Giustizia: carceri disastrate, dov’è quello “scatto” chiesto da Napolitano? di Massimo Bordin Il Riformista, 2 settembre 2011 Non solo la manovra tiene occupati i parlamentari questa fine estate. Non bisogna mai sottovalutare i radicali e le loro iniziative non violente. L’ultima sulle carceri, la giustizia e la democrazia ha avuto l’ascolto e l’attenzione del presidente Napolitano che ha pronunciato frasi impegnative, parlando di “assillante emergenza”, “prepotente urgenza che ci umilia agli occhi del mondo e si pone fuori dalla nostra Costituzione”. Per questo il presidente ha chiesto pubblicamente alla politica “uno scatto, delle risposte”. I radicali hanno passato l’estate a raccogliere le firme dei parlamentari per una convocazione straordinaria delle Camere e almeno per il Senato hanno annunciato ieri di aver raggiunto l’obiettivo. Quanto alla Camera, la prassi ha finora previsto comunque l’automatismo della convocazione straordinaria decisa dall’altro ramo del Parlamento. E così, in tempi di antipolitica, l’iniziativa radicale mette in condizioni il mondo politico di dare sostanza all’assillo del primo cittadino per gli ultimi della Repubblica. Occorre però lo “scatto” che il presidente richiede, una risposta legislativa efficace e tempestiva. Nell’Italia delle 35mila fattispecie di reato, ricordate ieri dal professore Ainis nell’articolo di fondo del Corriere, partire dalla depenalizzazione non pare la via più veloce. Rita Bernardini sul Manifesto di qualche giorno fa arrivava a dire che se non si vuole l’amnistia si trovi allora un’altra strada con effetti analoghi. Ma qualcosa di risolutivo occorre fare. Giustizia: gli “sfollamenti” e il destino dei detenuti stranieri di Valentina Ascione Gli Altri, 2 settembre 2011 Sono soli al mondo. Anche se ad attenderli hanno mogli, mariti, compagni di vita. Madri e padri spesso anziani, con addosso il peso e le fatiche della scelta, compiuta anni prima, di lasciare il proprio paese, la casa e gli affetti, per cercar fortuna in una terra lontana. Hanno fratelli e sorelle. Figli, spesso piccoli, dei quali a volte non ricordano il volto. Se l’hanno mai visto. Sono i detenuti stranieri, circa il 30 per cento della popolazione reclusa nelle carceri italiane. Molti di loro hanno la famiglia nel proprio paese d’origine. Molti altri, invece, sono venuti in Italia da piccoli insieme ai genitori. O da grandi, con già una moglie o un marito al seguito, con i quali costruire un avvenire migliore. Altri ancora hanno incontrato l’amore proprio qui, nel nostro paese. Ed è qui in Italia che ancora sognano di mettere radici e riprendere le fila della propria esistenza una volta fuori di galera. Nonostante la galera. Raramente però lo sguardo miope della burocrazia nostrana si poggia su queste storie di straordinaria fatica e ordinaria sfortuna. Su queste vite che in molti casi hanno imboccato la strada dell’illegalità come l’ultima possibile, prima di dichiarare il fallimento di un progetto inseguito tra mille speranze e grandi aspettative. La burocrazia, infatti, considera queste donne e questi uomini come soli al mondo. Senza legami, né punti di riferimento. Senza nessuno con cui fare i colloqui settimanali: come se nei loro nomi e nella nostra difficoltà a pronunciarli fosse scritto un destino inesorabile di esilio e solitudine. Accade così che in occasione degli sfollamenti, continuamente praticati nel tentativo di gestire il numero di detenuti ben al sopra della capienza regolamentare e tollerabile degli istituti di pena, gli stranieri finiscano rapidamente in cima alla lista e spediti, come pacchi, dall’altra parte del paese. A centinaia di chilometri, a volte migliaia, dalla loro piccola rete sociale e affettiva, da tutto quel che - tanto o poco - sono riusciti a costruire in Italia. Soli, stavolta sul serio, senza che qualcuno possa andarli a trovare. Come è successo a Maria, giovane donna rumena trasferita a Messina dal carcere di Firenze, dove la sorella le faceva visita ogni volta che poteva per portarle notizie dei suoi due figli che vivono in Romania. O a Mohammed, marocchino, mandato prima ad Augusta e poi nella casa di reclusione di Favignana, dove da tre mesi chiede solo di fare una telefonata a casa. A Milano. Dove viveva e dove ancora risiedono sua moglie e sua figlia di due anni, che non ha mai conosciuto. Ma la storia più emblematica l’abbiamo ascoltata - io e i colleghi di Radio Radicale durante un viaggio inchiesta attraverso le carceri d’Italia - in romanesco stretto da Rubie. Nato in Marocco trent’anni fa, Rubie vive a Roma dall’età di sei anni insieme a tutta la sua famiglia, con la quale gestiva un’attività commerciale prima di avere problemi con la legge. Quando si è reso necessario uno sfollamento a Rebibbia, è finito nell’elenco dei detenuti da trasferire. Avranno pensato, che con quel nome non poteva che essere solo al mondo. Giustizia: depenalizzazione; Palma istituisce tavolo tecnico al ministero www.giustizia.it, 2 settembre 2011 Il Ministro della Giustizia comunica di aver istituito presso il Ministero un Tavolo Tecnico in materia di depenalizzazione, finalizzato alla elaborazione di principi di legge delega in materia. Di tale Tavolo Tecnico saranno chiamati a farne parte: - il prof. Avv. Antonio Fiorella, docente di diritto penale presso l’Università di Roma “Roma tre”; - il prof. Avv. Roberto Zannotti, docente di diritto penale presso l’Università Lumsa di Roma; - il dott. Luigi Ciampoli, Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma; - il Prof. Avv. Mario Sanino, professore di diritto amministrativo presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali - Università degli Studi di Roma “La Sapienza”; - l’Avv. Luigi Medugno, del Foro di Roma; - il dott. Giuseppe Pecoraro, prefetto di Roma. L’Associazione Nazionale Magistrati, pur manifestando disponibilità “a fornire un contributo ogni qual volta le venga richiesto”, non ha ritenuto di dover partecipare direttamente al Tavolo, tramite l’indicazione di magistrati. Giustizia: automobili del Dap; il Pd chiede chiarimenti a ministro Nitto Palma Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2011 “L’articolo di ieri de il Fatto Quotidiano descrive una situazione del parco auto del Dap che se confermata lascerebbe sicuramente basiti in tempi in cui si chiedono sacrifici ai cittadini e a fronte anche delle scarsissime risorse economiche a disposizione per la gestione delle nostre carceri”. Lo affermano in una dichiarazione congiunta Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri, ed Emanuele Fiano, responsabile nazionale Sicurezza del Partito democratico. “Nessuno - proseguono - sta chiedendo ai dirigenti del dipartimento che svolgono il proprio lavoro e mettono in pericolo la loro vita di rinunciare alla necessaria protezione di una autovettura blindata. Tuttavia, l’amministrazione, come ovviamente anche la politica, dovrebbe dare l’esempio e potrebbe sicuramente valutare di ridurre il proprio parco auto che, nel caso di specie, sarebbe costituito da 17 vetture per 8 dirigenti”. “Nei prossimi giorni il Pd presenterà in Parlamento un’interrogazione al ministro della Giustizia per conoscere la reale consistenza delle auto assegnate al personale dirigente del Dap, le spese sostenute negli ultimi 18 mesi dal Dap e dalla struttura commissariale prevista con il piano carceri”. Giustizia: Sappe; ministro Palma incontri Sindacato per strategia su criticità penitenziarie Comunicato stampa, 2 settembre 2011 “Credo e ritengo sia giunta l’ora di passare dalla parole ai fatti: l’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, intende fornire il proprio costruttivo contributo. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro. Facciamo nostra l’impietosa osservazione fatta nei giorni scorsi dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha anche sottolineato con forza come ciò sia dovuto al peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative, tra tendenziali depenalizzazione e depeninteziarizzazione e ciclica ripenalizzazione, con un crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estenzione della carcerazione preventiva. Auspico pertanto che il Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma, che pure ha dichiarato all’atto del suo insediamento in via Arenula di voler porre la questione penitenziaria tra le priorità di intervento, ad illustrare anche a noi le sue ipotesi di interventi. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Con un sovraffollamento di 67mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono ogni giorno eventi critici come aggressioni, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo. Ma non solo. È indubbiamente motivo di preoccupazione la notizia dell’evasione di un detenuto nomade avvenuta ieri mattina dal carcere di Firenze Sollicciano. Il detenuto, un nomade con fine pena 2016, era ammesso al lavoro all’esterno ai sensi dell’articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario e si trovava a pulire un’area esterna al carcere adiacente gli alloggi di servizio con altri detenuti. Ha approfittato evidentemente di un momento di confusione e si è allontanato: l’area, peraltro, è vicino alla Superstrada Firenze-Pisa. L’interesse primario ora è partecipare attivamente alle ricerche in collaborazione con le altre Forze di Polizia per catturare il fuggitivo, ma questo episodio conferma ancora una volta le criticità del sistema carcere. Questi gravi episodi non devono comunque inficiare l’istituto della concessione di permessi ai detenuti, anche perché gli episodi di evasione sono minimi, ma è evidente che c’è sempre qualcuno che se ne approfitta: nel 2010 sono state complessivamente 15 le evasioni dalle carceri italiane. 38 i mancati rientri dopo aver fruito di permessi premio e 12 dalla semilibertà.” Capece sottolinea infine come “è il tempo che la classe politica rifletta seriamente sulle parole del Capo dello Stato ed intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Torniamo a sollecitare l’adozione di riforme strutturali, che depenalizzino i reati minori e potenzino maggiormente il ricorso all’area penale esterna, limitando la restrizione in carcere solo nei casi indispensabili e necessari”. Giustizia: Osapp; nuove misure deflattive? avranno pieno sostegno dei poliziotti penitenziari Ansa, 2 settembre 2011 “Di nuovo 67mila detenuti, come avevamo predetto, per la cessazione degli affetti deflattivi della legge 199/2010 (c.d. svuota carceri) e per il pieno ripristino delle attività di Polizia sul territorio, con un incremento di oltre 50 unità al giorno (da 66.857 il 30 agosto a 66.976 ieri 1° settembre)” a darne notizia è l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), per voce del segretario generale, Leo Beneduci che aggiunge: “e il 31 agosto i detenuti presenti erano addirittura 67.104 con incrementi, da un giorno all’altro, nella popolazione detenuta, soprattutto in regioni già in grave affanno, come i 75 detenuti in più in Lombardia, i 60 detenuti in più in Campania, i 40 detenuti in più in Toscana, i 33 detenuti in più nel Lazio e i 14 detenuti in più in Puglia (che ha il record assoluto con l’82% del sovraffollamento)”. Secondo il sindacato: “se il ministro Palma, come ha preannunciato lo scorso mese, vuole veramente intervenire con misure intese alla depenalizzazione e alla decarcerizzazione, è giunto il momento di farlo senza ulteriori indugi, anche tenuto conto che, nel contingente momento di emergenza economica, ciò produrrebbe ingenti risparmi anche rispetto alle risorse che il sovrabbondante sistema penitenziario deve impiegare in questo momento.” “Rispetto poi, alle eventuali riserve del Guardasigilli rispetto all’impatto che nuove misure deflattive potrebbero avere sul corpo elettorale e all’interno della maggioranza di Governo - conclude Beneduci - almeno come poliziotti e come cittadini, possiamo rassicurare che saremo pienamente al suo fianco nel sostenerne anche pubblicamente l’iniziativa”. Giustizia: Cassazione; sì a liberazione anticipata per il detenuto-studente in regola con gli esami Il Sole 24 Ore, 2 settembre 2011 Lo studio rende liberi. Ne è più che mai convinta la Corte di cassazione che con la sentenza 32985 ha affermato il pieno diritto di un detenuto-studente modello a usufruire del beneficio della liberazione anticipata grazie ai brillanti risultati raggiunti sia alle superiori sia all’università. Gli ermellini invitano dunque il Tribunale di sorveglianza a rivedere il parere negativo che aveva dato in merito alla richiesta di liberazione anticipata. Ingiustificato, secondo gli ermellini, il no del Tribunale, basato su un rapporto disciplinare - mai portato a conoscenza del destinatario - fondato sull’accusa di aver frequentato all’interno del carcere spazi interdetti ai detenuti. Un solo appunto in molti anni di prigione che non basta - spiega la Suprema corte - per negare il “premio” a un detenuto brillantemente diplomato, in regola con gli esami del corso di laurea in comunicazione e marketing e, per finire, vincitore di diversi premi letterari. Allo studio il ragazzo aveva unito anche un’attività di volontariato per migliorare la funzionalità del carcere. Sulla sua “risocializzazione” gli ermellini non hanno dubbi. Giustizia: la vita dietro le sbarre degli evasori fiscali americani di Gian Antonio Stella Corriere della Sera, 2 settembre 2011 “Le tasse le pagano solo i plebei”, rideva la signora Leona Helmsley, la regina degli alberghi di New York, convinta che con il suo esercito di avvocati e commercialisti sarebbe stata al sicuro da ogni fastidio. Quando l’arrestarono per evasione fiscale, non rideva più. E, nonostante avesse passato la settantina, finì in galera. Galera vera, con la divisa da galeotta. Nel tentativo disperato di evitarle il carcere, il suo legale Alan Dershowitz, l’avvocato delle celebrità, disse all’ultimo momento che in cambio della libertà la sua cliente “era pronta a risolvere da sola il problema dei senzatetto” ed era “disposta a regalare alla città di New York tutti i suoi alberghi”. Niente da fare: quattro anni di galera. Ridotti solo successivamente e a caro prezzo. Ma dopo un anno e mezzo in penitenziario. Non si scherza, in America, su queste cose. Basti leggere il libro “La corruzione in Italia” scritto con Grazia Mannozzi da Piercamillo Davigo, dove il magistrato protagonista di Mani Pulite racconta della sua visita al carcere di Butner, nel North Carolina, dove è stato rinchiuso fra gli altri Bernie Madoff, l’ex presidente del Nasdaq: “La cosa che per prima mi colpì fu che tutti i detenuti sono in uniforme e quando passa una guardia scattano dicendo nome e numero di matricola: “Smith John, matricola 324, signore!”. La seconda che il lavoro è obbligatorio: “Il direttore mi spiegò che facevano camicie per le forze armate e occhiali da vista per i veterani a riposo. Mi pareva impossibile. (...) “Guardi”, mi disse, “qui da noi i detenuti non possono ricevere soldi o pacchi dai parenti: possono comprare qualcosa solo col denaro che si guadagnano da soli, qua dentro”. La terza che se un carcerato sgarrava poteva pagarla cara: “Se uno è cresciuto al sole della Louisiana, per esempio, non si trova tanto bene in Alaska”. Serial killer? Terroristi? Rapinatori? No, rispose il direttore al giudice italiano: “Grossomodo la metà è dentro per traffico di stupefacenti, l’altra metà è composta da colletti bianchi”. Vale a dire? “Evasori. Prevalentemente evasori fiscali”. E davanti allo stupore dell’interlocutore, rimasto a bocca aperta, l’uomo aggrottò le sopracciglia e spiegò con solenne severità: “Sa, hanno mentito al popolo americano”. Per terra, disegnata sui pavimenti, c’era una linea gialla: “Se un detenuto la passa spariamo”. “Barbarie!”, dirà inorridito qualcuno che tutti i giorni, al contrario, si riempie la bocca esaltando l’America, i valori americani, il modello americano, n fatto è che laggiù l’idea che le tasse vanno pagate quale che sia il partito che domina il Congresso o quale che sia il presidente che sta alla Casa Bianca, è centrale nel rapporto fra i cittadini e lo Stato. Rubare sulle tasse, lì, non è una prova di furbizia: è un atto criminale. In Italia l’avvocato Attilio Pacifico, uno dei protagonisti del processo Sme, arrivò a fare il bullo sfidando tutti: “Embè? So’ un evasore. Allora? Qual è er probblema?”. In America sarebbe considerato un nemico della società. E trattato come tale. Un esempio? Le autorità federali assediarono per mesi, quattro anni fa, una coppia di anziani evasori che si era asserragliata in una casa-fortezza con tanto di torretta di avvistamento nel New Hampshire dopo una condanna a cinque anni di carcere per non avere pagato le tasse federali. Esattamente come se avessero rapinato una banca o sequestrato qualcuno. Un paio di numeri? Nei primi due anni della legge “manette agli evasori” voluta da Franco Reviglio, padre dello scontrino fiscale, furono arrestate in totale 93 persone. Poi tutto evaporò “all’italiana”. Tanto più che nel 1988 una sentenza della Cassazione, su ricorso dell’imprenditore Paolo Meneghin imputato di non aver tenuto il registro delle fatture per un anno, disse che anche i reati fiscali per cui era previsto l’arresto potevano essere sanati con una oblazione. Le conseguenze erano immaginabili: tana libera tutti. Negli States, al contrario, fra il 2000 e il 2005 gli evasori finiti in carcere sono stati 9.581. Più altri 998 nel 2006 e 1.112 nel 2007 per i soli reati fiscali federali. A tutti questi, per capirci, vanno aggiunti quelli finiti in galera Stato per Stato, dalla California al Massachusetts. Condanna media: 30 mesi a testa. Ancora più dura la pena per i manager delle imprese colpevoli di avere evaso il fisco: 37 mesi. E vanno dentro sul serio. Già dopo la condanna in primo grado. Mica dopo anni di attesa della Cassazione. Sperando magari in un condono. Da noi, che si sappia, è andata in galera davvero solo Sofia Loren, che nel 1982 fu costretta a costituirsi (“Colpa del mio fiscalista. Mai pensato di non pagare le tasse”) e fu rinchiusa nel carcere di Caserta 17 giorni. Oltre Oceano, il divo di Hollywood Wesley Snipes, condannato a 3 anni per evasione fiscale, è dal 9 dicembre 2010 nel carcere di McKean a Bradford, in Pennsylvania da dove dovrebbe uscire, salvo sconti di pena (auguri) il 19 luglio 2013. Giustizia da cow boys? No, non succede solo in America. Ma in diversi altri Paesi dove lo Stato è uno Stato che esige rispetto. Tra gli altri, citiamo la Germania. Dove il governo scoprì nel febbraio 2008 i contribuenti con conti illegali all’estero andando per le spicce. Cioè comprando con quattro milioni e mezzo di euro da Heinrich Kieber, un ex dipendente della banca del Liechtenstein, un elenco di 4.527 clienti del Principato: una cosa che, fosse successa da noi, apriti cielo! Ancora più interessante, per capire, è l’arresto spettacolare del potentissimo Klaus Zumwinkel, allora amministratore delegato delle Poste. Che venne ammanettato per evasione fiscale dopo un’irruzione all’alba nella sua lussuosa villa a Colonia, da parte di decine di agenti speciali. Avrebbero potuto arrestarlo in maniera meno scenografica e più sobria? Sicuro. Ma era in ballo qualcosa che nei Paesi seri è determinante: l’affermazione che lo Stato, per far rispettare la legge, non guarda in faccia a nessuno. Lettere: la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia desidera ringraziare il Partito Radicale Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2011 La Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia desidera ringraziare, ancora una volta, il Partito Radicale per l’obiettivo raggiunto di attenzione istituzionale sul tema delle carceri e della giustizia. È solo grazie alla determinazione ed alla tenacia dei radicali, alla loro passione per la difesa dei diritti umani che è stato possibile superare il traguardo delle 105 firme al Senato per convocare una seduta straordinaria di entrambi i rami del Parlamento, come prevede l’articolo 62 della Costituzione. Senza il loro risoluto intervento di questi mesi non ci sarebbe stato spazio e risonanza mediatica sui problemi delle carceri. Lo scandalo delle nostre carceri, in costante e palese contrasto con la nostra Costituzione, con il diritto europeo e internazionale, richiede da tempo interventi strutturali, conformi alle dichiarazioni, convenzioni, trattati a tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. Ora ci attendiamo una seria discussione sui temi dell’amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione, una rapida calendarizzazione dei provvedimenti da discutere e da decidere per evitare che, come è già accaduto lo scorso anno, da tutte le mozioni approvate alla Camera nulla sia sortito in termini di miglioramento delle condizioni delle carceri e di riforme strutturali della giustizia ormai di drammatica necessita, improcrastinabili, come ha affermato anche il Presidente Napolitano il 28 luglio scorso, che ha definito lo stato della giustizia penale italiana: “Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” a cui la politica deve trovare soluzioni “non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Una riforma che affronti, tra le tante cause del sovraffollamento delle carceri, il problema dell’eccesso della custodia cautelare per cui l’Italia ha subito anche un monito dal Consiglio d’Europa, che preveda la diminuzione delle fattispecie di reato, che ampli la previsione di pene alternative e sostitutive al carcere, che modifichi la legge sulla tossicodipendenza e sulla recidiva. Auspichiamo che i numerosi attestati di solidarietà dei parlamentari espressi a Marco Pannella durante il suo digiuno si trasformino in una concreta azione per una vera riforma delle carceri. Che il Parlamento dia finalmente corpo a tutte le mozioni approvate sul carcere “possibile” da riformare, da realizzare. Che reputi il carcere come l’urgenza da affrontare ora, senza esitazioni. Elisabetta Laganà, presidente Cnvg (per conferenza stampa al senato del 1° settembre 2011) Lettere: caro ministro, faccia seguire i fatti alle parole di Ada Palmonella (psicologo a Regina Coeli) Gli Altri, 2 settembre 2011 Gli psicologi che si occupano dei detenuti chiedono che venga ascoltata la richiesta di amnistia. Vorrei, su questo settimanale che si occupa in modo organico di carceri, dare il “benvenuto” al neo- eletto Ministro Nitto Palma a nome degli psicologi penitenziari d’Italia. Vorremmo augurargli un buon lavoro, degno di un ministro. Le premesse sono buone, considerando che Nitto Palma ha trascorso il Ferragosto tra le mura di Regina Coeli. Eravamo purtroppo abituati all’assordante silenzio di Alfano, sulla condizione carceraria. Vorremmo che le parole che Nitto Palma ha pronunciato in quella occasione non restino parole ma che diventino progetti. Vorremmo che la voce dei detenuti e delle detenute che gli gridavano: “amnistia!” sia stata udita bene dal ministro, che gli sia arrivata fino al cuore. A me, che sono “pratica di galera”, è arrivata potentemente. Vorrei che per una volta, senza dimenticare tutte le figure professionali che lavorano in carcere, il ministro si ricordasse anche di noi, che da anni e anni prestiamo la nostra opera di psicologi, e che veniamo trattati come si trattano spesso i poveri, migranti che lavorano per pochi soldi, in ambienti malsani, e non vengono neanche riconosciuti come lavoratori. Dimenticano che la psicologia è un elemento primario per il sostegno ed il reinserimento nella società e spesso confondono l’educatore, l’agente di polizia penitenziaria, l’assistente volontario, con la figura dello psicologo. Ci auguriamo che il nuovo Ministro non commetta lo stesso errore. Leggendo la lettera di Alfonso Papa, attualmente in carcere a Napoli, che ha aderito alla giornata di sciopero della fame e della sete indetta da Pannella - lettera in cui c’è tutta la sofferenza della persona detenuta - mi sono chiesta perché, come deputato, non abbia mai pensato durante la sua permanenza in Parlamento di aiutare queste persone. Perché solo ora ha capito? Suppongo sia perché Papa divide con altre persone detenute una realtà che solo in pochi hanno capito fuori dalle mura della prigione. Alfonso Papa termina la sua lettera auspicando un intervento del parlamento e della politica. Caro neo ministro Palma, ascolti la voce di Papa. Ascolti Pannella e Bernardini che hanno saputo ascoltare, vedere, capire. Buon lavoro. Marche: sovraffollamento carceri; se ne parlerà Loreto in occasione Congresso Eucaristico Ansa, 2 settembre 2011 Il 25/o Congresso Eucaristico Nazionale, con la visita del papa ad Ancona, è anche l’occasione per rilanciare il problema della difficile situazione dei detenuti nelle carceri italiane, con un convegno nazionale che si svolgerà a Loreto il 7 e l’8 settembre prossimi. Lo ha annunciato il presidente dell’Assemblea legislativa delle Marche Vittoriano Solazzi. “L’iniziativa, condivisa dalla giunta regionale - ha spiegato - nasce dal poco invidiabile primato detenuto dalle Marche, al quarto posto tra le regioni italiane per sovraffollamento carcerario. Con il convegno intendiamo stimolare l’attenzione del ministero della Giustizia e del Governo affinché prendano provvedimenti adeguati, ma anche rilanciare l’indispensabile funzione del volontariato, e rivedere la legge regionale sul ruolo del Garante dei detenuti per migliorare, nei limiti delle nostre competenze, le condizioni dei reclusi e degli agenti di custodia”. Italo Tanoni, Ombudsman e Garante regionale dei diritti dei detenuti, ha snocciolato i numeri del disagio: a Ferragosto, nella casa di reclusione di Montacuto di Ancona, c’erano 438 detenuti (di cui 188 stranieri) a fronte di una capienza regolamentare di 172. Le cose non vanno meglio al Barcaglione di Ancona, con 37 detenuti sui 24 regolamentari (dati aggiornati al 31 luglio), ad Ascoli Piceno, con 110 reclusi sui 92 previsti, a Camerino (55 su 34), Fermo (84 su 64), e a Pesaro, dove sono rinchiuse 344 persone, rispetto a 152 posti standard. Unica eccezione, il supercarcere di Fossombrone: 144 detenuti a fronte di una capienza di 209. Ovunque inoltre è carente il personale di custodia: 194 agenti per tutti e sette gli istituti della regione, a fronte di 479 detenuti (al 40% di nazionalità straniera). Il convegno, organizzato in collaborazione con la Delegazione pontificia del Santuario e con il Comune di Loreto, affronterà i temi della rieducazione dei detenuti e del diritto alla genitorialità dei detenuti, del ruolo del volontariato, della situazione degli ospedali psichiatrico giudiziari e dei nuovi modelli carcerari. Tra i relatori, Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia, il sen. Michele Saccomanno, della Commissione ispettiva del Senato sugli ospedali psichiatrico giudiziari, Alessandro Bruni, presidente della Società italiana di Psicologia dei penitenziari e Antonella Forgione, direttrice della Casa circondariale di Trento. Il sindaco di Loreto Paolo Nicoletti ha sottolineato che l’iniziativa si svolge in contemporanea con la Giornata nazionale del Malato, nel solco di una trazione che vede la città attenta ai problemi dell’accoglienza, con particolare riguardo alle persone fragili. Firenze: troppi morti all’Opg di Montelupo, viaggio nel carcere-manicomio di Stefano Cecchi La Nazione, 2 settembre 2011 L’Opg di Montelupo fiorentino è in restauro, ma la Regione vuole chiuderlo: dove finiranno i detenuti? Quattro torri agli angoli, l’architettura magnifica del fine 500: vista da fuori sembra una normale villa Medicea. Che sia un carcere te ne rendi conto però quando arrivi, dal rumore metallico della chiave che l’agente di polizia penitenziaria fa girare nel cancello all’ingresso. Benvenuti all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo, (nome educato per non dire manicomio criminale), del quale si diventa ospiti non perché la storia è cattiva, piuttosto perché si è commesso un reato e un giudice ha stabilito la tua incapacità a intendere e la relativa pericolosità. Una “prigione sociale” che in questi giorni è investita da un fortunale di polemiche: la procura di Firenze ha aperto un’inchiesta per fare luce su una decina di morti avvenute fra le sue mura e, nel frattempo, ha disposto la chiusura di due ali per carenze igienico-sanitarie. Il tutto mentre la Regione Toscana ha annunciato la volontà di chiudere il manicomio entro il dicembre del 2012. La scelta migliore? Chissà. A guardare le cose dal di dentro si ha come l’impressione che sull’Opg di Montelupo sia in corso una battaglia “politica” con molti aspetti incongruenti. In fondo le incongruenze ti accolgono anche strutturalmente appena si è dentro. Alla destra dell’ingresso c’è la palazzina dedicata alle visite dei parenti. È nuova di zecca ma nessuno può utilizzarla. I tempi incomprensibili della burocrazia. Così oggi gli ospiti dell’Opg incontrano i parenti sulle panchine del parco sperando che l’inverno arrivi il più tardi possibile. Il segno tangibile della fatiscenza marchia invece uno dei due edifici che ospitano i ricoverati, in quella che chiamano la sezione “Ambrosiana”. Un viaggio dentro queste stanze colpisce al cuore. L’intonaco manca in più parti, infiltrazioni d’acqua macchiano i muri e le molti mani di vernice accumulatesi negli anni, i bagni aperti sono in condizioni indecorose. Qui il giudice, a ragione, ha fatto chiudere 17 celle dopo le 4 che già la direzione dell’Opg aveva chiuso. Da allora, però, qualcosa è migliorato. Con i 17.000 euro di fondi che lo Stato ha elargito per la manutenzione, si sono costruite delle docce comuni. Gli ospiti ancora ricoverati nella sezione, quelli considerati meno pericolosi, dormono ancora in sei per stanza in celle indecorose, ma almeno un minimo di igiene è stato raggiunto. Diverse le cose nell’altro edificio, quello chiamato “sezione Tre” e che ospita i detenuti più pericolosi. La parte accessibile è stata restaurata pochi anni fa ma i segni dell’usura sono evidenti. Colpa dei malati che ospita. Come un nigeriano di oltre 2 metri, che tempo addietro in un comune della Liguria sfasciò il parco auto della polizia municipale e che qui ogni tanto vorrebbe ripetere la cosa. Lui, come altri, deve per forza occupare una stanza da solo, visto che qualsiasi convivenza sarebbe impossibile. Così i detenuti meno pericolosi sono costretti a dormire in sei nelle stanze che restano. La seconda cosa incongruente è che proprio accanto c’è un’ala nuova di zecca con 50 posti letto già pronti. I lavori fatti ad arte (travi a vista sul tetto e mattoni rossi) sono terminati di poco e la consegna è prevista per il prossimo dicembre. Accanto, un campo di calcetto e un percorso per camminare all’aria aperta è solo da inaugurare. Davvero tutto ciò dovrebbe essere inutilizzato per trasferire i ricoverati altrove? Gli ospiti di un manicomio criminale sono figure particolari. Un uomo di 80 anni, distinto, siede su una panchina. Lo diresti un tranquillo nonno non fosse che, per troncare la discussione con una vicina di casa, costui l’abbia uccisa ad accettate. Anche l’uomo accanto a lui sembra un normale signore di mezza età. Peccato che un giorno abbia rubato un autobus e con questo abbia ucciso un uomo prima di essere fermato dalla polizia. Se l’Opg di Montelupo chiudesse, dove finirebbero? VISTA la dedizione con la quale il personale sanitario si occupa di loro, forse la cosa migliore sarebbe investire sulla struttura fino a renderla completamente efficiente. Ma sotto questo profilo nessuno pare aver voglia di fare. Forse è solo un caso, ma degli 80 agenti penitenziari in servizio, il più giovane ha 15 anni di anzianità e l’ultimo arrivato risale al 2003. Come se lo Stato avesse voluto chiudere a chiave insieme ai ricoverati anche il problema. Un errore. Uguale e contrario a quello di chi vorrebbe cancellare la follia omicida cancellando semplicemente i luoghi di reclusione e di recupero. A pensarci bene, questa sì una follia. Spoleto (Pg): brande di fortuna e niente carta igienica, carcere al collasso Ansa, 2 settembre 2011 Non cessa la situazione di allarme all’interno del carcere si Spoleto. Prosegue l’impegno dei parlamentari Pd Gianpiero Bocci e Walter Verini sul fronte dell’emergenza carceri in Umbria. Dopo aver fatto visita alla casa circondariale di Perugia, lo scorso quattro agosto, giovedì mattina i due deputati si sono recati presso il carcere di Maiano accompagnati dal sindaco Daniele Benedetti e dal presidente del consiglio comunale di Spoleto Patrizia Cristofori che, nei giorni scorsi, avevano lanciato l’allarme sovraffollamento. A seguire, nel corso della conferenza stampa svolta presso il palazzo comunale, Bocci e Verini hanno dato conto di una situazione “oltremodo indecorosa per lo stato di permanenza della popolazione carceraria che rischia di compromettere la sicurezza interna al carcere stesso”. La fotografia “scattata” dai due parlamentari racconta di uno scenario davvero invivibile in cui, a causa del sovraffollamento, molti detenuti sono stati addirittura spostati in camerate improvvisate ricavate all’interno degli spazi ricreativi in cui sono state stipate brande di fortuna. “È intollerabile - hanno dichiarato i due deputati Pd - che in una struttura carceraria di massima sicurezza come quella di Spoleto continui ad aumentare il numero dei detenuti e diminuisca più che proporzionalmente quello gli agenti”. “In Umbria - hanno ricordato - i detenuti sono cresciuti di più duemila unità e in particolare la situazione di Spoleto è al limite del collasso tanto che il ministero non è in grado di garantire neppure le scorte di carta igienica”. “Per questo - hanno concluso i due onorevoli - ci faremo promotori di un’iniziativa congiunta di tutti i parlamentari umbri per chiedere al ministro competente di ripristinare una situazione dignitosa per questo e per gli altri carceri dell’Umbria così come già chiesto nelle scorse settimane dalla presidente della regione Marini”. Salerno: il “Gruppo Carceri” di Radicali italiani pronti allo sciopero della fame La Città, 2 settembre 2011 Pronti allo sciopero della fame se entro le prime due settimane di settembre non saranno convocate dal Parlamento le sedute per discutere della riforma strutturale della giustizia nelle carceri. Ad annunciarlo è Donato Salzano e Fabiana De Carluccio, del “Gruppo Carceri” di Radicali italiani. Iniziativa che fu già portata avanti il 14 agosto scorso, con lo sciopero totale della fame e della sete: 471 le adesioni a Salerno, raccolte in parte anche davanti al carcere di Fuorni, tra i detenuti e i loro familiari, avvocati, parlamentari, operatori e agenti di polizia penitenziaria, direttori e personale amministrativo, cappellani delle carceri. “Dobbiamo essere pronti, allertarci tutti già da adesso, prepararci ad iniziare la “Marcia del sale” - dice Salzano - perché quasi sicuramente, prima del dibattito in Parlamento, si dovrá fare un grande sciopero della fame per difendere con le armi della nonviolenza questa convocazione straordinaria conquistata per legge”. Nel corso di questi mesi i Radicali hanno raccolto, e superato, le firme necessarie per chiede una seduta straordinaria del Senato della Repubblica sul tema della giustizia. Oggi a Roma Marco Pannella e Emma Bonino illustreranno in una conferenza stampa le iniziative che saranno promosse dai radicali, in particolare per risolvere la grave emergenza delle carceri italiane. Caltanissetta: Uil-Pa; detenuto affetto da meningite, ricoverato d’urgenza in ospedale Adnkronos, 2 settembre 2011 “Da circa settantadue ore un detenuto 35enne di origine italiana classificato Alta Sicurezza e ristretto nella Casa Circondariale di Caltanissetta, è ricoverato nell’ospedale cittadino perché affetto da meningite”. È quanto afferma Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa Penitenziari, che spiega: “A seguito di tale ricovero, effettuato con modalità d’urgenza martedì scorso, a tutto il personale penitenziario è stata prescritta terapia preventiva. Purtroppo questo ennesimo episodio conferma l’attualità dell’allarme che la Uil Pa Penitenziari ha lanciato rispetto alla situazione sanitaria negli istituti di pena”. “Dopo la tbc, la scabbia e l’epatite - sottolinea Sarno - ora anche la meningite fa capolino nelle celle. Pur non volendo alimentare inutili allarmismi, ci pare ben chiaro che è giunta l’ora che i vertici dell’amministrazione e il ministro Palma valutino l’opportunità di convocare una conferenza dei servizi per individuare le risposte necessarie all’allarme sanitario che si promana dalle prigioni italiane”. “Il degrado, l’insalubrità, il sovrappopolamento delle strutture penitenziarie e persino l’impossibilità di garantire l’approvvigionamento di generi per la pulizia - rimarca il sindacalista - costituiscono l’humus ideale per lo sviluppo di malattie infettive”. Per il leader della Uil-Pa “è pertanto urgente, anche per rispondere ad un molto probabile allarme sociale, che a Caltanissetta si attivino immediatamente le sinergie necessarie a gestire la delicata situazione”. “Di fronte a tale situazione - conclude Sarno - trova maggior ragione la manifestazione nazionale che la Uil-Pa Penitenziari ha convocato e organizzato per il 29 settembre, davanti alla sede del Dap. Una manifestazione che si prefigge lo scopo di sensibilizzare ed informare la stampa, l’opinione pubblica e la politica delle difficoltà e del disagio lavorativo degli operatori penitenziari”. Lanciano (Aq): il direttore del carcere denuncia; condizioni di vivibilità molto precarie Il Centro, 2 settembre 2011 “Il super-carcere di Lanciano è in condizioni di vivibilità molto precarie”. Lo ha dichiarato il direttore della casa circondariale di Lanciano (Chieti), Massimo Di Rienzo, intervenendo questa mattina nel corso dell’incontro che il procuratore della Repubblica, Francesco Menditto, ha tenuto con i giornalisti nel suo ufficio. “Nel carcere di Lanciano - ha spiegato Di Rienzo - un’isola pugliese-campana-calabrese nel territorio abruzzese, ci sono al momento 340 detenuti a fronte di una capienza di 180, l’organizzazione del carcere risente di un ulteriore appesantimento dovuto al fatto che i detenuti non si possono incontrare per la natura dei reati per i quali sono stati condannati: quelli della sezione di massima sicurezza, detenuti per reati associativi importanti, sono circa la metà”. “Ci sono poi i collaboratori di giustizia - ha aggiunto Di Rienzo - e i detenuti comuni: grazie all’azione di Marco Pannella qualcosa si sta muovendo in Senato, non voglio parlare di amnistia, non mi compete, ma dobbiamo tutti riflettere sulla questione del sovraffollamento delle carceri in Italia”. Il 25 maggio scorso i detenuti del carcere di Lanciano hanno aderito per due giorni allo sciopero della fame promosso dal deputato radicale Marco Pannella per denunciare le condizioni di sovraffollamento e “per chiedere di scontare il debito con lo Stato in maniera dignitosa”. Firenze: il Garante; evasione di un detenuto in art. 21 e tentato suicidio di una detenuta Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2011 Franco Corleone, Coordinatore dei Garanti territoriali e Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze ha dichiarato: “Il primo giorno di settembre nel carcere di Sollicciano sono accaduti due fatti gravi: una evasione di un detenuto in art. 21 e un tentato suicidio di una detenuta. Certamente per la mia coscienza è nettamente più grave il gesto messo in atto da S.Z, una donna di 46 anni con una pena definitiva al 2013, per reati contro la proprietà e che ora è ricoverata all’ospedale di Torregalli in coma farmacologico. Si allunga la lista delle tragedie in carcere e troppo poco si fa per cambiare la vita quotidiana di uomini, donne e bambini reclusi. L’episodio di evasione non può costituire un alibi per ridurre la concessione di misure alternative: certo è paradossale che si applichi in maniera estremamente ridotta la legge sulla detenzione domiciliare per le pene fino ai 12 mesi e non si conceda in maniera ampia l’affidamento terapeutico per i tossicodipendenti, che continuano a riempire le carceri italiane, e invece si conceda un beneficio cospicuo a un detenuto con una pena lunga”. Cremona: carcere in emergenza, solo 110 agenti in servizio contro i 165 previsti www.cremonaonline.it, 2 settembre 2011 Il numero dei detenuti non ha raggiunto il record. Anche se per giorni è stata lambita quota quattrocento, contro i duecento previsti al debutto della casa circondariale, nel 1992. È arrivato, invece, il record per quel che riguarda gli agenti in servizio: non sono mai stati così pochi come quest’estate. A Cà del Ferro gli uomini in divisa effettivi sono scesi a 110 unità. La pianta organica ne prevede 165. I distacchi sono una trentina. Il resto lo hanno fatto le ferie, sacrosante, che hanno ulteriormente assottigliato gli uomini. Il turno previsto dal contratto nazionale, sei ore al giorno (quattro quadrati), a questo punto è una chimera. Un lontano ricordo. Ma non sono soltanto i numeri di questa estate di super lavoro ad alimentare la protesta degli agenti della polizia penitenziaria di Cremona, che nella quasi totalità sono padri di famiglia (tanto per ricordare le ripercussioni a livello privato che questo assetto comporta). Da più parti, tra gli agenti che svolgono attività per le varie sigle sindacali, si mette in luce, senza tanti giri di parole, l’assenza della politica locale a fronte di una situazione sempre più critica. “A Cremona è come se il carcere fosse una cosa lontana, avulsa dalla città. È come se non interessasse a nessuno. E pensare che si tratta di una casa circondariale - spiega un agente di lungo corso - e non di un carcere di massima sicurezza. Si tratta di un’assenza che pesa. A volte sembra quasi che dia fastidio pensare che in questa struttura alcune cose non vanno. Che ci sono dei problemi. E che la situazione è retta soprattutto grazie alla professionalità di chi ci lavora”. Forlì: l’impegno della San Vincenzo, una boccata d’ossigeno per i carcerati Corriere Cesenate, 2 settembre 2011 La San Vincenzo porta la carità dietro le sbarre. È da ormai un decennio che l’associazione cattolica cesenate è attiva nel carcere di Forlì, per portare soccorso materiale e psicologico a chi sta scontando la pena detentiva. “Non dimentichiamoci mai che i detenuti sono persone profondamente sofferenti, per il rimorso dei reati commessi, per il distacco dalle famiglie, per la limitazione della libertà e per la precarietà dei luoghi di detenzione. Il carcere è il luogo privilegiato dell’ingiustizia, lede la dignità e i diritti fondamentali delle persone”, debutta Luigi Dall’Ara, coordinatore regionale della Società San Vincenzo de Paoli. E così tutto ciò che è ritenuto scontato per chi è libero, diventa una boccata d’ossigeno per chi invece conduce la vita parallela della galera. “Ogni settimana forniamo ai detenuti generi di prima necessità - prosegue -, li incontriamo e sosteniamo nei momenti di sconforto e ci confrontiamo periodicamente con gli assistenti sociali della casa circondariale per pianificare la nostra attività”. Un aspetto importante sono i momenti di condivisione e di riflessione. “I primi di agosto abbiamo organizzato un torneo di ping-pong che si è trasformato in un momento di fratellanza, dove i detenuti, in un clima di serenità, hanno potuto dialogare a lungo con la dirigenza del carcere e con i volontari - sottolinea Dall’Ara. In autunno prenderanno il via due cicli di incontri: uno a carattere filosofico e un altro di catechesi tenuto dal vescovo Douglas Regattieri”. I vicenziani hanno ben chiaro quale sia il momento più difficile per i carcerati, ovvero l’uscita dalla prigione: spesso infatti vengono emarginati, quasi sembrasse impossibile scrollarsi di dosso l’etichetta di delinquenti. “Si sta concretizzando il progetto di trovare un lavoro agli ex detenuti grazie alla disponibilità di alcuni imprenditori locali - dice -. Inoltre, ci stiamo attivando per realizzare all’interno della casa circondariale forlivese un laboratorio di pasta fresca per la sezione femminile e uno per il confezionamento di prodotti per uso commerciale. Non poniamo limiti alla Provvidenza”. Verona: il Garante; incontri nel carcere di Montorio dedicati alla musica, al cinema e al teatro Ristretti Orizzonti, 2 settembre 2011 Si avvia alla conclusione la rassegna “Per non dimenticare l’altra platea”, ciclo di incontri riservato alle persone detenute, dedicato alla musica, al cinema e al teatro. La manifestazione, inaugurata il 23 luglio scorso, è organizzata dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Verona Margherita Forestan, dal direttore della Casa circondariale Antonio Fullone, dalla dirigente dell’area pedagogica Enrichetta Ribezzi, in collaborazione con Paola Tacchella e Dannia Pavan di MicroCosmo. Il calendario degli ultimi appuntamenti prevede per il 3 settembre l’esibizione degli “Ape Regina”; il 10 Ascanio Celestini; il 17 Giuseppe Zambon e Maria Grazia De Marchi ; il 24 “Una Vez Trio” e l’1 ottobre la “Beghini Blues Band”. Nei mesi di luglio e agosto, gli appuntamenti della rassegna sono stati animati da “Gli Spartiti”,”Bono Vox”, “Rock in progress”, “Luca Donini Trio”, “Stray Bullets”, Alessandro Anderloni, Antonella Anghinoni, Rita Colantonio, Andrea De Manincor e Sabrina Modenini. “Desidero ringraziare quanti hanno collaborato per la buona riuscita della rassegna - dice il Garante dei detenuti Margherita Forestan - che anche in questa edizione ha visto una partecipazione attiva da parte di tutti. Estremamente positivo e molto apprezzato il coinvolgimento di alcune persone detenute nella giuria del XVII° Film Festival della Lessinia - conclude Forestan - un’esperienza importante che le ha rese partecipi di un’iniziativa culturale internazionale sulla montagna, facendole sentire parte integrante della società”. Il premio speciale della giuria della Casa Circondariale di Montorio è stato assegnato al film “Vertige d’une rencontre” di Jean-Michel Bertrand” con la seguente motivazione: “La completa immersione nella natura restituisce il senso di libertà e consola. La mancanza di storia e di vicende problematiche, tanto presenti nelle storie di vita di molti detenuti, dà respiro. È una metafora del carcere: la società, come mamma aquila, cura i piccoli preparandoli a spiccare il volo, e noi a riconquistare la libertà. La vertigine è legata alla realizzazione del sogno di bambino: è possibile, basta non perderlo mai di vista”. Roma: detenuti in scena a Ostia, raccontano i 150 anni dell’unità d’Italia Il Velino, 2 settembre 2011 Uno spettacolo teatrale per raccontare i 150 anni dell’Italia unita. A metterlo in scena la compagnia Stabile Assai della casa di reclusione di Rebibbia di Roma che si esibirà l’8 settembre a Ostia nell’ambito della manifestazione “Approdo alla lettura”, patrocinata dalla Presidenza del XII Municipio. La rappresentazione, intitolata “Una canzone per l’Italia”, ripercorre la storia del Paese: dal brigantaggio alle lotte contadine e operaie degli inizi del XX secolo, fino alla Resistenza. Nel copione anche le vittorie della Nazionale di calcio e l’attuale dramma dell’immigrazione. Il racconto si snoda tra monologhi e canzoni, in una immaginaria ricostruzione da “opera dei pupi” che quattro professori di liceo utilizzano per stimolare i ragazzi a conoscere le vicende dell’Italia monarchica prima e repubblicana dopo. Lo stile narrativo è quello classico della compagnia che dedica un’attenzione particolare alle problematiche sociali che spesso conducono le persone in carcere. Ampio spazio è dedicato alla canzone italiana tra tammurriate, pizziche, canzoni d’autore e vari heats. La compagnia è nata nel 1982 ed è formata da detenuti, detenuti semiliberi che fruiscono di misure premiali, operatori carcerari e musicisti professionisti. Si è già esibita in diverse città italiane e nel 2009 è salita su un palco “speciale”, all’interno della Camera dei deputati, con lo spettacolo “Roma, la Capitale”. I testi rappresentati, inediti, sono dedicati ai grandi temi dell’emarginazione, come l’ergastolo (“Fine pena mai”), la follia (“Nella testa un campanello”), la questione meridionale (“Carmine Crocco”), l’integrazione (“Nessun fiore a Bamako”). Immigrazione: Pd; il ministro Maroni liberi i bambini detenuti a Lampedusa Italpress, 2 settembre 2011 “La reclusione di oltre 200 tra bambini e adolescenti immigrati nelle strutture di detenzione di Lampedusa, denunciata oggi dal settimanale L’Espresso, è pura barbarie, indegna di un paese civile”. Lo affermano in un comunicato congiunto i deputati del Partito democratico, Anna Paola Concia, Michele Meta e Jean Leonard Touadi. “Una barbarie - aggiungono - che non può e non deve essere perpetrata e lunedì presenteremo un’interrogazione parlamentare per sapere dal ministro degli Interni Maroni quali misure intenda intraprendere per porre immediatamente fine a quella che per questi ragazzi è una vera e propria segregazione, in condizioni igienico sanitarie a dir poco precarie, in un luogo pericoloso e non idoneo alla loro età e alle loro esigenze”. “Nei prossimi giorni - concludono - ci recheremo inoltre a Lampedusa per verificare di persona lo stato psicofisico di questi ragazzi”. Immigrazione: lei di Varese, lui tunisino… una storia d’amore interrotta dal pacchetto sicurezza di Raffaella Cosentino Redattore Sociale, 2 settembre 2011 Un immigrato che ha passato metà della vita in Italia è stato prelevato in casa dai vigili urbani perché non ha più il permesso di soggiorno. Ha dovuto lasciare la compagna e racconta di aver subito un pestaggio nel Cie di Modena. Adesso è stato espulso e portato in Tunisia via nave. Aveva lasciato il suo paese nel 1982. Rilasciato a Bari, è tornato a Varese e da lì nuovamente a Modena. Infine l`espulsione. Maroni, siamo più sicuri dopo la sua deportazione? La separazione forzata di una coppia di cinquantenni è una delle conseguenze del pacchetto sicurezza. E` accaduto a Sesto Calende, in provincia di Varese, nel cuore del regno leghista. E. P., lombarda, sta vivendo un agosto d`angoscia perché all`improvviso le è stato sottratto il compagno straniero con cui ha una relazione da tre anni. Adesso teme per la sua incolumità. L. è un tunisino senza permesso di soggiorno perché aveva perso il lavoro con la crisi. È stato portato via dai vigili urbani mentre si trovava a casa di un cugino, alle 8 del mattino del primo agosto, durante un banale controllo per un certificato di residenza. Trasferito e rinchiuso prima nel Centro di identificazione di Bari e poi in quello di Modena, ha raccontato di essere stato brutalmente picchiato e ferito dalla polizia, per rappresaglia dopo un tentativo di fuga di massa dal centro emiliano al quale lui non avrebbe partecipato. La storia emerge dopo giorni di alta tensione nel Cie di Modena, dove tre persone sono riuscite a fuggire durante rivolte che avrebbero causato 20 mila euro di danni per la distruzione di porte e finestre. Daniele Giovanardi, fratello del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e presidente della Misericordia, ente gestore del Cie, ha parlato di “un contingente di malfattori comuni ed ex carcerati, gente che poco ha del profugo in senso stretto`. Dall`interno del Centro, alcuni reclusi denunciano per telefono pestaggi indiscriminati da parte degli agenti. “La polizia è entrata di notte con i manganelli e ha preso anche chi non ha fatto niente - dicono - mi hanno quasi spaccato l`occhio, a un altro la mano, mi hanno picchiato di brutto`. Accento padano, vive in Italia dal 1982, L. è recluso senza aver commesso reati. La prefettura di Varese vuole rispedirlo a Tunisi, anche se lui ormai si è rifatto una vita qui e non ha più messo piede in patria negli ultimi dieci anni. Sta in gabbia in attesa dell`identificazione quando a Sesto Calende lo conoscono tutti e, oltre alla compagna, lo aspettano cugini, fratelli e cognate, regolari da tempo sul territorio. L. ha avuto il permesso di soggiorno dal 1990 al 2005. Poi ha perso occupazione e diritti e da allora vivacchia con lavoretti in nero. Senza documenti e con un decreto di espulsione alle spalle non si protesta. E così, il recluso tunisino, prima di finire in cella ha fatto il muratore per un mese per un`azienda che si è rifiutata di dargli il salario. “Tutti sapevano, carabinieri, vigili e polizia che non aveva i documenti - racconta la donna che si sta battendo per tirarlo fuori - lui era ben visto da tantissime persone, ma adesso c`è un comandante nuovo, abbiamo un sindaco leghista, abbiamo tutto questo apparato”. L`amore non conosce passaporti, ma una prova del genere è dura per una tranquilla signora di mezza età. “Lui per me è un aiuto in tante cose, di punto in bianco mi sono trovata come se fosse stato un delinquente e non so cosa fare - dice E. - ho speso già più di mille euro per gli avvocati e non vivo nell`oro`. Perfino telefonarsi costa caro. L`unico mezzo di comunicazione è una cabina alla quale si può chiamare da fuori componendo un esoso 199, considerato che si tratta di un numero fisso. Dal cellulare costa 56 centesimi al minuto più scatto alla risposta. Nonostante formalmente non sia un carcere, al Cie di Modena sono vietati i cellulari, come sottolinea il rapporto 2010 di Medici senza Frontiere (“Al di là del muro`), in cui si legge: “Desta perplessità la prassi adottata dall`ente gestore di ritirare ai nuovi arrivati orologio e telefono cellulare`. Ogni detenuto nella struttura costa alle casse pubbliche la cifra record di 75 euro al giorno. Nel caso di L. si spendono questi soldi per trattenere con la forza un immigrato che lavora da 30 anni nel nord Italia. Tant`è che il giudice di pace di Bari non ha convalidato la detenzione nel Cie decisa a Varese, con una sentenza che tiene conto del caso individuale e cita “la lunga permanenza regolare dello straniero sul territorio nazionale`, “i permessi di soggiorno non rinnovati a causa della crisi economica e la conseguente riduzione dei posti di lavoro nella zona in cui risiedeva` e la necessità di informare le autorità consolari tunisine “indispensabile data la lunga permanenza regolare dello straniero`. Per il giudice andavano applicate misure meno coercitive così come previsto dalla direttiva europea sui rimpatri che prevede il rientro volontario. Rilasciato il 4 agosto a Bari, L. è tornato a Varese e, come gli era stato suggerito, si è presentato in questura dopo 5 giorni. “Ci hanno detto: state tranquilli, non lo mangiamo - riferisce la sua compagna - e poi invece lo hanno mandato subito al Cie di Modena, hanno fatto come i deportati di una volta dei nazisti, lì effettivamente è un carcere e c`è stata la rivolta, l`hanno picchiato e mi hanno impedito finora di vedere come sta. Abbiamo buttato via i soldi per essere di nuovo punto e a capo`. Ma soprattutto, la legge è stata applicata in modo opposto dai due giudici di pace di Bari e di Modena, visto che il secondo ha convalidato la detenzione nel Cie dopo soli 5 giorni dal rilascio. Libia: Amnesty; 19 detenuti lasciati morire in un container dalle forze pro-Gheddafi Tm News, 2 settembre 2011 La delegazione di Amnesty International presente in Libia ha scoperto che le forze pro-Gheddafi hanno fatto morire 19 detenuti, lasciandoli chiusi a soffocare in due container di metallo, sotto il sole rovente di giugno. L’episodio, raccontato da tre sopravvissuti incontrati dalla delegazione di Amnesty International, risale al 6 giugno. Uomini fedeli a Gheddafi hanno torturato e poi chiuso 29 persone in due container ad al-Khums, 120 chilometri a est di Tripoli. Secondo quanto hanno raccontato i tre testimoni, Mohammed Ahmed Ali, Faraj Omar al-Ganin e Abdel Rahman Moftar Ali, i prigionieri hanno rapidamente esaurito le scarse scorte di acqua e, sotto un sole di 40 gradi, hanno bevuto il loro sudore e la loro urina. Fuori dai container, le guardie che li avevano arrestati, indifferenti alle richieste di aiuto, urlavano: “Topi, state zitti!”. Per Amnesty International si tratta di un crimine di guerra. Una delegazione dell’organizzazione per i diritti umani è andata ad al-Khums e ha esaminato i due container: erano privi di finestre e l’unica fonte di aria era costituita da decine di fori di proiettile lungo le pareti di metallo. Nel container più grande sono morte nove persone e altrettante nel più piccolo, che misurava due metri per sei. Un sopravvissuto è deceduto successivamente per insufficienza renale. Non è chiaro - secondo Amnesty - che fine abbiano fatto i corpi dei prigionieri morti. Le guardie fedeli a Gheddafi hanno aperto i due container nel tardo pomeriggio del 6 giugno, trasferendo i sopravvissuti in centri di detenzione della capitale. Sono stati liberati il 21 agosto, quando al-Khums è caduta nelle mani del Consiglio nazionale di transizione. Stati Uniti: nell’Ohio privatizzano le prigioni… per risparmiare sulla spesa pubblica Ansa, 2 settembre 2011 Come risparmiare sulla spesa pubblica e, allo stesso tempo, risolvere il grave problema del sovraffollamento delle carceri? Lo stato dell’Ohio (Usa settentrionali) vende la prigione “Lake Eire Correctional Insitute” alla società privata “Correction Corp. of America” per 72,2 milioni di dollari, per cercare di ridurre un deficit del suo bilancio pubblico di 8 miliardi di dollari. Lo riporta l’agenzia Bloomberg, sottolineando che la vendita consentirà allo stato di risparmiare 13 milioni di dollari all’anno e di aumentare la capacità della prigione di 702 letti. Privatizzare le prigioni, per l’Italia, è un tabù. Non per gli Stati Uniti. Nel 2009 Simonetta Cossu, giornalista di Liberazione, scriveva inorridita che: “C’è un business negli Stati Uniti che non dà segni di crisi. È l’incredibile affare che ruota attorno al complesso carcerario-industriale”. Dagli anni 80 ad oggi, negli Usa sono sorte 264 prigioni private, di cui 164 nate solo nell’ultimo decennio. Anche nel XIX Secolo, molte prigioni (anche a New York) erano private. La critica statalista non ammette che una funzione fondamentale dello Stato (l’ordine pubblico) sia gestita con metodi “mercenari”. Ma i vantaggi sono abbastanza evidenti: i proprietari sono tendenzialmente più aperti alle innovazioni (espansione e rinnovamento dei sistemi di sicurezza), sono responsabili di fronte a un governo che li controlla (dunque hanno meno possibilità di nascondere eventuali abusi). E permettono al contribuente di risparmiare.