Giustizia: nelle carceri sovraffollamento record, il governo promette interventi di Ilaria Sesana Avvenire, 18 settembre 2011 No all’amnistia (“Non è una soluzione praticabile”). Via libera invece alla depenalizzazione: “Una misura che serve per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri e a “disingolfare” gli uffici che sono affaticati in reati di non particolare gravità”. Lo ha detto venerdì il ministro della Giustizia Nitto Palma, al termine di una visita ai penitenziari palermitani de l’Ucciardone e al Pagliarelli annunciando che mercoledì andrà al Senato per una sessione tutta dedicata al carcere. “In quell’occasione spiegherò la questione del sovraffollamento, indicherò le cause - ha detto Palma. E spiegherò che queste cause devono essere risolte sempre e comunque nel rispetto della sicurezza dei cittadini”. No all’amnistia, dunque, ma via libera alla depenalizzazione. “Ho già istituito un tavolo di lavoro, conto di portare entro metà ottobre in Consiglio dei ministri un disegno di legge sulla depenalizzazione”, puntualizza Palma. Il Guardasigilli ha poi aggiunto che entro la fine del 2012 saranno terminati 11 penitenziari “a bassa sicurezza e costi minori” sul modello di quelli degli Stati Uniti e che a breve verranno assunti 700 agenti di polizia penitenziaria. Una goccia nel mare se si pensa che attualmente i poliziotti “di prima linea” sono circa 33mila a fronte di una popolazione detenuta di 67.104 unità. Uomini e donne stipati in spazi progettati per accogliere 45.647 persone (dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 agosto 2011, ndr). Solo il Trentino Alto Adige, dove i detenuti presenti sono 351 a fronte di una capienza poco superiore ai 500 posti, è immune al problema del sovraffollamento. Numeri da record in Emilia Ro - magna (4.077 detenuti per 2.394 posti), Lombardia (9.312 detenuti per 5.652 posti) e Sicilia (7.754 detenuti e una capienza di 5.419 posti). Tra gli istituti, la situazione è particolarmente difficile a Lecce, Napoli “Poggioreale”, la “Dozza” di Bologna, il “Due Palazzi” di Padova, Genova “Marassi” dove, periodicamente si registrano violente risse tra i detenuti di origine straniera. I condannati con sentenza definitiva sono 37.622 mentre più di un terzo delle persone che attualmente si trovano dietro le sbarre (per la precisione 27.808) sono in carcere in attesa di una sentenza definitiva. A tutto ciò vanno aggiunte le condizioni degli istituti di pena, in molti casi al limite della vivibilità. “Tutti sono fuori legge - taglia corto Donato Capece, segretario del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, Sappe. Anche il “Piano carceri” non ha prodotto risultati. Siamo di fronte a una gestione fallimentare”. Una condizione che ha causato, nei primi otto mesi del 2011, già 47 suicidi dietro le sbarre. A gestire, ogni giorno e in prima linea, questa drammatica situazione, sono i circa 33mila agenti di polizia penitenziaria. “La situazione non è tragica, è drammatica”, dice Eugenio Sarno, segretario generale Uil - Pa. E non si tratta solo di sorvegliare i padiglioni, ma di organizzare trasferimenti e piantonamenti. Che spesso vengono gestiti in emergenza. “Dobbiamo iniziare a pensare all’auto - gestione dei detenuti - conclude Sarno. In questa situazione, ogni discorso legato alla risocializzazione e al reinserimento sociale va a farsi benedire”. Giustizia: Nitto Palma; depenalizzazione, la misura per alleggerire carceri e tribunali Gazzetta del Sud, 18 settembre 2011 “La depenalizzazione è una misura che serve per affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri e a disingolfare gli uffici che sono affaticati in reati di non particolare gravità. Sperò di portare il provvedimento in Consiglio dei ministri, in accordo col premier, a metà ottobre”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, concludendo la sua visita nelle carceri a Palermo. “Quella della depenalizzazione è una strada che si richiede di percorrere da tanto tempo - ha aggiunto Palma - Ma è singolare, e lo dico senza voler fare polemica, che nel momento in cui si affronta la riforma chiesta dall’Associazione nazionale magistrati, la stessa Anm si rifiuta di partecipare al tavolo dei lavori per definire la legge delega”. Parlando elle situazione carceraria palermitana, Palma ha affermato: “ho visitato l’Ucciardone e ho trovato una situazione molto diversa da quella che mi attendevo. La stato delle cose è molto meglio che a Regina Coeli. Non che ci si trovi un albergo a cinque stelle, ma...”. Il Guardasigilli ha poi aggiunto: “mercoledì andrò al Senato per una sessione dedicata al carcere, che verrà poi ripetuta alla Camera. In quell’occasione spiegherò nella sua interezza la questione del sovraffollamento carcerario, indicherò le cause e spiegherò che queste cause devono essere risolte sempre e comunque nel rispetto della sicurezza dei cittadini”. “Ascolterò interventi che verranno fatti dalla maggioranza e dall’opposizione - ha sostenuto il ministro - e all’esito del confronto cercheremo di adottare le soluzione di maggiore compatibilità politica per cercare di intervenire su questo enorme problema del sovraffollamento”. Intanto, “a breve saranno assunti 700 agenti penitenziari, dobbiamo solo risolvere un piccolo problema con la Ragioneria dello Stato”. “La carenza d’organico - ha sottolineato Palma - è in totale di 7.500 unità, “150 sono stati assunti di recente”. Il ministro della Giustizia si è soffermato anche sull’edilizia carceraria. “Realizzeremo 11 penitenziari non di tipo classico, ma strutture “a bassa sicurezza e costi minori” sul modello di quelli degli Stati Uniti. Il Guardasigilli ha aggiunto che “entro settembre saranno bandite le gare dei primi venti padiglioni da 4.500 posti - detenuti, che saranno conclusi a fine 2012”. C’è stata anche qualche polemica sullo sciopero contro la manovra del governo annunciato dagli Stati generali degli avvocati. “Facciano lo sciopero per la situazione carceraria”. Pronta la replica dell’Unione Camere Penali che “puntualizza di non aver indetto alcuno sciopero contro la manovra. Dunque è sbagliato l’invito, rivolto dal Ministro Guardasigilli ai “penalisti”, a pensare piuttosto alle carceri. Invito rivolto all’indirizzo doppiamente sbagliato, anche perché, semmai, - conclude la nota - sono i penalisti che da tempo sollecitano il Dicastero della Giustizia sul problema delle carceri”. Giustizia: carceri sovraffollate, ora lo Stato rischia di pagare milioni di euro ai detenuti di Federico Formica www.linkiesta.it, 18 settembre 2011 Più di 5 milioni di euro: è quanto potrebbe costare l’inerzia del Parlamento nei confronti dei diritti dei detenuti. Che sono ormai 68 mila a fronte dei 43 mila posti letto disponibili nelle prigioni italiane. Perché una sentenza del tribunale di Lecce ha stabilito che 220 euro è il risarcimento per un detenuto tunisino per via delle sofferenze in celle sovraffollate. E adesso in Puglia 4.000 detenuti, secondo un sindacato di polizia, si preparano a fare anche loro ricorso. Se pensate che duecentoventi euro siano una cifra tutto sommato esigua, provate a moltiplicarla per 25 mila. Il risultato - 5,5 milioni di euro - è la somma approssimativa di quanto ci potrebbe costare l’inerzia del Parlamento nei confronti dei diritti dei detenuti. Che sono ormai 68 mila a fronte dei 43 mila posti letto disponibili nelle carceri italiane, con appunto, 25 mila detenuti in più. Freddi numeri, che si traducono però in fatti concreti: vivere venti ore al giorno dentro una cella da tre metri quadrati, materassi per terra, zero attività educative o ricreative. Cosa c’entrano i 220 euro? È il risarcimento che il tribunale di Lecce ha concesso a un detenuto tunisino per le “lesioni della dignità umana” sofferte nel corso di un mese nel carcere salentino. In questa struttura sono stipati oltre 1.300 detenuti. Le celle ne potrebbero contenere al massimo 700. Secondo il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, solo in Puglia oltre 4.000 detenuti si preparano a seguire la strada del ricorso. E con il precedente favorevole, è probabile che il risarcimento verrà loro concesso. “Nel carcere di Lecce molti detenuti si stanno già informando su cosa fare per presentare il ricorso. A livello nazionale, tra le 30.000 e le 40.000 persone potrebbero rivolgersi al magistrato di sorveglianza per le stesse ragioni” dice Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sappe per la Puglia. E la conferma arriva dall’avvocato Alessandro Stomeo, il legale che ha creduto nella causa di risarcimento per il ragazzo tunisino: “Questa è una sentenza storica. Ma ho depositato altre 60 richieste per le quali attendiamo solo l’esito. Molti di questi detenuti hanno vissuto in condizioni anche peggiori rispetto al mio assistito”. E i galeotti delle vicine Brindisi, Trani e Matera aspettano solo la visita dell’avvocato leccese per intraprendere nuove azioni legali. Insomma, il dado è tratto e per l’amministrazione penitenziaria potrebbe iniziare una lunga stagione di salassi. È impossibile prevedere quanti carcerati chiederanno l’indennizzo, se lo otterranno e a quali somme. Se l’esempio di Lecce fosse davvero seguito da migliaia di detenuti, il conto per lo Stato (quindi per i cittadini) potrebbe variare tra i cinque e gli otto milioni di euro. Il precedente già c’era e risale al 2009. Il primo detenuto in Italia che ottenne un risarcimento di mille euro per le condizioni patite nel carcere romano di Rebibbia si chiama Izet Sulejmanovic. Il il cittadino bosniaco presentò ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che alla fine multò l’Italia. Stavolta è diverso: il caso giudiziario nasce e si conclude nel nostro territorio. Niente giudici europei, tutto made in Italy. Oltre al possibile effetto domino la sentenza segna un precedente storico. Mai, prima d’ora, un magistrato di sorveglianza aveva sancito un risarcimento economico in favore di un detenuto. Insomma, non è stato un normale giudice civile a stabilire che nelle celle di Lecce si vive in condizioni disumane, ma proprio il giudice che deve far rispettare le regole dell’ordinamento penitenziario. “Con questa sentenza vengono riconosciuti dei diritti propri ai detenuti - spiega l’avvocato Stomeo - e il principio che lo Stato ha degli obblighi nei confronti della popolazione che vive in carcere. Certo, in teoria è tutto scritto nella Costituzione: non ci siamo inventati niente. Ma rimane comunque un precedente storico”. Eppure la sentenza potrebbe avere vita breve. Il perché lo spiega Pilagatti del Sappe: “Secondo i nostri legali la decisione verrà annullata. Perché il nostro ordinamento non prevede che il magistrato di sorveglianza si metta a erogare sanzioni. Resta il forte valore simbolico. E la speranza che questa storia riporti il dramma - carceri all’attenzione di tutto il Paese”. Ma l’avvocato Stomeo è convinto che le cose non andranno così: alcune sentenze della Corte di Cassazione attribuiscono poteri più ampi al giudice di sorveglianza. Quelli che sono stati esercitati a Lecce. Nel frattempo la situazione delle carceri italiane è talmente grave, e da così tanto tempo, che definirla “emergenza” è ormai un eufemismo. Il sindacato di polizia penitenziaria ha già proposto le sue ricette svuota - carceri: depenalizzare alcuni reati che non provocano allarme sociale (si eviterebbe la galera alle persone pizzicate con 2 - 3 dosi di hashish), in caso di buona condotta, concedere la semilibertà o i lavori sociali a tutti quei detenuti che devono scontare gli ultimi due - tre anni, stipulare accordi con altri paesi per far scontare ai galeotti stranieri la pena nel loro paese di origine. “Sono proposte a costo zero. Mentre il piano - carceri prevede la costruzione di altri penitenziari. Con una spesa di centinaia di milioni di euro - conclude Pilagatti - ma se la logica resta quella di adesso, in poco tempo si riempiranno anche quelli”. E poi, ne costruiremo ancora? Giustizia: Cappellano Rebibbia; solo l’indulto risolutivo per il sovraffollamento Adnkronos, 18 settembre 2011 Ridurre il numero dei detenuti deve essere l’impegno prioritario, e per questo “l’indulto è risolutivo”. Poi l’opinione pubblica, non solo politici e istituzioni, dovrebbe interrogarsi e riflettere sul problema sociale delle carceri, diventate un po’ asilo, un po’ manicomio, un po’ ospedale, un po’ ricovero per senzatetto. E assumersi la responsabilità di quanti vivono ai margini, che la società non sa o non vuole gestire, e che finiscono in carcere per una decisione di comodo. Don Sandro Spriano, storico cappellano di Rebibbia, il dramma del carcere lo denuncia da testimone diretto, nel rapporto quotidiano con uomini e donne chiusi in celle pollaio, la cui aspettativa più immediata ed evidente - assicura - è proprio l’indulto. Si definisce disincantato rispetto alle prospettive, ma sull’indulto non ha dubbi. “Dobbiamo guardare i problemi per quello che sono - spiega all’Adnkronos - c’è un problema di sovraffollamento che rende disumana la vita delle persone in carcere e dunque si deve sfollare, a questo è servito l’indulto”. E rispetto alla contestata esperienza del 2006, precisa: “Non è vero che sono rientrati in carcere tutti quelli che erano stati indultati”. Con l’indulto “i numeri erano diminuiti, poi sono cresciuti perché non si mette mano al codice, né a un progetto di depenalizzazione né a un’analisi di chi entra in carcere - sottolinea - per capire che sono, per la stragrande maggioranza, persone che vivono ai margini della società. Fuori non riusciamo a gestirli, o non vogliamo gestirli, dunque scegliamo di metterli dentro”. Ma oltre ai numeri, dice chiaro don Sandro, c’è “l’altra emergenza, la vita quotidiana del carcere, che lo sarebbe anche senza sovraffollamento. Questo pone un problema di mentalità, perché fuori manca la cultura dell’accoglienza al diverso, all’emarginato. Così, il carcere diventa un mondo rispetto al quale le istituzioni non sono in grado, e non hanno mai voluto farlo, di gestire le persone che ci stanno dentro, e offrire loro quello che dice la Costituzione, un periodo di stacco dalla società ma insieme una possibilità vera di reinserimento”. Dunque, è il monito del cappellano di Rebibbia, bisogna decidere se si è disposti ad accettare il carcere come “una città degli emarginati, perché di fatto la maggioranza detenuti non sono i grandi delinquenti, ma poveri disgraziati che sì commettono reati ma che non meriterebbero il carcere. Tra loro il 40 o 50% è in attesa di giudizio, un 25% non ha avuto il primo grado, quasi il 20% entra ed esce in una settimana”. E tutto questo, avverte don Sandro, ha costi altissimi. Giustizia: Gonnella (Antigone); un indulto sarebbe positivo, ma servono riforme Adnkronos, 18 settembre 2011 “Storicamente l’indulto ha sempre portato miglioramenti delle condizioni dei carcerati nell’immediato, ma ogni volta il problema sovraffollamento ritorna: sono necessarie interventi legislativi che vadano a modificare il codice penale”. Lo dice all’Adnkronos Patrizio Gonnella, presidente nazionale dell’Associazione Antigone, commentando le dichiarazioni del cappellano del carcere di Rebibbia, don Sandro Spriano, che aveva sostenuto come l’indulto possa essere una soluzione alla situazione “disastrosa degli istituti penitenziari”. “Per migliorare la vivibilità dei carceri in maniera duratura - continua - sarebbe necessario un intervento radicale: prima di tutto, qualora ci fosse la volontà politica, in un tempo ragionevole si potrebbe agire rivedendo la legge anti - droga, l’ex Cirielli e l’utilizzo di misure alternative alla detenzione carceraria. Soprattutto però - conclude - va fatta passare l’idea che non tutto si possa combattere con il carcere”. Giustizia Capece (Sappe); indulto soluzione temporanea, servono interventi strutturali Adnkronos, 18 settembre 2011 “La situazione delle carceri sta per implodere ma l’utilizzo di metodi come amnistia o indulto non serve perché sono soluzioni temporanee che non risolvono il problema alla radice: servono interventi strutturali, proprio come ha dichiarato il ministro Nitto Palma”. Lo dice Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria, commentando all’Adnkronos le dichiarazioni del cappellano del carcere di Rebibbia, don Sandro Spriano, che aveva sottolineato come il ricorso all’indulto sia necessario per risolvere nell’immediato il problema del sovraffollamento delle carceri. “Bisogna aumentare le misure alternative alla detenzione - continua - imponendo per legge la carcerazione, che deve essere dura, solo per i reati gravi, mentre utilizzare domiciliari per i reati minori. Per quanto riguarda i numerosi extracomunitari presenti nelle strutture penitenziarie, bisognerebbe far scontare la pena nel loro paese d’origine così come impongono i patti bilaterali tra Italia e gli altri Stati. È inoltre necessario - conclude - rinforzare la polizia penitenziaria che al momento non ha un organico numericamente adeguato”. Giustizia: Nicotra (Osapp); stabilizzazione automatica misure alternative e più personale Il Velino, 18 settembre 2011 “È necessaria l’assunzione di nuove unità di polizia penitenziaria. Condividiamo ciò che il ministro della Giustizia ha detto ieri a Palermo a conclusione della sua visita alle carceri del capoluogo siciliano”. Lo afferma Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. “E, in attesa del dibattito al Senato previsto per mercoledì - aggiunge il sindacalista - ribadiamo la necessità, a fianco del potenziamento dell’organico, la stabilizzazione automatica delle misure alternative alla pena detentiva. Un provvedimento che potrebbe contrastare - conclude Nicotra - l’attuale situazione di sovraffollamento nelle carceri”. Giustizia: Moretti (Ugl); servono azioni incisive, con manovra saltato incremento personale Adnkronos, 18 settembre 2011 “Le attenzioni rivolte alla spinosa emergenza delle carceri italiane mostrano tutte le buone intenzioni del Ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, ma come sindacato chiediamo azioni più incisive e concrete per la risoluzione degli innumerevoli disagi che attanagliano il settore”. L’appello arriva da Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria. Riferendosi alle dichiarazioni rilasciate da Palma ieri durante la visita al carcere palermitano dei Pagliarelli, Moretti sottolinea che “il Ministro, ammettendo che per un piano carceri valido e incisivo è necessario costituire un comitato specifico, ha dato prova dell’impossibilità di realizzare quanto pubblicizzato negli ultimi tre anni”. La volontà di costruire più “carceri leggere” può essere una soluzione per velocizzare l’aumento della ricettività delle strutture penitenziarie, ma - continua Moretti - assolutamente non si può dimenticare il ripristino di fondi per la manutenzione di quelle attualmente esistenti, ormai tutte con gravi carenze strutturali e di sicurezza. Non senza precisare che l’apertura di nuove strutture richiede una corrispondente dotazione organica, oltre al necessario ripianamento dell’attuale pianta prevista. Per il sindacalista, poi, è chiaro che le ultime decisioni adottate con la manovra non consentiranno l’arruolamento delle 1.600 unità che erano previste nel piano carceri iniziale e temiamo che questa modifica di rotta nasconda proprio l’impossibilità di aumentare la dotazione organica attuale. Anche per questo motivo - ricorda Moretti - l’Ugl scenderà in piazza il prossimo 22 settembre unitamente ad altre sigle rappresentative della Polizia Penitenziaria, rivendicando anche più fondi, fornitura mezzi e riconoscimenti professionali. Intanto proprio alla vigilia della nostra manifestazione, il Senato si riunirà per discutere delle problematiche delle carceri, confidiamo in azioni concrete e risolutive, conclude. Giustizia: Apprendi (Pd); dal Governo attendiamo iniziative concrete per le carceri Adnkronos, 18 settembre 2011 Finalmente dopo ripetuti appelli è arrivata la visita del ministro della Giustizia alle carceri di Palermo. Adesso i detenuti e il personale che prestano servizio all’Ucciardone “stanno meglio”, perché il ministro Nitto Palma ha dichiarato che “all’Ucciardone stanno molto meglio che al Regina Coeli di Roma”. Per il resto nessuna novità. Lo dice il deputato regionale siciliano del Pd, Pino Apprendi, che aggiunge: “Le attuali condizioni di sovraffollamento, secondo il ministro, sono state causate dal governo Prodi che allora non costruì nuove carceri, ma intanto non si aprono quelle che sono già pronte, come a Gela”. “Pensavamo che il ministro - prosegue il parlamentare del Pd - si impegnasse sul fronte degli organici della polizia penitenziaria fermi al 2001 e del personale dei servizi di psicologia ed assistenza sociale. Ci aspettiamo, nelle prossime settimane, iniziative concrete dal Governo Berlusconi, che rispondano alle vere esigenze del dramma che si sta vivendo nelle carceri”. Giustizia: “mercedi” per lavoro in carcere inadeguate, la protesta parte dai detenuti sardi Asca, 18 settembre 2011 Una sessantina di detenuti di origine sarda chiede l’adeguamento di una tabella che non è mai stata aggiornata dal 1993 a oggi. Tutti in carcere da oltre dieci anni, condannati all’ergastolo o a pene lunghissime, che durante la detenzione hanno lavorato per l’amministrazione penitenziaria e hanno dunque percepito una “mercede”, lo stipendio dei detenuti. Sbagliato, secondo loro, perché calcolato su tabelle vecchie di quasi vent’anni. E ora loro, i detenuti, alcuni in cella a Buoncammino, altri nel supercarcere di Spoleto o in case circondariali sparse per l’Italia, chiedono che il salario sia adeguato. Giustizia: Cassazione; detenuto ai domiciliari? agenti bussino a porta, non basta il citofono Adnkronos, 18 settembre 2011 Gli agenti addetti al controllo dei detenuti agli arresti domiciliari non possono limitarsi a citofonare al detenuto per controllare se effettivamente sia in casa. Devono bussare alla porta. Lo dice la Cassazione nell’accogliere il ricorso della difesa di un albanese, Ahmetaj A. che si era visto sostituire i domiciliari con la detenzione in carcere perché i carabinieri addetti al controllo, recatisi nella sua abitazione a Bari nel giorno di Ferragosto, pur avendo suonato al citofono non avevano ricevuto alcuna risposta. Da qui la deduzione dell’arbitrario allontanamento dell’albanese. Non basta citofonare, dice ora la Cassazione, i carabinieri avrebbero potuto bussare alla porta. Il Tribunale e, successivamente, la Corte d’appello di Bari (17 gennaio 2011) avevano bocciato la richiesta dell’albanese di ripristino dei domiciliari. Invano l’uomo aveva fatto presente che il citofono era guasto, allegando la corrispondente dichiarazione dell’amministratore condominiale. Ora la Cassazione ha accolto il ricorso e, rinviando la vicenda al Tribunale di Bari, ha fatto presente che “la mancata affissione al citofono di un cartello che ne segnalasse il guasto non dimostrava la trasgressione alle prescrizioni inerenti alla misura cautelare”. Da qui il monito degli ermellini alle forze dell’ordine chiamate a controllare i detenuti ai domiciliari: “i carabinieri sarebbero potuti entrare nello stabile in cui era ubicato l’appartamento” del detenuto “facendo aprire il cancello dagli addetti alla vigilanza che prestavano servizio continuativo”. Giustizia: la rieducazione del detenuto Cuffaro; leggo, scrivo e studio, e spero di poter lavorare di Angelo Picariello Avvenire, 18 settembre 2011 La rieducazione del detenuto Totò Cuffaro, classe 1958, procede bene. Lo promuovono anche i comunisti, e a pieni voti. “Mi son messo a studiare Giurisprudenza e sono già al secondo 30. Dopo diritto costituzionale, il 28 luglio ho superato anche istituzioni di diritto romano con Oliviero Diliberto (sì, proprio l’ex ministro della Giustizia) nelle vesti di docente alla Sapienza. Mi ha chiesto della manomissione, la procedura di affrancamento degli schiavi, chissà se era un’allusione... Ho risposto a tutto, alla fine ci siamo anche abbracciati”. E magari c’è scappato pure il bacio accademico, come da soprannome (vasa-vasa) che lo insegue anche in carcere. Così, uno dei politici più discussi quando era in sella - senatore, eurodeputato e governatore della Sicilia, sempre recordman di preferenze - riesce a raccogliere, da dietro le sbarre, i consensi più variegati. Lo incontriamo nella sala colloqui del nuovo complesso di Rebibbia dove è rinchiuso dal 22 gennaio per scontare sette anni con la dura accusa di aver favorito la mafia. Premessa fatta all’interlocutore e da lui accettata: la lotta alla mafia è segnata dal “Verrà un giorno il giudizio di Dio”, di Giovanni Paolo II ad Agrigento. E, quanto al giudizio terreno, non se ne conosce ancora uno più affidabile della sentenza di terzo grado. Cosicché, se non fosse il discreto “supervisore” del colloquio a ricordarcelo, della sentenza proprio non si parla. Nel merito dei fatti commessi Cuffaro dice solo: “Appartengono alla mia coscienza e non intendo più farne motivo di polemica politica”. Ma del detenuto Cuffaro, in tempi di istituzioni dilaniate, colpisce la cristiana rassegnazione con cui ha accettato la nuova condizione. Prova ne sono le lettere, “già 4.500”, che continua a ricevere. E che disbriga, “20 al giorno”, non facendo mancare a nessuno un grazie e una risposta. Complice l’insonnia che gli “regala” altre ore utili che passa a leggere e a scrivere, rannicchiato, con un rotolo di carta igienica applicato alla lucetta del letto per orientare il bagliore e non disturbare i tre compagni di cella che ronfano tranquillamente. Come va con loro? Molto bene. Uno è musulmano, e abbiamo ora deciso di pregare insieme. Lui tira fuori il tappeto e ognuno prega il suo Dio. Massimo rispetto reciproco, ma qualche giorno fa mi ha detto: “Tu hai un vantaggio, puoi guardare in cielo, io debbo guardare in una direzione precisa”. Così ho potuto spiegargli: “Vedi, Cristo è ovunque, lo trovi sul volto di ciascuno, qui dentro”. Ci ha pensato su. Chissà come andrà a finire... A un compagno di cella ha anche salvato la vita. Lui dice così, ma da medico ho fatto solo il mio dovere: quando ho notato sintomi sospetti ho avvertito gli agenti di custodia che hanno subito chiamato il 118, così l’infarto è stato preso in tempo. Ora, Santino - si chiama così - ha avuto una sistemazione da solo, due celle più in là. E con gli altri detenuti? Ho passato i primi giorni solo, chiuso in cella, borderline fra disperazione e speranza. Pensavo che in carcere ci fossero pregiudizi verso i politici, ero terrorizzato. Ma la verità è che il pregiudizio era mio. L’ho capito una volta assegnato, dopo 10 giorni, a una cella da quattro. Mi hanno fatto il letto, come da tradizione per i nuovi arrivati; non avevo una cintura regolamentare e hanno fatto a gara per donarmela. Ora cerco di essere gentile con tutti, come lo sono loro con me. Sanno chi sono stato: mi chiedono consigli, magari un aiuto a scrivere una lettera... Il tempo come passa? Mi alzo alle 6.30, faccio la barba, alle 7 sono fuori, un’ora e un quarto di corsa - ecco il motivo di quei 20 chili in meno, ndr. Torno in cella: leggo, scrivo e studio, approfittando che gli altri tre sono al lavoro. Anche in carcere i politici schivano il lavoro? Tutt’altro, ho fatto domanda ma non me l’hanno ancora accolta. Qui il lavoro è l’unico modo per sentirsi utili. Dopo il rancio, il pomeriggio, invece, regna il frastuono: tv accesa, voci che si accavallano, ma io, non so come, riesco a estraniarmi e a proseguire i miei studi. Il prossimo esame, a fine settembre, sarà storia del diritto romano. E poi leggo i libri che mi regalano. Tanti? Tantissimi. Sono arrivato qui solo con il Vangelo e “La montagna incantata” di Thomas Mann. Ma ora sono arrivato già copie delle “Confessioni “di sant’Agostino, alcune in edizioni pregiate, 7 del Senso Religioso di don Giussani, altrettante degli ultimi due libri di Benedetto XVI, che mi aveva portato Marco Follini, che fu il primo a venirmi a trovare. Poi sono venuti in tanti, dell’Udc, del Pdl, del Pd. Tutti colpiti da come ha accettato la condanna. Vede, oltre a un dovere trovo che sia anche un diritto. Il diritto di aver fatto parte delle istituzioni per 30 anni che mi impone oggi di accettare le decisioni di un’altra istituzione. È vero che sua figlia vuol fare il magistrato? È vero. Ha superato anche procedura civile, ora prepara la tesi e sono felice che la mia condanna non l’abbia demotivata da quella che sente come sua vocazione. Ha sempre avuto il massimo dei voti. Quando c’è un professore che mi conosce trova una scusa e dice: “Mi pare che quell’altro professore spieghi meglio...”, e cambia corso. Che cosa e chi la salva dalla disperazione? Gli amici e la famiglia, ma quello che tiene insieme tutto è la fede, un grande aiuto che questa condizione mi ha consentito di approfondire. E che cerco di portare anche agli altri. I libri, una volta letti, li consegno alla biblioteca del carcere e quelli che ho “doppioni” li dono agli altri. È vero che non tornerà alla politica? Pur volendo non potrei, sono interdetto dai pubblici uffici. Mi dedicherò all’agricoltura e alla mia passione, che sono i fichi d’india. I suoi cari come l’hanno presa? La loro vicinanza è stata la mia salvezza. Hanno 4 ore di colloquio al mese e preferiscono venire una volta la settimana: si sobbarcano un volo e un lungo spostamento per un’ora sola di colloquio. Ma il fatto che sia condannata con te anche la tua famiglia è una cosa, l’unica, che con le mie forze proprio non riesco ad accettare. È vero che scriverà un libro? Sì. E vorrei intitolarlo “Il candore delle cornacchie”. Nella mitologia greca, prima che Apollo la trasformasse per punizione in un uccello nero e gracchiarne, la cornacchia era un candida, dal suono soave. E tale appare ancora a noi qui a Rebibbia, il suo canto ci fa compagnia a tutte le ore. Lettere: dal Tribunale penale internazionale.. due pesi e due misure di Giulio Petrilli (responsabile giustizia Pd L’Aquila) Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2011 Il mio ricorso al tribunale penale internazionale è un granello di sabbia nel deserto. Il mio è stato un ricorso, contro alcuni magistrati, che mi hanno condannato ingiustamente in primo grado a otto anni di carcere. Li ho denunciati all’Aja, perché in appello dopo sei anni di carcere, sono stato assolto. Secondo me, anche mandare ingiustamente delle persone in carcere, è un crimine contro l’umanità. Mon mi risponderanno mai, sono consapevole di questo. Purtroppo, la mia constatazione è che il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, si configura sempre più come un tribunale preposto a una giustizia di parte, quella dei vincitori. Giudica crimini contro l’umanità, solo quelli commessi da governi, stati e anche dittatori del sud del mondo. Seleziona di volta in volta quali, a seconda delle convenienze politiche dei governi occidentali. L’esempio di Gheddafi è emblematico: decide oggi il mandato di cattura internazionale, dopo che si è deciso di bombardare la Libia. Gheddafi per quaranta anni non commetteva crimini contro l’umanità, li commette oggi. Così accadde con Milosevic. Non è accaduto con Ceausescu e Saddam perché sono stati giustiziati in patria. Con questo, non voglio esimermi dal giudicare le gravissime responsabilità delle persone sopraelencate e i crimini che spesso hanno commesso. Ma la mia riflessione è quella, che un tribunale internazionale dovrebbe partire dall’assunto che la legge è uguale per tutti. Ma perché la bomba di Hiroshima è invece rimasta impunita? Perché la strage di Sabra e Shatila, perpetrata in un campo palestinese in Libano, dallo Stato Israeliano, non è stata condannata? Furono uccisi, donne, bambini, persone inermi. Quando avvengono queste cose, è inutile sperare nei principi, regna solo la legge del più forte. Tra dittatori e tribunale internazionale c’è la similitudine che la legge non è regolata dal diritto, ma dalla forza di chi vince. Il garantismo, il diritto, sono un’altra cosa. Impariamo a costruire una giustizia giusta, che sappia garantire tutti, anche gli invisibili e le fasce più deboli. È una chimera, ma vale la pena di battersi. Ragusa: i Radicali; carcere invivibile, 3 detenuti in 9 metri quadri La Sicilia, 18 settembre 2011 “Le condizioni strutturali del carcere di Ragusa sono infami: con Rita Bernardini abbiamo visto 3 detenuti in uno spazio inferiore a 9 metri quadri e in alcune celle ci sono i wc a vista, vale a dire che se un detenuto deve defecare è costretto a farlo davanti agli altri”. Con queste parole Gianmarco Ciccarelli, segretario dei Radicali di Catania, ci ha descritto la sua recente visita nel carcere ibleo con l’onorevole Bernardini, a seguito della quale la parlamentare ha scritto una interrogazione per il ministro della Giustizia sulle condizioni della struttura. “In cinque ore dentro il carcere ci siamo accorti che gli agenti fanno davvero quello che possono, ma la carenza di personale unita al sovraffollamento della popolazione carceraria rende la situazione davvero dura. E pensare che ci sono detenuti trasferiti a Ragusa da Regina Coeli perché il penitenziario romano è sovraffollato!”. La dettagliata interrogazione parlamentare di Rita Bernardini ha sottolineato in primis l’alto di numero di detenuti presenti: su una capienza regolamentare di 116 erano presenti 195 detenuti, con la maggior parte di essi, circa il 60%, che sono in attesa di giudizio. Se il carcere è rieducazione alla vita “normale” stride il dato dei detenuti che lavorano: solo il 10%. Da contraltare all’elevato numero di detenuti c’è l’esiguità del personale in servizio a Ragusa, infatti la pianta organica della polizia penitenziaria prevedrebbe 117 agenti, mentre quelli in servizio sono 67. “La nota positiva del carcere ragusano - prosegue Ciccarelli - è la grande umanità e professionalità della comandante e della vicecomandante, le quali conosco bene tutti i detenuti, i loro problemi e le loro esigenze”. Dietro l’umanità e la professionalità ci sono però, a causa della ridotta pianta organica, agenti che fanno turni più lunghi del normale, ferie ridotte e tanto stress in più. Basti pensare, come ha dichiarato un agente alla Bernardini, che certe sere rimangono solo 7 agenti a vigilare su circa 200 detenuti. Forse perché è un piccolo carcere si parla poco di Ragusa e del suo sovraffollamento. Ma la testimonianza di un detenuto campano è illuminante: trasferito da Poggioreale, proprio per la presenza di troppi detenuti, a Ragusa ha dovuto affrontare un viaggio stremante su un blindato della polizia. “La lontananza dalla famiglia ci ha proprio stroncato - ha confidato il detenuto alla parlamentare - e lo spostamento a Ragusa è stato duro, due giorni interminabili di viaggio con una notte d’appoggio al carcere Bicocca di Catania; non abbiamo mangiato nulla; siamo arrivati qui stremati”. Inoltre l’assistenza psicologica è attiva solo sette ore al mese e la sezione femminile è chiusa per inadeguatezza strutturale. “Ho visitato diverse strutture e ne sono uscito sempre con grande amarezza - conclude il segretario dei Radicali etnei - e Ragusa è peggio rispetto alla media. Mentre problemi come il sovraffollamento potrebbero essere risolti: a Gela vi è una struttura nuova e inutilizzata che va degradandosi”. Nessuno ci aiuta… istanze rigettate e spazi assenti Il carcere di Ragusa un girone dantesco. Storie di detenuti raccolte dalla parlamentare radicale Rita Bernardini durante la visita ispettiva di fine agosto. Storie dietro le sbarre. Storie di vita e contemporaneamente di disagi. Le storie dei carcerati di Ragusa emergono nell’interrogazione parlamentare dell’on. Rita Bernardini, dei Radicali Italiani, che a fine agosto ha fatto una visita ispettiva all’interno dell’istituto penitenziario di via Di Vittorio, nel capoluogo. I detenuti in attesa di giudizio sono circa il 60%. I detenuti tossicodipendenti sono circa il 35%, gli stranieri rappresentano il 70% della popolazione detenuta. La percentuale dei detenuti che lavorano è soltanto del 10%, ricorda la Bernardini nella sua interrogazione parlamentare che nei fatti è un report dettagliato sul carcere di Ragusa dove, ad esempio, l’assistenza psicologica ex articolo 80 dell’ordinamento penitenziario risulta essere “del tutto inadeguata rispetto alle esigenze della popolazione detenuta, soltanto 7 ore al mese”. La Bernardini ha messo in luce la questione del sovraffollamento e quella di alcuni presunti disservizi. “In tanti - è scritto nell’atto parlamentare - lamentano ritardi e inadeguatezze con riferimento all’assistenza sanitaria: “Ho visto il cardiologo 3 giorni fa, dopo quasi 3 mesi dalla richiesta”, racconta un detenuto. Altri sottolineano difficoltà e lunghi tempi di attesa per fare un colloquio con l’assistente sociale”. Poi viene praticamente disegnata una sorta di mappa delle singole celle. Una mappa di storie difficili. “Nella cella n. 16 sono reclusi tre detenuti campani, con condanna definitiva, trasferiti a Ragusa dal carcere Poggioreale di Napoli per “sfollamento”. “La lontananza dalla famiglia ci ha proprio stroncato, affermano - riporta la Bernardini nell’interrogazione. Un detenuto racconta la traduzione da Napoli a Ragusa con il furgone blindato della Polizia penitenziaria: “È stata dura, due giorni interminabili di viaggio con una notte d’appoggio al carcere Bicocca di Catania, non abbiamo mangiato nulla. Siamo arrivati qui stremati…”. Un detenuto della cella 9 dice di aver fatto domanda al momento del suo arrivo, “6 mesi fa”, per un colloquio con l’assistente sociale: “ma ancora non l’ho visto…”. Molti detenuti lamentano l’assenza di attività: “Stiamo tutto il giorno chiusi in cella, qui non c’è niente. Fare galera così è doppia galera”“. La Bernardini raccoglie anche le storie di quei detenuti che vorrebbero lavorare per poi essere in grado di inserirsi socialmente una volta usciti. “Il rapporto con il magistrato di sorveglianza è uno dei problemi sollevati con maggiore frequenza dai detenuti - scrive ancora la Bernardini nell’interrogazione al ministro. “Qui rigettano tutto”, dice un detenuto, “il magistrato di sorveglianza è rigidissimo, benefici non ne dà. A volte nemmeno ci risponde, e se risponde rigetta”. Ed ancora il problema del sovraffollamento. Nella cella 12, sono recluse 6 persone - racconta ancora la deputata - Tra questi, c’è un detenuto tossicodipendente trasferito recentemente a Ragusa dal carcere di Bari, per “sfollamento”. Racconta: “Mi restano solo 2 mesi da scontare, a Bari andava meglio, ero in cura presso il Sert di Bari, qua invece niente. A Bari stavo seguendo un programma per riabilitarmi, che senso ha avermi trasferito qua?”. Un detenuto tunisino recluso nella cella n. 4 dice di non poter mangiare formaggio e latticini a causa di un’allergia, e denuncia ritardi e carenze nell’assistenza medica: “Ho fatto richiesta di poter parlare con un dottore circa un mese fa, ma ancora non l’ho visto, ho parlato solo con un infermiere, intanto la mia allergia peggiora e sto male”. Un detenuto del primo piano lamenta l’assenza di spazio: “Ma avete visto dove siamo chiusi? così c’è da impazzire; il recinto del mio cane è più grande”. Molti detenuti, in particolare gli stranieri, sono completamente indigenti e non hanno i soldi per provvedere ad esigenze primarie. Un detenuto tunisino ristretto nella cella n. 17 afferma: “Sto aspettando i 5 euro di sussidio mensili, mi hanno detto che la domanda è stata accettata ma ancora non ho avuto questi soldi. A me servono per comprare le lamette e poter fare la barba”. In molti lamentano carenze nell’assistenza sanitaria: “Per una visita specialistica dobbiamo aspettare 6 mesi”. Un detenuto lamenta l’impossibilità di fare la doccia ogni giorno: “Siamo costretti a lavarci con le bottiglie”, un altro detenuto lamenta carenze nella fornitura di carta igienica, “soltanto 2 rotoli a testa al mese”. Ancona: noi, chiusi in cella senza dignità; i detenuti raccontano l’odissea quotidiana Corriere Adriatico, 18 settembre 2011 La speranza, fiore nel cemento del carcere. Questo lo spirito che anima i detenuti della casa circondariale di Montacuto, dove ai tanti problemi di sovraffollamento e di convivenza si affianca la tenacia di chi, attraverso lo studio ed il lavoro, tenta di trovare una prospettiva in vista della futura libertà. Sono in 441 dietro le sbarre dell’istituto, almeno il doppio rispetto al limite di capienza: celle sovraffollate, problemi igienici e sanitari rappresentano la difficile quotidianità dei detenuti. “Siamo arrivati al collasso - afferma uno di essi - esistono celle di nove metri quadri che ospitano quattro persone. Sono soprattutto le prime due sezioni a scoppiare: lì si concentrano molti giovani extracomunitari ammassati come bestie”. Una situazione, secondo i detenuti, ai limiti della sopportabilità: “A breve saranno messi dei materassi anche nelle salette comuni - confida un altro ospite della struttura - non c’è più spazio ormai. Neanche il cibo è sufficiente, perché hanno ridotto le porzioni in modo da sfamare tutti: c’è chi, soprattutto tra gli stranieri, è pronto a menare le mani per un caffè”. Ma i disagi non si fermano qui: dietro le sbarre, anche ottenere cure mediche diventa problematico. “Siamo costretti a fare i capricci - raccontano - anche solo per far arrivare un infermiere, dobbiamo minacciare lo sciopero della fame. Le visite mediche si effettuano solo due giorni a settimana”. “L’igiene sta diventando un tormento - ammette un detenuto - dobbiamo comprare noi i detergenti, mentre dobbiamo farci bastare una saponetta e due rotoli di carta igienica al mese. Come se non bastasse, da qualche mese ci hanno tolto la giornata di visite del sabato: molti di noi, che hanno parenti che vivono e lavorano lontano da Ancona, non sanno come fare”. L’unica evasione, è proprio il caso di dirlo, alberga all’interno dell’area trattamentale, un’ala della casa circondariale, diretta dalla responsabile Gianna Ortenzi e dall’ispettore Marco Cingolani, priva di celle dove si trovano laboratori, una biblioteca e un centro di sostegno psicologico ed educativo. Diciotto le attività di studio e avviamento al lavoro attivate quest’anno, tra le quali spicca il corso professionale in manutenzione di impianti termici proposto e organizzato dalla Cna di Ancona: il progetto, finanziato per il secondo anno consecutivo dalla Regione Marche, si avvale della collaborazione di due docenti esperti nel ramo. “Gli studenti mostrano grande attenzione ed entusiasmo per questa attività - afferma l’ingegnere Massimiliano Grohmann. Il nostro scopo è quello di permettere loro di conseguire l’abilitazione professionale per avere una concreta opportunità di reinserimento”. Una grande occasione per i detenuti di Montacuto, che chiedono però maggiori sforzi: “Non possiamo che ringraziare per quanto si sta facendo - dichiara uno di loro, Giuseppe Calipari - ma vorremmo poterci unire in cooperativa e lavorare anche in contesto agricolo. Vogliamo avere certezze una volta usciti, in modo da non sbagliare di nuovo”. Trieste: al Coroneo record di detenuti, il direttore si appella al ministro Nitto Palma Il Piccolo, 18 settembre 2011 “La situazione non è mai stata così critica. Spero che il ministro della Giustizia Nitto Palma che viene dal mondo della magistratura e che dunque respira di diritto e di rispetto dei diritti, ascolti chi opera all’interno della carceri”. Enrico Sbriglia, direttore della casa circondariale di via Coroneo, non maschera una certa preoccupazione. “Non avevamo mai ospitato 270 persone - sottolinea - e devo ringraziare chi ogni giorno opera a stretto contatto con le persone detenute riuscendo a mantenere con loro un buon rapporto umano e rispettoso”. In altri penitenziari per situazioni simili i carcerati hanno organizzato imponenti proteste. “Mantenere un equilibrio pur avendo 16 persone che dormono con i materassi a terra - avverte il direttore - non è semplice. La situazione è ad alto rischio. Anche chi lavora qui dentro non sta vivendo un periodo facile”. Giovedì 15 settembre, ore 12. Nel carcere di via Coroneo sono detenute 270 persone. Mai dal dopoguerra ad oggi nella casa circondariale di Trieste ne sono state ospitate tante. La capienza della struttura ne prevede 155. Un caso limite fotografato ieri mattina dalla Prima commissione consiliare del Comune di Trieste che ha visito il carcere: “Le parti comuni sono in buone condizioni ma le celle - denuncia Maria Grazia Cogliati che presiede la stessa commissione - sono in uno stato disastroso: muri scrostati, scarafaggi, zanzare e un caldo soffocante. Alcune docce sono rotte e i detenuti di quel reparto sono obbligati ad andare a turno a lavarsi in quelle di altri”. Nelle celle che dovrebbero ospitare da 2 a 5 persone ce ne sono anche 10. Causa il sovraffollamento e la mancanza di letti 16 detenuti - mai capitata prima una situazione così drammatica - sono costretti a dormire sui materassi gettati a terra. C’è una lista, una graduatoria di chi dorme sul pavimento e man mano che i posti sui letti a castello si liberano il primo dell’elenco si accaparra il giaciglio con tanto di rete, materasso e cuscino. “Bisogna - evidenzia la presidente - rafforzare la collaborazione con questa amministrazione penitenziaria e con il direttore Sbriglia che, visti i mezzi, fa miracoli”. Dei 270 detenuti del Coroneo 32 sono donne. Nella sezione maschile gli stranieri sono 177, in quella femminile 16: una percentuale che è la più alta d’Italia e che impone particolari attenzioni culturali, religiose e linguistiche 8 sono coloro che usufruiscono della semilibertà, 5 svolgono lavori all’esterno. “Pochi, - osserva la Cogliati - perché le norme che consento queste alternative sono restrittive e perché le ditte esterne non sono sempre disponibili ad accoglierli”. All’interno della struttura sono invece 16 i detenuti ai quali è stata data la possibilità di lavorare: 5 nel reparto cucina, un portapacchi, un addetto alle piccole manutenzioni, un magazziniere, 4 addetti alle pulizie delle parti comuni, 2 “spesini” - coloro che provvedono a stilare le liste dei prodotti che servono ad ogni singolo detenuto e una volta ricevuta la merce la distribuiscono - e un barbiere. “Chi lavora in carcere viene pagato dalla pubblica amministrazione - spiega la presidente - e di conseguenza, viste le poche risorse, possono lavorare in pochi e solo per tre ore al giorno”. I componenti della commissione comunale hanno visitato tutte le sezioni del carcere inclusa quella dove sono ospitate le celle di isolamento che in questi giorni ospitano Alessandro Cavalli, accusato dell’omicidio di Giuseppe Novacco, e Giulio Simsig che domenica mattina ha ucciso a coltellate la sua ex fidanzata. “Cavalli l’abbiamo visto - riferisce Cogliati - Simsig era a colloquio credo con il suo legale”. La prima commissione si riunirà quanto prima per valutare le proposte da sottoporre alla giunta e al sindaco. “Cosolini che nella sua campagna elettorale ha valutato la possibilità di istituire un “garante dei detenuti” - conclude Cogliati - avrà sicuramente la sensibilità di sostenere alcune iniziative. Anche con il panificio realizzato all’interno del carcere è possibile valutare alcune future collaborazioni”. Messina: Uil; personale all’osso, i politici vengano a visitare il carcere per vedere coi loro occhi Gazzetta del Sud, 18 settembre 2011 Gli agenti penitenziari sono nuovamente sul piede di guerra. Disagio altroché giustificato; peraltro direttamente proporzionale al dramma del sovraffollamento delle carceri. Tornano allora a far sentire la loro voce sulla strutturale carenza di personale del corpo; problematica che si trascina ormai da anni, assumendo proporzioni non più tollerabili. Tuttavia, nulla fino a questo momento si è mosso. Né, purtroppo, si percepiscono segnali di eventuali cambiamenti di sorta. Si avverte tutt’al più il silenzio (quello sì assordante) delle istituzioni che sembrano essersi dimenticate dell’esistenza di una quarta forza di polizia. Uomini e donne che con grande senso di sacrificio e responsabilità mettono a dura prova se stessi (e le rispettive famiglie) per garantire ordine e sicurezza. Impegno evidentemente invisibile per gli organi competenti, a cominciare dal Ministero della giustizia che a fronte delle innumerevoli denunce sulla scottante questione non si è mai fatto portavoce presso il Governo, abbandonando di fatto un’intera categoria di lavoratori. E qui al Sud, evidentemente, la situazione raggiunge livelli maggiori di gravità. Basti pensare alla casa circondariale di Messina Gazzi, vera bomba ad orologeria (come più volte è stato denunciato), non soltanto perché “accoglie” più del doppio dei detenuti che potrebbe contenere. Le cose peggiorano giorno per giorno. “Così non si può più andare avanti”, denunciano gli agenti. Negli ultimi tempi si sono registrati momenti di tensione: alcuni poliziotti sono stati persino sanzionati disciplinarmente sol perché si sarebbero permessi di rivendicare i propri diritti, tra cui il rispetto dell’accordo quadro nazionale, del modello organizzativo, del regolamento di servizio di traduzioni e piantonamenti, degli accordi siglati fra organizzazioni sindacali ed esponenti del governo. Il segretario provinciale aggiunto della Polizia penitenziaria (Uil-Pa), Antonino Donato, rileva inoltre che “giornalmente viene richiesto, e in alcuni casi imposto, il prolungamento del servizio. Per gli addetti al Nucleo i turni di servizio variano da 10 a 14 ore, ma possono arrivare anche a 24 ore, come per i servizi di traduzioni a mezzo vettore aero - civile, ma la situazione non è di certo migliore per chi lavora all’interno del reparto con un minimo di otto ore programmate, fino ad arrivare anche a 16 ore, ovvero il doppio turno”. Poi la provocazione: “Chiediamo - dice - a onorevoli, senatori e politici locali di venire a fare una visita all’istituto penitenziario messinese. Cosa ancora più gradita se la visita non venga annunciata, così dirigenti e funzionari non hanno tempo e modo di mostrare la parte migliore: posti di servizio tutti coperti e il carcere tirato a lucido. Naturalmente il tutto ricade sulle spalle della polizia penitenziaria, prolungando il turno di lavoro. Se ciò avvenisse - prosegue Donato - i politici avrebbero modo di constatare personalmente con quante unità in servizio e in quale contesto operano gli agenti. Meglio ancora se la visita avvenisse nel pomeriggio, dopo le 16 o di notte, dopo le 24”. Perché non dare allora un’occhiata pure agli spogliatoi della caserma vecchia, dove sono tuttora in funzione i bagni alla turca; verificare le condizioni igienico sanitarie della mensa o la qualità del vitto. Punti deboli che il sindacato intende così evidenziare. “Gli automezzi del corpo - denuncia ancora Donato - sono obsoleti e fatiscenti: senza aria condizionata ma vengono impiegati anche nei mesi più caldi, con relativi malori del personale e dei trasportati, in quanto si trasformano in forni umani”. Altra cosa grave: “Le relazioni di servizio degli agenti assistenti non seguono un iter regolare e spesso non vengono riscontrate, con la conseguenza che il comandante e il dirigente non sono messi a conoscenza del presunto comportamento non idoneo anche di qualche graduato”. Gli operatori del Nucleo, infine, vengono contattati dall’ufficio anche durante i riposi e i congedi; spesso (in assenza di regime di reperibilità) sono chiamati anche a casa per poi essere obbligati al rientro in sede, senza alcun riconoscimento economico. Insomma quello in cui i poliziotti penitenziari sono costretti a operare è un contesto a dir poco difficile. Ma fin quanto potrà durare questo stato di cose? Opera (Mi): il supercarcere si allarga, arriva un nuovo padiglione con 400 posti detentivi Il Giorno, 18 settembre 2011 Una boccata di ossigeno per l’economia locale potrebbe arrivare dall’ampliamento del carcere di Opera. Presto partiranno i lavori per realizzare un nuovo padiglione che aumenterà la capienza del supercarcere di Opera di altri 400 posti. Un intervento che rientra nel Piano per fronteggiare l’emergenza sovraffollamento, un problema cronico che affligge le strutture penitenziarie milanesi e in particolare quella di Opera. L’ampliamento del carcere di Opera prevede la realizzazione di edifici e strutture su un’area di circa 27 mila mq che abbraccia i Comuni di Milano e Opera: 17 mila mq interessano il Comune di Opera e sono destinati alla realizzazione del nuovo padiglione detentivo per 400 posti con 8 cortili destinati “all’ora d’aria” e una struttura per le attività sportive all’aperto. Altri 10 mila mq che si trovano in territorio milanese sono destinati invece al accogliere due centrali tecnologiche di cogenerazione e un campo da calcio con annessi servizi. L’intervento, come prevede il decreto che lo ha approvato, è urgente e i lavori dovrebbero partire a breve. Oltre a contribuire a risolvere parzialmente il problema del sovraffollamento delle carceri, l’intervento dovrebbe portare benefici economici alle attività commerciali e lavorative della zona, principalmente quelle del Comune di Opera. “Il Sud Milano è spesso destinatario di tutte quelle strutture che non trovano locazione da altre parti. Il carcere lo abbiamo ormai assimilato, ora speriamo che questo ampliamento possa contribuire all’economia delle attività del territorio. Mercati, negozi, bari ristoranti potrebbero guadagnare una fetta di nuova clientela, soprattutto per gli addetti ai lavori. Inoltre l’indotto del carcere potrebbe attingere maestranze dal territorio” - commenta il sindaco Ettore Fusco. Già in questi anni effettivamente alcune attività del territorio hanno potuto “godere” della vicinanza alla cittadella penitenziaria. Non solo per gli agenti, una sessantina, che hanno scelto Opera come città dove risiedere. La casa circondariale è un cittadella sulla quale quotidianamente gravitano circa duemila persone fra agenti, addetti ai lavori e familiari dei detenuti che arrivano per le visite. Una utenza che in parte sfrutta le attività della zona presenti sul territorio, sia per quanto riguarda il settore alberghiero - residenziale che di altro genere. Inoltre sono molti gli operesi che lavorano per fornire servizi alla cittadella penitenziaria come la cooperativa che gestisce il nido all’interno delle mura. Mantova: convenzione tra Coldiretti, Asl e carcere; ai detenuti un lavoro in campagna La Gazzetta di Mantova, 18 settembre 2011 La campagna punta ad offrire ai detenuti un recupero sociale. Ieri mattina è stata sottoscritta una convenzione tra Coldiretti, Asl, assistenti sociali del carcere e casa circondariale per permettere a soggetti svantaggiati come detenuti e tossici di reintegrarsi nella società attraverso il lavoro agricolo. Il dirigente del nucleo tossicodipendenze dell’Asl Maurizio Gobbetto ha spiegato che “il lavoro a contatto con la natura permette il recupero, soprattutto per i tossici, dei ritmi biologici; inoltre ridona dignità e autostima”. Ad illustrare la convenzione ci ha pensato il presidente Coldiretti Gianluigi Zani: “Il progetto porterà grandi vantaggi a tutti. Ai detenuti per un eccellente recupero nella società civile e la possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. Per i nostri associati rappresenterà invece uno spunto per sviluppare il settore agricolo con l’attenzione al sociale”. La direttrice Uepe (servizi sociali del ministero della giustizia) Antonietta Carfagna e Germana Tommasini dell’Asl si sono augurate che la firma della convenzione rappresenti un primo passo di collaborazione tra enti pubblici e aziende private nell’impegno per il sociale. A concludere la presentazioone il direttore del carcere di via Poma, Enrico Baraniello: “Spero che i soggetti che prenderanno parte all’iniziativa restino a lavorare in queste aziende una volta scontata la pena - ha aggiunto - questo sarebbe un arricchimento per l’intera società”. Pescara; esplode una bomboletta di gas, gravi due detenuti ustionati dalle fiamme Il Centro, 18 settembre 2011 Colpa di una bombola che è esplosa, o forse ha solo preso fuoco. Come sia andato l’incidente di ieri sera nel carcere di San Donato non è ancora chiaro. Quel che è certo è che due detenuti romeni sono rimasti feriti gravemente e ora sono ricoverati in prognosi riservata con ustioni importanti. Il più grave ha ustioni sul 60% del corpo e nella notte è stato trasferito al centro grandi ustionati di Padova. L’altro è ricoverato all’ospedale Civile di Pescara. L’incidente è avvenuto ieri sera nel carcere di San Donato intorno alle 20. Gli agenti della polizia penitenziaria stanno ancora lavorando per ricostruire la dinamica di quello che è accaduto. Per il momento c’è solo una prima e sommaria ricostruzione secondo la quale i due detenuti sarebbero rimasti feriti mentre erano in cella ad armeggiare con le bombole del gas. I detenuti, infatti, secondo il regolamento, sono autorizzati a tenere una bombola a testa per riscaldare le bevande. Capita però spesso, spiegano persone che conoscono l’ambiente, che all’interno della stessa cella si utilizzino più bombole insieme per cucinare. L’ipotesi quindi è che proprio durante una di queste manovre per unire diverse bombole si sia provocato uno scoppio o una fiammata che ha investito i due detenuti. “Non abbiamo ancora chiarito cos’è successo”, spiega il direttore del carcere Franco Pettinelli, “ma dalle prime informazioni che mi sono arrivate posso dire che è stato un incidente”. I due detenuti feriti sono stati immediatamente soccorsi dalla polizia penitenziaria e dal personale sanitario del carcere e fatti trasportare in ospedale dalle ambulanze del 118. All’arrivo in ospedale le condizioni di uno dei due, Ioan Ciobanu, romeno di 59 anni, sono sembrate subito gravissime. L’uomo non era cosciente e, secondo un primo esame, ha ustioni sul 60% del corpo probabilmente perché al momento dell’incidente era il più vicino alle bombole. I sanitari del 118 in nottata hanno organizzato per lui un trasporto in ambulanza con medico autista e infermiere, L’uomo è stato così portato al Centro grandi ustionati di Padova. In prognosi riservata anche l’altro detenuto ferito, Nelu Ciuraru di 40 anni, che presenta ustioni sul 20 - 25% del corpo ed è stato ricoverato nel reparto di Chirurgia generale del civile. Locri (Rc): boss evaso dalla clinica dove era ricoverato, interrogati medici e pazienti Gazzetta del Sud, 18 settembre 2011 Vertice ieri mattina alla Procura di Locri tra i magistrati che indagano sull’evasione dall’ospedale cittadino di Antonio Pelle alias “a mamma” e il nucleo di comando del “Gruppo carabinieri”. Il colonnello Valerio Giardina, il maggiore Alessandro Mucci e il tenente Lorenzo Provenzano hanno incontrato il procuratore capo Giuseppe Carbone e la sostituta Simona Ferraiuolo (titolare dell’indagine), per una prima verifica sulle iniziative finalizzate non solo a rintracciare “Vancheddu”, ma anche ad individuare eventuali suoi fiancheggiatori. Come si ricorderà il 49enne Antonio Pelle, giunto alle 8 del mattino di domenica scorsa al Pronto Soccorso dell’ospedale di Locri, con diagnosi di “gastroenterite resistente in paziente con anoressia” era stato ricoverato in Medicina generale, al quarto piano del nosocomio locrese, letto numero 420, in una stanza con altri tre pazienti, uno dei quali cieco. Durante la notte tra domenica e lunedì, il boss ha fatto perdere le sue tracce. Ad accorgersi della fuga e a dare l’allarme chiamando, intorno all’una di notte di domenica, il 112 dei carabinieri, è stato il medico di turno. Per quanto riguarda la via di fuga, gli investigatori sono propensi a ritenere che il boss sia uscito attraverso l’unica porta non chiudibile, quella antipanico. Una volta aperta quella e giunto nel vano ascensori, sparire nella note è stato facile come bere un bicchiere d’acqua. Poche le indiscrezioni emerse dal vertice, se si eccettua la conferma che Pelle è sparito dall’ospedale di Locri “all’una della notte tra domenica e lunedì scorsi”. Per il resto il procuratore capo Giuseppe Carbone, a conclusione del vertice, si è limitato ad evidenziare che l’ufficio di Procura “ha già posto sotto sequestro le cartelle cliniche di Antonio Pelle” e che “la collega Simona Ferraiuolo, insieme a me, sta sentendo gli operatori sanitari, medici e infermieri, in servizio nel reparto di Medicina generale. Gli interrogatori - ha continuato il procuratore Carbone - riguarderanno non solo i tre pazienti, uno dei quali cieco, ricoverati nella stanza con Pelle ma tutti quelli che quel giorno si trovavano ricoverati nel reparto”. Carbone, nell’evidenziare che la Procura “sta indagando soltanto per il reato di evasione e non per altro”, stigmatizza “l’eccessivo clamore mediatico intorno al caso. Certamete - ha evidenziato - si tratta della fuga di un pericoloso criminale ma mi sembra fuori luogo volerla scaricare a tutti i costi su una presunta e inesistente inefficienza delle forze dell’ordine. Né - ha aggiunto il procuratore - sarebbe cambiato nulla se presso il Pronto Soccorso ci fosse stato il posto fisso di polizia. Questo perché - spiega - Antonio Pelle era soltanto sottoposto agli arresti domiciliari. Provvedimento restrittivo, questo, che obbliga le forze dell’ordine, sulla base di proprie valutazioni e indipendentemente se il detenuto si trovi a casa propria o in altri luoghi, ad effettuare semplici controlli periodici. Nel caso di Pelle i controlli dei carabinieri ci sono stati e sono stati frequenti: basti pensare che durante i 149 giorni di arresti domiciliari soltanto i carabinieri del Gruppo Locri hanno ne hanno effettuati ben 180, senza contare quelli di altre forze dell’ordine. Ecco perché - ha concluso Carbone - parlare di inesistenza di controlli mi sembra non solo eccessivo, ma anche offensivo per le forze dell’ordine e in particolare per l’Arma”. Avellino: la Colgate-Palmolive dona al carcere un intero camion di prodotti per l’igiene Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2011 È con vero piacere che informo codesta Redazione che, in seguito alla decisa iniziativa della Direzione della Casa Circondariale di Avellino, nel quadro della ricerca delle buone prassi e dei contatti efficaci con il territorio, la Colgate-Palmolive ha recentemente fatto omaggio a questo Istituto di diversi quintali di prodotti, un intero camion, per l’igiene personale e per gli ambienti. Tale ingente materiale sarà impiegato per migliorare l’igiene la pulizia e la salubrità degli ambienti detentivi e quelli lavorativi dell’ intera struttura. Inoltre a tutti i reclusi particolarmente indigenti sarà consegnato, contenente la dicitura: “omaggio della Colgate - Palmolive”, un pacco contenente saponi vari. Parimenti, tutti gli uffici e i posti di servizio riceveranno una adeguata dotazione di prodotti igienici. Parte del materiale (schiuma da barba), inutilizzabile per il contesto detentivo, sarà donato alla mensa dei poveri e ad altra struttura di ricovero per anziani indigenti. Nella speranza che tale “esperimento” sia preparatorio a forme di collaborazione tra il carcere e il territorio sempre più durature e solide, porgo distinti saluti e rimango a disposizione per eventuali altri chiarimenti Dr. Aniello Vasile Coordinatore Area Trattamentale Casa Circondariale di Avellino Te. 0825.706222 - telefax 0825.706147 Teatro: “La legge è uguale per tutti?”… e i detenuti vincono la sfida per l’integrazione Messaggero Veneto, 18 settembre 2011 “Con questa commedia abbiamo voluto farci autisti delle parole e dei pensieri dei detenuti - ha esordito Pino Roveredo - li abbiamo portati fuori, per mostrarli a quella parte di gente che crede che dietro le sbarre si stia a dormire in branda tutto il giorno e per far riflettere chi ha voglia di andare oltre i pregiudizi”. Lo scrittore di origini triestine è tornato a Pordenone Legge a parlare di scrittura come salvezza, lui che delle parole scritte ha fatto uno strumento di resurrezione da una gioventù di sbagli e cadute, come spesso ama definire i suoi primi quarant’anni o poco meno di vita. Questa volta è tornato con la sua ultima commedia, “La legge è uguale per tutti?”, risultato del primo laboratorio teatrale realizzato nel carcere di Pordenone e promosso da I Ragazzi della Panchina, per raccontare al pubblico del ridotto del Verdi il dietro le quinte di un’esperienza umana. “Per un ex detenuto come me tornare in carcere da redento - ha confessato Roveredo - è un gran privilegio. È stata un’esperienza difficile, ma di grande profondità per tutti”. Otto i mesi di lavoro, una trentina le visite ai detenuti per le prove della commedia e una prima assoluta (con la proiezione del film della rappresentazione) che si è tenuta a giugno all’ex convento di San Francesco. Assieme a Roveredo sul palco, alcuni attori non detenuti e il regista, Guerrino Faggiani dell’associazione. “Il primo giorno in carcere - ha raccontato - quando ci siamo resi conto che molti detenuti non sapevano nemmeno leggere il copione, ci siamo preoccupati. Poi però siamo andati avanti e abbiamo sempre lasciato loro la libertà di impegnarsi o meno. Alla fine si è creato un gruppo”. L’integrazione è stata tra i detenuti attori e gli attori non detenuti della compagnia di Roverdo, che in carcere non c’erano mai stati in vita loro. “Ho imparato tanto da questa esperienza - ha concluso una di loro, Valentina Furlan - soprattutto ho visto in questi detenuti il coraggio. Hanno mostrato la loro faccia alla città pur sapendo che quella sera di giugno non avrebbero avuto la possibilità di difendersi da eventuali dita puntate”. Libri: “Giustizia relativa e pena assoluta”, di Silvia Cecchi Recensione di Marcello Pesarini Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2011 Quando l’interesse attorno al mondo della giustizia è causato dalle vicende giudiziarie del premier, o di amministratori dell’opposizione Pd, l’eco in Italia è forte, perché si tratta di intingere il pane nel sugo della maldicenza, del sorriso facile, dei luoghi comuni, dove tutti finiscono incolpati e tutti assolti. E tutto ciò non comporta sforzi per l’utenza, impegni per i cittadini. Se invece siamo chiamati a giudicare l’efficienza e l’efficacia delle istituzioni penitenziarie, l’effetto tipo è di considerarle comunque troppo dispendiose, e di riporre il problema nel dimenticatoio, previo lamentarsi perché lo Stato fa poco per la sicurezza dei cittadini. Cominciano a cambiare i parametri nel caso dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Sarebbe interessante notare che quando un minore riceve anche solo una segnalazione per reato, o tentato reato, ottiene una presa in carico dal parte della giustizia minorile che si estende anche alla famiglia d’origine. Il che vuol dire che non vengono affrontati i reati in maniera retributiva, cioè in base ad una misurazione di gravità basata sulla nocività nei confronti della vittima, o delle vittime, ma anche e soprattutto in base alla tipologia del reato, alle sue origini, fino a risalire alle situazioni ambientali e relazionali. Parliamo di decine di migliaia in Italia, in carico diretto o indiretto al Sistema Giudiziario Minorile, che svolge il compito attraverso le famose “comunità” o in altre strutture. “Giustizia relativa e pena assoluta”, libro di Silvia Cecchi, magistrato di Pesaro, edito da LiberiLibri sarà presto recensito da su Liberazione, Micromega ed altri giornali della sinistra, e non è passato affatto inosservato in altri ambienti. Mi sembra degno di segnalazione l’impegno dell’autrice, da anni impegnata nel campo dell’amministrazione della giustizia, nel sollevare il problema della pena legata alla giustizia stessa, e della sua utilità sociale, sull’esempio della giustizia minorile. Non è comportamento frequente quello di un servitore dello Stato che si interroga a fondo sull’utilità del proprio operato, vaglia altre scuole di pensiero che considerano il carcere solo l’estrema scelta, e considera ogni reato come una storia che va letta a partire dalla riparazione, e non solo come causa di una retribuzione nei confronti della vittima, senza poi sincerarsi della riuscita del percorso. In giorni nei quali si agita davanti al popolo l’immagine del carcere duro nei confronti dei grandi evasori fiscali per non affrontare cause e connivenze nel fenomeno dell’evasione, un libro come quello di Silvia Cecchi può servire ad una riconsiderazione della giustizia e della pena. Sarà cura di numerose associazioni e singoli organizzarne la presentazione pubblica. Televisione: oggi nella trasmissione Tg3 “Persone” un’intervista a Carmelo Musumeci Italpress, 18 settembre 2011 Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo, fino a oggi ha scontato venti anni. In carcere ha studiato giurisprudenza e la sua tesi, sull’ergastolo, è storia personale ma anche una dura analisi della pena a vita. È lui stesso a raccontarlo a “Persone”, il settimanale del Tg3 dedicato alle storie di vita quotidiana che torna in una nuova edizione domani alle 12.10 su Rai3. Nel sommario, anche un viaggio nell’arte in compagnia di Andrea. Regista, scenografo, pittore, artista multimediale, Andrea insegna Drammaturgia dello Spazio al Central Saint Martins e al Goldsmiths College di Londra. Libia: il pm di Rimini chiede notizie di Giulio Lolli, detenuto a Tripoli prima della rivolta La Repubblica, 18 settembre 2011 La Procura di Rimini vuol sapere dov’è finito Giulio Lolli, se è vivo o è morto, se è stato ucciso o è fuggito di nuovo. È pronta a mandare una nota di richiesta di informazioni all’ambasciata italiana di Tripoli riaperta, con la presenza del console De Sanctis, solo da pochi giorni nella grande villa con giardino sul lungomare. Con la speranza che qualcuno dia informazioni sicure. Le tracce dell’ex patron di Rimini Yacht, inseguito da due mandati di cattura internazionale, sembrano scomparse di nuovo, finite sulla sabbia del deserto libico e spazzate via dal vento, in una storia che qualche sceneggiatore potrebbe scrivere per un film. Le ultime notizie certe e ufficiali risalgono allo scorso gennaio, quando l’imprenditore bolognese, accusato di truffa, di appropriazione indebita di milioni di euro per la vendita fasulla di decine di barche di lusso e di corruzione di uomini della Finanza, era stato catturato e rinchiuso in un carcere nei pressi di Tripoli. Da lì, zona poco sicura per l’insorgere dei primi moti di rivolta, Lolli era stato trasferito in un carcere del centro della capitale libica. Poi è scoppiata la guerra, durata mesi e con l’arrivo degli insorti nella Piazza Verde, niente più che un grande parcheggio sul lungomare con il palco permanente per le celebrazioni di regime, le carceri sono state aperte e tutti sono stati fatti uscire. Se uno parla con gli inviati di guerra ancora presenti a Tripoli, viene a sapere che di carceri in piedi ora non ce ne sono più (o ancora), ma sono stati approntati solo alcuni luoghi di reclusione per contractors che lavoravano per Gheddafi arrestati dagli insorti. Almeno ufficialmente è così, ma Lolli è un detenuto italiano, un uomo in grado di avere soldi e contatti (ha venduto una barca d’altura anche a Flavio Carboni, il faccendiere della P 3) e potrebbe avere barattato la sua libertà. A gennaio erano stati i carabinieri ad arrivare a lui, dopo aver intercettato un imprenditore siciliano che lo aveva aiutato ad espatriare in Tunisia e che ha continuato a tenere i contatti con la famiglia. Le tracce in Tunisia erano stato scoperte dal Secondo gruppo della Guardia di Finanza, coordinato dalla pm Antonella Scandellari, seguendo un flusso di denaro dalla Svizzera. Viveva in barca, ma sulle coste tunisine Lolli c’è rimasto poco, per la rivoluzione contro Ben Alì costretto a fuggire verso il confine della Libia. Ma la Libia, ritenuta sicura, è stata una trappola: non solo è stato arrestato (e lui ha rifiutato l’estradizione, comportamento che andrebbe spiegato) ma poi la rivolta è arrivata anche lì. In carcere Lolli deve aver passato momenti terribili. Alla procura di Bologna Lolli interessa non soltanto perché deve andare in carcere in Italia, ma anche perché dovrebbe spiegare i suoi rapporti con i due ufficiali della Tributaria accusati di corruzione, Massimiliano Parpiglia e Enzo Di Giovanni, già a processo. Siria: salito a 95 il numero dei detenuti morti nelle carceri della vergogna di Riccardo Noury Corriere della Sera, 18 settembre 2011 Non sono passate neanche due settimane da quando Amnesty International aveva reso noto l’elenco di 88 manifestanti siriani morti in carcere, nella maggior parte dei casi a seguito delle torture. Il totale ora è salito a 95. L’ultimo dei morti sotto tortura di cui un giorno, come si augurano le organizzazioni per i diritti umani, il presidente siriano Bashar al-Assad dovrà rendere conto a un giudice internazionale, è il ventiseienne Ghayath Mattar. Con un’involontaria ammissione di colpevolezza, le autorità hanno dichiarato che è stato “ucciso dalle bande armate”. Mattar era stato arrestato il 6 settembre a Daraya, alla periferia di Damasco. Aveva promosso e guidato le manifestazioni pacifiche in cui migliaia di persone avevano risposto alla violenza dei soldati siriani mostrando dei fiori. Cinque giorni in carcere, ed è morto. I servizi segreti dell’Aeronautica, la principale agenzia di sicurezza che opera a Daraya, hanno avvisato i familiari che potevano riprendersi il corpo.Con un’involontaria ammissione di colpevolezza, le autorità hanno dichiarato che Mattar è stato “ucciso dalle bande armate”. Da vivo, sorrideva spesso. Da morto, le immagini del suo cadavere parlano inequivocabilmente di tortura. Il regime siriano non si accontenta di accanirsi contro i vivi. Infatti, le forze di sicurezza hanno impedito il funerale pubblico di Mattar, hanno circondato il cimitero e sparato ai presenti: un ragazzino di 17 anni è morto e quattro altre persone sono rimaste ferite. Di altre quattro persone arrestate insieme a Mattar, Yahya Shurbaji, Mazen Zyadeh e Mohamed Tayseer Khoulani, si sono perse le tracce. Altri sei attivisti, arrestati a luglio e ad agosto, non hanno più fatto avere notizie. Il totale dei morti in carcere in Siria salirà presto a 100, se non avrà già raggiunto questo macabro numero mentre avrete letto questo post. Iran: impiccato dissidente curdo, accusato di essere “nemico di Allah e del Profeta” Adnkronos, 18 settembre 2011 È stato impiccato stamani all’alba il dissidente curdo Khodadad Rashidi. Lo riferisce il sito d’opposizione “Iran Press News”, spiegando che Rashidi era stato condannato a morte dal tribunale della Rivoluzione di Orumieh, nel nord dell’Iran, perché riconosciuto colpevole di essere un Mohareb (nemico di Allah e del Profeta, ndr) in quanto membro di gruppi terroristici curdi ritenuti nemici della Repubblica Islamica. La sentenza di morte di Rashidi, arrestato 5 anni fa, è stata eseguita nel carcere centrale di Orumieh. Secondo i siti attivi nell’ambito dei diritti umani, negli ultimi due anni sono stati condannati a morte una decina di dissidenti considerati Mohareb perché colpevoli di aver attentato alla sicurezza nazionale dello stato islamico iraniano. Secondo la legge islamica, in vigore in Iran, le persone che attentano alla sicurezza della comunità islamica, mettendone in pericolo la sovranità, sono considerati Mohareb e rischiano una condanna all’esilio o alla pena capitale. Stati Uniti: pena morte; marce e petizioni per Davis, accusato di avere ucciso un poliziotto Ansa, 18 settembre 2011 Marce e petizioni online. L’America si mobilita per chiedere che Troy Davis, detenuto nel braccio della morte di un carcere in Georgia, non sia giustiziato. L’ultima parola spetta al “Board of Pardon and Paroles”, che si riunirà lunedì per decidere il futuro di Davis (a differenza degli altri Stati, in Georgia il governatore non può fermare un’esecuzione), accusato di aver ucciso un poliziotto 22 anni fa. Twitter si mobilità per Davis che sarà messo a morte la prossima settimana.