a Viterbo (quasi 300 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare), Frosinone (200 reclusi in più), Rebibbia N.C. (oltre 500 in più) e Regina Coeli. A Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece quasi cento in più”. Per Costantino “oltre al sovraffollamento e ai tagli di budget, il problema più grave riguarda la mancanza di personale di polizia penitenziaria. Nel nuovo carcere di Rieti, per la carenza di personale, sono stati attivati solo una parte dei 306 posti disponibili (circa 120) e che risultano già sovraffollati. A Velletri, sempre per lo stesso problema resta chiuso il nuovo padiglione di recente con oltre 200 nuovi posti. La drammatica situazione che si vive negli istituti penitenziari è sotto gli occhi di tutti. Una situazione insostenibile - ribadisce - che necessariamente deve essere affrontata solo al livello politico. Cosa che, per altro, non sembra sia fra le priorità del Parlamento”. Nel Lazio “mancano circa 810 agenti di polizia penitenziaria, di cui 200 unità a Viterbo, 90 a Regina Coeli e 250 a Rebibbia N.C.. Basta poco, infatti, occorre solo anticipare l’iter necessario all’assunzione di circa 1.611 unità di personale di Polizia penitenziaria prevista per il 2012 altrimenti - conclude Costantino - la situazione corre davvero il rischio di precipitare”. Agrigento: detenuto romeno di 27 anni s’impicca in cella, protesta dei connazionali Ansa, 7 settembre 2011 Un romeno di 27 anni, Narces Adrian Manole, si è tolto la vita in una cella del carcere di contrada Petrusa, impiccandosi con un lenzuolo. A scoprire l’accaduto la scorsa notte è stato un agente di custodia, avvertito da altri detenuti. La salma è stata trasferita all’obitorio dell’ospedale “San Giovanni di Dio”, per essere sottoposta questa mattina a ispezione cadaverica. Momenti di tensione si sono vissuti all’arrivo all’obitorio dei familiari e amici del romeno. Un folto gruppo di connazionali del giovane ha protestato vivacemente e inveito contro le forze dell’ordine e il regime carcerario. A controllare la situazione alcune pattuglie dei carabinieri e della sezione Volanti. Il romeno era stato arrestato una settimana fa dai carabinieri di Canicattì con le accuse di resistenza, violenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale. Avrebbe tentato di colpire un muratore e poi si è scagliato contro i militari ferendoli. Sarebbe dovuto comparire in Tribunale per il processo l’8 ottobre prossimo. Uil-Pa: 45esimo suicidio in cella verificatosi dal primo gennaio 2011 ad oggi A renderlo noto è il segretario generale della Uil-Pa penitenziari, Eugenio Sarno. “Ad Agrigento da tempo denunciamo condizioni di grave sovraffollamento e di carenze logistiche - aggiunge - Alle otto di questa mattina, infatti, nell’istituto agrigentino risultano detenute 482 persone a fronte di una ricettività massima pari a 248. Da segnalare, inoltre, come la Direzione del carcere non possa più garantire ai detenuti nuovi giunti nemmeno la fornitura di primo ingresso (lenzuola, stoviglie, ecc.) avendo esaurito i fondi”. “Evidentemente il Presidente Napolitano aveva ben ragione - sottolinea il segretario generale della Uil pa Penitenziari - a richiamare la prepotente urgenza di ridare costituzionalità e civiltà al nostro sistema penitenziario. Perché ciò sia possibile - continua Sarno - occorre che tutte le componenti politiche e sociali si impegnino sinergicamente per ricercare e individuare soluzioni possibili e condivise”. “Ancora una volta - aggiunge il sindacalista - sollecitiamo il parlamento ad una discussione sull’emergenza penitenziaria valutando le indicazioni e le proposte che pur giungono dall’interno dello stesso parlamento e dagli operatori penitenziari”. La Uil pa Penitenziari “si affida alla sensibilità e alla competenza del ministro Palma perché voglia calendarizzare un incontro con le organizzazioni sindacali per discutere e confrontarsi su un problema, quello penitenziario, che è sempre più una questione sociale, umanitaria, sanitaria e di ordine pubblico”. L’on. Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, su suicidio al Petrusa “Questa volta si è tolto la vita un ragazzo rumeno di 27 anni. Il Sig. Manole, di recente scarcerato, è stato nuovamente arrestato e assegnato al carcere di Agrigento. La scorsa notte si è impiccato nella sua cella e, benché prontamente soccorso, non c’è stato nulla da fare. Ho già inoltrato, ha proseguito il Sen. Fleres, una lettera al direttore del carcere per acquisire informazioni ma ritengo che Governo e Parlamento debbano affrontare il problema del “pianeta carcere” nella sua interezza. Non sono più sufficienti interventi singoli, utili per risolvere un’emergenza. È necessario prevedere diverse misure che incidano sui molteplici aspetti del problema. Ed in tal seno ho già inoltrato una nota al Ministro della Giustizia. Inoltre, ha proseguito il Sen. Fleres, ho già condiviso l’iniziativa proposta da alcuni colleghi, insieme alle Associazioni Antigone, Ristretti Orizzonti, A Buon Diritto, Comunità di Sant’Egidio e Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia, relativa alla convocazione di una seduta straordinaria del Senato sul tema delle carceri, che oggi con forza ribadisco”. Gela (Ct): 6 milioni e mezzo di € già spesi per un carcere che da 25 anni aspetta di essere riempito di Laura Anello La Stampa, 7 settembre 2011 Le luci si accendono puntuali, alle prime luci della sera. E si spengono ogni mattina, al sorgere del sole. I dieci agenti penitenziari in servizio al carcere di Gela non sgarrano mai con l’interruttore, come i diplomatici vaticani impegnati a dimostrare - nell’Habemus papam di Moretti - che gli appartamenti del pontefice sono abitati. Ma qui c’è poco da raccontare. Lo sanno tutti, nella città del petrolchimico e dell’abusivismo, che il penitenziario è vuoto da sempre. Che non c’è un solo detenuto nelle 48 celle pulite, arredate e con bagno privato. Che ad abitarci sono soltanto loro, i guardiani della luce. “Anche questa volta non se ne farà niente”, sussurrò la gente del posto ai cronisti arrivati lì il 26 novembre del 2007 per la visita dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, venuto a ritirare solennemente le chiavi del carcere durante la cerimonia ufficiale che sanciva il passaggio dal demanio comunale a quello dello Stato. Mancavano solo la banda e i tamburinai, quella volta. Anche se a fare notizia furono più gli strali del Guardasigilli contro la fiction su Riina e la protesta dei magistrati di Gela (su cinque sostituti ne mancavano quattro) che la fine dell’incantesimo sull’eterna incompiuta. Forse perché non ci credeva nessuno che l’edificio progettato negli Anni Cinquanta, approvato nel 1978 e iniziato nel 1982, avrebbe davvero visto la luce dopo un quarto di secolo dalla posa della prima pietra. E dopo appalti su appalti, stop ai lavori, adeguamenti. O forse perché qualcuno sapeva che in quel carcere mancavano ancora la cucina, la lavanderia, il potenziamento dell’allaccio idrico e che quindi - arrotolati i tappeti rossi, andato via il ministro - non sarebbe cambiato nulla. Di sicuro la kermesse fu archiviata nel capitolo delle inaugurazioni alla siciliana: spettacoli, messe in scena, “annacamenti”, cioè ancheggiamenti tanto vanitosi quanto fini a se stessi. Così, niente di cui stupirsi se di inaugurazioni da allora ce ne sono state altre due, o meglio una e mezzo: la prima, in tono minore, pochi mesi dopo dell’arrivo di Mastella, con l’effettiva presa in carico della struttura da parte dell’amministrazione penitenziaria. La mezza, con l’annuncio dell’apertura per il 1 ° luglio 2010 da parte del provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Orazio Faramo, e del successivo “breve slittamento” comunicato dal sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, per gli ultimi ritocchi agli impianti di sicurezza. Mezza, perché si capì ben presto che era una finzione scenica. Ma dopo 25 anni e sei milioni e mezzo di euro spesi, oggi il carcere è ancora vuoto, mentre il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il sindaco si rinfacciano le responsabilità della mancata apertura. “Il problema è un insufficiente approvvigionamento idrico”, sostengono i primi, fermi a una vecchia puntata della telenovela. “Macché, è tutto a posto da tempo - replica il primo cittadino, Angelo Fasulo a, mancare è soltanto il personale”. Già, ottanta agenti penitenziari contro i dieci che oggi sorvegliano il nulla. Un caso non unico, secondo Radio radicale, che di recente ha contato duemila posti costruiti o ristrutturati in tutta Italia con il “Piano carceri” e rimasti inutilizzati: il nuovo padiglione a Cuneo, che potrebbe contenere 400 detenuti, vuoto. Quello nel carcere di Velletri per 200 reclusi, vuoto. Il nuovo carcere di Rieti, semivuoto. L’ala appena realizzata a Nuoro, vuota. E così quella ad Avellino, con 230 posti, vuota. E ancora, in Sicilia, i reparti di Enna e di Barcellona Pozzo di Gotto. Infine, appunto, la storica incompiuta di Gela. Alla faccia dei 67 mila detenuti che scoppiano nelle carceri in Italia. Qui, la storia di quest’edificio è un amarcord: quando fu concepito, Gela era salubre e con una spiaggia d’oro da fare invidia ai Caraibi. Quando venne approvato, nel 1978, la memoria dell’austerity era ancora vicina e il petrolio siciliano sembrava la pepita dei cercatori d’oro. All’avvio della costruzione, il sogno era già svanito e al suo posto c’era l’aria ammorbata dai fumi e una cittadina cresciuta senza regole. Roba da trasformare il carcere in un museo della memoria. Como: Cisl-Fns; troppi detenuti, il carcere Bassone corre il rischio di scoppiare Il Giorno, 7 settembre 2011 Troppo affollato e in condizioni igieniche a dir poco precarie adesso per il Bassone si teme anche il pericolo di danno ambientale, dovuto alle cisterne di gasolio della centrale termica del carcere che, obsolete, minacciano di sversare il loro contenuto nella falda. A denunciare la situazione la delegazione della Cisl - Fns che da tempo ha sollevato il velo sulla vita del carcere di Como dove a fronte di una capienza di 421 detenuti sono ospitate oltre 550 persone (ma in alcuni mesi dell’anno gli ospiti sono stati più di 600, alcuni dei quali erano costretti a dormire senza materassi). “La sovrappopolazione porta alla promiscuità e al degrado, esistono seri rischi per la salute dei detenuti e degli stessi agenti di polizia penitenziaria, oltre al rischio di diffusione di malattie infettive - spiega Massimo Corti, segretario della Federazione Nazionale Sicurezza di Como - Nelle celle manca l’acqua calda, i servizi igienici sono inadeguati e le docce comuni sono insufficienti per garantire a tutti i detenuti l’utilizzo quotidiano, con in più problemi di umidità e chiazze di muffa che minano molti locali della struttura”. Da tempo si è constatato un evidente abbassamento delle cisterne di stoccaggio del gasolio della centrale termica dell’istituto. “Una delle caldaie per la produzione di acqua calda è gravemente danneggiata e questo rende inutilizzabili gli impianti”. A provocare diversi danni anche la decisione di affidare lavori di manutenzione dell’impianto agli stessi detenuti. “Su richiesta della direttrice i detenuti hanno smontato termosifoni in corridoi e altri per poi istallarli presso uffici, aule scolastiche e locale mensa, il risultato è che in molti raggi fa freddo”. La direttrice trasferita a Mantova Cambio della guardia nel carcere comasco del Bassone. La direttrice della casa circondariale alle porte del capoluogo, Maria Grazia Bregoli, è stata trasferita e andrà a dirigere l’analoga struttura di Mantova, dopo oltre due anni di servizio prestato sul Lario. Non si sa chi la sostituirà: si è ancora in attesa della nomina del prossimo direttore della struttura. Attualmente il carcere comasco del Bassone ospita oltre 540 detenuti ed è quindi al limite della capienza tollerabile, stimata in 580 unità. Per contro, l’organico della polizia penitenziaria è in debito d’ossigeno: secondo i dati forniti dalla Federazione Sicurezza del sindacato Cisl, servirebbero 308 agenti in servizio a pieno regime e ora ne mancano circa 80, con conseguenti difficoltà nella gestione ordinaria sul fronte della sicurezza e delle ore di lavoro straordinario. Tra i problemi della struttura comasca c’è anche l’impianto di riscaldamento, che chiede interventi soprattutto alle cisterne del gasolio. Andrebbero sostituite - è la denuncia del sindacato - pena il rischio di gravi danni, anche di tipo ambientale. Brindisi: detenuto gravemente malato, dopo dieci mesi e tre ricorsi l’odissea ora è finita Senza Colonne, 7 settembre 2011 Non una, ma tre violazioni ai principi riconosciuti nella Costituzione, di fronte all’applicazione della custodia in carcere in via assoluta per chi è accusato di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga: la difesa di Eddy Ostuni ha richiamato la recentissima sentenza della Corte e ha ottenuto il trasferimento ai domiciliari, mettendo fine all’odissea del brindisino durata dieci mesi. Nove in carcere e 36 giorni in ospedale, in stato di arresto sulla base di gravi indizi. Ma non delle esigenze cautelari improntate al minor sacrificio, a maggior ragione per chi - come l’indagato - versa in condizioni di salute compromesse per il deperimento fisico. La decisione. I legali di fiducia di Ostuni, Daniela d’Amuri e Laura Beltrami, hanno presentato istanza al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, Ines Casciaro, al quale il sostituto procuratore Alessio Coccioli ha depositato la richiesta di processo al termine delle indagini preliminari sulla famiglia brindisina (il blitz risale al 22 ottobre scorse e venne chiamato Familia, proprio in relazione ai vincoli di parentela tra i presunti associati). Nell’arco delle prossime settimane il gup dovrà decidere se gli elementi raccolti siano tali da reggere l’accusa nel processo o meno, intanto ieri ha convenuto con la difesa su una questione di diritto unita a una considerazione legata al “caso” concreto che i due avvocati avevano sottolineato più volte in relazione al quadro clinico di Ostuni. Le condizioni di salute. Da due mesi fa, infatti, avevano rappresentato la necessità di trasferire il trentenne dal carcere di Taranto, dove è stato rinchiuso in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, in una struttura sanitaria in grado di prestare le cure più opportune perché il brindisino, nel giro di poco tempo, aveva perso peso. Molti chili: quasi trenta nell’arco di tre settimane. Non riusciva più a mangiare, neppure a bere. In cella si era sentito male parecchie volte, al punto che gli altri detenuti avevano chiamato i soccorsi. Di fronte all’emergenza, la difesa aveva chiesto il trasferimento nell’ospedale più vicino, il “Santissima Annunziata” di Taranto e aveva anche sporto denuncia - querela per ricostruire il calvario, allegando i risultati del lavoro peritale condotto da due consulenti (di parte) nominati con urgenza, un gastroenterologo e uno psichiatra, secondo cui il quadro clinico era di tale gravità da non poter essere assolutamente compatibile con la custodia in carcere. Reggio Calabria: il Centro Giustizia Minorile organizza il Campo Scuola “liberi di volare” www.strill.it, 7 settembre 2011 Di seguito la nota diffusa dall’Ufficio Servizio Sociale per Minori Reggio Calabria: E siamo a cinque; infatti sono cinque anni che la Giustizia Minorile organizza il Campo Scuola a Cucullaro. Quest’anno inoltre i ragazzi che vi partecipano, provengono da tutte le Regioni del meridione, a significare quanto negli anni l’Ussm di Reggio Calabria, motore pensante ed organizzativo dell’esperienza, è riuscito a diffondere nei Servizi quell’idea di fondo che è alla base del progetto Insieme; vivere e condividere con i ragazzi che la Magistratura ci affida nelle varie fasi processuali, momenti così intensi di vita sono opportunità da non perdere perché ti fanno vivere gomito a gomito, per giorni e giorni, con quei ragazzi che tu spesso li incontri dietro una scrivania o che non riesci a conoscere così bene, nonostante i progetti individualizzati, come invece riesci a capire quando quello stesso ragazzo te lo ritrovi a vivere quotidianamente nel lavoro, nella formazione nel divertimento, fuori da ogni schema istituzionale, e dove il ragazzo si sente parte attiva e non oggetto di intervento. È questo uno dei valori aggiunti del Campo scuola, cinque intense giornate in cui insieme ci si mette al servizio degli altri, servendo a tavola, pulendo la struttura e cucinando e partecipando agli incontri formativi con testimoni di legalità e di solidarietà. Ogni anno inoltre, al Campo vi partecipano associazioni e contesti sociali nuovi, così com’è il caso dell’Associazione Euro che, dopo un primo approccio avuto lo scorso anno, convinta della validità dell’esperienza, ha voluto fortemente finanziare il Campo 2011, coinvolgendosi pienamente nella organizzazione e nella gestione dello stesso. Infatti Euro sta portando avanti nelle regioni Meridionali (tramite un Pon Sicurezza) un progetto di alto significato che prevede percorsi di formazione e di avviamento a lavoro di tanti giovani attualmente seguiti dai servizi Minorili della Giustizia. Ognuno di noi è convinto che non basta un campo per cambiare stili di vita o comportamenti, ma siamo anche convinti che esperienze del genere, così come affermato più volte a Cucullaro dal Dr Meli (che crede molto in questa esperienza) momenti come questo servono a far crescere i ragazzi e a farli prendere coscienza delle proprie possibilità. Sono giorni intensi quelli vissuti a Cucullaro, in cui tutti si è coinvolti nelle varie fasi organizzative che scandiscono quotidianamente il nostro stare insieme. Molte sono le persone che quest’anno ci aiutano a riflettere su cose altrettanto importanti come la Solidarietà, la Legalità, la Formazione e il Lavoro; ognuno di loro riesce sempre a trasmettere ai ragazzi un messaggio forte e incisivo stimolandoli alla riflessione e, nel contempo, guardare in alto verso nuovi orizzonti. Quest’anno saranno in mezzo a noi amici dell’associazionismo reggino (Avis - Unitalsi - Aism) con cui da anni abbiamo instaurato delle significative collaborazioni e legami sempre più stretti. Inoltre avremo la possibilità di sentire dalla viva voce di chi ha vissuto esperienze tragiche come quella di Congiusta a cui la ndrangheta ha ucciso un figlio, oltre alla amica Lanzetta, sindaco di Monasterace, che ormai vive nel pericolo quotidiano solo perché vuole riaffermare in un territorio a rischio qual è la locride, il rispetto della legalità; altro nostro compagno di viaggio sarà il Giudice Sferalazza sempre attento alle problematiche giovanili e figura costante nei nostri percorsi legati alla formazione della cultura della legalità. Una giornata intera del campo sarà poi dedicata al tema della formazione e del lavoro, nel corso della quale oltre ai vari relatori proposti da Euro, saranno due nostri ragazzi a presentare le proprie esperienze di vita, dalla devianza alla legalità; saranno loro a testimoniare che ognuno dei ragazzi presi incarico dai servizi, può farcela, così come loro ci sono riusciti ed ora sono impegnati nel campo lavorativo e sociale. Ma il Campo è anche svago e divertimento, ed ecco che la Reggina calcio ha voluto essere presente al campo con alcuni giocatori e dirigenti per riaffermare che anche attraverso lo Sport si possono raggiungere ottimi risultati nella vita. A scandire alcuni momenti di svago hanno anche dato la propria disponibilità il duo Auspici e Polimeni “Chisti Simu”, così come i ragazzi di Sottosopra, un Centro di Aggregazione Giovanile che, purtroppo, come succede spesso negli ultimi anni nella nostra città, non ha avuto il rinnovo progettuale e quindi il Centro ha dovuto chiudere; ma non certo la voglia di fare divertire e stare insieme di questi ragazzi meravigliosi che, coordinati dalla sempre pimpante Angela Campolo, saranno presenti a Cucullaro un’intera giornata. Così come importante sarà la presenza del Teatro dei Semplici che, grazie alla disponibilità di Antonio Marino, anche a Cucullaro si esibiranno con una commedia brillante dal titolo “ La Fortuna con l’F maiuscola”. Quest’anno poi, a conclusione del campo, presso il Grande Albergo di Gambarie è previsto un convegno Nazionale dal Titolo “Tra il dire e il fare” Giustizia Minorile e responsabilità sociale delle Imprese, a testimonianza di come il nostro Dipartimento e i Servizi Minorili della Giustizia, credono fortemente che la risocializzazione e quindi il reinserimento dei minori a rischio deve passare attraverso forme concrete di percorsi formativi e lavorativi da individuare e percorrere insieme alle imprese locali che, se attenzionate e stimolate sul problema, possono dare un forte contributo ad un graduale reinserimento di questi minori che se ben accompagnati e sostenuti riescono, così come ci sono riusciti in tanti negli anni, a dare un calcio alla sfortuna e/o alla mala sorte e rimettersi in cammino grazie anche ad esperienze di condivisione com’è il Campo Scuola, dove Insieme si approfondiscono temi così importanti quali la solidarietà e la legalità, e questo, per noi che lavoriamo in questo settore è già tanto. Stefano Fazzello Ufficio Servizio Sociale per Minori Reggio Calabria Bologna: rimossa la direttrice dell’Ipm, sta valutando possibilità di fare ricorso Dire, 7 settembre 2011 “Sto valutando se esistano gli estremi per fare un ricorso al Giudice del lavoro”. Lo afferma Paola Ziccone, di recente rimossa dalla direzione dell’Istituto penale minorile del Pratello, a Bologna. Ziccone parla ai microfoni di Radio città del capo, che ha dedicato alla vicenda un ampio servizio intervistando anche il direttore del Centro di giustizia minorile dell’Emilia - Romagna, Giuseppe Centomani. Le motivazioni della sostituzione di Ziccone “bisognerebbe chiederle al dipartimento Giustizia minorile”, afferma Centomani, che però poi aggiunge: “Sicuramente ci sono stati nel corso degli anni problemi di tipo tecnico nella gestione dell’Istituto, che sono stati rilevati e comunicati al dipartimento”. Alla fine, “all’esito dell’ennesimo momento critico con il personale di Polizia penitenziaria”, ricostruisce Centomani, il dipartimento “ha ritenuto di disporre la sostituzione di Ziccone”, con il trasferimento al coordinamento del Servizio tecnico del Centro di giustizia minorile. Per quanto riguarda la relazione del dipartimento che nel 2008 valutava positivamente l’operato di Ziccone, è stata “messa in discussione da successivo capodipartimento, quello attuale - sottolinea Centomani - sia nella forma che nel contenuto”. Successivamente, infatti, una “nuova analisi più approfondita” sul distretto di Bologna ha dimostrato, aggiunge Centomani, che la precedente relazione era “totalmente destituita di fondamento”. Era il prodotto di una “attività ostile alla direzione dei centri fatta da parte del vecchio capodipartimento - continua Centomani - in accordo con ambienti collegati politicamente alla vecchia direzione dell’istituto”, dunque solo un “attacco” e una vera “aggressione”. In ogni caso cambiamenti di questo tipo “non sono cose così rare e drammatiche”, aggiunge Centomani sempre su Radio città del capo, si tratta di “valutazioni tecniche e avvicendamenti che nella nostra amministrazione sono normali”. E se l’opinione pubblica ha valutato positivamente il lavoro di Ziccone, “il problema è che il dipartimento non ha del lavoro fatto al Pratello - replica Centomani - la stessa valutazione dei cittadini”. Anche perché “forse tra i limiti di questa gestione c’era proprio un’eccessiva esposizione all’esterno - rileva Centomani - ed una minore attenzione alla gestione dei processi interni”. Accuse che Ziccone, parlando con l’emittente bolognese, rispedisce al mittente. È “infondato attribuire la responsabilità di una situazione emergenziale alla sottoscritta”, afferma l’ormai ex direttrice del Pratello: “Ritengo che il mio lavoro, oltre che essere stato oggetto di più indagini ministeriali che non hanno mai rilevato nulla sulla mia gestione, sia sotto gli occhi di tutti”. Cioè “degli enti locali, dei rappresentanti della società, del volontariato, delle scuole - sottolinea Ziccone - e di tante alte persone che hanno frequentato il Pratello e hanno conosciuto i ragazzi usciti” dall’Istituto. Dunque, “è sotto gli occhi di tutti il fatto che io ho gestito questo Istituto nel migliore dei modi possibili - ribadisce Ziccone - tutto è perfettibile ma io molto serena con la mia coscienza”. L’ex direttrice nutre poi “serissime perplessità” sui rilievi mossi alla relazione del 2008: “Non so come il dirigente possa contestarne la validità, a tutti gli effetti - afferma Ziccone - non mi risulta sia mai stato inficiato ufficialmente il lavoro dell’allora capodipartimento che ha condotto l’ispezione”. Ziccone, infine, non esclude che l’essere una donna abbia potuto influire sulla situazione. “Si è in un ambiente prettamente maschile e a volte il potere che può avere una donna disturba”, afferma l’ex direttrice del Pratello. “Non afferro - aggiunge Ziccone - se non con motivi nascosti che possono fare riferimenti a vicende abbastanza tipiche in Italia, le vere motivazioni”. Per vicende “tipiche in Italia” Ziccone intende “vicende politiche o legate a rapporti istituzionali squilibrati - specifica l’ex direttrice - che in questo caso vedono sicuramente un ruolo dirigenziale ed un ruolo minore, direttivo, e forse anche una figura maschile e una femminile”. Di certo, intanto, c’è che non si è realizzato l’auspicio formulato da Bruno Brattoli, capo del dipartimento Giustizia minorile, che durante una visita effettuata lo scorso aprile a Bologna sperava si potesse superare senza strascichi la situazione di “difficoltà ambientale” tra Ziccone e Centomani. “Una situazione che non può durare più a lungo”, aveva sottolineato Brattoli, quindi “assumeremo tutti i provvedimenti che riterremo opportuni”. Ogni soluzione “imposta o che può comportare strascichi giudiziari - concludeva, quasi profeticamente, Brattoli - non può portare serenità”. Venezia: in carcere la lezione del teatro, iniziativa per l’integrazione Il Gazzettino, 7 settembre 2011 La Mostra del cinema porta il teatro in carcere come forma di espressione e rieducazione per i detenuti. È un triangolo davvero interessante quello su cui si sviluppa il progetto del laboratorio teatrale in carcere “Passi Sospesi”, a cura del Balamòs Teatro di Michalis Traitsis, e il relativo documentario di Marco Valentini girato negli istituti penitenziari della nostra città. Laboratorio e film che lo racconta sono stati presentanti ieri all’hotel Excelsior, presente anche, tra gli altri, il direttore organizzativo del festival Luigi Cuciniello il quale ha sottolineato il legame di amicizia e collaborazione che lega la Mostra alla rieducazione in carcere. La presentazione rientrava nel programma dei convegni di Digital Expo, evento curato dalla Biennale di Venezia e dalla società fieristica veneziana Expo Venice, nei giorni della 68° Mostra del cinema attraverso il laboratorio “Passi Sospesi”, finanziato dal Ministero della Giustizia e dal Comune di Venezia Michalis Traitsis, sociologo, regista e direttore artistico di Balamòs Teatro, affronta le tematiche della reclusione e dell’esclusione, della prevenzione e della detenzione con un approccio culturale basato sul confronto, l’informazione e la memoria. L’obiettivo è quello promuovere la cultura della diversità. Il video di Marco Valentini “Passi Sospesi 2011” documenta i laboratori teatrali di Balamòs Teatro alla Casa circondariale maschile di Santa Maria Maggiore e di quella femminile alla Giudecca. Immigrazione: Kate Omoregbe ha ottenuto l’asilo politico ed ha lasciato il Cie di Ponte Galeria Adnkronos, 7 settembre 2011 È uscita dal Cie di Ponte Galeria, dopo aver ottenuto l’asilo politico, Kate Omoregbe, la nigeriana che nei giorni scorsi aveva chiesto di restare in Italia perché temeva di essere lapidata in Patria. Lo rende noto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. La donna dopo essersi convertita alla religione cattolica, aveva rifiutato di sposare un uomo più anziano di lei impostole dai suoi genitori. Questa mattina Kate, che era giunta al Cie di Ponte Galeria dopo essere uscita dal carcere di Castrovillari, al termine della condanna a quattro anni di reclusione per droga, aveva incontrato i collaboratori del Garante Angiolo Marroni. Sulla vicenda di Kate Omoregbe, nei giorni scorsi c’era stata una forte mobilitazione dell’opinione pubblica che aveva sollecitato la concessione dell’asilo politico. “La felice conclusione di questa vicenda - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - non può farci dimenticare che esiste un problema che riguarda la tutela internazionale degli stranieri detenuti. Un problema che affligge il mondo del carcere: gli stranieri condannati scontano la pena e poi vengono trasferiti nei Cie dove chiedono protezione. L’ingresso in carcere impedisce il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno per protezione internazionale. È il caso di quegli stranieri che, una volta entrati in carcere, non possono chiedere né rinnovare le domande di protezione internazionale. “Il problema è soprattutto burocratico, di assenza di strumenti e risorse idonee a creare un iter ad hoc per questo tipo di interventi. Così dopo anni di detenzione lo straniero viene liberato dal carcere e trasferito nei Cie per l’espulsione e, sono a quel punto, può chiedere protezione. Un meccanismo che rivela le inefficienze di un sistema che dovrebbe mettersi in moto fin dalla detenzione. Non si capisce perché occorra attendere che venga trasferito nel Cie per chiedere il riconoscimento della protezione internazionale”, conclude. Congo: evasione di massa da una prigione di massima sicurezza, in mille fuggono Ansa, 7 settembre 2011 Circa mille detenuti sono evasi oggi da una prigione di massima sicurezza nella città mineraria di Lubumbashi nel sud - est della Repubblica democratica del Congo (Rdc), dopo che un gruppo di uomini armati ha attaccato il penitenziario con l’obiettivo di liberare un capo ribelle locale. Lo ha reso noto il ministro degli Interni provinciale, Jean Marie Dikanga Kazadi. “Quando gli assalitori sono arrivati” nei pressi della prigione hanno “aperto il fuoco contro la polizia e la guardie carcerarie uccidendo due persone”, ha precisato Lubumbashi, aggiungendo che 967 detenuti sono riusciti a fuggire, tra cui Kyungu Mutanga, ex leader di un gruppo di ribelli. Kazadi ha poi detto che 152 evasi sono stati ricatturati. Mutanga, ex leader di un gruppo di ribelli nel Katanga, la più grande provincia mineraria del Paese, è stato condannato per crimini contro l’umanità nel 2009. Intanto il governatore della capitale Kinshasa, ha vietato da oggi fino a domenica, tutte le manifestazioni politiche per evitare episodi di violenza, e in vista della manifestazione annunciata per domani dall’opposizione. Domenica dovranno concludersi nel Paese le candidature per le elezioni presidenziali e legislative. Vietnam: lavori forzati per i tossicodipendenti detenuti, producono anacardi da esportare di Dario Ferri www.giornalettismo.com, 7 settembre 2011 Dopo i diamanti del Congo e i rubini della Birmania anche gli anacardi del Vietnam potrebbero essere sporchi di sangue. A denunciarlo è Human Rights Watch. Secondo quanto riferisce l’organizzazione non governativa la coltivazione di anacardi ed altre produzioni vietnamite sono caratterizzate dallo sfruttamento di tossicodipendenti detenuti nei campi e costretti a lavori forzati. O anche di violenze, se si oppongono al lavoro. Coloro che rifiutano di lavorare - dicono gli attivisti - vengono colpiti a manganellate, o da scosse elettriche, rinchiusi in isolamento, privati di cibo ed acqua, costretti a lavori ancor più massacranti. “Nel diritto internazionale tutto ciò costituisce tortura”, grida Joseph Amon, direttore della divisione Salute e diritti umani dell’associazione che ha stilato il rapporto, intitolato L’Arcipelago Rehab. Le denunce di Human Rights Watch possono ora mettere in difficoltà le numerose imprese occidentali che operano sul suolo vietnamita. Il paese asiatico è il maggior produttore mondiale di anacardi, e principale fornitore degli Stati Uniti. Alle spalle egli States ci sono Cina e Unione Europea, con ordini consistenti. In Vietnam il numero di tossicodipendenti è elevato. Sono circa 40mila le persone rinchiuse in 123 centri di riabilitazione. I pazienti vengono impegnati in lavori manuali come la raccolta degli anacardi. “Se gli importatori vogliono che le filiere di produzione dei prodotti che acquistano non siano condizionate da lavori bloccati e abusi, hanno bisogno di indagare da vicino”, dice Amon. L’inchiesta dell’osservatorio sui diritti umani ha già costretto un’azienda svizzera ed una americana ad indagare sulla provenienza di quanto importato dal Vietnam. La Vestergaard Frandsen, con sede a Losanna, ad esempio, ha chiuso ogni suo rapporto con cinque appaltatori vietnamiti dopo aver scoperto che le zanzariere di cui si forniva erano state prodotte dai tossicodipendenti detenuti. “Prendiamo molto seriamente la questione lavoro e non perdoniamo né accettiamo quello che è successo”, ha fatto sapere la Vestergaard Frandsen in un comunicato. L’Oregon Columbia Sportswear Co., invec, ha rotto ogni legame con una fabbrica vietnamita dopo che Human Rights ha scoperto che l’impresa asiatica aveva subappaltato il lavoro ad un vicino centro di detenzione senza permesso. Peter Bragdon, vice presidente degli affari legali e societari della Columbia Sportswear ha denunciato la violazione “dei contratti sotoscritti”, ma anche delle “politiche” e dei propri “valori”. I detenuti vietnamiti lavorerebbero 10 ore al giorno nella raccolta e scuoiatura di noci. Con rischi per la salute. L’olio di anacardio è dannoso. Afghanistan: l’Onu denuncia torture e abusi ai danni di detenuti Asca, 7 settembre 2011 Sarebbero almeno nove le prigioni afghane accusate di abusi e torture e verso le quali la Nato ha sospeso il trasferimento dei detenuti. A sollevare la questione un rapporto dell’Onu che verrà pubblicato a breve. Secondo le Nazioni Unite, infatti, sarebbero ben sei i centri di detenzione gestiti dal Comitato nazionale per la sicurezza in cui si sarebbero verificati casi di torture. A questi si aggiungono altre tre prigioni sotto il controllo del Ministero della giustizia. I nomi dei carceri non sono però stati resi noti e sulla questione, ha atto sapere la Nato, verrà condotta un’indagine con l’aiuto del governo afgano. Nel frattempo però i detenuti verranno dirottati in altri centri. “Abbiamo deciso di essere prudenti e abbiamo già disposto la sospensione dei trasferimenti in alcune prigioni fino a che non avremo verificato quanto affermato dal rapporto dell’Onu” si legge in un comunicato della Nato. Certo non si tratta della prima volta che l’Onu lamenta della condizione delle carceri in Afghanistan dove dal 2001 ad oggi i prigionieri sono passati da 600 a 19mila in totale. Una questione per la quale è stata chiesta una soluzione definitiva. Bahrein: in 101 manifestanti in carcere fanno sciopero della fame Ansa, 7 settembre 2011 Centouno prigionieri politici detenuti in carcere nel Bahrein accusati di aver avuto un ruolo nelle rivolte popolari contro il regime tra febbraio e marzo scorsi, sono in sciopero della fame. Lo ha reso noto oggi la Commissione indipendente di inchiesta sulle violenze nel Bahrein. Con un’email la Commissione ha indicato che 84 prigionieri si trovano ancora in carcere dopo essere stati curati da medici e infermieri, mentre 17 sono stati mandati in ospedale per il loro stato di salute che è peggiorato, dietro ordine del ministero dell’Interno. Un militante dei diritti dell’Uomo, Nabeel Rajab, aveva annunciato all’inizio della settimana che all’incirca 200 sciiti, in carcere per il loro ruolo avuto nelle contestazioni del regime, erano in sciopero della fame. La Commissione ha invitato un esperto internazionale per esaminare i prigionieri. Brasile: sfilata di detenute con moda fatta in prigione Ansa, 7 settembre 2011 Una trentina di detenute di un carcere modello brasiliano hanno sfilato ieri nella sede della Confindustria di San Paolo con modelli creati e realizzati in prigione. Le detenute, tutte condannate per traffico di stupefacenti, hanno creato la griffe “Daspre”, abbreviazione di “Das presidiarias”, che si rifà scherzosamente a quella ormai nota internazionalmente di “Daspu”, la marca di moda delle lucciole carioca. Tutte puntano sulla moda per rifarsi una vita una volta uscite di galera. “È la prima professione che ho potuto imparare nella mia vita, e mi sta aiutando a cambiare mentalità e prospettive nella vita”, ha dichiarato in televisione la 18enne Tamira Aparecida Duarte, tossicodipendente, arrestata per traffico di droga per i narcos di San Paolo per procurarsi la dose quotidiana. Come lei, tutte pensano di mettersi in proprio una volta fuori per non dipendere dalla malavita e sopravvivere nelle favelas. “Nei tre anni da quando esiste il nostro progetto, non ho mai visto nessuna che ne abbia fatto parte, tornare in galera, ed è questa la cosa più importante, non la moda che siamo capaci di fare”, ha commentato Lucia Casalli, l’ex detenuta che per prima ha avuto l’idea di “Daspre” dopo aver letto un servizio su “Daspu” in una rivista in carcere.