Campane a morto per le cooperative del Triveneto che danno lavoro ai detenuti? Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2011 Nel primo pomeriggio di lunedì 5 settembre 2011 le cooperative sociali del Triveneto che danno lavoro, dentro e fuori dal carcere, a persone detenute hanno ricevuto una mail breve e chiara: ogni cooperativa “potrà richiedere per il periodo agosto-dicembre per sgravi fiscali un importo complessivo non superiore a” una cifra definita e indicata coop per coop. Ciò al fine di “non superare il budget annuo assegnato dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria” al Provveditorato Regionale per il Triveneto della stessa Amministrazione, mittente della lettera nella persona del dottor Felice Bocchino. Tradotto in concreto significa che con il credito previsto si va avanti fino a circa ottobre… o si comincia a licenziare subito scegliendo quali lavoratori detenuti tagliare, o a ottobre si chiude. Insomma, immaginatevi un’azienda a cui lo Stato comunichi oggi che, dal mese scorso a dicembre, i suoi lavoratori gli costeranno molto di più, e non per la busta paga! Per i non addetti ai lavori, gli sgravi fiscali di cui si parla sono previsti per i detenuti che lavorano nelle carceri o ammessi al lavoro esterno secondo la Legge Smuraglia (193/2000), legge che ha dato la possibilità al lavoro in carcere e fuori di crescere rispetto al vuoto precedente. Non si tratta di soldi che vengono erogati alle cooperative dallo Stato per il lavoro (come ad esempio una borsa lavoro), ma della possibilità per chi dà lavoro di non versarli allo Stato e di usarli per compensazioni nei mensili versamenti fiscali e previdenziali. Insomma, un po’ di ossigeno per chi da anni si massacra di lavoro per offrire inserimento a detenuti e la possibilità di presentare sul mercato una forza lavoro molto particolare e poco ambita. Alcune semplici domande al dottor Bocchino, Provveditore Regionale: - perché questa comunicazione tardiva e in parte retroattiva? - perché a settembre si contravviene a quanto ci era stato assicurato a gennaio tramite le direzioni degli istituti, e cioè che non ci sarebbe stata una contrazione del credito? - da chi dobbiamo cominciare con i licenziamenti? i detenuti che lavorano fuori o quelli che lavorano dentro? Una domanda al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: - vi è chiaro che questa politica non procurerà maggiori entrate allo Stato? non ci saranno maggiori entrate perché noi saremo costretti a chiudere o a ridurre il lavoro, perché soldi per versare il corrispondente dello sgravio non ne abbiamo, neppure se proviamo a dissanguarci Una domanda (retorica e amara) al Ministero della Giustizia: - come mai in questo momento drammatico volete spingere il mondo del carcere ancora più all’inferno, riducendo il lavoro, già insufficiente, e affossando le cooperative sociali? Un promemoria per l’opinione pubblica: - ricordiamoci che un detenuto progressivamente reinserito tramite il lavoro nella società civile è meno “pericoloso” di un detenuto che fa 20 anni di carcere senza assaggiare mai la libertà! Ci appelleremo con una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano, che consideriamo oggi un garante dei diritti umani e civili, sempre più violati nelle carceri italiane. Gianni Trevisan, presidente cooperativa sociale Il Cerchio di Venezia Rossella Favero, presidente cooperativa sociale AltraCittà di Padova Giustizia: Fleres (Pdl) scrive al Nitto Palma; i penitenziari siano più vivibili Italpress, 6 settembre 2011 Il senatore Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, ha inoltrato una nota al Ministro della Giustizia con la quale propone “alcune azioni che potrebbero contribuire a rendere più vivibili le strutture penitenziarie ed a far si che la pena possa essere scontata secondo quanto previsto del 3° comma dell’art. 27 della Costituzione”. “La lettera -, ha dichiarato il senatore Fleres, si compone di 10 punti, frutto di una lunga esperienza sul campo, che interessano sia gli aspetti strutturali sia gli aspetti organizzativi e giudiziari. Particolare attenzione è rivolta alle attività di reinserimento ed al necessario ampliamento dell’organico degli educatori, insieme con una maggiore attenzione verso il mondo del volontariato penitenziario. In questo contesto assume rilievo anche l’ormai cronica carenza di personale di Polizia Penitenziaria, oggi costretto ad estenuanti turni di lavoro. La nota pone l’accento anche sul sovraffollamento e sull’ormai consolidata prassi della carcerazione preventiva e della scarsa propensione alla concessione delle misure alternative al carcere, ovviamente, dove possibile. Su questo particolare aspetto è stata proposta la costituzione di una commissione ministeriale in grado di effettuare degli studi per proporre delle soluzioni concrete al problema. Inoltre - ha proseguito il senatore -, un approfondimento particolare è stato effettuato per la Sicilia dove, oltre a quanto già detto, si aggiunge anche il mancato passaggio della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, a causa di presunti problemi interpretativi della norme in vigore, e il depotenziamento, in termini finanziari, dell’Ufficio del Garante da alcuni considerato come un organo superfluo. A tal fine cito il passaggio di una lettera di un recluso recentemente pervenuta presso l’Ufficio a commento degli articoli di stampa comparsi su alcuni quotidiani locali “restringere i diritti degli ultimi è diventato lo sport nazionale. Mi auguro -, ha concluso il senatore Fleres -, che le proposte formulate al Ministro possano trovare il suo assenso e che anche il governo regionale non si dedichi a quello che il detenuto ha individuato come sport nazionale”. Giustizia: Ciisa; situazione delle carceri sempre più disumana e costosa Agenparl, 6 settembre 2011 “Il disumano e illegale sovraffollamento delle carceri, che risulta essere in contrasto con l’art. 27 della Costituzione, dipende da mancate riforme di sistema, la cui assenza sta provocando danni irreversibili al sistema. Di questo passo si arriverà ad avere 100.000 detenuti entro il 2012 e l’unica fuga per la risoluzione del problema rimane l’amnistia, anche perché se dovessimo raggiungere i 100.000 posti letto il costo per il Paese sarebbe, per il solo incremento dai 65 mila detenuti a 100 mila, di circa 6.387.500.000”. È quanto afferma il segretario generale della Ciisa Romeo Chierchia. “Ecco che qui - continua Chierchia - si evidenzia la debolezza del Governo e dell’Amministrazione Penitenziaria: insieme, non riescono a dare soluzioni a breve termine, e tutti coloro che hanno pratica degli istituti penitenziari sanno benissimo che il piano carceri non può essere la soluzione di breve termine, ma certamente non lo sarà neppure a medio termine. La conclusione sul piano carceri è quello del profitto e di intascare dall’Europa il finanziamento per la costruzione di nuovi carceri. Occorrono interventi di riforma che siano strutturali rispetto al tema della pena”. “Occorre adeguare l’organico del Corpo di Polizia Penitenziaria ormai fermo all’anno 2000 - continua Chierchia -, quanto la presenza dei detenuti era di circa 43.500 detenuti. Oggi il Corpo di Polizia Penitenziaria vanta una vacanza organica di 6.200 unità, mentre in altri settori la carenza è di circa 600 nell’area educatori, 372 nell’area contabili e circa 500 assistenti sociali. Evitare di pensare che svuotando le carceri si risolva il problema sia dell’organico che di tutto il sistema penitenziario. Infatti l’abbassamento della forza detenuti non comporterà alcuna riduzione di posti di servizi previsti nell’organizzazione del lavoro. Perciò le parodie di molte Organizzazioni Sindacali e di molti esponenti politici che sbandierano lo svuotamento delle carceri per risolvere il problema, è solo utopia. Cosa accadrà quando i detenuti saranno 100.000? Una situazione che definire “emergenza” è ormai vetusta. Lavorare con le stesse strutture, affollate e sempre più piccole ogni giorno, carenti anche di quei minimi spazi essenziali alla vivibilità, porterà quanto prima, al crollo dell’intera sistema penitenziario che, fino ad oggi, è riuscito a reggersi sulle sole braccia di chi vi opera. Quindi, non vogliamo assistere, a rivolte ed evasioni come avvengono in Stati Esteri e che, ogni tanto, i vari media riportano. La Repubblica Italiana deve garantire l’ordine e la disciplina con vari mezzi che, oggi, non ci sono. Dunque, per evitare l’irreparabile, è bene porvi rimedio immediato con l’Amnistia, in modo da “resettare” un sistema penitenziario che, ripartendo da zero, sia organizzato su basi solide come le strutture, i servizi, l’incremento del personale che si condensano in rieducazione e sicurezza per tutti. Rieducazione per coloro che hanno sbagliato. Sicurezza per i cittadini e Giustizia per chi è stato offeso. Infine abbiamo il sentore che il piano carcere avrà la stessa fine dell’onerosissimo braccialetto elettronico”. Giustizia: manovra; costituzionalisti divisi su strumento penale e soglia evasione Adnkronos, 6 settembre 2011 Costituzionalisti e giuristi divisi sull’uso dello strumento penale nella lotta all’evasione fiscale. Sotto osservazione finisce in particolare la misura voluta dal governo che, in caso di evasione superiore ai tre milioni di euro, prevede non sia possibile concedere la condizionale. In tal modo si aprirebbero le porte del carcere. Pur con qualche distinguo, la maggior parte dei giuristi interpellati dall’Adnkronos ritiene comunque che la misura non sia incostituzionale. “Che ci siano soglie oltre le quali l’evasione fiscale viene sanzionata penalmente è fisiologico. E non c’è nulla di incostituzionale”, spiega Francesco Saverio Marini. Quello che può invece porre problemi è la mancanza della sospensione condizionale della pena. Ma sarebbe incostituzionale non mettere soglie - rimarca Marini - altrimenti qualsiasi evasione sarebbe sanzionata penalmente. “In verità - fa notare - hanno solo alzato l’asticella, perché oltre una certa cifra in passato c’è sempre stata l’azione penale. Dunque questa è una misura opportuna, anche se a mio giudizio non cambierà molto la situazione: il vero problema è la capacità di trovare l’evasore. La deterrenza c’è e la direzione è quella giusta, ma va corretta introducendo la sospensione condizionale della pena, come accade per tutti gli altri reati”. Non ha dubbi Mauro Ferri. “Ritengo non ci sia nessuna violazione della Costituzione nel fissare un limite oltre il quale l’evasione viene punita con il carcere”, spiega il presidente emerito della Consulta. Mentre Cesare Mirabelli sottolinea: “Lo strumento penale già c’era e c’è, ma ora si vuole incidere sulla sospensione condizionale della pena in caso di condanna, escludendola. Che possa esserci una sanzione penale, anche differenziata a seconda della gravità del reato, è possibile - rimarca Mirabelli - il fatto di stabilire una soglia di quantità di evasione, si riferisce alla gravità del reato e perciò non è illegittima”. Giustizia: c’è un paese a prova di ladro… con l’antifurto del sindaco in ogni casa La Repubblica, 6 settembre 2011 Un euro al giorno toglie il ladro di notte? Il sindaco Andrea Bassoli, assicuratore e ciclista, due furti in due anni, si è fatto una domanda e si è dato una risposta. “Sissignore. Al costo di un caffè faccio vivere tranquilla la mia gente”. Avviso ai topi di appartamento: se avete in mente di (continuare a) fare shopping nelle case di Pieve di Coriano - dove finora avete agito in scioltezza - lasciate perdere. La festa è finita e Fort Knox adesso si è trasferito qui, terra di tartufi e biciclette sull’argine del Po, a metà strada tra il lago di Garda e il mare Adriatico, dove puoi non vedere una macchina per chilometri ma i ladri, loro, ci vedono benissimo. Soprattutto al buio. Assalti in villa, buchi per entrare negli uffici, razzie o anche colpi stupidissimi, da ladri di galline, tipo tre succhi di frutta prelevati dal frigorifero però, ed è ancora più odioso, sempre quando la gente è in casa e sta dormendo. Va così dal 2006, l’ultima ondata predatoria a maggio. Il Comune adesso ha detto basta e, primo caso in Italia, ha varato un impianto d’allarme unico per l’intero paese. Al costo, appunto, di un euro al giorno per ogni famiglia. Come funziona? Non pensate a una sirena centralizzata, nessun grande cervellone. Molto più semplice: l’amministrazione comunale, grazie a una convenzione siglata con l’Istituto provinciale di vigilanza di Mantova, offre il sistema di sicurezza a tariffe agevolate. Le famiglie - 450 per un totale di 1069 abitanti-possono o acquistarlo o noleggiarlo al costo di 30 euro al mese. Il contratto dura cinque anni. Dopodiché l’impianto di allarme può essere riscattato con un centinaio di euro, oppure si può rinnovare l’abbonamento. Completa il ventaglio delle offerte un rinforzo della vigilanza notturna: in pratica, pagando 3,5 euro l’anno, ogni famiglia può incrementare le ronde dei vigilantes, già attive, fino atre giri del paese. Dall’attracco fluviale alla zona artigianale. “Non c’è nessuna psicosi - dice il sindaco Bassoli, al secondo mandato, giunta di centrosinistra -ma la richiesta di maggiore sicurezza viene proprio dai cittadini. È chiaro che più contratti riusciremo a sottoscrivere e più controlli avremo”. Vista così sembra che Pieve sia una succursale di Caracas o un avamposto libico. In realtà il primo cittadino sostiene che “come furti siamo più o meno nella media degli altri paesi”. Ma si capisce che danza sui cristalli: se da una parte vuole sensibilizzare la comunità ad abbonarsi alla sicurezza privata, dall’altra non può alimentare ulteriori paure. Da notare: in paese ci sono già sette telecamere. Le hanno messetreannifa,36milaeurodi spesa. Sono collegate via wireless a una centrale operativa del municipio e la stazione dei carabinieri di Revere, il paese vicino. “A proposito, funzionano queste telecamere?”, chiede Bruno Pelin al bar Acli, in piazza Gramsci. È inutile negare che un po’ di scetticismo c’è. Anche sul costo. “È vero che un euro al giorno è un caffè, ma fanno 365 euro all’anno per 450 famiglie”. Lino Mazzola fa due conti e, sotto la facciata romanica di Santa Maria Assunta, allarga le braccia. A giugno nella prima assemblea pubblica organizzata dal sindaco, la risposta è stata positiva. “Da lì ho capito che la cosa può funzionare”, sostiene Bassoli. A fine settembre ci sarà un altro incontro. L’operazione allarme cooperativo sarà già avviata. “In paese ci sono già un centinaio di case dotate di allarmi privati. Se riusciamo a sottoscrivere almeno un altro centinaio di contratti è un ottimo risultato. A quel punto i ladri dovranno sceglierle con il lanternino le case da svaligiare”. Luca Morandi fa l’imbianchino. Per ora ha solo dei sensori sulla porta di ingresso. Sta valutando se accettare la proposta del Comune. “Un euro non è tanto, ma l’importante è che questi allarmi siano davvero efficaci”. Chissà cosa ne pensano le bande di rapinatori che calano dal Veneto. Non professionisti. Piuttosto, spiegano in municipio, ladri improvvisati. “Quelli che hanno preso i carabinieri erano romeni, minorenni”. A maggio si sono dati da fare. Oltre all’ufficio dell’agenzia di assicurazioni Unipol gestita dal sindaco, hanno preso di mira le abitazioni del carrozziere, di un paio di pensionati e di una famiglia appena arrivata in paese. Sembrava di essere tornati all’anno orribile 2006, quella dei colpi a ripetizione. C’è da dire che nonostante le visite dei ladri, Pieve - in controtendenza rispetto alla media dei paesini - continua a popolarsi. Sette anni fa gli abitanti erano 800. Oggi mille e sessanta. Molti lavorano all’ospedale, una sede distaccata del Carlo Poma di Mantova che impiega 400 persone. “Siamo un paese giovane e pieno di bambini. E senza disoccupazione. Qui c’è un certo benessere. Forse - conclude Bassoli - i ladri ci hanno preso di mira per questo”. Lettera aperta al popolo viola di un ergastolano ostativo www.imgpress.it, 6 settembre 2011 L’ergastolo è un ottimo deterrente, migliore della pena di morte. - Se sei all’ergastolo e non sei morto ritieniti fortunato a essere nato nel paese giusto. - È giusto che l’ergastolano rimanga in cella senza se e senza ma. - Niente pena di morte, troppo semplice la morte se si vogliono uccidere che lo facciano per i cazzi loro, tanto non è che gli manchi lo scrupolo. - Potevi pensarci prima di fare qualsiasi cosa hai fatto. - Fine pena mai, proprio come i genitori o la moglie o i mariti o i figli o sorella e fratello di qualche morto perché la loro pena non finisce mai. - Se vogliamo risolvere i problemi della giustizia basta introdurre la pena di morte per pedofili, mafiosi, stupratori, e assassini. - Devono scontare la loro pena, stop. Pochi piagnistei potevano pensarci prima. - Che li mandassero a Guantanamo e poi vediamo se hanno ancora il coraggio di lamentarsi visto che agli onesti cittadini costano 250 euro al giorno. - Devi morire in silenzio. Se hai avuto l’ergastolo è perché hai ucciso. E a tutti voi che avete pietà, se dovessero uccidere un vostro familiare, avreste pietà lo stesso? Diritto di replica: ricordo ai “buoni” che in Norvegia non esiste l’ergastolo e nei loro carceri, a misura d’uomo, la recidiva è al 20% mentre da noi è al 70% e penso che qualsiasi società ha i criminali che si merita. Credo che nessun uomo o animale sia irrecuperabile e colpevole per sempre e che un popolo e dei giudici liberi e democratici non toglierebbe mai la libertà per sempre a nessuno. Penso che molti ergastolani ostativi siano vivi perché non si sono fatti ammazzare dai morti ammazzati, perché molti di loro hanno ammazzato per evitare di essere uccisi. Credo che dietro i fatti ci sia sempre una verità nascosta e che non interessa a nessuno, perché molti ergastolani ostativi non sono altro che quello che la società ha voluto che fossero e i finti buoni continuano a scaricare le loro colpe sui cattivi. Ricordo ai “buoni” che nella malavita spesso i morti non sono vittime, per questo i vivi non meriterebbero l’ergastolo ostativo. Piuttosto lo meriterebbero (ma non sono d’accordo perché non sono ancora diventato un criminale come sanno esserlo solo i “buoni”) i politici corrotti, i corruttori, i pedofili, gli stupratori, gli assassini di donne e bambini, i venditori di armi e dei cibi avariati ecc. Penso che molti non sanno, o fanno finta di non sapere, che nella grande maggioranza dei casi questi criminali, ricchi, cristiani, incensurati, mafiosi e potenti, non vanno in carcere e se ci vanno vengono condannati con pene lievi, ma mai con l’ergastolo. E in tutti i casi quelle poche persone che vengono condannate all’ergastolo non è mai quello ostativo ai benefici penitenziari. Molti di questi commenti parlano della morte di Falcone e Borsellino, ma veramente pensate che li hanno uccisi la mafia? Ma quale tipo di mafia? E in tutti i casi non lo sapete che moltissimi degli autori della strage sono diventati collaboratori della giustizia e sono liberi? Vi chiamano, o vi fate chiamare, il “Popolo Viola”, ma io vi chiamerei il “Popolo dell’ignoranza” e non perché siete ignoranti, ma perché ignorate che i mass media, i politici vi prendono per il culo. Vi confido che i buoni come voi mi hanno sempre fatto paura e se molti italiani la pensano come voi, preferisco stare dove sono. Però ci tengo a dirvi un’ultima cosa: l’idea che l’uomo “buono” si senta moralmente superiore a quello cattivo e per questo lo può murare vivo in una cella senza la compassione di ucciderlo è aberrante. Buona vendetta. Carmelo Musumeci Campania: il Prap pluripremiato dall’Associazione Italiana Formatori Ristretti Orizzonti, 6 settembre 2011 L’Associazione Italiana Formatori (Aif) Settore Nazionale Pubblica Amministrazione, in questi giorni ha pubblicato la graduatoria finale 2011, relativa al prestigioso premio “Filippo Basile” per la formazione nella Pubblica Amministrazione. In questa occasione l’Aif ha fortemente creduto e valorizzato in ambito nazionale il progetto “E-le@rning in carcere” candidatura presentata dal Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria della Campania. L’obiettivo dell’attività progettuale è quello di promuovere e diffondere la didattica e la formazione in carcere erogata in modalità on-line . Il progetto è stato ideato e curato dai componenti del Gruppo di Studio e Ricerca nazionale ed internazionale istituito all’interno del Prap Campania. Il progetto nazionale “E-le@rning in carcere” ha ricevuto due prestigiosi premi: sulle “Reti Formative” al quale è stato assegnato in ambito nazionale il secondo premio assoluto e , la segnalazione in ambito nazionale di “Eccellenza Progetti”. Caltanissetta: l’autopsia conferma, detenuto morto per encefalite La Sicilia, 6 settembre 2011 Meningo-encefalite: nessun margine di dubbio sulla causa della morte del detenuto mazzarinese Giuseppe Siracusa di 35 anni, stroncato venerdì da un arresto cardiocircolatorio. Il responso sulla natura del decesso è arrivato ieri dalla camera mortuaria del “S. Elia” dove i medici legali Cataldo Raffino e Andrea Maria Curcuraci hanno eseguito l’autopsia su incarico del pm Marina Ingoglia, dopo la denuncia dei familiari del recluso deceduto, che martedì scorso era stato ricoverato nel reparto di Malattie infettive e poi trasferito d’urgenza in Rianimazione dov’è morto. All’esame necroscopico ha partecipato pure il consulente medico nominato dagli avvocati Antonio Impellizzeri e Rosita La Martina, legali della famiglia Siracusa. Dai primi prelievi effettuati sul cadavere, gli esperti hanno accertato che a stroncare Siracusa è stata una meningo-encefalite, ma la tipologia deve essere ancora chiarita. La relazione completa dell’autopsia sarà depositata fra due mesi dai consulenti della Procura incaricati di verificare la causa del decesso e se era possibile, sulla base dei sintomi manifestati da Siracusa, eseguire i necessari trattamenti diagnostici e terapeutici. Un quesito che si ricollega al contenuto dell’esposto dei familiari del giovane presentato ai carabinieri, in cui hanno denunciato presunti ritardi nelle cure dello staff medico della casa circondariale di via Messina. E sul caso prende posizione pure la Uil Penitenziari col suo segretario generale Eugenio Sarno, che teme ora la psicosi. “Purtroppo - afferma - questo decesso conferma gli allarmi che da tempo lanciamo sulla situazione sanitaria negli istituti di pena. Auspichiamo che sulla situazione si mantenga alta la soglia dell’attenzione anche per evitare il rischio di ingiustificate psicosi, che finirebbero per determinare ulteriori problemi all’operatività del contingente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere nisseno. Nelle ultime 48 ore s’è provveduto a trasportare in ospedale due detenuti, stante la sintomatologia dichiarata. I tempestivi rilievi e le analisi effettuate hanno fortunatamente escluso qualsiasi patologia infettiva con particolare riguardo alla meningite”. Apprendi (Pd): carceri devono essere rese vivibili, fare in fretta La morte per meningite avvenuta nel carcere di Caltanissetta e denunciata dal responsabile della Uil della Polizia Penitenziaria è solo l’ultimo episodio, in ordine di tempo, di una lunga serie di decessi avvenuti nelle carceri siciliane per vari motivi. Il sovraffollamento più volte denunciato, contribuisce, certamente, a non potere assicurare condizioni igieniche per l’arco di 24 ore, che mettano al riparo da contagi, tutta la popolazione carceraria; detenuti, agenti e personale vario. Bisogna non creare allarmismi, ma non sottovalutare quanto accaduto. Di campanelli di allarme ne abbiamo avuti tanti ,non ci si può girare la faccia dall’altra parte. Ci vuole un piano straordinario di prevenzione ed intervenire per aprire quelle carceri che sono state definite ed aspettano di entrare in funzione. Ma, soprattutto, urge una riforma carceraria che preveda elementi alternativi di restrizione della libertà per coloro che sono in attesa di giudizio. Viterbo: Garante; ennesima emergenza in carcere, acqua ad elevato contenuto di arsenico Ansa, 6 settembre 2011 Sovraffollamento, mancanza di agenti di polizia penitenziaria e del direttore, carenza di risorse finanziarie ed ora, anche l’emergenza causata dall’acqua ad elevato contenuto di arsenico. Sembra senza fine la situazione di emergenza del carcere “Mammagialla” di Viterbo. La denuncia è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che già all’inizio dell’estate aveva convocato una Conferenza Stampa per rendere pubblica questa situazione: “ma nonostante il mio intervento pubblico - ha detto Marroni - e l’interessamento sempre più pressante delle istituzioni locali, nulla è accaduto anzi, la situazione sembra peggiorare sempre di più”. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap), i detenuti reclusi a Viterbo sono attualmente 741, a fronte di soli 444 posti disponibili. L’ultima emergenza, in ordine temporale è legata all’altissimo contenuto di arsenico nell’acqua di Viterbo. Una situazione che ha costretto il Comune ad installare distributori pubblici di acqua depurata dove si affollano gruppi di cittadini. “Purtroppo - ha detto il Garante - i detenuti del Mammagialla non hanno questa opportunità e sono costretti o a bere l’acqua che esce dai rubinetti o a pagare di tasca propria bottiglie di acqua minerale per bere e cucinare. Un sacrificio troppo grande per detenuti che, troppo spesso, non hanno i soldi neanche per i francobolli”. Il numero dei reclusi e la penuria di risorse hanno causato il peggioramento delle condizioni nel carcere per la scarsità di attività ricreative, formative, scolastiche e lavorative e l’appesantimento dei ritmi e della qualità del lavoro per il personale. Il carcere di Viterbo deve affrontare tali emergenze senza un responsabile. Da mesi la struttura è priva di un direttore ed è retta da un responsabile a mezzo servizio, il dirigente del carcere di Civitavecchia. E, secondo le ultime notizie, sembra che il nuovo direttore non arriverà prima dell’anno prossimo. “La drammatica situazione che si vive a Viterbo è sotto gli occhi di tutti - ha concluso il Garante - Una situazione insostenibile che dovrebbe essere affrontata al massimo livello politico. Cosa che, per altro, non sembra sia fra le priorità del Parlamento né del nuovo ministro della Giustizia Nitto Palma. Ciò che si può fare, nell’immediato, è adottare alcune semplici misure che possano migliorare la vita nel carcere di Viterbo. Per questo credo sia necessario che si tenga un vertice con Prefettura, Regione Lazio, Provincia e Comune di Viterbo, i parlamentari locali, l’Amministrazione penitenziaria e le associazioni di volontariato”. Moretti (Ugl): carcere di Viterbo al collasso, arginare disagi “L’ulteriore intervento del Garante dei detenuti della Regione Lazio in merito al problema dell’acqua rappresenta un’ennesima ed ulteriore preoccupazione per chi opera nella struttura viterbese”. Lo dichiara il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commentando l’elenco di disagi che attanagliano il carcere di Mammagialla di Viterbo, dal sovraffollamento, alla carenza d’organico di agenti fino alla presenza di arsenico nell’acqua. “Mentre il Dap - continua il sindacalista - ha fatto sapere che provvederà ad integrare l’organico con l’arruolamento di nuovi agenti (che stanno ultimando il corso di formazione), - potenziamento che per l’Ugl non basterà a compensare le emergenze derivanti dal grave sovraffollamento -, spuntano nuove disagi come la contaminazione dell’acqua”. Per il sindacalista “l’invivibilità degli istituti penitenziari laziali suscita indignazione e, si spera che, i vari allarmi lanciati possano trovare ascolto come correttamente indicato anche nelle istituzioni locali e regionali”. Aosta: i detenuti di Brissogne scrivono una lettera aperta a Pannella Agenzia Radicale, 6 settembre 2011 “Grazie Marco - si legge nella lettera - hai portato un raggio di luce a chi vive nel buio da tempo, hai dato voce a chi voce non ha più”. La missiva è stata firmata da 208 detenuti sui circa 250 presenti attualmente nella casa circondariale di Aosta. Il carcere di Brissogne torna a far parlare di sé. Ma non per l’ennesimo episodio di violenza ai danni della polizia penitenziaria denunciato da un sindacato, ma per l’iniziativa dei detenuti che stanno scontando la pena nell’istituto valdostano. In 208, sui circa 250 detenuti presenti, nei giorni scorsi, hanno deciso di scrivere una lettera aperta a Marco Pannella per ringraziare l’esponente radicale da sempre impegnato a favore delle persone detenute e unico sostenitore, insieme ai suoi compagni di partito, della necessità di un’amnistia per ripristinare condizioni più vivibili e umane all’interno degli istituti di pena italiano. “I detenuti del carcere di Brissogne, tutti uniti in modo spontaneo - si legge nella lettera - intendono manifestare la massima solidarietà verso colui che sta combattendo una nobile battaglia di civiltà, intrapresa con coraggio e determinazione, tutta volta in difesa dei nostri diritti”. “Grazie Marco - continua la lettera - hai portato un raggio di luce a chi vive nel buio da tempo, hai dato voce a tutti coloro che voce non hanno più. Ti saremo riconoscenti a vita per la speranza che hai seminato nei nostri cuori, il tuo insegnamento di vita rimarrà comunque eterno”. Segue la firma “Tutti i detenuti uniti” e 208 firme suddivise per cella e per sezione. Napoli: le detenute di Pozzuoli diventano chef per un giorno Redattore Sociale, 6 settembre 2011 “Cena galeotta” il 20 settembre. L’incasso della serata sarà devoluto all’associazione “Il carcere possibile”: servirà ad acquistare beni utili a rendere più piacevole la permanenza delle 160 recluse. L’anno scorso raccolti oltre 3 mila euro. Le detenute diventano chef per un giorno. Succede al carcere femminile di Pozzuoli che ospiterà martedì 20 settembre una “cena galeotta”, l’iniziativa benefica realizzata grazie alla collaborazione tra gli educatori della casa circondariale con Tribunale di Napoli, Polizia Penitenziaria, Lions sezione Campi Flegrei, Ristoratori flegrei, Consorzio Tutela Vini dei Campi Flegrei, Le Strade del Vino Campi Flegrei, Associazione Italiana Sommelier di Napoli. L’evento, giunto alla sua seconda edizione, chiude “Malazè”, la consueta manifestazione eno-gastronomica ideata da Rosario Mattera che unisce i ristoratori dei Campi Flegrei nella tutela del patrimonio dei prodotti tipici locali. L’incasso della serata (il biglietto costa 50 euro) sarà interamente devoluto all’associazione Il carcere possibile onlus, che lo destinerà all’acquisto di beni e oggetti utili a rendere più piacevole la permanenza delle 160 detenute di Pozzuoli. “L’anno scorso - racconta Adriana Intilla, educatrice - abbiamo raccolto oltre 3mila euro, riscontrando la soddisfazione da una parte delle detenute che si sono fatte conoscere per le proprie doti culinarie, dall’altra dei partecipanti, oltre 60, che hanno apprezzato i piatti proposti”. Con i soldi raccolti nel 2010 sono stati acquistati: televisori, lettori dvd con oltre 30 film, un frigorifero all’interno del laboratorio di cucina e pasticceria e degli ombrelloni da giardino. E sarà proprio il giardino della casa circondariale napoletana a fare da cornice all’originale serata, in cui a cucinare e servire saranno otto detenute, sotto la guida dei migliori chef e sommelier dei Campi Flegrei. “Altro piccolo grande risultato della precedente edizione - sottolinea fiera la Intilla, tra le promotrici dell’iniziativa - è stato che due detenute, grazie al loro talento e alla formazione acquisita durante la loro permanenza nell’istituto, sono state notate e selezionate da due ristoratori della zona. Così, una volta uscite, hanno trovato la loro strada e realizzato il loro sogno”. Cosenza: Ugl; gravi problemi di erogazione idrica nelle carceri Redattore Sociale, 6 settembre 2011 “Gravi problemi di erogazione idrica, sia nelle caserme agenti che nei padiglioni detentivi” delle carceri di Cosenza e Castrovillari, “dove risultano allocati i circa 650 utenti totali dei due istituti penitenziari”, vengono denunciati dall’Ugl Polizia penitenziaria della Calabria in una lettera al Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria. “Sono di stretta attualità - sostiene l’Ugl - le notizie e le segnalazioni che continuano a pervenire al sindacato e che vedrebbero le Case circondariale di Cosenza e Castrovillari afflitte da gravi problemi di erogazione idrica. Nel caso della Casa circondariale di Castrovillari sembra si stia ovviando, senza non poche difficoltà, con l’approvvigionamento mediante autobotti. Per quanto attiene la casa circondariale di Cosenza, invece, sfuggono le motivazioni per cui impianti idrici interessati da recenti interventi di risanamento diano dei così precoci segni di cedimento tanto da generare una pressione idrica insufficiente, agli usi cui è destinata un bene primario quale l’acqua. A questo punto le ipotesi non possono che essere riconducibili o ad una discutibile realizzazione dei lavori eseguiti all’epoca o ad un altrettanto discutibile manutenzione ordinaria. Sta di fatto che trattasi sicuramente di una vicenda assurda, che non trova alcuna giustificazione”. “L’unico elemento che conforta e che produce un certo ottimismo circa una risoluzione tempestiva della vicenda - sostiene l’Ugl - è che tale problematica affligge anche l’intera popolazione detenuta nella casa circondariale di Cosenza: pertanto non risulta peregrino ipotizzare che ci si adopererà alacremente per risolverlo. Amara riflessione, quest’ultima, maturata anche alla luce di un’altra problematica che investe proprio in questi giorni il personale di polizia penitenziaria della casa circondariale di Cosenza. Infatti, nonostante i due imponenti climatizzatori presenti nella mensa siano praticamente guasti da un mese circa, nessuno ha sentito ad oggi la necessità di adoperarsi affinché fossero riparati o sostituiti”. “Si chiede - conclude l’Ugl - un autorevole e celere intervento risolutore. In caso contrario la scrivente organizzazione sindacale si vedrà costretta a sollecitare le autorità competenti affinché dichiarino l’inagibilità dei locali”. Immigrazione: nigeriana a rischio lapidazione nel Cie di Ponte Galeria fino ad asilo Ansa, 6 settembre 2011 È stata portata nel Centro Cie di Ponte Galeria, a Roma, Kate Omoregbe, la nigeriana di 34 anni che ieri ha lasciato il carcere di Castrovillari dopo avere finito di scontare una condanna per spaccio di droga e che ha chiesto asilo politico in Italia per evitare la lapidazione nel suo Paese. Kate resterà nel Centro fino a quando la sua richiesta di asilo non sarà valutata sul piano giudiziario ed amministrativo. A esaminare il primo aspetto sarà il giudice di sorveglianza di Roma, che dovrà decidere, in particolare, se sospendere la pena accessoria prevista dalla sentenza di condanna della giovane nigeriana emessa dalla Corte d’appello di Roma e confermata dalla Cassazione che stabilisce la sua espulsione dall’Italia. La decisione del giudice si baserà, in particolare, sulla valutazione dell’attuale pericolosità sociale della giovane. Sul piano amministrativo la richiesta di asilo politico avanzata da Kate Omoregbe sarà valutata dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo del Ministero dell’Interno. I tempi di valutazione della richiesta di asilo politico, comunque, non sono brevi. Nel frattempo, secondo quanto hanno riferito fonti investigative, Kate Omoregbe resterà nel Cie di Roma e non potrà tornare in Calabria malgrado l’ospitalità offertale dal presidente della Regione, Giuseppe Scopelliti. Immigrazione: Pd; Maroni liberi i bimbi detenuti a Lampedusa, ce ne sono oltre 200 Dire, 6 settembre 2011 “La reclusione di oltre 200 tra bambini e adolescenti immigrati nelle strutture di detenzione di Lampedusa, denunciata oggi dal settimanale L’Espresso, è pura barbarie, indegna di un paese civile”. Lo dichiarano in un comunicato congiunto i deputati del Partito Democratico, Anna Paola Concia, Michele Meta e Jean Leonard Touadi. “Una barbarie - aggiungono - che non può e non deve essere perpetrata. Nei prossimi giorni - annunciano - ci recheremo inoltre a Lampedusa per verificare di persona lo stato psicofisico di questi ragazzi”. Gran Bretagna: ministro della Giustizia; disordini frutto di un codice penale in frantumi Ansa, 6 settembre 2011 Il ministro della Giustizia britannico, Kenneth Clarke, ha detto che i disordini che si sono verificati a Londra durante il mese di agosto sono frutto di un codice penale “in frantumi”. Il sindaco della capitale britannica Boris Johnson ha affermato di essere “d’accordo con Clarke” e ha aggiunto che secondo lui il sistema penale “deve essere completamente riformato”. Il ministro della Giustizia ha sottolineato che circa tre quarti degli adulti che sono stati accusati di essere coinvolti nei saccheggi e nelle violenze avevano precedenti penali. “Questa è la conseguenza di un sistema di giustizia penale che cade a pezzi”, ha dichiarato Clarke in un’intervista con la stampa britannica. “Il nostro paese ha un problema di base se non riesce a riabilitare i criminali. Dobbiamo domandarci: come funzionano le nostre prigioni? Cosa stiamo realmente facendo per cambiare la vita ai delinquenti, se quando escono dal carcere ritornano subito alla malavita?”. Infine, per quanto riguarda la mano pesante che la magistratura britannica sta usando nei confronti dei protagonisti delle rivolte, Clarke ha detto che i giudici “stanno facendo la cosa giusta” e che secondo lui le pene dovrebbero essere ancora più severe. Svezia: prigionieri politici Ddr ai lavori forzati in fabbriche dell’Ikea Tm News, 6 settembre 2011 Prigionieri politici della Ddr costretti ai lavori forzati per produrre un classico dell’arredo Ikea, il divano Klippan. Portate agli estremi, queste sono le conclusioni di un’inchiesta giornalistica della rete televisiva tedesca Wdr sulle fabbriche del gigante svedese dell’arredamento nella Germania dell’Est. La collaborazione tra Ikea e Ddr, la Repubblica democratica tedesca, è stata particolarmente proficua negli anni Settanta, quando nel paese comunista vennero aperti diversi stabilimenti di produzione. Uno di questi, quello di Waldheim, - rivelano gli archivi della Stasi consultati dai giornalisti tedeschi - era situato nei pressi di una prigione, dove erano rinchiusi numerosi prigionieri politici, costretti a lavorare senza remunerazione. “La nostra squadra viveva nel piano superiore della fabbrica, con le finestre coperte”, racconta Otto Klare, detenuto perché aveva tentato di fuggire nella Germania Ovest. “I macchinari erano al piano terra e c’era poco altro. Non c’erano posti per sedersi, non avevamo cuffie per proteggerci dal rumore, né guanti da lavoro. Le condizioni erano ancora più dure che nel resto della Germania orientale, si trattava di lavori forzati”. Da un file della Stasi emerge anche che, INgvar Kamprad, il fondatore di Ikea, avrebbe detto di non essere a conoscenza del ricorso al lavoro di detenuti nelle sue fabbriche, ma che “se anche fosse, sarebbe nell’interesse della società”. Siria: capo della Croce Rossa incontra detenuti del carcere centrale di Damasco Ansa, 6 settembre 2011 Le autorità siriane per la prima volta hanno autorizzato la Croce Rossa internazionale (Cicr) ad accedere alla prigione centrale di Damasco nella periferia di Adra, secondo un comunicato dell’organizzazione, pubblicato il 5 settembre a Ginevra. Secondo il testo, la visita dei delegati dell’organizzazione sono cominciate il 4 settembre e il direttore del Circ Jakob Kellenberger, ha incontrato il presidente Bachar Al-Assad nella mattina del 5 settembre. I rappresentanti internazionali potranno come prima cosa incontrare dei prigionieri detenuti su ordine del ministero dell’interno e “speriamo presto poter visitare tutti i detenuti” ha indicato Jakob Kellenberger. “È un passo importante per le attività umanitarie in Siria”. L’incontro tra il presidente siriano e il responsabile della Croce Rossa ha riguardato gli ultimi sviluppi della situazione in Siria, confronto alla situazione del paese, monitorata durante la prima visita di Jakob Kellenberger avvenuta a giugno. All’epoca un accordo era stato concluso che prevedeva un migliore accesso della Croce Rosse e della Mezza Luna siriana (croce rossa locale) alle zone dove avvengono i disordini e anche dei negoziati sulle visite da parte del Cicr ai detenuti” secondo un comunicato dell’organizzazione. Il presidente della Croce Rossa ha sottolineato lunedì “che una delle sue principali preoccupazioni ora era di assicurare che i feriti e malati possano beneficiare di un trattamento medico”. Secondo l’Onu, le violenze nel paese hanno fatto più di 2.200 morti di maggioranza civili, e più di 10.000 persone sono state arrestate. Secondo un rapporto pubblicato la settimana scorsa di Amnesty International, il numero di morti nelle prigioni Siriane ha aumentato in modo “allarmante” nel 2011 in confronto agli anni precedenti. Ottantotto il numero di decessi in prigione recensito solo dal 1 aprile al 15 agosto. Tutti si sesso maschile, di cui dieci ragazzi dai 13 ai 18 anni. Per al meno cinquanta due casi Amnesty dichiara di disporre di sufficienti elementi per pensare che “atti di tortura o di maltrattamento hanno condotto o contribuito al decesso”. Afghanistan: Onu denuncia torture, stop a consegna detenuti ad autorità locali Agi, 6 settembre 2011 La Nato sta considerando di sospendere il trasferimento di prigionieri in alcune carceri afghane in seguito a denunce diffuse di casi di tortura, contenute in un rapporto delle Nazioni Unite non ancora reso noto. Le accuse si riferiscono a presunti casi di tortura con percosse ed elettroshock. Nel rapporto si accenna anche all’esistenza di prigioni segrete, gestite dalla polizia afghana e dall’intelligence . Pakistan: ragazzi rapiti da talebani, chiesto scambio detenuti e stop milizie governo Aki, 6 settembre 2011 Rilascio dei Talebani detenuti nelle carceri del governo e scioglimento delle milizie pro-Islamabad. Sono queste le condizioni che i Talebani hanno posto per il rilascio dei 20 ragazzi presi in ostaggio dopo che per errore avevano attraversato il confine con l’Afghanistan. Le richieste sono state rese pubbliche dopo che i Talebani hanno concesso a un gruppo di giornalisti afghani, portati in un luogo segreto e non identificato, di intervistare quattro dei bambini rapiti. Un comandante Talebani, che ha detto di chiamarsi Mullah Ubaidullah, ha spiegato che i ragazzi, di età compresa tra i 10 e i 18 anni, sono stati rapiti giovedì scorso mentre visitavano la zona di Ghaki Pass nel distretto di Bajaur al confine durante le festività dell’Eid al-Fitr. Nuotando in un fiume, hanno attraversato il confine afghano entrando nella provincia di Kunar. I Talebani avevano immediatamente rivendicato il rapimento, ma fino ad oggi non avevano posto condizioni per il rilascio degli ostaggi, tutti appartenenti alla tribù Mamoond che sostiene le forze governative. Islam Zaif Khan, massimo rappresentante del distretto pakistano, ha detto oggi che sono in corso contatti a livello governativo tra Islamabad e Kabul e che anche le truppe locali stanno facendo il possibile per individuare i rapiti. Stiamo facendo tutto il possibile, ha detto Khan. Ma il governo pakistano può fare poco, ha detto una fonte dell’intelligence che ha parlato a condizione di anonimato. I ragazzi sono nella provincia afghana di Kunar dove né il governo afghano, né la Nato hanno il controllo. Quello che il governo pakistano può fare al massimo è di aspettare le richieste dei Talebani, ha dichiarato. Intanto la tribù Mamoond ritiene che il governo stia facendo ben poco per cercare i ragazzi rapiti. È il governo che deve trovare il modo per riportare a casa i nostri ragazzi, ha detto un anziano esponente tribale, Malik Fatih Gul. Forse dovrebbero arrestare qualche parente dei Talebani in modo da costringerli a rilasciare i nostri ragazzi. Devono fare qualcosa, ha aggiunto. Gul ha spiegato che i leader della tribù stanno cercando di negoziare loro con i Talebani. I genitori temono che i Talebani possano fare il lavaggio del cervello ai loro ragazzi e li possano trasformare in attentatori suicidi, ha detto Gul.