Giustizia: Radicali; situazione carceri insostenibile, firme per convocazione Camere Adnkronos, 1 settembre 2011 “Intendiamo fare il punto sulla iniziativa di riforma strutturale della giustizia, a partire dall’ipotesi di soluzione del problema delle carceri”. È quanto ha detto la vice presidente del Senato Emma Bonino, nella conferenza stampa tenuta nella sala Nassirya del Senato, presentando la raccolta delle firme necessarie per la convocazione delle Camere (i due terzi dei senatori) sul tema della riforma della giustizia. Sono 146 i senatori di maggioranza e opposizione che hanno messo la loro firma. Tra questi, l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la senatrice a vita Rita Levi Montalcini, Franco Marini, Anna Finocchiaro, Giampiero D’Alia. “Noi - ha spiegato la Bonino - chiediamo che si possa discutere su un documento che fissi in tempi certi i provvedimenti di amnistia, indulto, depenalizzazione, capaci di confermare e perfezionare i risultati del progetto di riforma strutturale della giustizia, per il ripristino della legalità e il rispetto delle convenzioni europee e internazionali di cui l’Italia è parte”. L’iniziativa parlamentare ha preso le mosse dal convegno organizzato dal partito Radicale il 28 e 29 luglio scorsi, a cui ha preso parte il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che a tal proposito ha ricordato come la giustizia è una questione di “prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”, in particolare le carceri che rappresentano “un’emergenza assillante, dalle imprevedibili ricadute”. Perciò è con questo senso di urgenza che “chiediamo che venga messa all’ordine del giorno la discussione di un documento” che affronti con serietà l’annoso problema delle carceri. Marco Pannella ha ricordato la situazione disastrosa delle carceri che “si sta vivendo da decenni”. “C’è una situazione di comportamento criminale, da parte dello Stato, che va interrotta - ha denunciato. Non ho mai sentito presidenti di Corte costituzionale dire che siamo in una condizione di flagranza da interrompere. La Repubblica ha un atteggiamento criminale”. Alla Camera dei deputati “sono già 81 le firme e l’ultima è quella di Savino Pezzotta”, fa sapere Rita Bernardini, deputata del partito Radicale, che si sta muovendo affinché anche a Montecitorio si arrivi ai due terzi del numero dei parlamentari. “Essendo necessarie 210 firme - ha spiegato - cerchiamo di contattare direttamente i deputati per arrivare velocemente al numero”. Anche se secondo l’articolo 62 della Costituzione ciascuna Camera può essere convocata per iniziativa del suo presidente o del presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti, quindi non sarebbe necessario raccogliere le firme, ma “politicamente è importante che anche la Camera raggiunga le firme”, ha detto la Bonino. “Il 14 agosto - ha spiegato ancora Rita Bernardini - c’è stato uno sciopero della fame e della sete a cui hanno aderito 2100 persone tra detenuti e personale carcerario” (operatori, psicologi e direttori) che denunciavano la situazione precaria che vivono ogni giorno. Negli anni è cresciuto il disagio psichiatrico che non viene curato e la possibilità di lavoro, per i carcerati, si aggira intorno al 15% dei detenuti. Ci troviamo - ha concluso - di fronte a uno Stato che non riesce a rispettare le sue stesse regole”. Giustizia: Bonino; al Senato 146 firme per seduta straordinaria, spero il 13 settembre 9Colonne, 1 settembre 2011 Hanno raggiunto quota 146 le firme raccolte dai radicali tra i senatori di maggioranza e opposizione per chiedere un seduta straordinaria del Senato sul tema della riforma della giustizia. “Chiediamo che si tratti di questa riforma nella settimana successiva a quella dedicata all’approvazione della manovra, ossia dal 13 settembre”, dice Emma Bonino durante una conferenza stampa a Palazzo Madama, ricordando i numeri raggiunti dall’iniziativa: 77 firme tra i senatori del Pd, 46 nel Pdl, 7 Terzo polo Api-Fli, 5 Udc e Autonomie, 5 Coesione nazionale (Io Sud-Fs), 2 Mpa e 4 nel Gruppo Misto. La vice presidente del Senato sottolinea inoltre l’adesione dell’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e di due altri senatori a vita come Rita Levi Montalcini ed Emilio Colombo, oltre a diversi capigruppo tra cui Anna Finocchiaro (Pd) e Gianpiero D’alia (Udc). Alla Camera le sottoscrizioni di deputati sono ferme a 81 (ma Montecitorio riapre solo il 6 settembre), e anche se quest’ultima può essere convocata di diritto una volta riunito il Senato (articolo 62 della Costituzione), Bonino non nasconde la rilevanza politica del raggiungimento delle firme necessarie a una convocazione straordinaria anche a Montecitorio (ne servono 210, 1/3 dei deputati). Per la seduta in Senato (a decidere la data potrebbe essere la conferenza dei capigruppo di oggi alle 17) il Partito radicale chiederà la presenza del ministro della Giustizia Nitto Palma e si augura che venga approvato un documento (probabilmente una mozione a seguito di dichiarazioni del governo) nel quale si fissino modi e tempi certi per l’esame di provvedimenti come l’amnistia, l’indulto, la depenalizzazione e decarcerizzazione che siano in grado di rendere possibile ed efficace una effettiva riforma della giustizia. “C’è un’emergenza e una necessità di riforma - spiega Bonino a margine della conferenza stampa - e noi speriamo che il 13 e 14 settembre sia l’inizio di un percorso che porti a delle soluzioni concrete”. Giustizia: l’amnistia che si nega e l’impunità che si tutela di Valter Vecellio Notizie Radicali, 1 settembre 2011 Una scarna notizia di agenzia, che non risulta abbia colpito l’attenzione di nessuno, eppure qualche riflessione la merita. Siamo in Toscana. Una donna di 52 anni viene arrestata. La ricercavano, pensate un pò, da ben 25 anni. Latitante, non sappiamo a che punto della classifica che periodicamente viene diffusa, ma comunque, “pericolosa”. Le contestano mezzo codice penale: una quantità di rapine con complici, associazione per delinquere, porto abusivo d’arma, furto, favoreggiamento di evasione… Un bel tipino, insomma. Arrestata, dopo appena mezz’ora la rilasciano con tante scuse. Che cos’è accaduto? Errore, omonimia? No, la ricercata è proprio lei. E allora? Allora la caccia alla “pericolosa latitante” si trasforma in una beffa, perché i reati contestati risultano tutti prescritti. Estinti. Caso limite? Neppure per sogno. Sono circa 150mila i procedimenti che ogni anno vanno in fumo per scadenza dei termini. Una sorta di impunità anche per reati gravi, come l’omicidio colposo. Così la giustizia soffoca sommersa dai fascicoli, al punto che molti procuratori rinunciano ai giudizi. Le cifre sono eloquenti: 2008: oltre 150mila procedimenti archiviati per prescrizione; 2009: altri 143mila; 2010: circa 170mila; Per quest’anno si calcola che si possa arrivare a circa 200mila prescrizioni. Ogni giorno sono almeno 410 i processi prescritti, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla. I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Intanto i reati scadono, e anche per quelli gravi come ricettazione, truffa, omicidio colposo c’è la concreta possibilità di farla franca. Naturalmente tutti i fieri avversari del provvedimento di amnistia, su questo osservano un rigoroso, quanto unanime silenzio. La grave denuncia del segretario della Uil Pa Eugenio Sarno Ha fatto, e continua a fare, scalpore la notizia dei casi di Tbc tra i neonati del Gemelli di Roma. Nessuno sembra invece aver raccolto l’allarme lanciato dal segretario della Uil Penitenziari Eugenio Sarno: “ Ancora un caso di Tbc alla Casa Circondariale di Verona, dopo i quattro casi registratisi nel maggio scorso. Da alcuni giorni, infatti, un detenuto di origine nigeriana è ricoverato in ospedale per aver contratto la Tbc”. Vediamo meglio di che cosa si tratta. “Purtroppo, dopo il rumore dei quattro casi di maggio, nulla di sostanziale e strutturale è stato fatto in tema di prevenzione sanitaria. Non si registrano interventi di profilassi e tantomeno al personale”, sostiene Sarno, “è stata fornita la prevista dotazione individuale di protezione. Niente mascherine, niente guanti in lattice, niente occhialini protettivi. Ci si arrabatta e ci si arrangia con guanti per uso alimentare ben consci della loro inadeguatezza”. I ministri della Sanità e della Giustizia, insomma, sono colpevolmente inerti, indifferenti, assenti. Come rimarca la Uil Penitenziari “le competenti Autorità hanno sottovalutato i rischi sanitari che possono derivare dalle attuali condizioni di sovraffollamento”. Ma lasciamo parlare ancora Sarno: “Al di là di un apprezzato, ma inefficace, dinamismo dell’Amministrazione Comunale e di un superficiale interesse della Prefettura di Verona, sostanzialmente le condizioni di alto rischio sanitario nel carcere scaligero restano tutte inalterate. Forse non si è ben compreso cosa può generare dal punto di vista sanitario, e dell’ordine pubblico, la presenza di circa 930 detenuti (molti dei quali di provenienza extra europea) a fronte di una capienza massima di 580. L’impossibilità di poter garantire, attraverso una puntuale manutenzione, ambienti salubri e puliti aumenta in modo esponenziale i rischi sanitari e l’insorgenza di malattie infettive e contagiose come la scabbia, di cui pure a Verona si sono registrati alcuni casi. Occorre, quindi, sostenere con finanziamenti adeguati l’attività di prevenzione sanitaria all’interno del carcere e provvedere a restituire decoro e pulizia agli ambienti. Su questo necessario piano di interventi l’Amministrazione Comunale, l’Ente Provincia, l’Asl e l’Amministrazione Penitenziaria dovrebbero esperire ogni utile tentativo per definire un sinergico percorso di investimenti. Almeno questo è il nostro auspicio, al netto delle responsabilità individuali e amministrative che pure si appalesano con nettezza”. È da credere che quello di Verona non sia un caso isolato. È da credere che il problema possa riguardare anche altri istituti penitenziari, molti altri detenuti e non solo loro, ma l’intera comunità penitenziaria. Nessun allarmismo, certo. Ma nascondere la testa sotto la sabbia non è la migliore delle politiche. “Le competenti Autorità hanno sottovalutato i rischi sanitari che possono derivare dalle attuali condizioni di sovraffollamento”, dice Sarno. C’è bisogno di aggiungere altro? Carceri: detenuti in sciopero fame donano pasti a senza tetto Ed ora una notizia, debitamente diffusa dall’Ansa, e anche in un orario giornalisticamente buono, di un certo significato e che nessuno ha ritenuto di valorizzare. Siamo in Puglia, carcere di Turi, vicino Bari. I detenuti di quel carcere da lunedì scorso non ritirano i pasti per protestare “contro le condizioni di vita nell’istituto a causa del sovraffollamento e hanno deciso di devolvere le loro razioni di cibo all’associazione “Incontra”, affinché siano donate ai senza fissa dimora della città di Bari. “Un gesto - scrive l’associazione - che stabilisce un ponte fra due drammatiche miserie della nostra società, diverse ma che, avendo in comune proprio l’anomalia delle loro condizioni abitative, rivolgono un richiamo forte alle nostre coscienze affinché in ogni luogo si abbia cura almeno della dignità delle persone. Certo, commuove sempre che siano i deboli a tendersi la mano, ma questo potrebbe anche farci riflettere sull’autenticità della forza di noi altri e sull’uso che facciamo dei nostri privilegi”. “Gli amici del carcere di Turi - conclude l’associazione - pur portando il fardello delle proprie colpe, hanno ottenuto che la loro protesta diventasse risorsa preziosa per qualcun altro, prima ancora che per loro stessi”. La questione del carcere di Spinazzola Un paio di giorni fa abbiamo scritto - sulla base di un dossier elaborato dall’associazione “Detenuto Ignoto” - dello scandalo costituito da una quantità di carceri “fantasma”, strutture pronte e mai utilizzate, lasciate marcire. Laura Arconti ci segnala il caso del carcere di Spinazzola; una vicenda che il quotidiano pugliese “La Gazzetta del Mezzogiorno” ha così descritto. Carcere chiuso a Spinazzola: la beffa corre dietro le sbarre. Perché Spinazzola è condannata ad essere il Sud del Sud anche nel mondo carcerario? Perché qui si è scelto di chiudere un Istituto Penitenziario di eccellenza destinato a detenuti sex offender, smembrando la capacità professionale del personale, mentre a Verbania, città gemellata con Spinazzola, come in altri quattro comuni del Nord: Torino, Biella, Vercelli e Saluzzo le sperimentazioni intraprese, sorrette e coordinate dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per il Piemonte, con la stessa tipologia di detenuti ricevano attenzione e finanziamenti? Meritando finanche la pubblicazione su riviste come “Le duDe Città” della Polizia Penitenziaria che ha anche reso noto quello che avviene nel carcere di Vallo della Lucania, con sindaco ed assessore in prima linea a favore del recupero e del reinserimento sociale di “cinquanta” detenuti sex offender. La chiusura del carcere di Spinazzola è stata decretata inaspettatamente dall’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, lo scorso 16 giugno: la struttura viene ritenuta antieconomica. Quaranta i detenuti in custodia a fronte alla possibilità della struttura di ospitarne cento In questi giorni è finito sotto i riflettori un Nord privilegiato anche per quanto riguarda le carceri ed un Sud in cui in modo incomprensibile si chiudono quelli funzionanti, con l’assenso di alcuni sindacati, in assenza di sostegno del provveditore regionale Giuseppe Martone. Come anche che a dispetto delle necessità di ridurre il sovraffollamento nelle carceri, come ha sollecitato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. È stato varato un piano nazionale affidato al capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta, 780milioni di euro a disposizione, per costruire nuovi edifici carcerari per un totale di più di 17 mila nuovi posti che vedranno la luce forse solo nei prossimi anni. Una scelta che non accrescere l’organico della Polizia Penitenziaria ed esclude di utilizzare decine di strutture costate miliardi edificate negli anni ottanta, nella sola Provincia di Barletta, Andria, Trani sono tre: Minervino, Spinazzola e Trinitapoli, mai entrate in funzione o altre carceri addirittura ristrutturati e ridotti a magazzini. In questi giorni, cariche di sdegno, molte notizie da “radio carcere” sono giunte tanto vie e-mail o tramite i commenti espressi sugli articoli pubblicati, riportati in rete da alcuni Blogger e su Facebook dove è persino nato un gruppo: “Per tutti quelli che vorrebbero il penitenziario di Spinazzola aperto”. La notizia della chiusura del carcere, come si sul dire, ha superato il confine del campanile della piccola città murgiana, sorniona come sempre che non ha ancora focalizzato il senso della perdita della struttura. Mentre è piombata prepotente in Parlamento una interrogazione presentata dai Radicali eletti nel Pd, prima firmataria Rita Bernardini. E presto giungerà in Consiglio Regionale per l’impegno di altra Radicale Annarita Digiorgio la quale ha proposto una mozione a tutti i gruppi politici regionali in cui si chiede al presidente Nichi Vendola di spendersi in favore della immediata riapertura del carcere di Spinazzola con il nuovo Guardasigilli Francesco Nitto Palma. Interpellanza recepita dal consigliere Ruggiero Mennea (Pd) ed anche fatta propria dal Garante dei detenuti della Regione Puglia Pietro Rossi. Perché dovrebbe intervenire il governatore Vendola? Nell’istituto di Spinazzola è stato interrotto un progetto di assistenza psicologica sperimentale, finanziato interamente dalla Asl della sesta Provincia che prevedeva una serie di incontri individuali e di gruppo che avevano come obiettivo quello di evitare le recidive in soggetti detenuti solo per reati di natura sessuale (maltrattamenti, violenza sessuale, induzione alla prostituzione) presentato alla stampa il 10 giugno, cinque giorni prima della firma del decreto di chiusura di Alfano, dall’assessore regionale alle Politiche della Salute, Tommaso Fiore. “La prevenzione della recidiva - si legge nella presentazione dei progetti del Nord - non sempre è collegata allo smantellamento della negazione: molte volte conta di più fornire nuove modalità di comunicazione, nell’ambito dei gruppi, e accompagnare nel riconoscimento dei fattori protettivi e difensivi di sé, al fine di individuare strategie personali di evitamento della condotta recidivante” . Tanto l’equipe di specialisti stava per testare a Spinazzola in favore dei detenuti e soprattutto per evitare dolore a nuove loro vittime. Ma, qui al Sud, tutto è precluso: anche la ragionevolezza. In scena il solito balletto di accuse e contro accuse Franco Ionta capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria certamente, si può ben dire orgoglioso dell’efficienza delle carceri del suo Nord: è nato a Casal Monferrato. Meno soddisfatto deve essersi sentito, dopo le bordate giuntegli dal Sud e precisamente da Bari. Città dove il carcere scoppia per la presenza di troppi detenuti e dove è stata prevista la costruzione di una nuova strutta che ospiterà 450 reclusi, costo di 45 milioni di euro, realizzazione a data da destinarsi. Il 15 agosto il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri (Pdl) che sul carcere di Spinazzola ha presentato una interrogazione parlamentare, uscendo da quel girone dell’inferno, non ha esitato a dire ai giornalisti che lo attendevano: “Ionta agisca, oppure tragga le dovute conseguenze. Il Governo ha confermato la propria attenzione al problema del sovraffollamento carcerario destinando, nella recente manovra, risorse per 800 milioni di euro all’edilizia carceraria, ma ad esempio a Bari tutto è vergognosamente fermo grazie anche ad Emiliano. Se avesse adempiuto a ben sette sentenze della magistratura (due della cassazione a sezioni unite e cinque del consiglio di stato) a quest’ora avremmo un carcere adeguato e moderno”. La replica dal dipartimento non si è fatta attendere: “Non è ancora pervenuto il parere del sindaco di Bari, Michele Emiliano, sull’area destinata alla costruzione del nuovo penitenziario della città. L’area per l’edificazione è stata individuata dai tecnici del commissario delegato, Franco Ionta, nel gennaio 2011. Solo dopo il necessario parere del sindaco alla Regione Puglia sarà possibile procedere alla sottoscrizione dell’intesa tra Ionta e il governatore Vendola”. Ma se Bari piange, altrove e nella Provincia di Barletta, Andria, Trani, non ride. Nel raggio di cinquanta chilometri da Spinazzola ci sono ben cinque carceri costruite e non utilizzate che potrebbero sopperire da subito al sovraffollamento di Bari. Oltre a Spinazzola, carceri vuote e mai utilizzate con capienza sino a cento detenuti sono quelli di: Minervino Murge, Trinitapoli, Irsina e Genoano di Lucania nella vicina Basilicata. La carenza del personale potrebbe per queste strutture, in buona parte, come ha proposto il sindacato Ugl Polizia Penitenziaria, essere recuperata eliminando i Provveditorati regionali. “Nella follia estiva - scrive Vincenzo Lamonaca segretario Ugl - del reperimento di risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per far restare il Paese in Europa, suggeriamo sommessamente di ipotizzare la soppressione del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria Basilicata, con aggregazione ad altri Prap (Puglia, Campania) degli istituti da questo gestiti, visto che una regione simile per dimensioni anche penitenziarie (il Molise) è già aggregato all’Abruzzo”. Magari ci pensi Ionta e lo sostenga Lettieri, per dare respiro ai detenuti e far risparmiare una barca di quattrini ai cittadini da impegnare nel rilancio dell’economia del Paese. Giustizia: Osapp; nelle carceri Sezioni di Alta Sicurezza a rischio per scarsità di personale Ristretti Orizzonti, 1 settembre 2011 “Quando si parla dell’emergenza penitenziaria, spesso e all’esterno delle stesse non ci si rende conto di quanto siano reali i rischi che l’attuale malfunzionamento può comportare, non solo per i poliziotti e per gli operatori penitenziari, ma anche per i comuni cittadini possono, tenuto conto della pericolosità dei detenuti allocati in particolari istituti". Inizia così una nota dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) all’indirizzo del Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma e al capo dell’Amministrazione Franco Ionta. Secondo l’Osapp, infatti: “I rischi maggiori nelle e dalle carceri, conseguenza o forse agevolati dal sovraffollamento, dalla disorganizzazione e dalla penuria di personale, non derivano dai detenuti soggetti al particolare regine dell’articolo 41 bis op o dai responsabili dei reati di maggiore allarme e riprovazione sociale, bensì dai detenuti classificati ad ‘alta sicurezza’ (AS) che non sono sottoposti a particolari misure o cautele detentive”. “Per fare esempi concreti sulla possibile entità del danno – prosegue il sindacato – lo scorso 29 agosto presso la casa circondariale di Asti, in una delle due sezioni detentive AS3, in cui sono allocati 67 dei 170 detenuti ad alta sicurezza della struttura, per lo più appartenenti a clan di Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta e dove da tempo si verificano preoccupanti segnali nella locale popolazione detenuta, il poliziotto penitenziario presente è stato accerchiato dai reclusi, nell’evidente tentativo di prenderlo in ostaggio ed impadronirsi del reparto. Fortunatamente il collega è riuscito a rinchiudersi nel gabbiotto della sezione e a dare l’allarme, sennò oggi dovremmo parlare di fatti ben più gravi”. “Il carcere di Asti è uno di quelli in cui il sovraffollamento è quasi del 100% con 413 detenuti complessivamente presenti per 207 posti – indica ancora l’Osapp – mentre per quanto riguarda il personale, per un organico previsto di 245 unità ne risultano presenti solo 130”. Conclude Leo Beneduci: “I fatti sono di tutta evidenza, ad Asti come negli altri istituti dove i detenuti non sono semplici ‘rubagalline’ e il personale manca, fino ad oggi le cose sono andate avanti solo grazie allo spirito di sacrificio ed alla professionalità dei pochi addetti presenti ed in crescente affanno psico-fisico, ma non potrà andare sempre così. Il ministro Palma e il capo del Dap Ionta si affrettino”. Giustizia: carcere per gli evasori fiscali? si lavora sul “deterrente penale” www.online-news.it, 1 settembre 2011 Giornata calda oggi per la politica dopo i cambi di direzione sulla manovra (vedi pensioni e contributo di solidarietà) delle ultime 24 ore. Occhi puntati sulla commissione Bilancio del Senato, dover sono attesi gli emendamenti. L’intesa c’è, assicura Berlusconi, e per il nodo coperture l’aumento dell’Iva è l’extrema ratio, dice il premier. Tra le ultime ipotesi pene fino al carcere per gli evasori fiscali. Oggi c’è Consiglio dei ministri , ma è in programma anche la manifestazione di Ugl, Cisl e Uil. Ma torniamo sulle possibili novità. Un inasprimento delle sanzioni contro l’evasione fiscale, fino al ricorso del “deterrente penale” per chi si macchia di gravi reati fiscali è l’ipotesi a cui starebbe lavorando il governo. Una proposta importante, ad effetto. “I dettagli ancora non sono definiti, ma si dovrebbe intervenire anche sul versante della deterrenza penale” nel contrasto all’evasione fiscale, dicono al Pdl. L’inasprimento delle sanzioni e delle pene, spiega un altra fonte della maggioranza, potrebbe arrivare fino al carcere per chi si macchi di reati particolarmente gravi. Il fatto che si lavori anche sul fronte penale, riferisce un’altra fonte della maggioranza, sarebbe confermato anche dalla presenza del ministro della Giustizia, Nitto Palma, all’incontro che si dovrebbe tenere oggi a margine della riunione del Consiglio dei ministri, in cui il governo - alla presenza del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti - dovrebbe mettere nero su bianco gli emendamenti alla manovra. Sempre sul fronte della lotta all’evasione, al Tesoro sarebbero al lavoro su un mix di misure che comprenderebbero controlli più efficaci, con un nuovo redditometro sui beni di lusso e, in caso di evasione, un sorta di concordato che agevoli il rientro delle somme dovute al fisco. Incrociando i dati del reddito dichiarato con i beni posseduti, il Fisco potrebbe procedere ad accertamenti di massa per scovare colo che denunciano guadagni troppo bassi rispetto al loro tenore di vita. Proprio in questo senso all’evasore potrebbe dunque convenire aderire a un concordato col Fisco per sanare la sua posizione pagando una somma pattuita. Altre entrate, per coprire parte dei tagli agli enti locali, potrebbe arrivare anche da un eventuale accordo con la Svizzera su una più efficace tassazione dei capitali detenuti su conti cifrati. Si tratta di un’iniziativa già avviata da Germania e Gran Bretagna. Secondo il Tesoro però questo tipo di intese andrebbe trovato a livello europeo e non di singoli stati. Non potrà evitare il carcere chi evade oltre 3 mln Niente sospensione del carcere per i reati fiscali qualora l’imposta evasa o versata sia superiore a 3 milioni di euro. Lo prevede l’emendamento del governo alla manovra, a firma del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, e del relatore, Antonio Azzollini. “Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10-quater del presente decreto - si legge nel testo - qualora l’imposta evasa o non versata sia superiore a tre milioni di euro, non trova applicazione l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale”. Giustizia: fuoriserie penitenziaria… Jaguar, Maserati e Bmw per la Direzione delle carceri di Silvia d’Onghia Il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2011 Jaguar e Maserati tra le auto blu della Direzione Carceri Per otto funzionari vetture che valgono un milione di euro. L’auto più “sfigata” è una Bmw 530: tremila di cilindrata, sei cilindri in linea, valore commerciale circa 53mila euro. Quella meno potente, si fa per dire, una semplice Audi A6: 2.7 di cilindrata, sei valvole turbo, prezzo 71 mila euro. E poi c’è il top, le vetture che quasi ogni uomo sogna nella vita: la Jaguar XJ e la Maserati quattroporte, 100mila euro la prima, 125mila (almeno) la seconda. Non sono i partecipanti a un gara, né le vetture di lusso di un autosalone: sono le autoblù e i mezzi di scorta parcheggiati presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), guidato dal magistrato anti-terrorismo, Franco Ionta. Diciassette auto, alcune delle quali blindate, che valgono oltre un milione di euro, a disposizione di otto alti dirigenti. Qualcuna, come la Maserati che utilizza Ionta, è in comodato d’uso dalla presidenza del Consiglio; molte altre sono direttamente proprietà del Dap. In ogni caso, pagano i cittadini. Sono poi vetture che certo non consumano come le utilitarie: si va dagli 8 litri per 100 chilometri della Bmw ai 22 litri per 100 chilometri della Maserati. E, a differenza di quanto accade per i normali mezzi di cui dispongono le forze di polizia, penitenziaria compresa, i soldi per la benzina in questi casi non mancano mai. Franco lonta, che è anche commissario straordinario per il Piano carceri voluto dall’ex ministro Alfano, per la sua storia precedente ha naturalmente diritto alla scorta. Ha a disposizione sette auto: oltre alla Maserati blindata, una Bmw 550, tre Bmw 530 e due Land Rover Discovery cinquemila. Mezzi che naturalmente non escono tutti insieme, ma che rimangono parcheggiati e pronti all’uso. Il vice capo vicario, Emilio Di Somma, può contare su un’Audi A6 (4.2 di cilindrata) e su una Bmw 530. Di Somma nel giugno 2010 ha ricevuto una lettera minatoria con due proiettili e da quel momento gli è stata riconosciuta la scorta. L’altro vice capo si deve “accontentare” di una sola macchina, un’Audi A6. Dal giugno scorso, il magistrato Santi Consolo, che ricopriva quell’incarico, è diventato procuratore generale di Catanzaro. Lui è andato via, l’auto è rimasta a disposizione di chi prenderà il suo posto. Il direttore dell’Ufficio ispettivo, il magistrato Francesco Cascini (fratello del segretario dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe), viaggia su una Volkswagen Phaeton cinquemila, del valore di almeno 75mila euro. Stesso mezzo per il direttore generale del personale, Riccardo Turrini. Fortunata è la dottoressa Luigia Mariotti Culla, direttore generale Esecuzione penale esterna, che può utilizzare la Jaguar XJ. L’altro magistrato, Sebastiano Ardita, direttore generale Detenuti, si muove con una Bmw di scorta, ma dispone di un’altra Bmw e di un’Audi A6. Federico Falzone, infine, direttore dell’Ufficio studi, viaggia su una Mercedes di cilindrata 4.3. Nessuno di loro, a quanto risulta al Fatto Quotidiano, rinuncia all’auto blu, nonostante la crisi e i sacrifici che vengono imposti alla categoria. Eppure gli esempi positivi non mancherebbero: l’ex direttore generale del personale, Massimo De Pascalis, per un periodo rinunciò a viaggiare comodo per recarsi in ufficio con la sua vettura privata. È vero anche che c’è stato di molto peggio: c’è chi giura di aver visto un ex direttore del Dap farsi appoggiare l’accappatoio sul le spalle da un uomo della scorta al termine di una partita di tennis. A disposizione di questi alti funzionari, ad aprile scorso ci sono state 66 persone, tra uomini di scorta e autisti. Naturalmente tutti appartenenti al corpo di polizia penitenziaria e tutti con un monte ore di straordinari da far impallidire qualsiasi poliziotto comune. “Nonostante i prodami dei ministri Brunetta e Tremonti, al Dipartimento fanno sfoggio dell’auto blu anche coloro che non ne hanno diritto - commenta il segretario nazionale del sindacato Sappe, Donato Capece - sottraendo carburante e uomini agli istituti. Non vogliamo mettere in discussione il diritto alla scorta, ma denunciare gli sprechi”. Tutto questo stride ancora di più se si fa il paragone con i mezzi che i poliziotti penitenziari hanno a disposizione per fare il loro lavoro. Sul sito del Sappe, un “coordinatore avvilito” racconta di un Ducato fermo “perché mancano 128 euro per far riparare le ‘frecce”‘. O un “assistente capo che si vergogna” denuncia il fatto che “a Bologna è ferma un’auto perché non ci sono 30 euro per uno specchietto”. “Dalle parti mie non c’è nemmeno la carta per scrivere i rapporti, i servizi... Qualcuno ha fatto la colletta per comprare un pacco di carta”, scrive “il cinico”. Cifre che, pure messe insieme, basterebbero a malapena a riempire il serbatoio della Jaguar. Consumazioni escluse, s’intende. Giustizia: motivazioni caso Aldrovandi; gli agenti lo pestarono per vendicare un affronto di Giulia Gentile L’Unità, 1 settembre 2011 Depositate le motivazioni della sentenza d’appello che ha condannato 4 poliziotti. “Ognuno di loro ha percosso o calciato il ragazzo” che morì a Ferrara sei anni fa. La madre di Federico: ora mi aspetto misure disciplinari. Solo gli agenti delle Volanti Alpha 2 e Alpha 3, Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, potevano far scoppiare il cuore del giovane Federico Aldrovandi in due vistosi ematomi, e farlo morire in strada, “in uno scenario in cui gli attori della vicenda erano” il ragazzo, “percosso con i manganelli, atterrato, immobilizzato e ammanettato, e nel contempo nuovamente percosso anche a calci”, e i quattro uomini della Questura di Ferrara, che lo picchiarono con i manganelli “al punto da provocare la rottura di due di questi”. E dopo averlo “atterrato con violenza e afferrato per i capelli, proseguirono a pestarlo”. Aveva da poco compiuto 18 anni “Aldro” quando, all’alba del 25 settembre 2005, morì dopo una violentissima colluttazione con i quattro agenti in via Ippodromo a Ferrara. A giugno, i giudici della Corte d’Appello di Bologna avevano confermato per gli uomini in divisa la condanna di primo grado a tre anni e sei mesi per eccesso colposo, senza concedere loro le attenuanti generiche. E senza neanche bisogno di tutti e 90 i giorni richiesti, ora le toghe hanno già depositato le 234 durissime pagine in cui motivano la decisione presa. Responsabili del pestaggio e della morte di “Aldro”, gli agenti sono stati nel frattempo trasferiti in altre città. Mentre i funzionari della Questura ferrarese, finiti nelle indagini per aver coperto i colleghi tentando di depistare il lavoro dei magistrati, sono ancora al loro posto. “Ora starebbe allo Stato - l’appello di Patrizia Moretti, tenace mamma del ragazzo grazie alla quale l’inchiesta è proseguita - dare un segnale di distanza da queste persone, comminando misure disciplinari. Non è accettabile che, dopo anni di lavoro e responsabilità così gravi ampiamente acclarate, tutto o quasi resti come prima”. Per i giudici di secondo grado i fatti di via Ippodromo ruotano tutti attorno ad un intervento sull’adolescente “ingaggiato senza reale necessità, che non fosse quella di vendicare l’affronto subito poco prima da Pollastri e Pontani”. Loro, i primi ad incrociare “Aldro” a piedi di ritorno da una notte in discoteca. Cosa accade però di preciso fra il ragazzo e i primi due agenti non è mai stato chiarito. Unico elemento certo, è che i due chiamano in rinforzo Forlani e Segatto. Anche per questo, tutti e 4 devono essere condannati: “Ognuno di loro ha percosso o calciato il ragazzo” senza pietà. È il comportamento processuale tenuto dagli uomini in divisa, poi, a convincere i giudici a negare loro le attenuanti generiche. “Pubblici ufficiali, privi di precedenti disciplinari”, Forlani, Segatto, Pontani e Pollastri “avrebbero dovuto portare un contributo di verità, ad onta delle manipolazioni ordite dai superiori”. Troppo difficile allora, come ricorda l’avvocato di parte civile Fabio Anselmo, “arrivare fino a questo punto, fino alla verità. Ma al tempo stesso è emozionante constatare che, alla fine, i giudici ci abbiano dato ragione”. Lettere: l’errore non si estingue nell’orrore… Varese News, 1 settembre 2011 Il Comitato Antifascista di Busto Arsizio si schiera con i detenuti del carcere: “Un anno di detenzione a Busto ne vale tre a Opera o Bollate. La giustizia non è compatibile con condizioni di vita inumane”. Riceviamo e pubblichiamo la lettera del Comitato Antifascista di Busto Arsizio sull’ispezione attuata nei giorni scorsi dai Radicali al carcere cittadino. “Una commissione parlamentare ha visitato in questi giorni il carcere territoriale di Busto A. e ha dichiarato tortura. Sei persone dentro una cella per 22/23 ore senza uscirne è inumano e anticostituzionale. Le denunce della commissione sono chiare e ben descritte nella conferenza stampa di fine ispezione. Il lavoro, uno degli strumenti fondamentali per l’attività di riabilitazione, è “poco” rispetto al numero dei detenuti; moltissimi sono in attesa di giudizio; tanti sono i tentativi di suicidio, oltre la media nazionale. Un ex detenuto ha dichiarato che, per sua esperienza, un anno di detenzione a Busto ne vale almeno tre di detenzione al carcere di Opera o di Bollate. La democrazia e la civiltà di un paese, come disse un grande del passato, si evidenziano nelle condizioni di vita dei cittadini detenuti. Il Comitato Antifascista rinnova la solidarietà ai detenuti che hanno partecipato allo sciopero e a tutte quelle persone che si attivate per denunciare questa situazione e a quante operano nel senso del rispetto della dignità di ogni uomo e donna e si attivano per un percorso non di punizione inumana ma di recupero alla società. Fascismo è tutto ciò che reprimendo toglie l’umana dignità, è il Potere che si abbatte e abbatte le persone. Noi non siamo come loro erano le parole che hanno portato i partigiani alla vittoria; noi antifascisti siamo per la giustizia, che è questione proprio diversa da condizioni di vita non umane al di qua e al di là delle sbarre. Agrigento: al carcere Petrusa da giorni manca l’acqua, 500 detenuti coi nervi a fior di pelle La Sicilia, 1 settembre 2011 È sempre carcere, ma così no. Al Petrusa in cui da mesi convivono mediamente cinquecento detenuti, da alcuni giorni manca anche l’acqua. A causa di un guasto a una pompa - individuato da Girgenti Acque dopo la segnalazione e in corso di riparazione - la casa circondariale sta vivendo un momento dal punto di vista igienico sanitario assai critico. I reclusi ovviamente non possono lavarsi, i servizi igienici sono di fatto impraticabili, anche lavarsi il viso è un privilegio che in pochi possono permettersi. Una situazione incandescente che di ora in ora rischia di degenerare in episodi di intolleranza, a questo punto della vicenda, largamente giustificabili. Va bene che si tratta di un luogo in cui espiare le pene, ma in queste condizioni disumane è da irresponsabili. Dalla direzione del penitenziario sono immediatamente state avviate le procedure per segnalare il grave stato complessivo della struttura dal punto di vista igienico e ambientale. Da quel poco che trapela la faccenda pare si sia sbloccata nelle ultime ore e da Girgenti Acque lasciano intendere che l’acqua dovrebbe tornare a essere erogata con costanza e in quantità adeguata alla casa circondariale. Alla luce di questa emergenza umanitaria assume particolare valore il lavoro svolto dalla polizia penitenziaria. Gestire 500 persone private della libertà personale, strette anche in 4 in una sola cella, senz’acqua da giorni non è impresa facile. Ad oggi non si sono verificati episodi di intolleranza, figli del disagio. Merito dalla pazienza dei detenuti e della professionalità degli agenti. Ma fino a quando a Petrusa si sopporterà questo stato di cose da Terzo Mondo. Una corsa contro il tempo che gli operai di Girgenti Acque devono vincere prima possibile. Campobasso: i detenuti protestano ancora contro sovraffollamento e carenza igieniche Ansa, 1 settembre 2011 Nuova protesta all’interno del carcere di via Cavour. I detenuti, come avvenuto nei giorni scorsi, hanno scelto la tarda serata di ieri per battere nuovamente le forchette sulle finestre del carcere e far sentire la propria voce sul sovraffollamento delle celle e sulle condizioni igienico sanitarie carenti. Lo hanno fatto per dire no al sistema punitivo delle carceri italiane e sì a quello rieducativo. Le proteste si potrebbero ripetere nei prossimi giorni fino a quando la situazione non dovesse migliorare. I detenuti hanno avuto anche l’appoggio dell’ex consigliere regionale Italo Di Sabato che sostiene appieno le loro ragioni. Roma: sovraffollamento nelle carceri; mozione Idv impegna il Municipio VI Ansa, 1 settembre 2011 È stata approvata all’unanimità la mozione presentata dal consigliere Idv Fabrizio Ferretti che impegna giunta e presidente del municipio ad attivarsi con le istituzioni nella lotta al degrado carcerario. Lotta contro il sovraffollamento nelle carceri e per il rispetto dei diritti del detenuto. È l’oggetto della mozione, presentata lo scorso 3 agosto dal Consigliere Fabrizio Ferretti, Capogruppo Idv del Municipio VI di Roma, è stata approvata all’unanimità. Questa impegna Giunta e Presidente del Municipio ad attivarsi con le istituzioni per affrontare e per contrastare il degrado degli istituti penitenziari. “Attualmente in Italia ci sono circa 67mila detenuti a fronte di una capienza di 45mila posti - ha precisato in una nota il consigliere - in condizioni di tale sovraffollamento i diritti umani vengono meno e aumenta il numero di suicidi dei detenuti. Per questo lo scorso 14 agosto i radicali hanno promosso lo sciopero della fame e della sete, a cui hanno aderito 2mila persone per richiedere la convocazione straordinaria del Parlamento sui temi della giustizia e delle carceri. il grave problema del sovraffollamento, garantendo il rispetto dei diritti delle persone detenute”. Oristano: presto apertura nuovo carcere; agenti pronti a barricate per aumento organici L’Unione Sarda, 1 settembre 2011 Sono pronti a tutto i 79 agenti che a ottobre saranno trasferiti nel nuovo carcere di Massama. Una struttura che potrà ospitare 300 detenuti contro i 115 di Piazza Manno. Pronti a fare le barricate. Non ci stanno a un trasferimento “al buio”: gli agenti di polizia penitenziaria chiedono garanzie prima di spostarsi nel nuovo carcere di Massama. Servono risorse umane ed economiche, altrimenti la situazione rischia di diventare esplosiva anche in un istituto di pena all’avanguardia. La struttura è ormai ultimata e dovrebbe essere inaugurata a ottobre. Nei giorni scorsi c’è stato il sopralluogo del provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Gianfranco De Gesu. Un vertice sul campo per accertare la possibilità concreta di aprire il carcere. E alla fine il verdetto è stato positivo: si potrà aprire nel giro di un mese. Ma subito è scattato l’allarme tra agenti di polizia e personale. Sono tutti soddisfatti dei lavori completati nel complesso penitenziario che sorge nella zona di Is Argiolas, ma non nascondono i problemi. “Non si può pensare di aprire la struttura senza che siano assicurate particolari condizioni” sostiene Adriano Sergi, vicesegretario regionale dell’Ugl della polizia penitenziaria. Servono con urgenza un’integrazione dell’organico e di risorse economiche. “Siamo al collasso già oggi, ci sono numerosi tagli che ci penalizzano - va avanti - immaginiamo i disagi e le difficoltà che potrebbero verificarsi in un istituto molto più grande e dispersivo”. Oggi nel carcere di piazza Manno gli agenti effettivi sono 79. “E non si può pensare di gestire il nuovo istituto penitenziario con questo organico - aggiunge Adriano Sergi - Anche perché molti colleghi sono amministratori comunali e spesso devono assentarsi per i loro impegni istituzionali”. Nel carcere di Massama potranno essere ospitati anche 300 detenuti (al momento ad Oristano ce ne sono 115). Restano tante incognite che preoccupano il personale. “Bisogna capire quale sarà la tipologia dei detenuti - spiega il vicesegretario dell’Ugl - e se si manterrà la caratteristica di carcere di media sicurezza o se potrà diventare un istituto di alta sicurezza”. In ogni caso gli agenti hanno le idee ben chiare. “Siamo pronti a mettere in campo qualsiasi forma di protesta - ribadisce Sergi - senza precise garanzie, non ci sarà trasferimento. È impensabile”. Non possono essere imposti turni massacranti agli agenti di custodia, e al tempo stesso devono essere assicurate condizioni di lavoro in sicurezza per tutti. Il carcere è stato ultimato nei tempi stabiliti. Struttura di ultima generazione con vetri speciali per il risparmio energetico e uso di fonti alternative. Si estende su 23 mila metri quadrati e 86 mila metri cubi nella zona di Is Argiolas. Gela: Apprendi (Pd); se 30 anni non bastano per consegnare un nuovo carcere… Ristretti Orizzonti, 1 settembre 2011 Dichiarazione dell’On. Pino Apprendi (Pd): “Con il sovraffollamento della carceri siciliane non si può tollerare che il Carcere di Gela non venga aperto definitivamente, così da consentire l’alleggerimento di 100 unità dalle altre carceri che stanno scoppiando. Ho avuto modo di constatare personalmente 2 anni fa che la struttura era quasi definita e che mancava poco per la consegna. Non è più sopportabile che ci siano celle abitate da 8 persone, molte in attesa di giudizio, in pochi metri, a condividere le 24 ore. Il ministero deve intanto assegnare il personale già precario nelle carceri siciliane e attivare corsie preferenziali per l’apertura del carcere”. Cagliari: Sdr; negati domiciliari a giovane detenuta slava incinta di due gemelli Ristretti Orizzonti, 1 settembre 2011 “È ancora nel carcere di Buoncammino V. D. 28 anni, di nazionalità serba, madre di quattro bambini di 8, 6, 5 e 3 anni, incinta di due gemelli. Il Magistrato di Latina infatti ha ritenuto lo stato di gravidanza compatibile con la detenzione negando gli arresti domiciliari. Una decisione in contrasto con il senso di umanità”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ricordando che “nelle scorse settimane la giovane è stata ricoverata nell’ospedale “San Martino” di Oristano per minaccia d’aborto”. “La giovane slava che non ha ancora potuto effettuare un colloquio con il marito, attualmente in un campo nomadi in Sardegna, è molto preoccupata per i bambini. Uno di loro, quello di 5 anni, deve essere - sottolinea Caligaris - ricoverato all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma per alcuni problemi ai reni”. “Non è possibile - sostiene la presidente di Sdr - che le condizioni di V.D. possano essere ritenute compatibili con la carcerazione anche se attualmente non è in minaccia d’aborto. Non si può ritenere che un Istituto sovraffollamento, con 530 detenuti tra cui 29 donne, sia in grado di garantire una condizione adeguata al periodo di gestazione. Senza considerare l’ansia derivante dalla preoccupazione dei quattro bambini rimasti nel campo nomadi con il padre”. “Appare quindi un atto non improntato al senso di umanità un provvedimento che nega una condizione detentiva meno pesante a una persona che non ha ucciso, non ha trafficato droga, non ha picchiato o violentato qualcuno, né è associata a qualche cosca mafiosa. Pagare il debito con la giustizia in un ambiente meno opprimente o rimandare l’esecuzione penale a un momento successivo alla gestazione può essere - evidenzia ancora Caligaris - un atto di apprezzabile buon senso”. “La presenza della giovane detenuta incinta - conclude Caligaris - sta generando ansia e preoccupazione tra gli operatori penitenziari. Alla sensibilità dei Medici e delle Agenti di Polizia Penitenziaria si sono aggiunte quelle delle compagne di cella e di sezione. La solidarietà però non basta. È indispensabile un gesto umanitario del Magistrato che consenta alla giovane donna di essere collocata in una struttura alternativa dove possa anche riabbracciare i suoi bambini”. Verona: 45enne muore dopo scontri allo stadio, sarebbe stato manganellato dai carabinieri L’Arena, 1 settembre 2011 L’uomo era stato visitato al Policlinico e dimesso. Ricoverato di nuovo, era deceduto. Elsa: “È tornato a casa dopo la partita e stava già male. Mi ha detto che c’era stata una rissa ed era stato picchiato dai carabinieri”. “In diciotto ore non si muore per una malattia”. Elsa Riva vuole fare chiarezza sulla morte di suo figlio Roberto, il quarantacinquenne di San Martino Buon Albergo morto lunedì al Policlinico di Borgo Roma per cause ancora da accertare. Venerdì sera, come abbiamo raccontato ieri, Roberto era stato con alcuni amici al Bentegodi per assistere alla prima partita in serie B della sua squadra del cuore, l’Hellas Verona, contro il Pescara. “È tornato verso le 23 ed è andato a letto, ma non ha dormito tutta la notte perché stava male e così la mattina è andato all’ospedale di Borgo Roma”. La madre Elsa ripercorre con gli occhi lucidi e la voce rotta le ultime ore di vita del figlio, che da qualche tempo viveva in un’altra casa, distante poche centinaia di metri. “Quando è tornato, mi ha detto che lo avevano visitato, ma era risultato negativo a tutti gli esami”, racconta. “Anche quella notte, però, i dolori non lo hanno fatto dormire”. È stato allora che la madre gli ha chiesto di spiegare cosa fosse successo. “Mi ha detto che venerdì allo stadio c’era stata una rissa con i tifosi della squadra avversaria e che poi i carabinieri lo avevano picchiato”, prosegue Elsa. “Gli ho chiesto se aveva preso una manganellata. “Altro che una, ne ho prese tante”, mi ha risposto”. Domenica la situazione è peggiorata ancora, tanto che il lunedì mattina Roberto ha chiamato il 118: l’ambulanza lo ha portato di nuovo al Policlinico di Borgo Roma. “Alle 13 mi hanno telefonato dall’ospedale. Mi sono precipitata là: un medico mi ha detto che mio figlio non avrebbe superato la notte”. E così è stato: intorno all’una Roberto è morto. Le cause sono ancora tutte da chiarire: a provocare il decesso del quarantacinquenne potrebbe essere stata la degenerazione di un’infezione interna, ma per la madre la verità è ben diversa. L’uomo, che lavorava con il padre Oreste in una fattoria a Vigasio, aveva alcuni piccoli precedenti penali: in passato era stato detenuto per dieci mesi nel carcere di Montorio e proprio venerdì sera è stato denunciato a piede libero dai carabinieri per resistenza a pubblico ufficiale. “Roberto non era un santo. Anni fa aveva avuto anche problemi di droga, ma ora non ne faceva più uso”, racconta la madre. “Ogni tanto beveva qualche bicchiere di vino di troppo ed era spavaldo, ma aveva un cuore grande, è sempre stato buono, generoso, non ha mai fatto del male a nessuno”. La tragedia più grande per un genitore, si sa, è sopravvivere ai propri figli ed Elsa questo dolore lo conosce bene: la sorella di Roberto, appena trentenne, è morta una quindicina di anni fa a causa di una grave malattia. “Quando lunedì ho visto che mio figlio aveva le unghie nere, mi è subito venuto in mente che era successo anche a sua sorella poco prima di morire, e ho capito che anche per lui non c’era più nulla da fare”. Nei prossimi giorni verrà eseguita l’autopsia sul corpo del quarantacinquenne per approfondire le cause della morte: ad assistere la famiglia Riva sarà l’avvocato Antonio Palmieri del foro di Milano. “Anche mio marito vuole fare chiarezza su quanto avvenuto venerdì sera”, conclude Elsa. “Lui non voleva che Roberto andasse allo stadio, diceva che c’è sempre il rischio che succeda qualcosa. E, infatti, è successo”. Catanzaro: detenuta nigeriana rischia lapidazione, parte raccolta firme contro il rimpatrio Ansa, 1 settembre 2011 Un appello bipartisan al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio e una raccolta di firme tra i parlamentari per chiedere la non estradizione di Kate Omoregbe, la ragazza nigeriana detenuta a Castrovillari che rischia la lapidazione nel suo Paese. È quanto chiede il deputato Franco Laratta che annuncia per domenica una visita alla donna in carcere a Castrovillari e un sit-in davanti all’istituto di pena. “La ragazza nigeriana - afferma Laratta - è ancora detenuta nel carcere di Castrovillari, ma solo per pochi altri giorni. Rischia la lapidazione se, dopo la scarcerazione prevista a settembre, tornerà in patria. La sua colpa: rifiuta di sposare una persona molto più grande di lei in un matrimonio combinato dai suoi genitori”. Il parlamentare fa sapere che domenica alle 16 sarà davanti al carcere di Castrovillari e lancia un invito alla popolazione: “più siamo - dice - e più richiameremo l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale”. Immigrazione: sanzioni penali ai datori di lavoro che non controllano permesso soggiorno di Debora Alberici Italia Oggi, 1 settembre 2011 Rischia una sanzione penale il datore di lavoro che assume clandestini che crede regolari, in buona fede, perché ha preso visione della richiesta di permesso di soggiorno. È necessaria, invece, la certezza sull’effettivo rilascio del titolo. Lo ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza n. 32934 del 31 agosto 2011, ha confermato la condanna inflitta a un 56enne di Torino che aveva assunto alle sue dipendenze due rumeni (all’epoca dei fatti non ancora entrati a far parte dell’Europa), credendoli regolari. Infatti l’imprenditore aveva ritenuto sufficiente che gli stranieri mostrassero lui la richiesta di permesso di soggiorno. Tuttavia, non si era sincerato che la procedura fosse andata a buona fine. Per questo erano scattate le accuse penali. E tribunale e la Corte d’appello piemontesi lo avevano condannato. Contro la doppia conforme di merito è scattato il ricorso alla Suprema corte lamentando che le argomentazioni dei magistrati fossero incongrue. Riconosciuta, da un lato, la buona fede dell’imprenditore (che aveva dato credito alle rassicurazioni fomite dai lavoratori sul fatto che fossero regolari), dall’altro, è stato ritenuto sussistente l’elemento psicologico dell’illecito “per avere l’imputato colpevolmente omesso di verificare, prima dell’assunzione, l’effettivo rilascio del permesso di soggiorno”. Contro questa decisione il ricorso in Cassazione ma senza successo. Infatti, la prima sezione penale ha reso definitiva la condanna chiarendo in particolare che “la responsabilità del datore di lavoro che assume alle proprie dipendenze uno straniero privo del permesso di soggiorno non è esclusa dalla buona fede invocata per aver preso visione della richiesta di permesso di soggiorno avanzata dallo straniero”. Nulla da fare neppure sull’altro motivo di ricorso relativo all’entrata in Europa della Romania. La Cassazione ha infatti ribadito sul punto che “l’avvenuta regolarizzazione della posizione dei lavoratori stranieri successivamente all’accertamento dell’illecito, anche a seguito dell’adesione della Romania all’Unione Europea, come correttamente rilevato dai giudici di appello, rappresenta un dato di per sé inconferente non escludendo esso la sussistenza della condotta antigiuridica dell’imputato né la punibilità del reato a lui contestato”. Unione Europea: in arrivo il giro di vite contro il reato di pedopornografia Italia Oggi, 1 settembre 2011 Settimane decisive per il giro di vite europeo antipedofilia. È atteso infatti prima della fine di settembre il voto in plenaria all’Europarlamento che darà il via libera definitivo anche alle nuove pene per i reati connessi alla pedopornografia. Secondo gli studi, tra il 10% e il 20% dei minori europei potrebbe essere vittima di abusi sessuali durante l’infanzia. Data l’entità del problema, i membri della commissione Libertà civili hanno stabilito pene più severe per questo tipo di reati: rimozione alla fonte di tutti Ì materiali pedopornografici presenti sul web, pene minime obbligatorie e regole più severe anche dopo che i colpevoli hanno pagato il loro conto alla giustizia. Il testo della riforma porta la firma della relatrice italiana del Pdl (Ppe) Roberta Angelini, approvato in commissione parlamentare lo scorso 12 luglio. Le nuove norme stabiliscono pene minime per 20 reati di abuso sessuale sui bambini e pornografia infantile. Punizioni più severe sono previste specialmente quando gli autori degli abusi sono persone di fiducia (familiari, insegnanti, ecc.). Secondo il nuovo accordo, tutte le pagine contenenti materiali pedopornografici dovranno essere rimosse da Internet. L’eliminazione dovrà avvenire alla fonte e gli Stati membri sono tenuti a cooperare con i paesi terzi se le pagine incriminate sono ospitate al di fuori dell’Ue. Il bloccò diventa un’opzione solo se questi paesi rifiutano di collaborare, con la rimozione della pagina. Pene minime obbligatorie, che gli Stati hanno facoltà di aumentare, sono state stabilite anche per la produzione e il possesso di pornografia infantile. Anche la sola visualizzazione potrebbe essere perseguita, se si dimostra l’intenzione di accedere al sito in questione e la consapevolezza sul suo contenuto. Inoltre nuovi concetti e reati sono stati introdotti per la prima volta nella legislazione comunitaria, come quelli dì “turista sessuale” - persona che viaggia all’estero per abusare dei minori - o di “grooming” - termine inglese che indica l’adescamento di bambini e adolescenti on-line, attraverso tecniche psicologiche che inducono alla fiducia. Chi si macchia dì reati sessuali dovrà accettare condizioni più severe anche dopo aver scontato la pena. Potrebbe, ad esempio, subire limitazioni nel praticare attività professionali che prevedono il contatto con i minori. Gli Stati potranno inoltre scegliere di inserire i criminali sessuali in appositi registri, così da facilitare il reperimento delle informazioni da parte dei datori di lavoro. Gli Stati avranno due anni per recepire le nuove regole nelle loro leggi nazionali. Unione Europea: vittime dei reati, una tutela comune; si allarga il consenso sulle norme Italia Oggi, 1 settembre 2011 Si allarga il consenso europeo sulle nuove norme varate in primavera da Bruxelles per garantire alle vittime di reati lo stesso livello di protezione, sostegno e accesso alla giustizia. In settimana il Regno Unito e l’Irlanda hanno deciso di rinunciare alla clausola che lì avrebbe esclusi dagli oneri previsti, e hanno aderito all’applicazione delle nuove norme. Attualmente le vittime di reati nell’Ue sono circa 75 milioni, e ogni anno si contano 30 milioni di casi senza contare che poi numerosi sono anche quelli non denunciati. La situazione si complica quando le vittime di questi reati sono persone straniere. In questi casi le diversità culturali, di lingua e soprattutto il fatto di ignorare il sistema giuridico vigente nel Paese rappresenta un problema per le vittime in questione. A chi possono rivolgersi le vittime per chiedere aiuto? Questo è il problema che l’Ue ha cercato di affrontare e risolvere varando nuove misure di sicurezza da adottare in tutti i Paesi membri. Con le nuove misure l’Ue ha voluto chiarire che tutti i cittadini devono essere trattati senza discriminazioni in tutti i paesi membri. E i reati comprendono anche scippi, rapine, aggressioni, violenze, intimidazioni. Corposo nell’ambito del nuovo provvedimento il capitolo formazione dei funzionari della giustizia, che devono ricevere una giusta formazione per poter relazionarsi con le vittime informandole dei propri diritti. Inoltre secondo l’Ue bisogna offrire una speciale protezione alle vittime più deboli come bambini, disabili, vittime di stupro. Necessario anche garantire un’assistenza psicologica alle vittime nel caso fosse necessario oltre che un assistenza giuridica e finanziaria per coprire eventuali spese. Per le vittime di incidenti stradali, poi, Bruxelles prevede di rafforzare le misure di sicurezza nei prossimi anni. “Ci si concentra troppo sui criminali piuttosto che sulle vittime e i loro diritti. Le proposte presentate garantiranno che l’Ue consideri innanzitutto le vittime di reati”, ha dichiarato la commissaria Ue per la giustizia, Viviane Reding. Egitto: almeno 100 detenuti uccisi durante rivolta contro Mubarak Adnkronos, 1 settembre 2011 Almeno 100 detenuti sarebbero stati uccisi in Egitto durante e dopo i 18 giorni di proteste che - l’11 febbraio - hanno costretto alle dimissioni l’ormai ex rais Hosni Mubarak. È la denuncia contenuta in un rapporto del gruppo per la difesa dei diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), che parla di crimini atroci in cinque penitenziari, compreso quello di Tora al Cairo. “Oltre 100 prigionieri sono stati uccisi e centinaia sono rimasti feriti” in cinque prigioni dall’inizio delle proteste, il 25 gennaio, e nelle settimane che ne sono seguite, si legge in un rapporto dell’Eipr. E il timore è che il bilancio dei detenuti uccisi sia ancora più alto. L’Ong riferisce di omicidi deliberati tra il 29 gennaio e il 20 febbraio, non legati a casi di fughe o ammutinamenti di carcerati. I corpi delle vittime, denunciano dall’Eipr, presentano evidenti segni di colpi d’arma da fuoco alla testa o al torace. Il rapporto dell’Ong si basa sulle testimonianze di alcuni detenuti, superstiti, e su quelle di parenti delle vittime, oltre che su foto scattate con telefoni cellulari e video. Secondo l’organizzazione, inoltre, le guardie carcerarie usavano lacrimogeni all’interno delle celle dei prigionieri e quando i detenuti uscivano per sfuggire ai gas, venivano uccisi a colpi d’arma da fuoco. Nel rapporto, rilanciato dall’Egyptian Gazette, viene lasciata la parola a un detenuto. I colpi d’arma da fuoco non erano solo per mettere paura alla gente - ha detto. Miravano alla testa. L’ho visto con i miei occhi. Siria: ex procuratore generale denuncia esecuzioni di massa di prigionieri e si dimette Tm News, 1 settembre 2011 Il procuratore generale della Siria, Adnan Bakkour, si è dimesso dopo aver visto con i suoi occhi, il 31 luglio scorso, l’uccisione di 72 prigionieri nella prigione di Hama, tra cui anche manifestanti pacifici. Lo riporta il sito web del Telegraph. In un video apparso ieri sera su Youtube, si vede un uomo, che dovrebbe essere appunto Bakkour, che annuncia la sua decisione di dimettersi a causa “del regime di Assad e delle sue bande”. Nel video, oltre a dare conto dell’esecuzione dei 72 detenuti ad Hama in un solo giorno, Bakkour riferisce anche di aver visto 420 corpi sepolti in una fossa comune scavata in un parco pubblico. Inoltre, secondo Bakkour, sono almeno 10.000 i manifestanti pacifici si trovano attualmente rinchiusi nelle carceri siriane, mentre 320 detenuti sarebbero morti a seguito delle torture subite. L’agenzia di stampa siriana lo scorso lunedì ha riportato la notizia che Bakkour sarebbe stato rapito da ribelli armati nel villaggio di Karnaz, mentre si recava a lavoro ad Hama, nel centro del paese. Iraq: evasi a Mosul 35 detenuti, 20 già catturati Aki, 1 settembre 2011 Sono evasi stamani 35 detenuti dal carcere di Mosul, nell’Iraq settentrionale. Lo ha riferito una fonte della polizia locale, precisando che le autorità hanno imposto il coprifuoco e 20 prigionieri sono già stati catturati dalle forze di sicurezza e riportati in carcere. “35 prigionieri sono riusciti ad evadere stamani nella zona est di Mosul”, ha affermato la fonte, citata dall’agenzia d’informazione Alsumaria. La polizia ha subito lanciato un’operazione per catturare i fuggitivi. “La polizia di Ninive ha imposto il coprifuoco a Mosul mentre le operazioni di ricerca proseguono”, ha aggiunto la fonte. Un incidente simile era accaduto il 3 aprile nel carcere di al-Ghazalni, nel sud di Mosul. In quell’occasione evasero 23 prigionieri, mentre il 9 aprile 5 prigionieri sono fuggiti dalla prigione al-Shifaa, sempre a Mosul. Sri Lanka: nuova legge permette reclusione senza accusa di sospetti terroristi Agi, 1 settembre 2011 La decisione per evitare che con la fine dello stato di emergenza venissero rilasciati tutti i detenuti. Il governo dello Sri Lanka ha introdotto una nuova legge che permette di trattenere in galera un numero non precisato di sospetti terroristi senza un’accusa definitiva. Dopo che, settimana scorsa, anche grazie alle pressioni della comunità internazionale, il governo ha revocato lo stato di emergenza che vigeva nel Paese sin dal 1983, molte persone detenute per effetto di quella legge draconiana saranno liberate. Lo ha confermato alla Bbc il ministro della Giustizia, Rauf Hakeem, dicendo che saranno più di mille i sospettati ora in prigione ad essere rilasciati entro il prossimo mese. “Ma è necessario che alcuni detenuti rimangano in custodia”, ha aggiunto il ministro, e lo saranno proprio per effetto della nuova legge, senza la quale essi sarebbero stati liberati insieme agli altri con la fine dello stato di emergenza. Si tratterebbe, spiega Hakeem, di persone sospettate di essere terroristi particolarmente pericolosi.