Giustizia: Nitto Palma; allarme per i tagli in arrivo dalla manovra finanziaria bis da Roma Angelo Picariello Avvenire, 5 settembre 2011 Il fronte degli enti locali non molla. Anzi, si apre lunedì una settimana di fuoco. Una protesta che vede, peraltro, fra i principali protagonisti esponenti di primo piano della maggioranza, dal governatore della Lombardia Roberto Formigoni, al presidente dell’Anci Osvaldo Napoli, cui si aggiunge ora il presidente della Provincia di Milano, l’eurodeputato del Pdl Guido Podestà, che si scaglia contro l’abolizione, peraltro solo ipotizzata, delle Province: “Serve un’operazione verità sui reali costi e benefici, perché eliminarle non diminuisce, anzi aumenta la spesa pubblica”. Un “antipasto” della mobilitazione lo offre già oggi pomeriggio il “Flash mob” organizzato a Varese dal sindaco, e presidente di Anci Lombardia, Attilio Fontana, in collaborazione con la locale sezione della Lega. Una protesta che è la spia della crescente insofferenza della base lumbard, di fronte a una leadership bossiana sempre più traballante, come dimostra il sì poi rimangiato all’accordo di Arcore, sulle pensioni. E anche l’asse che Roberto Calderoli mantiene con Giulio Tremonti viene visto più come una minaccia che come una garanzia per le ragioni insoddisfatte della Lega. “Dalla Robin tax arrivano solo altri 600 milioni da dividere fra tutti gli enti locali, un po’ pochini - lamenta Fontana. In questi anni i Comuni hanno tagliato il loro deficit di 3 miliardi, mentre lo Stato ne ha creato altri 40”, fa i conti Fontana, fra gli uomini più vicini a Roberto Maroni. Il ministro dell’Interno, che si fa interprete di questa protesta nel governo, ha incontrato ieri Gianni Alemanno: “Mi ha promesso che farà tutti gli sforzi possibili”, fa sapere il sindaco di Roma. Ma intanto cresce anche l’insofferenza nei ministeri per i tagli ulteriori che lascia intravedere questa mini-virata a vantaggio degli enti locali. Se ne fa interprete Gaetano Quagliariello: “Forse i ministeri avrebbero qualche ragione in più per protestare. Gli enti locali - sostiene - hanno ottenuto miglioramenti, con la Robin tax ma anche con la partecipazione ai proventi dell’evasione”, entrate però che gli enti locali considerano solo virtuali o comunque sovrastimate. Trapela la preoccupazione, di più, l’irritazione, del neo-ministro Nitto Palma per i tagli che dovrebbero colpire anche la Giustizia, con la situazione delle carceri allo stremo - sulla quale si batte anche il presidente Napolitano - che rischia il collasso. Le altre situazioni al limite sono soprattutto quelle della Difesa, con Ignazio La Russa in trincea e del Viminale. Il che - sulla sicurezza - apre un nuovo fronte di dissidio strisciante fra Maroni e Tremonti, oltre alla partita degli enti locali che lo stesso ministro dell’Interno ha fatto sua. È una manovra che cambia ogni due giorni”, protesta il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. “Questo governo non trova il bandolo della matassa e disorienta i cittadini,”, sbotta la governatrice del Lazio Renata Polverini con toni non diversi da quelli usati dai leader dell’opposizione. “In queste condizioni si rischia uno scontro istituzionale che non abbiamo aperto noi - avverte Roberto Formigoni. Io non posso recedere da questa battaglia, il Pdl scenda in campo”, rincara la dose il presidente della Lombardia. Lunedì, in questo clima surriscaldato, la nuova settimana di mobilitazione si apre a Roma con una manifestazione congiunta di Anci (Comuni), Upi (Province) e Regioni, per fare pressione su tutte le forze politiche del Senato, approfittando anche delle crepe che questa situazione apre nella maggioranza. Nella quale - non a caso - un fronte ampio chiede che non venga apposta la fiducia. Per il fronte compatto degli enti locali in programma anche, lunedì mattina, un incontro con i capigruppo e poi con il presidente del Senato Renato Schifani, proprio per chiedere maggiori margini di manovra per correttivi. Un segnale di un certo rilievo arriva intanto sulle auto blu, con la Corte dei Conti che certifica in 900 milioni il taglio alle auto blu deciso per decreto dal ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta: 240 nella Pubblica amministrazione centrale e 660 nelle amministrazioni locali. “Bel segnale”, si compiace il ministro della Gioventù Giorgia Meloni. Giustizia: Osapp; bene la depenalizzazione voluta da Nitto Palma Ansa, 5 settembre 2011 La proposta di depenalizzare i reati minori, avanzata dal ministro della giustizia, Francesco Nitto Palma, è stata accolta positivamente dal sindacato di polizia penitenziaria, l’Osapp, attraverso le parole del suo Segretario Generale Leo Beneduci. “Se il ministro Palma, come ha preannunciato lo scorso mese, vuole veramente intervenire con misure intese alla depenalizzazione e alla decarcerizzazione - ha dichiarato Beneduci - è giunto il momento di farlo senza ulteriori indugi, anche tenuto conto che, nel contingente momento di emergenza economica, ciò produrrebbe ingenti risparmi anche rispetto alle risorse che il sovrabbondante sistema penitenziario deve impiegare in questo momento”. Ricordando che il numero dei detenuti è salito, sono “di nuovo 67mila”, per la cessazione degli effetti deflattivi della cosiddetta legge e anche per “il pieno ripristino delle attività di Polizia sul territorio”, l’Osapp ha manifestato l’intenzione di sostenere anche pubblicamente l’ iniziativa di depenalizzazione dei reati minori, proposta da Nitto Palma. Giustizia: penalisti; stralciare emendamento di manovra finanziaria bis su reati tributari Adnkronos, 5 settembre 2011 Il Governo e il Senato stralcino l’emendamento Tremonti-Azzollini alla manovra finanziaria bis, con cui si vuole modificare il decreto legislativo 74 del 2000. A sollecitarlo, in una delibera, è la Giunta dell’Unione camere penali italiane. Nel documento, fortemente critico nei confronti della norma che rivede i reati fiscali e tributari, “allargando a dismisura l’area del penalmente rilevante”, i penalisti parlano di un’iniziativa “dettata dall’esigenza di fare cassa in modo indiretto anziché dal proposito di attuare un piano razionale di politica criminale”, e quindi “in contrasto con le misure deflattive che da ogni parte si invocano, sia riguardo il carico giudiziario penale, sia riguardo la situazione delle carceri”. Non è concepibile, aggiunge l’Ucpi, che “per modifiche legislative di tale portata, destinate a modificare l’assetto sanzionatorio di un ambito socialmente rilevante, si adotti un emendamento in sede di conversione di un decreto legge finanziario: dunque con una tecnica legislativa necessariamente frettolosa e caratterizzata da una compressione del dibattito parlamentare”. A giudizio dell’Ucpi è “intollerabile”, che “l’aspetto tecnico di redazione delle norme penali debba cedere il passo alle esigenze di propaganda, finalizzata a dimostrare virtuosità nei conti e durezza nella lotta all’evasione fiscale”. Per i penalisti, “non deve essere ripetuto l’errore, già commesso in altre occasioni, di voler combattere i fenomeni criminosi utilizzando gli istituti del processo e del diritto penale in modo improprio e sommario”. Le modifiche normative proposte invece, si fa notare nel documento, “abbassano le soglie di punibilità ed aumentano le sanzioni dei reati tributari, producendo l’effetto di ampliare di molto l’area del penalmente rilevante, peraltro su questioni che, come insegna l’esperienza giudiziaria in materia fiscale, sovente si fondano su interpretazioni normative anziché su fatti oggettivi”. Appare poi “patologico il resto dell’emendamento - spiegano i penalisti - laddove si vieta l’applicabilità della sospensione condizionale della pena, ovvero il patteggiamento; così come si aumenta a dismisura la prescrizione del reato, in quanto si tratta di benefici sostanziali e processuali di portata generale la cui limitazione spersonalizzerebbe il giudizio penale”. Giustizia: Clemenza e Dignità; pena dovrebbe essere un fatto positivo per la collettività www.imgpress.it, 5 settembre 2011 Lo Stato non è un direttore spirituale, lo Stato punisce i rei non perché possegga un’autorità sulle anime, sulle coscienze dei singoli, ma semplicemente perché le loro condotte hanno leso dei beni ritenuti d’importanza pubblica, i beni la cui salvaguardia consente una pacifica ed ordinata convivenza civile all’interno dello Stato stesso. Lo dichiara in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità. Premesso ciò, - prosegue - possiamo arrivare a comprendere quanto sia errata la nostra attuale concezione di pena, vista prevalentemente come sofferenza individuale, privata, come sofferenze del corpo e pure dell’anima fini a se stesse. In una visione pubblicistica che è l’unica che consente allo Stato di punire, - osserva - la pena non può essere un fatto puramente privato e intimo, la pena deve essere vista sempre in un contesto sociale, deve essere in grado di reintegrare con gli altri e nella società, deve essere in grado di ricomporre quella frattura con l’ordinamento, provocata dal comportamento antigiuridico. Ora è evidente - aggiunge - che per ricomporre, per riparare, servono anche degli atteggiamenti positivi, serve il proposito, serve il fare, serve l’azione, mentre a poco o a nulla possono rilevare i pianti, le urla e le grandi disperazioni individuali. Proprio per aderire alla tesi della pena come fatto pubblico, che è l’unica corretta e legittima, - conclude - nei molteplici casi per cui il ricorso alla detenzione non trovi giustificazione nel plausibile pericolo per la collettività, la pena può e dovrebbe consistere in un’azione risanatrice, in un fatto positivo, in un concreto vantaggio per gli altri associati che non hanno contravvenuto alle leggi. Giustizia: e se Gheddafi venisse in Italia? non lo potremmo né giudicare né estradare di Patrizio Gonnella Micromega, 5 settembre 2011 Qualora il Rais decidesse di fare uno scherzo al suo ex amico Silvio potrebbe decidere di farsi vedere a Roma. A quel punto il governo italiano dovrebbe interrogarsi su come gestire un personaggio sotto accusa da una corte internazionale. La magistratura disporrebbe di armi spuntate. L’Italia sarebbe in difficoltà nel consegnarlo ai giudici dell’Aja, presso i quali il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha avviato contro Gheddafi un procedimento per crimini contro l’umanità. Lo Statuto della Corte Penale Internazionale - abilitata a giudicare crimini di guerra, il genocidio, la tortura, le sparizione forzate, gli stupri etnici - fu firmato solennemente a Roma nel luglio del 1998. Su pressione delle organizzazioni non governative italiane il Parlamento ratificò prontamente il disegno di legge che recepiva quello Statuto. Affinché, però, quello Statuto potesse funzionare anche nell’ordinamento giuridico italiano era necessario andare oltre la mera ratifica e adattare a esso i nostri due codici penale e di procedura penale. Ecco tre esempi relativi alle lacune del nostro sistema: a) avremmo dovuto introdurre nel codice penale il reato di tortura; non avendolo fatto risulta ben difficile consegnare a un giudice sovranazionale una persona che ha compiuto secondo lo Statuto internazionale un reato che in Italia tale non è; b) avremmo dovuto prevedere le procedure di arresto per una persona che si è macchiata di crimini nel suo Paese e non nei confronti di alcun cittadino italiano; c) avremmo dovuto legittimare con apposite procedure la Corte de l’Aja a chiedere l’estradizione dell’imputato di crimini contro l’umanità presente nel nostro territorio. Il nostro ordinamento non prevede la possibilità di arrestare e giudicare una persona che ha compiuto all’estero crimini efferati nei confronti dei cittadini del suo paese. Non abbiamo mai introdotto il principio della giurisdizione universale per chi è accusato di crimini contro l’umanità. Più volte il ministro degli esteri Frattini si è impegnato pubblicamente a rimediare a tali storture, ma nulla di significativo è accaduto. Torniamo infine a Gheddafi. Lui in Italia potrebbe pertanto ben riuscire a evitare il trasferimento a l’Aja. Il Rais, però, conosce il disprezzo dei nostri governanti verso la legalità interna e internazionale. Per questo sceglie altre sponde. Forse teme che sia consegnato - come è accaduto per Abu Omar o Abdullah Ocalan - a chi vuole ammazzarlo anziché legalmente processarlo. Giustizia: la strage di Bologna del 1980 e l’infondatezza della pista palestinese di Sandro Padula Liberazione, 5 settembre 2011 Verso la metà di agosto, quando si è saputo che due cittadini tedeschi, Thomas Kram e Christa Frohlich, erano stati iscritti sul registro degli indagati per la strage di Bologna del 1980, alcuni vecchi depistatori si sono ubriacati a suon di champagne e, fra un bicchiere e l’altro, non hanno potuto far altro che scambiare lucciole per lanterne. Dopo un lungo periodo di raccolta di informazioni sui due tedeschi in relazione alla pista palestinese, la Procura di Bologna doveva iscriverli nel registro degli indagati come condizione preliminare per poter decidere, cosa che avverrà in futuro, se riscrivere o meno la vicenda del più grave crimine politico compiuto durante la Prima Repubblica. Per questo motivo, a differenza di quanto ritiene Andrea Colombo sul settimanale “Gli Altri” del 2 settembre, non è affatto vero che “l’indagine su Thomas Kram e Christa Frohlich” renderebbe “più fragile la sentenza contro i Nar”. Se furono deboli le prove d’accusa contro i neofascisti dei Nar (e indiscutibili, preziosissime e fondamentali le prove contro i ben più pericolosi e criminali depistatori di Stato interni al Sismi), quelle contro i due tedeschi sono del tutto inesistenti. L’iscrizione di questi ultimi sul registro degli indagati non significa di per sé che la Procura di Bologna possieda qualcosa in più rispetto alle ipotesi fatte in questi anni sulla pista palestinese e di “sufficiente per avviare ufficialmente l’indagine”. Lo stesso Andrea Colombo sa benissimo che la pista palestinese “non è solida come hanno cercato di spacciarla i commissari di centrodestra della Mitrokhin”. Auspica, di conseguenza, che le indagini abbiano “qualcosina in più”, ad esempio a proposito di un incontro che sarebbe avvenuto nell’ottobre 1980, a Budapest, fra Carlos e i due tedeschi, ma così facendo si rivela più maldestro di quei commissari. Quella eventuale riunione non rende affatto “più corposa” la pista palestinese rispetto ad una strage di Bologna avvenuta …. due mesi prima! Colombo non è nuovo a queste confusioni sui tempi. Alcuni anni fa scrisse un libro in cui ipotizzava che la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata per far uscire subito di galera il palestinese Saleh, arrestato a Ortona nel 1979 mentre stava trasportando un missile. Colombo pensava che Saleh fosse uscito di prigione poco tempo dopo l’eccidio. Adesso, sapendo che quella sua ipotesi era del tutto falsa, cambia versione. Secondo il suo attuale approccio, la strage del 2 agosto 1980 sarebbe stata organizzata da un gruppo collegato al Fplp diretto dal dottor George Habbash e avallata da quest’ultimo allo scopo di vendicare l’arresto di Saleh. Ma pure questo movente non regge. Il piduista e faccendiere del Sismi Francesco Pazienza, condannato con sentenza definita per depistaggi sulla strage di Bologna, in una intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 30 gennaio 2009 dichiarò che durante la campagna presidenziale statunitense del 1980 aveva contribuito alla vittoria di Reagan (insediatosi alla Casa Bianca il 20 gennaio 1981) perché diede ai reaganiani l’informazione secondo cui il fratello del presidente in carica Jimmy Carter aveva dei buoni rapporti con George Habbash. In altre parole, traducendo il significato implicito delle parole di Pazienza, nell’agosto del 1980 George Habbash non era per nulla interessato a far compiere o ad avallare degli attentati in Italia perché, oltre a ai tradizionali rapporti diplomatici con il nostro paese, aveva delle buone relazioni tattiche con gli Usa di Carter. Su questo punto non insiste neppure il deputato di Fli Enzo Raisi, cioè l’ex commissario di centrodestra della Mitrokhin che alcuni anni or sono depositò nella Procura di Bologna i documenti che stanno all’origine dell’attuale iscrizione dei due tedeschi sul registro degli indagati. Raisi ritiene che per dimostrare la validità della pista palestinese bisognerebbe puntare solo ed esclusivamente sull’ipotesi dello “scoppio accidentale”: “loro stavano trasportando l’esplosivo, come facevano sempre, che scoppiò per caso” (intervista a Raisi del 20 agosto pubblicata su “Il Resto del Carlino”). L’unica spiegazione rimasta alla pista palestinese sarebbe quindi quella relativa allo scoppio accidentale. Questa ipotesi, d’altra parte, risulta antitetica rispetto ad ogni minima valutazione di carattere tecnico-scientifico. Vediamo perché. La strage di Bologna del 2 agosto 1980 fu causata dalla deflagrazione di una valigia piena di circa 20 chilogrammi di “Compound B”, un esplosivo di fabbricazione militare, per altro in dotazione ad istituzioni come la Nato, che non scoppia da solo o per un “incidente”. Il “Compound B” ha bisogno di un innesco per poter scoppiare, cioè di un qualche tipo di marchingegno meccanico o elettronico per la detonazione, e di qualcuno che lo abbia inserito preventivamente. Infine, tanto per dimostrare la totale infondatezza della pista palestinese rispetto alla strage di Bologna, è necessario ricordare che nella storia della Prima Repubblica l’uso criminale del “Compound B” ha sempre avuto una precisa matrice politica reazionaria. Come si è saputo alla fine del 1995 grazie ad una perizia ordinata dalla Procura di Pavia, il “Compound B” fu l’esplosivo che, collegato in precedenza ad un congegno meccanico da alcuni esperti dei servizi segreti militari italiani, il 27 ottobre 1962 uccise il dirigente dell’Eni Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista William Mc Hale. In sintesi: l’arma, il movente e la matrice politica della strage di Bologna non hanno letteralmente nulla a che fare con i palestinesi. Sardegna: Sdr; carceri sovraffollate, su 2.035 detenuti 537 sono in attesa di giudizio Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2011 Nei 12 Penitenziari della Sardegna vivono complessivamente 2.035 detenuti (61 donne), 537 sono in attesa di giudizio (238 non hanno ancora subito neppure un processo, gli altri sono appellanti), 1.471 invece sono definitivi. Gli stranieri sono 863. I dati, diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, si riferiscono alla situazione al 31 agosto 2011. Lo rende noto Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” sottolineando che “la presenza di un così elevato numero di detenuti in attesa di giudizio è un grave segnale di malessere”. “In un mese, nell’isola i cittadini privati della libertà sono aumentati mentre sono diminuiti gli Agenti di Polizia Penitenziaria. Solo nella Casa Circondariale di Buoncammino ne mancano ormai una settantina. Al 31 luglio - precisa Caligaris - i detenuti erano 2011, 24 di meno. Un dato che acquista un significato più preciso se si considera che in Sardegna nell’ultimo mese hanno lasciato il carcere per la legge sull’esecuzione nel domicilio delle pene detentive fino a 12 mesi complessivamente 9 persone (da quando la norma è divenuta esecutiva al 31 agosto solo137 detenuti (tra cui 33 stranieri e 4 donne) sono andati ai domiciliari. Nei primi giorni di settembre però il numero di ristretti è ulteriormente cresciuto di 70 unità per iniziativa del DAP che ha trasferito nell’isola detenuti dalla Penisola distribuendoli nei diversi Istituti”. “Rispetto a realtà come la Lombardia (9.312 detenuti contro un capienza regolamentare di 5.652 posti), la Sicilia (7.754 contro 5.419) o la Campania (7.554 contro 5.593), quella sarda (2.035 contro 1.981) appare come una condizione accettabile se non felice. Ciò che però rende invivibile la permanenza dentro le carceri dell’isola è la distribuzione nei singoli Istituti. Solo nel carcere di Buoncammino di Cagliari convivono oltre 530 detenuti (380 è invece la capienza regolamentare). Un sovraffollamento reso ancora più difficile trattandosi di una struttura risalente alla fine dell’Ottocento”. “La presenza di oltre un quarto di detenuti in attesa di giudizio dentro il sistema penitenziario isolano - evidenzia la presidente di Sdr - determina una condizione difficile da gestire. È noto infatti che il primo periodo di detenzione risulta particolarmente gravoso per la persona privata della libertà e condiziona fortemente la convivenza dentro le celle. Sono i soggetti più fragili e maggiormente esposti ad atti di autolesionismo estremo. Una situazione che richiama la necessità di ridurre i tempi di attesa della sentenza e di creare un ambiente in grado di contenere - conclude Caligaris - il malessere dei ristretti”. Liguria: Cisl; polizia penitenziaria deve anticipare benzina, carta igienica e uniformi Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2011 Carceri sovraffollate, carenza di organico per gli agenti di polizia penitenziaria costretti a sacrifici economici e superlavoro. L’ennesimo segnale d’allarme arriva dalla Fns Cisl: “Da tempo - dicono i sindacati - le problematiche legate alla questione carceraria sono all’attenzione del paese, e proprio per questo riteniamo, in questo scampolo di fine estate, di rilanciare un segnale di allarme su questo “Mondo” accantonato e spesso dimenticato dalla società civile. Un “Mondo”, appunto, dove il personale della Polizia Penitenziaria è costretto a convivere e sobbarcarsi la sofferenza della popolazione detenuta, dove ai Poliziotti Penitenziari non viene assicurato di poter operare con mezzi e strumenti almeno sufficienti, anzi sono spesso costretti ad anticipare di tasca propria alcune spese essenziali al funzionamento dei servizi; dal carburante alle spese per missioni e traduzioni fuori sede, dall’approvvigionamento di carta sino ai prodotti per l’igiene, per arrivare a taluni capi di vestiario delle uniformi. Personale obbligato al lavoro straordinari, viste le carenze di organico e l’abnorme carico di lavoro, che rischia poi di non venir neanche pagato completamente, per cronica e strutturale carenza di fondi, e quando viene pagato i ritardi sono di anni. Proprio in ragione di tali motivazioni la paventata urgente apertura di nuove “Sezioni” presso il carcere di La Spezia, naturalmente ad organici invariati, ci desta forti timori e perplessità. Tali perplessità sono rafforzate dall’assordante silenzio della classe dirigente dell’Amministrazione Penitenziaria, locale e regionale, che invece di promuovere serrati e continui rapporti con le rappresentanze sindacali del personale, a maggior ragione in periodi di gravi disagi e sofferenze, predilige azioni unilaterali e talvolta di sentore autoritari stico e punitivo In un contesto, sia locale che generale, di tale sofferenza e delicatezza, le risposte da fornire alla società, al personale della Polizia Penitenziaria e alla popolazione detenuta sono ben altre, ed è proprio in tale situazione che una illuminata Dirigenza dovrebbe e potrebbe mettersi in luce fornendo, in un ambito di efficaci relazioni sindacali, positive azioni, congrue all’interesse collettivo e della cosa pubblica. La FNS-CISL Liguria, da sempre disponibile a concrete e positive relazioni sindacali, nell’evidenziare la gravità della situazione, ritiene urgente ed inderogabile aprire un tavolo “Permanente” di trattativa con la Dirigenza dell’Amministrazione Penitenziaria, tavolo al quale vi sia, però, effettiva e verificabile disponibilità e volontà di individuare, con le organizzazioni sindacali, opportune strategie che portino soluzioni e migliore qualità della vita e del lavoro per addetti al servizio e detenuti”. Puglia: De Leonardis (Udc); situazione esplosiva nelle carceri, realtà ignorata dai media Agenparl, 5 settembre 2011 “Da tempo stiamo denunciando la situazione esplosiva nelle carceri pugliesi, e la Regione Puglia istituendo la figura del Garante per i detenuti ha cercato di far emergere anche a livello mediatico una drammatica realtà che viene purtroppo ignorata a livello nazionale. E la protesta di questa mattina dei poliziotti penitenziari aderenti al sindacato Osapp è l’ennesima spia accesa su un disagio che coinvolge non solo gli operatori tutti ma anche e soprattutto i detenuti, cui viene di fatto negata la possibilità di un percorso rieducativo ed elementari diritti come quello alla dignità e alla salute”. Giannicola De Leonardis, consigliere regionale e presidente della settima Commissione Affari Istituzionali, esprime ancora una volta “piena e totale solidarietà a quanti giorno dopo giorno sono costretti ad operare tra mille disagi e difficoltà in case circondariali palesemente inadeguate a una realtà fotografata da numeri impietosi, che evidenziano una drammatica carenza di personale e un altrettanto drammatico sovrannumero di detenuti stipati come sardine, in ambienti non degni di un paese civile. Mi auguro che il nuovo ministro di Grazia e Giustizia” continua “sia meno preoccupato della stesura di leggi ad personam e più deciso nell’affrontare un’emergenza che riguarda ognuno di noi, che non è possibile arginare con il ricorso periodico ad amnistie ed indulti ma che deve vedere finalmente realizzato il tanto strombazzato piano di nuova edilizia carceraria, in particolare in una regione come la Puglia tra le più esposte a una situazione non più tollerabile” conclude De Leonardis. Umbria: Bocci e Verini (Pd); dramma delle galere, turni di lavoro massacranti e pochi educatori Ansa, 5 settembre 2011 Nelle quattro carceri dell’Umbria (Perugia, Terni, Spoleto ed Orvieto) sono stipati 1.700 detenuti in celle progettate per 1.200. Spazi “sociali” vengono occupati da brandine e manca persino la carta igienica. Sovraffollamento di reclusi, guardie carcerarie “sotto organico” (solo a Perugia mancano una cinquantina di agenti), pochi educatori e turni di lavoro “massacranti” per tutto il personale. È la situazione descritta lunedì ai giornalisti dai parlamentari umbri del Pd Walter Verini e Giampiero Bocci, che parlano di una situazione “allarmante”, “drammatica”, “esplosiva”, “vicina al collasso”. In quello perugino di Capanne, dove lunedì la fondazione dedicata a Gabriele Sandri, insieme ai deputati, ha regalato due calciobalilla, i detenuti sono 560 (la capienza è di 480), il 70 per cento dei quali stranieri e quindi anche con gravi problemi di inserimento e convivenza. Quaranta di loro dormono in tre, in celle dove invece al massimo si potrebbe stare in due. Questo significa che la sera vengono stesi per terra materassini poi ritirati al mattino. A Spoleto ci sono 700 detenuti in celle per 400 e quelle “di transito”, solitamente riservate a persone appena arrestate e spesso molto giovani, sono invece occupate da detenuti normali. Anche il Presidente della Repubblica, riferendosi alla situazione delle carceri italiane - ha detto Verini - ha parlato di “vergogna”. Verini e Bocci hanno già visitato le carceri di Perugia e Spoleto ed intendono proseguire nella loro ricognizione anche negli altri due istituti di Terni ed Orvieto per sostenere come parlamentari - hanno detto - l’azione delle istituzioni locali che hanno chiesto di sospendere l’invio di altri detenuti in Umbria e di rafforzare la presenza del personale di custodia. In questi primi incontri in carcere - ha detto Bocci - per “provare a dare risposte a problemi così gravi, abbiamo trovato personale dotato di grande competenza, professionalità e spiccata umanità, come confermato in colloqui privati dagli stessi reclusi. Fondamentale è anche il ruolo del volontariato, in particolare della Caritas”. I due parlamentari hanno poi parlato del grande impegno del personale delle carceri nel cercare di alleviare la situazione. In quello perugino di Capanne - ad esempio - nei circa 10 ettari di terreno i detenuti coltivano ulivi, alberi da frutto ed ortaggi nelle serre. La vendita dei prodotti è curata da una cooperativa anche con stand davanti al carcere. La Provincia ha istituito corsi di formazione professionale per i detenuti che si occupano di piante ed ortaggi mentre si stanno avviando corsi di florovivaismo per le detenute che attualmente sono 89. Ma ci sono anche corsi di formazione professionale per cuochi, saldatori ed installatori di pannelli solari. Bocci e Verini hanno anche sottolineato che nell’affrontare questo problema che interessa tutta la società non si devono “usare bandierine di partito”. Caltanissetta: Uil-Pa; rischio di psicosi nel carcere, dopo caso mortale di meningite Adnkronos, 5 settembre 2011 Giuseppe Siracusa aveva 35 anni, era originario di Mazzarino (Cl) ed era stato arrestato il 20 luglio 2011, imputato di associazione per delinquere di stampo mafioso (416-bis). Era detenuto con posizione giuridica di imputato. La salma dello sventurato è ancora a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, in attesa degli esami autoptici, che si effettueranno oggi pomeriggio. “Dopo il decesso, avvenuto venerdì pomeriggio, del detenuto affetto da meningite nel carcere di Caltanissetta, si rafforzano le misure sanitarie. Ma il vero rischio è la psicosi”. Ad affermarlo è la Uil-Pa penitenziari, attraverso il segretario generale Eugenio Sarno. La salma è ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria, in attesa degli esami autoptici, che si effettueranno oggi pomeriggio. “La notizia della morte del detenuto affetto da meningite ci addolora - sottolinea Sarno in una nota - Purtroppo questo decesso conferma, tragicamente, gli allarmi che da tempo lanciamo rispetto alla situazione sanitaria afferente gli istituti di pena. D’altro canto i circa 130 decessi in cella di detenuti (44 i suicidi) verificatisi da gennaio ad oggi sono la spia di una situazione urgente” che va affrontata con “attenzione”. “Prendiamo atto con favore - prosegue - che presso la Casa Circondariale di Caltanissetta si è tempestivamente provveduto a porre in essere i previsti protocolli in tema di profilassi e disinfestazione. A tutta la popolazione detenuta e a tutto il personale è stato dato modo di accedere alle terapie di prevenzione”. Ovviamente auspichiamo che sulla situazione si mantenga alta la soglia dell’attenzione anche per evitare il rischio di ingiustificate psicosi, che finirebbero per determinare ulteriori problemi all’operatività del contingente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere nisseno. Nelle ultime quarantotto ore, infatti, si è provveduto a trasportare in ospedale due detenuti, stante la sintomatologia dichiarata. I tempestivi rilievi e le analisi effettuate hanno, fortunatamente, escluso qualsiasi patologia infettiva con particolare riguardo alla meningite. Considerato quanto accaduto a Caltanissetta e i tanti casi di Tbc, pediculosi, scabbia ed epatiti in moltissime realtà penitenziarie riteniamo che il Ministro Palma e il Capo del Dap Ionta debbano attivare un approfondito monitoraggio sullo stato della sanità penitenziaria che, tra l’altro, in Sicilia non ha ancora concluso l’iter del trasferimento delle competenze dal Ministero della Giustizia al Ministero della Sanità”. Firenze: Opg di Montelupo; la Regione si faccia carico della sua chiusura di Maria Antonietta Farina Coscioni e Cesare Bondioli Notizie Radicali, 5 settembre 2011 Maria Antonietta Coscioni, segretario della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, il dottor Alessandro Margara, garante dei detenuti della Regione Toscana, e il dottor Cesare Bondioli, responsabile nazionale carceri e opg di Psichiatria Democratica, hanno effettuato una visita ispettiva all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino. Quello che segue è il resoconto della loro ispezione. Come noto il 26 luglio scorso la Commissione Parlamentare di Inchiesta sull’efficacia e efficienza del S.S.N. aveva disposto il sequestro di alcune strutture dell’opg, in particolare della “sala contenzioni” risultata “priva di idonei strumenti di monitoraggio a distanza e di segnalazione delle emergenze del soggetto coercito; nonché irraggiungibile in maniera sollecita ed autonoma da parte del personale sanitario, essendo le chiavi di accesso nella esclusiva disponibilità del personale penitenziario” e di 21 celle della Sezione “Ambrogiana” per la “simultanea sussistenza di deficienze strutturali igienico-sanitarie e clinico-assistenziali”. La Commissione aveva altresì rilevato “gravi e preoccupanti condizioni di degrado di tutte le altre sezioni attualmente operative, patentemente sprovviste dei requisiti minimi previsti dalla normativa vigente per le strutture psichiatriche” e in “tutti i locali OPG inottemperanza alla normativa vigente in materia di prevenzione degli incendi” disponendo un termine di 15 giorni per l’adeguamento alla normativa antincendio e di 180 giorni per “conformare tutte le sezioni alla normativa nazionale e regionale per le strutture psichiatriche”, termini successivamente prorogati al 30 settembre p.v.. La delegazione, ha iniziato la sua ispezione visitando tutte le sezioni dell’Opg e non ha potuto che constatare il già denunciato e noto gravissimo degrado generale: non solo della sezione Ambrogiana (in cui ha potuto verificare il rispetto dell’ordine di sequestro) in cui non solo le celle sequestrate ma anche quelle tuttora utilizzate mostrano segni di degrado tanto nelle strutture murarie, quanto negli arredi per non parlare di una quasi totale mancanza di privacy degli internati costretti a vivere in spazi ridottissimi, in genere in celle da quattro, quasi prive di spazio di movimento per i reclusi - anche se abbiamo constatato che la maggior parte delle celle era aperta - e con servizi igienici (anche se questo termine sembra eccessivo!) “a vista”. Analoga situazione si è constatata nell’altro reparto in uso: anche qui l’aspetto carcerario prevale su quello sanitario (il degrado appare fin da fuori del reparto per la presenza di numerosi rifiuti - stracci, indumenti, oggetti, piatti di plastica - lanciati dai reclusi nel cortile attraverso le sbarre delle celle) con l’aggravante che, dopo la chiusura delle celle sequestrate, questo reparto ha accolto buona parte dei loro ospiti creandosi condizioni di sovraffollamento con la perdita anche di alcuni spazi comuni precedentemente adibiti ad attività di socializzazione, come laboratori espressivi e sale comuni. In questo reparto era ubicata la “stanza delle contenzioni” che abbiamo trovato occupata da un internato, non contenuto, che nei giorni precedenti aveva sfasciato alcune suppellettili creando pericolo anche per gli altri ricoverati e necessitando di una cella individuale: il personale che ci accompagnava, il Direttore sanitario Dottor Scarpa e quello amministrativo Dottoressa Michelini ci informava che era stata chiesta alla commissione una deroga per utilizzare la stanza senza peraltro ricevere risposta. Al di là delle condizioni strutturali quello che ha maggiormente colpito la delegazione nel contatto con gli internati è stata la percezione, peraltro verbalizzata da alcuni di loro, di un clima di incertezza sul loro futuro alla scadenza del 30 settembre: è quindi percezione diffusa che questa data rappresenti un punto di non ritorno nella storia dell’Opg e gli internati si preoccupano del loro destino dopo quella data (un internato ha scongiurato di “non mandarlo ad Aversa”) né valgono a tranquillizzare le rassicurazioni fornite dal personale sanitario e penitenziario. L’origine di questo clima, invero assai preoccupante perché aggrava la condizione dell’internato caricandola di ulteriori angosce e crea le condizioni perché all’interno dell’istituzione si verifichino incidenti (l’esperienza della chiusura dei manicomi ci dice che le fasi di transizione, quando non definite nella loro realtà, rappresentano un momento delicatissimo della vita istituzionale), è probabilmente legata da un lato all’eccezionalità del provvedimento di sequestro, dall’altro alla mancata risposta, visibile, delle istituzioni a questo provvedimento. Nelle aree sequestrate non è attivato nessun intervento di restauro e questo ci è stato confermato anche dai Direttori nella riunione al termine della visita ai reparti. Nessun provvedimento concreto è stato ancora adottato in ottemperanza al disposto dell’ordinanza della Commissione né dal Prap né dalla regione per quanto di competenza. Inoltre da parte della Regione Toscana, non è stato emanato alcun atto ufficiale rispetto alla chiusura dell’Opg e alla gestione della fase intermedia: gli stessi Responsabili sembrano soffrire di questa mancanza di progetti e di obbiettivi a medio e a lungo termine. Nonostante queste incertezze, non certamente imputabili al personale sanitario e penitenziario che direttamente è a contatto con gli internati cui si dedica, come riconosciuto anche dalla Commissione di Inchiesta, con una dedizione straordinaria, secondo i dati presentati dal Direttore Scarpa il processo di regionalizzazione della struttura secondo gli indirizzi del Dpcm e i programmi di dimissione sono significativamente progrediti. Dai 146 internati presenti alla fine di aprile si è passati agli attuali 128, quasi tutti provenienti dal bacino di utenza di competenza (Toscana, Liguria, Sardegna e Umbria): il processo di territorializzazione della struttura è quindi quasi completato anche se resta irrisolto il problema delle donne, attualmente internate a Castiglione delle Siviere. Il programma “Oltrelesbarre” che, negli anni scorsi ha potuto usufruire di un finanziamento ad hoc, ha consentito la dimissione di circa 20 soggetti tra quelli immediatamente dimissibili ed altri progetti potrebbero essere attivati se venissero erogati i fondi che sono nella disponibilità regionale. L’impressione che la delegazione ha tratto dalla visita e dall’incontro con gli operatori è che l’opg di Montelupo, anche attraverso interventi di riqualificazione delle sue strutture, ben difficilmente potrà assumere caratteristiche di tipo sanitario essendo tutta la struttura “pensata” e realizzata, sia all’origine che con i successivi interventi di restauro anche recenti, come struttura custodiale e non sanitaria. Occorre che la Regione esca dall’ambiguità sulla volontà di chiudere l’Opg, facendosi carico, fino in fondo di una scelta politica qualificante e in linea con l’attuale normativa, rifiutando di restare paralizzata dai veti campanilistici che l’hanno frenata fino ad oggi. Questa chiarezza contribuirà grandemente a rasserenare il clima di preoccupazione sul futuro, che si traduce in angoscia per gli internati e, a lungo andare, in demotivazione e burn-out per gli operatori, e consentirà di realizzare quegli interventi di tipo ambientale imposti dalla Commissione per rendere, minimamente vivibile la struttura nella fase di transizione. Occorre che la Regione faccia, finalmente, un Progetto Obbiettivo per la chiusura di Montelupo, fissandone modalità e tempi che siano vincolanti per tutti i soggetti coinvolti nel processo: oggi sia i Servizi di Salute Mentale della Toscana che quelli delle altre Regioni del bacino non si sentono sufficientemente coinvolti nel processo di chiusura, e quindi di presa in carico degli internati di propria competenza, per il diffuso convincimento (speculare e contrario a quello degli internati!) che a Montelupo un Reparto rimarrà sempre (la famigerata Ambrosiana, ristrutturata, come ipotizzato in un recente convegno più volte richiamato dagli operatori nel corso dell’incontro?). Nell’immediato va comunque fatto un progetto di riqualificazione delle strutture (per il quale ci risulta esistano in Regione fondi per l’edilizia penitenziaria utilizzabili) per renderle decentemente vivibili nel periodo di transizione verso la chiusura o vanno individuate alternative per un trasferimento immediato degli attuali internati in altre strutture in cui si possa realizzare con maggiore adeguatezza una gestione totalmente sanitaria dei soggetti internati. Vibo Valentia: i detenuti non chiedono sconti, ma che vengano rispettati i pochi diritti che hanno Gazzetta del Sud, 5 settembre 2011 Tredici punti per sintetizzare e raccontare una realtà che spesso sfugge anche alle visite più attente “fatte con scrupolo e serietà”. Tredici punti per porre in risalto i disagi vissuti dai detenuti. E per loro non si chiedono favoritismi o sconti - “è giusto che il detenuto paghi il suo debito con la giustizia” - bensì che “non vengano ignorati i pochi diritti che hanno: in primis la liberazione anticipata, i benefici penitenziari e le misure alternative”. A mettere nero su bianco i diversi aspetti del “quotidiano in carcere”, sono i detenuti del reparto media sicurezza (che non si firmano “per paura di ritorsioni”), i quali toccano sia problematiche legate alla qualità della vita in carcere nelle sue varie forme. Secondo la denuncia dei detenuti della media sicurezza in celle con 4 posti, ci sono dalle 8 alle 9 persone. Una convivenza forzata che sarebbe aggravata dal fatto che l’acqua “razionalizzata a orario, che non viene rispettato” in realtà “quando c’è” arriva con contagocce. Altra nota dolente che caratterizza il trascorrere del tempo nella casa circondariale sono le docce. I detenuti possono farla solo tre volte a settimana “anche se il regolamento penitenziario la prevede tutti i giorni”. Inoltre il locale doccia a parere dei detenuti del reparto media sicurezza “è indecoroso” e con i miscelatori (acqua calda-fredda) non funzionanti. E ancora su 12 docce solo 4 si possono usare per 100 detenuti. Quest’ultimi, poi, come da regolamento devono raggiungere il locale in accappatoio ma una volta lì non si sa dove sistemarlo perché mancherebbero gli attaccapanni. La situazione continuerebbe a viaggiare sul filo dei disagi anche relativamente al vitto, con frutta scarsa e sovente “stramatura o marcia”, mentre per quanto riguarda i pochi che lavorano le retribuzioni non sarebbero in linea con le effettive ore di lavoro prestate. Ore in cortileNeanche per le ore da trascorrere in cortile le cose andrebbero per il verso giusto. In questo caso, infatti, secondo quanto rilevato dai detenuti le due ore consentite al mattino e le altre 2 al pomeriggio “sistematicamente si riducono a un’ora e mezza”. Altro capitolo aperto dagli ospiti della casa circondariale del reparto media sicurezza è quello relativo alle visite mediche e ai farmaci. Le prime vengono definite “superficiali”, mentre i farmaci “scarseggiano ed eventuali acquisti, a spese del detenuto, vengono forniti dopo il decorso della malattia. Per esempio: la semplice crema per la cute, nonostante sia prescritta dallo specialista, viene fornita 2 mesi dopo la richiesta”. Andando avanti nell’elenco dei punti sottolineati dai detenuti si arriva a quello inerente i colloqui. “È stato vietato ai detenuti, a colloquio con i propri familiari, di portare una bottiglia d’acqua per bere. In via eccezionale sono autorizzati i detenuti che hanno, tra i familiari a colloquio, bambini al di sotto dei 10 anni d’età. Quindi - proseguono - tutti gli altri parenti, anziani e non, vengono privati anche di un bicchiere d’acqua, senza considerare che prima di entrare in carcere aspettano fuori dalle 2 alle 3 ore e una volta dentro per un’altra mezzora devono sottoporsi ai controlli”. Infine sempre in merito ai colloqui viene lamentata anche la riduzione dei minuti in quanto sia detenuti, sia familiari non possono portare orologi “per cui i 60 minuti previsti dal regolamento, si traducono, di fatto, in 45-50 minuti al massimo”. Slittamenti dell’orario della telefonata settimanale alla famiglia - di ore e talvolta anche di giorni - e problemi anche per un semplice rilascio di una fotocopia (a spese del detenuto) che si “ottiene dopo una settimana” caratterizzano gli altri punti con l’aggiunta del fenomeno delle “domandine perse, ogni qualvolta si presenta una richiesta per un servizio (fotocopia, farmaci, medicinali, colloquio con la direzione, l’educatrice, merce dal magazzino, ecc.)”. Secondo quanto viene “appuntato” nel documento redatto dai detenuti del reparto media sicurezza, inoltre, neanche l’ufficio del magistrato di sorveglianza di Catanzaro tutelerebbe i diritti previsti dalla Costituzione e dall’Ordinamento penitenziario, attraverso l’ufficio matricola (una sorta di ufficio di protocollo dell’istituto). E per spiegarsi meglio i detenuti fanno un esempio: “Quando qualcuno di noi fa presente che intende presentare atti al magistrato o al Tribunale di sorveglianza, tramite matricola, deve aspettare a volte anche un mese. Nel caso di ricorso avverso un provvedimento del magistrato di sorveglianza, considerati i tempi utili dalla notifica (24 ore) è impossibile presentare il ricorso entro i termini”. Dulcis in fundo la “liberazione anticipata” che, stando a quanto rilevato dai detenuti, proprio anticipata non sarebbe. In pratica ogni ristretto che ha tenuto una condotta regolare, ha diritto a 45 giorni di liberazione anticipata (si defalcano i giorni dal fine pena) per ogni semestre di detenzione maturato. “Questo beneficio, richiesto dal detenuto anche per 2 o 3 semestri, attualmente viene ignorato dal magistrato di sorveglianza di Catanzaro - evidenziano - per cui se a un detenuto rimangono 90 giorni al fine pena, non essendogli stati concessi per tempo i 2 semestri, non può uscire prima”. Un aspetto questo dal quale gli ospiti del reparto media sicurezza, scivolano in quello relativo ai benefici: “Ad agosto 2011 su 330 detenuti nel carcere di Vibo Valentia nessuno beneficia del permesso premio e/o di misure alternative alla detenzione anche se per molti vi sono le condizioni di legge per poter usufruirne. E neanche i detenuti in regime di art. 21 O.P. usufruiscono di alcun beneficio”. Livorno: isola di Gorgona; comunicato stampa del Consiglio di Zona Ristretti Orizzonti, 5 settembre 2011 In riferimento all’articolo circa la chiusura della Casa di Reclusione di Gorgona il Consiglio di Zona dell’Isola di Gorgona (Circoscrizione 2 del comune di Livorno) desidera precisare che la notizia della chiusura è stata divulgata inopportunamente (per usare un eufemismo) da un singolo soggetto che si spaccia come portavoce di un fantomatico “Comitato abitanti di Gorgona” che non esiste. La comunità gorgonese è rappresentata in senso ampio e istituzionale dal Consiglio di Zona che vuole che Gorgona rimanga aperta, interattiva, visitabile, verificabile e continui a costituire un riferimento di “qualità” nel disastrato sistema detentivo italiano. Gorgona, nonostante le difficoltà di essere carcere su di un isola, racchiude molte opportunità e costituisce una realtà da preservare, conoscere e sostenere. Questo è anche quello che pensa il neoeletto Consiglio di Zona di Gorgona, democraticamente eletto, che rappresenta la comunità gorgonese in senso ampio e che si sta impegnando per migliorare la qualità della vita delle persone libere e recluse, dei viventi non umani (piante e animali) e dell’ambiente nel suo complesso. Il Consiglio di Zona ha diffuso un comunicato stampa disponibile anche sul sito del Comune di Livorno. Comunicato stampa Con la presente si desidera comunicare che in data 28 maggio 2011 è stato costituito il Consiglio di Zona dell’Isola di Gorgona (Circoscrizione 2 del Comune di Livorno). Sono stati eletti i seguenti 5 consiglieri: Ada Mastrangelo (coordinatrice), Alessandro Aureli, Marco Verdone, Vincenzo Simone, Nicola Di Batte. Il Consiglio di Zona (CdZ) rientra tra gli strumenti che la Circoscrizione promuove per favorire l’informazione, la partecipazione e l’autogoverno dei cittadini. L’isola di Gorgona ha una storia complessa dove le vicende della popolazione civile si sono intrecciate con la presenza della Casa di Reclusione ad indirizzo agro-zootecnico. L’isola ha sempre dovuto far fronte a difficoltà legate al naturale isolamento e alla specificità della sua gestione. Nonostante i numerosi problemi che di volta in volta sono stati affrontati e spesso risolti, Gorgona esprime delle caratteristiche e delle potenzialità sotto vari profili (ambientale, sociale, riabilitativo, didattico, culturale, economico, etico) che meritano attenzione e sostegno. L’isola rappresenta un patrimonio per tutta la collettività e risorsa da valorizzare e far conoscere. Il CdZ di Gorgona intende, tra l’altro, rivitalizzare l’isola e la sua comunità, migliorare e favorire i servizi di collegamento con la terraferma, favorire lo scambio con il mondo esterno, razionalizzare e chiarire le modalità di accesso all’isola e valorizzare il lavoro della Casa di Reclusione come modello di riferimento nel sistema penitenziario italiano. I collegamenti con l’esterno costituiscono un aspetto fondamentale per la vita sull’isola e per garantire i diritti primari a tutti i suoi abitanti. Negli ultimi tempi Gorgona ha visto sopprimere il suo ufficio postale e il collegamento di linea con le navi della Toremar. Mentre nel primo caso il problema non si è ancora risolto (nonostante l’impegno preso dall’ex presidente della Regione Toscana Claudio Martini e vari solleciti all’attuale presidente Enrico Rossi), i collegamento marini sono oggi assicurati da una motonave privata (Rais del Golfo) convenzionata con la Toremar che sta svolgendo in modo puntale questo fondamentale servizio. Si specifica, infine, che Il Consiglio di Zona di Gorgona rappresenta l’unico organo istituzionale, democraticamente eletto, della comunità gorgonese in senso ampio. Altri soggetti, organi o comitati agiscono esclusivamente a livello personale. Firenze: detenuto evaso da Sollicciano catturato in un campo di mais Il Tirreno, 5 settembre 2011 È durata poco meno di 40 ore la latitanza di Francesco Levanovic, 30 anni, nomade, residente in via Fregionaia a Maggiano, evaso dal carcere di Sollicciano dov’era non era rientrato da un permesso rilasciato per andare a lavorare. Aveva ottenuto l’affidamento in prova in seguito a una condanna per reati contro il patrimonio e doveva scontare otto mesi prima di uscire. Braccato dai carabinieri, senza cibo e senza possibilità di raggiungere i suoi parenti, il giovane ha dormito - nella notte tra il 2 e il 3 settembre - nascosto in un campo di mais. Nella speranza di sfuggire alla cattura e deciso ad andarsene all’estero. Ma i suoi progetti di fuga sono andati in fumo quando alle 14,30 i carabinieri del nucleo operativo e radiomobile, diretti dal tenente Andrea Senes, assieme alle unità cinofile del nucleo di San Rossore hanno deciso d’intervenire con quindici militari. Circondata la zona sottostante Nozzano - in particolare la distesa di terreni coltivati a granturco - gli uomini dell’Arma hanno stanato l’evaso conducendolo alla casa circondariale Don Bosco di Pisa. Levanovic, stavolta, non ha opposto resistenza. Si è lasciato ammanettare e condurre in carcere. Ben diverso era stato il suo comportamento venerdì mattina alle 8 quando a bordo di un’utilitaria, poi risultata rubata in provincia di Pisa, non si era fermato all’alt dei carabinieri che avevano istituito un posto di blocco sulla via Sarzanese nella zona di Nave. Nella sua azione aveva rischiato di investire un militare. A quel punto il nomade era ripartito in macchina inseguito da una pattuglia. Una fuga durata pochi minuti. Poi, Levanovic, aveva abbandonato il veicolo attraversando a piedi i campi vicino all’isola ecologica di Sistema Ambiente in modo da far perdere le sue tracce nei boschi limitrofi. Inizialmente aveva eluso anche l’intervento dell’elicottero. Poi l’impossibilità di raggiungere l’abitazione e i parenti che distano pochi chilometri lo ha di fatto scoraggiato e alla fine la cattura è stata inevitabile. Firenze: gli “azzurri” Buffon, Balotelli e Prandelli in visita ai detenuti di Sollicciano Asca, 5 settembre 2011 “Vi dico: non dovete mollare, chiunque ha una possibilità nella vita”. Così Mario Balotelli, attaccante della Nazionale, incontrando nel carcere fiorentino di Sollicciano a Firenze circa 250 detenuti. Oggi nell’istituto penitenziario è arrivata, per la prima volta, una delegazione della Nazionale, con il Ct Cesare Prandelli, lo stesso Balotelli, Gigi Buffon, Gigi Riva e il capitano della Fiorentina Alessandro Gamberini. Balotelli è stato acclamato al suo arrivo nel teatro del carcere, dove è stato abbracciato e baciato da alcuni detenuti, in particolare stranieri. “È un onore - ha detto Balotelli - per me essere qua, quando mi hanno chiesto di venire ho subito accettato. È un piacere essere qui con voi”. “È la prima volta in assoluto - ha aggiunto Prandelli - che la Nazionale entra in carcere. Siamo particolarmente emozionati, perché sappiamo che possiamo dare un incoraggiamento a tutti voi. Avremmo bisogno di più tempo per instaurare una situazione nuova ma abbiamo accettato con entusiasmo e questo dimostra una giusta sensibilità verso persone che stanno soffrendo”. “È la quarta o quinta volta che vado in un carcere, sempre da ospite - ha scherzato Buffon -. Voi - ha aggiunto rivolto ai detenuti - trasmettete grandissima voglia di vivere ed entusiasmo. Finché avrete la voglia di lottare, vivere, sono sicuro che usciti di qua vi riapproprierete della vostra vita e la apprezzerete ancora di più”. Immigrazione: scarcerata nigeriana che rischia la lapidazione; voglio restare in un paese libero Tm News, 5 settembre 2011 È stata scarcerata da pochi minuti Kate Omoregbe, la nigeriana di 34 anni che ora rischia il rimpatrio e quindi la lapidazione nel suo Paese. La donna, che ha finito di scontare la pena per reati di spaccio in Italia, ha lasciato il carcere di Castrovillari, dove era detenuta, in anticipo rispetto al fine pena grazie a uno sconto per buona condotta, ribadendo la sua innocenza rispetto ai fatti per i quali ha scontato la condanna e ha ringraziato quanti si sono interessati al suo caso. Unico autorizzato a incontrarla è stato il leader del movimento Diritti civili Franco Corbelli. La donna ha manifestato la volontà di rimanere in Calabria. “Voglio restare libera in un Paese libero”, sono le parole pronunciate all’uscita del carcere. Ora è in fase di trasferimento alla questura di Cosenza, dove si deciderà la sua destinazione. La Regione Calabria questa mattina aveva manifestato la disponibilità ad accoglierla in attesa che si abbiano notizie certe sulla sua eventuale espulsione. Negli ultimi giorni sono tantissime le associazioni di volontariato ed umanitarie che si sono schierate al fianco della donna, che nel suo paese si è rifiutata di sposare un uomo più grande di lei e per questo rischia di essere lapidata. La Calabria difende la nigeriana che rischia la lapidazione (Redattore Sociale) L’arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano Nunnari esprime la sua preoccupazione. Intanto i servizi sociali sono pronti a ospitare in una struttura la giovane nigeriana, detenuta ancora per poche ore nelle carceri di Castrovillari. L’arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano Salvatore Nunnari, insieme agli Uffici Migrantes e Caritas della Chiesa cosentina, esprime la sua preoccupazione per il caso di Kate Omoregbe, la donna nigeriana condannata a morte nel suo Paese. Il prelato si associa all’appello umanitario teso all’accoglimento della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato per evitare alla donna la condanna capitale nel suo Stato di provenienza. Kate, in Nigeria, rischia la condanna a morte per lapidazione avendo rifiutato il matrimonio combinato con un uomo impostole dalla famiglia ed avendo anche rifiutato la conversione all’islam dal cattolicesimo, religione che attualmente professa. L’arcivescovo di Cosenza-Bisignano ricorda l’inviolabilità della vita umana, il dovere dell’accoglienza e della difesa dei profughi, provenienti da Paesi dove la dignità dell’uomo non è sempre rispettata e compresa come valore primario umano e divino. Intanto i servizi sociali della regione Calabria hanno fatto sapere che sono pronti ad ospitare in una struttura regionale la giovane nigeriana, detenuta ancora per poche ore nelle carceri di Castrovillari (Cosenza). Sembra, infatti, che la regione abbia già individuato la struttura per offrire accoglienza e sostegno psicologico alla giovane, in attesa delle decisioni degli organi preposti. Per la giovane trentaquattrenne si era mobilitato nelle scorse settimane il movimento Diritti Civili di Franco Corbelli che aveva sollecitato e sostenuto una petizione online internazionale per evitare a Kate Omoregbe la condanna a morte ed assicurare, dopo la sua scarcerazione, lo status di rifugiato per evitare l’immediato rimpatrio. La donna che vive in Italia da diversi anni, aveva ottenuto in passato un regolare permesso di soggiorno. Tuttavia, essendo stata riconosciuta colpevole di spaccio di stupefacenti ed essendo finita in carcere per il reato commesso, non può rinnovare il suo permesso secondo quanto stabilito dalla legge italiana vigente. Frattini: asilo senza indugi per evitare lapidazione Concedere “senza indugi” l’asilo politico a Kate Omoregbe. Questo l’appello lanciato dal ministro degli Esteri Franco Frattini, che scende in prima linea nel caso della nigeriana cattolica di 34 anni condannata per reati di droga, di cui oggi è prevista la scarcerazione dall’istituto penitenziario di Castrovillari ma che rischia, se espulsa, la lapidazione in patria. “L’ordine di scarcerazione di oggi è un primo elemento positivo - scrive il titolare della Farnesina - La domanda di asilo in Italia, già presentata, è il secondo. Le autorità faranno certamente il loro dovere, ma la mia opinione - di fronte al pericolo di un atto di barbarie, quando una riconquistata libertà si trasformerebbe in una trappola così brutale, è che l’asilo vada concesso senza indugi”. “Qualche anno fa (Kate) disse no a uno sposo che non aveva scelto e ad una religione a cui non credeva” racconta Frattini, spiegando i motivi della sharia che incombe sulla giovane donna in Nigeria da dove è fuggita per evitare un matrimonio combinato e aver rifiutato di convertirsi all’Islam. Oggi, aggiunge il ministro, la giovane donna vedrà quindi “aprire le porte di un carcere italiano, ma non potrà sentirsi completamente libera”. “Una più terribile punizione pende su di lei - prosegue il capo della diplomazia - il rischio di rimpatrio nella sua terra dove l’aspetta la forma più crudele, inumana e degradante di violenza verso la persona umana, la lapidazione”. “Non esiste una libertà relativa” secondo Frattini, che si dice “certo che Kate oggi, una volta uscita dal carcere di Castrovillari, si aspetterà da noi, verso la sua causa di libertà, quello stesso entusiasmo battagliero e sempre attivo nella lotta per il rispetto dei diritti fondamentali che non conosce distinguo”. “Anche questa volta - fa notare il ministro - ci sono in ballo valori fondamentali e principio che un Paese come l’Italia non ha mai considerato una battaglia ad intermittenza. La lotta per i diritti non deve servire a solo riparare alle ingiustizie, ma soprattutto per affermare le libertà. E lo faremo anche oggi, noi tutti, insieme, anche grazie ai blog e ai social network, per aiutare Kate a non aver più paura. Mi avete aiutato quando abbiamo lanciato appelli in difesa di Sakineh e Asia Bibi - conclude Frattini rivolto ai suoi lettori e sostenitori - e sono certo che mi sarete accanto anche questa volta”. Droghe: i Radicali contro lo spot del Governo alla mostra del cinema di Venezia 9Colonne, 5 settembre 2011 Veneto Radicale protesta questa mattina alla mostra del cinema di Venezia contro lo spot governativo contro la droga. Incontro al Lido di Venezia , alle 12,45, presso la sala Pasinetti. “I quartieri delle nostre città sono diventati dominio di spacciatori che hanno capito l’enorme guadagno che gli procura una merce che solo perché è in mano al mercato della criminalità può fruttare loro enormi guadagni - si legge in una nota. Nessuno penserebbe di spacciare vino o grappa, proprio perché queste droghe sono prodotte, distribuite e controllate dallo Stato e non dalla criminalità. Infatti gli alcolizzati sono malati da curare e non delinquenti da affidare al carcere. Solo in Italia 20 miliardi di euro sono gli incassi del commercio della droga proibita e 4 milioni i consumatori trasformati in criminali. È evidente che le politiche repressive sulla droga devono cambiare passo poiché i costi per i cittadini e lo Stato sono enormi ed inefficaci. Sono 28mila i detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti”. Francia: il cuore di Daniele non fu curato… mamma Cira aveva ragione Il Tirreno, 5 settembre 2011 Mamma Cira aveva ragione: il figlio Daniele Franceschi, 36 anni, morto un anno fa nel carcere di Grasse, in Francia, avrebbe potuto essere salvato. La perizia ordinata dal giudice istruttore e firmata dai professori Mayer Elbaz e Norbert Telmon racconta riga dopo riga il calvario del giovane viareggino. Che soffriva di una “cardiopatia ischemica cronica”. Daniele Franceschi stava male già il 18 agosto, in quei giorni torridi dietro le sbarre francesi dove era arrivato per una vicenda di carte di credito contraffate. Nello stesso periodo - ricordano i legali della famiglia, Mariagrazia Menozzi e Aldo Lasagna - il carcere di Grasse era sovraffollato, per il trasferimento di detenuti da un’altra struttura”. Daniele, che ha lasciato oltre alla madre anche un bambino di nemmeno dieci anni, aveva un infarto in corso. E lo dimostrano gli esami eseguiti proprio nei giorni precedenti al decesso, avvenuto il 25 agosto. Esami che comprendevano il monitoraggio degli enzimi cardiaci, le sentinelle in grado di certificare anche l’infarto nascosto. Franceschi viene sottoposto agli esami, segno che il suo malessere era tale da essere preso in considerazione. Peccato solo - e la relazione dei due periti è impietosa e terribile - che “dall’insieme degli elementi del dossier si può costatare che né il medico né gli infermieri recuperarono i risultati” per consegnarli ai colleghi del pomeriggio e assicurarsi così che lo stato di salute del giovane viareggino venisse monitorato al fine di procedere come gli esami suggerivano. Morire di burocrazia. Dietro le sbarre. Lontano da casa. Perché il turno di sanitari che ha messo gli enzimi cardiaci sotto osservazione non ha passato la consegna al turno successivo. È tutta qui l’ agonia di Daniele Franceschi. Ma non solo. La relazione dei periti fa male ad ogni riga. Gli infermieri vennero di nuovo allertati di un peggioramento di Daniele, alle 12 e alle 14. In un caso fu un compagno di cella, come si sapeva, in un altro un agente di custodia di cui la perizia fa nome e cognome e che è stata ascoltato nell’inchiesta. Quando scatta di nuovo l’allarme per i dolori al petto che si vanno facendo più forti, non accade niente. Eppure - si legge nella perizia - il quadro era quello di un elettrocardiogramma certo normale, ma con in corso l’esame della troponina. “Questo contesto particolare - scrivono i due medici - avrebbe dovuto indurre il personale sanitario a recuperare i risultati di laboratorio, informare il medico presente ed eventualmente organizzare un ulteriore consulto al fine di rilevare lo stato di salute del signor Franceschi”. Tutto questo non avviene. Gli esami restano in laboratorio, infermieri e medici sono impegnati chissà dove, Daniele si accascia mentre il suo cuore batte gli ultimi colpi. “La presa in carico dell’arresto cardio-respiratorio nell’urgenza - conclude la perizia - appare conforme”. Ma Daniele non ce la fa: muore per “un’insufficienza coronarica causata da una trombosi della coronaria destra, avendo il tessuto miocardico già provato da ischemie”. Bielorussia: in arrivo un’amnistia per i detenuti politici? di Alessandro Ronga Paper Blog, 5 settembre 2011 Tutti i prigionieri politici arrestati in Bielorussia dopo gli scontri di piazza dello scorso dicembre saranno liberati entro ottobre: lo riferisce l’agenzia Reuters, citando fonti diplomatiche bulgare. Secondo infatti il ministro degli Esteri di Sofia Nikolaj Mlandenov, che ha incontrato il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko la scorsa settimana, Minsk si appresta a scarcerare gli oppositori arrestati dopo la sommossa del 19 dicembre scorso, quando il paese fu teatro di numerose manifestazioni spontanee per denunciare presunti brogli compiuti dagli uomini di Lukashenko in occasione delle elezioni presidenziali. Mladenov riferisce inoltre di una significativa apertura da parte di Lukashenko nei confronti dei suoi avversari politici: stando a quanto riferito da Sofia, il presidente bielorusso sarebbe pronto ad istituire un tavolo di discussione sul futuro della Bielorussia, a cui vorrebbe invitare anche gli esponenti delle forze d’opposizione, molti dei quali prossimi alla scarcerazione. Il ministro Mladenov avrebbe informato di ciò il capo della diplomazia comunitaria Catherine Ashton, chiedendo a Bruxelles l’invio a Minsk di un team di saggi per monitorare e facilitare la discussione tra le parti: “Credo che queste iniziative, se attuate nell’arco dei prossimi giorni, potrebbero costituire un’apertura attraverso la quale l’Ue può impegnarsi a favore della democratizzazione in Bielorussia”, è stato il commento di Mladenov nella lettera inviata alla baronessa Ashton. Da Minsk non sono ancora giunte né conferme né smentite alla notizia, ma sembra ormai chiaro che la Bielorussia, messa ormai in ginocchio da una gravissima crisi economica, abbia optato per un ammorbidimento della propria politica interna, e conseguentemente di quella estera. Lukashenko, che evidentemente percepisce preoccupanti scricchiolii sotto i propri piedi, starebbe cercando di ricomporre le fratture che dilaniano il paese e di coinvolgere l’opposizione nelle politiche anticrisi. Ma soprattutto, il presidente bielorusso starebbe cercando il dialogo con l’Ue (altri canali di mediazione sarebbero stati aperti nelle scorse settimane con l’Italia e con la Lituania), forse per non legarsi mani e piedi con Mosca, i cui sostegni finanziari potrebbero costare alla Bielorussia un prezzo molto elevato in termini di indipendenza politica. Per questo Lukashenko potrebbe aver messo sul piatto della trattativa con l’Ue ciò che Bruxelles pone come condizione imprescindibile per la ripresa del dialogo: rispetto per i diritti umani, ergo liberazione dei detenuti politici. Ne è passata d’acqua sotto i ponti da quando il piccolo padre di Minsk provocava l’Europa chiedendo di accogliere i prigionieri politici bielorussi, o minacciava l’isolamento internazionale in caso di un precipitare della crisi finanziaria. Sembrano tempi così lontani, eppure, non sono passati che pochi mesi. Usa: in Arizona introdotta tassa di 25 dollari per poter visitare i detenuti Ansa, 5 settembre 2011 Per visitare i detenuti in una qualsiasi delle 15 prigioni dell’Arizona è necessario pagare: 25 dollari di tassa una tantum, per il “controllo dei precedenti”. Si tratta di una misura al momento unica negli Stati Uniti, intesa anche come contributo alle spese dell’amministrazione penitenziaria, ma ha comunque sollevato già ad ampio raggio numerose proteste e critiche. In particolare hanno protestato le famiglie dei detenuti, che già devono sobbarcarsi cospicue spese di viaggio per arrivare agli sperduti penitenziari, spesso da altri Stati. Attivisti per i diritti civili sostengono che molte famiglie rinunceranno a visitare i loro parenti detenuti, che così saranno ancora più isolati e avranno maggiori probabilità di tornare a delinquere. Altri, ironicamente, affermano che, almeno per l’Arizona, “il crimine paga”. Siria: Croce Rossa; primo accesso a detenuti importante passo avanti Ansa, 5 settembre 2011 Il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) ha confermato di aver ottenuto per la prima volta accesso ai detenuti di una prigione siriana al termine di una visita di due giorni del presidente del Cicr Jakob Kellenberger in Siria. “È un importante passo in avanti per le nostre attività umanitarie in Siria”, ha commentato Kellenberger, citato in un comunicato pubblicato a Ginevra e Damasco. I delegati del Cicr hanno cominciato a visitare ieri detenuti della Damascus Central Prison di Damasco, nella periferia di Adra. “Le autorità siriane hanno garantito per la prima volta accesso al Cicr ad un luogo di detenzione. Inizialmente, avremo accesso alle persone detenute dal ministero dell’interno e speriamo che potremo presto vistare tutti i detenuti”, ha detto Kellenberger che ha incontrato stamane il presidente siriano Bashar al-Assad. Bahrain: oltre 200 detenuti proclamano sciopero della fame Aki, 5 settembre 2011 Hanno proclamato lo sciopero della fame oltre 200 detenuti sciiti arrestati nei mesi scorsi durante le manifestazioni antigovernative scoppiate in Bahrain contro la famiglia reale degli al-Khalifa. Lo ha rivelato il presidente del Centro per i Diritti Umani del Bahrain, Nabeel Rajab, citato dal sito web dell’emittente Press Tv. La scorsa settimana avevano iniziato lo sciopero della fame in un carcere del Bahrain 12 medici arrestati per aver prestato soccorso nell’ospedale Salmaniya ai manifestanti feriti. I medici erano stati arrestati con l’accusa di incitare alla rivolta insieme ad altri 35 colleghi, poi rilasciati su cauzione.