Diario del detenuto Elton: “Il mio conto alla rovescia verso la libertà” Redattore Sociale, 29 settembre 2011 Il detenuto che sta per finire di scontare la sua pena è Elton Kalica, caporedattore di Ristretti Orizzonti, una vera colonna della redazione. Il diario del suo ultimo mese di detenzione è anche un modo per ricordare la situazione drammatica delle carceri, e per sottolineare con forza che percorsi come il suo, di straordinaria crescita culturale, che ne hanno fatto una persona preparata, competente, fondamentale nel grande lavoro di informazione che fa Ristretti, non saranno più possibili nelle galere sovraffollate di oggi, trasformate in colossali parcheggi di corpi. A Ristretti Orizzonti Elton serve qui, nella redazione esterna, a continuare il suo importante lavoro, a mettere a disposizione la sua competenza e la sua preparazione per portare le carceri al centro dell’attenzione, come lo sono per migliaia di ragazzi delle scuole di Padova e del Veneto, ai quali i detenuti di Ristretti Orizzonti da anni raccontano pezzi della loro vita per aiutarli a riflettere sui comportamenti a rischio, sulla voglia di trasgredire e sulla necessità di capire il senso dei limiti e l’importanza di rispettare le vite degli altri. Comincia oggi l’appuntamento quotidiano con Elton Kalica, recluso nel carcere Due Palazzi di Padova, che ha accettato di raccontare i suoi ultimi giorni di galera: uscirà il 25 ottobre 2011, dopo quasi 15 anni di reclusione ininterrotta. Non solo il figlio di Totò Rina o Erica De Nardo. Nel corso del 2011 circa 16 mila persone detenute nelle carceri italiane hanno finito o finiranno di scontare la propria pena. Tra loro ci sarà anche Elton Kalica, 35enne albanese attualmente detenuto nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Per lui le porte del carcere si sono aperte quattordici anni e otto mesi fa, quando venne arrestato per un sequestro di persona a scopo di estorsione, compiuto senza armi e durato due giorni. Da allora la reclusione è trascorsa senza mai un permesso, senza la possibilità di accedere alle misure alternative, senza poter mettere piede fuori dal carcere. Elton è stato infatti condannato per un reato previsto dall’articolo 4 bis del Codice penale, che prescrive il “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”. In quasi quindici anni tutto cambia, però, anche in carcere: così Elton ha iniziato a studiare, conseguendo una laurea prima e una laurea magistrale poi. Nel frattempo è venuto l’ingresso nella redazione di Ristretti Orizzonti, di cui è una firma storica. Ora che il conto alla rovescia tanto atteso è iniziato, Elton ha accettato di condividere pensieri, emozioni e ricordi degli ultimi giorni di galera. Un vero e proprio diario, insomma, per raccontare un passato faticoso e un presente di speranza, nell’attesa di un futuro ancora tutto da scrivere. Il sogno è di rimanere in Italia, in questo paese vissuto per poco da uomo libero e conosciuto attraverso le sbarre. Ma la legge italiana prevede l’espulsione, nonostante la garanzia di un contratto già pronto per lui con Ristretti Orizzonti. Per ora l’unica cosa certa è la data di inizio di una nuova vita: 25 ottobre 2011. Quel giorno, per la prima volta dopo quasi 15 anni, Elton attraverserà i cancelli della casa di reclusione, per riabbracciare gli affetti di sempre e cominciare a ricostruire se stesso. L’inizio della storia. Mi trovo in carcere da oltre quattordici anni e tra qualche settimana ritornerò libero. Una fase particolare della mia vita, questa, che mi fa vivere la galera da una prospettiva diversa. È anche una condizione che mi obbliga a guardare il futuro prossimo con un’attenzione diversa, con dei sentimenti nuovi. Come sono nuove le mie giornate, perché per me oggi non è più galera. Allora ho deciso di tenere un diario. Voglio descrivere i miei ultimi momenti qui dentro, con le impressioni e i pensieri che li riempiono. “Vent’anni, albanese, una famiglia benestante per le condizioni di vita di quegli anni a Tirana, la maturità classica e poi l’avventura del viaggio in Italia”, mi descriveva così Ornella Favero (direttrice di Ristretti Orizzonti, ndr), in un articolo pubblicato nella rivista cinque anni fa. Quel mio viaggio verso l’Italia ormai sarebbe sbiadito nello sfondo della memoria se non l’avessi raccontato, più di una volta, per quello che poi ha significato davvero: il cambio di una vita. Mentre mio padre cercava di convincermi a iscrivermi a Ingegneria contro il desiderio di mia madre che voleva vedermi un giorno diventare medico io, contagiato da quel desiderio di tanti albanesi di emigrare, sono scappato via. Avevo una zia a Mantova e sono andato a vivere da lei. Sono uscito un paio di sere con dei connazionali che si guadagnavano da vivere con furti e ricettazioni e ho deciso che la loro vita libera e avventurosa era ciò di cui avevo bisogno in quel momento. Sono scappato da mia zia per andare a vivere con i miei amici. Salvo quando ero al telefono con mio padre, e mentivo dicendo che mi ero iscritto all’università e che lavoravo abbastanza per mantenermi, la mia nuova vita, d’un tratto, mi faceva sentire grande, forte. Un atteggiamento che mi ha accompagnato anche quando, per avere da lui dei soldi che avanzavamo, abbiamo minacciato un nostro connazionale e stupidamente abbiamo trattenuto la sua ragazza nel nostro appartamento. Il nostro “debitore” però è andato dai carabinieri e in un batter d’occhio mi sono ritrovato in carcere, accusato di sequestro di persona a scopo di estorsione. In Italia questo reato prevede una pena che parte dai 25 anni. Al processo, in considerazione della giovane età, dell’assenza di precedenti penali, del fatto di non aver usato armi, forza, violenza, mi hanno riconosciuto delle attenuanti che valgono un terzo della pena e quindi mi sono preso 16 anni e 8 mesi di carcere. Sopravvissuto alla quattordicesima estate di galera, rimango steso sulla branda in attesa di un soffio d’aria. Sento delle grida provenienti dal quarto piano. C’è nervosismo nell’aria, pesante per il caldo e per il sovraffollamento. Ma ormai guardo il cielo, in attesa della pioggia, occupato a pensare alla galera di ieri. Elton Kalica. In collaborazione con Ristretti Orizzonti Giustizia: l’abisso tra carcere e diritti di Emiliano Silvestri Riforma, 29 settembre 2011 Per Napolitano un “abisso” separa la realtà carceraria dal dettato costituzionale. Anche il nostro Sinodo denuncia “l’insostenibile sovraffollamento” delle prigioni. E Pannella riprende lo sciopero della fame. Uno degli ordini del giorno approvati al recente Sinodo denuncia: “l’insostenibile sovraffollamento degli istituti penitenziari” e ricorda che la mancanza di risorse non può giustificare “condizioni detentive che violano i diritti umani”. Il 6 luglio, la pastora battista Anna Maffei, ricordava le morti nelle carceri italiane e richiamava la stretta relazione fra l’alto tasso di suicidi in carcere e le condizioni di sovraffollamento degli istituti di pena. “A chi importa?” - continuava Maffei - “forse solo ai soliti radicali il cui leader, Marco Pannella sta rischiando la vita con uno sciopero della fame che dura dal 20 aprile scorso”. Parlava dell’iniziativa di lotta nonviolenta per il rientro nella legalità di una Repubblica che vanifica ciò che è solennemente affermato nell’art. 27 della sua Carta costituzionale. Uno sciopero (65 giorni, di cui 5 anche senza bere, culminato in uno sciopero della sete che aveva coinvolto oltre 2.000 persone) sospeso per corrispondere alla sensibilità dei Presidenti della Repubblica e del Senato, che avevano sostenuto e patrocinato un convegno che avrebbe dovuto discutere, ai massimi livelli istituzionali, di carceri e giustizia. Nel suo intervento in quel convegno il Presidente Napolitano era stato duro: un “abisso” “separa la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona” (il richiamato art. 27). Una realtà che “ci umilia in Europa” e richiede “ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte” “non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Nel quasi totale silenzio della politica e della stampa, ha parlato un magistrato. In settembre, il giudice di sorveglianza di Lecce Luigi Tarantino ha condannato l’amministrazione penitenziaria a risarcire un detenuto per le condizioni di detenzione patite. Una sentenza che si aggiunge a quella dei giudici di Strasburgo, che nel luglio del 2009, condannarono l’Italia in seguito al ricorso del detenuto Sulejmanovic, costretto a vivere - in condizioni analoghe - in meno di 3 metri quadrati. Secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo veniva così violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950, che proibisce la tortura. Le carceri italiane sono tra le peggiori d’Europa; il peggioramento delle condizioni dei detenuti è tuttavia diffuso. Nel marzo scorso, la Corte Costituzionale tedesca ha imposto alle autorità penitenziarie di rilasciare un detenuto se non possono assicurargli una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. In maggio, anche la Corte Suprema della California ha affermato la preminenza della dignità umana sulla “sicurezza”, riscontrando nel sovraffollamento (148.000 detenuti in strutture con capienza di 80.000) una violazione dei diritti costituzionali dei prigionieri. Se lo Stato non è in grado di assicurare i diritti dei prigionieri - questo il ragionamento della Corte - dovrà rinunciare all’esecuzione della pena e liberare quanti detenuti sia necessario per rientrare nella legalità. In Germania come negli Usa si apre quindi la possibilità di liste d’attesa, come già succede in Norvegia da anni. Il principio è sempre lo stesso: se non c’è in carcere posto sufficiente, piuttosto che infliggere pene inumane e degradanti, meglio lasciare a casa i condannati, in attesa che il posto si liberi. La malagiustizia italiana non è solo carcere. Ci sono anche nove milioni di processi arretrati (di cui 5 e mezzo civili: un tracollo che tiene lontano gli investimenti esteri e costa all’Italia 22 miliardi l’anno); 180.000 prescrizioni l’anno (“un’amnistia di massa e di classe”, dice Pannella); 67.377 detenuti (42% in custodia cautelare) per 45.732 posti mentre mancano 5.877 agenti di custodia. I radicali raccolgono 146 firme di senatori. Vogliono convocare l’aula per: “l’urgente discussione e votazione di un documento che fissi modi e tempi certi per l’esame di provvedimenti di amnistia, indulto, depenalizzazione e decarcerizzazione capaci di confermare, integrare, perfezionare e rafforzare i risultati certi del progetto di riforma strutturale e funzionale della giustizia, per il ripristino della legalità costituzionale e il rispetto delle convenzioni europee e internazionali di cui la Repubblica italiana è parte”. Per evitare una frettolosa e sterile discussione il 20 settembre Pannella, Bernardini e Irene Testa riprendono lo sciopero della fame, cui si uniscono ancora detenuti e loro famigliari, associazioni come “A buon diritto”, “Antigone” e “Ristretti Orizzonti”, agenti di custodia con i loro sindacati, direttori di carceri (senza concorsi da 10 anni e con il contratto bloccato da 5) e il partito della Rifondazione Comunista. Il Senato è riunito il 27 settembre per “Comunicazioni del Ministro della giustizia sul sistema carcerario e sui problemi della giustizia”. Egli elimina dalla discussione indulto e amnistia: “nel passato” “strumento emergenziale per risolvere un problema che non si voleva risolvere alla radice”; passa a “rappresentare la situazione per come essa è” e, conclude: “si deve aprire una stagione di sereno confronto tra le varie forze politiche, che abbia presente la necessità di definire un progetto globale di giustizia, che porti la dovuta attenzione al sistema delle garanzie dei cittadini e che immagini il carcere come luogo di recupero, come luogo di cui interessarsi e non come luogo da esorcizzare”. Non dimentica di dire che in carcere, non essendo raggiunta la “soglia finale di tollerabilità” ci sono ancora 2.000 posti. Nulla cambia con le parole della vicepresidente Bonino, che ricorda i suicidi, le 1.095 condanne subite dall’Italia per la lunghezza dei processi, il 97,4% di furti e l’80% di omicidi, rapine, estorsioni e sequestri rimasti impuniti. L’avv. Pecorella, deputato Pdl, l’aveva previsto: “o c’è un accordo generale oppure credo che nessuno si esporrà a sostenere l’amnistia. Salvo i radicali che vanno avanti sempre secondo i loro principi e non secondo calcoli politici”. Pannella, al quarto giorno di sciopero della sete, riconosce: “sta diventando più dura” e avvia una nuova forma di lotta: tre cappuccini al giorno (e due sorsi d’acqua per ingurgitare le 8 - 9 pillole che gli sono prescritte) per guadagnare il “tempo minimo necessario perché tu comprenda” dice rivolto al Presidente Napolitano, “che avevi ragione quando hai indicato come priorità prepotente” il rientro nella legalità costituzionale. Giustizia: nel ddl sul “processo lungo” privilegi per pochi… e nuove bastonate per gli altri di Adriano Sofri Il Foglio, 29 settembre 2011 Già. Ma questo governo è il più forcaiolo con la ciurma, che è il principale metro di misura. Guardate che cosa prevede la seconda parte della legge sul cosiddetto processo lungo, passata al Senato col voto di fiducia. Si tratta, per inciso, della legge che secondo il primo presidente della Cassazione stabilisce “il diritto alla prescrizione dei reati per ogni imputato che sia difeso adeguatamente”. E secondo il ministro Palma sarebbe “palesemente incostituzionale”. Piove sul bagnato. Ma per non farsi mancare niente, al processo lungo si è allegato un comma (8, capoverso b) che infierisce sui condannati all’ergastolo e sui condannati per omicidio con certe aggravanti. (Per chiarezza, la cosa non mi riguarda personalmente di un minuto). A partire dall’originaria intenzione leghista di vietare agli imputati di reati punibili con l’ergastolo di accedere al rito abbreviato (che prevede una diminuzione di un terzo della pena), si è passati a una nuova restrizione all’accesso alle misure alternative ai condannati per il reato di omicidio, quando ricorrano alcune aggravanti. Oggi l’ordinamento prevede una gradualità nell’ammissione a esperienze “extra-murali” per questi condannati: il lavoro esterno quando sia stato espiato un terzo della pena; i permessi premio dopo l’espiazione in carcere di metà della pena, e la semi libertà dopo aver scontato due terzi della pena. Per gli ergastolani, dopo aver scontato vent’anni. Il nuovo comma vuole che queste pene siano state scontate per almeno tre quarti, e per almeno 26 anni per i condannati all’ergastolo. Anni in più, e per l’ergastolo (quello che si prometteva di abolire, da Beccaria nel 1764 in qua) “almeno” sei anni in più. Che cosa abbia a che fare un simile inferocimento con il plateale interesse che muove il processo lungo è impossibile spiegare, se non la distrattamente accanita abitudine a compensare i privilegi degli uni con una bastonata in più agli altri. Niente, negli esiti delle norme vigenti (e sempre più avaramente applicate, del resto) giustifica questa cattiveria, se non la cattiveria. Scrivono quelli di Ristretti Orizzonti, che hanno dedicato al tema un’inchiesta e un dibattito illuminanti: “Annullare questa gradualità significherebbe ritrovarsi domani con persone impreparate ad affrontare nuovamente la vita libera, dopo decenni trascorsi in cella”. E vale la pena di ricordare che, se l’ergastolo è palesemente in contraddizione con l’ispirazione e la lettera sul significato della pena nella Costituzione, lo sono fino al paradosso quegli ergastoli chiamati “ostativi” che escludono una volta per tutte ogni modificazione della reclusione in cella a vita. Letteralmente: buttar via la chiave. Bruciarsi i vascelli alle spalle - alle spalle degli altri. Giustizia: finalmente qualcosa si muove nella giusta direzione… forse… di Giuseppe Ariola Lab il socialista, 29 settembre 2011 L’ormai annosa questione carceraria è tornata alla ribalta della cronaca e del dibattito parlamentare, benché probabilmente negli ultimi anni sia sempre stata sotto i riflettori, sebbene talvolta in maniera sommessa. Ad ogni modo negli ultimi mesi il problema ha spesso occupato spazi importanti della vita politica italiana, con il conseguente riflesso mediatico che ne è derivato. Alla battaglia del Partito Radicale, il cui contributo ha avuto certamente il merito di sensibilizzare parte dell’opinione pubblica e delle Istituzioni, si è aggiunta l’attenzione che lo stesso Presidente della Repubblica ha dedicato alla situazione carceraria ed infine, anche il Guardasigilli Palma, tra le prime misure intraprese dall’insediamento a Viale Arenula, si è attivato alla ricerca di azioni che potessero risolvere il problema in maniera più o meno definitiva. A seguito di un’audizione a Palazzo Madama, il ministro si è incontrato anche con il Sappe, Sindacato della Polizia Penitenziaria, per approfondire le criticità del sistema carcerario, con particolare riguardo alle principali problematiche del Corpo di Polizia Penitenziaria. A tal proposito il segretario generale del Sindacato, Donato Capece ha fatto sapere di avere “apprezzato la disponibilità del Ministro Palma a confrontarsi con il Sindacato e la sensibilità ai problemi del Corpo di Polizia Penitenziaria, del quale ha dimostrato di conoscere i vari problemi organizzativi ed operativi”. Secondo quanto riportato ancora da Capece, il Guardasigilli avrebbe manifestato l’intenzione “di andare concretamente ad incidere sul fenomeno sliding doors per detenuti con detenzioni brevi e brevissime che entrano ed escono dal carcere al massimo in 7 giorni in tutto ma che incidono concretamente e pesantemente sul sovraffollamento: parliamo di circa 90mila detenuti l’anno”. I dibattiti e gli incontri, pur nella loro importanza, non sono però le uniche strade che si stanno percorrendo, dal momento che sono sempre maggiori le visite istituzionali organizzate presso le strutture detentive, proprio al fine ti toccare con mano le principali problematiche che pongono il sistema in uno stato di sofferenza. Tra le ultime in ordine di tempo, vi è stata quella di ieri che ha visto sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati recarsi preso il carcere di Rebibbia a Roma. “Certamente il sovraffollamento delle carceri è una piaga. Ed è proprio per questo - ha dichiarato il sottosegretario al termine della visita della casa circondariale - che stiamo attuando delle misure per cercare di dare una vita più dignitosa ai detenuti. Ritengo però che, al di là del sovraffollamento, che è una questione grave per la quale abbiamo dichiarato l’emergenza, sia molto importante avere nelle carceri spazi per il recupero dei detenuti”. Precisa la puntualizzazione della Casellati che trova sponda nell’art. 27 della Costituzione, allorché si precisa l’importanza della funzione di riabilitazione e di rieducazione dei condannati alla pena detentiva. “I detenuti in cella - ha infatti precisato il sottosegretario - non ci dovrebbero mai stare, forse solo per dormire. Dovrebbero avere un’attività formativa, nel senso di un’istruzione e di un lavoro. Dovrebbero avere quindi una sorta di preparazione per il dopo. Questo significa - ha aggiunto Casellati - che il carcere non ha più una dimensione di restrizione ma di apertura verso il futuro. È questo quello che conta”. Una visione questa decisamente riformista, che associata all’apprezzabile invito del ministro Palma, rivolto nel corso dell’audizione al Senato, ad utilizzare la custodia cautelare solamente come ‘estrema ratiò, fa onore non solo al Ministero della Giustizia, ma a tutte le Istituzioni italiane, perché va ad incidere direttamente su quei principi di dignità dell’individuo e di tutela della persona, con riferimento anche ad istanze di stampo profondamente garantiste, che sono alla base di tutte le democrazie. Se queste sono le basi per intervenire con la riforma del sistema giustizia di cui si parla ormai da tempo, l’impressione è che si stia procedendo nella giusta direzione. Giustizia: i Radicali, il Partito Democratico e i carcerati italiani Voce Repubblicana, 29 settembre 2011 Anna Finocchiaro e la via del dialogo sull’amnistia. Sono mesi che i radicali sono impegnati in una nobile battaglia per la difesa dei diritti dei carcerati. Si tratta di una battaglia che Marco Pannella ha portato avanti senza risparmiarsi su nulla. Ecco perché quando le agenzie di stampa hanno diffuso le parole della capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro la delusione è stata bruciante. “Il mio gruppo - ha detto la Finocchiaro al Senato - è totalmente contrario all’amnistia. Parlare di indulto o amnistia nel momento in cui non ci sono le condizioni nemmeno per pensare norme del genere sarebbe crudele nei confronti di chi, in carcere, ci costruisce sopra sogni di libertà”. I radicali e soprattutto i senatori radicali non meritavano un trattamento del genere. Queste parole hanno trasformato inevitabilmente il dibattito parlamentare sull’amnistia in una sorta di accusa contro i radicali, “colpevoli” di aver portato avanti una battaglia che “illude” i detenuti. Ma il discorso della Finocchiaro non finiva lì. “Il sovraffollamento delle carceri - ha spiegato Finocchiaro - è un problema drammatico e reale, ma è determinato da scelte ideologiche portate avanti dal governo Berlusconi. Come altro possiamo intendere infatti l’introduzione del reato di clandestinità? È chiaro che per incidere positivamente sul sistema carcerario bisogna partire dalla riforma del codice penale e di procedura penale. Chiederemo a lei ministro - ha concluso la presidente dei senatori Pd - di venire a riferire in aula su alcuni temi cui ha accennato nel corso di questo dibattito. Abbiamo infatti saputo che sono stati ultimati e che sarebbero pronti diversi nuovi stabilimenti carcerari. Perché non vengono usati? Vogliamo sapere se dietro a questi lavori pubblici agisce una concentrazione di imprese che lavorano solo in questo settore. Esperienze recenti di lavori pubblici svolti sull’onda dell’emergenza non hanno infatti avuto esiti positivi”. E intanto i detenuti attendono condizioni come minimo civili. Giustizia: amnistia… i Radicali non partecipano al voto sulla sfiducia al Ministro Romano Notizie Radicali, 29 settembre 2011 Era previsto ufficialmente da quasi tutti che l’iniziativa della sfiducia al Ministro Romano non sarebbe passata. In realtà quindi noi abbiamo anche tenuto presente questo fatto, e infatti se noi avessimo votato sarebbe prevalsa la posizione della maggioranza per 315 a 300. Ciò premesso, abbiamo deciso il comportamento che abbiamo avuto per sottolineare che il voto del Senato di ieri ha di fatto unanimemente, tranne noi, ritenuto irrilevante che il nostro Stato in questo momento ha una responsabilità letteralmente criminale perché sequestra e non detiene gli oltre 67mila detenuti, più i sequestrati della polizia penitenziaria e i direttori, come dichiarano, e di conseguenza poniamo un problema assoluto di priorità. Si potranno fare con tempi più o meno consueti tante riformette, mentre noi non possiamo tollerare che si vada avanti continuando strutturalmente a non superare la condizione della giustizia e delle carceri, perché non vogliamo essere complici di un crimine di Stato, ma semmai servitori della Legge e anche di uno Stato da rendere diverso con l’amnistia. E questo spiegheremo domattina a coloro che ci vogliono espellere dal gruppo del Pd, non avendo nemmeno lontanamente il sospetto che esista la necessità di obiezioni di coscienza contro il riproporsi di stati etici criminali e assassini. Le dichiarazioni di voto dei deputati radicali Elisabetta Zamparutti - “Signor Presidente, di fronte al persistente rifiuto di interrompere la flagranza di reato in cui si trova la Repubblica, per le condizioni di illegalità della giustizia e del carcere, questioni che il Presidente della Repubblica ha definito di prepotente urgenza, di fronte a tutto questo per noi in questa giornata non si discute la sfiducia nei confronti di uno di voi, di maggioranza o di opposizione che sia. Per noi oggi non rileva, perché vogliamo esprimere con la nostra non partecipazione al voto la sfiducia ad un’intera classe politica che si ostina a mantenere lo sfascio della giustizia, che è il fondamento dello Stato di diritto, per ripristinare il quale urge una amnistia... amnistia per la Repubblica!” Maurizio Turco - “Signor Presidente, ho ascoltato l’intervento dell’onorevole Contento, ma forse egli non si è accorto che ieri al Senato, in un’Aula pressoché unanime, quindi tutti voi, vi siete rifiutati di porre fine alla criminale illegalità della giustizia e delle carceri italiane. In nome di quella giustizia e dell’amnistia, di fronte a questo ceto politico che inchioda lo Stato alla condizione di criminale, i deputati Radicali continueranno da oggi, da adesso, da questo momento, la loro battaglia per l’amnistia, l’amnistia della Repubblica, l’amnistia della giustizia, l’amnistia delle carceri, e non parteciperanno al voto”. Rita Bernardini - “Signor Presidente, il Presidente della Repubblica, che viene richiamato molto spesso, ha detto che la condizione della giustizia e delle carceri ci umilia in Europa. Ebbene, ieri il Senato ha umiliato il Presidente della Repubblica, ha umiliato i cittadini. Si tratta di una violazione dei diritti umani, che viene fatta sistematicamente. Su queste cose siete tutti d’accordo. Ieri c’è stato un Parlamento unanime contro un’amnistia che è necessaria per la nostra Repubblica, per farla rientrare nella legalità”. Marco Beltrandi - “Dopo che tutti al Senato, ieri, hanno votato in modo da non interrompere ed aggravare, anzi, la condizione di flagranza ufficiale ed indiscutibile dello Stato italiano contro i diritti umani e la Costituzione, dopo il voto di ieri al Senato, noi non partecipiamo al vostro voto. In nome della giustizia, del carcere, dell’amnistia, noi non partecipiamo al voto di un ceto che inchioda lo Stato alla condizione criminale. Noi ci batteremo, inoltre, per impedire che metà di voi, la metà dei parlamentari italiani siano espulsi dall’oligarchia, perché diventi ancora di più tale”. Giustizia: Melis (Pd) ai Radicali; sembrate una piccola squadra che butta il pallone in tribuna Agenparl, 29 settembre 2011 “Cari Elisabetta, Marco, Maria Antonietta, Matteo, Maurizio, Rita, Ieri, come “delegazione radicale” (strana espressione che avete coniato per stare nel gruppo Pd della Camera come un partitino separato) avete, senza preavviso al capogruppo, deciso di non votare contro il ministro mafioso Romano e contro il governo Berlusconi. Lo avete fatto perché - avete detto - il Senato (quasi all’unanimità, Pd compreso) non ha optato nei giorni scorsi per l’amnistia nelle carceri. Sono dunque mancati i vostri voti. Non determinanti, ma “pesanti”. Berlusconi ha potuto dire - leggo sulla “Repubblica” - “avete visto i radicali? È uno strappo serio col Pd. Dobbiamo lavorarci”. Così Guido Melis, deputato Pd, rivolto ai radicali, che si sono astenuti dalla votazione di sfiducia al Ministro Romano. “Questi i fatti. Per quanto mi riguarda io sono rimasto molto colpito, e amareggiato. Ho con ciascuno di voi un buon rapporto - credo - di reciproca stima. Sulle carceri sono impegnato nel mio piccolo anch’io, dall’inizio della legislatura. Ne visito molte, ne scrivo, ho fatto - con voi e da solo - molte iniziative parlamentari sul tema. Considero lo stato delle carceri una vergogna dell’Italia di oggi. Anche per questo, quando Pannella digiunava, ho firmato convintamente il vostro appello per la sessione parlamentare dedicata alle carceri, pur chiarendo mentre lo firmavo che non sono favorevole all’amnistia. Piuttosto penso a serie politiche di depenalizzazione e a quelle misure che conoscete perché sono scritte nei documenti del Pd. Ma non è questo il punto. Il punto è che si può essere pro o contro l’amnistia, senza per questo essere inseriti nella classifica dei traditori dell’idea, come voi fate attribuendo al Pd al senato una volontà politica assimilabile a quella della maggioranza. E lo fate senza tenere conto delle posizioni del Pd nel merito, delle battaglie fatte dal partito e da noi deputati e senatori individualmente(battaglie spesso communi), delle idee che ci animano tutti. Ve lo dico con franchezza: nulla riconosco di liberal in questo atteggiamento manicheo. Anzi, ne sono personalmente profondamente offeso. Coperti dalla vostra condanna senza appello contro chi non si schiera sul fronte dell’amnistia, intolleranti come la vostra cultura liberale dovrebbe vietarvi d’essere con chi non la pensa come voi, voi decidete poi di non votare su un ministro mafioso e disertate una battaglia parlamentare di grande significato, collaborando di fatto con la maggioranza. Dire che lo fate perché non è stata votata l’amnistia al Senato è un po’ - scusate - come dire che uno non si cura la cancrena alla gamba perché ha un tumore da qualche altra parte del corpo. Le due cose non hanno nessuna attinenza. Non votare si inquadra in un atteggiamento tutto interno ai rapporti di forza politici tra gruppi, nel quale nessuno spazio viene lasciato al giudizio morale nel merito. Sembrate un po’ quelle squadre di provincia che, di fronte a partite impegnative, sentendosi inferiori, buttano la palla in tribuna. Ma qui, su questioni terribilmente serie come la connivenza alla mafia, non si può buttare la palla in tribuna. La si deve giocare, costi quel che costi, testimoniando anche col voto da che parte si sta. Consentitemi: è lecito divergere se oggi l’amnistia sia o no il rimedio del dramma delle carceri (io penso di no, naturalmente posso sbagliarmi, ma è lecito che la pensiamo diversamente e dobbiamo reciprocamente ammetterlo). Non è lecito favorire di fatto a favore un ministro mafioso astenendovi dalla sfiducia. Non c’è nulla, nessun gioco politico, nessuna logica di gruppo che lo possa consentire. Del resto la causa dell’amnistia che tanto vi sta a cuore non esce dalla vostra astensione di ieri in niente più forte e plausibile. A meno che (ma non voglio pensarlo neanche, tanta è la stima che ho per voi) non abbia ragione Berlusconi, e non ci sia nell’aria un accordo scellerato... Carissimi, ho scritto queste righe di getto. Perdonatene l’ingenuità. Vedremo cosa deciderà oggi il direttivo del gruppo Pd. Per quanto mi riguarda, però, voglio dirvi, prima di quella decisione, la mia delusione e il dispiacere di non poter non solo giustificare ma neppure comprendere il vostro comportamento. Con amicizia, Guido Melis” Giustizia: Ucpi; il Parlamento intervenga subito su custodia cautelare e misure deflattive Comunicato stampa, 29 settembre 2011 È “importante” che finalmente la politica “prenda atto che il problema delle carceri non si risolve con l’edilizia penitenziaria, che servono provvedimenti immediati e che questi devono coinvolgere il sistema della custodia cautelare, che è un problema nel problema perché i numeri dimostrano che quasi la metà dei detenuti sono in attesa di giudizio”. Così il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, Valerio Spigarelli, dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, sui nodi da sciogliere per ridurre il sovraffollamento delle carceri. Spigarelli afferma che “se, come riconosce lo stesso Guardasigilli, la custodia cautelare deve essere applicata solo come extrema ratio, e se - come hanno riconosciuto anche i vertici della magistratura nel corso dell’ultimo convegno di luglio promosso dai radicali - al contrario essa viene applicata in maniera esagerata ed impropria come uno strumento di difesa sociale allora - fa notare il leader dei penalisti - è venuto finalmente il momento di accogliere la richiesta dell’Ucpi di modificare le norme, affinché il principio venga finalmente applicato anche nei tribunali”. Per il presidente Ucpi è però “necessario che alle parole seguano i fatti, e si cominci quindi a discutere tempestivamente in Parlamento, sia dei provvedimenti che possono avere un effetto deflattivo temporaneo, come l’ampliamento della legge sulla detenzione domiciliare, sia di quelli più strutturali, come appunto la riforma delle norme sulla custodia cautelare, o la modifica dell’arresto facoltativo in flagranza, o infine l’introduzione della messa alla prova anche per gli adulti e la depenalizzazione, in particolare di alcune fattispecie contemplate nella legge sugli stupefacenti”. Nella ricetta dei penalisti per ridurre il sovraffollamento, anche la modifica della legge ex Cirielli, la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari e l’abolizione dell’ergastolo. Non a caso, fa notare ancora Spigarelli, “proposte avanzate dalla stessa Ucpi d’intesa con alcune associazioni che si occupano di carcere”. Di fronte ai riconoscimenti del ministro, conclude il leader dei penalisti, “nessuna forza politica, né di governo, né di opposizione, può continuare, così come fino ad ora è avvenuto, a ignorare il problema, o peggio a strumentalizzarlo a seconda degli interessi politici contingenti. Troppo spesso si ascoltano analisi condivisibili, ovvero annunci di riforme in astratto condivisibili, cui la politica fa seguire il vuoto pneumatico invece che iniziative concrete”. Giustizia: Uil-Pa; 500 poliziotti penitenziari oggi hanno manifestato davanti alla sede del Dap Adnkronos, 29 settembre 2011 Circa cinquecento operatori penitenziari (poliziotti, comandanti, direttori, educatori) hanno manifestato a Roma davanti alla sede del Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Una manifestazione - si legge in una nota - che la Uil-Pa Penitenziari ha organizzato per informare e sensibilizzare la politica, l’informazione e l’opinione pubblica sul dramma che quotidianamente si consuma dentro le nostre degradate, fatiscenti e puzzolenti prigioni” come ha sottolineato nel comizio di chiusura il Segretario Generale Eugenio Sarno. Manifestazione caratterizzata oggi da tante bolle di sapone che per Sarno sono “come le parole e l’impegno dei politici sul dramma penitenziario, vanno via con il vento. Questo è solo l’inizio di un percorso di mobilitazione destinato ad informare l’opinione pubblica su cosa succede nelle carceri. Vista la straordinaria partecipazione, queste iniziative meritano repliche”, ha detto Sarno. Giustizia: muore suicida pentito Martino Galasso, da anni viveva in “programma di protezione” di Francesco Gravetti Il Mattino, 29 settembre 2011 Ha vissuto una doppia vita: prima killer spietato, alleato fedele del fratello Pasquale, poi collaboratore di giustizia, con uno stipendio passato dallo Stato, un programma di protezione, una casa in una località segreta del Nord Italia. Ed è proprio in casa sua che Martino Galasso, 51 anni, si è impiccato l’altro ieri sera, mettendo fine a quell’esistenza così contrastata, segnata da omicidi a raffica e poi “ripulita” dal pentimento. Martino era il fratello di Pasquale Galasso, boss della camorra e ras incontrastato di Poggiomarino per decenni, prima del pentimento avvenuto dopo l’arresto nel 1992. Fu una decisione clamorosa, quello di Pasquale: le sue dichiarazioni mandarono nei guai non solo gli esponenti della camorra locale e della cosca da lui capeggiata ma anche politici e imprenditori. Decisamente meno scalpore, invece, destò il pentimento del fratello Martino, avvenuto meno di un anno dopo, nel 1993. In un primo momento, Martino tentò di prendere le distanze dal fratello, ma mentre era in carcere qualcuno gli fece arrivare un ordine: uccidi tu Pasquale e dimostraci che non sei un infame come lui. Martino, che pure di delitti (stando alle sentenze dei processi) ne ha commessi diversi, non ce la fece ad eliminare un uomo che aveva il suo stesso sangue: piuttosto preferì tentare il suicidio. Lo trovarono esangue in cella le guardie carcerarie e riuscirono a salvarlo in extremis. Martino fu restituito alla vita dai rappresentanti dello Stato e con lo Stato decise di collaborare, seguendo le orme del fratello. Forse rifletté a lungo su quella decisione, o forse no: a Poggiomarino raccontano che Martino era molto diverso da Pasquale. Il capo clan era ragionatore, calcolatore, attento. Martino era tutto “impeto e assalto”, un uomo di forza e di violenza. Dopo il pentimento fu ammesso al programma di protezione e trasferito in una località riservata: “dalle parti di Verbania”, dicono i concittadini bene informati. Ma Martino, al contrario di Pasquale, al sud era tornato più volte, forse anche nella sua Poggiomarino. Dì certo aveva testimoniato a Napoli e a Salerno, aveva parlato e fatto condannare suoi ex amici, persino qualche parente. Aveva, insomma, fatto il suo dovere di pentito. Nonostante ciò l’abito della sua seconda vita gli stava stretto, per una serie di ragioni. Per esempio economiche: pare che il solo stipendio di collaboratore di giustizia non fosse necessario a garantirgli una vita dignitosa. Aveva confessato ai pochi amici che gli erano rimasti accanto di trovarsi a corto di soldi. E forse potrebbe essere stata proprio questo il motivo che lo ha spinto a togliersi la vita. Certo, si tratta solo di un’ipotesi: a Poggiomarino nessuno sa nulla e la famiglia rimasta in città (tre sorelle, due delle quali vedove) scelgono la linea di una comprensibile riservatezza. Ma nella cittadina della valle del Sarno, il suicidio di Martino Galasso tiene banco tutta la giornata. Se ne parla a mezza voce, magari con un apparente distacco, ma se ne parla. Si discute nei bar e nei circoli dell’ex camorrista che ha scelto di morire impiccandosi. E dalle chiacchiere viene fuori la voglia della città di buttarsi alle spalle quegli anni tristi, fatti di sangue, estorsioni, violenza. Del resto, anche la famiglia Galasso non ne vuol sapere più di camorra: un terzo fratello, Ciro, è in carcere mentre Giuseppe, il quarto, è sempre rimasto sempre fuori dai giochi. I nipoti di Pasquale, invece, hanno scelto il lavoro onesto, qualcuno anche quello umile. “Si è chiusa un’epoca che nessuno rimpiange”, fa notare un anziano. Lazio: i Radicali; dibattito sulle carceri a singhiozzo, la maggioranza è ostaggio di Storace Ansa, 29 settembre 2011 Dichiarazione dei Consiglieri Regionale Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, Lista Bonino Pannella, Federalisti Europei. “Per comprendere come le nostre istituzioni hanno a cuore il gravissimo problema della situazione di illegalità delle carceri, definita dallo stesso Capo dello Stato “una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, è sufficiente aver seguito i lavori del Consiglio Regionale del Lazio che oggi, per la seconda volta, era convocato in seduta straordinaria su questo tema. La seduta, per mancanza del numero legale, è stata rinviata alla prossima settimana, dunque ci sarà una terza seduta del Consiglio; per ora un nulla di fatto ed il Consiglio è drammaticamente incapace di fornire risposte nonostante le disperate richieste di aiuto della comunità penitenziaria, costituita non solo dai detenuti, ma da tutti gli operatori del mondo carcerario: polizia penitenziaria, direttori, assistenti, sanitari. Artefice di tutto il Consigliere Francesco Storace, che di fatto praticando il “divide et impera” tiene in ostaggio una maggioranza - con l’esclusione dell’Udc, che ha dimostrato grande attenzione e senso di responsabilità - priva di una identità capace di distinguerla da “La Destra”. Un giochetto politico d’aula, quello di Storace, per dimostrare di essere lui il capo della maggioranza in Consiglio, tanto da arrivare più volte a bacchettare la poco disciplinata Isabella Rauti e gli altri consiglieri del Pdl che sono in dissenso rispetto alle posizioni de “La Destra”. Poco importa, poi, che le carceri continuino a rappresentare lo specchio di questo Paese, come quello di un Paese incapace di rispettare i più elementari diritti umani degli individui. La Destra di Storace non è interessata né ai diritti umani, né al Paese; è interessata soltanto ad avere la leadership della maggioranza del Consiglio Regionale del Lazio. Rossodivita: da Storace strumentalizzazione demagogica ed irresponsabile Il Consigliere Francesco Storace pensa di essere Vasco Rossi e ci delizia con delle belle perle audio video sulla sua pagina Facebook. Purtroppo per lui senza lo stesso successo. Ovviamente ciò che è accaduto in Consiglio Regionale è un tantino diverso da quello che lui racconta ai suoi poveri fans, a partire dal fatto che, contrariamente a quel che lui dice nel videoblog, il Consiglio Regionale non può votare alcuna amnistia, tant’è che l’unico che ha voluto strumentalmente introdurre il tema dell’amnistia nella mozione è stato proprio Storace. Se lo faccia spiegare Storace, che l’amnistia non può essere votata dal Consiglio Regionale, magari se lo faccia spiegare dal suo consigliere comunale di Roma, on. Avv. Daro Rossin, che ha imposto alla guida dell’Istituto Regionale di Studi Giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo, pretendendo la testa del precedente commissario che, dopo anni bui, aveva ben gestito i fondi pubblici riportando l’Istituto a riappropriarsi del prestigio e dell’autorevolezza di un tempo. Giochettini irresponsabili per puntare i piedi con il resto del centro destra in Consiglio Regionale nel tentativo di conquistarne la leadership. E giochettini per fare proseliti con infami demagogie e populismi che fondano il loro successo sulla ignoranza indotta nei loro sudditi dalla disinformazione di regime. Pronto, il regime come Storace, ad elargire “le grazie” del potere ai sudditi che al potere si rivolgono con le mani giunte. Ma che bel Paese, che bella Italia, con questa classe politica che non sa neppure di cosa si parla quando si parla di amnistia, di legalità, di sicurezza - abbiamo sentito interventi esilaranti in Consiglio - con questa classe politica che usa il potere per ridurre i cittadini in sudditi, con questa classe politica che usa i soldi pubblici per ottenere voti - Storace, solo per ricordare un dato, lasciò in eredità a Marrazzo, secondo quanto riferito dal Consigliere Maruccio, 500 dirigenti esterni della Regione (circa 2000 voti considerando le famiglie) - con questa classe politica che ha così portato l’Italia alla bancarotta fraudolenta, altro che default! Ribadisco che la mozione in Consiglio Regionale non è per l’amnistia - solo chi non sa cosa sia l’amnistia potrebbe pensarlo - è una mozione che vuole e deve portare la Regione a fare quello che la Regione può fare per le disastrate carceri laziali, per i detenuti, definitivi ed in attesa di giudizio, per gli agenti di polizia penitenziaria, per i direttori, per gli assistenti, per gli psicologi, per la legalità internazionale e costituzionale. Storace lo sta impedendo. Ribadisco che, invece, a livello nazionale la nostra battaglia è per l’amnistia quale strumento di governo di una situazione non più governata, quale pre condizione per quelle riforme strutturali della giustizia che, sole, possono consentire di interrompere la flagranza di una condotta dello Stato che tiene i propri detenuti (innocenti e colpevoli) come fossero prigionieri da torturare. Lo dico con il Capo dello Stato, la situazione delle carceri fa vergognare l’Italia davanti al mondo ed all’Europa; il carcere è privazione della libertà personale, non è e non deve essere privazione della dignità, del diritto alla salute, del diritto di lavarsi, del diritto di mangiare, del diritto di vivere in celle pulite o persino del diritto di fare i propri bisogni fisiologici con la dovuta riservatezza. Allora Amnistia, Amnistia, Amnistia per la nostra Repubblica ed Amnistia anche per Storace ed il suo gruppo di coimputati, a meno che anche lui non punti a quell’amnistia clandestina e di classe che è la prescrizione del processo che a distanza di 6 anni e mezzo dai reati che gli sono stati contestati lo vede ancora condannato solo in primo grado ad una anno e sei mesi di reclusione e che, appunto, tra circa un anno, con due gradi di giudizio ancora da fare, si prescriverà. Lazio: Moretti (Ugl); bene impegno Ministro e progetti Regione a sostegno degli ex detenuti Adnkronos, 29 settembre 2011 “Apprezziamo il percorso avviato dalla Regione Lazio con il finanziamento di otto progetti di inclusione sociale a sostegno degli ex detenuti, che accoglie così le nostre richieste di intervento, rivolte anche alle istituzioni territoriali, per dare respiro a una realtà resa invivibile non solo a causa del sovraffollamento delle carceri, ma anche per l’assenza di prospettive di reintegro degli ex reclusi nella società”. Lo dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commentando lo stanziamento di 550 mila euro da parte dell’assessorato alle Politiche sociali e Famiglia della Regione Lazio per programmi di reinserimento lavorativo in diversi comuni laziali che ospitano istituti di pena. “Si tratta di un’iniziativa importantissima - aggiunge - che segna un altro punto in favore del miglioramento del sistema penitenziario e che si unisce alla sostanziale condivisione di proposte registrata dalla nostra sigla nel corso dell’ultimo incontro con il ministro della Giustizia”. “Lo stesso Guardasigilli - prosegue Moretti - con quanto riferito al Senato ha dimostrato di aver recepito le nostre richieste circa l’avvio di un tavolo tecnico sulla pianta degli organici e lo sblocco delle assunzioni di 1.611 agenti. Sulla scia dei progetti promossi dalla Regione e delle misure discusse dal ministro Palma, come la rimodulazione dell’istituto della carcerazione preventiva ed una più rigida applicazione di quanto prevede il codice di procedura penale in materia di convalida dell’arresto - conclude il sindacalista - ci auguriamo che si proceda sia a livello nazionale sia territoriale sulla via maestra di una vera riforma dell’attuale sistema carcerario”. Napoli: all’Opg muore internato di 65 anni; è il decimo decesso negli Opg italiani da inizio anno Ristretti Orizzonti, 29 settembre 2011 Quello di Luigi I., 65 anni, è il decimo decesso che avviene in un Ospedale psichiatrico giudiziario nel 2011. Complessivamente, in Italia, risultano presenti negli Opg circa 1.400 internati, 346 dei quali sono internati in Campania. È deceduto sabato mattina, per causa ancora da accertare, un internato dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli. Lo rende noto Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Campania e componente dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione. L’uomo, Luigi I., 65 anni, era internato da questa estate nel manicomio giudiziario napoletano in esecuzione di una misura di sicurezza provvisoria. Non sono ancora note le cause del decesso. “È questo - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila - il decimo decesso che avviene in un Ospedale psichiatrico giudiziario nel 2011. Se ne sono registrati 5 ad Aversa, 2 a Barcellona Pozzo di Gotto, 1 a Castiglione delle Stiviere e 1 a Montelupo Fiorentino. È francamente triste che dopo le parole del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sull’orrore degli Opg e il grande lavoro della Commissione parlamentare Marino, si debbano ancora fare i conti con questa sequenza di morti”. Ancona: autopsia su detenuto morto non rileva lesioni, altri esami per accertare causa decesso Corriere Adriatico, 29 settembre 2011 Si è svolta ieri mattina l’autopsia sul corpo di Eugenio Riccio, il detenuto campano di 46 anni morto nel carcere di Montacuto venerdì scorso dopo aver accusato un malore in cella ed essere stato trasportato all’ospedale regionale per le cure del caso. Riccio, che da 11 giorni effettuava anche lo sciopero della fame, era poi tornato in carcere la sera stessa dopo aver rifiutato il ricovero in ospedale. L’esame, disposto dal pm Rosario Lioniello, è stato effettuato dal medico legale Adriano Tagliabracci insieme alla consulente per la famiglia, la dottoressa Concetta Battimelli. Il corpo non presenta lesioni, devono bisogna attendere l’esito degli esami istologici per verificare se il povero Riccio aveva assunto sostanze estranee o se si è trattato di un malore come subito ipotizzato dopo la morte. La salma è stata quindi riconsegnata alla famiglia, seguita dall’avvocato Antonella Andreoli, è questa mattina partirà per Napoli dove, nei prossimi giorni, si svolgeranno i funerali. Catania: nel carcere di piazza Lanza personale ha capacità specifiche in gestione dell’emergenza La Sicilia, 29 settembre 2011 In riferimento all’articolo apparso su La Sicilia col titolo “Carceri sovraffollate? Ce ne sono di vuote” a firma Tony Zermo, si avverte la necessità di riscontrare quanto segue. Risulta assolutamente vero quanto affermato all’interno dell’articolo, cosa che rende giustizia di verità rispetto alla realtà di cui si parla. In quanto operatore penitenziario - sono uno psicologo che dal 1990 collabora con la Giustizia e dal 2006, per transito dell’assistenza sanitaria alle ASP, vi collaboro come psicologo titolare del Ser.T. penitenziario - ho la possibilità di dare ancor più completezza di informazione circa lo stato delle carceri catanesi e del suo hinterland. Riguardo all’Istituto di Piazza Lanza, l’atavico problema del sovraffollamento ha fatto sì che l’intero personale che vi opera acquisisse capacità specifiche nella gestione della quotidiana emergenza. Il carcere si organizza giornalmente in funzione dell’ultima urgenza, senza nulla togliere, nei limiti dell’umano possibile, al sostegno della restante parte della popolazione ivi ristretta. A Piazza Lanza viene detenuta una popolazione dalle caratteristiche eterogenee, variabile di minuto in minuto stante l’ingresso continuo di soggetti provenienti dalla libertà e portatori delle più imprevedibili, e a volte incredibili, storie umane e devianti. Il personale, in prima linea quello del comparto Sicurezza, si ritrova sovente a far ricorso alle più disparate strategie di contenimento, senza mai degenerare in violenza o sopraffazione, con una capacità di ascolto che, in prima persona posso testimoniarlo, è di elevato livello, considerando i limiti legati alla mancanza di strumenti professionali specialistici e alle pressioni lavorative a cui il personale deve far fronte quotidianamente. Cosa ben più diversa è la realtà del carcere di Giarre. Così come saggiamente affermato da Zermo, il carcere non può essere esclusivamente afflittivo. È in quest’ottica che il Ministero della Giustizia prevede circuiti differenziati all’interno del percorso detentivo. In specie, a Giarre, dopo lunghe vicissitudini e un gran dispendio di energie, anche economiche, nell’ormai lontano 2000, la struttura di Giarre venne individuata come Istituto a Custodia Attenuata all’interno della quale i detenuti con problematiche di tossicodipendenza potevano trovare un adeguato contesto, oltreché per l’espiazione della pena, per intraprendere un percorso terapeutico utile al superamento della problematica drogastica. L’Istituto prevedeva non più una sezione dedicata, ma si individuava nella sua totalità per l’accoglienza esclusiva di detenuti tossicodipendenti, con un’ampia gamma di offerte - formative, lavorative e trattamentali - specializzate e improntate sul recupero delle relazioni interpersonali, della capacità di assumere impegni e responsabilità, adesione alle regole, scoperta di risorse personali, acquisizione di competenze professionali spendibili una volta espiata la condanna. L’Istituto, unico in Sicilia e tra i pochi attivati in tutta Italia, rappresentava esattamente quanto previsto dalla nostra Costituzione: certezza della pena, motivazione al cambiamento, riparazione del danno, restituzione sociale con bassa soglia di recidiva. Operando con un numero contenuto di soggetti, le possibilità di recupero risultavano significativamente elevate, riuscendo a interrompere il circuito vizioso definito giustamente da Zermo quale “Università del crimine”. Quanto realizzato con elevati costi e sacrifici da parte degli operatori di tutti i comparti dell’Amministrazione penitenziaria, nell’arco di questi due ultimi anni, è stato vanificato con l’apertura di una sezione per detenuti comuni con la conseguenza di aver ricreato una promiscuità pericolosa e seri problemi di gestione e trattamento. Basti pensare che, giustificati dal sovraffollamento, vengono tradotti da Istituti del nord Italia, molti detenuti stranieri, appartenenti alle più diverse etnie e incompatibili matrici culturali e religiose, obbligati alla convivenza non sempre ben tollerata e gestita tra le diverse etnie presenti. A fronte dell’aumento esponenziale della popolazione detenuta, inoltre, non si è avuto alcun incremento di personale, lasciando alle già esigue unità presenti la gestione di una popolazione triplicatasi nel giro di pochissimi mesi. Nel contempo, venivano più che dimezzate le risorse economiche utili allo svolgimento delle attività non solo lavorative, e, in ultimo anche delle risorse umane ivi presenti (cfr l’area sanitaria transitata ai Ser.T. oggi a rischio di ultra dimezzamento nonostante l’aumento esponenziale della popolazione detenuta, l’allarme suicidario in Carcere e la carenza di personale presso i Ser.T.). L’articolo rende il merito dell’attenzione che gli organi di stampa pongono al problema, che rimane, per chi vi opera, la quotidiana silenziosa fatica - spesso sottaciuta per la complessità delle problematiche che investono l’intera collettività e di cui la stessa dovrebbe prendersene più concretamente il carico. Il problema carcerario nel suo complesso può trovare risposte non soltanto riempiendo le Strutture esistenti inutilizzate, ma fornendo gli operatori di strumenti e possibilità attraverso cui agire e incidere nella vita delle persone, detenute, con cui ci si interfaccia in qualità di rappresentanti delle Istituzioni e della società civile. Dott. Salvatore Coco Psicologo - psicoterapeuta Case circondariali P. Lanza e Giarre Monza: interrogazione della senatrice Baio; carcere è allagato, il ministro Palma intervenga Dire, 29 settembre 2011 “Il carcere di Monza è allagato ed è parzialmente inagibile a causa di una grave lesione del tetto. È dal 2008 che si denuncia l’allarme nel silenzio più assordante di questa maggioranza”. Lo dice la senatrice del Terzo Polo Emanuela Baio che ha presentato, insieme a Francesco Rutelli, un’interrogazione trasversale al ministro Nitto Palma. La senatrice Baio già nel 2008 aveva presentato un’interrogazione per segnalare il grave disagio in cui versava il carcere di Monza. “Solo qualche intervento tampone nel 2008 ma nulla di risolutivo è stato fatto - osserva Baio - vorrei ricordare al ministro Palma che nel carcere di Monza i detenuti, 834 persone a fronte di una capienza di 409 unità, oltre a patire il sovraffollamento sono costretti a convivere con parte dell’edificio allagato, nonché con l’impossibilità di usufruire della Cappella e della palestra. La Asl locale ha già fatto i dovuti sopralluoghi e la situazione è in un evidente stato di emergenza”. “Il ministro Palma, che solo 2 giorni fa è venuto in Aula al Senato per riferire proprio sulla grave situazione carceraria italiana - prosegue, dovrebbe sapere che il 17 settembre a seguito di una forte perturbazione la situazione del carcere di Monza si è aggravata e, l’inverno ormai alle porte, non fa bene sperare. Chiediamo al ministro, che gli impegni assunti in Aula non siano le solite promesse mancate e che intervenga in tempi brevi affinché il tetto del carcere di Monza venga riparato definitivamente e la dignità delle persone, anche di quelle che hanno commesso errori, venga garantita”. Opera (Mi): i manager vanni in carcere… a scuola di motivazione di Cristina Casadei Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2011 Il rumore metallico, duro, della porta che si chiude è il primo segnale di un percorso da cui non si scappa e dove bisogna gestire tutto, 365 giorni all’anno, 7 giorni su 7. La porta è quella del carcere di Opera, al confine di Milano, dove, da aprile, manager di grandi aziende italiane e multinazionali stanno seguendo un percorso di formazione, intitolato “L’aula più stretta del mondo”, ideato da Galdus e Slo (Sviluppo lavoro organizzazione) in collaborazione con il ministero della Giustizia, guidati da formatori e ispettori carcerari (la seconda fase del progetto partirà dal 18 ottobre. Marzia Segato, il business partner di Electrolux group, che insieme a un team di capisquadra della multinazionale ha frequentato l’aula più stretta del mondo, è tornata in azienda con la sensazione “di essere stata in un luogo con le sbarre, ma che apre gli occhi e fa capire come essere un vero team capace di lavorare bene assieme, o il filo motivazionale che passa per la capacità di automotivarsi identificando i veri obiettivi prioritari”. Manager e ispettori carcerari. Ruoli, contesti e problemi molto diversi. In comune nodi organizzativi che estremizzano i sentimenti e quindi possono essere all’origine di forti tensioni. Per Barbara Lorenzin, training & development manager presso Eigenmann & Veronelli, è stata un’esperienza utile per capire che il direttore del carcere è un vero manager, una persona che sa gestire la complessità, conoscendo molto bene le regole”. Mario Perego, direttore risorse umane di Heineken Italia racconta che “il contesto, poverissimo, in contrasto con le molte risorse tecnologiche dell’azienda, si presta bene ad innescare una riflessione sull’aspetto deontologico. In carcere ci sono persone che fanno le cose bene semplicemente perché vanno fatte bene, al di là delle risorse, in situazioni complesse, senza le leve motivazionali classiche”. Dopo la formazione outdoor, nell’aula più grande del mondo che aveva come scenario il deserto, adesso la nuova frontiera della formazione manageriale diventa “L’aula più stretta del mondo” che porta i manager a confrontarsi con una realtà indoor, ben diversa rispetto a quella che vivono quotidianamente. E presenta complessità, talvolta molto forti, ma che mai un ispettore può decidere di non gestire. Facendosi carico di responsabilità che spesso sono al di sopra di quelle previste e misurandosi con una burocrazia che non sempre rende facile gestire chi è in carcere. “In carcere, in un sistema di regole molto codificate, gli ispettori agiscono davanti all’emergenza, dimostrando senso di responsabilità personale - aggiunge Perego. Paradossalmente l’azienda può apprendere qualcosa in tema di responsabilità e di iniziativa da un’istituzione pubblica dove tutto è regolato rigidamente e l’iniziativa dei singoli sembrerebbe non richiesta. Questo rimanda alla cultura organizzativa e alla capacità di condividere il senso del proprio lavoro”. È di questo che gli ispettori parlano con i manager, trasferendo loro un senso di responsabilità che trova fondamento più nella loro etica che nella busta paga. Ai manager gli ispettori raccontano i loro “casi”, come quando per esempio, la scorsa primavera uno spettacolo teatrale dei detenuti del carcere di Opera è stato rappresentato agli Arcimboldi. Con tutto quello che questo ha comportato per organizzare le prove e i trasferimenti, in sicurezza. O come quando capita di dover accompagnare più di un detenuto in ospedale o in tribunale ma non ci sono abbastanza squadre per farlo. Alla fine, come osserva Lorenzin, “un manager non ha le stesse problematiche del direttore della casa di reclusione, ma certamente indurre responsabilizzazione, creare collaborazione, leggere le esigenze e non sottovalutarle e saper dare senso sono capacità che gli operatori di un carcere possono insegnare. Se nelle società si lavorasse con la stessa passione che ho visto in carcere si triplicherebbe il rendimento”. Trento: Consiglio comunale respinge Odg su carcere; no a Garante e interventi di rieducazione Ansa, 29 settembre 2011 Il Consiglio comunale di Trento ha affrontato il tema del nuovo carcere, e in particolare la rieducazione e la tutela dei diritti dei detenuti, respingendo un ordine del giorno presentato dal Pd e sottoscritto anche da Verdi e Leali. L’ordine del giorno - sostenuto dall’assessore alle Politiche Sociali Violetta Plotegher, contrari l’Upt e i gruppi di minoranza - proponeva di individuare le modalità per integrare la struttura di Spini di Gardolo con il contesto territoriale, ma anche di prevedere l’adesione del Comune di Trento al tavolo di confronto e progettazione istituito dalla Provincia per la definizione di interventi finalizzati alla rieducazione dei detenuti. Inoltre si chiedeva alla giunta di approfondire l’opportunità di istituire la figura del “Garante dei diritti dei detenuti”, di verificare con la Provincia la possibilità di finanziare programmi terapeutici per i detenuti tossicodipendenti o alcol dipendenti stranieri irregolari (non coperti da assistenza sanitaria) e di predisporre interventi per aiutare il carcerato nel momento delle dimissioni. Sondrio: nominato il Garante dei detenuti; la situazione del carcere è particolarmente grave Il Giorno, 29 settembre 2011 Il problema del sovraffollamento riguarda anche la Casa circondariale di via Caimi. I posti ufficiali sono 27 ma i carcerati 45. Finita l’estate, comincia l’attività del Garante delle persone limitate nella libertà personale. Francesco Racchetti è stato nominato all’unanimità nel corso del consiglio comunale di marzo e ha già messo le basi per la sua attività”. La situazione delle carceri è particolarmente grave ovunque - afferma l’assessore alle Politiche sociali, Carlo Ruina - e anche la Casa circondariale di Sondrio rispecchia questa situazione generale, caratterizzata dal sovraffollamento e da un Piano carceri che rimane a livello nazionale ancora solo sulla carta”. Racchetti ha già incontrato alcuni dei detenuti e a partire dalla prossima settimana riceverà anche i parenti, o chiunque voglia parlare della situazione di una persona in carcere, ogni mercoledì dalle 15 alle 17, oltre che su appuntamento, presso l’ufficio del difensore Civico a Palazzo Pretorio. “I detenuti possono chiedere un colloquio - spiega il garante - e solitamente vogliono un colloquio per poter parlare con qualcuno, ma anche perché hanno delle richieste, a volte molto pratiche. Ad esempio, un detenuto mi ha chiesto di effettuare un versamento per lui all’Aler così da evitare la pratica di sfratto. C’è poi chi mi segnala problemi all’interno del carcere o ha richieste particolari, come di trasferimento o di visite mediche specialistiche”. Anche a Sondrio la Casa circondariale è sovraffollata. I posti ufficiali sono 27, attualmente ospita 45 persone e ci sono periodi in cui si tocca anche quota 60. La maggior parte sono in carcere per reati che gravitano attorno alla tossicodipendenza e sono valtellinesi, ma ci sono anche molti stranieri. “I problemi sono tanti - continua Francesco Racchetti. Le celle sono piccole, e così anche gli spazi comuni. I detenuti hanno poche ore per le attività educative e pedagogiche e io credo sia fondamentale avviare percorsi controllati e supportati che permettano di sfruttare al meglio il periodo della reclusione e soprattutto di garantire un futuro fuori dal carcere”. E proprio con questo obiettivo nel programma educativo è stato inserito un corso di formazione finanziato con contributi della Regione Lombardia che permetterà ad alcuni detenuti di imparare a lavorare nell’ambito della manutenzione degli edifici. I detenuti che potranno prendere parte all’iniziativa, probabilmente 3 o 4, otterranno una borsa lavoro. “Si tratta di una formazione che può essere spesa anche fuori dal carcere e che permetterà anche di guadagnare qualcosa - conclude Racchetti. Inoltre, saranno gli stessi detenuti a farsi carico della manutenzione del carcere”. Voghera (Pv): Cgil; per gli agenti di polizia penitenziaria una situazione insostenibile La Provincia Pavese, 29 settembre 2011 “Gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Voghera lavorano in condizioni inadeguate e inaccettabili, occorre prendere provvedimenti al più presto”. La denuncia arriva dalla delegazione della Cgil che ieri mattina ha effettuato una visita - ispezione all’interno della struttura di via Prati Nuovi (dove da alcuni giorni è arrivato il nuovo direttore, si tratta di Maria Grazia Lusi, che arriva da Cremona). “Innanzitutto - continuano gli esponenti della Cgil - c’è da segnalare che gli addetti sono in evidente carenza di organico, a fronte di un sovraffollamento di detenuti: gli agenti di custodia sono circa 120, i detenuti ormai quasi 240. Ci sono celle anche con 12 detenuti. Gli agenti lavorano in ambienti fatiscenti, con servizi igienici non idonei e strumentazioni non all’altezza della situazione. Chiediamo interventi concreti da parte oltre che della direzione del carcere anche da parte del Provveditorato regionale e dall’ente centrale”. Della delegazione facevano parte il segretario provinciale della Fp Cgil Massimiliano Preti, il segretario regionale della Fp Cgil Natale Minchillo, Calogero Lo Presti della struttura regionale della polizia penitenziaria, e l’assistente capo Nicola Garofano, delegato del carcere per la Cgil. “Venerdì ci sarà un incontro - continuano i sindacalisti - all’interno del carcere. Secondo quanto previsto dai regolamenti, ci sarà anche un medico, per rendersi conto dello stato di stress in cui opera il personale all’interno della struttura carceraria. Ci sono addetti che hanno saltato per settimana il turno di riposo, accumulando turni su turni di presenza al lavoro. Chiaramente così facendo non è possibile assicurare il massimo dell’efficienza sul posto di lavoro”. Rimini: amministratori provinciali visitano il carcere, in vista collaborazione con la direzione Sesto Potere, 29 settembre 2011 Il Presidente della Provincia di Rimini, Stefano Vitali, insieme al consigliere provinciale Lucilla Frisoni, l’Avvocato Ivan Bagli della Fondazione Forense e il Professore Carlo Fiorio (docente universitario ed esperto di diritto penitenziario) hanno visitato la Casa Circondariale di Rimini, dove hanno anche incontrato la direttrice dott.ssa Maria Benassi. Se, per ruolo, la Casa circondariale dei Casetti non ospita un numero elevatissimo di detenuti, per numero di ingressi è il terzo istituto penitenziario in Emilia Romagna dopo Bologna e Modena, caratterizzato da un turn over altissimo, con necessità gestionali ed organizzative sempre più complesse ed articolate. L’incontro è stato così l’occasione per approfondire nel concreto, da parte dell’amministrazione provinciale, la conoscenza del contesto penitenziario, oltre che l’opportunità per un confronto sulle problematiche della Casa circondariale, come quelle del sovraffollamento, anche nella prospettiva di future iniziative comuni di collaborazione. Visto il grande impatto sul contesto locale di questo tipo di strutture si rende infatti necessario un forte lavoro di coordinamento e collaborazione tra le Amministrazioni Locali e quella Penitenziaria, che ponga al centro dell’attenzione non solo le dinamiche interne alle strutture penitenziarie ma, più in generale, quelle sociali e riabilitative che coinvolgono anche le strutture e i servizi territoriali. “La visita di oggi” ha spiegato nell’occasione il Presidente della Provincia Stefano Vitali “ci ha permesso di vedere e toccare in prima persona il grande impegno che il personale della Casa circondariale mette nel loro lavoro, in un contesto certamente non facile, per migliorare le condizioni dei detenuti. A loro va il mio ringraziamento”. Napoli: il 3 ottobre convegno “Il valore della territorialità della pena nel processo educativo” Il Velino, 29 settembre 2011 “Il valore della territorialità della pena nel processo educativo”. Questo il tema del convegno, promosso dal Garante dei detenuti della Regione Campania, Adriana Tocco, patrocinato dalla presidenza del Consiglio Regionale della Campania, che si terrà lunedì 3 ottobre 2011 dalle ore 9,30 presso la sede consiliare al Centro Direzionale isola F/13 (sala conferenze sita al 1° piano). A margine della registrazione dei partecipanti ed un breve welcome coffe, i lavori del convegno, saranno aperti dalla Garante dei detenuti e i saluti istituzionali saranno affidati al Presidente del Consiglio Regionale, Paolo Romano, al Provveditore regionale per l’Amministrazione Penitenziaria, Tommaso Contestabile e al Presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli, Carminantonio Esposito. Nel prosieguo dei lavori, ci si soffermerà su alcuni determinati aspetti del convegno: l’introduzione, sarà affidata al Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, Mauro Palma, gli “aspetti giuridici” verranno trattati dal Presidente Associazione “Il Carcere possibile Onlus”, Riccardo Polidoro, l’”Affettività e i rapporti familiari” affidato al Capo dell’Ufficio Ispettivo del Dap, Francesco Cascini, la “situazione attuale della territorialità della pena, affidata al Capo dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dap, dott. Sebastiano Ardita e “l’Afflittività della pena” a Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia. Le conclusioni dei lavori saranno affidate all’Assessore alle politiche sociali della Regione Campania, Ermanno Russo. A margine del convegno ci sarà un lunch, predisposto dalla Cooperativa “Lazzarelle”, di cui socie sono alcune detenute del Carcere femminile di Pozzuoli. Ferrara: “Un libro dietro le sbarre”, presentato alla libreria Mel Bookstore il ciclo di incontri La Nuova Ferrara, 29 settembre 2011 È stato presentato alla libreria Mel Bookstore di piazza Trento Trieste, il ciclo di incontri: “Un libro dietro le sbarre. Carcere, pena (e dintorni) nelle pagine di recenti volumi”. Andrea Pugiotto, vera anima dell’iniziativa, da cui è partito tutto il progetto, è entrato subito nel vivo dell’argomento, spiegando che “Spesso ciò che ci sta attorno lo vediamo ma non lo osserviamo. Sentiamo voci, notizie, dati e statistiche ma non le ascoltiamo. Il tema del carcere in tutte le sue sfaccettature, dal sovraffollamento alla pena di morte, è un argomento che riguarda tutta la società, ma che passa in secondo piano e questo è gravissimo”. E continua: “Partendo dall’appello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in cui invitava i cittadini a chiedersi cosa si potesse fare per prendere coscienza del problema del sistema carcerario che c’è nel nostro Paese, abbiamo pensato di dare vita attraverso enti ed istituzioni che ci hanno appoggiato e sostenuto, fin da subito in questo percorso, ad un ciclo di incontri aperti e dedicati a tutta la città”. Il professor Pugiotto, coordinatore del dottorato di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università di Ferrara, ha tenuto a sottolineare il fatto che si è scelto di realizzare questo ciclo di incontri per un motivo ben preciso: “Aprire la città a questa iniziativa. Non è un discorso che riguarda solo l’università o altre cariche con sedi e aule magne proprie. È un discorso che riguarda la collettività. Ed è giusto farlo in luogo pubblico come questa libreria”. Il ciclo di incontri è composto da quattro appuntamenti. Si comincia venerdì trenta settembre con il primo libro: “Il diritto di uccidere. L’enigma della pena di morte” di Pietro Costa. Rientra, per altro, nella prima giornata del Festival di Internazionale. Gli incontri si svolgeranno sempre alle diciassette e trenta all’interno della libreria. Parallelamente a questi appuntamenti verrà allestita e “inaugurata” venerdì, e rimarrà a disposizione fino al nove ottobre, una riproduzione in scala reale di una cella, arredata come le patrie galere, dove i cittadini saranno invitati ad entrare e stazionare (a gruppi di cinque - sei) quale esperienza cognitiva del sovraffollamento carcerario. La cella allestita in piazza Trento Trieste sarà anche il perno di un programma di iniziative gestite dal Difensore civico della Regione Emilia Romagna, dal Garante per i detenuti del carcere di Ferrara e dalla sezione ferrarese di Amnesty International. Si è parlato anche di statistiche e cifre. L’Italia detiene il più alto tasso di detenuti in attesa di giudizio, 43% in tutta l’Europa. Le carceri del Paese sono sovraffollate e si registra un clima di tensione all’interno di esse. Se non è ancora “scoppiato tutto”, come ha detto Pugiotto, lo si deve al rigore, alla correttezza e allo sforzo della comunità carceraria. Samuele Govoni Televisione: questa sera alle 22.30 Rita Bernardini ospite di “Porta a porta” Ristretti Orizzonti, 29 settembre 2011 Questa sera, 29 settembre, in diretta su Raiuno, la deputata Radicale Rita Bernardini sarà ospite di “Porta a porta” insieme al ministro Raffaele Fitto, Daniela Santanché, Massimo Donati e Sergio D’Antoni. Rita Bernardini sarà in studio a partire dalle ore 22.30 circa. Lituania: Amnesty International chiede di riaprire indagini sulle carceri segrete della Cia Agenparl, 29 settembre 2011 “La Lituania deve immediatamente riaprire le indagini sul suo coinvolgimento nei programmi statunitensi di rendition e detenzioni segrete”. È quanto ha dichiarato oggi in una nota Amnesty International presentando il rapporto “Aprire la porta alla verità in Lituania: occorre indagare adesso sulle prigioni segrete”. “Il rapporto descrive gli sviluppi successivi all’ammissione, da parte delle autorità lituane, che dal 2002 al 2006 il paese ha ospitato due centri segreti di detenzione diretti dalla Cia. Il rapporto fornisce inoltre informazioni sul coinvolgimento della Lituania nelle rendition e suggerisce nuovi filoni d’inchiesta, come quello relativo alla denuncia di Abu Zubaydah, attualmente prigioniero a Guantanamo, su un periodo di detenzione trascorso in un “sito nero” della Cia in Lituania. Infine, Amnesty International chiede alla Lituania di indagare le connessioni con Polonia e Romania, altri due paesi nei quali sarebbero state allestite carceri segrete della Cia. Appellandosi alla necessità di proteggere segreti di stato, nel gennaio 2011 il procuratore generale della Lituania aveva chiuso le indagini senza rendere pubblica alcuna informazione in merito. Le autorità lituane non dovrebbero nascondersi dietro il paravento del “segreto di stato” per impedire indagini adeguate su denunce di sparizione e tortura. Nessuno è stato chiamato a rispondere per aver aiutato gli Usa ad allestire questi centri segreti o per le violazioni dei diritti umani che possano esservi state commesse - ha affermato Julia Hall, esperta di Amnesty International su controterrorismo e diritti umani in Europa. “Occorre riaprire le indagini su queste operazioni e anche sulle attività di funzionari Usa in Lituania, con l’obiettivo di accertare le responsabilità per le complicità in tutte le violazioni dei diritti umani”. Nel dicembre 2009, a seguito di un’inchiesta parlamentare, la Lituania ha ammesso, primo tra i paesi europei, che due prigioni segrete erano state allestite sul suo territorio e che suoi funzionari avevano collaborato coi servizi segreti Usa. Dalla fine del 2001 al 2006, nell’ambito delle attività controterrorismo dirette dagli Usa, vi sono stati numerosi arresti e trasferimenti di persone sospette in strutture segrete situate in paesi terzi. Molte di queste persone sono state picchiate, private del cibo e del sonno e sottoposte a ulteriori maltrattamenti. Alcuni prigionieri “di elevato valore” sono stati sottoposti al water boarding (finto annegamento). In questo modo, “i governi hanno ignorato i loro obblighi internazionali e funzionari di stato hanno violato la legge, causando sofferenza a persone catturate nelle strade delle loro città e dei loro villaggi e torturate impunemente, mentre le famiglie venivano lasciate all’oscuro sul loro destino” - ha sottolineato Hall. “Se è l’unico ad aver pubblicamente ammesso di aver consentito alla Cia di allestire prigioni segrete sul suo territorio, il governo lituano si trova in ampia compagnia con i paesi europei che sono miseramente mancati al dovere di indagare e di chiamare rappresentanti dello stato a rispondere delle violazioni dei diritti umani commesse in quei siti” - ha proseguito Hall. Di fronte al rifiuto, sin qui, del procuratore generale di aprire le indagini, le Organizzazioni non governative stanno cercando il modo per ottenere ulteriori informazioni da agenzie governative lituane e da altre fonti per fare luce sulla cooperazione di funzionari e organismi dello stato con la Cia tra il 2002 e il 2006. Amnesty International, lo Human Rights Monitoring Institute di Vilnius e le londinesi Reprieve e Interights hanno scoperto nuovi dati sui voli delle rendition e su atterraggi di aerei in Lituania e in altri paesi europei. Amnesty International chiede alle autorità lituane di indagare, in particolare, sulla denuncia di Abu Zubaydah di essere stato detenuto in Lituania e su un volo del 2005 proveniente dal Marocco e atterrato a Vilnius, scoperto da Reprieve; su aerei atterrati in Lituania nel settembre 2004 e nel luglio 2005, che potrebbero aver fatto parte dei programmi Usa di rendition e detenzioni segrete; infine, sui legami tra gli atterraggi in Lituania e il ruolo di altri paesi europei, tra cui la Polonia. “Vi sono sufficienti informazioni di pubblico dominio da rendere un imperativo la riapertura delle indagini. Le autorità lituane hanno la chiave per aprire la porta alla completa verità sul ruolo del paese nei programmi di rendition e detenzioni segrete” - ha concluso Hall. Stati Uniti: a detenuto negato libro vincitore premio Pulitzer “potrebbe incitare violenza razziale” Tm News, 29 settembre 2011 Avrebbe voluto fare una lettura impegnata, un libro degno del premio Pulitzer, “Slavery by Another Name”, un saggio storico sui discendenti degli schiavi neri che trovano la libertà dopo l’Emancipation Proclamation negli Stati Uniti, prima di tornare nell’ombra di una servitù involontaria. Ma Mark Melvin non ha potuto. Gli è stato impedito con una decisione che è considerata un sopruso dalle associazioni per la tutela dei diritti civili. Perché Melvin non è un cittadino qualunque, non è libero. È detenuto in un penitenziario dell’Alabama. È qui che i suoi carcerieri hanno deciso che Melvin non avrebbe potuto tenere in mano quel libro. Una notizia, ricorda oggi il Guardian, che arriva proprio mentre negli Stati Uniti si celebra la settimana del diritto alla lettura. Un diritto che non è di Melvin, sulla base di una normativa che autorizza gli ufficiali degli istituti penitenziari a vietare la lettura di testi che potrebbero rappresentare “un tentativo di incitare alla violenza sulla base di differenze di razza, religione, sesso, credo o nazionalità”. E “Slavery By Another Name”, evidentemente, è stato ritenuto pericoloso per un cittadino condannato a 14 anni di carcere per avere aiutato il fratello a commettere due omicidi. “Il libro ha vinto il premio Pulitzer, racconta dei soprusi a sfondo razziale nel sud degli Stati Uniti, non sostiene la violenza o un’ideologia violenta, né è un tentativo di incitare alla violenza”, ha scritto uno dei legali del prigioniero, Bryan Stevenson. Secondo l’avvocato, dunque, il diniego “non soltanto è ingiusto ma ferisce tutti coloro che provano a far progredire la nostra società sulla questione razziale”. Da parte sua, Douglas Blackmon, corrispondente del Wall Street Journal nonché autore del libro, ha commentato: “l’idea che un saggio come il mio possa incendiare gli animi o invitare alla violenza è veramente assurda”.