Diario di Elton (secondo giorno): “qui ho conosciuto la solidarietà” Redattore Sociale, 30 settembre 2011 Quando viene in Italia mia madre ogni mattina si affaccia alla finestra, guarda il carcere e augura il buongiorno a me. Ripete lo stesso rituale a pranzo e a cena per poi darmi la buonanotte. Al Due Palazzi ci sono finito anni fa, dopo una serie di trasferimenti tra varie carceri. Avevo solo vent’anni quando mi hanno arrestato. Non avevo mai commesso reati prima, ma ero straniero e quindi destinato a essere trasferito più spesso, e anche senza motivo, da un carcere all’altro. Padova prima non la conoscevo e anche adesso ne conosco solo la galera. Stando ai racconti di mia madre la città dovrebbe essere bellissima. Lei viene dall’Albania un paio di volte all’anno e rimane il tempo di “consumare” le sei ore di colloquio mensili che la legge ci consente. Durante il colloquio mi racconta gli slanci mistici che le suscitano le visite alla Basilica del Santo, mi descrive nei minimi particolari Prato della Valle. Mia madre quando viene alloggia in una pensione, in un quartiere chiamato Montà, che non ha la bellezza del centro ma ha altre caratteristiche ugualmente notevoli. Secondo lei sono state le sue preghiere a Sant’Antonio che le hanno fatto trovare quel posto, così perfetto. Lì paga poco rispetto agli alberghi di Padova ed è vicina al carcere. È un monolocale accogliente, arredato con cura. Ma quello che più le piace è il panorama: ogni mattina si affaccia alla finestra e guarda il carcere. Scruta le finestre del grosso edificio e augura il buongiorno a me. Ripete lo stesso rituale a pranzo e a cena per poi darmi la buonanotte. Fra qualche settimana sarò fuori. Potrei andare a vivere a Montà, oppure a Padova. Forse andrò ad abitare nell’appartamento che usava mia madre. E allora potrò guardare la galera da fuori. Solo che, ogni volta che guarderò fuori dalla finestra, i miei occhi si poseranno su questo ammasso di cemento e rivedrò scorrere in velocità gli anni trascorsi qui. Mi ricorderò dei corridoi, dei cancelli e della irrequieta solitudine della cella sovraffollata. La mia mente inevitabilmente passerà in rassegna tutte le persone, quelle che ho sentito vicino così come quelle più distanti, le persone che mi hanno sorpreso con la loro umanità così come quelle che mi hanno ferito con la loro miseria. Guarderò l’orizzonte, trasportato dal quotidiano bisogno di entrare con il pensiero in galera per salutare le persone che vi ho conosciuto, con le quali ho condiviso la sofferenza, ma anche la gioia della solidarietà e di quella vicinanza umana che forse farò fatica a trovare fuori. Elton Kalica è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: avanti… c’è posto! di Valentina Ascione Gli Altri, 30 settembre 2011 “Sarebbe possibile se ciascuno di noi, direttori, agenti, educatori, portasse a casa propria qualche detenuto. E non le nascondo che a volte ci abbiamo pensato...”. Così, con amara ironia, il dirigente penitenziario di una struttura tra le più sovraffollate del Paese ha commentato i dati forniti dal ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, nella relazione tenuta il 21 settembre scorso al Senato, in merito alla capienza tollerabile dei 206 istituti di pena italiani: una soglia che il Guardasigilli ha fissato nella cifra, esorbitante, di 69.194 detenuti. Ciò significherebbe, dal momento che la popolazione reclusa si aggira attualmente intorno alle 67.400 unità, che nelle nostre galere c’è ancora posto per quasi duemila persone. Si aprano pure le iscrizioni!, verrebbe da scherzare, se non ci fosse da piangere davanti a questo e ad altri passaggi dell’intervento del ministro. Un intervento apparso “fuori sincrono”, come ha scritto l’indomani Luigi Manconi sulle pagine del Messaggero, rispetto alla rapidità con cui la crisi del sistema carcere continua avanzare. È altamente probabile che il ministro della Giustizia, per spingersi a parlare di “duemila detenuti in meno della soglia finale di tollerabilità”, non sia venuto a conoscenza di detenuti che dormono sul pavimento perché in alcuni istituti le brande, così come il vitto, non bastano per tutti. Che non abbia visto i letti a castello di tre o quattro piani sbarrare le finestre di una cella, impedendo il passaggio di luce e aria. Eppure in questi primi mesi di mandato Nitto Palma ha visitato più carceri di quanto abbia fatto in oltre tre anni il suo predecessore. Perché dunque continuare a battere il tasto della tollerabilità, concetto così evanescente da non rientrare in un reale perimetro normativo? Troppo vago per non apparire come una chiara facoltà di deroga a quanto prescritto dai regolamenti e a diritti umani riconosciuti come fondamentali? Non si può immaginare di maneggiare i detenuti come fossero abiti in una valigia, da pigiare un pò con le mani per guadagnare spazio e pazienza se qualche camicia uscirà col colletto sgualcito. Si tratta di uomini. E donne. In carne e ossa. E questo che bisogna tenere a mente quando si snocciolano cifre e statistiche sulla popolazione detenuta, passata o presente, effettiva o possibile. Dimenticarlo anche solo per un istante sarebbe, fuor di dubbio, intollerabile. Giustizia; intervista a M. Pannella; il Pd non pensi ai Radicali ma alle carceri italiane di Alberto Di Majo Il Tempo, 30 settembre 2011 Onorevole Marco Pannella, l’altro ieri doveva essere sfiduciato il ministro Romano. Invece è finita che il Pd ha sfiduciato i Radicali. Surreale? “Poverino il Pd. Poverini loro e noi tutti. Come si dice: perdona loro perché non sanno quello che fanno. Certo fosse solo questo”. Cos’altro? “Nel Pd il vero problema è l’assenza totale di un di battito di qualsiasi tipo. È sempre stato così. Anche il Pci del ‘73 - 74, con leader come Longo o Berlinguer, tentò di impedire il grande referendum sul divorzio”. Stavolta si parlava delle carceri. La proposta di amnistia che avete presentato al Senato è stata bocciata, senza nemmeno discuterne, sia dal Pd sia dal Pdl… “Sono 30 anni che non riesco a illustrare alla Camera le nostre proposte, dal 1978. Già allora avevamo 2 milioni e mezzo di processi arretrati. Il punto è che non si può accettare l’ignobile amnistia dì classe delle prescrizioni invece di quella di clemenza che eviterebbe il superaffollamento delle carceri. In dieci anni ci sono state i milione e 800 mila prescrizioni. E queste non sono amnistie? Lo Stato italiano, costretto dal regime partitocratico, vive una situazione di illegalità tecnicamente criminale contro i diritti umani e la Costituzione italiana, contro la legalità europea e internazionale”. L’emergenza carceri è evidente… “Lo Stato italiano sequestra, non fa detenzione. Da noi il carcere diventa una struttura di tortura. Secondo i dati del ministero della Giustizia, il 50 per cento dei detenuti in attesa di giudizio sarà riconosciuto innocente. Ma dopo quanti anni? E sempre che non muoia prima. L’amnistia è necessaria”. Ma in Parlamento dicono che mancano le condizioni politiche... “Dobbiamo crearle, come è accaduto per le leggi sul divorzio e sull’aborto o sul servizio civile accanto a quello militare. Noi chiedevamo di aprire un dibattito, visto che abbiamo documentato che da giugno a settembre sui problemi della giustizia e delle carceri le tv e gli altri media italiani hanno dato ben poche possibilità di discussione”. Invece niente. A quel punto i sei deputati radicali hanno deciso di astenersi sulla mozione di sfiducia al ministro Romano, sventolando cartelli con la scritta “Amnistia”. Il Pd ha minacciato di espellerli dal gruppo… “È da questa mattina che vado dicendo “Espelleteci se ne siete capaci”. Ma il Pd non ha espulso nessuno, almeno per ora. Il gruppo si è riunito e ha deciso di rinviare la questione alla direzione di lunedì... “Sono proprio dei rivoluzionari. Non m’importa. Sono 30 anni che lotto per la giustizia. Ho passato natali e ferragosto in carcere e non mi fermo”. La Bindi e Franceschini hanno perso la pazienza e hanno invitato il Pd a risolvere la questione “radicali” (e non “carceri”) in fretta. Cosa direbbe loro? “Sono amico della Bindi. Le direi di espellerci ma anche che loro, sono incapaci di fare altro se non la componente di sinistra di un regime partitocratico che rappresenta, lo dico sempre sul piano tecnico, un sistema di associati per delinquere”. In compenso Franco Marini ha detto che l’ipotesi di espellervi dal Pd gli sembra “una boutade”. “Del resto - ha aggiunto - i Radicali hanno posto problemi seri sulle condizioni delle carceri”. Rincuorato? “Sono sicuro che la componente seriamente democratico-cristiana sta dando un contributo di ragionevolezza”. Nel Pd si lamentano soprattutto perché non li avete avvertiti che avreste votato diversamente da loro sulla mozione contro Romano. Scusi Pannella, ma non potevate dirglielo prima? “Sono cretinate ma le dicono in buona fede. Se avessimo annunciato il nostro gesto, qualcuno, magari tra i leghisti, sapendo che sei deputati si sarebbero astenuti, avrebbe potuto votare in modo diverso. Siamo stati seri. E poi non avevamo niente da dirgli. Che strano, d’un tratto si sono accorti che esistiamo. Ci faccia caso, quando Bersani e gli altri del Pd dicono che vorrebbero tornare all’Ulivo nominano i socialisti: e tutti gli altri ma mai i Radicali. Ci sarà un motivo”. Giustizia: Favi (Pd); rivedere le norme che limitano l’accesso alle misure alternative Agenparl, 30 settembre 2011 “Di fronte alla drammatica situazione delle nostre carceri e di fronte all’assenza di qualsiasi intervento concreto da parte del Governo occorre iniziare a modificare da subito quelle leggi che hanno contribuito in questi anni all’aumento del numero di detenuti. In questa direzione il Pd sta predisponendo una proposta di legge, che depositeremo la prossima settimana alla Camera, per una revisione profonda delle norme che limitano l’accesso alle misure alternative alla detenzione dei soggetti recidivi”. È quanto si legge in una nota di Sandro Favi, Responsabile carceri del Pd. Giustizia: Cicchitto (Pdl); affrontare nodo della carcerazione preventiva Tm News, 30 settembre 2011 “Il problema della carcerazione preventiva è stato giustamente sollevato dai radicali e riteniamo che il uovo ministro di Grazia e Giustizia deve affrontare questo problema gravissimo sia con interventi pratici sia con eventuali interventi legislativi”. Lo dice Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera. “Ricordiamo che Ovidio Bompressi, l’assassino di Calabresi in concorso con Pietrostefani e con Sofri, ebbe la grazia perché non sopportava il regime carcerario. Analogo trattamento non viene riservato a Lele Mora e a molti altri perché contro di essi il carcere viene usato come sistema di tortura per farli confessare, o come punizione per non aver chiamato in causa altri”, aggiunge. Giustizia: Pannella; amnistia mezzo necessario… ma nessuno si pronuncia Italpress, 30 settembre 2011 “Veramente non c’è stato nessun matrimonio, loro semmai lo hanno fatto con Di Pietro, ci hanno sempre trattato come quello che siamo, quelli che lottiamo per un’alternativa alla partitocrazia che da 60 anni in tutte le sue componenti ha impostato un regime che ammazza uno Stato che potrebbe essere liberale ma che non lo è”. Così il leader dei Radicali, Marco Pannella, ospite a “La telefonata” di Maurizio Belpietro, tornando a ribadire la necessità di un intervento urgente in tema di legalità e giustizia. “Oggi il regime ha imposto allo Stato questa situazione, siamo rispetto ai diritti umani uno Stato da quinto mondo. Sequestriamo le persone non per dare giustizia e pene ai 70 mila detenuti italiani, quindi proponiamo la riforma della giustizia. L’amnistia - ha spiegato Pannella - è il mezzo tecnico per togliersi subito dai piedi 4 milioni di processi per i quali siamo condannati dalla giurisdizione europea. Abbiamo chiesto al Senato che ci fossero almeno 60 giorni prima di una decisione definitiva per informare il Paese sulle varie proposte e che noi siamo oggi fuori dalla legalità, cioè la partitocrazia in tutte le sue componenti. Per l’amnistia - ha concluso Pannella - non si pronuncia nessuno”. Giustizia: cieco, in cella da solo per sei mesi… poi si accorgono che non vede davvero di Riccardo Arena La Repubblica, 30 settembre 2011 È la storia - molto simile a quella raccontata da Nanni Loi in “Detenuto in attesa di giudizio”, con Alberto Sordi - di Vincenzo Dinoi, un non vedente arrestato all’aeroporto di Fiumicino appena arrivato dalla Malesia. Condannato in contumacia si dichiara innocente. “Signor Dinoi vuole accomodarsi un momento in ufficio? È una semplice formalità!”. Inizia così il film “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loi e interpretato da Alberto Sordi. Un film del 1971 e che racconta la vicenda di una persona che torna in Italia dopo diversi anni e che alla frontiera viene arrestata e portata in carcere perché condannata a sua insaputa. Una persona che sarà vittima di un processo ingiusto, proprio perché svolto in sua assenza e di una carcerazione degradante. Da 40 anni nulla è cambiato. Oggi, pur essendo passati quarant’anni, nulla è cambiato. L’ingiustizia, il degrado carcerario è costante e vicende analoghe accadono ancora. Accade ancora infatti che un cittadino torni in Italia dopo diverso tempo e alla dogana venga arrestato e portato in un carcere degradato, senza sapere il perché. È il processo in contumacia, ovvero svolto in assenza dell’imputato. Un istituto processuale ingiusto e insensato, che in Europa abbiamo solo noi e per cui l’Italia è già stata condannata diverse volte dai Giudici europei. La storia di Vincenzo. Questa è la storia di Vincenzo, che è stato per 15 anni in Malesia e che poi ha deciso di portare la sua nuova famiglia malesiana in Italia per trascorre le vacanze. Vincenzo, appena arrivato all’aeroporto di Fiumicino, è stato arrestato perché mentre era in Malesia è stato condannato in contumacia a tre anni di reclusione per reati contro il patrimonio. Morale: Vincenzo, nel giro di poche ore e senza che se lo potesse immaginare, si è ritrovato in una cella del carcere di Civitavecchia. Cella dove Vincenzo è rimasto per sei mesi. Sei mesi per accorgersi che è cieco. Ma c’è di più, perché Vincendo è persona non vedente, è cieco. Eppure ci sono voluti ben sei mesi perché un magistrato si accorgesse che Vincenzo era stato condannato in contumacia per una pena per cui poteva accedere ad una misura alternativa alla detenzione. Ci sono voluti sei mesi perché un magistrato si accorgesse che Vincenzo era cieco e che poteva ottenere gli arresti domiciliari. “Quando sono arrivato all’aeroporto di Fuimicino” - racconta Vincenzo - “mi hanno controllato il passaporto e mi hanno detto: ci può seguire? Ma io sono cieco, ho risposto, mi dovete accompagnare. E loro mi hanno accompagnato, ma in una cella del carcere di Civitavecchia. Così è iniziato il mio incubo. Un incubo durato sei mesi ma che a me, cieco e disorientato, è sembrato un’eternità”. L’incubo. Un vero incubo, quello di Vincenzo, vissuto anche da sua moglie che, essendo malesiana e non parlando l’italiano, si è vista portare via il marito senza sapere il motivo. Infatti, quel giorno all’aeroporto di Fiumicino, non ha trovato nessun Poliziotto che parlasse l’inglese e che le spiegasse che fine aveva fatto il marito. “Mia moglie” - spiega Vincenzo - “non solo non sapeva perché mi portassero via, ma ha impiegato più di un mese prima di sapere che ero detenuto nel carcere di Civitavecchia. E questo perché nessuno le ha detto nulla né mi hanno mai consentito di chiamarla al telefono”. La vita in carcere per chi non vede. Ma come ha fatto Vincenzo, che è persona non vedente, ad affrontare la vita in carcere? Come ha fatto ad orientarsi dentro ad una cella? “Appena entrato in carcere - afferma Vincenzo - mi misero in una cella da solo. Cieco, detenuto e solo pensavo di impazzire. Una tortura. Non mi dissero neanche dov’era il letto o il bagno, nulla. Chiusero la porta della cella e basta. Ricordo che passai intere giornate a cercare di orientarmi. Camminavo con le braccia tese per sentire gli oggetti che non vedevo, per capire come era composta quella cella. Spesso cadevo, allora mi rialzavo e mi mettevo sul letto per riprendermi. I primi tempi sono stati terribili. Per esempio, non riuscivo a trovare il bagno e sono stato costretto a fare i miei bisogni dove capitava. Un’umiliazione che non auguro a nessuno.” 24 ore chiuso in cella. Ed ancora: “In carcere e cieco” - ricorda Vincenzo - ti è quasi impossibile fare molte cose, anche le più semplici. Mangiare, farsi la doccia e persino fare l’ora d’aria, tanto che per sei mesi sono restato praticamente in cella 24 ore su 24, senza poter camminare nel cortile del carcere. È facile immaginare, dopo una detenzione fatta così, le mie condizioni fisiche e psicologiche quando sono stato scarcerato. Ero un uomo depresso e devastato”. “È cieco, ma in fondo sta bene”. Già è facile da immaginare. Ora però vi domanderete: possibile che nessun, ad esempio un medico del carcere, abbia fatto nulla per rimediare a questa barbarie. Ci risponde Vincenzo: “Dopo poco ho fatto un istanza per la detenzione domiciliare, proprio perché sono cieco, ma mi è stata rigettata perché il medico del carcere scrisse al magistrato che le mie condizioni di salute erano discrete. Come dire, anche se ero in carcere e cieco, non stavo poi così male. Fortunatamente hanno cambiato medico del carcere ed è iniziata una lunga procedura per verificare se fossi davvero cieco o no. Ed è così che dopo sei mesi sono riuscito a dimostrare che ero cieco e che in carcere non ci potevo stare. Ora ho impugnato la sentenza di condanna che è stata emessa in mia assenza e senza che io avessi avuto notizia del processo. Sono innocente e, nonostante tutto quello che ho passato, spero ancora nella giustizia perché quello che è successo a me può succedere a tutti”. Giustizia: furto di un ovetto kinder da un euro… il processo ne costerà migliaia Corriere della Sera, 30 settembre 2011 “Fino all’anno scorso nella cancelleria penale si usavano ancora i registri di carta” disse del tribunale di Taranto il presidente della Corte d’appello Mario Buffa durante l’inaugurazione di quest’anno giudiziario. “Roba dell’età della pietra...” aggiunse. Parlava del perché a Taranto la giustizia fosse così lenta. Adesso sa che c’è almeno un altro motivo: l’impiego di tempo ed energie per celebrare processi come quello per il presunto furto di un ovetto Kinder. Siamo all’inizio, seconda udienza fissata per il 31 gennaio prossimo. Valore della “refurtiva”: 1 euro e 4 centesimi. Costo del processo: migliaia di euro fra atti, notifiche, tempo da dedicare e documenti da scrivere per cancellieri, magistrati, avvocati, carabinieri. E se casomai si mettesse male l’imputato - che si chiama Donato, ha 20 anni ed è uno studente - potrebbe avere un futuro da pregiudicato. Vaglielo a spiegare, poi, se per esempio ti fermano per un controllo stradale, che sulla tua fedina penale c’è scritto sì che hai un precedente per furto, ma era un ovetto Kinder... L’avvocato di Donato, Gianluca Pierotti, è convinto che ci siano “tutte le premesse per chiudere questo caso con un’assoluzione”. Ma tanto per cominciare ci vorrà tempo e questa storia tiene sulle corde la famiglia del ragazzo già da più di due anni. È successo il 4 di agosto del 2009. Donato, allora 18enne, chiacchierava con un amico a Montedarena, sulla litoranea salentina, proprio davanti a un rivenditore ambulante di frutta e dolciumi. La cosa certa è che si è avvicinato all’Ape Poker del venditore (che di nome fa Luciano) per prendere un ovetto di cioccolato. Da qui in poi, però, le versioni diventano due. Lo studente dice di aver preso il Kinder dall’espositore per mostrarlo al commerciante e pagarlo. Il commerciante, invece, sostiene che il ragazzo l’aveva messo in tasca e che quando gli ha detto “ti ho visto, volevi rubarlo”, ha ricevuto come risposta una raffica di insulti (da qui il rinvio a giudizio anche per ingiurie). “Tutto falso” replica Donato. “Mi ha sgridato perché non dovevo toccarlo e gli ho chiesto pure scusa”. Insomma, un battibecco. Niente che valesse più di una banale seccatura. E invece no. Il venditore ambulante ha chiamato i carabinieri, Donato è stato identificato e sentito in caserma e alle due di notte, quando suo padre si è ritrovato davanti al commerciante, ha provato a chiudere la partita con tante scuse e una stretta di mano. Niente da fare. E nemmeno i tentativi di transazione dei giorni successivi sono andati a buon fine (l’ultima offerta era 1.600 euro). Così la faccenda è diventata decisamente più seria di quel che meritava e il fascicolo dell’ovetto è finito sul tavolo del pubblico ministero Raffaele Graziano: furto e ingiurie. Rinvio a giudizio e processo. Avendo ben presente che anche soltanto l’atto di citazione costa ben più del valore della refurtiva. L’avvocato Pierotti conta di smontare l’accusa anche grazie all’informativa dei carabinieri, una paginetta che riassume la vicenda e che definisce “alquanto improbabile” la versione del commerciante. Perché Donato “indossava un pantalone jeans a vita bassa aderente e tale da impedire l’intromissione nella tasca di un uovo di cioccolato”. C’è da sperare che non si arrivi a una perizia per stabilire se e come un ovetto Kinder può stare nella tasca di un jeans. Giustizia: Lele Mora ha un malore in carcere, ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano Adnkronos, 30 settembre 2011 Lele Mora “è in una situazione di allarme, perché sta male, ha la pressione molto alta che alza il rischio di ischemia”. È quanto affermano i legali dell’agente dei vip, in carcere da tre mesi per la bancarotta delle sue società, gli avvocati Luca Giuliante e Nicola Avanzi. Il manager, ieri, ha avuto un collasso nel penitenziario di Opera ed è stato ricoverato all’ospedale San Paolo di Milano, dove si trova tuttora. Intanto i suoi legali stanno preparando una memoria da inoltrare ai pm di Milano Eugenio Fusco e Massimiliano Carducci e al gip Fabio Antezza per chiedere il via libera a “far entrare i nostri medici in ospedale, perché non l’hanno ancora fatto”. Sia il gip che il Riesame, nelle scorse settimane, avevano rigettato la richiesta di domiciliari motivando la bocciatura con il pericolo di fuga. Oltre al collasso di ieri, che non è il primo, Mora, lanciano l’allarme i suoi legali ‘continua a perdere peso velocemente, ha perso già 24 kg”. Lettere: Aldrovandi, legge bavaglio e giustizia Il Manifesto, 30 settembre 2011 “Il caso che il tribunale deve affrontare riguarda la morte di un diciottenne, studente, incensurato, integrato, di condotta regolare, inserito in una famiglia di persone perbene, padre appartenente ad un corpo di vigili urbani, madre impiegata comunale, un fratello più giovane, un nonno affettuoso al quale il ragazzo era molto legato. Tanti giovani studenti, ben educati, di buona famiglia, incensurati e di regolare condotta, con i problemi esistenziali che caratterizzano i diciottenni di tutte le epoche, possono morire a quell’età. Pochissimi, o forse nessuno, muore nelle circostanze nelle quali muore Federico Aldrovandi: all’alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione”. F.M. Caruso, giudice monocratico Noi non apparteniamo a partiti, non siamo dei politici, noi siamo persone normali, siamo madri sorelle figlie impiegate operaie libere professioniste casalinghe, e abbiamo dovuto subire la tragedia di dover fare i conti con la giustizia italiana. Questa giustizia guarda solo i ricchi e i potenti. Questa giustizia ignora in modo imbarazzante i diritti delle vittime dei reati e li calpesta. Questa giustizia processa più facilmente le vittime e i familiari di stato piuttosto che i loro carnefici. Siamo stanche di sentirci dire che la Legge è uguale per tutti. Siamo stanche di sentir parlare di riforma della giustizia e di processi brevi processi lunghi legge bavaglio e questa legge sulle intercettazioni. Questi sono problemi dei politici, non nostri. Di giustizia si muore e i processi sono insostenibili tanto per le vittime del reato quanto per imputati non in possesso di risorse adeguate. Noi chiediamo a tutte le vittime dei reati di Stato, o comunque di Potere, alle vittime della giustizia italiana, di protestare con noi perché le intercettazioni vengano salvaguardate, le leggi - bavaglio cassate e i politici si occupino dei problemi di giustizia della gente e non dei loro personali. Le intercettazioni sono un problema dei potenti, non della gente per bene. Non si fa giustizia nel modo riservato a me, a Ilaria Cucchi, a Domenica Ferulli, Lucia Uva e tantissimi altri che vorremmo si unissero a noi. Vogliamo pubblici ministeri affamati di verità. Vogliamo giudici sereni, imparziali ma anche custodi del rispetto dell’immenso dolore dei familiari delle vittime. Insomma vogliamo i giudici e i pubblici ministeri del processo Aldrovandi anche per gli altri. Vogliamo che i parlamentari facciano gli straordinari per approvare la legge sulla tortura visto che l’Italia è l’unico Paese che si è rifiutato di farla nonostante l’articolo 13 della Costituzione che lo impone, e non per cancellare o nascondere le intercettazioni che mettono in imbarazzo buona parte dei loro colleghi. Pertanto chiediamo il sostegno di tutti coloro che non hanno avuto giustizia dallo Stato o peggio sono stati uccisi. Noi saremo davanti a Montecitorio quando inizierà la discussione di questa ennesima vergognosa legge ad personam in materia di giustizia. Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Domenica Ferulli, Lucia Uva Lettere: 39 psicologi penitenziari vinsero concorso nel 2006 e ancora non sono stati assunti Ristretti Orizzonti, 30 settembre 2011 Ill.mo Ministro Nitto Palma, considerata la sua attenzione alle problematiche del carcere, le vorremmo ricordare che rimane purtroppo aperta da numerosi anni la questione degli psicologi penitenziari. Ci sono 39 psicologi che hanno vinto un concorso pubblico nel 2006 al Ministero della Giustizia - Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria che ancora oggi, per svariate vicissitudini burocratiche, facilmente superabili, non sono stati assunti. Vari Giudici del lavoro hanno emesso sentenze in merito alla questione dichiarando costituito il rapporto di lavoro, tuttavia il Dap ha proposto appello a queste sentenze e ad oggi non ha immesso in servizio i 39 vincitori di concorso che, come i giudici hanno asserito all’unanimità, in base alla normativa vigente, hanno diritto all’assunzione. Alla luce della situazione degli istituti penitenziari sarebbe stato logico accelerare l’assunzione, piuttosto che procrastinarla, con il grave rischio di dover pagare dei professionisti senza che abbiano lavorato. Eticamente non condividiamo la scelta dell’amministrazione, che non si è degnata neanche di rispondere alla nostra offerta di prendere immediatamente servizio dopo le sentenze di I grado, onde evitare un inutile sperpero di risorse lavorative e denaro pubblico. La stragrande maggioranza di noi lavora come consulente del Ministero nell’area dell’esecuzione penale esterna e si rende conto che le poche ore settimanali assegnate sono del tutto insufficienti a gestire le numerosissime situazioni problematiche che si presentano, inoltre siamo a conoscenza della gravissima carenza di psicologi negli istituti penitenziari e della mancanza di supporto psicologico per gli operatori penitenziari che lavorano in condizioni estremamente difficoltose a causa del sovraffollamento e della carenza di personale. Pertanto la invitiamo a prendere una posizione responsabile in questa assurda e paradossale vicenda, che purtroppo si trascina senza soluzione da troppi anni. Rimaniamo a sua disposizione per un incontro e per fornirle qualsiasi informazione o documentazione sul caso. Dott.ssa Mariacristina Tomaselli Coordinatrice 39 psicologi vincitori di concorso al Dap Sardegna: Sdr; sanità penitenziaria, non rispettate scadenze per il passaggio alle Asl Ristretti Orizzonti, 30 settembre 2011 “Mercoledì prossimo scadranno i termini per il passaggio alle Aziende Sanitarie Locali dei beni e dei locali adibiti alle funzioni sanitarie. Non risulta però che sia stato definito l’accordo tra il Ministero della Giustizia e la Regione. In un momento così delicato per le strutture penitenziarie, con le celle superaffollate, è indispensabile far rispettare gli impegni altrimenti aumenteranno malcontento e disagio”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che “il passaggio delle competenze tra il Ministero della Giustizia e le Asl della Sardegna in materia di Sanità Penitenziaria è ancora in alto mare”. “Fino ad ora infatti sono state rispettate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e da quello per la Giustizia Minorile - sottolinea Caligaris - le procedure per il trasferimento al Servizio sanitario della Regione delle funzioni, afferenti il servizio medico - tecnico - infermieristico e veterinario, ma non è stato fatto alcun concreto passo per definire le questioni più delicate che riguardano il finanziamento e i livelli di assistenza”. “Il Ministero della Giustizia intende interrompere il suo impegno finanziario il 31 dicembre prossimo e se la Regione non presenterà una propria proposta la scadenza diverrà definitiva. È inoltre di primaria importanza - evidenzia ancora la presidente di “Socialismo Diritti Riforme” - il rispetto dell’obbligatorietà dell’istituzione, a pena di sanzioni, dell’Osservatorio Permanente sulla Sanità Penitenziaria. Lo ha previsto la Conferenza Stato - Regioni proprio per garantire la qualità dell’assistenza. Non è stato neppure ancora avviato il tavolo di confronto per definire l’organizzazione e l’organigramma del servizio a livello regionale”. “Dopo quasi un mese dall’entrata in vigore delle norme di attuazione - chiarisce Caligaris - la galassia carceri continua a vivere una condizione di incertezza e registra un aggravamento dei problemi anche per la tipologia dei cittadini privati della libertà che richiedono costante attenzione. L’impressione diffusa è che la questione sia sottovalutata forse anche per le emergenze sanitarie in atto. La complessità della materia e la cogenza di alcune norme invece richiedono un’attenzione particolare. Tra gli impegni anche quello di individuare il personale medico a cui affidare le prestazioni medico - legali per gli Agenti di Polizia Penitenziaria”. “La riforma in Sardegna interessa circa 250 persone, titolari di rapporto di lavoro in forza il 5 settembre scorso ma riguarda direttamente oltre 2.200 persone private della libertà compresi i minori della struttura di Quartucciu. La situazione più difficile è quella di Buoncammino dove a fronte di 30 posti letto nel Centro Diagnostico Terapeutico si trovano in media 38 detenuti con gravi patologie (neoplasie, cardiopatie, ischemie, esiti di infarto al miocardio). Nella struttura penitenziaria cagliaritana, con 530 detenuti (380 la capienza regolamentare), vivono oltre 200 pazienti tossicodipendenti e quasi altrettanti con malattie del fegato, una cinquantina di sieropositivi all’Hiv, e dove si trovano anche 210 pazienti psichiatrici, alcolisti ecc. È improcrastinabile un tavolo di concertazione per delineare un quadro oggettivo dei bisogni e delle necessità e per chiarire in che modo la Regione intende organizzare questo delicato settore”. Bari: sovraffollato e sotto organico… come (non) si vive al carcere di Borgo S. Nicola www.go - bari.it, 30 settembre 2011 Sei letti a castello da tre in una stanza. L’immagine non è sufficientemente impressionante, se non si aggiunge che la stanza è una cella, un quadrato di quattro metri per quattro, con molto meno di un metro quadro per detenuto. E se già questo basterebbe per spaventare, aggiungiamo che è l’ordinaria condizione nella casa circondariale di Bari. Al tavolo tecnico di lunedì al Ministero della giustizia si è cominciato a studiare soluzioni, ma l’attualità racconta un carcere oltremodo sovraffollato, con forte carenza di organico. “Non c’è un istituto in Puglia che rispetti i parametri internazionali - ci dice Domenico Mastrulli, vice segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. I detenuti sono 4.500 rispetto a una capienza di 2.550, sono il 90% in più delle altre regioni e le unità di polizia sono 600 in meno, tra uomini e donne, rispetto alle esigenze”. In particolare, addetti maschi sono stati utilizzati anche nel settore femminile, per quanto l’amministrazione ci tiene a precisare “solo al cancello d’ingresso”. E poi la conferma: “Dopo la rivolta di agosto al Cara la situazione si è ancor più complicata”. La struttura - I lavori di ristrutturazione della seconda sezione sono partiti ad aprile e il dirottamento dei ristretti nella terza non ha risolto i già gravi problemi di sovraffollamento, definito “ormai cronico ed altamente critico” dalla relazione inviata dal direttore del carcere a Ministero, Provveditore dell’amministrazione penitenziaria e tribunale di sorveglianza. La seconda sezione era la più affollata, con 250/270 detenuti da dirottare altrove. Nel terzo settore, originariamente adibito all’alta sicurezza, oggi si trovano detenuti del clan Strisciuglio al secondo piano, detenuti comuni di clan contrapposti al primo piano e 60/64 prigionieri in tre celle del piano terra, in attesa di destinazione definitiva. Emblematico è che una delle tre è stata ricavata temporaneamente dallo spostamento dell’infermeria nell’aula scolastica, per l’interruzione dei corsi ad agosto. Non va meglio negli altri settori, con dieci persone in celle da sei/sette e sette/otto (da alta sicurezza) in stanze da quattro. “Svuotare l’oceano con un secchiello” - È questa la metafora scelta dal direttore dell’istituto barese nel rapporto ai vertici locali e nazionali, per rispondere alla proposta generica di uno sfollamento. La maggioranza dei detenuti è da media sicurezza e la riapertura della stagione processuale non fa altro che mantenere costante l’afflusso, anche solo per l’ingresso degli assegnati temporaneamente per incombenze giudiziarie. Più di venti nuovi ospitati varcano il portone di corso Alcide De Gasperi ogni giorno. Le richieste per migliorare la situazione prevedono, invece, un trasferimento notevole di detenuti, dalle ristrette del settore femminile a circa 90 da media sicurezza del clan Strisciuglio e altri opposti ai Parisi - Capriati - Diomede - Di Cosola. Inoltre è impossibile contenere anche i colpiti da arresto in via precauzionale, da tenere in altre sedi. Quella morte sospetta - È notizia della settimana scorsa il decesso di un detenuto nordafricano, per cause naturali. Ma la folle condizione del carcere barese probabilmente ha insospettito la magistratura che pare aver aperto un fascicolo per approfondire il caso. Un gran numero di carcerati in più si è registrato ad agosto dopo gli scontri tra forze dell’ordine e i ragazzi del Cara che disperatamente chiedevano documenti e umanità nel centro, in una giornata di blocchi stradali, ferroviari e violenze. La denuncia di destabilizzazione nell’istituto da parte degli extracomunitari e di ulteriore sovraffollamento viene però stoppata dall’amministrazione che riferisce del trasferimento di tutti i protagonisti dei disordini in altre sedi penitenziarie. Si preme per la realizzazione di una nuova sede a Carbonara, di cui si parla da tempo. La via, forse, per una prima soluzione a un problema “incancrenito”. Messina: Osapp; commissione Marino torna all'Opg di Barcellona Pozzo Gotto Agi, 30 settembre 2011 Il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare d'inchieste sugli ospedali psichiatrici giudiziari, la senatrice Donatella Poretti e alcuni funzionari, nel pomeriggio sono tornati a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) per verificare nuovamente le condizioni del manicomio giudiziario della città. A darne notizia è Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. Durante la prima visita, Marino aveva realizzato un video drammatico che testimonia le condizioni di estrema precarietà e disagio in cui sono costretti i ricoverati. "Sarebbe ora - dice Nicotra - che qualcuno avviasse delle disposizioni ben precise in merito all'Opg di Barcellona, che in questo momento non sembra nemmeno un pezzo dello Stato. Chiederemo al ministro Nitto Palma e al capo del Dap Franco Ionta di convertire l'Istituto in casa circondariale con annessa sezione per malati psichici. Ma chiediamo anche -aggiunge Nicotra- un intervento urgente presso la Regione, ultima rimasta ad assumere l'onere della sanità penitenziaria, per uscire da questa empasse, che ha creato una fase di stallo presso l'Opg di Barcellona. Quella messinese una struttura che può contentere tranquillamente 400 detenuti senza nemmeno ospitarli in letti a castello. E' un istituto con grandi potezialità -conclude il sindacalista- sarebbe ora che il capo del Dap ne prendesse atto". Bologna: Garante detenuti; il Pd punta sull’ex vicequestore in pensione Giovanni Pipitone Dire, 30 settembre 2011 Un “poliziotto” come garante dei detenuti di Bologna. Su questa idea la maggioranza di centrosinistra in Consiglio comunale si divide, con il Pd che punta (ma non mancano i malumori interni) sul vicequestore in pensione Giovanni Pipitone e Sel che si astiene, dando un segnale di contrarietà. La commissione Affari istituzionali di Palazzo D’Accursio, rigorosamente a porte chiuse, ha approvato questa mattina la triade di nomi da portare alla prossima seduta del Consiglio comunale: oltre a Pipitone, l’ex provveditore regionale alle carceri, Nello Cesari, e l’avvocato Mario Turco. In realtà, il via libera ai tre nomi è arrivato con il solo voto a favore di Pd e Idv, mentre Sel, Movimento 5 stelle e centrodestra si sono astenuti. “Nella rosa almeno un nome non ci trova d’accordo”, si limita a giustificare Cathy La Torre, capogruppo dei vendoliani. E sarebbe proprio Pipitone, oltre a Cesari, la figura su cui Sel ha i maggiori dubbi. In sostanza, un ex vicequestore, un “poliziotto” come si dice nei corridoi della politica, come garante dei detenuti è una prospettiva che non convince i vendoliani né alcuni consiglieri comunali del Pd. Qualche remora ce l’ha persino il Pdl, che punta più su Cesari (“Ha il curriculum migliore e più completo”). Come riassume un eletto a Palazzo D’Accursio, “è imbarazzante che uno che fino al giorno prima li ha sbattuti dentro diventi la persona che deve difendere i diritti dei detenuti”. A questo punto, Sel dovrà decidere se votare Turco o astenersi anche in Consiglio comunale, mentre persino tra le file dei democratici si preannuncia il rischio di “sorprese”, o meglio “schede bianche”, lunedì in aula. Quanto all’opposizione, l’astensione del Pdl è arrivata perché nella triade finale è compreso anche un avvocato (Turco). “Il Pdl è coerente con la linea che si è dato fin dall’inizio - spiega il capogruppo Marco Lisei - avere un avvocato come garante dei detenuti nel precedente mandato ha creato diversi problemi, soprattutto dal punto di vista deontologico. Avere la possibilità di parlare con tutti i detenuti dà un oggettivo vantaggio all’avvocato, che in ottica futura può ampliare il suo portafoglio clienti”. L’ex garante, Desi Bruno, “anche se non ha sfruttato questa possibilità quando era in carica - sottolinea Lisei - si è comunque fatta un nome all’interno del carcere”. Un vantaggio competitivo, dunque, nei confronti degli altri avvocati. E infatti il capogruppo del Pdl sottolinea che “questa istanza ci è stata presentata anche da diversi professionisti”. I grillini si sono astenuti perché valutano il regolamento di scelta del garante da modificare. “Bisogna trovare altri criteri di selezione - spiega il capogruppo M5s, Massimo Bugani - bisogna spostarli su altri valori che non siano solo le competenze giuridiche, perché la maggior parte dei curricula arrivati sono da parte di avvocati, ma la figura dell’avvocato abbiamo visto che crea problemi”. Dunque, i grillini chiedono di cambiare il regolamento per “avere criteri di scelta più precisi”. Venezia: nuovo carcere indispensabile per garantire condizioni di detenzione dignitose La Nuova Venezia, 30 settembre 2011 Ieri mattina il presidente di Favaro, Ezio Ordigoni, assieme ad una delegazione di consiglieri delle forze politiche presenti in consiglio, si è recata nel carcere di Santa Maria Maggiore. Salvatore Pirruccio, direttore della casa circondariale, ha accompagnato il gruppo, illustrando ambienti e modalità operative. “Si è recepito - spiega Ordigoni - lo sforzo dell’amministrazione carceraria per rendere vivibile la struttura. Tuttavia la visita ha confermato quanto già espresso dal consiglio di municipalità a gennaio: la situazione di sovraffollamento e le precarie condizioni igieniche in cui si trovano i detenuti nell’attuale istituto di detenzione di Venezia rendono necessaria la costruzione di una nuova struttura che permetta condizioni di detenzione dignitose, presupposto necessario per il recupero sociale dei detenuti. Occorrono strutture con spazi che consentano una carcerazione capace di riabilitare il reo alla società civile. Il nuovo carcere è una scelta di civiltà da dove partire con qualsiasi ragionamento. Del carcere di Santa Maria Maggiore, si parla come di una vergogna assoluta, che non ha nulla a che fare con la nostra città”. Siena: corsi universitari nel carcere di San Gimignano, martedì 4 ottobre la prima laurea Adnkronos, 30 settembre 2011 Nell’ambito del progetto dell’Ateneo senese per l’organizzazione di attività didattiche all’interno del Carcere di Ranza di San Gimignano, martedì 4 ottobre si laureerà il primo studente detenuto. La commissione di laurea composta dai professori Roberto Venuti, Gabriella Piccinni, Fabio Mugnaini, Alessandro Fo e Natascia Tonelli si riunirà presso il carcere di Ranza per la discussione della tesi di laurea del corso in Storia tradizione e innovazione della facoltà di Lettere e filosofia. Si tratta di un importante risultato dell’attività che l’Università di Siena svolge già da diversi anni all’interno del carcere di San Gimignano, nell’ambito del protocollo di intesa stipulato nel 2010 tra il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, la Regione Toscana, e le tre università toscane di Siena, Firenze e Pisa per la costituzione del ‘Polo Universitario Penitenziario della Toscana (P.U.P.). All’interno delle attività del progetto, sostenuto dalla Fondazione Monte dei Paschi, sono stati organizzati cicli di lezioni all’interno del carcere, è stato formato un apposito staff di studenti tutor, sono stati creati appositi materiali per la didattica a distanza e messi a disposizione degli studenti detenuti gli strumenti didattici necessari per lo studio. Inoltre l’Ateneo, viste le particolari condizioni economiche degli studenti detenuti, ha introdotto una tassa unica, al fine di facilitare l’accesso agli studi universitari e contribuire al conseguimento del titolo accademico. Rieti: Lisiapp; carcere nuovo ma ne funziona solo il 25 per cento… ed è già sovraffollato Asca, 30 settembre 2011 Il carcere di Rieti è nuovo ma ne funziona solo il 25 per cento. Ed è già “oberato da problemi di sovraffollamento negli unici reparti operativi”. Parola del Lisiapp il Libero Sindacato Appartenenti Polizia penitenziaria “il carcere di Rieti non può non essere indicato come il vero fiore all’occhiello del Dap ma semmai una totale incapacità organizzativa delle stessa amministrazione penitenziaria”. Purtroppo assistiamo continua la nota del Lisiapp, ad una struttura nuova a cui manca il personale per renderla più funzionante. Per il sindacato di polizia “è sconcertante apprendere che non c’è una pianta organica del personale decretata, che non esiste un decreto di apertura, che si ignora il livello di sicurezza attribuito alla struttura”. Che per la cronaca è costruita con i canoni di una custodia attenuata per detenuti a basso indice di pericolosità. Sovraffollamento a parte, il carcere di Rieti aperto da meno di due anni, è stato inaugurato il 28 ottobre 2009, sotto altri punti di vista sarebbe quasi una struttura modello. Infatti ci sono al suo interno diverse attività programmate per il recupero sociale dei detenuti: palestra, teatro sociale, biblioteca, campo sportivo, cineforum, corsi per muratore ed imbianchino. Ed altre sono in via di attivazione. Quale è il vero problema allora: le unità di polizia penitenziaria effettive sono totalmente insufficienti, se si considera che sono ben 35 i posti di servizio direttamente connessi ai servizi di sorveglianza da coprire ogni giorno. Insomma non bastano carceri nuove occorre anche il personale per tenerle aperte nella loro massima potenzialità conclude la nota del Lisiapp. Bologna: i detenuti della Dozza puliscono i graffiti, progetto al liceo Copernico Il Resto del Carlino, 30 settembre 2011 Sui muri del Liceo Scientifico Copernico di Bologna si sono avviati i lavori di eliminazione delle scritte vandaliche da parte di quattro detenuti della Dozza. Il “cantiere - scuola” esterno al carcere rientra nel “Percorso per la rimozione del vandalismo grafico”, parte del progetto “Graffi o graffiti? Percorsi di legalità”. Il progetto, ideato e finanziato dalla Provincia di Bologna (Istruzione, Formazione e Lavoro) è nato dalla collaborazione con Tribunale di Sorveglianza di Bologna, Casa Circondariale di Bologna, insieme a Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia - Romagna, Iiple (Istituto Istruzione Professionale Lavoratori Edili di Bologna e Provincia) e Cefal Bologna (Consorzio Europeo per la Formazione e l’Addestramento dei Lavoratori) con l’obiettivo di fornire un’occasione di formazione per l’inclusione socio - lavorativa delle persone detenute realizzando nello stesso tempo un intervento di recupero e riqualificazione del patrimonio pubblico. Dopo il corso di formazione professionale per 8 detenuti all’interno del carcere della Dozza (40 ore di lezione in aula a cui hanno partecipato anche docenti della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia - Romagna e della Soprintendenza per i beni Archeologici dell’Emilia - Romagna), da oggi prende il via la seconda fase, il “cantiere esterno” ospitato presso il Liceo Scientifico Copernico. Saranno 260 le ore di stage professionalizzante, che in questo primo step vedrà coinvolti 4 detenuti e che, a regime, arriverà ad impegnare fino a un massimo di 8 detenuti presenti attualmente presso la Casa Circondariale bolognese. Oltre al Liceo Copernico, la Provincia ha individuato come idonea per la realizzazione del “cantiere - scuola” la sede dell’Istituto Professionale Aldrovandi - Rubbiani in viale Vicini, che ospita anche la succursale del Liceo Classico “Galvani”. “Con l’avvio della fase di “cantiere scuola” esterno al carcere, attivo da oggi presso il Liceo Copernico di Bologna - ha sottolineato Giuseppe De Biasi, assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro della Provincia di Bologna - il progetto per la rimozione del vandalismo grafico si conferma un laboratorio campione di collaborazione inter istituzionale volta all’integrazione sociale delle persone in esecuzione penale. Non dimentichiamoci però - conclude De Biasi - che l’idea di coinvolgere in maniera diretta le scuole superiori cittadine nasce proprio dalla precisa volontà di lanciare un messaggio a doppia valenza: da un lato sensibilizzare gli studenti verso il fenomeno del vandalismo grafico degli edifici scolastici, dall’altro contribuire ad aumentare il livello di consapevolezza di tutta la cittadinanza verso le condizioni e i processi di inclusione sociale e lavorativa delle persone detenute”. Napoli: domani il Presidente Napolitano e il Ministro Palma visitano l’Ipm di Nisida 9Colonne, 30 settembre 2011 Domani, 1 ottobre, alle 17.30, nell’ambito delle iniziative per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano visita l’Istituto penale minorile di Nisida. Lo accompagna il ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma. In programma, dopo il saluto del Guardasigilli e del Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile Bruno Brattoli, una rappresentazione teatrale messa in scena dai ragazzi del laboratorio “Le voci di Napoli”. Al termine dello spettacolo, il Capo dello Stato dona ai ragazzi una bandiera commemorativa del 150° dell’Unità d’Italia. A seguire, il presidente Napolitano e il ministro Palma visitano i laboratori artigianali di pasticceria, ceramiche e arti presepiali, per poi spostarsi al Centro Servizi, dove assistono alla presentazione del progetto “Nisida Futuro Ragazzi”, dedicato alle attività trattamentali di recupero dei giovani ospiti dell’istituto. Bergamo: duecento sindaci visitano il carcere, in programma partita di calcio coi detenuti L’Eco di Bergamo, 30 settembre 2011 L’iniziativa, promossa dal Consiglio dei sindaci dell’Asl, sarà un’occasione per constatare le condizioni dei detenuti, della struttura e l’operato del personale addetto. Duecento sindaci della provincia di Bergamo protagonisti di una visita speciale alla casa circondariale di via Gleno. Sarà innanzitutto un’occasione per constatare le condizioni dei detenuti, della struttura e l’operato delle forze dell’ordine e del personale addetto alla gestione del carcere. L’iniziativa, voluta dal Consiglio dei sindaci dell’Asl, si propone di avvicinare la struttura al territorio, proponendo una riflessione sul futuro dei carcerati e sulle prospettive di rinserimento nella società. Per l’occasione, un’inedita partita di calcio a 7 verrà giocata proprio nel cortile del carcere, tra una squadra di detenuti e una rappresentanza di sindaci. Il calcio d’inizio sarà battuto alle 14 da Mara Azzi, direttore generale dell’Asl di Bergamo. Le maglie, i calzoncini e tutto il materiale sportivo verrà fornito dall’Atalanta, che sostiene l’iniziativa. Usa: sciopero fame in carceri California, oltre 4mila detenuti partecipano alla protesta Adnkronos, 30 settembre 2011 Nuovo sciopero della fame dei detenuti delle carceri di massima sicurezza in California per protestare contro le loro condizioni di vita. Lo hanno ripreso da lunedì scorso oltre 4.200 carcerati di otto penitenziari, riferisce il New York Times citando dati del dipartimento carceri californiano. La protesta, per la seconda volta quest’anno dopo lo sciopero di luglio, è l’ultimo dei problemi che devono affrontare le autorità locali, dopo l’ordine arrivato dalla Corte suprema di ridurre di oltre 30mila unità la popolazione carceraria complessiva dello stato. Nei 33 penitenziari statali è stato distribuito un memo ai detenuti che avverte di azioni disciplinari nei confronti di chi parteciperà allo sciopero della fame, come la confisca di generi alimentari acquistati negli spacci interni. I leader della protesta, sempre secondo il memo, rischiano invece l’isolamento. Usa: raddoppiato in 10 anni il numero di agenti carcerari arrestati Adnkronos, 30 settembre 2011 Il numero degli agenti di custodia arrestati negli Stati Uniti è quasi raddoppiato nel 2010 rispetto al 2001. È quanto emerge da un rapporto dell’Ispettorato generale del Dipartimento della Giustizia, secondo il quale i 272 arresti complessivi del decennio sono cresciuti dai 18 nel 2001 ai 34 dell’anno scorso. Sono inoltre più che raddoppiate, nel periodo preso in esame, le inchieste aperte per violazioni delle norme di condotta, passate dalle 2.299 a 4.603. Il 58% delle guardie carcerarie riconosciute colpevoli che sono state sospese per almeno un giorno erano in servizio da meno di due anni. Il rapporto, sottolinea l’ufficio stampa dell’Ufficio dell’Ispettorato generale, è andato oltre i numeri rivedendo “la relazione tra i casi di cattiva condotta delle guardie carcerarie assunte di recente e le loro caratteristiche di fondo”, ricavate dalle note caratteristiche ricevute in precedenti lavori o il livello di istruzione. Fattori che, viene sottolineato, andrebbero maggiormente presi in considerazione al momento di nuove assunzioni. Ruanda: due ex ministri condannati a 30 anni per genocidio Asca, 30 settembre 2011 Due ex ministri ruandesi dovranno scontare 30 anni di carcere per il loro coinvolgimento nel genocidio del 1994 in Ruanda. Lo ha deciso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, che ha sede nella città di Arusha in Tanzania. Si tratta dell’ex ministro del Servizio Pubblico Prosper Mugiraneza e dell’ex ministro del Commercio Justin Mugenzi, arrestati 12 anni fa per complicità in genocidio e incitamento a commettere genocidio. Il Tribunale però ha anche assolto altri due ex ministri, sotto processo per reati simili, per mancanza di prove. Il processo è iniziato nel 2003. Tutti e quattro gli ex ministri, che respingono gli addebiti, sono stati accusati di aver incitato gli animi al massacro della minoranza tutsi in diversi incontri in giro per il Paese e anche in discorsi pubblici trasmessi dalla radio. Nel 1994, in soli 100 giorni, vennero uccise circa 800mila persone, per la maggior parte tutsi, ma anche di etnia hutu. Australia: drammatiche le condizioni delle donne detenute Radio Vaticana, 30 settembre 2011 “L’attuale situazione di affollamento delle carceri in Australia impone una seria riflessione sui fattori sociali che condizionano le persone che compiono dei crimini”: è quanto sottolinea mons. Christopher Alan Saunders, vescovo di Broome e presidente dell’Australian Catholic Social Justice Council (Acsjc) che, per conto della Conferenza episcopale australiana (Acbc), ha curato un documento, intitolato “Building Bridges Not Walls” sulla popolazione carceraria. In un articolo apparso sul sito in rete dell’arcidiocesi di Sydney per la ricorrenza della Social Justice Sunday, che è stata celebrata dai cattolici d’Australia domenica scorsa, il presule spiega che l’aumento del numero delle persone detenute richiede maggiore attenzione per scoprire, al di là dei singoli casi, le cause sociali che sono alla radice del fenomeno. “Spesso i nostri politici e alcuni organi d’informazione invocano maggiore durezza nell’applicazione delle leggi per combattere la criminalità senza però mai indagare sui motivi generali che spingono sempre più persone a commettere alcuni reati”. Nel documento “Building Bridges Not Walls”, oltre alle statistiche sulla popolazione carceraria, sono pubblicate anche le relazioni inviate dai cappellani che operano all’interno degli istituti di pena. Tra i testimoni di quanto sia avvilente la situazione dei detenuti vi è Margaret Wiseman, l’unica donna laica a essere membro dell’associazione dei cappellani delle carceri nell’arcidiocesi di Sydney. Molte delle donne detenute sono cresciute in famiglie povere e spesso disgregate. “Benché le donne detenute siano solo una piccola percentuale del totale della popolazione carceraria australiana, spesso sono più isolate e più colpite dal senso di esclusione sociale rispetto ai detenuti uomini”. “Molte donne prigioniere sono completamente abbandonate e nessuno viene mai a visitarle”. “Tante, pur avendo diversi figli, sono state abbandonate dai mariti e alle loro spalle non vi è più alcuna relazione stabile”. Passano in prigione - conclude Margaret Wiseman le cui parole sono state riprese dall’Osservatore Romano - una parte della loro vita vivendo in celle anguste che devono condividere con altre detenute.