Omicidio stradale, nuovi reati e nessuna prevenzione Il Mattino di Padova, 20 settembre 2011 Omicidio stradale. Già le pene per gli omicidi colposi sono state di recente enormemente aumentate, ora si pensa di introdurre questo nuovo reato, ancora una volta spostando il problema dalla prevenzione alla galera. Il nostro è il Paese che in Europa spende meno di tutti per prevenire gli incidenti educando le persone a una guida responsabile, ma di questo si parla pochissimo, mentre imperversano le trasmissioni televisive che mettono il microfono davanti a un padre o a una madre che hanno appena perso un figlio, ucciso sulla strada, e incitano alla rabbia e alla vendetta, invece di tentare un ragionamento sul fatto che il carcere non serve a niente, in questi casi, servono pene alternative, lavori socialmente utili magari proprio al Pronto Soccorso, “a tu per tu” con la sofferenza provocata guidando da irresponsabili. Non è in galera che si impara a guidare responsabilmente Il giorno di Ferragosto, mentre decine di deputati visitavano le carceri strapiene, al Viminale, il ministro dell’Interno Maroni e il Guardasigilli Nitto Palma tenevano una conferenza stampa in cui prendevano un impegno solenne: “Introdurremo il reato di omicidio stradale”. Per i due ministri è un intervento utile ad affrontare il grave problema degli incidenti stradali. Il grave problema è emerso con particolare forza dopo che, due giorni prima, in Liguria, un albanese guidando contromano sotto effetto dell’alcol, aveva causato un incidente in cui erano morti quattro turisti francesi. È innegabile che gli incidenti stradali in Italia sono tanti. La cronaca dei fine settimana spesso restituisce numeri di persone morte talmente alti, che assomigliano a racconti di guerra. Una tragedia collettiva che strazia i famigliari dei protagonisti e ferisce la cittadinanza. Ma la soluzione è davvero la galera? Già altri episodi simili di cronaca avevano suscitato recentemente reazioni di questa natura, e reso più pesanti le pene. E ora, secondo la legge vigente, chi provoca un incidente sotto gli effetti dell’alcol, o di sostanze stupefacenti, uccidendo qualcuno, rischia fino a quindici anni di carcere. Eppure sono ancora tante le persone, giovani soprattutto, ma non solo, che si mettono alla guida del proprio mezzo di trasporto dopo aver bevuto. E sono ancora troppi quelli che poi finiscono in un canale, oppure arrivano qui, in galera. Dove tutto si può imparare, salvo guidare più responsabilmente. Infatti, le carceri italiane, oggi più che mai, sono diventate invivibili, e le pene di conseguenza sempre più spesso vuote di senso. Negli ultimi dieci anni sono state introdotte decine di leggine con i pacchetti sicurezza, che aggravano le pene, e le carceri scoppiano: perché si fa presto ad entrare in galera e molta fatica ad uscirne. Marco Panella ha interrotto il suo lungo sciopero della fame e della sete perché il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha riconosciuto pubblicamente il dramma delle condizioni di vita dei detenuti e ha invitato il Governo a prendere le misure necessarie per riportare le carceri alla normalità. Qui, in carcere, abbiamo accompagnato lo sciopero di Panella con diverse forme di protesta - battitura delle sbarre, rifiuto del vitto o della spesa, scioperi della fame - tanto che il discorso del presidente Napolitano era stato seguito da una esplosione di padelle battute contro le inferriate, con grida e abbracci, come se ormai quello fosse il segnale certo che le cose sarebbero sicuramente cambiate. Invece, nulla. Il capo del Governo non ha detto una parola in merito, qualcuno è corso a precisare che non ci sarebbe stata nessuna amnistia, e nessun indulto, e ora si ritorna a parlare di introdurre nuovi reati. Come se non ci fossero già abbastanza reati che stanno riempiendo le carceri; come se non fosse chiaro che la galera non è un deterrente, anzi, se sovraffollata, diventa una fabbrica di delinquenti. Sandro Calderoni Quell’industria dell’odio che alimenta il giustizialismo Un albanese che guidava ubriaco ha causato la morte di quattro giovani sulla strada delle vacanze. Una tragedia terribile per quelle famiglie, ma ormai i mezzi di comunicazione ci hanno abituati a sentir parlare di morte: i soldati che perdono la vita nelle zone di guerra e i terroristi uccisi; i delinquenti che si ammazzano tra di loro per le strade, di notte, e gli immigrati che annegano con i loro barconi, a decine; gli uomini che si trasformano in mostri e massacrano le loro donne, oppure le madri che uccidono i figli appena nati. E gli omicidi che imperversano da mesi nelle trasmissioni televisive, entrando quotidianamente nelle case degli italiani. Così il dolore per la morte, in un incidente, di quattro turisti sarebbe stato assorbito in fretta da un’Italia che riposa al mare. Ma la notizia del giorno è che l’albanese “è stato subito messo in libertà”. Sembra che quella scarcerazione sia il vero dramma che supera ogni tragedia, e disturba perfino le vacanze. Scandalo. I giornalisti si domandano come mai sia uscito, l’albanese. I magistrati ricordano le garanzie elementari dei cittadini di fronte al processo, spiegando che non c’erano ragioni per fargli attendere il processo in carcere, visto che non era un criminale, ancora, l’albanese. Ma il ministro degli Interni si è indignato, di fronte alle telecamere. E allora, c’è stato un riesame della vicenda. Qualcuno ha cominciato a dire che l’albanese aveva guidato ubriaco anche altre volte, che aveva un carattere propenso alla violenza, che era pericoloso, e quindi richiedeva una misura estrema, la custodia cautelare in carcere. Il giorno dopo, c’era il periodico summit sulla sicurezza, e questo incidente stradale si è rivelato un ottimo argomento su cui focalizzare l’attenzione della gente e mostrare l’anima propositiva del Governo. È sparito il problema dell’immigrazione, il problema della mafia, il problema dei rifiuti. Ed è sparito anche il problema delle carceri sovraffollate. L’ordine pubblico in Italia è gestito bene, dice il ministro. Il solo problema pare essere l’ubriaco albanese che è uscito di galera. Una cosa inaccettabile: più difficile da accettare della morte stessa. Noi, detenuti garantisti per coerenza, o forse per convenienza, sappiamo che solo nel caso di reati gravi, l’accusato dovrebbe attendere il processo in carcere. Altrimenti si entra in carcere a scontare gli anni stabiliti da una sentenza di condanna. Tuttavia, tanti appassionati di serie televisive americane sanno benissimo che anche nel Paese della tolleranza zero, uno può pagarsi una cauzione e attendere il processo fuori dal carcere. E questo non è mai vissuto come un dramma. Anzi, molti criticano il fatto che far pagare una cauzione rischia di escludere i poveri da un diritto che dovrebbe essere uguale per tutti. Però, se la scena si sposta in Italia, e se il sospettato è rom, o straniero, allora ci si scandalizza se non viene subito chiuso in carcere e buttata via la chiave. A quel punto ci si sente legittimati a sparare a zero contro gli immigrati, contro i tossicodipendenti, contro i giudici, senza mai neppure lontanamente pensare che potrebbe capitare, e capita spesso, a un bravo ragazzo italiano di mettersi alla guida senza la lucidità necessaria e provocare un tragico incidente. E questo grido collettivo, questa rabbia sempre in cerca di un nemico da odiare, si trasforma spesso in una proposta di legge, che poi viene infilata all’interno di un decreto, e in poco tempo va ad aggiungersi a quei macigni normativi che hanno fatto dell’Italia il Paese con il Codice penale più severo d’Europa, e qui in carcere intanto si aggiungono altre brande. Mentre noi detenuti ci stringiamo per fare posto ai nuovi arrivati, aspettando di vedere chi sarà il prossimo a togliersi la vita, abituati ormai anche noi ai nostri morti, che sono destinati ad essere dimenticati più in fretta degli altri. Elton Kalica Giustizia: domani il Senato, in sessione straordinaria, affronta l’emergenza carceri Adnkronos, 20 settembre 2011 Una “realtà disumana che ci umilia in Europa”, per dirla con le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che è tornato a lanciare l’allarme sull’emergenza del sovraffollamento nelle carceri italiane in occasione di in un convegno organizzato a fine luglio dai Radicali. Emergenza dai numeri drammatici, quasi 67mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45.681, alla quale è dedicata domani una sessione straordinaria del Senato, che sarà aperta la relazione del ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma. Una relazione nella quale, ha annunciato nei giorni scorsi il ministro, la questione del sovraffollamento carcerario sarà illustrata nella sua interezza e con l’obiettivo di adottare soluzioni nel rispetto sia della compatibilità politica, sia del diritto dei cittadini alla sicurezza. E mentre l’Aula discuterà di analisi e proposte, fuori da Palazzo Madama, a Piazza Navona, è stato annunciato un sit-in dei Radicali per spingere il Parlamento all’unica soluzione ritenuta utile, l’amnistia, da sempre invocata da Marco Pannella, che prospetta il ricorso contro lo Stato se non sarà presa in considerazione. Quella stessa amnistia che al contrario il neo Guardasigilli considera “una soluzione che non ha compatibilità politica” e che ha invece già avviato un tavolo di lavoro sulla depenalizzazione, aperto a operatori e tecnici, con l’intenzione di portare entro un mese un disegno di legge in Consiglio dei ministri. Quella sull’amnistia sembra dunque una battaglia non destinata ad avere grande seguito se è vero che già nel convegno organizzato a fine luglio dai Radicali era stata da più parti sottolineata, in modo trasversale, la necessità di ricorrere piuttosto a interventi strutturali, che passino attraverso la depenalizzazione dei reati minori, la costruzione di nuove carceri, e una modifica alle modalità di ricorso alla custodia cautelare, considerato che il 50% dei detenuti è in attesa di giudizio. Valutazioni sulle quali pesa in parte anche il giudizio negativo sui risultati dell’ultimo indulto, quello del 2006, considerato non risolutivo, perché ridusse drasticamente il numero dei detenuti, che però nell’arco dei due anni successivi tornò a crescere, fino ai numeri di oggi. Alla vigilia dell’appuntamento al Senato, al Guardasigilli arriva anche la sollecitazione dei sindacati di Polizia Penitenziaria, che dell’emergenza carceri sono protagonisti e testimoni quotidiani, e che hanno chiesto a Palma interventi immediati, pena l’implosione dell’intero sistema. Giustizia: Pannella e Bonino; amnistia non negoziabile, è l’unica via contro l’emergenza Ansa, 20 settembre 2011 In una conferenza stampa, Marco Pannella ha annunciato che, a partire da martedì 20 settembre darà nuovamente avvio allo sciopero della fame e della sete. A spingerlo all’ennesima protesta estrema continua ad essere la situazione delle carceri italiane e della giustizia. L’annuncio è arrivato, non a caso, alla vigilia della seduta straordinaria al Senato sulle carceri nella quale i Radicali chiederanno che venga approvato il documento che fissa tempi certi per l’approvazione del provvedimento di amnistia. “L’amnistia è l’unico strumento atto a interrompere la violazione sistemica della legge da parte dello Stato. L’amnistia non è negoziabile ha detto Marco Pannella in conferenza stampa - L’autoconvocazione del Senato serve a dimostrare che qualcosa si muove per interrompere la flagranza di reato contro il popolo”. Pannella, a difesa della sua tesi, ha chiamato in causa il presidente della Repubblica: “Non è un fatto privo di importanza che anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano senta la prepotente urgenza di fare qualcosa per la giustizia italiana”. Accanto al leader dei Radicali, da sempre in prima linea in difesa dei diritti dei detenuti, anche ‘onorevole Emma Bonino che ha confermato come il problema del sovraffollamento sia divenuto “insostenibile”. Il vice presidente del Senato difenderà le posizioni radicali nella seduta di domani, richiamando l’attenzione sulla “situazione della malagiustizia italiana” ormai divenuta intollerabile. Pannella, tuttavia, si dimostrato fiducioso nei confronti della sensibilità del nuovo ministro della Giustizia: “Nitto Francesco Palma mi sembra più attento al problema delle carceri ha detto Pannella - ha visitato molte più volte alcune carceri, rispetto all’ex ministro Angelino Alfano”. L’amnistia, secondo i Radicali, non è “negoziabile”, è l’unico strumento capace di portarci fuori dall’emergenza dietro le sbarre al momento. E a quanti bloccano il provvedimento, definendolo una scorciatoia per i problemi del premier, Pannella ha risposto: “Amnistia per tutti. Siamo arrivati a un punto per cui se tutti questi processi vanno avanti saremo appestati ancora a lungo”. Giustizia: Cento (Sel); sostegno a Pannella per battaglia su amnistia Agi, 20 settembre 2011 Esprimo innanzitutto piena solidarietà e sostegno miei e di Sel a Marco Pannella e alla sua capacità ancora una volta di cogliere una questione di legalità oggi è dominante rispetto a tutte le altre questioni di legalità. Il sistema carcerario vive una profonda illegalità permanente sia per la quantità dei detenuti che per la qualità pessima della detenzione”. Lo ha detto a Radio Radicale l’esponente di Sel Paolo Cento, a commento dello sciopero della fame e della sete di Marco Pannella. “L’amnistia non solo è uno strumento assolutamente legittimo previsto dalla Costituzione per affrontare questa emergenza, ma anche forse l’unico strumento capace di portare l’Italia fuori dall’uso politico della giustizia che viene fatto a destra come molto spesso anche a sinistra, di cui Berlusconi non solo è soggetto passivo ma anche attivo - ha aggiunto. Se il Parlamento vuole conquistare dignità e diritto a legiferare fino alla fine della legislatura e non a sopravvivere, come oggi appare ai più, deve impugnare la battaglia dell’amnistia e trasformarla in uno strumento legislativo così come previsto dalla Costituzione”. Giustizia: Antigone: il Parlamento ora deve rimediare ai propri errori Adnkronos, 20 settembre 2011 “Spero che domani in Senato non si assista solo ad un bel dialogo ma si faccia di tutto per uscire da una situazione delle carceri vergognosa, dovuta ai troppi errori fatti in questi anni dalla classe politica”. Lo dice all’Adnkronos Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, a proposito della sessione straordinaria in Senato di domani sulla situazione delle carceri, sottolineando inoltre come sia necessaria, per risolvere il problema sovraffollamento, la depenalizzazione di alcuni reati oltre all’utilizzo di tutte le strutture carcerarie esistenti ma non utilizzate. “La legge sulle droghe, l’ex Cirielli dovrebbero essere riviste e depenalizzate: in questo modo - continua - si riuscirebbe a diminuire in modo considerevole il numero di reclusi all’interno degli istituti penitenziari. È inoltre doveroso che la politica cerchi di sfruttare al meglio le risorse che già ha: nel nostro Paese - prosegue - ci sono molte strutture non utilizzate e altre, come quella a Spinazzola in Puglia, chiuse senza motivo”. “È inoltre necessario rafforzare le strutture e le forme di reinserimento sociale dei carcerati. Tutte le riforme infatti sarebbero inutili - conclude - se non si permette a chi è stato recluso di reinserirsi all’interno della società”. Giustizia: Di Giovan Paolo (Pd); accelerare sul fronte delle misure alternative al carcere Adnkronos, 20 settembre 2011 “Bisogna accelerare sul fronte delle misure alternative al carcere, soprattutto per quanto riguarda i reati collegati alla tossicodipendenza e alla violazione della legge sull’immigrazione”. È quanto chiede il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, presidente del Forum per la sanità penitenziaria. “Tra l’altro - aggiunge l’esponente del Pd - va riproposto il tema della riforma della sanità penitenziaria, non recepita ancora da tutte le Regioni, perché in carcere si può morire anche per scarsa qualità delle cure nonostante l’impegno di tutti gli operatori in campo. Abbiamo passato un’estate a parlare di rimedi per il sovraffollamento - conclude - ora bisogna passare ai fatti”. Giustizia: Marino (Pd); domani il Senato si occupi anche degli Opg, posti disumani Agi, 20 settembre 2011 Domani, nel corso della sessione straordinaria dei lavori del Senato, dedicata all’emergenza delle carceri, si parlerà anche degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg). Ignazio Marino, presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Ssn illustrerà il lavoro svolto negli ultimi 18 mesi e le misure adottate fino a questo momento. “Presenterò al ministro della Giustizia - afferma Ignazio Marino - le motivazioni che hanno portato la Commissione d’inchiesta a decidere all’unanimità del sequestro con ordine di sgombero di alcune parti degli Opg di Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. Sono strutture carenti da ogni punto di vista e caratterizzate dalla pressoché totale assenza di condizioni igieniche sanitarie. Non è accettabile privare dei diritti umani basilari, e violare così le regole scritte nella nostra Costituzione, delle persone che soffrono di gravi disturbi mentali anche se sottoposte a misure di restrizione della loro libertà. La salute e la dignità devono essere garantite a tutti”. Giustizia: Osapp; il Senato si pronunci concretamente il 21 settembre Comunicato stampa, 20 settembre 2011 “Con oltre 67mila detenuti presenti in soli 45.646 posti, con 9 regioni su 20 (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Veneto e Valle d’Aosta) che hanno superato persino le capienze massime tollerabili e con la di Polizia Penitenziaria che ha perso 1.300 unità solo nell’ultimo anno per una carenza complessiva di 7.700 addetti sul territorio nazionale e pari al 20% dell’organico è di vitale importanza che nell’auto-convocazione di domani 21 settembre del Senato della Repubblica, non si perda tempo in polemiche di schieramento o personali e si valutino, invece, proposte concrete e celeri.” Inizia con tali affermazioni l’appello dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) a firma del segretario generale Leo Beneduci, indirizzato al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma e ai Capigruppo di entrambi i rami del Parlamento. “Come sindacato di polizia non riteniamo possa precludersi al confronto parlamentare alcuna delle ipotesi di intervento risolutivo. a partire dall’Amnistia e riguardanti la depenalizzazione dei reati minori, il potenziamento delle misure alternative e un più limitato ricorso alla custodia cautelare in carcere - prosegue il sindacalista - purché si valuti anche che ogni settimana di ulteriore silenzio della politica e delle istituzioni significano: 250 nuovi ingressi, 12 aggressioni, 4 risse, 10 tentati suicidi sventati e 1 portato a termine nei penitenziari italiani.” “Ma non deve neanche sottovalutarsi che, come i significativi esempi anche recenti dimostrano da Rieti a Trento, da Piacenza a Velletri per arrivare a Gela - indica ancora il leader dell’Osapp - un sistema penitenziario di sola edilizia e senza personale, ovvero in cui sono costretti ad operare pochi poliziotti penitenziari privi di organizzazione e di ruolo, gestiti in maniera approssimativa nell’amministrazione centrale, è destinato a fallire miseramente qualsiasi possibile risultato per la migliore sicurezza dei cittadini”. “Soprattutto - conclude Beneduci - il Guardasigilli e il Parlamento non dimentichino, oltre ai problemi del sovraffollamento e della promiscuità e antigienicità dei penitenziari per la popolazione detenuta che i poliziotti penitenziari hanno raggiunto, nelle attuali e del tutto illegali carceri italiane, il massimo della sopportazione e della fatica, dopo avere da tempo superato i limiti del rischio e del sacrificio”. Giustizia: Moretti (Ugl); da dibattito Senato arrivino proposte efficaci Italpress, 20 settembre 2011 “Ci aspettiamo che dalla discussione di domani al Senato arrivino proposte valide che possano essere tempestivamente attuate per risolvere l’emergenza carceri”. Lo dichiara Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, in vista della sessione straordinaria dedicata da Palazzo Madama all’allarme sovraffollamento, che sarà aperta dalla relazione del ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma. “L’attenzione dimostrata dal Guardasigilli alle problematiche degli istituti penitenziari - spiega il sindacalista - rappresenta un importante segnale di apertura verso la soluzione dell’emergenza, ma occorre concretezza e rapidità, perché se da un lato è condivisibile la scelta di seguire strade diverse da quella dell’amnistia, dall’altro il percorso dei provvedimenti di depenalizzazione potrebbe richiedere tempi indefiniti che il sistema carcerario non può attendere”. “Anche la manifestazione che l’Ugl Polizia Penitenziaria ha indetto per il 22 settembre insieme alle altre sigle sindacali rappresentative della categoria - prosegue Moretti - è espressione del nostro impegno verso una continua sollecitazione delle istituzioni affinché adottino provvedimenti che non cadano nel nulla, come accaduto per il piano carceri, fino ad oggi non ancora attuato”. “L’appello che lanciamo al parlamento, alle autorità e a tutti i partiti politici - conclude il sindacalista - è di mettere da parte divisioni e logiche di schieramento per affrontare responsabilmente l’emergenza carceri e, in tale contesto, garantire quanto prima soluzioni urgenti sia nei confronti del sistema penitenziario che del personale”. Giustizia: per dire “basta” ai mostri sbattuti in prima pagina di Valentina Ascione Notizie Radicali, 20 settembre 2011 “Guardi che io, appena fuori da qui, voglio trovare un lavoro e vivere finalmente da persona onesta. Ma per noi mica è facile trovarne uno! Chi è disposto a dare un posto a uno come me? E senza un lavoro come faccio a campare, come posso mantenere la mia famiglia?”. È questa la più grande preoccupazione di un detenuto - da nord a sud, italiano o straniero che sia - davanti alla prospettiva di una libertà finalmente riconquistata. Chi ha vissuto la detenzione, magari in violazione della legge e dei più elementari diritti umani, come accade nel nostro Paese. In dieci in una cella con i letti a castello di quattro o cinque piani, senza doccia ma con il cesso a vista e a pochi centimetri dal lavandino dove ci si lava il viso, i vestiti e la verdura. Chi ha conosciuto il carcere in queste condizioni ha una sola certezza: quella di non volerci tornare. Il carcere, però, te lo porti dietro anche quando ne esci. Come una fama, cattiva, ti precede e ti segue; ti attende dietro le porte a cui busserai, perché hai deciso che mai più ne scassinerai una. Te lo porti dietro, sì, come un segno particolare sulla carta d’identità. E dentro, come un segno indelebile sulla strada ancora da percorrere. E se per un detenuto “ignoto” è difficile riappropriarsi di un posto in società, una volta tornato libero, tanto più lo sarà per chi, suo malgrado, si è reso protagonista di casi balzati agli onori della cronaca. Messo alla sbarra del più severo dei tribunali: quello mediatico, che spesso e volentieri infligge condanne senza processo, né appello. E stenta ad archiviare le colpe, anche quando lavate dalle pene. L’informazione può svolgere un ruolo delicatissimo nelle vicende giudiziarie di interesse pubblico. Un ruolo che può rivelarsi determinante quando, estinto il profilo pubblico, non restano che le vite private. Da ricostruire. È anche per questa ragione che gli Ordini dei giornalisti di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto hanno promosso la Carta del carcere e della pena: un codice di autoregolamentazione per garantire un’informazione corretta, priva di pregiudizi e con termini appropriati, ogni qual volta si parli di carcere e detenuti. Per garantire il diritto all’oblio, ad esempio, o evitare di scatenare un allarme sociale del tutto ingiustificato in caso di scarcerazioni, misure alternative alla detenzione o benefici previsti dalla legge. Per dire basta, dunque, ai mostri in prima pagina. Se è vero che quell’immagine, vergognosa, di Enzo Tortora in manette ci ha insegnato qualcosa. Lettere: la vista non è un optional.. di Bruno Aliberti (Medico Incaricato Presidio Sanitario Penitenziario Asl/Av) Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2011 Dopo aver letto l’articolo del 1 settembre, “le auto blu dei dirigenti” e le varie polemiche da esso derivate, ho capito che per alcuni personaggi, la vista è un optional; hanno aperto gli occhi, denunciando lo sperpero di denaro pubblico per l’acquisto di auto dispendiose per alti dirigenti del Dap, peraltro quest’ultimi, senza incorrere in alcun reato, mentre sono stati ciechi per decenni, non denunciando chi, con l’auto dell’amministrazione, si è recato addirittura al mercato rionale per acquisti o, cosa ancora più grave, ha considerato il carcere casa propria, (a casa mia!!!) arrogandosi compiti ed attribuzioni al di fuori dei limiti posti dall’ordinamento giuridico e dallo Stato democratico. Nei lunghi anni trascorsi (professionalmente) negli istituti penitenziari, il sottoscritto benché dotato di un visus naturale, considerato nella norma, ha potuto vedere e, quindi denunciato vari comportamenti anomali perpetrati nella pubblica amministrazione, proprio da dirigenti dello stato; non ultimo, l’impiego di un medico presso il Presidio Penitenziario di Avellino, in violazione di norme che sanciscono una secca incompatibilità (fino alla decadenza) per chi frequenta corsi universitari di Specializzazione in Medicina. Sembra che anche nella nostra provincia vige il motto “Tengo Famiglia”, libro denuncia di una parentopoli nazionale. Difatti negli anni, mentre alcune direzioni si sono prodigate con passione ed abnegazione per migliorare la vita all’interno degli istituti penitenziari, come ad esempio la creazione di “Case famiglia” per tenere fuori dal carcere i bimbi, figli di donne detenute, problema molto attuale, altre direzioni sono state impegnate nel realizzare invece una “Casa per familiari” dove hanno lavorato e lavorano il figlio di un dirigente, la moglie di un autista, la figlia e la moglie di un sottufficiale, il marito di una impiegata; addirittura un posto di lavoro è stato tramandato da padre a figlio. Per questa parentopoli occulta, non vi è stata nemmeno un bando di pubblico concorso. Risultato di queste denunce: i responsabili di questi comportamenti, oltre a non essere (almeno) rimossi, continuano a gestire la cosa pubblica, (ancora con l’auto di servizio) sicuri di essere immuni a qualsiasi nefandezze, denunciando addirittura per calunnia, chi nel cercare di difendere un diritto leso, ha avuto il coraggio di rendere di dominio pubblico i vari misfatti, di un mondo “ il carcere “, che per sua strutturazione, è un mondo isolato e, per molti versi, impenetrabile alla società esterna. La citazione del Guicciardini si addice molto a questi personaggi: “Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, afferma quello che tu vuoi che si creda”. Lazio: carceri in emergenza, tra sovraffollamento, suicidi e autolesionismo di Annarita Carbone Il Tempo, 20 settembre 2011 Non storie di ordinaria follia, ma storie di ordinaria inciviltà quelle che trapelano dalle carceri Italiane. In Italia il numero delle morti in carcere registrate nel primo semestre 2011 rischia di battere il terribile record di 186 decessi avvenuti nel 2010. Nei primi 6 mesi di quest’anno nelle carceri italiane hanno perso la vita già 100 detenuti: 32 si sono suicidati; dei rimanenti 68 (età media 35 anni) circa la metà è deceduta per “malori improvvisi” legati a disfunzioni cardiache, respiratorie o altro. 23 le morti dovute a cause ancora da chiarire. Rispetto alle cifre nazionali, il numero dei suicidi nel Lazio, aggiornato al 13 settembre, è già altissimo, con ben 8 vittime. E il problema non riguarda solo i detenuti: il 15 maggio scorso un agente di polizia penitenziaria di Viterbo, 42 anni, si è tolto la vita sparandosi nello spogliatoio del carcere. Oltre ai decessi, emergono poi episodi sintomatici di disagi estremi: il 15 settembre scorso un detenuto ha praticato autocannibalismo tagliandosi e mangiando i lobi delle orecchie. Si tratta di L. G., 34enne originario di Latina che, a causa del sovraffollamento del carcere della sua città, è stato trasferito a Viterbo. È detenuto per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti dal luglio del 2010. Arrestato a Terracina, si trova dove non dovrebbe, lontano dalla sua famiglia in un penitenziario affollato anche da detenuti sottoposti al regime 41 bis. Non vi è però ancora la certezza che si sia trattato di un segno di protesta. Già in passato infatti, l’uomo aveva manifestato comportamenti preoccupanti, tant’è che il suo status mentale sarebbe stato considerato incompatibile con il regime carcerario. E incompatibile con la detenzione avrebbe dovuto essere anche Sergigme Shoiibou senegalese, 30 anni, anche lui morto nel carcere di Viterbo. Prima di essere arrestato era stato operato alla testa per asportare un ematoma dal cervello che gli causava frequenti crisi epilettiche. Per questi motivi l’uomo era privo di parte della calotta cranica ed era sottoposto a cure continue. Eppure stava scontando una pena di soli sei mesi, evidentemente reo di un crimine non particolarmente grave. Fa rabbrividire il dossier “Morire di carcere” redatto dall’Associazione Ristretti Orizzonti di Padova che elenca i detenuti morti nelle carceri italiane dal 2000 al 2011. Una lugubre lista composta da ben 1.800 nomi. Viterbo: il carcere è una polveriera, mancano agenti, fondi e mezzi “Vogliamo più fondi, strutture, uomini e mezzi”. Queste, in sostanza, le richieste che ieri hanno gridato a gran voce i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria della casa circondariale di Mammagialla nel corso del sit-in di protesta di fronte alle porte del carcere viterbese. “La situazione del carcere è ormai invivibile per quanto riguarda la sicurezza - afferma Gino Federici della Cgil - Su 500 unità di agenti che dovremmo avere siamo in 293 con una popolazione detenuta di 750 unità, quando il carcere ha una capienza di 444 posti. Il grosso problema è rappresentato dagli psichiatrici e dai detenuti di alta sicurezza, che hanno a Viterbo forti agganci con il territorio”. Luca Floris del Sappe rimarca l’assenza del direttore. “Ora il Dap - aggiunge - dovrebbe inviare 88 agenti per il Lazio e lì a Roma si giocherà una partita importante”. “Il problema carcere - ribadisce Andrea Fiorini della Cisl - non va guardato come a se stante rispetto alla città. È necessario che le istituzioni cittadine intervengano con i propri mezzi. Non dimentichiamo poi che il mandato del vicario del direttore scade il 31 dicembre”. Oltre alle carenze strutturali del carcere a causa del sovraffollamento, Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, evidenzia la grande mole di lavoro che gli agenti, in sotto organico, devono svolgere senza alcuna gratificazione. “Questo istituto necessita di un’attenzione continua e di un direttore - afferma Moretti - Non ci sta bene che per tutto il Lazio ci saranno 88 nuovi agenti e che Viterbo ne prenderà solo 10. Chiediamo, quindi, un contingente diverso ed una diminuzione di almeno 100 detenuti ed anche un intervento economico delle istituzioni territoriali”. “Chiediamo una direzione effettiva - aggiunge Margherita De Cesare, segretario generale dell’Ugl - più fondi, più risorse e più sicurezza. La nostra presenza qui oggi è un invito a tutte le istituzioni affinché intervengano”. Per Giuseppe Proietti, segretario generale Osapp, la cosa che colpisce “è l’incompetenza gestionale del Dipartimento. Con la nuova apertura del padiglione del carcere di Velletri - aggiunge Proietti - molte nuove unità di agenti saranno inviate dal Dap sicuramente lì e noi ci ritroveremo ancora una volta senza agenti”. Oggi, intanto, la Cappellania di Mammagialla, ha organizzato nel pomeriggio un concerto di musica cristiana che sarà eseguito da Don Giosy Cento e i Parsifal per avvicinare la popolazione carceraria, la cittadinanza e le istituzioni. Frosinone: il più importante rimane il sovraffollamento Sulle due strutture più capienti, Frosinone e Cassino, sono state ravvisate carenze croniche, anche se il più importante rimane il sovraffollamento. Quasi 800 detenuti a fronte dei 497 posti disponibili, oltre 300 unità in più. Un dato che parla da se, che non ha bisogno di commenti; se si aggiunge la carenza di personale penitenziario e servizi sanitari da potenziare, l’emergenza è servita. Ecco alcuni numeri. Il carcere di Frosinone ospita 520 detenuti di cui 115 stranieri provenienti da 34 Paesi, con forte prevalenza di romeni e albanesi. Poco più della metà dei detenuti ha sulle spalle la pena definitiva, un’ottantina sono in attesa di giudizio, nell’area di massima sicurezza sono un centinaio mentre una trentina sono nella sezione dedicata ai reati a sfondo sessuale. La Casa Circondariale “San Domenico” di Cassino ospita 293 detenuti, di cui 70 stranieri, a fronte di una capienza di 172 posti. I definitivi sono 183, in 22 sono in attesa di giudizio, 28 nella sezione “sex offenders”. A Paliano nella struttura di via Garibaldi invece sono circa 50 i detenuti di questi una trentina sono collaboratori di giustizia gli altri sono affetti da malattie come la Tbc. Una situazione di recente sotto esame con la visita del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che agli inizi del mese di luglio ha eseguito un sopralluogo nelle strutture della provincia. C’è da segnalare la struttura mai utilizzata del carcere di Pontecorvo, originariamente destinata alla sezione femminile, ma mai entrata in funzione. La motivazione non è mai stata resa nota dal ministero della Giustizia. Latina: il carcere ha 80 anni, struttura al collasso Volendo stringere il cerchio sul Lazio, dobbiamo specificare che la situazione della nostra regione si presenta come del tutto particolare. Angiolo Marroni, garante per i detenuti del Lazio: “Tre le strutture fatiscenti: quella di Latina, quella di Cassino e quella di Roma (Regina Coeli). Rieti ha invece una struttura nuova ma soffre la mancanza di polizia penitenziaria e di strumenti che servono per fare funzionare un carcere. Noi abbiamo questa discrasia”. Latina in modo particolare, è al collasso. L’edificio risalente agli anni 30 necessita di forti interventi di ristrutturazione. Gli spazi di vivibilità, corridoi, celle, passeggi e bagni sono abbastanza ampi ma in condizioni di abbandono, sporchi e decadenti. Soltanto alcune parti sono state ristrutturate di recente. Il problema più grave è quello del sovraffollamento, in una struttura comunque piccola che può contenere tra gli 80 e i 90 detenuti e che è l’unico carcere della provincia che segue 4 tribunali. La capienza massima tollerabile dal carcere sarebbe di 94 detenuti ma si arriva anche ad ospitarne 200, con la conseguenza che spesso i detenuti della provincia devono essere trasferiti in altre carceri dislocate sul territorio regionale. Circa 1/3 dei detenuti è straniero. Nelle celle più piccole vivono un minimo di 3 persone mentre in quelle un po’ più grandi si arriva fino a 6. Altro grave fatto riguarda il vuoto organico del personale di polizia. Un decreto del 2001 fissava a 154 unità il personale penitenziario per la struttura di Latina. Attualmente l’organico è invece formato solo da 137 unità: 107 uomini e 30 donne poliziotte penitenziarie. Ciò senza calcolare eventuali assenze per malattie ferie ed altri motivi. La situazione non è migliore a Rieti, dove la sostituzione del vecchio carcere, ex convento seicentesco di piccole dimensioni, con il nuovo più ampio, presenta comunque problematiche simili. Carenza di organico e malfunzionamento della struttura che viene utilizzata solo al 25% delle sue potenzialità. Intanto lavorano senza sosta con sit-in, proteste, manifestazioni ed interrogazioni parlamentari, un gran numero di associazioni tra le quali spiccano senz’altro quelle di Antigone, del Detenuto Ignoto, di Ristretti Orizzonti ed altre ancora che si occupano del rispetto dei diritti dei detenuti e delle loro famiglie, spesso disperate per le condizioni di grave carenza umanitaria cui vengono esposti gli ospiti delle carceri. Puglia: il baratro delle carceri… intervista a Federico Pilagatti, segretario del Sappe di Andrea Gabellone www.iltaccoditalia.info, 20 settembre 2011 Intervista a Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe, per parlare della situazione, sempre più drammatica, delle carceri nella nostra regione. Il 10 agosto scorso, su questo giornale, avevamo dato notizia di una grave situazione che si andava profilando nella casa circondariale di Bari (link). Fra proteste di profughi detenuti ai quali era stato garantito un permesso di soggiorno e i picchi di sovraffollamento, aggravati da condizioni igienico-sanitarie al limite, il carcere barese ha conosciuto, durante quest’estate, uno dei momenti più difficili della sua storia. Lo stesso articolo è stato, durante la seduta parlamentare del 6 settembre, spunto per un’interrogazione ufficiale firmata da sei deputati del Partito Democratico e rivolta al ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma (link). In attesa di una risposta da parte delle autorità competenti, siamo tornati a parlare dell’incresciosa situazione con il segretario nazionale del Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Federico Pilagatti. Dal 10 di agosto ad oggi, è cambiata qualcosa nel carcere barese? Assolutamente nulla. La casa circondariale di Bari continua, ad oggi, a soffrire condizioni intollerabili. In più, dai 296 posti disponibili, ora siamo passati a 210 perché la seconda sezione è stata chiusa. Perché è stata chiusa? C’era il pericolo che crollasse. È stata proprio la polizia penitenziaria a richiedere la ristrutturazione immediata. La caduta di calcinacci era diventata troppo frequente e la mancanza quasi totale di igiene la rendeva più simile ad un lager. Possiamo dire, quindi, che nessuno è intervenuto come si sperava… Nessuno ha mosso un dito per risolvere il problema. L’amministrazione è completamente avulsa dalle difficoltà della vita in carcere. La terza sezione, che si trova al piano terra, è arrivata ad ospitare 30 persone in 15-20 metri quadri. La soluzione non risiede solo nella costruzione di nuove strutture: mentre si costruisce una nuova ala, il resto comincia a cedere. È un problema legato alle risorse che non vengano ottimizzate? Anche. Si stanno investendo 20 milioni di euro per ampliare le carceri di Lecce e Taranto. Tuttavia, mentre si spende per tirar su nuove sezioni detentive, nessuno ha mai pensato di manutenere quello che già c’è. A Borgo San Nicola esistono seri problemi strutturali, ma, da quando è stato edificato il carcere, non si è mai intervenuti per cercare di mettere in sicurezza i detenuti. Costruire dal nulla è quanto di più sbagliato e, inoltre, non risolve un bel niente. Deve cambiare la mentalità di chi amministra, altrimenti tutti quei soldi saranno sempre spesi male. Perché si continua a costruire, allora? Perché ci sono le cosiddette “cricche”. Per la costruzione delle carceri non esistono appalti pubblici. Sono sempre le stesse aziende che, una volta ottenuto il lavoro, guadagnano senza nemmeno svolgere degnamente il proprio compito. In Italia, questo tipo di strutture, sono fabbricate male. Basta vedere come sono ridotti i penitenziari pugliesi. Pensi che a Trento e Reggio Calabria sono state aperte nuove sezioni, ma non sono ancora operative perché manca il personale della polizia penitenziaria. Tenendo conto delle restrizioni economiche, quali sono, secondo lei, le soluzioni reali? Quello che proponiamo da tempo è la depenalizzazione di tutti quei reati che non generano allarme sociale. Se teniamo in galera anche i ragazzini sorpresi con tre dosi di hashish, non riusciremo mai a ridurre il sovraffollamento. Quei ragazzi devono seguire tutto un altro iter. Relegandoli in cella con veri delinquenti, rischiamo di ritrovarli, alla fine della pena, peggiorati e per niente pentiti. Poi, su 68mila detenuti nel nostro Paese, circa 24mila sono stranieri. Se si proponessero degli accordi agli Stati di provenienza dei reclusi, con un piccolo contributo economico, si potrebbe cercare di far scontare la pena a ciascuno nel proprio Paese, non gravando così, in modo massiccio, sulle casse italiane. Un detenuto costa mediamente, compreso tutto, circa 200 euro al giorno: pensi al risparmio che se ne otterrebbe. La settimana scorsa, una sentenza del Tribunale di sorveglianza di Lecce obbligava a risarcire un recluso per le condizioni disumane in cui era costretto a vivere. Può essere un punto di svolta? Non credo. Nonostante la notizia, tra le amministrazioni continua a regnare l’indifferenza. Secondo dei calcoli prudenti, 60mila detenuti in Italia, e 4200 in Puglia potrebbero chiedere di essere risarciti per gli stessi motivi. Quasi tutti. Paradossalmente, sono i criminali peggiori che, dovendo sottostare a regimi di detenzione particolari, non soffrono questo tipo di problemi. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, pochi mesi fa, ha ufficializzato, con una nota interna, che ad un detenuto bastano tre metri quadri di spazio, e non sette, come previsto dall’UE. Ecco, ammettendo che ne siano sufficienti tre, ci sarebbe comunque una percentuale altissima di persone che vivono in uno spazio al di sotto del consentito. Quanto si accusa la crisi nelle carceri? Molto più di quanto comunemente si possa immaginare. Siamo noi della polizia penitenziaria ad anticipare parte delle spese, dalle traduzioni alla manutenzione dei mezzi. Molti di noi aspettano ancora di riavere i propri soldi. I direttori dei penitenziari non hanno più neanche la possibilità di pitturare i muri degradati. Mentre i dirigenti generali del Dap spendono un milione di euro per le loro auto blu, noi siamo costretti ad utilizzare dei veicoli con i sedili rotti, senza aria condizionata e con gli pneumatici consumati. Neanche le visite di ferragosto dei politici hanno risolto nulla: sono visite pro forma. Sono tutti pronti ad esprimere il loro sdegno, ma qui, in cella, si continuano a consumare veri drammi. La detenzione dovrebbe, teoricamente, aiutare a correggere; in Italia, chi sconta una pena paga un prezzo troppo alto. Il carcere, oggi, contribuisce solo a distruggere le vite di migliaia di persone. Liguria: Cassinelli (Pdl); situazione carceri insostenibile, ristabilire sicurezza e tollerabilità Adnkronos, 20 settembre 2011 “Non è la prima volta che chiedo al governo di intervenire sulla situazione delle carceri liguri. La situazione ormai è insostenibile: sono 1.814 i detenuti rinchiusi oggi nei sette istituti penitenziari, a fronte di una capienza regolamentare di 1.139 posti letto. Gli agenti di Polizia penitenziaria impiegati sono circa 800, numero che evidenzia la grave carenza di organico”. Roberto Cassinelli, deputato Pdl, ha presentato alla Camera un’interrogazione sulle condizioni degli istituti penitenziari in Liguria. Cassinelli sottolinea la necessità che “le istituzioni pongano maggior attenzione su questa materia”, ricordando come “i dati sul sovraffollamento siano sempre più preoccupanti”. Il parlamentare del Pdl si è detto “fiducioso” in merito a una risposta dell’esecutivo e ha rimarcato che “bisogna assolutamente rimediare alla grave carenza di organico”, evidenziando che “finora la situazione non è degenerata solo grazie alla grande professionalità dimostrata dagli agenti di Polizia penitenziaria che riescono a gestire situazioni spesso pericolose per l’incolumità loro nonché dei detenuti”. Per questo, Cassinelli ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia in cui chiede “iniziative per far si che la situazione dei penitenziari venga ripristinata ai livelli di tollerabilità e sicurezza”. Secondo il deputato Pdl, “è palese che i provvedimenti presi fino ad oggi sono serviti a poco e non sono assolutamente adeguati”. Martinelli (Sappe): positiva interrogazione Cassinelli su carceri “Apprezzo l’iniziativa del parlamentare Roberto Cassinelli che ha presentato oggi un’interrogazione al ministro della Giustizia in cui chiede iniziative per far si che la situazione dei penitenziari venga ripristinata ai livelli di tollerabilità e sicurezza. La situazione è allarmante. Al 31 agosto scorso erano presenti in Liguria 1.814 detenuti, record storico mai registrato neppure ai tempi immediatamente precedenti l’indulto del 2006, a fronte di una capienza regolamentare degli Istituti pari a 1.140 posti letto. Non solo: la presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta stabilmente tra il 50 ed il 60% dei presenti: sono infatti complessivamente 1.027. In Liguria abbiamo anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40% dei presenti rispetto ad una media nazionale del 25%) e, altro record negativo a livello nazionale, quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solo il 15% dei presenti. Abbiamo più detenuti in attesa di giudizio (908) che condannati (903), 29 detenuti in semilibertà e solamente 127 detenuti sono usciti, ad oggi, dalle carceri liguri per effetto della legge sulla detenzione domiciliare - legge 199/2011. È dunque positivo l’intervento di Cassinelli: speriamo che ad esso seguano fatti concreti. Mi continua a lasciare perplesso l’atteggiamento dell’Assessore regionale alle politiche della sicurezza dei cittadini Claudio Montaldo che è del tutto disinteressato alle criticità penitenziarie liguri.” È quanto dichiara il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, per il tramite del segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria Roberto Martinelli in relazione alla presentazione di una interrogazione alla Camera dei Deputati del parlamentare Roberto Cassinelli sulle criticità penitenziarie regionali . “Questi emblematici dati dovrebbero far comprendere una volta di più anche ai non addetti ai lavori ma soprattutto a mondo politico e parlamentare come i livelli di sicurezza dei nostri penitenziari siano assai limitati e in quali drammatiche e difficili condizioni lavorino con professionalità e senso del dovere le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria in Liguria, carenti in organico di ben 400 unità in meno. Nessuno può sentirsi non competente sulle criticità penitenziarie liguri. Bisogna ad esempio lavorare per una maggiore implementazione dei detenuti nel lavoro di pubblica utilità, anche attraverso il coinvolgimento di Province e Comuni, affinché la Regione Liguria - d’intesa con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, le Direzioni delle 7 Case circondariali regionali ed il qualificato e fondamentale contributo del Personale di Polizia Penitenziaria - promuova l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale, la pulizia dei greti dei torrenti e delle spiagge del nostro territorio regionale. O favorendo politiche abitative a canoni agevolati per i Baschi Azzurri. Ma su questi temi l’attenzione della Regione Liguria e dell’Assessore Montaldo è stata fino ad oggi pressoché pari a zero”. Marche: la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia alla manifestazione dei Radicali Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2011 La Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia delle Marche aderisce alla manifestazione indetta mercoledì 21 settembre a Roma in Piazza Navona dal Partito Radicale e dall’associazione Detenuto Ignoto in occasione della sessione straordinaria del Senato sul tema della giustizia e delle carceri. Con un sit-in e una veglia che proseguirà per tutta la notte rappresentanti delle varie associazioni vicine al mondo delle carceri vogliono indurre il “Parlamento a essere degno di questo nome” e ad affrontare con coraggio e lungimiranza il problema della giustizia in Italia. Firenze: chiudete l’Opg di Montelupo, più carcere che ospedale di Maria Antonietta Farina Coscioni, Cesare Bondioli e Alessandro Margara Europa, 20 settembre 2011 Giorni fa ci siamo recati in visita ispettiva all’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Non è la prima volta che ci rechiamo a Montelupo, negli altri Opg e negli istituti penitenziari in genere. Questa volta, però, la visita-ispezione ha avuto un significato ulteriore. Il 26 luglio scorso la Commissione del senato d’inchiesta sull’efficacia e efficienza del Servizio sanitario nazionale ha disposto il sequestro di alcune strutture dell’ospedale psichiatrico giudiziario; in particolare la “sala contenzioni” risultata “priva di idonei strumenti di monitoraggio a distanza e di segnalazione delle emergenze del soggetto coercito; nonché irraggiungibile in maniera sollecita ed autonoma da parte del personale sanitario, essendo le chiavi di accesso nella escluisva disponibilità del personale penitenziario”; e ventuno celle della sezione Ambrogiana, per la “simultanea sussistenza di deficienze strutturali igienico-sanitarie e clinico-assistenziali”. La Commissione aveva altresì rilevato “gravi e preoccupanti condizioni di degrado di tutte le altre sezioni attualmente operative, patentemente sprovviste dei requisiti minimi previsti dalla normativa vigente perle strutture psichiatriche” e in “tutti i locali Opg inottemperanza alla normativa vigente in materia di prevenzione degli incendi” disponendo un termine di 15 giorni per l’adeguamento alla normativa antincendio e di 180 giorni per “conformare tutte le sezioni alla normativa nazionale e regionale perle strutture psichiatriche”, termini successivamente prorogati al 30 settembre. Abbiamo iniziato la nostra ispezione visitando tutte le sezioni dell’Opg e abbiamo constatato il già denunciato e noto gravissimo degrado generale: non solo della sezione Ambrosiana, in cui non solo le celle posto sotto sequestro, ma anche quelle tuttora utilizzate, mostrano segni di degrado tanto nelle strutture murarie, quanto negli arredi; per non parlare di una quasi totale mancanza di privacy degli internati, costretti a vivere in spazi ridottissimi: in genere celle da quattro persone, dove il recluso non ha quasi la possibilità di muoversi - anche se abbiamo constatato che la maggior parte delle celle era aperta - e con servizi igienici (anche se questo termine sembra eccessivo!) “a vista”. Analoga situazione abbiamo constatato nell’altro reparto, quello ancora in uso: anche qui l’aspetto carcerario prevale su quello sanitario. Il degrado appare fin da fuori del reparto, con la presenza di numerosi rifiuti (stracci, indumenti, oggetti, piatti di plastica) lanciati dai reclusi nel cortile attraverso le sbarre delle celle; tutto ciò con l’aggravante che, dopo la chiusura delle celle sequestrate, questo reparto ha dovuto accogliere buona parte dei loro “ospiti” creando così condizioni di intollerabile sovraffollamento, e la perdita anche di alcuni spazi comuni precedentemente adibiti ad attività di socializzazione, come laboratori espressivi e sale comuni. In questo reparto era ubicata la “stanza delle contenzioni”, che abbiamo trovato “occupata” da un internato, non contenuto, che nei giorni precedenti aveva sfasciato alcune suppellettili creando pericolo anche per gli altri ricoverati oltre che a se stesso; per questo per lui si è resa necessaria una cella individuale: il direttore sanitario dottor Scarpa e la direttrice amministrativa dottoressa Michelini ci hanno informato che era stata chiesta alla commissione una deroga, per utilizzare la stanza, senza peraltro ricevere risposta. Al di là delle condizioni strutturali quello che ci ha maggiormente colpito, nel contatto con gli internati, è stata la percezione, peraltro verbalizzata da alcuni di loro, di un clima di incertezza sul loro futuro alla scadenza del 30 settembre: è comune e diffusa consapevolezza che questa data rappresenti un punto di non ritorno nella storia dell’Opg, e gli internati comprensibilmente si preoccupano del loro destino dopo quella data. Un internato, per fare un esempio, ci ha scongiurato quasi in lacrime, di “non mandarmi ad Aversa”; a poco o nulla sono servite a tranquillizzarli le rassicurazioni fornite dal personale sanitario e penitenziario. L’origine di questo clima estremamente preoccupante (in quanto aggrava la condizione dell’internato caricandola di ulteriori angosce; e crea le condizioni perché all’interno dell’istituzione si verifichino incidenti. L’esperienza della chiusura dei manicomi ci dice che le fasi di transizione, quando non definite nella loro realtà, rappresentano un momento delicatissimo della vita istituzionale), è probabilmente legata da un lato all’eccezionalità del provvedimento di sequestro; dall’altro alla mancata risposta, visibile, delle istituzioni a questo provvedimento. Nelle aree sequestrate non è attivato nessun intervento di restauro e questo ci è stato confermato anche dai direttori nella riunione al termine della visita ai reparti. Nessun provvedimento concreto è stato ancora adottato, in ottemperanza al disposto dell’ordinanza della Commissione né dal Prap, né dalla regione per quanto di sua competenza. Inoltre la regione Toscana non ha emanato alcun atto ufficiale rispetto alla chiusura dell’Opg e alla gestione della fase intermedia: gli stessi responsabili lamentano questa mancanza di progetti e di obbiettivi sia a medio che a lungo termine. Nonostante queste incertezze, non imputabili al personale sanitario e penitenziario che mostra nei confronti degli internati una dedizione straordinaria - lo riconosce la stessa commissione d’inchiesta - secondo i dati presentati dal direttore Scarpa, il processo di regionalizzazione della struttura secondo gli indirizzi del Dpcm e i programmi di dimissione sono significativamente progrediti. Dai 146 internati presenti alla fine di aprile si è passati agli attuali 128, quasi tutti provenienti dal bacino di utenza di “competenza” (Toscana, Liguria, Sardegna e Umbria): il processo di territorializzazione della struttura è quindi quasi completato, anche se resta irrisolto il problema delle donne, attualmente internate a Castiglione delle Stiviere. Il programma 01-trelesbarre, che negli anni scorsi ha potuto usufruire di un finanziamento ad hoc, ha consentito la dimissione di una ventina di soggetti tra quelli immediatamente dimissibili, altri progetti potrebbero essere attivati se venissero erogati i fondi che sono nella disponibilità regionale. L’impressione che abbiamo tratto al termine della nostra visita-ispezione e dall’incontro con gli operatori è che l’Opg di Montelupo, anche attraverso interventi di riqualificazione delle sue strutture, ben difficilmente potrà assumere caratteristiche di tipo sanitario essendo tutta la struttura “pensata” e realizzata, sia all’origine che con i successivi interventi di restauro anche recenti, come struttura custodiale e non sanitaria. Occorre dunque che la regione Toscana esca dall’ambiguità sulla volontà di chiudere l’Opg, facendosi carico fino in fondo di una scelta politica qualificante e in linea con l’attuale normativa, e rifiutando di restare paralizzata dai veti campanilistici che l’hanno frenata fino ad oggi. Questa chiarezza contribuirà grandemente a rasserenare il clima di preoccupazione sul futuro, che si traduce in angoscia per gli internati e, a lungo andare, in demotivazione e burnout per gli operatori, e consentirà di realizzare quegli interventi di tipo ambientale imposti dalla Commissione per rendere, minimamente vivibile la struttura nella fase di transizione. Occorre che la regione predisponga, finalmente, un progetto obbiettivo per la chiusura di Monte-lupo, fissando modalità e tempi vincolanti per tutti i soggetti coinvolti nel processo: oggi sia i servizi di salute mentale della Toscana che quelli delle altre regioni del bacino non si sentono sufficientemente coinvolti nel processo di chiusura, e quindi di presa in carico degli internati di propria competenza. Questo per il diffuso convincimento (speculare e contrario a quello degli internati!) che a Montelupo un reparto rimarrà sempre (la famigerata Ambrosiana, ristrutturata, come anche ipotizzato in un recente convegno più volte richiamato anche dagli operatori nel corso della nostra visita). Nell’immediato va elaborato un progetto di riqualificazione delle strutture, per il quale ci risulta esistano in regione fondi per l’edilizia penitenziaria utilizzabili, così da renderle vivibili nel periodo di transizione verso la chiusura; in alternativa, vanno individuate alternative per un trasferimento immediato degli attuali internati in altre strutture in cui si possa realizzare con maggiore adeguatezza una gestione totalmente sanitaria dei soggetti internati. È un problema, evidentemente, che riguarda sia gli internati toscani che quelli delle regioni appartenenti al bacino di utenza, che devono individuare le soluzioni possibili e le eventuali risorse finanziarie per attuarle. Catanzaro: Sappe; sovraffollamento e… carenza di carta al carcere www.catanzaroinforma.it, 20 settembre 2011 Una delegazione del Sappe - Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria - si è recata nei giorni scorsi sui luoghi di lavoro del personale di Polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale di Catanzaro e dalla visita sono emerse diverse criticità appositamente segnalate al Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al Provveditorato regionale e alla direzione del Carcere catanzarese. Il sindacato evidenzia “un considerevole stato di sovraffollamento - si legge in una lettera a firma del segretario generale del Sappe, Donato Capece -, infatti i detenuti presenti, a fronte di una capienza di 354 posti, sono oltre 600, di cui 334 assegnati al circuito alta sicurezza. I cubicoli destinati ad ospitare normalmente un detenuto sono sistematicamente occupati da tre reclusi con letti a castello che non permettono al personale neanche di effettuare i controlli”. Secondo il Sappe, il personale di polizia risulta carente, anche in relazione al fatto che nell’organico dell’istituto viene conteggiato tutto il personale distaccato a prestare servizio al Provveditorato regionale. “Nonostante gli sforzi profusi nell’impiego delle risorse umane - si legge ancora nella missiva -, vi sono difficoltà nella regolare fruizione dei riposi e dei congedi: in particolare il Nucleo Traduzioni e piantonamenti, impegnato a fronteggiare ben cinque piantonamenti in distinti luoghi di cura, non ha fruito delle ferie di luglio e non potrà fruire del congedo a causa del gravoso carico di lavoro che non consente nemmeno la possibilità di riposi settimanali. L’organizzazione dei servizi avviene su turni di otto ore anziché di sei, come previsto, con la conseguente effettuazione di numerose ore di straordinario per le quali si richiede l’immediata liquidazione”. Dal punto di vista strutturale e dell’attrezzatura destinata al Centro clinico, il sindacato denuncia la “necessità indifferibile di procedere alla revisione e all’adeguamento dei sistemi tecnologici di sicurezza, a partire dalla video sorveglianza e dalla realizzazione di docce all’interno delle celle che potrebbero essere realizzate in breve tempo e con impiego di modeste risorse economiche”. Ma i problemi non finiscono qui: “La direzione della casa circondariale di Catanzaro, per indisponibilità di fondi, non può acquistare materiale di cancelleria e di conseguenza la carta per il funzionamento degli uffici - denunciano ancora il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante, ed il segretario nazionale, Damiano Bellucci. Sino ad oggi, alla mancanza di carta, si è fatto fronte anche attraverso il riutilizzo di moduli presenti nei depositi, ma ora anche questa soluzione non pare sia più possibile. Quanto succede oggi a Catanzaro si è verificato anche in altre sedi come Vibo Valentia e Rossano, dove si sono registrate difficoltà anche nell’approvvigionamento di carburante per gli automezzi destinati ai trasferimenti dei detenuti”. Siracusa: Pd; aprire quanto prima Casa circondariale di Gela, può ospitare 100 detenuti Agenparl, 20 settembre 2011 La casa circondariale di Gela, in grado di ospitare cento detenuti e dotata di arredi e sofisticati sistemi informatici, non è stata ancora aperta. È la denuncia dei deputati del Pd Samperi Marilena e Ferrante Donatella in un’interrogazione rivolta al Ministro della Giustizia. I deputati chiedono di far luce sugli ingiustificati ritardi che hanno permesso di rimandare l’apertura della casa circondariale, il cui progetto risale ormai al lontano 1959 e la cui approvazione è stata sdoganata nel 1978. Stando al testo, i lavori sono stati intrapresi nel 1982 e si sono protratti per oltre 25 anni. Il 14 ottobre 2008, l’allora Ministro della Giustizia Angelino Alfano sentenziò l’apertura dell’istituto entro la fine dell’anno a seguito dei dovuti lavori di adeguamento dell’impianto di sicurezza. Tuttavia, a tre anni di distanza e nonostante gli sforzi del comune di Gela che ha provveduto all’approvvigionamento idrico e alla manutenzione della strada d’accesso, non si conoscono ancora i tempi di apertura della casa circondariale. Al Ministro Nitto Palma i deputati del Pd chiedono di intervenire per accertare le responsabilità dell’accaduto ed aprire finalmente l’istituto che potrebbe così contribuire alla risoluzione del problema del sovraffollamento carcerario in Italia, questione oggi considerata tanto evidente quanto drammatica. Bologna: sartoria Dozza nei mercati di città; 3 mesi per salvare il lavoro di 3 detenute Dire, 20 settembre 2011 La voglia e l’impegno non mancano, come l’abilità. Ma la legge del mercato è spietata anche per le detenute del carcere di Bologna che da dicembre 2010 hanno un lavoro nella sartoria avviata dietro le sbarre. E così, “nonostante di commesse ce ne siano a bizzeffe”, i conti non tornano: la sartoria è in rosso. Fatto sta che, da qui a dicembre, le detenute e la cooperativa sociale “Siamo qua” che gestisce il progetto si giocano il tutto per tutto decidendo di proporsi direttamente alla clientela. Infatti, presto i capi di abbigliamento (per lo più per bambini, ma anche etnici) e gli altri prodotti della sartoria (biancheria per la casa) si potranno comprare nei mercati di quartiere della città. Il progetto prevede una decina di punti vendita tra Porto, S. Stefano, Saragozza, San Vitale e Montagnola. Il tutto con la “benedizione” di Amelia Frascaroli, assessore comunale al Welfare, che ha conosciuto la sartoria nella sua visita in carcere e che è tornata a sponsorizzare l’idea dei banchetti questa mattina in commissione a Palazzo D’Accursio. “Ci sono tre mesi di tempo per provare a rilanciare questa iniziativa, per vedere se si riesce a dare il connotato di impresa a questo progetto ed evitare che chiuda”, spiega l’assessore. Infatti, se entro dicembre non si raggiunge una certa quota di conti, la coop sarà costretta a non rinnovare i contratti di lavoro alle quattro detenute attualmente coinvolte. Il progetto è partito con borse lavoro di sei mesi attivate dall’Asp Poveri Vergognosi, poi da luglio sono state assunte le detenute: il lavoro c’è, ma non ripaga i costi. Al momento lo sbilancio è di 6.000 euro. “Di lavoro ne avremmo finché vogliamo - spiega fra Martino Colombo della comunità della parrocchia della Dozza che segue il progetto della sartoria- abbiamo commesse di negozi, anche di Bologna, soprattutto per abbigliamento di bambini, ma i ricavi non sono sufficienti e se la cosa non cambia dovremo chiudere. Per adesso lavoriamo come matti, ma siamo sotto, siamo in rosso”. E così ecco l’idea di saltare gli intermediari (i negozi che “ti dicono: ti pago questo, se non va bene, allora niente”) e proporsi nei mercati di quartiere, “per fare qualche ricavo in più e coprire almeno le spese. Se in tre mesi non riusciamo a raddrizzare il trend delle vendite - avverte fra Colombo - non potremo rinnovare i contratti di lavoro”. Dei banchetti (ci saranno al sabato e alla domenica) si occuperà la sarta che lavora assieme alle detenute coadiuvata da una volontaria. Per partire mancano solo alcuni permessi. “Non siamo in cerca di guadagno fine a sé stesso, ma ci è chiaro che una realtà così deve stare in piedi da sola: se deve andare avanti solo grazie all’assistenzialismo forse non è il caso. Certe che, forse per come è il mondo della sartoria, forse per la concorrenza cinese, questo settore è un mondo di lupi che si mangiano gli uni con gli altri e per quanto brave possano essere le detenute sono giovani e rispetto a una sarta esperta c’è una bella differenza. Sono brave persone e hanno voglia, ma non sono sarte finite, di strada ce n’è ancora. Il problema è di garantirgliela”. Oggi in commissione, l’idea di vendita diretta dei prodotti delle detenute è piaciuta a Federica Salsi, consigliera M5s, che ha proposto di aprire un punto vendita anche all’Xm24 dove vengono venduti prodotti a chilometri zero, biologici. “Il target di quei mercati sono persone che hanno una certa sensibilità e consapevolezza negli acquisti e quindi - spiega Salsi su Facebook - ritengo, apprezzerebbero maggiormente gli abiti sia per la forte valenza sociale che ha quel tipo di produzione, sia come gusto. Frascaroli e il consigliere Francesco Errani, che ha proposto l’Ordine del giorno sul carcere discusso oggi in commissione, hanno apprezzato il mio suggerimento e lo proporranno all’Assessore a al Commercio Nadia Monti. Speriamo che vada in porto tutto quanto”. Bologna: Garante detenuti; in pole c’è Rita Nanetti, ma manca intesa con le opposizioni Dire, 20 settembre 2011 Il centrosinistra verso l’intesa su Rita Nanetti, giovane avvocato dello studio Gamberini. Ma il centrodestra si oppone (“curriculum debole”) e su questo potrebbe trovare l’appoggio del Movimento 5 stelle, gruppo decisivo per arrivare fin dalla prima votazione alla nomina del Garante per le persone private della libertà personale. La prima scrematura dei curriculum per la scelta del nuovo Garante ha portato a ridurre a 11 candidati il lotto dei pretendenti. Ma la strada per arrivare alla definizione della terna da portare in aula sembra ancora lunga. Il braccio di ferro si è rinnovato questo pomeriggio in commissione Affari istituzionali, riunito in seduta segreta. Pd e Sel, al di là dei tatticismi, sembrano decisi a puntare su Nanetti, ma difficilmente otterranno un accordo con l’opposizione su quel nome. “Troppo schierato” lo studio legale a cui appartiene, poche esperienze sul curriculum malgrado la buona reputazione da penalista. Il Pdl guarda invece con favore ad una figura come quella di Nello Cesari, ex provveditore alle carceri in pensione, ma non solo. Al Movimento 5 stelle, invece, piace molto il curriculum di un altro avvocato, Roberto Sarmenghi. La situazione è fluida, certo il centrodestra ha provato a far naufragare fin da oggi la candidatura di Nanetti, estromettendola alla seconda scrematura, senza però riuscirci. Il Pdl ha poi ribadito che è contraria alla nomina di un avvocato, malgrado il Consiglio dell’ordine abbia a maggioranza dato via libera alla eventuale scelta di un iscritto all’ordine. “Ragioni di opportunità consigliano di non incaricare un avvocato che eserciti a Bologna”, ribadisce il consigliere comunale berlusconiano (e avvocato) Lorenzo Tomassini. “Mi rendo conto che sia un sacrificio per la categoria, ma riteniamo che vada evitata anche la possibilità di un interesse conflittuale”. Roma: detenuto evade dall’ospedale e minaccia il suicidio, viene ricatturato Ansa, 20 settembre 2011 È stato rintracciato e bloccato dalla polizia e dagli agenti della penitenziaria il detenuto romano di 40 anni, G. M., che ieri era evaso dall’ospedale Spallanzani di Roma, dove si trovava agli arresti domiciliari durante un periodo di cura. L’uomo, individuato all’interno di un’abitazione di un parente in via Tor De Schiavi, nel quartiere Prenestino, quando si è accorto della presenza degli agenti ha tentato di scappare sul cornicione al quinto piano dell’edificio minacciando di gettarsi nel vuoto. Il detenuto ha anche minacciato gli agenti con una siringa. Dopo poco è stato convinto a scendere, bloccato, accompagnato e piantonato all’ospedale Pertini per le cure. Sono intervenuti anche i vigili del fuoco. Padova: giovedì 22 alla Casa Reclusione presentazione libro di Ugo De Vita Ristretti Orizzonti, 20 settembre 2011 Ad apertura del nuovo anno accademico, al Due Palazzi di Padova, consegna degli attestati di frequenza agli iscritti del Corso di Letteratura Italiana e rinnovo dell’impegno di “Parole oltre le sbarre” che aprirà alle Comunità di recupero la didattica e l’attività di osservatorio psicologico. Nell’occasione viene presentato il volume “Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura...” che raccoglie documenti e testimonianze del Corso pilota di Storia della Letteratura Italiana tenuto al Due Palazzi grazie alla collaborazione con Ristretti Orizzonti e alla sua Redazione. Il libro si compone di una introduzione di De Vita che spiega l’importanza per se e la comunità di guardare alle Case di Reclusione come specchio della società contemporanea. La seconda parte del libro è costituita dai temi svolti dai detenuti studenti del corso, che raccontano autori ed opere della letteratura e poi la propria umanità dentro e fuori dal carcere. Pecchini spiegherà le ragioni dell’attenzione rivolta negli anni dalla Associazione Nazionale Italiana Cantanti al tema ed in particolare a “Parole oltre le sbarre” perché si è voluto premiare questo progetto. Marco Masini, cantautore particolarmente sensibile ai temi del disagio, in qualità di testimonial della Nazionale Cantanti ha voluto partecipare e portare personalmente il suo saluto ai detenuti del Due Palazzi. Ugo De Vita leggerà poi alcuni passaggi particolarmente significativi degli scritti dei detenuti e concluderà con lettura di brani di “Stoffe di silenzio” “una ballata dell’amore di padre e figlio, per ricordare che il perdono è un dono anche per colui che lo conceda”. Giovedì 22 settembre 2011 ore 10.30, presso la biblioteca della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova, presentazione del volume di Ugo De Vita: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura...”. Un anno di didattica e ascolto nella Casa di Reclusione di Padova. Edizioni Del Manto-Roma (pagg. 92). Postfazione di Gianluca Pecchini. Nell’ambito di “Parole oltre le sbarre”, progetto di didattica e ascolto nelle Case di Reclusione a cura di Ugo De Vita e in collaborazione con Ristretti Orizzonti e con il patrocinio di: Nessuno Tocchi Caino, A buon diritto, Art. 2, Libera università per ogni età Roma-Firenze. Sostenuto e promosso dalla Associazione Nazionale Italiana Cantanti. Partecipa in qualità di testimonial Marco Masini. Interverranno oltre all’autore: Gianluca Pecchini (Associazione Nazionale Italiana Cantanti) e Ornella Favero (Ristretti Orizzonti). Sono ammessi i giornalisti. Ugo De Vita, autore, attore, ha diretto tra gli altri in teatro: Massimo Dapporto, Mario Scaccia, Riccardo Cucciollla, Nando Gazzolo, Lello Arena, Elisabetta Pozzi, Lucia Poli, Marina Suma, Lino Capolicchio, Michele Placido, Eleonora Brigliadori, Alessandro Haber. Ha pubblicato saggi e romanzi con Vallecchi, Bulzoni, Passigli editore. De Vita ha fatto del teatro di impegno civile elemento distintivo del suo lavoro. Si ricordano gli allestimenti sostenuti pure dalla Associazione Nazionale Italiana Cantanti del Decennale sulle stragi di Capaci e Via D’amelio, quello a New York sulla Moratoria della pena di morte, quelli su Coco, Casalegno, su Stefano Melone prima vittima dell’uranio impoverito risarcita dallo Stato, recentemente la riduzione teatrale dal libro del prof. Mandelli “Ho sognato un mondo senza cancro” e gli allestimenti sulla vicenda del giovane Cucchi e su Aldo Bianzino. Droghe: marijuana libera per svuotare le carceri, depenalizzazione fra proposte al Senato www.lettera43.it, 20 settembre 2011 Il sovraffollamento delle carceri italiane, le più affollate d’ Europa, non è una “irrisolvibile calamità naturale” ma è frutto di “politiche penali ben precise”. Dunque, per intervenire sul codice penale, invece che con “un inefficace piano carceri”, un gruppo di organizzazioni tra cui Antigone, Magistratura Democratica, Cgil e Unione delle Camere Penali ha elaborato una proposta di legge che dovrebbe essere presentata il 21 settembre al Senato, in occasione della sessione straordinaria sulla questione carceraria. Messa alla prova anche per gli adulti, depenalizzazione totale dell’uso di droga e drastica riduzione delle pene per lo spaccio di quelle leggere, sono tra le misure di maggior impatto . Tossicodipendenti il 37% dei detenuti I presupposti da cui muove la proposta sono, infatti, che nelle patrie galere oltre 29 mila sono i detenuti in attesa di giudizio su un totale di 67 mila persone recluse con una percentuale del 42% a fronte di una media europea del 25%. I tossicodipendenti in prigione sono il 36,9% dell’intera popolazione carceraria contro una media europea del 15,4%, mentre diminuiscono gli affidamenti terapeutici passati da 3.852 a 2.606. Ridurre fattispecie di reato e pena Le persone in misura alternativa, dopo l’entrata in vigore della ex Cirielli sono passate da 23 mila e 394 a 17 mila e 487: “Serve una drastica riduzione delle fattispecie di reato e delle pene”, hanno scritto i promotori, “mentre ci opponiamo con forza all’idea della costruzione di nuove carceri: il piano presentato nel 2010 per una spesa di 661 milioni di euro per 9.150 posti è già insufficiente, mancano 24 mila posti”. La salva-Previti altamente criminogena Dunque con 44 articoli, i firmatari intendono modificare le norme “altamente criminogene” come la legge ex Cirielli famosa come “salva Previti” che inventando il “recidivo reiterato” ha penalizzato “la stragrande maggioranza dei detenuti, condannati per reati di microcriminalità”. La droga leggera va depenalizzata La proposta prevede anche la modifica della Fini-Giovanardi con la ridefinizione delle tabelle relative ai quantitativi di uso personale, la depenalizzazione totale dell’uso e della coltivazione a fine personale e la drastica riduzione delle pene per spaccio di sostanze leggere. Stop alle strutture psichiatriche giudiziarie Tra le altre norme previste anche l’accelerazione dei tempi di accesso alle misure alternative e la messa alla prova per gli adulti “che può risultare efficace nel contrasto alla microcriminalità”. La proposta introduce anche gli ingressi scaglionati in carcere in relazione alla capienza con decorso immediato della pena in detenzione domiciliare. Per quanto riguarda gli immigrati si prevede il rientro nel Paese di origine come “misura alternativa” su richiesta dell’interessato e in caso di residuo di pena di tre anni. Infine la proposta considera giunto il momento di chiudere definitivamente gli ospedali psichiatrici giudiziari e abolire l’ergastolo. Stati Uniti: grazia rifiutata per Troy Davis, l’esecuzione domani Ansa, 20 settembre 2011 Mancano poco più di 24 ore all’esecuzione capitale per Troy Davis, detenuto in un carcere della Georgia, negli Stati Uniti, e condannato a morte per l’omicidio di un poliziotto, 22 anni fa ed ha trascorso questo periodo nel braccio della morte. La domanda di grazie che era stata rivolta al “Board of Pardon and Paroles” (ultima possibilità di appello) è stata rifiutata. In Georgia infatti, eventuali appelli del genere vengono rivolti al BPP perché, secondo la legge, il governatore non ha il potere di fermare una esecuzione capitale, come avviene negli altri stati. Troy Davis sarà giustiziato domani, tramite iniezione letale. Stati Uniti: per fare cassa molti stati americani privatizzano prigioni Ansa, 20 settembre 2011 Per tentare di riempire il buco dei loro bilanci, molti Stati americani stanno accellerando sulla strada della privatizzazione delle carceri, un affare dalle uova d’oro per la fiorente industria della sicurezza privata e dei suoi contractor. Solo nella Florida sono ben 29 le prigioni che potrebbero essere messe in vendita dallo stato, il più vasto programma di privatizzazioni del settore messo in atto nella storia americana, scrive oggi il Financial Times. L’Arizona dal canto suo ha messo a punto un piano per aggiungere migliaia di posti letti a gestione privata. Il mese scorso l’Ohio ha annunciato la vendita di 5 istituti carcerari per 200 milioni di dollari, ma è riuscito a venderne solo uno per 73 milioni. Nei venti anni precedenti al 2007 la popolazione carceraria americana è triplicata fino a raggiungere 1,9 milioni di persone, il 9% delle quali si trova già in prigioni a gestione privata. Il costo medio per il mantenimento di un detenuto è di 25mila dollari l’anno.