Giustizia: carceri, scandalo ignorato; deludente la seduta straordinaria in un Senato vuoto di Luigi Manconi Il Messaggero, 22 settembre 2011 Grazie all’ostinatissima mobilitazione dei radicali e allo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella si è arrivati finalmente, ieri, alla convocazione di una seduta straordinaria del Senato sul tema del sistema della giustizia e dell’esecuzione della pena. Questione cruciale, ma lo scarso, o nullo, interesse mostrato finora dai mass media, l’esile presenza di senatori nell’aula e, soprattutto, il contenuto dell’intervento del ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, adombrano il rischio di una discussione fine a se stessa. Una discussione incapace di assumere impegni precisi e adottare politiche concrete e destinata a risolversi in un omaggio rituale a un dramma che assume, via via, i contorni di una emergenza umanitaria. Eppure tutto ciò non era, e forse tuttora non è inevitabile. Poco meno di due mesi fa si era svolto, ancóra al Senato un importante convegno promosso dagli stessi radicali. Qui era accaduto qualcosa di effettivamente nuovo, grazie in particolare a Giorgio Napolitano. Dalla più alta autorità dello Stato provengono parole sempre connotate, anche sotto il profilo più strettamente semantico, da moderazione e prudenza. Una simile cifra, che è di cultura e di stile, qualifica il discorso pubblico dell’attuale capo dello Stato. Il quale, tuttavia, sa che la moderazione non è incompatibile con lo sdegno e che, quando necessario, la moderazione esige lo sdegno. In quella occasione Napolitano ha fatto ricorso a un vocabolario appunto sdegnato, in cui echeggiava una certa ira consapevole, a proposito dei luoghi di esecuzione della pena nel nostro Paese. E così ha definito “estremo orrore” la situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dove sono internati gli imputati di reato considerati “incapaci di intendere e di volere”. E ha qualificato come “eufemistico” il pudibondo termine (“sovraffollamento”) con il quale si segnala che in spazi destinati ad accogliere 45mi - la individui, vengono stipati a forza (e come, se no) oltre 67mila esseri umani. Di fronte a ciò, Napolitano ha fatto ricorso a un termine inappellabile: “imbarbarimento”, richiamando tutti ad affrontare quella che considera una “prepotente urgenza” e una “emergenza assillante”. L’importanza di quel richiamo e la riprovazione morale che evoca sono tanto maggiori in quanto fanno seguito, come si è detto, alla più circostanziata critica del sistema della pena mai esposta da una così alta autorità. E in quanto - ecco il punto - quel richiamo non ha ottenuto, a tutt’oggi, alcun concreto risultato. E questo sembra dimostrare inequivocabilmente che quella prepotente urgenza non è affatto condivisa dalla gran parte del ceto politico e del sistema dell’informazione. La seduta del Senato di ieri ne è stata una conferma. In particolare, il Guardasigilli, ha svolto un intervento che è apparso fuori sincrono: ossia come scandito su un ritmo incommensurabilmente più lento di quel processo di “imbarbarimento” così autorevolmente denunciato. È vero che Nitto Palma ha dedicato, finalmente, una certa attenzione alla situazione degli Opg dove - tragedia nella tragedia - si consuma la sorte di 215 soggetti tuttora internati “nonostante sia stata clinicamente accertata l’assenza di pericolosità sociale”. Ed è stato importante il suo ragionamento sull’eccesso del ricorso alla custodia cautelare, spesso tanto insensata quanto totalmente superflua. Basti pensare che su circa 90mila persone che transitano per il carcere nel corso di un anno, oltre 21 mila vi restano da uno a tre giorni. Ma sul piano delle strategie per ridurre il sovraffollamento e rendere più civile il carcere, il ministro è stato cauto fino alla reticenza. Per affrontare il problema di una popolazione detenuta, che supera di oltre 20mila unità la capienza regolamentare, il ministro ha richiamato la realizzazione negli ultimi tre anni di 440 nuovi posti (e non sappiamo quanti siano stati effettivamente occupati, considerata la grave carenza di personale); e ha promesso la “prossima apertura del carcere di Gela, essendosi risolto il problema della condotta d’acqua”. Ma si tratta di un istituto la cui progettazione risale al 1959 (avete letto bene: 1959): e questo dà un’idea plastica di quali siano i tempi, quelli trascorsi e probabilmente quelli futuri, di attuazione dei fantasmagorici “piani-carcere annunciati”. Ma, ciò che soprattutto manca, è una strategia di riforme strutturali. Eppure Nitto Palma aveva fatto ben sperare, insistendo nelle scorse settimane sull’esigenza di una politica di depenalizzazione: ovvero di riduzione del numero di atti e comportamenti, violazioni e infrazioni oggi classificati come fattispecie penali. È la strada che il migliore pensiero giuridico, “di destra” come “di sinistra”, da Carlo Federico Grosso a Carlo Nordio, indica come quella indispensabile per affrontare efficacemente sia le principali disfunzioni del sistema della giustizia, che le più crudeli contraddizioni del sistema della pena. Di ciò, nella relazione del ministro della Giustizia, non c’è più traccia (il dibattito proseguirà martedì prossimo: si può ancora sperare?). La spiegazione è forse semplice: le buone intenzioni del ministro si sono sgretolate davanti a una maggioranza di centrodestra che non rinuncia in alcun modo a leggi - manifesto, come quella sulla recidiva e quella sulle sostanze stupefacenti. Normative che hanno costituito il principale strumento di acquisizione di consenso elettorale presso settori di popolazione che il succedersi degli allarmi sociali ha sottoposto a stress e reso ansiosi. Giustizia: una difficile cura per l’emergenza carceri di Dimitri Buffa L’Opinione, 22 settembre 2011 Tanti buoni propositi e tante cifre sul disagio dei detenuti per lo più ultra note. I radicali, in testa Pannella che da ieri sera è in sciopero della sete oltre che della fame e che oggi assisterà ad analogo dibattito presso il Consiglio regionale del Lazio, erano ben consci del rischio che si sarebbe corso a chiedere la plenaria al Senato sull’emergenza carceri. Non a caso hanno anche tenuto un sit in davanti al Senato fino a notte inoltrata. Ma per la malattia del sovraffollamento e della disumanità dei penitenziari italiani, “emergenza prepotente che ci umilia davanti all’Europa”, per usare le parole del Capo dello stato, ieri a Palazzo Madama si è vista una gara un po’ sterile di diagnosi senza che nessuno osasse nominare la cura. Che per Pannella e compagni si chiama amnistia, ma che per il ministro Francesco Nitto Palma ha invece altri nomi, più generici, come depenalizzazione, perne alternative, decarcerizzazione. Nitto Palma in realtà una cosa importante l’ha detta: ancora duemila detenuti e poi non ne potrà più entrare nessuno nemmeno con la forza. E questo significa che il sistema ha altri due o tre mesi di autonomia. La parte più drammatica della relazione del ministro ha riguardato i manicomi giudiziari, uno scandalo nello scandalo, dove la gente è tenuta come animali in gabbia, con leggi che permettono la reiterazione all’infinito di queste misure di sicurezza anche dopo avere scontato la pena. Per Palma se siamo ridotti così lo si deve in primis alla presenza di troppi stranieri nelle nostre prigioni e poi all’abuso della custodia cautelare. Altre voci nel dibattito, tra cui quella di Emma Bonino, hanno puntato l’indice su “leggi criminogene come la Fini-Govanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull’immigrazione”. Al ministro non si poteva chiedere di sconfessare l’operato del governo e della maggioranza anche se ci è arrivato molto vicino quando ha detto che “il carcere è diventato una porta girevole”. “Ogni anno si registra il transito in carcere di circa 90.000 detenuti provenienti dalla libertà, ma in cella vi restano per molto poco: 21.093 fino a 3 giorni, 1.915 fino a 7 giorni, 5.816 fino ad un mese, 5.009 fino a 3 mesi e 9.829 fino a 6 mesi, per un totale di oltre 40.000 persone”. Lui dice che non è colpa solo dei pacchetti sicurezza e della ex Cirielli sulla recidiva, tuttavia ha parlato a nuora perché suocera intenda. E anche se la parola “amnistia” è bandita, non si vedono altre vie di uscita. Giustizia: sfuma l’ipotesi dell’amnistia… per Palma serve solo il “confronto” Europa, 22 settembre 2011 Il Ministro della Giustizia: “Strutture sovraffollate? Troppi stranieri e detenzioni brevi”. Un vademecum che non è affatto piaciuto ai Radicali. È sfumata in mezz’ora l’ipotesi amnistia, misura ufficialmente pensata per svuotare le carceri sovraffollate ma ipotizzata da qualcuno per cominciare a gettare le basi di una possibile uscita “con salvacondotto” di Silvio Berlusconi da palazzo Chigi. Il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, che oggi ha riferito al Senato sullo stato del sistema di detenzione, dietro esplicita richiesta di Marco Pannella (corredata da sciopero della fame e della sete), ha infatti lasciato pochi dubbi. L’amnistia, ha detto Palma, è una strada “già percorsa” che “consente al malato di respirare” ma che non lo cura. Meglio un progetto globale di giustizia nato dal confronto “sereno tra le forze politiche”, progetto che tenga conto delle esigenze dei cittadini. Insomma, una relazione “in parallelo”, che si presta a due letture. L’interpretazione esplicitamente “carceraria” delle parole del Guardasigilli è lampante. Vero che le carceri sono piene, sovraffollate, ma altrettanto vero che l’amnistia o l’indulto non servirebbero. Secondo il ministro, infatti, nelle 22 volte in cui è stata applicato il binomio amnistia - indulto e l’unica volta in cui è stato usato il solo indulto, “il malato è tornato a respirare ma poi è tornato al coma in cui versava”. La causa del sovraffollamento va invece ricercata, secondo il Guardasigilli, non nei provvedimenti varati nell’ultimo decennio, primo fra tutti il pacchetto sicurezza, quanto piuttosto nell’eccessivo ricorso alla custodia cautelare e ne sempre crescente numero di detenuti stranieri. La “lettura politica” delle parole del Guardasigilli è tutta nella “chiusa” della relazione del ministro: “si deve aprire una stagione di sereno confronto tra le varie forze politiche che definisca un progetto di sistema globale della giustizia, che abbia presente il concetto globale di giustizia e che porti alla dovuta attenzione il sistema delle garanzie dei cittadini e che immagini il carcere come luogo di recupero e non come luogo da esorcizzare mettendo la testa sotto la sabbia. In altri termini un progetto ed un sistema che considerino l’edilizia carceraria solo come strumento logistico da modulare secondo l’obiettivo stabilito e non come soluzione del problema, che abbiano ben chiari i valori della Costituzione e la dovuta considerazione per i detenuti. E questo sarà il vademecum della mia azione di ministro”. Un vademecum che non è affatto piaciuto ai radicali, promotori della giornata d’Aula sulle carceri, che si protrarrà anche martedì prossimo, quando il ministro replicherà ai numerosi interventi dei senatori e l’Aula sarà chiamata ad esprimersi su risoluzioni e ordini del giorno eventualmente presentati. La vicepresidente del Senato, Emma Bonino, ha infatti sottolineato che “l’amnistia è necessaria, urgente, improcrastinabile ed è l’unica soluzione possibile” al sovraffollamento delle carceri italiane. Una tesi antitetica a quella esposta, poco prima, dal ministro della Giustizia. “Secondo lei - ha detto quindi Bonino rivolgendosi direttamente a Palma - si tratterebbe di una soluzione transitoria, che non risolve il problema, ma l’amnistia è invece la precondizione necessaria per le riforme, per trovare pene alternative al carcere. Ora c’è una situazione in cui lo Stato non ce la fa a smaltire i processi”. Giustizia: Palma; custodia cautelare e sovraffollamento, si apra una stagione di confronto di Désirée Ragazzi Secolo d’Italia, 22 settembre 2011 C’è un abuso sull’utilizzo della custodia cautelare. Ma per alleggerire le carceri, la strada non è quella dell’amnistia né tanto meno quella dell’indulto. Francesco Nitto Palma, ieri nel suo intervento nell’aula del Senato dedicato al tema delle carceri, dati alla mano ha osservato che “ogni anno si registra il transito in carcere di circa 90mila detenuti provenienti dalla libertà (arresto in flagranza, fermo, custodia cautelare) e che di questi restano in carcere: 21.093 fino a tre giorni; 1.915 fino a sette giorni; 5.816 fino a un mese; 5.009 fino a tre mesi e 9.829 fino a sei mesi”. Il ministro snocciolando i numeri ha rilevato che i detenuti in custodia cautelare fino a un mese ammontano nell’anno a 28.824 “il che - ha fatto notare - con tutta l’approssimazione del caso, equivale a dire che tale categoria di detenuti incide per 2.333 posti sul dato della presenza carceraria annuale”. L’aumento dei detenuti L’aumento della popolazione carceraria, ha spiegato, si incentra su due specifiche cause: “La presenza di detenuti stranieri passata globalmente dal 33% al 36% e l’uso eccessivo della custodia cautelare”. Per quanto riguarda gli affidamenti in prova dal 2006 all’agosto 2011 sono passati da 1.818 a 9.778; le semilibertà da 649 a 92; le detenzioni domiciliari da 1.618 a 8.283. Il Guardasigilli si è soffermato anche sulle misure dei cosiddetti “pacchetti sicurezza”. “Le incidenze sulla presenza carceraria - ha detto - sono limitate per altro con termini di non particolare significatività e correlate a fattispecie criminose quali il favoreggiamento all’immigrazione clandestina, il furto con strappo e il furto in abitazione, cioè a delitti che devono essere seriamente repressi in ossequio alle ragioni di sicurezza dei cittadini”. In definitiva i detenuti a oggi sono 67.377. “Circa duemila detenuti dalla soglia di tollerabilità”, ha rilevato Palma. Quasi il 70% della popolazione detenuta straniera è formata da un 20% di marocchini, da romeni (15%), tunisini (13%), albanesi (11%), nigeriani (5%) e algerini (3%). Il totale dei detenuti in custodia cautelare è del 42% e il totale complessivo dei detenuti stranieri ammonta al 36,10%. No all’amnistia e all’indulto Quindi che fare? “Qualcuno - ha sottolineato Palma - immagina che la strada da percorrere sia quella squisitamente parlamentare dell’amnistia e dell’indulto già intrapresa 22 volte dal ‘48 al ‘92 e una volta, con l’indulto, nel 2006”. Tutti strumenti, questi che, a modo di vedere del Guardasigilli “in passato sono sempre stati utilizzati per risolvere un problema che non si voleva risolvere alla radice, una strada già percorsa e che ha sempre consentito al malato di respirare ma che lo ha sempre ricondotto al coma precedente”. E, infatti, basta guardare i numeri per rendersi conto che i detenuti sono scesi da 61mila a 39mi - la “salvo poi tornare a 68mila del 2010 in quattro anni”. Da qui l’invito del ministro affinché “si apra la stagione del confronto che abbia presente il concetto globale di giustizia e che porti alla dovuta attenzione del sistema di garanzia dei cittadini e immagini il carcere come luogo di recupero e non come luogo da esorcizzare, mettendo la testa sotto la sabbia. Insomma - ha proseguito il ministro - occorre un progetto che consideri l’edilizia carceraria come strumento logistico da modulare secondo l’obiettivo stabilito e non come soluzione del problema”. Ospedali psichiatrici giudiziari Un’emergenza nella emergenza penitenziaria è rappresentata dagli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) “e chiama in causa altri soggetti istituzionali che dovrebbero a pieno titolo farsi carico di un sistema che oggi offende la civiltà del diritto”. Il Guardasigilli, occupandosi degli Opg, non ha potuto fare a meno di denunciare “l’insanabile contraddizione di una misura che si regge sul binomio carcere e manicomio, gestito in luoghi che producono sofferenza, degrado, violazione della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, non può più essere tollerato in un Paese civile”. La mozione I senatori Franco Mugnai (Pdl), Roberto Centaro (Io Sud) e Sandro Mazzatorta (Lega) con una mozione hanno approvato la relazione del ministro e impegnano il governo ad attuare alcuni punti necessari per dare ossigeno alle carceri. Innanzitutto, si legge nel documento, è necessaria la riforma della custodia cautelare “affinché attuando lo spirito del codice di rito, rappresenti, salvi i casi di maggiore allarme sociale, veramente l’extrema ratio e non una anticipazione della pena o, peggio, una metodologia coercitiva nei confronti dell’indagato”. Non solo, i tre senatori sollecitano la riforma del rito direttissimo, “per evitare che l’imputato transiti, anche se per pochi giorni, nell’istituto di pena, con il conseguente e spesso inutile aggravio del sistema carcerario”. Nel documento si chiede anche l’estensione a tutti i reati dell’uso della video conferenza. Inoltre, s’invita il governo a proseguire nella politica di sottoscrizione di accordi bilaterali con i Paesi dei flussi migratori, “al fine di consentire che i detenuti stranieri condannati per un reato commesso in Italia debbano scontare la pena nel loro Paese di origine”. Nella mozione i tre senatori chiedono anche il completamento dell’organico della polizia penitenziaria, “oggi fortemente ridotto a causa dell’impossibilità di utilizzazione dei padiglioni e degli istituti già ristrutturati o realizzati, nonché di quelli da realizzare”, e la predisposizione di un sistema permanente di controllo sui servizi di assistenza sanitaria “erogati ai detenuti, al fine di monitorarne l’andamento e di verificarne l’impatto in termini assistenziali e finanziari sulle strutture sanitarie territoriali di riferimento”. Infine, i tre senatori sollecitano anche la “razionalizzazione delle misure alternative alla detenzione, non solo sotto il profilo normativo ma anche mediante la riattivazione dell’apposita Commissione insediata presso il ministero”. Giustizia: Fp-Cgil; il ministro Palma ignora le reali cause del sovraffollamento Adnkronos, 22 settembre 2011 “Durante la seduta straordinaria sull’emergenza carceri di ieri in Senato, il Ministro Palma ha dimostrato di non conoscere le reali cause del sovraffollamento, o peggio ancora di volerle eludere. Una vera e propria difesa d’ufficio della sua maggioranza e del suo predecessore”. Lo dicono Francesco Quinti, responsabile sicurezza Fp-Cgil nazionale e Lina Lamonica, coordinatrice nazionale amministrazione penitenziaria Fp-Cgil, commentando le dichiarazioni del ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma durante la sessione straordinaria di ieri al Senato inerente alla situazione delle carceri italiane. “Secondo il ministro - proseguono - le modifiche normative degli ultimi 10 anni non avrebbero determinato la crisi. Un fatto che non trova conferma nella realtà. I vari pacchetti sicurezza, la cosiddetta ex Cirielli, la legge sulle droghe (Fini - Giovanardi) e sull’immigrazione (Bossi - Fini) sono, assieme ai tagli e alle carenze strutturali e di organico, le cause principali dell’emergenza. È lo stesso Palma a notare come sia aumentato il numero di detenuti stranieri - sottolineano - ma a suo avviso questo non è riconducibile, all’introduzione del cosiddetto reato di clandestinità. Allo stesso modo non sembra tener conto del peso che i pacchetti sicurezza hanno avuto sull’aumento dei detenuti in attesa di primo giudizio”. “Il ministro - continuano - auspica l’assunzione dei 1.600 agenti, già prevista da una norma inattuabile per la mancanza di copertura finanziaria di cui è responsabile il suo Governo. Quanto poi alle carenze di organico - proseguono - ricordiamo al ministro che la Finanziaria ha prolungato il blocco del turn over, che impedisce nuove assunzioni”. E “gli consigliamo - incalzano - di ascoltare la protesta dei tanti lavoratori del settore che oggi hanno manifestato con tre presidi davanti al ministero, a Montecitorio e al Dap e di leggere la proposta di legge promossa dai firmatari di “Sovraffollamento: che fare?”, tra i quali la Fp-Cgil e importanti associazioni del settore come Antigone, Magistratura Democratica e Unioni Camere Penali. Lì - concludono - troverà le risposte necessarie e un’analisi meno edulcorata delle responsabilità, ma soprattutto un’analisi competente”. Giustizia: l’Ugl protesta a Roma; il Segretario Moretti non partecipa a incontro con Ionta Dire, 22 settembre 2011 In segno di protesta il segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti, non parteciperà all’incontro con il capo del Dap. Sarà una delegazione formata dai rappresentanti territoriali che riferirà a Franco Ionta i disagi vissuti in ciascun istituto e si farà portavoce dei motivi della protesta”. È questo l’ultimo atto della “campagna di denuncia” che la rappresentanza Ugl della Polizia penitenziaria sta portando avanti contro “le gravi condizioni di vivibilità e di sicurezza nelle carceri”. Stamattina la manifestazione a Roma indetta dal sindacato che sta presidiando piazza Montecitorio, piazza Cairoli, adiacente al ministero della Giustizia, e largo Luigi Daga, sotto il Dap. È da qui che parte la decisione di Moretti di non partecipare all’incontro con Ionta. “Siamo stanchi di sentirci dire che abbiamo ragione senza che venga avviato alcun provvedimento sia di carattere legislativo sia contrattuale che possa garantire condizioni migliori ai lavoratori”. È proprio il segretario nazionale a spiegare in una nota le ragioni della scelta. “Non si tratta solo di carenza di organico - precisa - ma anche delle condizioni di incertezza e insicurezza che ormai caratterizzano le realtà in cui gli agenti svolgono le proprie mansioni, per non parlare dei diritti contrattuali ormai compromessi. Ci sono ben 14 milioni di arretrati non ancora pagati per le missioni svolte nel 2010”. La manifestazione dell’Ugl Polizia penitenziaria e delle altre sigle continuerà fino al primo pomeriggio a piazza Montecitorio. Giustizia: bisogna non avere l’anima per godere dell’oblio di Alfonso Papa di Renato Farina Tempi, 22 settembre 2011 Chi state diventando voi italiani? Non dico: italiani - di - sinistra, italiani - di - destra. Mi riferisco alla categoria intera: siete di certo ormai post - cristiani. Magari vi intenerite, ma così, superficialmente, per un’emozione istantanea. L’idea di che cosa è l’uomo vi sfugge. Da Diavolo della Tasmania vedo meglio, sono obiettivo (forse). Che bell’epoca era quando l’Italia rigurgitava di cristiani cattivi, in fondo bestiali e vendicativi; sempre meglio di questa zuppa tiepida che ripugna anche agli inferi. Mi riferisco ad esempio al vostro modo di guardare alle carceri. Siete sensibili, ma non volete vedere per non dover esercitare la sensibilità. Avete un gran prurito alla pelle dinanzi agli uccellini feriti, ma non volete vedere gli uomini. Il mio avatar in Parlamento, Renato Farina, che gira parecchio le prigioni, da Nord a Sud, ha ricevuto una lettera di un suo amico, il detenuto Alfonso Papa, uno dei tanti che in Italia finiscono in cella prima del processo, anche se non ha sparso neanche una goccia di sangue. Ma sì, il famoso deputato. Nella lettera Papa si difende, e questo è logico. C’è una denuncia: il carcere preventivo non per tutela della giustizia, ma come strumento d’indagine attiva, una maniera per strizzare l’anima e farne uscire solo ciò che conviene agli investigatori. Una tortura. Ma non di questo voglio qui riferire del racconto del Farina. Altre cose. 1) Papa chiedeva di ricordarsi di lui, di loro. Di quel mondo che c’è nelle nostre città dietro le sbarre. I deputati possono andare nelle carceri a gratis, come sull’aereo. Così Farina ci è andato. 2) A Poggioreale, il carcere di Napoli dove sta il Papa, c’è il lamento che si alza fino al cielo per il sovraffollamento. La stessa cosa a San Vittore, Regina Coeli, a Monza, dappertutto. Oltre alla concentrazione esagerata di carni sudate in spazi angusti c’è la mancanza di risorse. A Opera (Milano) non c’è carta igienica, le lampadine fulminate se le ricomprano i detenuti. Soprattutto cento detenuti sono rimasti per sei mesi senza tv! Detta così fa ridere. Ma se uno va in giro per le celle capisce. 3) Non scoppiano rivolte e non sono esplose durante l’estate perché c’è stata una piccola iniezione di speranza. Come ha detto Giacinto Siciliano, direttore di Opera (il carcere con 200 ergastolani), senza speranza la prigione fa impazzire. E la speranza è data dall’idea che in Parlamento ci si occupi di loro, dei detenuti. Marco Pannella è un diavolone vero e proprio, ma ha dato questa estate ai “ristretti” (si chiamano così nella lingua di legno della burocrazia) uno squarcio di cielo. Non è tanto perché lotta per l’amnistia, ma perché loro sentono che gli vuol bene. Un sacco di gente ha detto al Farina: “Mi saluti Pannella, lui si ricorderà di me!”. Uno si è fatto crescere il codino di cavallo come lui. E quando diceva Pannella gli veniva un sorriso. 4) Alfonso Papa ha detto una cosa all’orecchio di Farina, che qui non posso dire, ma l’ha reso felice. 5) Farina ha costruito su internet una paginetta per chiedere la fine della detenzione preventiva per Papa, sbattuto dentro dall’alleanza tra onorevoli e pm (si trova facilmente con Google: renato farina Facebook). Ne hanno parlato le agenzie. I siti del Pdl non hanno voluto reclamizzarlo. Il Fatto quotidiano ha segnalato che sono pochissimi quelli che vi hanno aderito. E gode di questa indifferenza. Poche decine. In fondo c’è la crisi economica, che è molto più grave, vero? Ma fregarcene di chi è dentro senza processo è un lusso morale che neanche noi all’inferno ci permettiamo. Prima c’è il giudizio, poi le fiamme. Siamo più umani e cristiani noi diavoli. Giustizia: il boss Antonino Santapaola “è grave”, sospesi 4 processi nei quali è imputato La Sicilia, 22 settembre 2011 Il boss Antonino Santapaola, fratello del capomafia ergastolano Benedetto detto “Nitto”, detenuto da oltre 11 anni e da qualche hanno anche in regime di 41 bis, è “affetto da una grave sindrome psico-organica ingravescente, con manifestazioni cliniche di demenza e disturbi correlati del comportamento”, e per questo quattro processi in cui è imputato sono stati sospesi. La diagnosi è dei periti nominati dalla seconda Corte di appello di Catania, davanti alla quale si svolge il processo “Cassiopea”. Secondo i medici “il paziente non può essere considerato come persona socialmente pericolosa e le sue condizioni di salute non possono essere considerate compatibili con un regime carcerario duro e nemmeno con un regime carcerario ordinario”. I giudici, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Giulio Toscano e del difensore di Antonino Santapaola, l’avvocato Giuseppe Lipera, del Foro di Catania, hanno sospeso il processo “sine die”. Analoghe decisioni sono state adottate dalla prima sezione del Tribunale di Catania, che ha sospeso altri due processi, e dal quarto Tribunale penale del capoluogo etneo, che ne ha bloccato un terzo. Lettere: in ricordo di Troy Davis; no alla pena di morte, no a processi ingiusti… di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 22 settembre 2011 Negli Stati Uniti gli errori giudiziari spesso non vengono riconosciuti dalle Corti Supreme. Sono rari i casi nei quali i giudici si ravvedono dei propri errori. Come si fa a non dare la revisione del processo, quando sette dei nove testimoni ritrattano sulle accuse verso una persona accusata di omicidio e condannata alla pena di morte? Ritrattano sostenendo tutti, che le loro dichiarazioni erano state estorte da agenti di polizia. Queste dichiarazioni erano la prova centrale dell’accusa. Un’ingiustizia profonda. Come si fa a rimanere silenti di fronte a un palese errore giudiziario? Come si fa a non rimanere profondamente colpiti nel sapere, che ieri quest’uomo condannato ingiustamente, dopo ventidue anni di carcere è stato giustiziato. Troy Davis il suo nome, un afroamericano di 43 anni. Oltre alla denuncia sempre e ovunque contro la barbarie della pena di morte la stessa denuncia va estesa, affinché i processi vengano gestiti con equità, che l’errore giudiziario quando c’è stato deve essere riconosciuto. Un innocente ieri è stato giustiziato nel carcere di Jackson in Georgia (Stati Uniti). Le sue ultime parole alle quali credo profondamente sono state : state uccidendo un innocente. Gli uomini e le donne libere devono riflettere su questo suo urlo e questa condanna a morte di un innocente possa essere in futuro risarcita con l’abolizione della pena di morte. Lettere: la reclusione come estrema ratio e le nuove ondate di giustizialismo di Lucio Barani (Segretario Nazionale Nuovo Psi) Lab il Socialista, 22 settembre 2011 Vista la situazione di assoluta emergenza in cui versano le carceri italiane a causa del sovraffollamento delle strutture detentive, bisogna intervenire immediatamente per porre rimedio ad una così grave questione. Condivido quanto espresso dal Ministro Palma nel corso dell’intervento che ha tenuto ieri al Senato, specialmente allorché il Guardasigilli ha parlato della reclusione come estrema ratio e quindi di un più moderato uso della custodia cautelare. Questa è sicuramente la strada giusta da percorrere per limitare le carcerazioni preventive e quindi limitare la permanenza in carcere di quanti sono in attesa di giudizio. All’insegna della tradizione del socialismo riformista e delle istanze garantiste che ne derivano credo però, si possa fare anche più di questo, magari intervenendo con misure legislative che prevedano la custodia cautelare solamente per quei reati per i quali la pena è superiore ai vent’anni di reclusione. Il carcere, è sempre bene ricordarlo, anche alla luce della preoccupante nuova ondata giustizialista che incombe su tutti noi, non può essere usato come strumento preventivo o di tortura psicologica, ma deve tendere alla rieducazione dell’individuo, come recita l’art. 27 della Costituzione che spiega anche come l’imputato, sino a condanna definitiva, non possa essere considerato colpevole. Inoltre, instradare la legislazione in materia in tale direzione ed instaurare una simile prassi potrebbe determinare anche la un’accelerazione nella durata dei processi, altra annosa questione, con la magistratura che sarebbe così costretta a snellire i propri tempi al fine di assicurare chi è colpevole alla giustizia. È inumano pensare di tenere un indiziato, ergo un presunto innocente, in uno stato detentivo con conseguente limitazione della sua libertà personale e mortificazione dei propri diritti, senza avere certezza di una eventuale colpevolezza, certezza che potrebbe non arrivare mai. Lazio: in Consiglio Regionale seduta straordinaria sul carcere, presente anche Pannella Dire, 22 settembre 2011 Carceri, sovraffollamento, emergenza. Sono queste le tre parole chiave dell’incontro tra il Presidente del Consiglio Regionale del Lazio, Mario Abbruzzese e il leader dei Radicali Marco Pannella. Nella giornata in cui si tiene la seduta straordinaria della Pisana sul tema (ieri discusso anche in Senato), l’incontro tra il leader radicale, da sempre in prima linea per difendere i diritti dei detenuti, e Abruzzese è servito a gettar luce sulla condizione dei penitenziari laziali. Negli scorsi giorni il garante dei detenuti, Angiolo Marroni, ha lanciato l’allarme, confermato dalle parole del presidente del consiglio regionale”. La popolazione carceraria regionale - ha dichiarato Abbruzzese - è pari a circa un decimo di quella nazionale: nel Lazio le presenze raggiungono il numero di 6.400 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 4.660. Tra le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale circa la metà di esse non sono ancora giunte ad una sentenza definitiva: c’è una presenza consistente di tossicodipendenti, malati psichiatrici e detenuti stranieri, aggravata dalla mancanza quasi totale di psicologi, carenze di organico nella polizia penitenziaria e tra gli assistenti sociali. Una situazione, quella in cui versano gli istituti carcerari, che ha tutte le caratteristiche dell’emergenza umanitaria, e che la politica ha il dovere di affrontare con tutta la sensibilità che si addice ad uno scenario di questa gravità” Marco Pannella ha spiegato il motivo della sua battaglia, sciopero della fame e della sete, per ottenere attenzione e soluzioni per l’emergenza carceri. Questa ha trovato d’accordo anche Abruzzese che ha aggiunto: “Ho avuto modo di ascoltare le ragioni e le motivazioni di Marco Pannella - ha aggiunto il Presidente del Consiglio Regionale - e concordo con il leader dei Radicali sulla necessità di un’azione rapida e decisa per migliorare le condizioni di vita e di reinserimento sociale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Oggi, il Consiglio Regionale così come il Senato ieri, ha voluto fare la sua parte dedicando una seduta straordinaria a questo tema, seduta nella quale saranno analizzati più nel dettaglio i dati relativi all’emergenza nei dieci penitenziari del Lazio. Il mio auspicio è che, compatibilmente con gli impegni di bilancio, sia fatto tutto il possibile per garantire il rispetto dei diritti costituzionalmente riconosciuti ad ogni cittadino in detenzione sul territorio regionale. Sono convinto che la garanzia di tali diritti passi proprio attraverso il riconoscimento della necessità di nuovi investimenti in edilizia carceraria, un reintegro rapido del personale di polizia penitenziaria e nuove assunzioni nel settore socio - assistenziale”. Pannella ha apprezzato molto l’iniziativa del consiglio del Lazio. “È una bella mozione, il cui pregio è che è ancoratissima alla realtà penitenziaria. Ed è un atto ammirevole”, ha detto il leader radicale durante una conferenza stampa organizzata per presentare la mozione sui diritti dei detenuti. Alla conferenza hanno partecipato i consiglieri regionali Luciano Romanzi, Rocco Berardo, Luigi Nieri, Giuseppe Rossodivita, Isabella Rauti, Raffaele D’Ambrosio, Angelo Bonelli, Andrea Bernaudo. Rauti: servono risposte strutturali, no amnistia “La situazione delle carceri del Lazio è molto grave, se è vero che nei 14 Istituti di pena e detenzione esistenti nella nostra Regione sono circa 2000 i detenuti in esubero rispetto agli standard di capienza stabiliti per legge”. È quanto dichiara la consigliera regionale del Lazio Isabella Rauti, a margine del Consiglio regionale straordinario di oggi. “L’approccio al tema della detenzione non deve essere ideologico ma pragmatico; dobbiamo contribuire a creare le condizioni strutturali affinché le condizioni dei detenuti siano compatibili con la funzione rieducativa della pena e con i diritti della Persona umana, principi sanciti dalla Legge, dal codice penale e dalla nostra stessa Carta costituzionale. Non ritengo che l’amnistia possa essere una soluzione giusta al problema, perché è un classico provvedimento tampone, che risolve per poco tempo l’emergenza ma non scongiura affatto il rapido ritorno a situazioni di forte criticità. L’esempio del 2006 è ancora sotto gli occhi di tutti; dopo appena due anni le carceri erano nuovamente al collasso, e oggi ci troviamo ad affrontare lo stesso problema. Penso piuttosto che vadano trovate vie alternative, e per questo propongo di mettere subito mano a provvedimenti che possano realmente contribuire alla soluzione definitiva del sovraffollamento delle carceri: rivedere il regime della custodia cautelare in carcere; provvedere ad una depenalizzazione dei reati minori; trovare ulteriori forme alternative alla detenzione, anche nell’ottica della riabilitazione del condannato e del suo progressivo reinserimento nella società e nel mondo del lavoro”. “Mi auguro che il Consiglio regionale del Lazio riesca oggi a determinarsi in maniera bipartisan; sarebbe grave che la politica si spaccasse su un argomento del genere, che tocca profondamente le coscienze di tutti. Personalmente - prosegue Rauti - ho firmato e condiviso la mozione presentata da alcuni colleghi di diverse forze politiche, perché si è posto l’accento proprio sulla necessità di un approccio laico e strutturale alla questione, lasciando fuori la questione dell’amnistia, che può essere oggetto di divisione e non di unione. Continuerò comunque il mio impegno su un tema che mi sta particolarmente a cuore, e sul quale ho presentato una proposta di legge che auspico possa presto essere oggetto di dibattito nelle commissioni competenti e in Aula: la creazione degli Icam nella nostra regione, ovvero quegli Istituti di custodia attenuata per le madri detenute che possono essere una risposta importante sia sul versante della riduzione del numero delle detenute stesse presso gli Istituti di pena che nell’ottica di garantire ai figli la presenza materna costante nella insostituibile funzione di cura e educazione dei figli”. D’Ambrosio: ho apprezzato visita Pannella “Ho molto apprezzato la visita di Pannella in Consiglio regionale ennesimo appuntamento della pluriennale campagna di sensibilizzazione sui temi dei diritti dei detenuti condotta dal leader radicale”. Lo ha sostenuto il vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio D’Ambrosio. “La situazione degli istituti di pena regionali si configura come estremamente critica: il sovraffollamento dei penitenziari, combinato ad una sistematica carenza di personale di polizia carceraria ed operatori sociali, non garantisce nei fatti il rispetto dei diritti dei detenuti così come garantiti dagli articoli 2, 13 e 27 del dettato costituzionale. Auspico dunque - ha concluso il vicepresidente - un miglioramento nelle condizioni di detenzione, che, oltre a garantire i diritti delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, possa far risultare meno gravoso il percorso di reinserimento sociale che gli istituti di pena devono perseguire”. - Peduzzi e Nobile (FdS): mozione carceri, no alla discarica sociale “No alla carceri come discarica sociale, sì alla messa in campo di tutte le misure atte a migliorare la permanenza dei detenuti, il loro recupero e il successivo inserimento socio - lavorativo”. È quanto afferma il capogruppo e il consigliere della Federazione della Sinistra alla Regione Lazio, Ivano Peduzzi e Fabio Nobile nel corso del loro intervento in aula durante la seduta straordinaria del Consiglio regionale sulle condizioni del sistema penitenziario del Lazio. “Il sovraffollamento degli istituti di pena nella nostra regione - continuano - lede i diritti umani dei detenuti. L’alto tasso di recidiva, la carenza degli organici, la mancanza di alternative al carcere e la pratica consolidata secondo cui, i soggetti deboli, i tossicodipendenti, gli immigrati, gli svantaggiati, debbano finire dietro le sbarre, sono l’emblema di un sistema penitenziario fallimentare, che scardina i principi sanciti dalla nostra costituzione, con un chiaro intento politico”. “La mozione che abbiamo presentato oggi in aula, invece, vuole restituire dignità ai carcerati e porre fine a quella che definiamo una vera e propria illegalità di Stato. Degli otto punti di cui il testo si compone - specificano Peduzzi e Nobile - sottolineando, in particolare, la necessità di un Piano di sostegno per l’affidamento terapeutico dei tossicodipendenti, l’attuazione della legge 7/2006 che prevede azioni e iniziative a sostegno dei detenuti, il Fondo di solidarietà per i carcerati in fase di dimissione e soluzioni alloggiative adeguate alle donne con figli piccoli. Chiediamo, inoltre, che venga garantito il diritto alla salute a tutte le persone recluse, in modo equiparato rispetto alla popolazione libera e che vengano adottate misure urgenti per fare fronte al rischio arsenico nell’acqua delle carceri del Lazio”. “Riteniamo - concludono - che esistano due criteri per soddisfare l’esigenza di sicurezza dei cittadini: uno strumentale, che alimenta la paura verso l’altro e che sappiamo essere fallimentare; e l’altro che affronta la questione a tutto campo, puntando in primo luogo sulla sicurezza sociale. È quest’ultima che viene meno laddove dilaga il disagio e il degrado”. Psi: le carceri sono una polveriera pronta ad esplodere “La drammaticità delle condizioni in cui versano le carcerari necessitano di un intervento immediato delle istituzioni affinché i detenuti possano essere in grado di poter usufruire delle qualità di vita necessarie”. Così in una nota il consigliere regionale Psi, Luciano Romanzi. “L’emergenza umanitaria in cui versano i nostri istituti carcerari è drammatica per i detenuti e per coloro che operano all’interno del penitenziario e rende ancora più insicuri i cittadini. Se la politica non interviene con celerità, la situazione potrebbe collassare e non è difficile prevedere conseguenze terribili e incontrollabili dentro e fuori il perimetro carcerario - conclude Romanzi - Auspico, quindi, che si possa arrivare al più presto alla risoluzione del problema e noi socialisti, ci batteremo insieme ai compagni Radicali perché siano rispettati i diritti civili elementari per una società moderna”. Garante detenuti: celle vuote perché manca personale In alcune carceri del Lazio ci sono spazi inutilizzati per mancanza di personale. È quanto è emerso nel corso dell’intervento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ascoltato oggi dal Consiglio regionale del Lazio che ha appositamente interrotto la discussione generale sul problema del sovraffollamento degli istituti di pena. “La polizia penitenziaria soffre di una grave carenza di organico - ha spiegato il Garante dei detenuti - A Rieti, uno dei migliori istituti del Lazio ospita 120 detenuti, quando ne potrebbe ospitare 400. A Velletri c’è un padiglione che potrebbe ospitare 2/300 detenuti ma non viene utilizzato per mancanza di personale”. Marroni ha riferito al Consiglio la situazione delle carceri del Lazio: 6.565 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 4.800, (in Italia oltre 67.000 per 45.600 posti), con situazioni particolarmente critiche, come a Latina, Cassino e Regina Coeli a Roma, dove “ho visto celle per quattro detenuti che ne contengono undici, con letti a castello che arrivano a pochi centimetri dal soffitto”, come ha riferito Marroni all’Aula. “Nuove carceri? Ce n’è l’esigenza anche nella nostra Regione, soprattutto a Latina, a Cassino, ma forse bisognerebbe pensare anche a una nuova Regina Coeli”, ha spiegato Maroni. Sull’ipotesi amnistia, Marroni ha messo in guardia sulla diffusione di un’attesa per qualcosa che poi non si farà. “È pericoloso”, ha detto il Garante dei detenuti che ha ricordato che se è vero che è necessario garantire ai cittadini il diritto alla sicurezza, è altrettanto vero che “la pena deve punire ma deve essere anche utile al reinserimento del detenuto nella società A tale proposito, Marroni ha auspicato lo sblocco delle agevolazioni per favorire l’attività lavorativa dei detenuti e ha posto l’accento sulla formazione professionale, “fondamentale ai fini del reinserimento dei detenuti, come le case famiglia e le comunità terapeutiche”. Firenze: per superare l’Opg è necessario coinvolgere tutte le istituzioni In Toscana, 22 settembre 2011 “Mi auguro che si possa proseguire il percorso di leale collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte - Regioni, ministero di giustizia e istituzioni locali, elemento indispensabile per l’effettivo superamento dell’Opg. Questo è un obiettivo prioritario, in una Regione che per prima ha segnalato in modo forte la necessità di intervenire sulla struttura penitenziaria, ritenuta non idonea. La Regione Toscana è stata la prima a denunciare l’inadeguatezza delle condizioni igieniche dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo, e in questi anni, d’intesa con tutti i soggetti interessati, abbiamo svolto un lavoro per affrontare i punti critici della struttura e migliorare per quanto possibile l’assistenza sanitaria”. È quanto ha detto ieri a Roma l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia, nel corso di un’audizione della Commissione del Senato sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, sul tema dell’Opg di Montelupo. Il Dpcm del 1° aprile 2008 sancisce il trasferimento delle funzioni sanitarie in tutti gli istituti penitenziari (Opg compresi) dal ministero della giustizia al servizio sanitario nazionale. Ma la struttura resta comunque un’istituzione penitenziaria, governata quindi dal ministero di giustizia: la manutenzione dei locali, la pulizia e l’igiene degli ambienti, la gestione della cucina e dei pasti, il servizio lavanderia, l’organizzazione dei servizi alla persona, ecc., non sono di competenza della Regione. “Nonostante questo la Regione Toscana - ha sottolineato l’assessore nel corso dell’audizione - in tutte le sue politiche di sanità penitenziaria, e in particolare per quanto riguarda l’Opg di Montelupo, sta andando ben oltre i compiti istituzionali previsti dal Dpcm. Realmente preoccupati per le condizioni di vita all’interno dell’Opg, abbiamo cercato di migliorare l’assistenza, fornendo, oltre ad aver potenziato l’assistenza sanitaria e psicologica, anche materassi, attrezzature, perfino la carta igienica, e accelerando con risorse proprie la dimissione dei detenuti”. Parallelamente, prosegue il programma di dimissioni. Nel 2010, a fronte di una degenza media di 175 persone all’interno dell’Opg, sono state attuate dimissioni per un totale di 84 persone (ampiamente superiore all’obiettivo di 48 indicato dal Dpcm), di cui 28 pazienti toscani, inviati per il 65% in comunità terapeutica, per il 25% al domicilio proprio o dei familiari, per il 10% in residenze sociali. Nel 2011 sono stati dimessi complessivamente oltre 60 pazienti, di cui 20 toscani; i non toscani hanno fatto ritorno nei propri territori di residenza. Questo lavoro di dimissione ha consentito di ridurre le presenze da oltre 165 (registrate alla fine del 2010) a 124 (dato del 20 settembre 2011). Dopo il passaggio delle competenze, la Asl 11 di Empoli ha arricchito la dotazione organica dell’Opg con ulteriori 9 unità di personale: 2 psicologi, 2 infermieri, 2 operatori socio sanitari, 2 educatori professionali, 1 medico specialista psichiatra. L’assessore Scaramuccia ha elencato alla commissione tutte le iniziative messe in atto dalla Regione per Montelupo (interventi per la prevenzione del suicidio, cartella clinica informatizzata, formazione del personale, ecc.). E ha informato che è in corso un piano di dimissioni di ulteriori 19 pazienti toscani, con progetti individualizzati che saranno completati entro il 2012. Il percorso di reinserimento può prevedere il rientro a domicilio, con programma assistito, oppure il ricovero in comunità terapeutica. Messina: Opg e requisiti minimi di vivibilità, quattro mesi di tempo per l’adeguamento Gazzetta del Sud, 22 settembre 2011 Restano 120 giorni all’ospedale psichiatrico giudiziario “Madia” di Barcellona per “conformare tutti i reparti alla normativa nazionale e regionale in merito di requisiti minimi per le strutture riabilitative psichiatriche”. Un obiettivo assegnato due mesi fa alla direzione dell’Opg dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, nell’ambito del provvedimento che vide tra l’altro il sequestro della sala contenzioni e del Primo reparto e lo sgombero dei 37 pazienti internati. Una meta di fatto irraggiungibile, poiché, come ha ribadito di recente il direttore dell’Opg Nunziante Rosania, il “Madia” resta sostanzialmente un carcere per malati di mente ed è l’unico Opg in Italia in cui l’assistenza è ancora a carico dell’amministrazione penitenziaria e non del Servizio sanitario regionale, per il mancato recepimento del relativo decreto del presidente del Consiglio da parte della Regione. E allora, occorre che il Parlamento si attivi per deliberare il superamento di una situazione di fatto e di diritto che, per molti aspetti, è del tutto incompatibile con i dettami della Costituzione. È quanto ha ribadito ieri il presidente della Commissione, Ignazio Marino, in Senato, replicando all’intervento del ministro della Giustizia, Palma, sul sistema carcerario e sulla situazione in cui versano gli Opg. “La gravità della situazione delle strutture che accolgono i detenuti malati psichici è di una disumanità tale che è ormai inderogabile un intervento riformatore e risolutivo delle enormi carenze e storture di questo sistema. - ha affermato il senatore del Pd. La Commissione è consapevole di avere adottato dei provvedimenti eccezionali esplorando l’articolo 82 della Costituzione fino ai suoi limiti estremi: ma si è assunta tale responsabilità a fronte di una situazione, accertata in sede di indagine, di vera e propria sospensione “de facto” della Costituzione repubblicana. Una situazione che ha turbato lo stesso capo dello Stato, il quale, dopo avere preso visione del documentario realizzato attraverso sopralluoghi a sorpresa presso le strutture, ha parlato di “estremo orrore” e di situazione “incompatibile” con i principi costituzionali. È necessaria una riforma radicale e di sistema, - ha concluso Marino - che importi una abolizione dell’istituto della non imputabilità per vizio di mente”. Il trattamento terapeutico e riabilitativo individualizzato, il recupero e il contenimento della pericolosità fuori dal carcere, il reinserimento sociale sono vie praticabili, come dimostrano le esperienze della Casa di solidarietà e accoglienza di padre Pippo Insana a Barcellona. Ma occorrono modifiche mirate, volte a eliminare le storture della legislazione vigente. Modena: Pd; ridurre le assegnazioni di detenuti al carcere S. Anna Agi, 22 settembre 2011 Ridurre le assegnazioni di detenuti al carcere di S. Anna, in attesa che venga incrementato l’organico degli operatori penitenziari. È una delle richieste avanzate dal sen. Barbolini nell’interrogazione parlamentare presentata al ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma. “Nella drammatica situazione carceraria che affligge il nostro Paese - sottolinea il parlamentare modenese - il carcere di S. Anna di Modena occupa un posto di primo piano: a fronte di una popolazione carceraria di 411 detenuti, quindi con un sovraffollamento di 200 persone, sono chiamati a vigilare 165 agenti (solo rispetto alla capienza standard di 200 detenuti ne occorrerebbero altri 56); con l’apertura del nuovo padiglione il fabbisogno sarebbe di 120 agenti”. Per questo - sostiene Barbolini - ha creato “sconcerto e preoccupazione” tra i rappresentanti dei sindacati di polizia penitenziaria l’assegnazione di soli 9 agenti in più in concomitanza con l’arrivo di altri 150 detenuti. “Occorre inviare un segnale - dichiara l’esponente del Pd - potenziando gli organici degli operatori; adottando misure alternative; facendo in modo che le strutture penitenziarie divengano produttive di beni e servizi; prevedendo la depenalizzazione di reati minori”. Ma anche, conclude Barbolini, “riconsiderando le norme per la custodia cautelare a cui si ricorre talvolta in misura eccessiva, anche con riferimento a soggetti incensurati”. Caltanissetta: ministro Palma; il carcere di Gela sarà aperto… ma non c’è ancora la data La Sicilia, 22 settembre 2011 Ora c’è la certezza che al Ministero di Grazia e Giustizia sono informati che al carcere di Gela non manca l’acqua. E c’è anche un impegno pubblico del Ministro Guardasigilli Nitto Palma a far aprire il carcere. Un piccolo passo avanti ad una settimana dal sopralluogo effettuato dal sindacato Osapp e dal garante per i diritti dei detenuti in Sicilia Salvo Fleres. Mancano, però, ancora due cose fondamentali: la data di apertura che non è stata fissata e come il ministero intende risolvere il problema del personale da assegnare alla struttura. “Il piano straordinario per l’edilizia penitenziaria sarà portato a termine entro il 2013, ma - ha annunciato il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma nel corso della seduta del Senato anziché gli 11 nuovi istituti classici ipotizzati in origine “si provvederà a varare, senza alcun danno per la sicurezza dei cittadini, il progetto di costruzione di carceri a bassa sicurezza in numero di circa 5.000 posti”. Nel tracciare un bilancio di quanto realizzato sino ad ora, Palma ha citato come di prossima apertura il carcere di Gela. Gorizia: ministro Palma; il carcere non chiuderà, sarà ristrutturato con aiuto del Comune Messaggero Veneto, 22 settembre 2011 “Il carcere di Gorizia non chiuderà”. Lo ha assicurato il ministro della Giustizia, Nitto Palma, al sindaco del capoluogo isontino, Ettore Romoli, durante l’incontro svoltosi questa mattina a Roma. “Il ministro mi ha fornito ampie assicurazioni sul mantenimento della casa circondariale di via Barzellini - ha sottolineato Romoli subito dopo l’incontro - e, in tempi brevissimi, esaminerà tutta la pratica per valutare gli interventi più idonei per affrontare la situazione di emergenza in cui la struttura versa”. A questo proposito, proprio in considerazione delle forti condizioni di degrado che interessano l’edificio, il sindaco ha presentato una proposta al ministro volta a fornire una prima, indispensabile risposta a questo problema. “Il Comune di Gorizia - questa la proposta avanzata - potrebbe mettere a disposizione una parte dei fondi necessari a rendere maggiormente vivibile il carcere, per i poliziotti e i detenuti che oggi vivono davvero pesanti disagi. Ciò in attesa della costruzione del nuovo carcere”. Il ministro ha accolto con favore questa disponibilità, riservandosi di approfondire in ogni suo aspetto l’ipotesi al fine di accertarne la percorribilità e, in ogni caso, di individuare una soluzione che affronti il problema. Una volta effettuati tali approfondimenti, in tempi quanto più brevi possibile, il ministro promuoverà un altro incontro con il sindaco per definire la situazione. Padova: al carcere “Due Palazzi” si potenzia offerta culturale Redattore Sociale, 22 settembre 2011 Oltre al corso di storia della letteratura italiana ci saranno lezioni di storia della filosofia e teoria della musica. Il progetto è di Ristretti Orizzonti e dell’associazione “Alice in cerca di teatro”, con il sostegno della Nazionale italiana cantanti. Si amplia l’offerta culturale all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, grazie alla collaborazione tra Ristretti Orizzonti e l’associazione “Alice in cerca di teatro”. Negli scorsi mesi la sinergia ha portato alla realizzazione di un corso di storia della letteratura italiana con annesso laboratorio di scrittura, curato dall’attore Ugo De Vita, esponente del teatro civile. Oggi nel carcere padovano si è svolta la consegna degli attestati di partecipazione ai 12 detenuti e la presentazione ufficiale del libro “Parole dietro le sbarre”, che raccoglie alcuni dei testi elaborati nell’ambito del progetto. Con l’occasione De Vita ha annunciato che l’impegno con l’istituto padovano continuerà e si arricchirà di nuovi contenuti. Un traguardo reso possibile dall’interessamento di uno sponsor d’eccezione come la Nazionale italiana cantanti, di cui oggi ha fatto le veci Marco Masini. “Il progetto è nato circa un anno fa, quando ho portato a Padova lo spettacolo ‘In morte segretà su Stefano Cucchi - ha ricordato De Vita. Da lì è nato il corso di scrittura e il libro, che avrà come prima tiratura 500 copie, con l’obiettivo di stamparne altre mille”. Ora che l’esperienza si è conclusa, le due associazioni sono già pronte a iniziare il nuovo anno accademico. “Grazie alla nazionale cantanti possiamo continuare il progetto introducendo un corso di storia della filosofia e, spero, qualche lezione di teoria e tecnica della musica”. “Per esperienza crediamo molto nell’importanza della cultura in carcere - ha sottolineato Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, perché dà la possibilità di uscire in modo diverso”. In polemica con il ministro Palma, Favero ha colto l’occasione per ribadire le condizioni precarie delle carceri in Italia: “Non si può dire che la capienza tollerabile degli istituti di pena è di 69 mila persone e che quindi c’è spazio ancora per duemila detenuti - ha spiegato - . Il ministro ne parla come se la situazione fosse normale, ma non lo è”. Il problema non è solo il sovraffollamento, ma anche il fatto che “negli istituti di pena ci sono tantissime persone che non fanno niente, nessuna attività” ha ricordato la direttrice di Ristretti. Ospite d’eccezione, Marco Masini ha raccontato di essersi appassionato e perfino “innamorato” del progetto: “Pensare al carcere mi ha fatto venire in mente una limitazione nelle possibilità di esprimersi. Io, che negli anni ‘90 ho cantato il disagio, sono contento di avere avuto la possibilità di venire qui a incontrarvi e guardarvi negli occhi” ha detto ai detenuti. Insieme a lui è intervenuto il direttore della squadra, Gianluca Pecchini: “C’è una partita della vita che si gioca in posti come questi” ha detto, sottolineando che “l’incontro di stamattina è più importante di una partita del cuore, perché abbiamo la possibilità di guardarci in faccia e di ascoltarci”. Il dg ha poi consegnato il pallone ufficiale, lo stendardo della squadra e alcune magliette ai detenuti di Ristretti Orizzonti. Torino: “FumneLab”, quando il futuro riparte dal carcere La Stampa, 22 settembre 2011 Intervista all’ideatrice del laboratorio creativo per detenute aperto anche all’esterno, che riparte questo weekend con i nuovi corsi. Nel carcere Lorusso Cotugno di Torino quindici donne detenute fra i 25 i 55 anni sono impegnate nel progetto FumneLab, una serie di laboratori dove abiti e oggetti usati prendono nuova vita grazie a mani esperte. Per approfondire abbiamo intervistato Monica Gallo dell’Associazione Lacasadipinocchio, ideatrice dell’iniziativa, che riparte sabato 24 settembre e ha il patrocinio del Comune di Torino e il sostegno di Compagnia di San Paolo. Come è nata l’idea del progetto? “Le idee arrivano quando si è abituati ad osservare ciò che succede intorno a noi. Le donne impegnate nel laboratorio de LacasadiPinocchio posseggono buone capacità manuali e sono sempre desiderose di trasmetterle alle compagne di lavoro, soprattutto quando arrivano nuove donne nel gruppo. È una trasmissione di saperi artigianali. Osservando questo fenomeno abbiamo pensato che anche le donne che non vivono una condizione di detenzione avrebbero potuto partecipare a questa scuola e così è nato il progetto FumneLab”. Come è stato accolto il progetto dalle detenute? “Le detenute vivono sempre con grande entusiasmo le nuove iniziative. Questo progetto in particolare è stato accolto con interesse. Vedere, parlare e insegnare alle donne libere ha ridato a queste donne la dignità, percepiscono che il legame con l’esterno non si è spezzato e sentono che stanno restituendo qualcosa. Con questa attività le detenute si sentono non più giudicate ma stimate”. Ha avuto modo di capire quali sensazioni ha provato in passato chi partecipava dall’esterno? “Sì, a giugno, il giorno successivo allo svolgimento del laboratorio, ho ricevuto una mail della signora Maria, che ha ottant’anni e mi ha scritto parole toccanti: ha capito che per queste donne la detenzione, la privazione della libertà, l’allontanamento dalla famiglia servono per una crescita interiore e per progettare fin da ora una nuova vita fuori dal carcere. È emozionate vedere lo scambio vicendevole di esperienze fra detenute e partecipanti esterne, lavorando chiacchierano tutte delle stesse cose: degli affetti, dei figli e della vita”. FumneLab è il primo progetto di questo tipo in Italia… “Sì, le iniziative nei carceri italiani sono tante e la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno è sicuramente molto attiva su questo fronte. La direzione del carcere è attenta e aperta a iniziative che coinvolgono i detenuti ospiti ed in particolare a tutte quelle attività che mirano al reinserimento nella rete sociale attraverso il lavoro. Fumnelab non ha precedenti in Italia: per questa ragione abbiamo avuto la visita delle operatrici di Bollate, che desiderano replicare l’iniziativa e questo è stato significativo per tutte noi”. Quali sono le attività in partenza? “Sabato ripartiamo con i laboratori e ad ottobre porteremo Fumnelab anche fuori dalla Casa Circondariale: i corsi saranno gestiti da ex detenute e si svolgeranno fino a marzo 2012 a Villa Guaita a Collegno. Poi da poco abbiamo aperto il nostro showroom in carcere, dove sono invitati tutti i commercianti di Torino che desiderano rivendere all’esterno gli accessori del brand “fumne”. Torino: tre detenuti minorenni evadono dall’Ipm “Ferrante Aporti” Ansa, 22 settembre 2011 Un seghetto per segare le sbarre, le lenzuola annodate per calarsi in strada: è bastato il più classico degli stratagemmi a tre ragazzini per evadere, a Torino, dal carcere minorile Ferrante Aporti. La vicenda vede come protagonisti un italiano ventenne che stava scontando una condanna per furto, un romeno diciassettenne e un marocchino di sedici anni. Su quanto è accaduto (nella notte tra il 20 e il 21 settembre) sono state aperte due inchieste: una amministrativa, condotta dal Centro per la giustizia minorile, che deve accertare le eventuali responsabilità del personale, l’altra penale, coordinata dalla procura minorile. I tre giovani erano rinchiusi in una struttura che presto non sarà più adibita a carcere: le celle, infatti, troveranno posto in una palazzina dismessa, all’interno dello stesso complesso, la cui ristrutturazione sta per essere completata. “L’episodio - commenta Antonio Pappalardo, dirigente del Centro Giustizia Minorile - è indubbiamente grave e preoccupante”. Il problema, secondo quanto emerge dai primi accertamenti, è dovuto a un limite oggettivo: le sbarre sono senza i requisiti tecnici di sicurezza. “Verranno adottati degli accorgimenti”, dice Pappalardo. L’ipotesi che i tre ragazzi si siano procurati il seghetto nel cantiere di ristrutturazione è già stata scartata: “Fra le due aree non c’è contiguità”, spiega Pappalardo. È più probabile che l’attrezzo sia stato sottratto durante una delle attività di formazione professionale che seguono i giovani detenuti: non a caso, i responsabili del Ferrante Aporti hanno interrotto uno dei corsi Saluzzo (Cn): i Radicali cuneesi alla prima dello spettacolo dei detenuti del Carcere Targato Cn, 22 settembre 2011 Ci saranno anche i radicali Bruno Mellano, Rosanna Degiovanni Gianni Pizzini e Alessandro Rosasco, oggi alle 18 alla prima del nuovo spettacolo realizzato dai detenuti della Casa di Reclusione “Giorgio Morandi” di Saluzzo. Bruno Mellano ha dichiarato: Nella giornata della convocazione straordinaria del Senato della Repubblica per discutere, su iniziativa dei Radicali e su richiesta di circa metà dei senatori, della questione giustizia e dell’emergenza carceri, abbiamo voluto essere vicino alla comunità penitenziaria. Il carcere di Saluzzo è il secondo per grandezza del Piemonte e rappresenta purtroppo in modo perfetto l’attuale situazione carceraria italiana. Oltre 430 detenuti per una struttura dalla capienza prevista di 262, con un sovraffollamento del 65 % a cui si risponde con la costruzione in fase di ultimazione di un nuovo padiglione all’interno della cinta muraria. Per la mancanza cronica del personale, sia amministrativo, che di sicurezza e persino trattamentale per ora nessuna risposta e la previsione dell’ampliamento si pone come la spada di Damocle sulla testa dell’intera comunità penitenziaria e soprattutto delle sue progettualità più innovative. “Allegro ma non troppo - sonate di creazione e di resistenza” è il titolo dello spettacolo che va in scena oggi, prima di una serie di repliche svolte all’interno dell’istituto ed aperte - su prenotazione - al pubblico esterno. Si tratta davvero di una resistenza quella della comunità penitenziaria nel suo complesso: spero che la classe politica sappia riconoscerlo ed intervenire che misure adeguate alla necessità ed urgenza. Lodi: in carcere l’esperienza della Giornata della Gioventù Il Cittadino, 22 settembre 2011 Da Madrid al carcere della Cagnola, per una testimonianza delle difficoltà, dell’impegno e delle speranze che accomunano i giovani di tutto il pianeta. Saranno i racconti di quattro ragazzi protagonisti nello scorso agosto in Spagna della Giornata Mondiale della Gioventù il tema della serata organizzata per oggi alle 20 nel cortile della casa circondariale di Lodi. Un evento offerto dalla direttrice dell’istituto, Stefania Musso, ai detenuti, e che proprio tra i giovani adulti vede rappresentata la quota più ampia della popolazione attualmente reclusa nel carcere. Supportati da un video sull’evento madrileno, i racconti del gruppo di lodigiani che, assieme agli amici dell’area Adda - Ticino, hanno fatto parte dei circa 500 giovani lodigiani presenti a Madrid (su un totale di 2 milioni di ragazzi da tutto il mondo) offriranno dunque non solo una testimonianza su quanto vissuto in Spagna, ma anche l’occasione per riflettere sul momento e sulle prospettive esistenziali della gioventù. Coordinati dal cappellano del carcere, don Gigi Gatti, gli ospiti - relatori si concentreranno sulla ricca esperienza spagnola, Paese nel quale si mescolano orgoglio, inquietudine per il futuro e delusione per alcune promesse infrante. Il tutto nel contesto di una profonda interpretazione del Vangelo, esemplarmente tradotta nell’accoglienza data dal popolo iberico ai ragazzi arrivati per la Giornata della Gioventù; voglia di confronto e di reciprocità, insomma, soprattutto in un periodo nel quale proprio il movimento degli “indignados” simboleggia con la protesta civile il desiderio di riscatto di una gioventù alle prese con la crisi e la disoccupazione. Immigrazione: Cie di Torino; proteste nella notte, 20 stranieri sono fuggiti Ansa, 22 settembre 2011 Rivolta questa notte al Cie di Torino. Dalle prime informazioni risulta che a scatenare la protesta sia stata una manifestazione di appartenenti all’area anarco-antagonista. Secondo quanto riferito, intorno alla mezzanotte, alcune persone hanno cominciato a lanciare numerose palline da tennis all’interno del Centro. Nelle palline c’erano fogliettini che incitavano alla rivolta citando anche gli scontri avvenuti a Lampedusa nella giornata di ieri. Immediatamente si è scatenata la reazione dei detenuti, che hanno cercato di fuggire dalla struttura: in tutto sono una ventina gli stranieri che sono riusciti a fuggire, mentre 10 sono stati bloccati e arrestati. La questura parla di feriti e contusi tra le forze dell’ ordine. In tutto si tratterebbe di 3 agenti e 4 carabinieri. Stati Uniti: Troy Davis è stato giustiziato, inutile l’ultimo tentativo di salvarlo La Repubblica, 22 settembre 2011 Il ricorso per ottenere un rinvio presentato in extremis dalla difesa a poche ore dall’esecuzione è stato rigettato dalla Corte Suprema. Il detenuto è stato ucciso con un’iniezione letale nel carcere di Jackson in Georgia. Dopo una lunga serie di rinvii, sospensioni e ritardi, è stata infine eseguita la condanna alla pena capitale inflitta a Troy Davis, 42 anni, divenuto suo malgrado l’ennesimo simbolo, dentro e fuori l’America, della battaglia contro la pena di morte: in un carcere di Jackson, in Georgia, gli è stata praticata la prevista iniezione letale. A nulla sono servite le manifestazioni a suo sostegno in varie città del mondo e gli appelli di alte personalità per salvargli la vita. Una campagna che ha visto nelle scorse settimane l’adesione di papa Benedetto XVI, dell’ex presidente Jimmy Carter, dell’arcivescovo Desmond Tutu e di molti esponenti politici e personaggi pubblici americani e internazionali. Ancora nelle ultime ore anche il New York Times aveva ammonito che la sua esecuzione sarebbe stata “un terribile errore”. Un portavoce del ministero degli Esteri francese aveva definito “una colpa irreparabile” l’esecuzione; e il Vaticano aveva di nuovo espresso la speranza che la vita del condannato potesse “essere risparmiata”. Una manifestazione si è svolta in serata anche davanti alla Casa Bianca, per ottenere un intervento del presidente. Barack Obama, tramite un portavoce ha però fatto sapere di non voler interferire in una questione “che riguarda le procedure uno stato federato” degli Stati Uniti. Frattanto, Troy Davis è rimasto in attesa, cercando di non lasciarsi andare alla depressione, o alla paura. “Ha un buono stato d’animo, è in pace e prega sempre. Ma ha anche detto che non smetterà di lottare fino al suo ultimo respiro e che la Georgia sta per spegnere la vita di un innocente”, ha raccontato Wende Gozan Brown, un attivista di Amnesty International che ha potuto fargli visita ieri. Davis era stato condannato a morte per l’uccisione nel 1989 a Savannah di un agente di polizia, Mark MacPhail, che seppur fuori servizio era intervenuto di notte in difesa di un senzatetto che era finito al centro degli scherzi violenti di un gruppo di teppisti. All’epoca, Davis aveva 19 anni. La maggior parte di coloro che avevano avviato la campagna per salvarlo sostenevano che, per la scarsa consistenza delle prove a suo carico, avrebbe dovuto avere almeno un altro processo. In particolare, un esperto come l’ex direttore della Cia ed ex giudice William Sessions aveva sottolineato che sulla sua colpevolezza c’erano “seri dubbi, alimentati da ritrattazioni di testimoni, accuse di coercizione da parte della polizia, e mancanza di serie e concrete prove”. Tutti argomenti che hanno portato per quattro volte, dal 2007, a rinviare l’esecuzione. L’ultima volta, per appena tre ore e mezza, ancora questa sera, per dare alla Corte Suprema il tempo di esaminare e respingere l’ultimo disperato ricorso della difesa. Uno stillicidio. “Il trattamento riservato a Troy Davis - sostiene Brian Evans di Amnesty - si può paragonare alla tortura, soprattutto quando più volte si è trovato a poche ore dalla morte, dopo aver già dato i suoi ultimi addii”. Questa volta l’incontro con il boia per Troy Davis è però infine arrivato. Inesorabile. Ungheria: rom ai “lavori forzati”, iniziativa choc in nome della discriminazione etnica di Luigi Offeddu Corriere della Sera, 22 settembre 2011 Budapest approva l’apertura di cantieri di “pubblica utilità”. Tenuti a prestare la propria opera sottopagata per non perdere i sussidi. Si chiamava Hoherweg, era guardato da poliziotti e cani, stava alla periferia della Dusseldorf nazionalsocialista nel 1935. Ed era un rione intero appositamente costruito per i rom della città, costretti a lavorare nelle vicine vetrerie di Gerresheim, a posar binari dei treni, a tagliare tronchi. A sentire il borgomastro locale, quello era un esperimento di grande utilità sociale. Prima di trasferirsi ad Auschwitz o Treblinka, Hoherweg si duplicò poi a Colonia, Francoforte, Salisburgo. E 76 anni dopo anche a Gyòngyòspata, Ungheria, Unione Europea? La Commissione Europea afferma di non saperne nulla. Ma nei movimenti antirazzisti di mezzo continente, qualcuno se ne dice certo. Perché a Gyòngyòspata, secondo un progetto già approvato dal Parlamento ungherese, molti disoccupati che vivevano di sussidi pubblici oggi zappano, puliscono strade, tiran su mattoni Fatte salve le ovvie differenze storiche e ideologiche, un altro esperimento sociale: e giacché in Ungheria la disoccupazione è alta soprattutto fra i nomadi rom, è rom la grande maggioranza di quegli improvvisati lavoratori. Anzi, quasi tutti: Gyòngyòspata è zona tradizionale per i loro accampamenti, e proprio per questo è spesso percorsa dalle marce paramilitari di Jobbik, il movimento dell’estrema destra nazionalista che controlla la municipalità locale. I militanti sfilano tra fiaccole fumiganti e grida di “zingari assassini”. E proprio come quelle grida, dice l’opposizione socialista, anche l’esperimento del lavoro quasi - obbligato prende di mira i nomadi o quasi soltanto loro, può essere sospettato di avere motivazioni etniche. I rom di quei cantieri ricevono un salario inferiore o pari a quello sociale minimo. Alcuni vivono in prefabbricati. Alami devono accettare di viaggiare fino a 3 ore per raggiungere il proprio luogo di lavoro. Che non è, formalmente, lavoro forzato: loro non vivono in cella, non sono obbligati a fare ciò che fanno. Ma se non lo facessero, perderebbero il diritto ai sussidi. E comunque, intorno ai loro cantieri, passeggiano dei poliziotti, in pensione e no. Un po’ come dire: chi lavora, mangia; e chi mangia, deve per forza lavorare. L’altro ieri, un filmato della televisione belga ha mostrato i rom all’opera con zappe e badili, proprio in quei luoghi. Vecchi, malati, e genitori con bambini, sono esonerati dai turni. Ma gli altri, no. Sono già un migliaio, quelli “arruolati” a tempo pieno, circa 8 ore al giorno. Tutto il piano, esteso su scala nazionale, secondo gli intendimenti dovrebbe arrivare a coinvolgere qualcosa come 300 mila persone. Un primo annuncio di questo progetto era circolato in estate dopo la visita a Budapest del primo ministro cinese Wen Jiabao, giunto a far compere di titoli di Stato e grandi appalti magiari. E questa, a qualcuno, era parsa qualcosa in più di una coincidenza: forse non è molto diverso, il concetto di lavoro nei mega cantieri del rosso impero.