Giustizia: parlare chiaro sulle carceri…. il dibattito può esaurirsi con un nulla di fatto Mario Lavia Europa, 23 settembre 2011 Il giudizio finale relativo alla discussione al Senato sulla condizione delle carceri italiane si potrà dare solo martedì prossimo. La cosa è passata un po’ inosservata (anche noi di Europa, assillati da altre notizie, ieri non ce ne siamo occupati, e di questo ci rammarichiamo) ma è significativa: ai senatori non è bastata la seduta di mercoledì, ci vorrà una “coda” - e non burocratica - (appunto martedì prossimo), segno che la discussione è vivace, che un emergenza come questa non può essere liquidata in quattro e quattr’otto. Proprio per questo, va detto che una discussione seria - sollecitata, non dimentichiamolo, da un’importantissima esternazione di Giorgio Napolitano, sulla scia dell’iniziativa dei Radicali - non può concludersi con un nulla di fatto: servirà un documento, o più d’uno, da votare. Perché ognuno deve indicare la propria ricetta e assumersene la responsabilità. Non è solo una questione di metodo ma un problema di prassi politico - parlamentare: nessuno si può meravigliare se gli italiani, già per mille ragioni sufficientemente disgustati, si allontanano sempre più dalla politica, se essa pare solo “chiacchiere e distintivo”. Ha detto bene Gerardo D’Ambrosio in aula: “Ci aspettavamo da parte del signor ministro che venissero avanzate delle proposte e venissero discusse in quest’aula, con le proposte alternative formulate dall’opposizione. Tutto questo non è avvenuto, e mi auguro che, in prosieguo, dette proposte vengano avanzate”. Giusto, sarebbe necessario che le opposizioni presentassero proprie mozioni, nelle quali mettere le proposte nero su bianco e tornando a denunciare di chi sono le responsabilità principali per questo stato di cose. Bastano alcuni nomi: Bossi, Fini, Giovanardi, Cirielli. Autori di leggi che hanno ingolfato le carceri. Il buon Nitto Palma ha scelto di buttare la palla in tribuna auspicando il tradizionale “confronto” per porre mano alle fatidiche riforme strutturali. Quelle che non si fanno mai. Men che meno da quando è iniziata questa sciagurata legislatura. Nell’attesa, zero. Niente amnistia, niente provvedimenti seri per svuotare le carceri che scoppiano. Evidentemente non bastano 50 suicidi l’anno. Martedì il Pd interverrà in aula con l’esponente più importante del gruppo, Anna Finocchiaro, parlamentare che da sempre sul tema ha particolari sensibilità e competenza. Un tema, quello della giustizia e delle carceri, che in passato ha costituito uno dei punti dolenti del centrosinistra: ricordate le polemiche sull’indulto dell’allora ministro Mastella, che ancor oggi ne rivendica l’opportunità? Troppo in fretta, da questa parte, si è archiviata quella discussione, dando l’impressione di vivere con una certa sufficienza la battaglia di Pannella, come se fosse altra cosa rispetto alla propria piattaforma: adesso non va sprecata l’occasione per riprendere in prima persona il filo di una battaglia di civiltà. Giustizia: i Radicali non mollano, l’obiettivo continua ad essere l’amnistia! Notizie Radicali, 23 settembre 2011 Sit-in per l’Amnistia l’altro ieri, 21 settembre, a Piazza Navona, organizzato dai Radicali e dall’associazione Il Detenuto Ignoto, in occasione del dibattito in Senato sul tema della giustizia e delle carceri: una convocazione straordinaria, ottenuta su iniziativa dei Radicali con le firme di quasi 150 senatori. Molti gli interventi, intervallati da momenti di musica, mentre si annuncia che il dibattito in Senato proseguirà fino a martedì pomeriggio e mentre giunge la notizia di un ennesimo suicidio in carcere: un Serbo di 47 anni detenuto nel carcere di Como. Tra i molti intervenuti, ad animare un intenso dibattito, anche l’attore Ascanio Celestini e Don Sandro, cappellano del carcere di Rebibbia. A concludere, gli interventi di Emma Bonino e Marco Pannella. Tutti convinti nell’affermare che il problema della giustizia è un’emergenza e non può più essere sottaciuto. Sono 28.300, il 42% dei detenuti, le persone presunte innocenti in carcere senza cioè che vi sia stata alcuna condanna penale. Per non parlare del sovraffollamento delle carceri e del numero crescente e allarmante di suicidi che si verificano nella solitudine e nello squallore di condizioni disumane. “Credo che questo che stiamo vivendo un po’ sia un inferno. Lo dico io, che sono prete da 46 anni” - afferma don Sandro. “In carcere ci sono quasi tutte persone povere, provenienti da situazioni di emarginazione sociale. Che giustizia è quella che si accanisce contro i più deboli!”. “Amnistia non come atto di clemenza o di buonismo - afferma successivamente Emma Bonino - ma come strumento di governo di una situazione che è sotto gli occhi di tutti. Non solo per svuotare le carceri, ma anche le scrivanie di magistrati e avvocati”. Di sovraffollamento della giustizia più che delle carceri parla anche Marco Pannella, che afferma con toni duri: “Sono più di trent’anni che chiediamo l’amnistia per impedire che si arrivasse al punto di oggi”. E ancora: “Sono ormai sessant’anni di antidemocrazia, di tradimento della legge, di regime. Tutti i senatori intervenuti oggi non vogliono nemmeno negoziare, né pro, né contro l’amnistia. Intanto continua a perpetrarsi questa violenza di stato! Abbiamo carceri che sono nuclei di Shoah! È un assassinio di giustizia, di diritti, di persone!”. Intervista a Emma Bonino Se l’amnistia non riuscirà a passare, come intendete procedere? “Mah, noi radicalmente parlando, in modo cocciuto, andremo avanti per la strada che riteniamo più ragionevole. Perché tutto il resto l’ho già sentito, sono anni che lo sento che bisogna riformare il codice, riformare la Bossi - Fini, la Bossi - Giovanardi, la decarcerizzazione. E invece sta andando sempre peggio. Tutte le volte ci si inventa un reato: la clandestinità, ecc. Quindi è chiaro che è una situazione che già è fuori controllo, completamente illegale, cioè tecnicamente noi viviamo in uno Stato delinquente, perché chi viola la legge delinque, a me questo hanno insegnato. Quindi credo che starà ad altri la responsabilità, che devono assumere, magari di fare altro. Per quanto ci riguarda non molliamo su questo”. Dall’opposizione cosa vi aspettate? “Beh, anche dall’opposizione si segue l’agenda decisa da altri, oggi sono i Bossi, poi sono le intercettazioni…E sotto questi miasmi insopportabili in realtà vengono nascosti sotto il tappeto i problemi veri del Paese, quelli della legalità, del rilancio economico, dei giovani, delle donne, ma soprattutto quello della legalità. Perché se qui vige il senso che si fa una legge e poi tanto la si viola, possono fare tutte le riforme che vogliono, ma se non cambia questo modus vivendi, non ci credo più”. Lamentate di non aver avuto spazio dalla stampa… “Beh, basta leggere i giornali: è patetico. Questo è un regime, di cui poi la stampa fa parte. Un regime è fatto di tanti pilastri: c’è il potere esecutivo, il potere politico, il potere mediatico. È un regime quello che riesce ad affastellarli tutti”. Ci avviciniamo poi all’onorevole Pannella, che però ci tiene subito a precisare che non ha intenzione di rispondere ad alcuna domanda. Onorevole, ma vi siete appena lamentati della mancanza di interesse da parte della stampa alle tematiche e ai dibattiti da voi sollevati… “Sì ma parlo tutto il giorno! - dice indicando la postazione di Radio Radicale - Avete di che scrivere. Parlo per ore gratis! Per rispondere a delle domande voglio essere pagato”. E così chiude la sua risposta. Una battuta di cui forse non abbiamo colto l’ironia. Ma che per dovere di cronaca e in onor del vero vogliamo riportare, come qualsiasi altra risposta. Ai lettori l’ardua sentenza! Giustizia: i Radicali scrivono all’Agcom per denunciare che i Tg Rai ignorano problema carcere Agi, 23 settembre 2011 Lettera-denuncia dei Radicali al presidente dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, Corrado Calabrò. Oggetto della missiva la “ancora scarsa” copertura dei Tg Rai per quel che riguarda il tema della giustizia e delle carceri. Per i Radicali occorre “incrementare nei telegiornali e nei programmi di approfondimento l’informazione relativa alle iniziative intraprese dai Radicali e dal loro leader Marco Pannella sul sovraffollamento delle carceri, in quanto rispondente a temi legati all’attualità e alla cronaca di rilevante interesse politico e sociale”. Dai dati forniti dal Centro d’ascolto dell’informazione, spiegano, risulta che la Rai non ha mai organizzato programmi di approfondimento informativo nonostante l’ordine dell’Autorità e quanto accaduto successivamente: dai ripetuti interventi, tra gli altri, del presidente della Repubblica alla convocazione straordinaria delle Camere sino alle migliaia di persone in sciopero della sete. “Nessuna esimente può essere riconosciuta alla Rai”, si legge nella lettera inviata dai Radicali che, nel ricordare l’illegittima e grottesca chiusura per ferie di viale Mazzini, sottolineano come anche alla ripresa dei vari Ballarò, Porta a Porta, l’Ultima Parola, la Rai prosegua a negare agli italiani qualsiasi dibattito su una questione politica e sociale come lo sfascio della giustizia e la violazione dei diritti umani nelle carceri. “Per questi motivi” concludono i Radicali nella lettera, “siamo a chiederle un tempestivo intervento affinché sia data osservanza alla delibera n 222/11/CSP e con essa al diritto dei cittadini ad avere una informazione completa e corretta, ordinando alla Rai di organizzare programmi di approfondimento in prima serata e comunque nelle fasce di maggiore ascolto”. Giustizia: Bugnano (Idv); il piano-carceri del Governo è una barzelletta… Asca, 23 settembre 2011 “Il piano carceri del governo è una barzelletta. Il Guardasigilli ha presentato al Senato una relazione senza soluzione. Chi si assume la responsabilità della gravissima situazione degli istituti penitenziari?”. Lo ha detto la senatrice IdV, Patrizia Bugnano. “La rivoluzione penitenziaria prefigurata dall’allora ministro Alfano con il piano carceri del gennaio 2010 non è avvenuta e la costruzione di nuovi istituti penitenziari si è rivelata un’illusione ottica - prosegue. L’unica prova tangibile della politica per le carceri resta il sito che, con la sua operazione trasparenza, mette in rete le dissennate consulenze che ammontano ad un totale di quasi 300.000 euro. Consulenze simili in un momento di crisi rappresentano un’offesa nei confronti dei dipendenti delle carceri che lavorano senza tregua per stipendi da fame”. “Mi auguro - conclude Bugnano - che il Guardasigilli, invece di venire in Aula per raccontare barzellette, vada finalmente a visitare le carceri”. Giustizia: dubbi del ministro Palma sul “processo lungo”… meglio la “prescrizione breve” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2011 In agenda, la priorità è il ddl intercettazioni, puntualmente rilanciato ieri dal premier e che dovrebbe ripartire in aula, alla Camera, giovedì prossimo. Ma nella testa di Silvio Berlusconi la priorità è la “prescrizione breve” per gli imputati incensurati, già approvata a Montecitorio e ora all’esame del Senato, la “carta vincente” per liberarsi subito del processo Mills e dell’incubo di un’imminente condanna per corruzione giudiziaria. Se diventerà legge, i giudici dovranno prendere atto che il processo si è già prescritto. Punto. Raccontano che anche il ministro della Giustizia, Nitto Palma, abbia suggerito di puntare più sulla “prescrizione breve” che sul “processo lungo”, l’altra potenziale zeppa al processo Mills - rimesso in cammino dal Pdl dopo che il Tribunale ha tagliato una decina di testimoni superflui - che dà alla difesa il potere di far ascoltare un numero illimitato di testi, anche su fatti già accertati in sentenze irrevocabili. Il guardasigilli ha spiegato che il “processo lungo” sarebbe “palesemente incostituzionale”, mentre la “prescrizione breve” no, e la sua eventuale “irragionevolezza” (sostenuta da più parti) non ne metterebbe a rischio la promulgazione da parte del Colle. Le truppe del Cavaliere, rianimate dalla “vittoria” su Milanese, si preparano quindi all’ennesima battaglia parlamentare: i fronti sono tre, ma l’obiettivo primario è incassare la “prescrizione breve”. Il Quirinale, ripetono i berlusconiani, “non potrà dire di no a tutto”. Il ddl sul “processo lungo” nasce alla Camera da una proposta della Lega per escludere dal rito abbreviato (e da relativo sconto di pena) i reati puniti con l’ergastolo, ma quando passa al Senato il Pdl ci infila le norme sui testimoni e sulle sentenze irrevocabili, cucite addosso ai processi del premier (da quel momento viene ribattezzato “processo lungo”). Il Carroccio non fa una piega e, assicurano i berlusconiani, ha già garantito che rivoterà il testo così com’è. Paradossalmente, però, la legge sarebbe “palesemente incostituzionale” nell’unica norma targata Lega sopravvissuta nel ddl, che - ha fatto notare Nitto Palma, riprendendo peraltro quanto scritto dal Csm nel suo parere - contrasterebbe con più di una pronuncia della Consulta. Di qui la necessità di non puntare troppo su questo cavallo, ma piuttosto sulla “prescrizione breve”, prosecuzione della Cirielli bis su cui, a suo tempo, il Colle non fece obiezioni. Quanto alle intercettazioni, si naviga ancora a vista: non si è deciso se mantenere il testo della Camera o modificarlo. “È il testo voluto dal Quirinale”, rispondono i berlusconiani a chi prefigura una bocciatura del Colle. Ma nessuno sa ancora veramente se quel testo diventerà legge o se sarà destinato, dopo il voto di Montecitorio, a un nuovo inabissamento. Giustizia: la Cassazione avanza dubbi sulle soglie penali più basse per i reati tributari Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2011 Poco comprensibili sotto il profilo logico - giuridico le nuove norme sulla sospensione condizionale per i reati tributari, mentre il divieto di patteggiamento in caso di mancata estinzione dei debiti tributari potrebbe determinare l’aumento del numero dei processi. Sono questi alcuni degli spunti che emergono dalla relazione della Cassazione sulle novità della legge 148/2011. L’abrogazione della sanzione ridotta nei casi di emissione e utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti per importi inferiori ai 54mila euro circa, secondo la relazione, determina una “vistosa differenza” tra il trattamento sanzionatorio in capo a chi inserisce in dichiarazione un documento falso per poche decine di euro (reclusione da 18 mesi a 6 anni), rispetto al contribuente che omette del tutto la dichiarazione (evasore totale), che, se evade almeno 30mila euro (altrimenti non è neanche perseguibile), rischia la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Le perplessità maggiori riguardano però la non concessione della sospensione condizionale della pena per i reati tributari in cui l’imposta evasa supera i 3 milioni di euro ed il 30% del fatturato. Viene evidenziata la dubbia compatibilità della nuova norma con i reati commessi da contribuenti che non sono soggetti Iva o che non hanno presentato la dichiarazione Iva: in questi casi non è possibile operare alcun riferimento al volume d’affari per il calcolo percentuale del 30%. L’omessa dichiarazione Iva verrebbe trattata meglio rispetto all’avvenuta presentazione di una dichiarazione ancorché infedele, salvo che, evidenzia la relazione, per volume di affari non si intenda il mero “fatturato”. In realtà, nonostante l’intento degli estensori della relazione di dare coerenza alla norma, neanche nell’ipotesi prospettata verrebbe meno l’illogicità. Restano comunque esclusi i casi delle persone fisiche che non effettuano operazioni Iva e non dichiarano redditi posseduti all’estero o gli evasori totali che non conservano né registrano il fatturato. Mal si comprende, in ogni caso, la differenziazione sulla base di una maggiore o minore percentuale di quanto evaso rispetto al volume di affari, anche in considerazione degli elevati importi sottratti. Più in generale la relazione pone una questione di ragionevolezza sistematica della norma, basata sul presupposto che, a fronte di reati considerati di particolare gravità, il beneficio della sospensione della pena non possa operare: ciò rappresenta una logica “del tutto infrequente nel panorama normativo” (l’unico precedente di esclusione è rappresentato dai reati in materia di elettorato attivo ed in materia di tenuta delle liste elettorali e dalla frode dannosa alla salute in materia di alimenti). Circa, poi, l’impossibilità di accedere al patteggiamento in assenza di estinzione del debito tributario, la relazione sottolinea le obiettive difficoltà di “estinzione del debito” in conseguenza dell’ormai frequente ricorso al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. In questi casi occorrerebbe comprendere come si concili il preventivo sequestro con il (successivo) pagamento del tributo. Singolare poi che l’estinzione del debito venga richiesta anche per reati in cui “debiti tributari” non ne sorgono (emissione di fatture false, occultamento dì contabilità). Infine, viene evidenziato che queste restrizioni al patteggiamento potrebbero certamente tradursi in un minore accesso al rito alternativo ma potrebbero, in prospettiva, determinare l’aumento del numero dei processi anche in virtù dell’abbattimento delle soglie di punibilità. Giustizia: intervista a Carmelo Musumeci, ergastolano scrittore di Francesco Fravolini Agora Vox, 23 settembre 2011 “Maria, sono un senza Dio, un uomo ombra, un ergastolano ostativo a qualsiasi beneficio, condannato dagli uomini “buoni” e “giusti” a essere cattivo e colpevole per sempre”. È il grido di allarme contenuto nella lettera scritta da Carmelo Musumeci il 15 agosto 2011, condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Spoleto, in provincia di Perugia. Le parole riportate nel messaggio mostrano la pesante condizione di vita dei reclusi, difficile da vivere quotidianamente. Raccogliamo l’appello di Musumeci per soffermarci, con particolare attenzione, sulla situazione sociale dei detenuti. Per molti è scontato che sia dura la vita nel carcere, ma l’umanità dovrebbe spalancare le porte dell’anima alle persone chiamate a gestire la rieducazione dei detenuti. Tutto ciò per porre l’accento sull’importanza dell’articolo 27 della Costituzione italiana, troppo spesso dimenticato. Come si svolge la sua giornata? Quali momenti definirebbe insopportabili? “Il momento più insopportabile per un ergastolano ostativo è il mattino, quando apri gli occhi e ti accorgi che sei ancora vivo. D’inverno, nella mia cella, non batte mai il sole. Solo nei mesi caldi i suoi raggi entrano dalla finestra. Di solito apro gli occhi verso le cinque del mattino. Di solito mi sveglio incazzato, arrabbiato e scorbutico come un leone che si sveglia in una gabbia. Di solito penso subito alla mia compagna, ai miei figli e ai miei nipotini. Di solito mi domando se vale la pena di svegliarmi, alzarmi e ritornare alla sera a dormire di nuovo, solo per invecchiare in carcere. Alla fine mi alzo. Accendo la televisione. Mangio una mela. E bevo mezza bottiglia d’acqua per andare bene in bagno. Poi mi faccio il caffè. E aspetto le sette, quando aprono il blindato. Alle otto e mezzo aprono i cancelli e vado nel cortile. Passeggio avanti e indietro. Da un muro all’altro. Da una parete all’altra. Con passi lunghi e ben distesi. A volte in compagnia. A volte da solo. A volte chiacchierando. A volte in silenzio. A volte con la testa fra le nuvole. Verso le ore undici rientro in cella. A mezzogiorno faccio un pasto frugale. Poi aspetto la corrispondenza. Studio, leggo e scrivo tutto il giorno. E ci sono dei momenti, per la verità pochi, che, nonostante la sofferenza di una condanna che non finirà mai, vivo la mia vita libera di pensare i miei pensieri. Verso le sette di sera mi faccio da mangiare qualcosa. Vedo un po’ di televisione. E mi preparo per un’altra notte da ergastolano. Di giorno è più facile sfuggire alla solitudine. Di notte è più difficile. Poi chiudo gli occhi con la speranza, l’indomani, di non aprirli più”. Può tratteggiare la condizione sociale degli ergastolani? “Gli uomini ombra, come definisco gli ergastolani ostativi, condannati alla Pena di Morte Viva, non hanno più niente in comune con gli altri prigionieri perché vivono in un modo completamente diverso da tutti gli altri. Gli altri “ospiti” hanno delle speranze, dei sogni, noi, invece, non abbiamo più nulla. E la cosa più brutta per l’uomo ombra è che il suo futuro non dipende più da lui, perché con la pena dell’ergastolo diventa solo uno spettatore passivo della sua vita. Per questo egli non ha più speranze da sperare. E non ha più sogni da sognare. Il rapporto con il resto del mondo di un uomo ombra è diverso da tutti gli altri prigionieri, perché, mentre gli altri sanno quando usciranno, noi sappiamo che usciremo solo da morti. Per questo molti di noi preferirebbero morire subito anziché poco per volta”. È impegnato nella scrittura: vuole comunicare con l’esterno, il massaggio che vorrebbe lanciare? “Mi sono accorto che, a differenza di altri Stati, in Italia non esiste alcuna letteratura sociale carceraria. E forse è anche per questo motivo che nel nostro Paese il carcere è uno dei luoghi più ingiusti, sconosciuti e disumani che esistano sulla terra. La prigione è un mondo ignoto per quasi tutti coloro che sono liberi. Scrivo per tentare di far conoscere l’inferno che i “buoni” hanno creato e mal governano. Per adesso ho preferito solo rendere pubblici alcuni miei brevi racconti “noir social carcerari”, come li chiamo, perché mi sono accorto che per un ergastolano è molto difficile pubblicare dei romanzi; ma ne ho diversi inediti nel cassetto, fra cui il mio preferito: Nato colpevole. Mi piace scrivere perché vivo quello che scrivo: è l’unica maniera rimasta per continuare a vivere”. Di recente ha denunciato: “la legalità prima di pretenderla bisogna darla, il carcere è uno dei luoghi più illegali”. Qual è la situazione degli istituti penitenziari? “Per rispondere a questa domanda basterebbe vedere quante persone nelle carceri italiane si tolgono la vita. In questi giorni ho letto che una persona alla domanda “Dov’era Dio ad Auschwitz?” ha risposto “Dov’era l’uomo?” E anch’io mi domando dove sono i buoni là fuori? È inutile nasconderlo: in carcere non c’è più alcuna umanità e non è colpa di Dio, né dei cattivi, è solo colpa dei “buoni” incensurati che la domenica mattina vanno a messa”. La sua infanzia è stata difficile? “Voglio rispondere a questa domanda riportando un pezzo del personaggio di un mio romanzo che ha vissuto la mia infanzia: La sua prima amarezza fu quando nacque. Nei primi tempi della sua vita aveva avuto qualche sogno. Poi aveva smesso di sognare. Il suo passato era semplice da raccontare. Nino era cresciuto da solo. Senza nessuno. Prima in compagnia delle suore. Poi dei preti. La sua infanzia non era stata bella. Per nulla! Non aveva mai avuto famiglia. Nessuno lo aveva mai voluto. Nessuno aveva mai voluto stare con lui. Fin da bambino aveva imparato a tenersi compagnia da solo. Solo con il suo cuore. Fin da piccolino si era sempre protetto da sé. E lo aveva fatto anche da grande. Nino era cresciuto a “perati du culu e a cuzzati du cuddu” da parte delle suore e dei preti. E dopo dai compagni del collegio e del riformatorio. Il suo cuore aveva smesso di sperare molto presto. Nino fin da bambino si era rifiutato di sottomettersi alla vita e al mondo. E dopo si era rifiutato di sottomettersi all’Assassino dei Sogni. A volte le botte fanno bene. Fanno male all’anima, ma fanno bene al corpo. Il suo corpo a forza di botte si era indurito. Era cresciuto forte e muscoloso. Nino era diventato un lottatore che non era mai sceso a patti con nessuno. Neppure con la vita”. Dove pensa di aver sbagliato, l’errore da dimenticare, da non commettere? “Questa è la domanda più facile. La prima risposta è che penso di avere sbagliato a venire al mondo. La seconda, di essere venuto al mondo. La terza, spero di non venire più al mondo”. Emilia Romagna: Sappe; allarme carceri, 2mila detenuti in più e mancano 650 agenti Gazzetta di Modena, 23 settembre 2011 L’Emilia-Romagna resta una delle regioni con la maggiore carenza di personale e il più alto sovraffollamento. Lo rileva il sindacato della polizia penitenziaria Sappe: “Mancano 650 agenti e ci sono circa 2.000 detenuti in più, rispetto alla capienza stabilita”. Ma “grazie alle continue lotte del Sappe qualcosa si muove - sottolinea il segretario generale aggiunto del sindacato, Giovanni Battista Durante. Infatti, dei circa 750 agenti che saranno assegnati dai corsi di formazione negli istituti di pena a metà ottobre, 67 arriveranno in Emilia - Romagna. Il Provveditorato regionale ha deciso di ripartirli in questo modo: Bologna 10, Ferrara 5, Forlì 7, Modena 9, Parma 11, Piacenza 6, Ravenna 2, Reggio Emilia 10, Rimini 2, Saliceta San Giuliano 3, Castelfranco Emilia 2. Si tratta di una goccia nel mare, considerato che con l’ultima mobilità nazionale 40 agenti erano stati trasferiti verso altre regioni. A ciò bisogna aggiungere chi è già andato in pensione o ci andrà nei prossimi mesi. Quindi chiediamo al governo di stanziare al più presto le risorse per l’assunzione dei circa 1.600 agenti di polizia penitenziaria previsti dalla legge Alfano”. “Un’altra grande vittoria del Sappe - aggiunge Durante - è costituita dall’unificazione amministrativa dei due istituti di Reggio Emilia, casa circondariale e ospedale psichiatrico giudiziario, progetto fortemente voluto dal Sappe e a lungo ostacolato da qualche dirigente dell’Amministrazione penitenziaria. Finalmente, in giugno, il ministro della Giustizia ha firmato il decreto di unificazione delle due strutture. Venerdì il direttore della casa circondariale di Reggio incontrerà le organizzazioni sindacali per discutere delle modalità di attuazione del progetto”. Ancona: detenuto muore dopo 11 giorni di sciopero fame… indagini per stabilire cause decesso Ansa, 23 settembre 2011 Faceva lo sciopero della fame da 11 giorni Eugenio Riccio, 46 anni, detenuto nella sezione di alta sicurezza del carcere di Montacuto di Ancona, morto ieri notte in cella per un malore. Lo ha riferito il segretario del Sappe Aldo Di Giacomo, in base ad informazioni assunte da “fonti certe”. La protesta del detenuto “era probabilmente legata a ragioni personali: una richiesta di trasferimento ad altro carcere, o comunque motivi di giustizia”. “La notizia ci preoccupa ancora di più - il commento di Di Giacomo - si tratta del quarto decesso in due anni in un carcere che ospita 440 detenuti contro una capienza regolamentare di 178. La situazione degli istituti penitenziari italiani è disastrosa, peggiora di giorno in giorno nel totale disinteresse della politica. Il 48% dei reclusi è affetto da malattie severe, e nel 2010 il totale dei decessi è stato di 184 detenuti, sessantatré dei quali si sono tolti la vita”. Nato in Campania, Riccio stava scontando una condanna per reati associativi. Ieri mattina, dopo giorni di astinenza dal cibo, aveva accusato un malore ed era stato portato nell’ospedale regionale di Torrette per accertamenti. Poi gli agenti di custodia lo avevano riaccompagnato in cella, dove a tarda notte è morto. Per chiarire i motivi del decesso (si è ipotizzato un infarto) e se lo sciopero della fame abbia rappresentato o meno una concausa, verrà disposta l’autopsia. Nessun commento sull’accaduto, almeno per ora, dal Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria delle Marche né dalla direzione della casa di reclusione. Romagnoli (Fli): politica è in colpa per ennesima morte in carcere “Dovremmo incatenarci davanti agli ingressi dei carceri, per denunciare che lì dentro ci sono il triplo di detenuti di quelli che ce ne dovrebbero essere: sei, sette brande, in una manciata di metri quadrati”. Franca Romagnoli, consigliere regionale di Fli nelle Marche, e avvocato, interviene sulla morte del detenuto Eugenio Riccio, avvenuta ieri notte nella casa circondariale di Ancona. “In attesa di conoscere le cause del decesso - afferma - tutta la politica deve sentirsi responsabile delle condizioni disumane e di sovraffollamento in cui versano le nostre carceri, anche nelle Marche. Condizioni che possono essere causa di malanni, di scioperi della fame e di decessi. È vero che qualcosa si muove e si è mosso, anche nell’assemblea legislativa delle Marche, ma di sicuro le condizioni dei detenuti non sono certo in cima ai pensieri dei politici. Da cattolica, mi sento doppiamente coinvolta e in colpa”. Firenze: per l’Opg qualcosa si muove, resta da capire in quale direzione Nove da Firenze, 23 settembre 2011 L’assessore Daniela Scaramuccia e l’assessore Salvatore Alloca hanno preso parte ad un incontro della commissione consiliare speciale Opg. Opg: qualcosa si muove, resta da capire in quale direzione. E la situazione non è delle più semplici. Mercoledì 21 settembre la Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale ha ascoltato il sindaco Rossana Mori e l’assessore regionale alla sanità Daniela Scaramuccia. L’auspicio è quello di riuscire a far confluire gli interessi dello Stato, della Regione e dell’amministrazione comunale per arrivare al superamento di strutture come gli ospedali psichiatrici giudiziari e soprattutto per garantire che i detenuti siano essi psichiatrici o no possano vivere in condizioni umane che la struttura di Montelupo non garantisce. La realtà è che esiste un’ordinanza della Commissione Parlamentare di inchiesta che obbliga l’amministrazione penitenziaria ad intervenire sui locali dell’Ambrogiana per migliorarne la salubrità e per garantire migliori condizioni sia ai pazienti detenuti sia a chi lavora nella struttura. Tutti questi aspetti sono stati affrontati in una seduta della Commissione Speciale Opg tenutasi questa mattina a cui hanno partecipato anche l’assessore regionale alla sanità Daniela Scaramuccia e l’assessore regionale al sociale Salvatore Allocca. Hanno preso parte alla commissione anche Daniele Bagnai (in qualità di Presidente della Commissione), i consiglieri Leonardo Vaiani, Giuseppe Madia, Marinella Chiti, Marco Pucci, Paolo Londi, Franca Lami, il sindaco Rossana Mori e l’assessore alle politiche sociali con delega all’Opg Giacomo Tizzanini. L’assessore Scaramuccia ha evidenziato alcune difficoltà nella gestione di questa situazione delicata. Un primo problema è legato alla confusione di ruoli e di competenze. Il Decreto del Presidente del Consiglio del 2008 in teoria dovrebbe trasferire le competenze in materia sanitaria alla Regione e prevedere il passaggio del personale e dei luoghi adibiti alla sanità; però nel caso degli Opg la struttura rimane in capo al Ministero della Giustizia, così come parte del personale. Negli anni la Regione è intervenuta ben oltre le proprie responsabilità accollandosi i costi per letti, materassi e materiali d’uso comune ed ha predisposto un piano di interventi sanitari che prevede il potenziamento del personale. Dopo il passaggio delle competenze, la Asl 11 di Empoli ha arricchito la dotazione organica della struttura con ulteriori 9 unità di personale: 2 psicologi, 2 infermieri, 2 operatori socio sanitari, 2 educatori professionali, 1 medico specialista psichiatra. A Montelupo esiste un’urgenza e Stato, Regione e Comune devono lavorare su obiettivi condivisi per superarla. In questo senso l’audizione di mercoledì 21 settembre è stato un segnale positivo. È da rilevare che da un anno a questa parte qualcosa è stato fatto, almeno per ridurre il numero delle persone presenti nell’Opg. Nel 2010, a fronte di una degenza media di 175 persone all’interno dell’Opg, sono state dimesse 84 persone, di cui 28 pazienti toscani, inviati per il 65% in comunità terapeutica, per il 25% al domicilio proprio o dei familiari, per il 10% in residenze sociali. Nel 2011 sono stati dimessi complessivamente oltre 60 pazienti, di cui 20 toscani. Le presenze sono dunque state ridotte da 175 a 124 (dato del 20 settembre 2011). L’assessore Allocca ha tenuto a ricordare l’obiettivo di fondo della battaglia che viene condotta a Montelupo e non solo e cioè la volontà di superare strutture come gli opg, dove i pazienti detenuti sono gli unici, in Italia, per cui la durata della pena non è certa: sanno quando la inizieranno e non quando finirà. Il sindaco Rossana Mori ha proposto una riflessione legata alla struttura e alla sua inadeguatezza alla funzione di carcere. “Quella non è una struttura idonea ad accogliere alcuna persona: né sana, né malata. Non è un luogo adatto, anche se dal 1888 è stato piegato a quella funzione. Il superamento degli OPG significa soltanto che trasferiamo i pazienti da un luogo all’altro luogo, ma significa anche una diversa modalità di presa in carico delle persone. Troverei singolare in un futuro non molto lontano risolvere il problema degli Opg e trasformare quella struttura in un carcere, soprattutto se partiamo dall’assunto che ogni uomo ha diritto ad una speranza di recupero. Ci siamo sempre impegnati in questa battaglia a difesa della dignità umana ed abbiamo attuato numerose azioni finalizzate a portare alla luce la situazione di grave disagio sia per i pazienti detenuti sia per gli operatori. Per questa ragione chiediamo di essere coinvolti nelle decisioni circa il futuro dell’Opg di Montelupo”. Teramo: progetto per reinserimento di 6 detenuti ha funzionato, il prossimo anno saranno 16 www.teramonews.com, 23 settembre 2011 La prima edizione ha dato risultati positivi. E quindi la Provincia ci riprova. Il prossimo 26 ottobre è prevista infatti la chiusura della prima fase del progetto di reinserimento sociale e lavorativo promosso dall’Assessorato provinciale alle Politiche sociali. Un’idea che ha coinvolto 6 detenuti del carcere di Castrogno e che nella seconda edizione interesserà 16 detenuti per la durata di un anno: “Stando al rapporto dei servizi sociali i risultati dell’iniziativa sono molto lusinghieri e per questo la direzione del Carcere ha aumentato il numero dei detenuti da inserire nel progetto - afferma il vicepresidente Renato Rasicci - oltre ai detenuti in senso stretto vengono inseriti nel programma anche persone sottoposte a misure restrittive alternative al carcere. Grazie alla collaborazione del collega di Giunta, Elicio Romandini, per ognuno di loro viene individuato un programma di formazione e di lavoro con un dipendente che diventa il loro tutor”. Il vicepresidente Rasicci ha inoltre annunciato di aver proposto la collaborazione della Provincia per riattivare il laboratorio di ceramica artigianale, già esistente, all’interno del carcere. “Anche in questo caso, con una piccola sinergia fra istituzioni e mettendo a disposizione figure professionali, scelte fra i maestri artigiani di Castelli, teniamo viva la nostra tradizione e offriamo una ulteriore opportunità ai detenuti”. I detenuti, una volta alla settimana, vengono presi in carico dalla Provincia per lavorare alla manutenzione delle strade a fianco dei cantonieri. Al termine di questo percorso, che dura un anno, ai soggetti coinvolti viene rilasciato un attestato con la qualifica di “stradino”. Selezionati sulla base di un percorso individuato e monitorato dalla responsabile dell’Uepe, Teresa Di Bernardo, usciranno quindi dal carcere senza la sorveglianza della Polizia penitenziaria e verranno seguiti da un dipendente dell’ente che farà loro da tutor: “Tutto il settore si è utilmente attivato per questo progetto - dichiara l’assessore alla Viabilità, Romandini - con uno spirito di solidarietà e collaborazione davvero fuori dal Comune. Nei prossimi giorni provvederemo a individuare i nuclei ai quali saranno assegnati questi nuovi 16 detenuti”. L’operazione è resa possibile grazie al protocollo d’intesa sottoscritto circa un anno fa dalla direzione del Carcere di Castrogno, l’Ufficio esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia e l’Associazione “uniti contro la droga” del presidente Pasquale Di Mattia. Messina: in cella sto perdendo la vista, se non verrò curato in maniera adeguata Gazzetta del Sud, 23 settembre 2011 “La fine del mio calvario non è più lontanissima posto che nei primi mesi del nuovo anno avrò terminato di espiare la pena, ma tanti, troppi altri si trovano nella medesima tragica situazione (in più casi anche peggiori) e sono destinati a restarci per lungo tempo”. Si conclude così la lettera del detenuto 46enne Sebastiano Destro, il quale sta scontando nel carcere di Gazzi una condanna definitiva ad 8 anni per traffico di sostanze stupefacenti. Una lettera che lancia ancora una volta l’allarme sulla gravissima situazione che si vive all’interno della struttura penitenziaria: “Scrivo la presente al fine di esporre la situazione di assoluta invivibilità che permane ormai da troppo tempo all’interno del carcere. La mia vicenda - scrive Destro, è pari al quella di moltissimi altri detenuti che, sottoposti al massimo regime detentivo, chiedono soltanto di poter espiare la pena nel rispetto dei principali diritti e soprattutto senza pregiudizio alla salute e con trattamenti non contrari al senso di umanità”. Destro, che in questa vicenda è assistito dall’avvocato Nunzio Rosso, racconta che soffre di una grave patologia agli occhi “con sensibile e repentina riduzione della vista (6/10 all’occhio destro; 1/20 all’occhio sinistro)” e con “andamento cronico evolutivo, con possibili repentini peggioramenti”, motivo per cui ha “la assoluta necessità di continuo, programmato e puntuale monitoraggio, oltre la somministrazione, parimenti continua e puntuale di terapia altamente specialistica”. Fino al passaggio in giudicato della sentenza è rimasto ai domiciliari a Catania e dal 23 gennaio di quest’anno è tornano in carcere, ma a Messina. In cella “le condizioni di salute risultano incompatibili con la detenzione e non si rivelano idonei i trattamenti disponibili e le terapie curative, come dimostrato anche dal peggioramento delle condizioni di salute dal momento del ripristino della detenzione carceraria”. In carcere “trascorrono mesi per poter tentare di fruire di visite specialistiche esterne... e addirittura da ultimo non è mai stato eseguito il ricovero presso il Policlinico richiesto parecchio tempo addietro dagli stessi sanitari del carcere “per mancato riscontro delle strutture”. Perugia Sdr; per il Tribunale l’ergastolano Trudu ha diritto a territorialità della pena Ristretti Orizzonti, 23 settembre 2011 “La territorialità della pena sancita dalla legge sull’ordinamento penitenziario è un principio inderogabile. Vige per tutelare il diritto del cittadino privato della libertà di mantenere i rapporti affettivi con i familiari. Se esistono ragioni per le quali non è possibile rispettarla pienamente deve tuttavia essere consentito al detenuto di fruire di trasferimenti temporanei per rinsaldare i legami con i parenti”. Lo sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” richiamando il testo dell’ordinanza inviata dal Tribunale di Sorveglianza di Perugia al responsabile della Direzione Generale Detenuti e Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria “affinché possa adottare ogni provvedimento amministrativo necessario a tutelare l’esigenza di regolare svolgimento di colloqui con i propri familiari rappresentata da Mario Trudu”. “L’ergastolano di Arzana, in carcere dal 1987, nello scorso mese di maggio - ricorda la Presidente di SDR - aveva infatti presentato una domanda per ottenere un breve permesso per fare visita alla sorella, residente in Sardegna che non vede dal 2004 in quanto la donna, per motivi di salute, non è in condizione di affrontare un così lungo viaggio. Il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto però ha rigettato la domanda in quanto la possibilità di fruire dei cosiddetti permessi di necessità è riservata a “eventi familiari di particolare gravità”. “Mario Trudu, che da anni lotta per il riconoscimento dei diritti, non si è perso d’animo e ha presentato reclamo contro la decisione del Magistrato di Sorveglianza. Il Tribunale, riunito in camera di Consiglio, non accogliendo la richiesta ha tuttavia sottolineato che “L’ordinamento prescrive in tema di trasferimenti di detenuti che si debba favorire il criterio di destinare le persone in espiazione di pena in Istituti prossimi alla residenza delle rispettive famiglie”. Ha insomma affermato - sottolinea Caligaris - che la territorialità della pena è un principio che deve essere sempre tenuto in considerazione e qualora non possa essere rispettato deve essere consentito alla persona privata della libertà di disporre di periodi di avvicinamento alla famiglia per poter effettuare i colloqui con i parenti”. “In tempi nei quali i diritti dei cittadini detenuti sono scarsamente rispettati questa ordinanza, che segnala al DAP la situazione di Trudu affinché adotti conseguenti provvedimenti amministrativi, riapre - conclude Caligaris - uno spiraglio di giustizia verso chi sconta una pena in penitenziari distanti dagli affetti familiari. Un ulteriore chiarimento sul significato di norme esistenti e una rinnovata opportunità per tanti sardi che, spesso impossibilitati a raggiungere i parenti reclusi anche per motivi economici, hanno comunque il diritto di riabbracciarli”. Spoleto (Pg): dopo appello del Sindaco le aziende locali donano al carcere prodotti per l’igiene Ansa, 23 settembre 2011 Era stato il sindaco di Spoleto, Daniele Benedetti, a rivolgersi ad alcune aziende spoletine dopo la visita alla casa circondariale di Maiano “per far fronte ad una richiesta di sostegno della direzione” di quel carcere, che aveva segnalato “la carenza, quando non l’assenza, di prodotti di prima necessità per la pulizia e l’igiene degli ambienti e degli stessi reclusi”. Da qui la “grande soddisfazione dall’amministrazione comunale” spoletina per una prima consegna di prodotti. “Ero certo - dice Benedetti in una nota del Comune - che l’invito sarebbe stato raccolto perché, specie di fronte a situazioni di difficoltà, siamo una città capace di muoversi e di intervenire con grande spirito di solidarietà”. Per Benedetti, l’aiuto offerto è un’ulteriore testimonianza di affetto e di vicinanza da parte della città agli agenti e ai detenuti del nostro carcere. Bologna: arriva in Parlamento il caso della sostituzione di Paola Ziccone alla guida dell’Ipm Dire, 23 settembre 2011 Il Pd, infatti, ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Nitto Francesco Palma, “per conoscere i reali motivi della rimozione a fronte dell’esito positivo delle ispezioni ministeriali del 2008”. L’interrogazione è firmata dai parlamentari bolognesi Sandra Zampa, Donata Lenzi, Salvatore Vassallo e Gianluca Benamati. “Ziccone gode della stima di docenti universitari esperti di disagio giovanile e impegnati nella ricerca in questo settore - sottolinea Zampa, prima firmataria dell’interrogazione - ha buone relazioni con la città e positivo è il giudizio dell’opinione pubblica, che ha sempre considerato il Pratello come un fiore all’occhiello del Dipartimento stesso”. Questo nonostante le “oggettive difficoltà dell’Istituto - aggiunge Zampa - afflitto da carenza di personale, più volte denunciate dai parlamentari bolognesi con interrogazione al Ministero”. Depositata l’interrogazione, “attendiamo una risposta dal ministro - conclude Zampa - che faccia chiarezza su questa vicenda”. Treviso: la Regione taglia i fondi per le attività di formazione ai ragazzi dell’Ipm La Tribuna, 23 settembre 2011 Rischia di chiudere la Bottega grafica dell’Istituto penale minorile di Treviso. Il motivo? I tagli per il 2012 previsti dalla Regione Veneto ai corsi di formazione professionale. I soldi per proseguire con questo progetto innovativo basteranno fino al 27 settembre. Ora si confida negli aiuti trasversali di istituzioni ed enti privati che credono nel progetto. “Stiamo cercando aiuti da fondazioni bancarie ma anche dalle altre regioni vicine al Veneto”, dice Christine Gajotti, l’esperta che ha seguito i ragazzi del minorile nel progetto e insegnato loro come utilizzare il computer e i programmi di grafica. Al carcere minorile di Treviso arrivano i ragazzi inviati dai tribunali di tutto il Triveneto. Ma finora solo la Regione del Veneto ha contribuito finanziariamente all’esperienza. Per questo sono in corso trattative con regioni come il Friuli e il Trentino Alto Adige per vedere se fra le maglie dei bilanci regionali è possibile trovare qualche risorsa per la Bottega Grafica, progetto innovativo nell’ambito della formazione dei giovani detenuti. Nato cinque anni fa in sordina, la Bottega si è conquistata nel tempo un nome e molte commissioni importanti. Fra queste la locandina per un convegno nazionale dell’Avis che ha fatto il giro di tutta Italia. Ma grazie al progetto grafico sono state anche realizzate copertine di manuali, manifesti e volantini per gli enti, i Comuni e le associazioni locali, in particolare per quelle che si occupano di no profit. Tutto, dalle idee grafiche alla realizzazione manuale, è frutto delle riflessioni e delle discussioni fra i ragazzi. La Bottega grafica è un progetto che è riuscito a dare un’alternativa seria al crimine, tanto che alcuni ragazzi che vi hanno partecipato hanno anche ottenuto borse lavoro ad hoc. “L’obiettivo del progetto è dare una professionalità, dettare regole, far sentire utili - spiega Gajotti - Facendo realizzare loro locandine per il no profit vengono a contatto con valori positivi che per loro sono importanti”. Un input per evitare di ricadere in quelle reti che li hanno portati in carcere. “Abbiamo bisogno di testimonianze positive, quelle negative le hanno già avute - sottolinea la Gaiotti - E in questo senso l’integrazione con in mondo del volontariato è fondamentale”. Da qui l’appello di Gajotti alle associazioni e agli enti locali: “Dateci lavoro. I ragazzi ne hanno bisogno”. Bolzano: la classica entra in carcere, con l’Accademia Gustav Mahler Alto Adige, 23 settembre 2011 Quelli che erano rimasti fuori per una partita a pallone, sono subito corsi nella cappella appena hanno sentito le prime note. I detenuti di via Dante hanno potuto apprezzare ieri un miniconcerto di 40 minuti dei migliori giovani talenti europei, in visita a Bolzano per gli incontri dell’Accademia Gustav Mahler. Sei ottoni per un intermezzo musicale nella monotonia grigia della detenzione; una ventata di bellezza e allegria tra le mura cadenti del carcere di fine ottocento. Per i detenuti il programma era stato pensato ad hoc, musica di qualità certamente, ma nessun requiem: partenza con brani della Carmen, poi un paio di pezzi jazz e swing e chiusura con le celebri colonne sonore di John Williams, “Guerre Stellari” e “Superman”. “Abbiamo scelto gli ottoni per il loro impatto emotivo - spiega Ole Frederiksen, che ha riarrangiato la Carmen per l’occasione - , i violini non avrebbero ottenuto lo stesso risultato di trombe e corni”. E quello che si aspettavano è accaduto, la popolazione carceraria si è commossa, ha ringraziato, si è spellata le mani in applausi. “Ci hanno dimostrato tantissimo rispetto - racconta Silvia Festa - non hanno fatto un fiato, ci hanno ascoltati con attenzione e trasporto”. Per quelli più scettici che avevano preferito la solita partita di calcetto, sono bastati i primi accordi per convincersi ad abbandonare il pallone e correre dentro. “Non abbiamo solo suonato - esclama David Collins, giovane trombettista irlandese - ci siamo emozionati, è stato grande, non avrei mai immaginato un’esperienza cosi forte”. Il segreto, spiega Davide de Ferrari, è stata la vicinanza: “In teatro ci sono metri di distacco, il palco di mezzo, l’atmosfera formale; oggi eravamo a un metro da loro, ci separavano solo i due scalini dell’altare e mentre suonavamo respiravamo la loro allegria”. Il concerto in carcere rientra nel quadro di iniziative dell’Accademia durante il periodo di soggiorno dei musicisti a Bolzano. Pochi giorni fa un quartetto d’archi si è esibito per i malati di oncologia del San Maurizio, e continueranno nei prossimi giorni con esibizioni gratuite aperte al pubblico. Genova: Sappe; mancano fondi, niente stand della Polizia penitenziaria al Salone Nautico Secolo XIX, 23 settembre 2011 Lo stand della Polizia penitenziaria al Salone internazionale della Nautica non ci sarà per mancanza di fondi. Lo ha comunicato ai sindacati di polizia il provveditore della Liguria Giovanni Salamone specificando che la decisione è stata presa dal capo del Dap, Franco Ionta. “Il corpo di Polizia penitenziaria non ha bisogno di manifestazioni autoreferenziali ma di cerimonie allargate alla partecipazione dell’opinione pubblica che deve conoscere quali e quante difficoltà operative incontrano le donne e gli uomini della polizia penitenziaria nel quotidiano lavoro nelle carceri genovese e liguri”, ha scritto in una nota Roberto Martinelli, segretario aggiunto del Sappe. “Siamo e dobbiamo essere una istituzione sempre più trasparente, una casa di vetro, perché non abbiamo nulla da nascondere, anzi dobbiamo assolutamente valorizzare quello che ogni giorno i Baschi azzurri fanno nel mondo sconosciuto delle carceri. In questo contesto - prosegue Martinelli - , la presenza al Salone della Nautica è stata fondamentale negli ultimi anni. I cittadini hanno il diritto di conoscere da vicino le attività di una delle loro cinque Forze di Polizia e hanno ampiamente dimostrato di apprezzarne il lavoro quando gliene è stata data occasione”. Secondo Martinelli , impedire che la Polizia penitenziaria possa essere con il suo stand al Salone Nautico per mancanza di fondi dopo che sono stati sperperati decine di migliaia di euro é grave, vergognoso e inaccettabile”. Libri: “Ricatto allo Stato”, la strategia dei boss contro il carcere duro di Roberto Saviano La Repubblica, 23 settembre 2011 Il saggio di Sebastiano Ardita ricostruisce la storia del 41 bis da Falcone a oggi, sollevando il problema dei rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato “Prego Dio che mi faccia sopportare tutto quello che è giusto sopportare” disse Binnu u tratturi quando nel 2006 dopo quarantatré anni di latitanza venne portato al carcere di Terni per scontare la sua pena al 41 bis. Una frase banale, ma se a pronunciarla è Bernando Provenzano bisogna fermarsi a riflettere su quanto i concetti di giustizia e sopportazione della pena riescano a essere oggettivi. Su cosa può accadere quando il meccanismo non funziona, se chi sta scontando una pena non la riconosce come legittima. All’arrivo di Bernardo Provenzano, tutti i detenuti reclusi a Terni rimasero in silenzio quasi stessero celebrando un rito di passaggio. Quel silenzio reverenziale significava: “Ci imponete le vostre regole, ma noi abbiamo le nostre”. In questi giorni esce Ricatto allo Stato (Sperling & Kupfer), libro in cui Sebastiano Ardita riporta le sue esperienze al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) e fa una serie di valutazioni sull’impatto che il carcere duro ha avuto dal momento della sua prima introduzione sulla politica e sulla società civile italiana. Mostrando, una volta di più, come le carceri siano la cartina al tornasole del corretto funzionamento di uno stato democratico. Sebastiano Ardita è siciliano e nel 1992 a soli 25 anni, subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, inizia la sua carriera come pubblico ministero a Catania città avvelenata da una mafia potentissima. Nel 2002, arriva al Dap ed è lì che lo conosco, durante le mie ricerche sul carcere duro e sui detenuti condannati per mafia. Un uomo che riesce a resistere nonostante pressioni di ogni forma e forza, posto nel meccanismo più fragile e complesso per il contrasto alle mafie: il carcere. Ma facciamo un passo indietro per capire come nasce il 41 bis. Il carcere duro era già nei progetti di Giovanni Falcone quando accettò l’incarico all’Ufficio affari penali del ministero della Giustizia. Doveva essere uno strumento per impedire ai boss di continuare a comandare dal carcere. Un rimedio estremo, ma non in contrasto con i diritti umani e con i princìpi della nostra Costituzione. Il progetto, però, era solo una bozza al momento delle bombe di Capaci e via D’Amelio, e la sua prima applicazione fu dettata dalla necessità di reagire alla crisi profonda e al profondo sconforto in cui l’Italia si trovò in seguito alle stragi del 1992. La legge accennava genericamente a “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica” in presenza dei quali, il ministro di Grazia e Giustizia poteva sospendere il normale regime di detenzione e disporre il 41 bis. In concreto non esistevano, però, regole che delineassero il regime speciale; non restava quindi che rifarsi all’esperienza vissuta dal nostro Paese con la lotta al terrorismo negli anni Settanta. Vennero introdotte una serie di limitazioni che inasprivano la vita carceraria tra cui il divieto di telefonare e di parlare con altri detenuti, l’obbligo di controllo della corrispondenza, colloqui con familiari una volta al mese e per un’ora e l’abbassamento a due delle ore d’aria giornaliere. Vennero in pochissimo tempo riaperte le carceri sulle isole dell’Asinara e di Pianosa per i primi 369 detenuti per i quali era stato disposto il 41 bis. Quei primi mesi sulle isole, per i mafiosi, furono senz’altro duri e subito in Parlamento approdarono polemiche sulle possibili violazioni dei diritti umani. Al dicembre del 1992 risale una relazione di Amnesty International in cui venivano denunciati maltrattamenti di detenuti a Pianosa. Secondo Ardita, nella sua prima applicazione, il regime detentivo speciale non funzionava come avrebbe dovuto. Questo è il motivo per cui con la sua introduzione non solo le stragi non si fermarono, ma ve ne furono altre, più violente, in risposta ai provvedimenti presi dallo Stato. Dall’attentato del 14 maggio 1993 a Roma in via Ruggero Fauro, a quello in via dei Georgofili a Firenze, a quello in via Palestro a Milano: ecco il ricatto allo Stato. Qualche mese prima, a febbraio del 1993, i parenti dei detenuti al carcere duro di Pianosa avevano indirizzato al Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro una lettera - esposto in cui denunciavano le pessime condizioni che i loro congiunti pativano all’interno del penitenziario e le violenze che subivano. Chiedevano al Capo dello Stato di dimostrare la sua estraneità a quanto accadeva nelle isole. Ufficialmente nessuna risposta arrivò mai. È interessante soffermarsi sugli altri destinatari, inseriti per conoscenza in quel documento: il Papa, il vescovo di Firenze, Maurizio Costanzo. Ardita suggerisce l’ipotesi che quell’indirizzario fosse una sorta di victim list e che quella lettera - esposto avrebbe dovuto essere oggetto, col senno di poi, di maggiore attenzione. Se questa lettera costituisse un avvertimento, se possa individuarsi un collegamento tra il suo contenuto e quanto poi sostenuto dal pentito Giovanni Brusca durante la deposizione al processo per la strage di via dei Georgofili, se e con quali esiti vi siano state trattative tra Stato e mafia sul Maxiprocesso e sul 41 bis, è affare importantissimo da decifrare e allo stesso tempo terreno scivoloso su cui muoversi, fino a che non ci saranno sentenze definitive che ricostruiscano quanto accadde in quella terribile, ulteriore, notte della Repubblica. Eppure la comprensione di questo passaggio è cruciale per capire su quali fragili equilibri sia stata fondata la seconda Repubblica. E quanto scrive Ardita è fondamentale perché aiuta a comprendere come in realtà i governi succedutisi nel tempo non siano mai riusciti ad andare oltre il piano della repressione, come non abbiano mai combattuto le mafie sull’unico terreno sul quale bisogna batterle: quello economico. Ciò richiederebbe una riforma complessiva del nostro ordinamento, che potrebbe e dovrebbe prendere le mosse da una grande riforma della giustizia, che non sia ostaggio delle basse esigenze del satrapo di turno, ma realizzazione dello spirito democratico proprio della nostra Costituzione. Il risultato, a quasi 20 anni dall’introduzione del 41 bis, è che le conoscenze che oggi abbiamo sulle organizzazioni criminali italiane ci vengono anche da quegli anni di rodaggio, serviti a riconoscerle a studiarle a farle venire allo scoperto. Oggi il 41 bis è il risultato delle continue modifiche apportate negli anni. È il frutto dell’impegno di persone come Sebastiano Ardita e Pietro Grasso, dal 2005 alla Direzione nazionale antimafia. E a quanti obiettano l’incostituzionalità di un regime detentivo emergenziale, rispondo che l’Italia è il Paese che ha le mafie più potenti del mondo e che è necessario che sul piatto della bilancia ci sia non solo la perdita della libertà personale, ma anche l’impossibilità di continuare a dare ordini mentre si sta scontando la pena. Qui però il dibattito deve necessariamente allargarsi allo stato delle carceri e della giustizia in Italia. I detenuti finiscono per avere in spregio le leggi democratiche del nostro Paese ritenendole prive di senso, perché disattese proprio nel luogo deputato alla loro rieducazione, alla riabilitazione di chi ha sbagliato. È un’”emergenza prepotente che ci umilia davanti all’Europa”, ha detto il Presidente Napolitano e due giorni fa, su richiesta dei Radicali, si è tenuta una seduta straordinaria del Senato sull’emergenza carceri, conclusasi con un nulla di fatto. Si fa estrema fatica a capire che prima di pensare allo strumento detentivo come reale deterrente per crimini futuri bisogna fare i conti con un sistema giudiziario prossimo al collasso: se non si vuole intraprendere la strada dell’amnistia, che almeno il Governo si impegni a proporre un’alternativa credibile e soprattutto concreta. Perché se lo Stato latita e la rieducazione fallisce, le mafie sono sempre lì, in agguato, attente a reclutare, approfittando delle incoerenze del sistema. Questo è lo sconfortante quadro del sistema penale italiano, troppo spesso obbligato ad assecondare, attraverso la detenzione, le paure che questo Governo fomenta verso i diversi, gli stranieri, gli emarginati. Il carcere come strumento di rieducazione e il carcere duro come possibilità di rendere acefali interi comparti delle organizzazioni criminali hanno senso solo se sono parte di una democrazia compiuta, virtuosa e funzionante. Ma allo stato attuale non sono misure sufficienti, non bastano a scalfire il potere delle mafie che è, ribadisco, un potere economico. E Ricatto allo Stato è un tassello importante in questo dibattito. È lo scritto onesto di un uomo di Stato. E di onestà, mai come ora, l’Italia ha necessità per evitare la tragedia più grande, quella di credere che vivere onestamente sia, in fondo, ormai cosa inutile. Immigrazione: Siulp; il trattenimento nei Cie torni a un massimo di 6 mesi Ansa, 23 settembre 2011 Alla base delle rivolte nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) c’è “l’assurdo, improduttivo e costoso trattenimento degli immigrati fino a 18 mesi”. Lo denuncia Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp, che invita il Governo a riportare a sei mesi il tempo di permanenza massimo degli stranieri nei Centri. Romano esprime “solidarietà a tutti i colleghi che stanno pagando sulla propria pelle l’inerzia e il tentennamento del governo su questa polveriera, la cui miccia ha già preso fuoco”. Il trattenimento di 18 mesi, per l’esponente sindacale, è “una vera e propria detenzione, peraltro assai più grave di quella che viene inflitta per molti dei reati inseriti nella lista di quelli che sono stati definiti di grave allarme sociale”. Romano invita poi ad omogeneizzare i costi in tutto il territorio nazionale, visto che - ad esempio - al Cie di Gradisca d’Isonzo il costo di ogni ospite per il 2010 è stato di circa 17mila euro a fronte dei 14mila di un detenuto del carcere di quella provincia. Oggi, conclude, “questi costi variano da 35 euro al giorno ai 70 a seconda della località e di chi assume la gestione del centro”. Siria: Amnesty: ritrovato corpo di una donna mutilato… così l’esercito tortura i detenuti Adnkronos, 23 settembre 2011 Il corpo di una donna di 18 anni decapitato, mutilato delle braccia e senza pelle è stato trovato dai suoi parenti a Homs, una delle città nel centro della Siria prese di mira dall’esercito di Damasco per le manifestazioni di protesta contro il regime di Bashar al-Assad. Lo denuncia Amnesty International, sottolineando come questo ritrovamento rappresenti una prova dell’estrema brutalità utilizzata dalle forze siriane nei confronti dei manifestanti arrestati. Zainab al - Hosni, questo il nome della vittima originaria Homs, è la prima donna che è morta mentre era in carcere durante la recente rivolte in Siria. Il suo cadavere è stato scoperto dalla famiglia il 13 ottobre scorso, mentre i parenti stavano tentando di identificare il corpo del fratello della donna, Mohammad, anche lui arrestato, torturato e ucciso mentre era agli arresti. Zainab è stata decapitata, le sue braccia le sono state amputate e la pelle rimossa. ‘Se verrà confermato che Zainab era agli arresti quando è morta, questo rappresenta il caso più grave di decesso in carcere che abbiamo visto fino ad orà, ha dichiarato Philip Luther, vice direttore di Amnesty International per il Merioriente e il Nord Africa. ‘Abbiamo notizia di altri casi di manifestanti i cui corpi sono stati riconsegnati alle famiglie mutilati durante gli ultimi mesi, ma questo è particolarmente shoccante, ha aggiunto. on le uccisioni di Zainab e Mohammad, secondo Amnesty International il numero delle vittime in carcere sale a 103 da quando sono iniziate le proteste di massa in Siria a marzo. I corpi rinvenuti hanno tutti segni di percosse e di colpi d’arma da fuoco. Zainab al-Hosni è stata arrestata da uomini della sicurezza siriana il 27 luglio scorso, probabilmente per carcere di convincere il fratello, l’attivista Mohammad Deeb al - Hosni, a consegnarsi agli agenti. Mohammad Deeb al-Hosni, 27 anni, è stato tra gli organizzatori delle protese a Homs da quando sono iniziate. Dopo l’arresto di Zainab a luglio, l’uomo è stato contattato al telefono dai suoi rapitori, che gli avrebbero detto che la sorella sarebbe stata rilasciata se lui avesse smesso di organizzare attività anti - regime. È stato arrestato il 10 settembre e trasferito nel braccio della Sicurezza politica a Homs. Tre giorni dopo, il 13 settembre. la madre è stata convocata per recuperare il cadavere di Mohammad da un ospedale militare. Il corpo mostrava segni di torture, tra cui bruciature di sigarette. Inoltre sono stati riscontrati colpi d’arma da fuoco sulle braccia, le gambe e per tre volte al petto. La madre ha trovato il corpo mutilato di Zainab nello stesso ospedale militare. Prima di ritirare i cadaveri dei figli, alla donna è stato fatto firmare un documento nel quale dichiarava che Zainab e Mohammad erano stati rapiti e uccisi d bande armate. Libano: pubblicato primo rapporto nazionale sulle carceri, finanziato con fondi italiani Il Velino, 23 settembre 2011 In Libano è stato pubblicato il primo rapporto nazionale sulle carceri. L’iniziativa fa parte del progetto “Miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle prigioni libanesi”, finanziata dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina con 400 mila euro. Il documento, il primo nel suo genere mai pubblicato nel Paese dei Cedri, costituisce la base per lo sviluppo di un piano d’azione nazionale il cui obiettivo è migliorare le condizioni di vita socio - economica dei detenuti nelle carceri libanese. Il rapporto, che comprende la descrizione delle strutture carcerarie che ricadono sotto la giurisdizione del ministero degli Interni di Beirut e le raccomandazioni per migliorare le loro condizioni fisiche e interne, è stato realizzato da un team di ricercatori che ha visitato prigioni e raccolti dati, anche attraverso interviste a prigionieri, guardie e medici. Il documento è stato presentato questa mattina nella capitale del paese dei cedri in una cerimonia alla quale hanno partecipato l’ambasciatore italiano a Beirut, Giuseppe Morabito e il ministro libanese degli Interni e delle Municipalità Marwan Charbel. “Il governo italiano, cosi come in più occasioni sottolineato dal ministro degli Esteri Franco Frattini, è impegnato nel contribuire a garantire e tutelare i diritti umani per tutti gli individui - ha spiegato l’ambasciatore Morabito nel suo intervento, ivi compresi i detenuti e le fasce più vulnerabili della popolazione, e nel fornire loro gli strumenti necessari per diventare protagonisti attivi nella società in cui vivono e operano”. Stati Uniti: il Texas abolisce l’ultimo pasto dei condannati a morte, “privilegio inappropriato” Agi, 23 settembre 2011 Niente più cena “a la carte” per l’ultimo pasto dei condannati a morte del Texas che, anche “in extremis”, riceveranno il solito rancio della prigione. Lo Stato americano del sud ha deciso di abolire l’ultimo desiderio per i dead man walking giudicato un “privilegio inappropriato”. Come riferisce la Bbc, la proposta choc è stata avanzata dal senatore John Whitmire, presidente democratico della Commissione Giustizia, che si è sentito oltraggiato scoprendo che il pantagruelico pasto ordinato da Lawrence Russelle Brewer, poco ore prima di essere giustiziato, non era stato neanche toccato. “Quando è troppo, è troppo” ha dichiarato Whitmire furente, “è estremamente inappropriato concedere ad una persona condannata a morte un simile privilegio, che alle sue vittime non è stato dato”. Il senatore ha minacciato di proporre una legge ad hoc se la consuetudine non fosse stata revocata. Detto fatto, nel giro di poche ore il direttore esecutivo del Dipartimento di giustizia criminale del Texas ha fatto sapere che la tradizionale richiesta sarebbe stata abolita. D’ora in poi, i condannati in attesa dell’esecuzione riceveranno “lo stesso pasto servito agli altri detenuti”. Solo nella ultima settimana negli Stati Uniti sono state eseguite tre condanne a morte, portando il totale a 1.270 dal 1976, quando è rientrata in vigore la pena di morte dopo una moratoria di 10 anni. Oltre a Brewer, un membro del Ku Klux Klan giustiziato mercoledì per aver ucciso un uomo di colore, è stata eseguita la condanna a morte di Troy Davis e Derrick Mason, entrambi riconosciuti colpevoli di omicidio. Il caso di Davis ha suscitato molto scalpore per i tanti dubbi sollevati sulla sua colpevolezza e l’appoggio ricevuto da numerose personalità in tutto il mondo.