Giustizia: Pannella; battaglia per l’amnistia sempre più difficile, le cose stanno andando male Agenzia Radicale, 25 settembre 2011 “Le cose stanno andando male, la battaglia è sempre più difficile” - così il leader radicale Marco Pannella si è soffermato sabato 24 settembre durante la presentazione del libro “Biografia di un irregolare”, presso la Fiera del Libro di Fara Sabina, con Giovanni Franzoni. “Quindi faccio un annuncio ha proseguito -, lo faccio rivolto anche al Presidente della Repubblica, formalmente (siamo su Radio Radicale): questa volta io continuerò la mia lotta, sotto la forma anche nonviolenta, ad oltranza. Ci preoccupiamo di io che posso - posso, farò l’impossibile per riuscire a far sì che questa forma di ascesi che è la nonviolenza - che insegna quindi qualcosa mentre la pratichi - faccia protrarre le possibilità di vita, no? Certo, starò attento: i miei medici seguono con preoccupazione, ma anche con comprensione, come mi comporto. Ma vi rendete conto? Ieri nel carcere di Montacuto di Ancona si è suicidato - è una cosa poco chiara - il 49° o il 50° detenuto, ma poi ce ne sono altri 100 che non si sa come muoiono! Quindi dico, signor Presidente della Repubblica, tu il 28 luglio hai parlato molto chiaro, tu hai detto, “c’è una prepotente urgenza” di riformare tutto questo; “siamo contro la Costituzione”, contro tutto: e allora si deve rientrare, significa che come prima cosa bisogna interrompere la flagranza. Per questo noi abbiamo voluto fare, il 14 agosto, un giorno di sciopero totale della fame e della sete, con una adesione di tutto il mondo cattolico, volontariato, monsignor Paglia s’è mosso, tutti quanti. Sappiamo che vuol dire molto, non poco, questo. Per sottolineare l’importanza di quello che il Presidente aveva detto e del sostegno alla nostra iniziativa. Lo scorso 21 settembre abbiamo tenuto per la terza volta in sessant’anni l’autoconvocazione del Parlamento, ci siamo riuniti. Tutti i parlamentari tranne due o tre davano per scontato che l’amnistia e l’indulto sono cose che non bastano... Diciamo, l’imbecillità che si prosegue! Ma l’amnistia oggi è lo strumento per far funzionare una riforma strutturale e rendere possibile la giustizia... ma chi lo sa?? Io, allora, ho deciso questo - lo comunico ufficialmente anche ai compagni: anche nella forma nonviolenta andrò avanti! Siccome ho appreso un termine, “non negoziabile”, per quello che rappresenta in pratica questa soluzione. Quindi andrò avanti, ma devo dire anche al Presidente della Repubblica: tu devi renderti conto della tua storia, che tu sei il Presidente della Repubblica che è costretto a fare miracoli, perché la Repubblica che gli è stata consegnata è antidemocratica, corrotta, corruttrice, produce quello che produce - quindi non c’è democrazia. Per esempio, io ancora adesso non sono riuscito una sola volta a fare un dibattito di quelli in cui adesso c’abitano tutte le opposizioni, che loro sanno poter essere di regime, e non di alternativa, e quindi noi mai! Allora, caro Presidente, dinanzi a questo impedire al popolo di sentire, per magari dissentire, anche le nostre proposte, le più poi onorate ai livelli di vertici intellettuali, magari. Questo al popolo è proibito! Guardate, dico seriamente: in quel libro Pannella serve anche finalmente a qualcosa. È quello che raccontandone pagine della sua vita, fa emergere gli altri attori e coautori, con lui, nella funzione magari contraria... Ma noi sappiamo che in un grande scontro come quello sul divorzio - lo dicevo - la Chiesa e noi sentiamo le stesse urgenze, e alle urgenze gli diamo risposte opposte. Lo scontro fu grosso, è un paese che su questo si confrontò e si è unito. Perché non c’è un “vincente”, nessuno è perdente! È accaduto lo stesso per l’aborto. Ma, allora perché tutti quanti non ci rivoltiamo a favore di quell’amnistia che interrompe questa esecuzione di massa di giustizia? Perché da vent’anni non avete il diritto di ascoltarci. E allora dico: Presidente, tu sei il garante, ma io con la mia nonviolenza devo essere un buon cittadino repubblicano. Quindi annuncio che d’ora in poi, fino a quando il paese, il popolo! non sarà risarcito di venti anni di ignoranza su tutte queste cose, bè io andrò avanti con la nonviolenza. So benissimo che devo trovare una soluzione. So benissimo che oltre il 5° giorno di sciopero della sete non è possibile andare, se non per “rischiare la morte”. Io ho detto: rischio, cerco di rischiare la vita. Forse l’amore che sento è un alimento. Dà forza e dà responsabilità. Quindi rischio, ma andrò avanti. Probabilmente smetterò la sete e riprenderò, ma in modo più duro, la fame. Posso immaginare, Presidente, che - se non c’è nulla di nuovo - lunedì comunque, per prudenza (che è una virtù grande - la prudenza spesso è ridotta a calcolo, allora è un disastro, ma se è virtù credo che è importante), interromperò lo sciopero della sete. Cercherò di non morire pure se continuo l’arma della nonviolenza, rispetto adesso a te, Presidente: non andrò mai più - fino a quando non c’è riparazione, PER IL POPOLO, non a me, dell’ignoranza su tutti questi problemi - non accetterò più di andare dove ogni tanto vado, in televisione. Anche la nostra proposta dell’amnistia deve essere riconosciuta. Fino ad allora, non accetterò di andare. Quindi si riunisce martedì 27 il Senato. Bene, il Presidente, Capo dello Stato, sappia che: è più urgente occuparsi di questo, della flagranza criminale, delinquenziale, tecnicamente parlando, della Repubblica italiana, per interromperla, che continuare come fai magistralmente a cercare di mettere le pezze su limiti economici della gestione del Governo e della opposizione italiana. Però io la nonviolenza la continuerò, ma non nelle forme che significhino consapevolmente scegliere non il rischio, ma la certezza, della morte. Questo no. Ma troverò le forme ancora più gravi che resteranno anche a testimoniare che in me c’è il voler essere speranza, e non disperazione. Io non ci credo al sacrificio. Quindi volevo dirvi: non preoccupatevi di me, occupatevi di voi e di noi, perché qui siamo in Italia, e non solo, alla vigilia di una nuova forma di Shoah. A qualcuno rischia di toccare, e a molti”. Giustizia: Poretti; l’amnistia è ancora una via percorribile, serve a tribunali e carceri di Vincenza Foceri www.clandestinoweb.com, 25 settembre 2011 “L’amnistia è ancora una via percorribile. Il ministro Palma ha detto nel suo intervento che la considera una soluzione tampone all’emergenza ma non risolutiva, utilizzata in passato per far respirare il sistema giustizia. Noi Radicali, invece, la consideriamo il primo passo per una più ampia riforma strutturale del sistema”. Nel 1990 ultima amnistia, sono passati 21 anni ma mai come ora la condizione delle carceri italiane ha reso necessario il provvedimento. Sovraffollamento, carenza di personale, strutture insufficienti, sanità a livelli da ‘terzo mondò e percorsi di reinserimento inesistenti. Questi sono solo alcuni dei problemi vissuti dai detenuti che si trovano a scontare la pena in Italia. A combattere per la causa in prima linea il leader dei Radicali, Marco Pannella , che ha ripreso la sua iniziativa nonviolenta di sciopero della fame e della sete. I Radicali chiedono la riforma della Giustizia e sono riusciti a portare all’attenzione del Senato il tema. Abbiamo intervistato la senatrice del movimento Donatella Poretti. La situazione delle carceri diventata esplosiva, l’estate ha portato alla luce una situazione ancora pi drammatica, continuano i suicidi e l’agitazione della polizia penitenziaria, le mobilitazioni dei Radicali sono state tante, non ultima la ripresa dello sciopero della fame e della sete di Pannella. Siete riusciti a portare l’argomento in una seduta straordinaria del Senato che prosegue martedì. Da questa avete avuto qualche segnale incoraggiante? Io credo che la seduta in Senato sia stata importantissima, soprattutto perché da tutti gli interventi è emersa una presa di coscienza del problema. Tutti i senatori hanno parlato di una condizione disumana vissuta dietro le sbarre, una condizione inaccettabile che non rispetta i diritti civili, umani. Anche il ministro Palma si è dimostrato sensibile all’argomento, ha preso coscienza della drammaticità della situazione. Questo è un punto importante da cui partire per trovare soluzioni adeguate a superare l’emergenza. Noi spingiamo per l’Amnistia e la riforma della Giustizia. Amnistia, Indulto, Depenalizzazione e Decarcerizzazione: sono questi i punti su cui verte la battaglia dei Radicali ma il ministro Palma non considera l’amnistia una soluzione, cosa ne pensa? L’amnistia è ancora una via percorribile. Il ministro Palma ha detto nel suo intervento che la considera una soluzione tampone all’emergenza ma non risolutiva, utilizzata in passato per far respirare il sistema giustizia. Noi Radicali, invece, la consideriamo il primo passo per una più ampia riforma strutturale del sistema. Consente, innanzitutto, di eliminare dai tavoli magistrati tre milioni di processi pendenti su 4. Questo è un gran passo che di sicuro aiuterebbe a risolvere il problema, inoltre darebbe alla politica l’occasione per fare le riforme sulla giustizia da tanto tempo attese ma che mai nessuno ha avuto il coraggio di fare. Ricordiamo che l’ultima amnistia l’abbiamo avuta nel 1990. Dell’argomento carceri ne ha parlato il consiglio regionale della Toscana in seduta straordinaria oggi ne parla quello del Lazio, gli enti locali sono diventati più sensibili al tema, può essere d’aiuto? Sicuramente si. È molto importante che gli enti locali si rendano conto del problema. Ricordiamo che le Regioni hanno competenze specifiche che possono alleviare le condizioni drammatiche delle carceri, attraverso il potere di visite ispettive a sorpresa, la possibilità di realizzare progetti anche per l’inserimento lavorativo dei detenuti e così via. Ben venga che ci sia questo interesse anche perché, non dimentichiamo, che i penitenziari non esistono in un mondo staccato da questo, ricadono in territori specifici, quindi in comuni, province e Regioni e gli amministratori di questi enti non possono ignorarli. Quali saranno i prossimi impegni dei Radicali in difesa di questa battaglia? Innanzitutto non dimentichiamo che Marco Pannella è in sciopero della fame e della sete, già questa è una battaglia. Inoltre, nei prossimi giorni ci muoveremo in funzione dell’importante riunione che ci sarà in senato martedì prossimo, come aggiornamento della seduta straordinaria sulle carceri. Ci muoveremo facendo tutto ciò che ci è possibile fare affinché le decisioni di martedì possano essere risolutive o comunque aprire una via alla risoluzione dell’emergenza. Giustizia: a Roma un tifoso 18enne ammanettato e picchiato a sangue dai vigili di Emilio Orlando e Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 25 settembre 2011 Roma, l’accusa di un tifoso diciottenne dopo la partita. Gli agenti: è stato lui ad aggredirci. Una testimone a Repubblica.it: “Un pestaggio, lo colpivano al volto con un casco”. “È stato terribile, non dimenticherò mai la violenza di quel vigile: ha impugnato le manette e le ha usate contro di me come tirapugni”. Le parole di un ragazzo di appena diciott’anni e il verbale di arresto di quello stesso giovane firmato da due agenti della municipale e convalidato da un giudice del tribunale di Roma. Due versioni opposte di una stessa storia. Le parole, peraltro tardive, contro gli atti, le carte. È giallo su un presunto pestaggio avvenuto a Roma, in zona Prati, martedì sera. Ha il volto pieno di botte e lo zigomo incerottato, Andrea Di Stefano, 18 anni e qualche mese, arrestato per lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale, poco lontano dallo stadio Olimpico, dove era appena finita la partita Roma-Siena. Un caso che sembrava banale, uno dei tanti, quello di un giovane senza patente e un pò alticcio, un ultrà magari frustrato, che se la prendeva con i vigili e finiva in manette. E così è stato trattato. Dagli agenti che lo hanno fermato, dal giudice che ha convalidato l’arresto rimandandolo subito a casa perché incensurato, dallo stesso ragazzo e dal suo avvocato. Liquidato in pochi minuti ieri mattina in una delle aule in cui celebrano i processi per direttissima. Se non fosse per una lettera, arrivata ieri mattina a Repubblica.it, in cui una donna ha raccontato la sua versione dell’episodio. Quella di una furia in divisa che ha ammanettato il ragazzino, lo ha “picchiato e colpito al volto con il casco”. Un “pestaggio” in piena regola che ha ridotto quel giovane volto “in una maschera di sangue”. Ricostruzione confermata da un secondo passante, Lorenzo Basile, che ha parlato di “un energumeno in divisa scatenato che si avventava su quel teenager con calci e pugni”. Ancora, altre due versioni. Tutte e due del ragazzo. La prima resa davanti al giudice. Una conferma di quello messo a verbale dagli agenti della municipale: ha detto di essere stato lui il primo a sferrare il pugno e di non avere nulla da aggiungere. In aula ha accennato alle botte, ma quando il magistrato ha chiesto se era certo (questa accusa avrebbe cambiato le carte in tavola), ha ritrattato e ribadito che la colpa è stata sua e solo sua. Tanto che, nell’ordinanza di convalida dell’arresto per lesioni aggravate e resistenza a pubblico ufficiale, il giudice ha fatto riferimento a “gravi indizi di colpevolezza”, ovvero, “i certificati di pronto soccorso, il verbale di arresto e le ammissioni dell’arrestato”. Il processo è stato fissato per il 3 novembre, l’avvocato di Di Stefano, Giuseppe Madia, ha già annunciato il ricorso al rito abbreviato e lui, il giovane, ieri pomeriggio era già a casa. Ignaro, fino a un certo punto, di quello che stava succedendo. Era storia di ieri mattina, mentre lui sedeva in un’aula del tribunale. Ma la sua vicenda aveva sconvolto molti dei passanti che hanno deciso di denunciare quello che lui non ha denunciato. E così ieri sera, la sua versione, è di nuovo cambiata. Il pestaggio c’è stato. “Grondavo sangue. Molte persone gli dicevano di lasciarmi stare, che se avesse continuato mi avrebbe ammazzato”, ha detto. Una ricostruzione smontata, carte alla mano, dalla polizia di Roma Capitale. Il comandante, Angelo Giuliani, ha difeso i suoi uomini senza esitazione. “I vigili non stanno lì a farsi picchiare, hanno reagito ad una violenza e ne è nata una colluttazione”. E lo scontro, ha detto, “è stato ripreso da alcuni amici del giovane solo nella seconda parte, quando i vigili hanno reagito. Sia l’agente sia il ragazzo sono stati portati in ospedale: il primo ha avuto dieci giorni di prognosi, il secondo otto. Peraltro guidava senza patente e aveva un tasso alcolico superiore a quanto previsto dalla legge. E si è persino scusato con i vigili”. Friuli Venezia Giulia: nelle carceri una situazione sempre più insostenibile Messaggero Veneto, 25 settembre 2011 Lo scorso luglio il Friuli Venezia Giulia si trovava al sesto posto nella graduatoria delle regioni per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri. Attualmente a Trieste il numero dei carcerati è il più alto in assoluto dal dopoguerra a oggi: 270 detenuti su 155 posti disponibili. Nelle celle che dovrebbero ospitare 2-5 persone, ce ne sono anche dieci. Causa il sovraffollamento e la mancanza di letti, 16 detenuti sono costretti a dormire sui materassi gettati a terra. Per non parlare delle difficoltà derivanti dalla presenza di un numero elevato di stranieri (193 per l’esattezza), che è la più alta d’Italia, vista la collocazione geografica della città a ridosso del confine. Sono questi solo alcuni dei dati che la senatrice del Partito democratico Tamara Blažina ha citato in aula, nel corso della seduta straordinaria del Senato dedicata alla giustizia e al tema delle carceri, presente il ministro Nitto Palma. Blažina è stata tra i firmatari della lettera con la richiesta per la seduta straordinaria, “in quanto convinta - si legge in una nota - della necessità di misure immediate e straordinarie per affrontare l’attuale emergenza carceraria del nostro Paese”. La senatrice fa parte peraltro dell’ampia schiera di senatori che hanno presentato in questa legislatura numerose interrogazioni sull’argomento. Non ci sono distinzioni tra le regioni italiane rispetto alla condizione critica in cui versano le carceri, ha ricordato Blažina. I tagli operati in questi anni al sistema stanno inoltre causando “difficoltà di gestione ed efficienza amministrativa in tutti gli istituti penitenziari, causando in taluni casi una vera e propria “emergenza umanitaria”. Si tratta comunque - ha detto l’esponente del Pd - di un tema che non riguarda soltanto i 67 mila detenuti attuali, a fronte dei 45 mila posti disponibili. Blazina ha ribadito che sul territorio nazionale “è stata oltrepassata la soglia di decenza, il che non è degno di un Paese civile, democratico; lo testimoniano i 34 suicidi nel primo semestre di quest’anno, ed i 532 tentati suicidi”. La questione carceraria, ha continuato Blažina, va affrontata “nell’ambito della più ampia rivisitazione del sistema giustizia con una vera azione riformatrice”. Due gli interventi che potrebbero essere attuati presto e senza gravi oneri finanziari, a giudizio della senatrice: l’istituzione a livello nazionale del Garante dei diritti dei detenuti e la creazione delle condizioni affinché le madri con figli sotto i tre anni possano scontare la pena in un luogo diverso dal carcere. Blažina ha concluso il proprio intervento in aula riflettendo sul fatto che “come cittadini dobbiamo indignarci per quello che sta succedendo nelle nostre carceri, che rasenta il limite della legalità; e come personale politico dobbiamo assumerci la responsabilità per trovare le soluzioni più appropriate. Chiedo anche al Governo - ha chiuso la senatrice - di fare la propria parte”. Como: “Vitomir Bajic non aveva alcun motivo di uccidersi”, interrogazione dei Radicali Adnkronos, 25 settembre 2011 Rischia di diventare un “caso” internazionale la morte di Vitomir Bajic, 44 anni, il detenuto con doppia nazionalità, serba e montenegrina, trovato impiccato giovedì mattina nella sua cella del carcere comasco del Bassone. A sottolinearlo è l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, che riporta una dichiarazione dell’avvocato serbo del detenuto, Borivoje Borovic: “Non è un suicidio - ha detto il legale. Denunceremo le autorità italiane. Il mio cliente non aveva alcun motivo per togliersi la vita. Semmai qualcuno dovrà spiegarci come fosse possibile che si trovasse in cella con un membro della stessa organizzazione”. A quanto ricostruisce l’Osservatorio, Vitomir Bajic era stato nelle forze speciali della polizia serba e dopo la caduta di Milosevic sarebbe diventato guardia del corpo di Darko Saric, a capo con il fratello Dusko di un ‘cartellò di narcotrafficanti capace di trasferire ingenti carichi di droga dal Sud America al Montenegro. Arrestato a Budva, proprio in Montenegro, nel novembre 2010 sulla base del mandato d’arresto Interpol emesso dall’Italia, Bajic è stato estradato nel nostro Paese a marzo 2011. Avrebbe dovuto presentarsi, mercoledì prossimo, ai magistrati della Dda di Milano, che indagavano, e indagano, sull’attività del suo gruppo. L’avvocato sostiene che mai il suo cliente si sarebbe tolto la vita: “Era tranquillo, sicuro che mercoledì lo avrebbero rimesso in libertà. Non aveva problemi economici né di altro tipo”. Sempre secondo il suo legale, però, era stato chiuso in cella con un coindagato, tale Srpko Klisura, circostanza che, spiega l’Osservatorio, a detta dell’avvocato meriterebbe di essere approfondita. Bajic era stato trovato morto attorno alle 11 del mattino: aveva atteso che i suoi compagni di cella uscissero per l’ora d’aria poi si era impiccato con la cintura di un accappatoio. Questo, almeno, è quello che risulta agli atti della Procura. Il pm Giuseppe Rose ha disposto un esame autoptico, per sgomberare il campo dai sospetti. La cella era in ordine, senza segni di violenza o di colluttazione. Ma avvocato e familiari insistono: “Non c’era motivo per cui dovesse togliersi la vita. Siamo convinti che dietro ci sia dell’altro. Denunceremo le autorità italiane”. È probabile che nei prossimi giorni vengano sentiti anche i suoi compagni di cella. Interrogazione di Rita Bernardini Interrogazione a risposta scritta. Al Ministro della Giustizia Per sapere, premesso che: da notizie stampa si apprende del suicidio per impiccagione avvenuto nel carcere di Como il 22 settembre scorso del quarantaquattrenne cittadino Serbo Vitomir Bajic; che si tratti di suicidio non è convinto il suo avvocato difensore Borivoje Borovic che sulla Gazzetta di Como del 24 settembre dichiara: “Denunceremo le autorità italiane. Il mio cliente non aveva alcun motivo per togliersi la vita. Semmai qualcuno dovrà spiegarci come fosse possibile che si trovasse in cella con un membro della stessa organizzazione”; sempre sulla Gazzetta di Como del 24 settembre si legge: “Arrestato proprio in Montenegro dall’Interpol lo scorso mese di marzo in quanto sospetto membro di una organizzazione internazionale che importava cocaina dal Sud America all’Europa, Bajic avrebbe dovuto presentarsi, mercoledì prossimo, ai magistrati della Dda di Milano, che indagavano, e indagano, sull’attività del suo giro. L’avvocato sostiene che mai il suo cliente si sarebbe tolto la vita: “Era tranquillo, sicuro che mercoledì lo avrebbero rimesso in libertà. Non aveva problemi economici né di altro tipo”. Sempre secondo il suo legale, però, era stato chiuso in cella con un coindagato, tale Srpko Klisura, circostanza che a detta dell’avvocato meriterebbe di essere approfondita. Borovic era stato trovato morto attorno alle 11 del mattino: aveva atteso che i suoi compagni di cella uscissero per l’ora d’aria poi si era impiccato con la cintura di un accappatoio. Questo, almeno, è quello che risulta agli atti della Procura. Il Pm Giuseppe Rose ha disposto un esame autoptico, per sgomberare il campo dai sospetti. La cella era in ordine, senza segni di violenza o di colluttazione. Ma avvocato e familiari insistono: “Non c’era motivo per cui dovesse togliersi la vita. Siamo convinti che dietro ci sia dell’altro. Denunceremo le autorità italiane”. È probabile che nei prossimi giorni vengano sentiti anche i suoi compagni di cella”; che Baijca non fosse un “pesce piccolo” lo si apprende dall’Osservatorio Permanente delle morti in carcere (Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone”, Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”) che il 24 settembre riprendeva una notizia del giornale online Etleboro del 20 novembre 2010 in cui si leggeva che “Vitomir Bajic era stato nelle forze speciali della polizia serba e dopo la caduta di Milosevic sarebbe diventato guardia del corpo di Darko Saric, a capo con il fratello Dusko di un “cartello” di narcotrafficanti capace di trasferire ingenti carichi di droga dal Sud America al Montenegro (dell’ottobre 2009 il sequestro di 20 quintali di cocaina in partenza da un porto uruguaiano); sempre L’Osservatorio Permanente delle morti in carcere, riprende dall’Agenzia Balcani 2011 gli estremi dell’arresto: Baijca fu arrestato a Budva (Montenegro) nel novembre 2010, sulla base del mandato d’arresto Interpol emesso dall’Italia, e successivamente estradato nel nostro Paese a marzo 2011:- se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa; se corrisponda al vero che Vitomir Baijc si trovasse in cella nel carcere di Como con altro (o altri) coindagati e, se vero, quali ne siano state le ragioni; nel caso in cui i coindagati fossero stati messi appositamente nella stessa cella per disposizione dei magistrati al fine di eseguire intercettazioni ambientali utili alle indagini, se tali intercettazioni siano state messe al sicuro e consegnate all’Autorità giudiziaria; nel rispetto e a prescindere dalla inchiesta avviata dalla magistratura quali siano gli intendimenti del Governo e quali siano gli esiti, allo stato, dell’inchiesta avviata nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria al fine di accertare modalità ed eventuali responsabilità in ordine al suicidio di Vitomir Bajic. Ancona: dopo morte detenuto, responsabili servizio socio-sanitario regionale a rapporto Adnkronos, 25 settembre 2011 I responsabili del servizio socio-sanitario regionale a rapporto. Dopo la morte per un malore nel carcere di Ancona di Eugenio Riccio, detenuto in sciopero della fame visitato il giorno stesso in ospedale ma poi dimesso, il Garante dei detenuti delle Marche Italo Tanoni ha convocato un tavolo per la prima settimana di ottobre. L’obiettivo è “risolvere alcuni problemi cogenti che si sono venuti a determinare dopo il passaggio delle competenze dall’amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario della Regione”. Tanoni ha chiesto ai dirigenti dei sette istituti di pena delle Marche “una relazione specifica relativa alle carenze riscontrate nelle singole realtà carcerarie”. Il Garante non entra nel merito dell’episodio di Ancona, sul quale sono in corso indagini, ma sottolinea di aver da tempo evidenziato “la forte criticità della situazione socio-sanitaria nelle realtà carcerarie della regione, condizione aggravata dal pauroso sovraffollamento degli stessi istituti”. Antigone: dopo il cordoglio alcune considerazioni sulle condizioni dei carcerati Dopo la morte di Eugenio Riccio, detenuto nel carcere di Ancona, a seguito dello sciopero della fame a cui aveva affidato la sua protesta per le condizioni di vita nel penitenziario, Vivere Jesi ospita le considerazioni di Samuele Animali, Presidente di Antigone Marche a Jesi. “Ieri è stata diramata - parla Animali - la notizia che un altro detenuto è morto presso il carcere di Montacuto ad Ancona. Un episodio che amareggia chiunque abbia a cuore la sorte delle persone prese in carico dalle istituzioni e avviene mentre è in corso in parlamento un dibattito straordinario sullo stato di emergenza umanitaria delle carceri italiane. In questo caso si tratta di una morte “naturale”, non di un suicidio propriamente detto, ma il confine pare molto tenue considerato che questa persona era in sciopero della fame. In attesa di chiarimenti, in base alle notizie disponibili l’episodio risulta particolarmente preoccupante per almeno due altri motivi. Il primo, sembra ci sia stata una sottovalutazione delle condizioni fisiche di questa persona da parte dei sanitari: può essere sicuro, chi si trova in carcere, di avere un trattamento sanitario “uguale” a quello di qualsiasi altro cittadino, come dispongono le normative vigenti e suggeriscono elementari principi di civiltà? Il secondo punto riguarda la circostanza che la notizia è stata diffusa da un organizzazione sindacale, mentre le istituzioni sembrano serbare il silenzio. Un particolare che pone qualche interrogativo sull’atteggiamento dell’amministrazione”. Favi (Pd): detenuto morto ad ancona conferma situazione drammatica Dichiarazione di Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd: “La morte di un detenuto presso il carcere di Ancona che secondo notizie stampa era da undici giorni in sciopero della fame, ripropone prepotentemente il dramma in cui versano i nostri istituti penitenziari. Purtroppo, le parole pronunciate l’altro giorno dal ministro Nitto Palma al Senato non lasciano intravvedere da parte del governo alcun intervento immediato per riportare le condizioni di vita dei reclusi e di lavoro del personale a livelli decenti nel rispetto del dettato costituzionale. Ancora una volta, il governo e la maggioranza che lo sostiene parlano di soluzioni tutte imperniate sull’edilizia penitenziaria di un “piano carceri” che cambia continuamente e che non ha dato finora e non darà certo nel futuro risposte concrete al problema del sovraffollamento. I decessi che si registrano in carcere, il dramma dei suicidi, dei tentativi e degli atti di autolesionismo devono indurre tutti, a cominciare da chi ha responsabilità di governo, ad intervenire con azioni concrete urgenti e non con ipotesi non risolutive e di dubbia fattibilità”. Bologna: proposta Pdl; case edilizia pubblica a chi deve scontare pene domiciliari Dire, 25 settembre 2011 “Coinvolgere associazioni e privati nel recupero di parte del patrimonio abitativo pubblico attualmente non utilizzabile per destinarlo, successivamente, a luoghi per l’espiazione delle pene”. È la proposta di Lorenzo Tomassini (Pdl), consigliere comunale di Bologna, formulata oggi in question time ricordando la “situazione di sovraffollamento” del carcere della Dozza e l’opportunità contenuta nel cosiddetto decreto “svuota-carceri”, che consente di scontare ai domiciliari le pene minori. Però sono “molto limitate” le possibilità per il Comune di “destinare diversamente dalla disciplina regionale il patrimonio abitativo”, replica a Tomassini l’assessore alle Politiche abitative di Palazzo D’Accursio, Riccardo Malagoli. Infatti il patrimonio abitativo pubblico di proprietà del Comune “è vincolato nella sua destinazione - ricorda Malagoli - in relazione all’origine patrimoniale del medesimo” e pertanto è “da destinare all’accesso, secondo la disciplina normativa prevista, di nuclei in possesso dei requisiti previsti dalla Regione”. Il patrimonio non Erp, invece, può essere “liberamente impiegato secondo le esigenze individuate dal Comune”, aggiunge l’assessore. Numeri alla mano, il patrimonio non Erp ammonta a 562 unità a fronte degli 11.829 alloggi Erp e “la maggioranza degli alloggi non Erp è occupata da assegnazioni stabili - riferisce Malagoli - con contratti di edilizia residenziale pubblica” e pertanto sono “molto limitate” le possibilità di destinare patrimonio abitativo del Comune al di fuori della disciplina regionale. In ogni caso “si è già proceduto all’assegnazione di alloggi ad associazioni ed enti con la finalità di accompagnamento di persone o nuclei all’autonomia abitativa”, ricorda Malagoli: “Tra questi il settore Casa e l’Istituzione per l’inclusione sociale hanno complessivamente assegnato sette alloggi all’associazione Avoc proprio per favorire l’uscita dal carcere di persone che potevano usufruire di misure alternative”. È evidente che azioni di questo tipo possono essere svolte “solo con il coinvolgimento di associazioni che mettano in campo azioni di accompagnamento significative”, sottolinea l’assessore di Palazzo Malvezzi. “A breve sarà pubblicato un ulteriore bando”, conclude Malagoli, per “intercettare ulteriori disponibilità di soggetti associativi che intendano avvalersi di risorse abitative pubbliche per mettere in campo azioni anche in questo ambito”. Alba (Cn): un mercatino dei prodotti dal carcere e dai terreni confiscati alle mafie Targato Cn, 25 settembre 2011 È stato presentato giovedì 22 settembre nella sala del Consiglio del Comune di Alba, alla presenza dell’Assessore Paola Farinetti e del Presidente delle Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba Antonio Degiacomi, “Vale la pena! mercatino dei prodotti dal carcere e dai terreni confiscati alle mafie” che l’81ª Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba, nella giornata tradizionalmente dedicata al Palio degli Asini, ospiterà domenica 2 ottobre, in collaborazione con il Mercato della Terra. Piazza Elvio Pertinace per un giorno si trasformerà nella vetrina dei prodotti realizzati in carcere dai detenuti. Vino, birra, olio, biscotti, pasticceria, miele, formaggio, verdure, marmellate ma anche gadget, bijoux, ciotole, opere e strumenti in ferro battuto, vestiti tutti rigorosamente “made in jail”, “fatto in gattabuia”, ma sempre con un ben evidente “codice a sbarre” dalla doppia valenza. Le dolci evasioni della banda Biscotti o il vino “Vale la pena”, fresco di galera e tanti prodotti, prevalentemente enogastronomici, accoglieranno i cittadini ed i turisti e stupiranno per la loro qualità e raffinatezza. Un mercatino di prodotti con un plus valore etico, quando il lavoro è riscatto e recupero in un percorso di reinserimento sociale e di risarcimento civile. E poi pasta, lenticchie, peperoncini, olio, miele coltivati dai ragazzi delle cooperative di Libera Terra sui terreni confiscati alle mafie, per dimostrare che il lavoro vero è libertà e che quei beni sono “cosa nostra”. L’iniziativa promossa dal Comune di Alba e dall’Ente Fiera Internazionale del Tartufo è organizzata in collaborazione con il Gol Gruppo Operativo Locale Alba-Bra, la Condotta Slow Food Alba Langhe Roero e il Consorzio di Cooperative Sociali CIS di Alba. Venerdì 14 ottobre, alle ore 21, è previsto inoltre un momento di confronto rivolto a tutta la cittadinanza, con le autorità cittadine, la Casa Circondariale di Alba ed il Consorzio di Cooperative Sociali CIS di Alba, sulle tematiche carcerarie e sulle problematiche relative al reinserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate e problemi di giustizia con la visione del film “40% le mani libere del destino” al Cinema Moretta di Alba. Il film girato a Torino, con la partecipazione di attori esordienti e dei lavoratori della Cooperativa Sociale Arcobaleno, racconta l’esperienza del progetto Cartesio realizzato alla fine degli anni ‘90, con la regia di Riccardo Jacopino, vede anche la partecipazione straordinaria di Luciana Littizzetto. È stato richiesto, per le due iniziative, un contributo alla Fondazione Crc. Ragusa: interrogazione Bernardini; per il Governo “disagi diffusi, ma niente emergenza” La Sicilia, 25 settembre 2011 Il carcere di Ragusa sotto la lente di ingrandimento della commissione Giustizia della Camera. È accaduto giovedì con l’intervento del sottosegretario di Stato, sen. Giacomo Caliendo che ha risposto all’interrogazione parlamentare presentata dall’on. Rita Bernardini, dei Radicali Italiani, dopo la sua visita ispettiva di fine agosto. Nell’interrogazione la Bernardini aveva parlato delle difficili condizioni in cui versa l’istituto penitenziario, in particolare per le celle ristrette, con i wc a vista, e con carenze nell’assistenza sanitaria e sociale. Aveva riportato anche tante toccanti storie di detenuti. Il sottosegretario ha confermato l’impegno del Governo ma non ha potuto non evidenziare che “le condizioni strutturali del carcere di Ragusa non sono ottimali. È un carcere di antica realizzazione, costruito con tecniche ormai superate, tali da non consentire interventi parziali che possano garantire, nell’immediato, i necessari adeguamenti dei locali. Stiamo pensando ad un progetto di manutenzione straordinaria che preveda la ridistribuzione dei locali e dei servizi igienici delle sezioni detentive”. E sui wc a vista, il sottosegretario, nel ricordare che le celle sono sprovviste di docce, ha precisato che i “cubicoli sono separati dai servizi igienici per mezzo di un muretto alto poco più di un metro”. Caliendo ha confermato il sovraffollamento, problema comune a varie carceri, “problema che certamente incide in modo negativo sulle condizioni di vita dei ristretti. La capienza è di 159 posti, quella tollerabile di 219. Al 16 settembre c’erano 192 detenuti a cui si aggiungeranno 15 detenute donne perché sarà riaperta la sezione femminile”. Resterà chiusa, invece, la sezione per portatori di handicap. Una buona notizia Caliendo l’ha data: sarà potenziato in Sicilia l’organico degli agenti della penitenziaria. Ma per Ragusa ci saranno solo tre unità femminili in più. Sull’assistenza sanitaria è stato ribadito che è assicurata a tutti i detenuti “anche se negli ultimi anni ha subito una riduzione sia del monte ore per medici e infermieri, che del budget finanziario, con inevitabili riflessi sui farmaci e sulle prestazioni specialistiche”. In conclusione il sottosegretario ha annunciato che l’ufficio di sorveglianza di Siracusa ha confermato i dati numerici riportati dalla Bernardini e ha però ribattuto dicendo che “le celle si presentano in buono stato ed appaiono sufficientemente ampie e che l’assistenza sanitaria è più che adeguata”. Per nulla soddisfatta si è detta la Bernardini che assicurato che continuerà, assieme ai Radicali, la battaglia per le carceri italiane e per l’amnistia dei carcerati. “Il Governo, sulle elevate presenze di carcerati a Ragusa parla di situazioni tollerabili. Ma tollerabili per chi? Ci stanno per caso i rappresentanti del Governo in quelle celle di pochi metri quadrati dove si violano i diritti umani? E poi c’è la questione degli organici degli agenti di Polizia Penitenziaria. Non saranno le annunciate tre unità in più a risolvere i problemi al carcere di Ragusa”. Sulmona (Aq): firmato decreto per l’ampliamento del carcere, ospiterà 200 detenuti in più Il Centro, 25 settembre 2011 Undici milioni di euro per la costruzione del nuovo padiglione del carcere di via Lamaccio. Un progetto che si tradurrà in 200 nuovi posti per detenuti e che permetterà anche il potenziamento del personale in servizio. L’avvio dell’iter è stato sancito dalla firma del decreto ministeriale da parte del commissario per il Piano carceri, Franco Ionta, il provvedimento è arrivato nei giorni scorsi in Comune e il cantiere aprirà in primavera. L’esecutivo ha accolto da subito favorevolmente l’ampliamento della struttura che, al momento, rappresenta anche una realtà occupazionale considerevole. Oltre al personale della polizia penitenziaria, che resta sottorganico, la casa di reclusione garantisce occupazione a decine di persone impegnate nell’indotto, come pulizia e altre attività. Al riguardo, i sindacati della Polizia penitenziaria chiedono, in occasione dell’avvio del progetto, la revisione della pianta organica e il conseguente potenziamento. Il nuovo padiglione si estenderà su quattro mila metri quadrati, avrà dieci cortili da passeggio, di cui sei in sostituzione di quelli che saranno demoliti per consentire la realizzazione della struttura, una sala colloqui più grande e, in programma, ci sono anche interventi di ampliamento sul depuratore. Attualmente, nel penitenziario, diretto da Sergio Romice, sono detenute circa 500 persone di cui oltre 150 sono internati nella contestata casa lavoro aperta nel 1989. La realizzazione del nuovo padiglione dovrà passare attraverso una variante al piano regolatore in vigore, cambiamento che dovrà essere approvato in consiglio comunale. La variante verterà sull’edificabilità dell’altezza che dovrà variare da 14,50 metri a 19,50 metri. L’aumento del numero dei detenuti determinerà anche una maggior affluenza di visitatori e personale in servizio, per questo è stato previsto di riservare un’area di circa 7 mila metri quadrati, all’esterno della struttura di via Lamaccio, da adibire a parcheggio. Prima dell’inizio dei lavori sarà svolto un sopralluogo, da parte della Soprintendenza, per verificare se nell’area è ritenuta interessante sotto il profilo archeologico, considerato che la casa di reclusione si trova ai piedi del monte Morrone, poco distante dall’area archeologica del tempio di Ercole Curino. Belluno: la Lega chiede più carceri, no a provvedimenti di amnistia e indulto Corriere delle Alpi, 25 settembre 2011 Guardie sotto organico del 30%, celle anguste e umide. L’emergenza carceri, portata l’altro ieri all’attenzione del Senato, è un tema che tocca da vicino anche la Casa circondariale di Belluno. Qualche tempo fa, infatti, gli stessi detenuti hanno protestato per le condizioni in cui sono costretti a vivere facendo lo sciopero della fame. E a prendere una posizione su questo tema è il senatore di Verso Nord, Maurizio Fistarol. “Il carcere di Baldenich spiega il senatore, “ha una capienza di 90 detenuti con una soglia di tolleranza di 120. Al momento la struttura ospita tra le 121 e 122 persone, ma il loro numero è arrivato a superare anche le 150 unità”. Oltre al problema del sovraffollamento, ci sono le difficoltà legate alla carenza di personale. “Secondo il decreto ministeriale”, continua Fistarol, “l’organico dovrebbe essere formato da 122 agenti, ma attualmente in servizio ce ne sono 99, di cui 89 effettivi e 10 assenti per vario titoli, sia per distacchi che per missioni in altre sedi”. Il senatore evidenzia anche i limiti strutturali della casa circondariale di Baldenich. “Il carcere, inoltre, necessiterebbe di alcuni interventi anche di tipo strutturale. Ma la questione deve essere risolta alla radice”. Nella richiesta di convocazione dell’altro ieri, firmata da un gruppo di parlamentari, che Fistarol non ha voluto sottoscrivere, si chiedeva un dibattito per varare con urgenza un provvedimento di amnistia e indulto per svuotare le carceri italiane. “Non è possibile”, dichiara l’esponente di Verso Nord, “rispondere continuamente all’emergenza con provvedimenti di urgenza che personalmente non condivido, come quelli dell’amnistia e dell’indulto. Invece bisogna mettere in pratica quello che già da tempo ci si è impegnati a fare. Vale a dire la costruzione di nuovi istituti, interventi di miglioramento della qualità di vita nelle carceri esistenti e provvedimenti di depenalizzazione per i reati minori che consentano di non riempire le nostre carceri”. Il senatore Fistarol, infine, auspica che il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, tenga fede all’impegno preso in aula di potenziare il numero di istituti attraverso “un progetto di costruzione di carceri a bassa sicurezza”. Il tema della condizione dei detenuti sarà approfondito in Commissione giustizia nei prossimi giorni. Pisa: una vita in carcere, da direttore… Vittorio Cerri lascia l’incarico dopo 17 anni Il Tirreno, 25 settembre 2011 Oggi, dopo diciassette anni, è l’ultimo giorno di comando al carcere di Pisa per Vittorio Cerri, anche se di fatto è già in ferie da un po’ di giorni. Da lunedì infatti il dottor Cerri sarà a Firenze, al provveditorato per l’amministrazione penitenziaria, a dirigere l’ufficio sicurezza e sanità. Al suo posto c’è il direttore dirigente Santina Savoca, affiancata dal coordinatore Angelo Volpe, responsabile delle relazioni col personale. A Pisa, Vittorio Cerri, che ama definirsi un ragazzo di Gagno (“e tale sono rimasto”: dice modestamente) è stato infatti per ben diciassette anni, come si diceva, dopo dieci trascorsi a Lucca e uno a Pianosa. Cinquantasette anni, una moglie che insegna economia aziendale all’istituto alberghiero, Tiziana Raspi, e due figli, Francesco, di 26 anni, e Margherita, di 23, autore nel ‘97 del libro “Pisa incontra il carcere”, oggi Cerri affronta il nuovo incarico, chiesto da lui, con molto entusiasmo, e ricorda con emozione la lunga avventura casalinga. “Sono molto contento di aver lavorato per la mia città - dice - e ho già intenzione di proseguire un rapporto di collaborazione col carcere, come volontario, tramite l’associazione Don Bosco, la fattoria allestita per chi è in semilibertà. Metto la mia esperienza a disposizione del sindaco e dell’arcivescovo, cioè di due realtà con cui ho sempre lavorato. Sono state, per dirla in termine matematici, le mie ascisse e le mie ordinate e voglio ringraziarli insieme a tutte le autorità. Voglio salutare con affetto il personale e i detenuti. Il ricordo va ad un momento particolare, quello della permanenza in carcere di Adriano Sofri. Quel che so è che noi ci siamo sempre sforzati di considerarlo come una persona normale, come d’altra parte lui si comportava. Era il mondo esterno che lo trattava diversamente. Al carcere c’erano visite giornaliere di politici, scienziati, cantanti, artisti, cardinali, musicisti, maestri d’orchestra. Ricordo in particolare trenta croati giunti in Italia in un momento drammatico grazie agli aiuti da lui forniti: vollero venire tutti a ringraziarlo”. E poi Cerri ricorda presenze impegnative, come quelle di tanti cosiddetti 41 bis: due nomi per tutti, Francesco Schiavone, detto Sandokan, e Francesco Madonia. E ancora la storia del detenuto obeso, Aristide Angelillo, che riuscì a lasciare il carcere proprio grazie all’interessamento del giornale. “Voglio ringraziare - continua Cerri - il dottor Francesco Ceraudo, l’ex direttore del centro clinico, che mi ritroverò accanto a Firenze e grazie al quale ho conosciuto medici penitenziari di tutto il mondo. Ma l’esperienza più bella la considero quella dei permessi collettivi, realizzati anche grazie al supporto economico del vescovo. Con suor Cecilia, la criminologa Chiara Veglia, presidente del progetto Prometeo, e il cappellano don Roberto Filippini abbiamo portato alcuni detenuti a Montenero, alla Casa madre dei salesiani a Torino, per onorare don Bosco, che ha sempre protetto questa istituzione a lui intitolata, e questa estate ad Assisi. Percorsi religiosi, è vero, ma realizzati anche con detenuti musulmani, con cui c’è un reciproco rispetto, tanto che il primo a comprargli il tappeto per pregare è don Roberto. O ancora ricordo il riconoscimento all’ex direttore Alfredo Solarino e gli agenti scomparsi, fra cui Angelo Canu, che morì sul Moby Prince. Grazie a tutti”. Da parte nostra a Cerri il classico migliore augurio di buon lavoro e un grazie per il rapporto di collaborazione, stima e amicizia instaurato in questi anni. Roma: biblioteche in carcere, ogni mese vengono presi in prestito circa duemila volumi Corriere della Sera, 25 settembre 2011 “Ricomincio dai libri”: è così nelle carceri romane. Perché la sfida di integrare le biblioteche degli istituti di pena nella rete e nei cataloghi del sistema bibliotecario della città, è una sfida coronata dal successo. Basta dare un’ occhiata ai numeri: nelle cinque carceri romane si contano ormai 21 biblioteche (più una in quello minorile di Casal del Marmo), con circa duemila prestiti ogni mese e con un patrimonio librario di circa 50 mila volumi. E assai rilevanti sono in particolare alcuni dati relativi alla nuova biblioteca centrale a Regina Coeli, “Lo Scalino”, dove i detenuti chiedono in prestito circa 300 libri ogni mese. Si legge per guardare oltre le sbarre, e soprattutto per ricominciare a vivere attraverso le pagine degli scrittori, famosi o meno. Il bilancio, infatti, di due impegnativi anni di lavoro del sistema bibliotecario romano, rivela che non solo i detenuti chiedono sempre più volumi in prestito, ma il lavoro all’interno della biblioteca è ambito e svolto con sollecitudine e attenzione. La gestione quotidiana di queste strutture, infatti, è affidata a detenuti scelti dalla direzione del carcere, guidati e formati dai bibliotecari del Comune di Roma. E dopo qualche tempo viene consegnato al detenuto-bibliotecario anche un attestato del lavoro svolto: un attestato che anche se non ha alcun valore legale o professionale ha un grande valore “soggettivo” come riconoscimento di fiducia e stima, ed a sostegno di una dignità personale che troppo spesso negli istituti di pena viene negata e maltrattata. Dei 60 detenuti che hanno iniziato il corso di “bibliotecario” (60 ore di docenza oltre 50 ore di esercitazione pratica nella catalogazione on-line), infatti, quasi tutti lo hanno portato a termine. Così in tanti rincominciano dai libri e le biblioteche romane in carcere sono ormai dei percorsi e dei progetti di inclusione sociale: sono sempre più numerosi coloro che si appassionano alla lettura e a questo tipo di lavoro: scrivani di biblioteca (pagati dalla direzione del carcere), affiancati spesso da sempre più numerosi bibliotecari volontari (cioè non pagati) e impegnati nelle diverse attività di volta in volta organizzate. Libri e non solo, infatti: vi sono proiezioni di film, tornei di scacchi, laboratori di disegno. Un capitolo a se stante è quello di Casal del Marmo, dove per i minori la promozione della lettura è uno dei momenti fondamentali per il loro recupero e dove alle attività di biblioteca se ne affiancano altre di promozione culturale e fi formazione professionale, con un’ ottima percentuale di esiti positivi. Bologna: uscito in affidamento abbandona volontario cui era stato affidato e tenta la fuga Dire, 25 settembre 2011 Ha tentato l’evasione sfuggendo al volontario a cui era stato affidato, ma la Polizia penitenziaria lo ha rintracciato nel giro di poche ore riportandolo nel carcere bolognese della Dozza. Protagonista un 28enne polacco, in cella da gennaio per furto e porto d’armi (da scontare, per lui, una pena definitiva fino al 2013). A dare notizia dell’accaduto è la Uil Penitenziari di Bologna, con una nota a firma del coordinatore provinciale Domenico Maldarizzi. Il detenuto era appena uscito dal carcere, questa mattina, per usufruire della misura alternativa dell’affidamento ai servizi sociali: subito dopo, però, “ha abbandonato il volontario al quale era stato affidato - racconta il sindacalista - e si è dato alla fuga”. Scattato subito l’allarme, gli agenti della Polizia penitenziaria hanno rintracciato il 28enne dopo un paio d’ore. Il fuggitivo si trovava in un negozio della Stazione ferroviaria, presumibilmente pronto a lasciare la città: gli agenti lo hanno pedinato fino ad un luogo meno affollato e lì lo hanno fermato. “Bravissimi i colleghi della Penitenziaria di Bologna che, pur lavorando sotto organico e in condizioni difficili - commenta Maldarizzi - l’hanno bloccato e riportato in carcere evitandone pertanto l’evasione”. Il sindacalista, dunque, si augura che l’amministrazione penitenziaria “provveda a dare una adeguata ricompensa (lode o encomio) al personale di Polizia che ha partecipato all’importante operazione di servizio”. Reggio Calabria: Uil; proiettili via posta per tre agenti della polizia penitenziaria Quotidiano di Calabria, 25 settembre 2011 Polizia Penitenziaria nel mirino. Nel Centro smistamento Postale di Lamezia Terme sono state intercettate tre buste contenenti proiettili indirizzate a tre unità di Polizia Penitenziaria tra cui un Ispettore Capo e due Assistenti Capi in servizio al Reparto di Reggio Calabria. Già altri episodi si sono verificati nel corso degli ultimi mesi. A darne notizia è stato lo stesso Corpo di Polizia Penitenziaria. Appreso il fatto, il segretario provinciale generale della Uilpa, Patrizia Foti, ed il segretario provinciale Uilpa Penitenziari, Bruno Fortugno hanno diffuso un comunicato stampa con il quale esprimono solidarietà alle vittime e viva preoccupazione. “È passato poco più di un anno - rammentano Patrizia Foti e Bruno Fortugno - da quando l’Assistente Capo di Polizia Penitenziaria Brizzi Antonino in servizio alla Casa Circondariale di Reggio Calabria, fu destinatario di un atto intimidatorio di chiaro stampo terroristico-mafioso, rimasto ancora impunito, nella circostanza, ignoti esplosero diciotto colpi di mitra Kalashnikov cal. 7.62. contro l’autovettura di proprietà del graduato”. “Nel condannare il vile atto intimidatorio, - aggiungono - esprimiamo la più sincera solidarietà e vicinanza ai colleghi e alle loro famiglie. Siamo certi che questo ennesimo vile atto intimidatorio, non intaccherà minimamente l’impegno lavorativo svolto quotidianamente dai colleghi, di cui ben conosciamo la serietà e la professionalità che li contraddistingue. Si tratta di personale dotato di esperienza lavorativa ultradecennale, operatori del diritto di provata capacità, temprato a fronteggiare situazioni ben più difficoltose”. I rappresentanti sindacali richiamano poi l’attenzione sulla situazione emergenziale delle carceri italiane, sovraffollati e desueti. “Non agevola di certo, - continua il comunicato stampa - la grave situazione che sta attraversando il “pianeta carcere”, settore che sta registrando il periodo più nero della sua storia contemporanea, sia per la notevole carenza di organico, per i turni di lavoro stressanti che per gli effetti del sovraffollamento delle carceri, aspetti più volte evidenziate da questa Organizzazione Sindacale, che si avvertono ancora di più in Calabria, per la presenza sul territorio della criminalità organizzata. Il ripetersi di questi atti di violenza, nei confronti dei Poliziotti Penitenziari di stanza al Reparto di Reggio Calabria, sono sicuramente gli effetti sortiti, di chi combatte l’antistato da servitore dello Stato”. “Non saranno queste vigliacche intimidazioni - proseguono Patrizia Foti e Bruno Fortugno - a frenare gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria di Reggio Calabria agli ordini del Commissario, Stefano Lacava e del Direttore, Carmela Longo, che quotidianamente sono impegnati in compiti d’istituto, al servizio della gente e delle Istituzioni”. “In ogni caso - concludono - sensibilizziamo le Istituzioni preposte, ad affrontare queste emergenze che penalizzano l’intero settore a mantenere alta la soglia d’attenzione, verso questi vili atti di violenza che hanno come finalità quello di inquinare il nostro sistema democratico”. Il ministro della Giustizia domani in città Domani il ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma sarà in città. Alle ore 9:15, il guardasigilli, accompagnato dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, visiterà la casa circondariale. Alle ore 11, poi, al Palazzo di Giustizia, il ministro, insieme al capo del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria Luigi Birritteri, incontrerà il presidente della Corte d’appello Luigi Gueli, il procuratore generale Salvatore Di Landro ed i responsabili degli uffici giudicanti e Parma: Sappe; cinque agenti della Polizia penitenziaria aggrediti da un detenuto Agi, 25 settembre 2011 Cinque agenti della Polizia penitenziaria sarebbero stati aggrediti da un detenuto, questa mattina, all’interno del carcere di Parma. Lo riferisce in una nota il sindacato del Sappe, spiegando che l’episodio si è verificato mentre gli agenti dovevano spostare il detenuto, magrebino, da una cella all’altra. Lo straniero, che “già in passato si era reso responsabile di gesti analoghi in altri istituti”, si sarebbe rifiutato di cambiare cella e avrebbe iniziato a “dare in escandescenza e a colpire gli agenti presenti con pugni e calci”. Gli agenti, che si sono fatti medicare, hanno prognosi fino a dieci giorni (uno di loro è stato colpito alla pancia). Alla luce dell’accaduto, il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, attacca: “Non è la prima volta che nel carcere di Parma si verificano episodi di questo tipo” e “non è tollerabile che gli agenti che lavorano per 1.200 euro al mese siano costretti anche a subire atti di violenza”. Il Sappe chiede “punizioni esemplari”, come l’isolamento e l’esclusione dalle attività in comune (oltre alla denuncia penale), per “coloro che si rendono responsabili di atti di violenza nei confronti dei nostri agenti”. Nei 206 penitenziari italiani, ricorda Durante, ci sono in media dai 200 ai 250 “eventi critici” al giorno, tra “aggressioni, gesti di auto ed eterolesionismo, tentativi di suicidi e suicidi, danneggiamenti ai beni dell’amministrazione”. E, nonostante le situazioni critiche e “una carenza di circa 150 agenti”, la Polizia penitenziaria “continua a garantire la sicurezza e ad assolvere agli altri compiti istituzionali, come la partecipazione alla rieducazione dei condannati”, conclude il Sappe. Teramo: cerca di introdurre hashish in carcere, arrestato un uomo di 40 anni Il Centro, 25 settembre 2011 Stava entrando nel penitenziario teramano con poco più di 54 grammi di hashish che avrebbe dovuto probabilmente consegnare a un detenuto cui era venuto a far visita ma, poco prima che entrasse, è stato fermato e controllato dalla polizia penitenziaria che lo ha arrestato in flagranza di reato. L’uomo, Salvatore Pantaleo, di 40 anni, di origini campane è stato condannato stamane per direttissima a un anno e un mese di reclusione. Dunque è stato evitato lo spaccio in carcere e il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria esprime il proprio apprezzamento per l’importante attività di controllo dei baschi azzurri di Teramo con l’unità cinofila della guardia di finanza e, in particolar modo, per il fiuto del cane di nome ‘Pamir’. Sono state, infatti, “fiutate” tutte le celle senza trovare nulla. “Ritengo che il ministero della Giustizia e il dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria debba adeguatamente valorizzare quest’attività di servizio - dice il segretario del Sappe, Giuseppe Pallini - assegnando unità cinofile a tutti gli istituti della penisola, in particolare a Teramo, dove sono ristretti 100 detenuti tossicodipendenti”. “Il costante e pesante sovraffollamento dell’istituto teramano, dove sono presenti 430 detenuti a fronte dei 240 posti letto regolamentari, - ha aggiunto Pallini - fa fare ogni giorno alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria i salti mortali per garantire la sicurezza”. Immigrazione: Perduca (Radicali); i “Cie galleggianti” di Palermo violano i diritti umani Adnkronos, 25 settembre 2011 “Il ministro Maroni conferma la sua linea politica di gestione del procurato allarme con lo spauracchio delle migliaia di sbarchi: violare la Costituzione e la Carta europea dei diritti umani, in particolare l’articolo 4 che espressamente vieta le deportazioni di massa (seppur effettuate previa ratifica di altrettanto illegali accordi bilaterali). I Cie galleggianti, vere e proprie galere che replicano lo stato di patente incostituzionalità del sistema penitenziario italiano, devono essere cancellati”. Lo dice il senatore Radicale Marco Perduca a proposito delle navi che hanno trasportato gli immigrati tunisini nel porto di Palermo dal Cie di Lampedusa. “È necessario - continua - che chi vi è trattenuto possa fare eventuale richiesta di protezione e possa ricevere le eventuali attenzioni mediche a seguito e della traversata e degli scontri di Lampedusa dei giorni scorsi. Anche per le condotte illegali del Viminale - conclude - continueremo a chiedere l’amnistia per una Repubblica che quotidianamente viola i diritti umani di chiunque abbia la ventura di imbattercisi”. Spagna: il 90% dei detenuti Eta per la fine della lotta armata e per una amnistia generale Ansa, 25 settembre 2011 Centinaia di detenuti dell’Eta si sono pronunciati per la fine della lotta armata e per una amnistia generale in un documento inviato al quotidiano basco Gara. Nella dichiarazione, sottoscritta secondo la stampa spagnola dalla maggior parte dei 732 militanti dell’Eta in carcere, il “Collettivo dei detenuti politici baschi” (Eppk) afferma di accettare l’accordo di Guernica, firmato l’anno scorso per iniziativa della sinistra indipendentista basca, che chiede la fine della lotta armata e l’avvio di un ‘processo politicò nei Paesi Baschi. Secondo “El Pais” solo il 10% circa dei detenuti dell’Eta si è dichiarato contrario alla dichiarazione congiunta. Il gruppo armato indipendentista basco ha dichiarato da un anno una tregua unilaterale e permanente e secondo la stampa spagnola potrebbe annunciare, forse già prima delle politiche anticipate del 20 novembre, una rinuncia definitiva alla violenza. Stati Uniti: in Alabama la preghiera in chiesa come “pena alternativa” per i reati minori Ansa, 25 settembre 2011 La preghiera è meglio del carcere? Certamente più rieducativa, o almeno così deve pensare un giudice dell’Alabama, profondo sud americano, che offre ai condannati per reati minori e non violenti la possibilità di scegliere se finire in gattabuia o se andare in chiesa tutte le domeniche per un anno di fila. Il programma ideato dal giudice di Bay Minette, scrive il sito di Nbc, si chiama “Operation Restore Our Comunity” (Operazione ripristino della nostra comunità) e prevede che il condannato, se non vuole scontare la detenzione o pagare l’ammenda inflitta, scelga un luogo di culto e vi si rechi ogni domenica, sotto il controllo della polizia e dei sacerdoti. Al programma hanno finora aderito 56 chiese di diverse confessioni, ma gli organizzatori ammettono che non si può ancora prevedere il numero dei condannati che aderiranno al programma. Secondo il capo della polizia di Bay Minette, Mike Rowland, il programma potrebbe cambiare la vita di alcune persone la cui vita ha preso o rischia di prendere una “china sbagliata”, specie tra i più giovani e meno incalliti. L’iniziativa ha ottenuto il plauso della comunità locale ma anche numerose critiche. L’American civil liberties union (Aclu), una organizzazione non governativa orientata a difendere i diritti civili e le libertà individuali, ad esempio, sostiene che l’iniziativa è anti-costituzionale. Il direttore esecutivo dell’Aclu, Olivia Turner, originaria proprio dell’Alabama, ha affermato che quando i ladri sono costretti a scegliere tra il carcere o i servizi religiosi, non hanno una vera scelta. In Alabama, uno stato della “black belt” celebre per le miniere e le coltivazioni di cotone che conta circa cinque milioni di abitanti, è in vigore la pena di morte e le condanne vengono eseguite con un’iniezione letale o con la sedia elettrica. Dal 1976, sono state eseguite 44 condanne a morte e solo sei persone sono state liberate dal braccio della morte.