Giustizia: approvato Odg radicale su risorse destinate a carceri e trattamento dei detenuti Notizie Radicali, 15 settembre 2011 Prosegue la battaglia dei Radicali a favore dei detenuti. L’onorevole Rita Bernardini ha presentato un nuovo ordine del giorno approvato dall’Aula di Montecitorio a maggioranza. Il testo consultabile sul blog della deputata radicale. L’ordine del giorno approvato riguarda le risorse destinate alle carceri che “versano scrive Bernardini sul suo blog - in uno stato di totale illegalità e abbandono. Il Governo voleva accoglierlo solo come raccomandazione ma io ho chiesto di andare ai voti. A quel punto il Governo, per bocca del Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze, Alberto Giorgetti, si è rimesso alla volontà dell’Assemblea”. Il testo è stato approvato a maggioranza con 310 “sì”. Ecco il testo integrale dell’ordine del giorno che ha avuto come prima firmataria Rita Bernardini: “La Camera, premesso che: 1. il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenendo il 28 luglio scorso al convegno ‘Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano’ convocato dal Presidente del Senato Renato Schifani, in relazione alla situazione della giustizia e delle carceri in Italia ha affermato, fra l’altro, che si tratta di “Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile” aggiungendo che “è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non fosse altro per istinto di sopravvivenza nazionale?; 2. le disfunzionalità del sistema giustizia rappresentano un grave ostacolo allo sviluppo del Paese ed un pesante costo per i cittadini, le famiglie e le imprese. Il buon funzionamento della giustizia è una condizione imprescindibile per lo sviluppo economico italiano, perché è elemento di garanzia della sua competitività e della capacità di attrarre investimenti internazionali; 3. i tagli prospettati nella manovra, che si aggiungono a quelli già operati con il decreto - legge 6 luglio 2011, n. 98, colpiranno indiscriminatamente tutti i Ministeri. Particolarmente gravi appaiono quelli relativi al Ministero della giustizia, perché operanti su una spesa complessiva già fortemente ridotta dalla manovra economica del dicembre 2010. Le riduzioni sono significative, e suscettibili di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell’amministrazione della giustizia, rischiando di provocarne addirittura la paralisi ove si consideri che a tale missione sono ricondotti quattro programmi cruciali per la funzionalità della giustizia e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini come quelli dell’amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell’edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile, considerato che: nel gennaio 2010 il ministro della giustizia aveva comunicato all’Assemblea della Camera che per affrontare la drammatica situazione del nostro sistema carcerario il Consiglio dei ministri aveva disposto la dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il 2010; nonostante ci, non si ancora proceduto alle 1.600 assunzioni di nuovi agenti di polizia penitenziaria che avrebbero dovuto costituire il terzo pilastro del cosiddetto Piano carceri: l’articolo 4 della legge 26 novembre 2010, n. 199, che avrebbe dovuto permetterle, non ha ancora una copertura finanziaria così come riscontrato dalla ragioneria dello Stato e l’amministrazione non può dunque procedere; con lettera circolare G Dap - 0068960 - 2011 ad oggetto “Direttive per l’applicazione della legge n. 193 del 2000 (Smuraglia) Agevolazioni contributive”, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha rilevato, all’esito dell’esame del monitoraggio relativo all’anno 2009, l’avvenuto superamento dei limiti di budget previsti dal decreto n. 87 del 25 febbraio 2002, attuativo della legge n. 193 del 2000. In conseguenza di ciò, l’amministrazione ha ritenuto quindi indispensabile procedere ad una consistente riduzione del budget che dovrà essere considerato a disposizione di ogni provveditorato regionale per le attività lavorative dei detenuti; insufficienti risultano essere anche le risorse finanziarie necessarie a far fronte alla manutenzione ordinaria degli edifici penitenziari e finanche al reperimento del vitto e all’acquisto dei prodotti igienici, al punto che, secondo quanto riportato da Evangelista Sagnelli, presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali, quattro detenuti su 10 in Italia soffrirebbero di malattie infettive. E il 35 per cento di loro è colpito dall’epatite C, la principale patologia che colpisce i carcerati nel nostro Paese; 4. si continua ad assistere ad una continua riduzione anche dei fondi destinati al programma relativo al mantenimento, all’assistenza e alla rieducazione dei detenuti; attività che invece sarebbe necessario rafforzare e promuovere, in quanto particolarmente rilevante ai fini della efficacia special preventiva della pena e quindi della riduzione delle probabilità di recidiva; la condizione di vita delle persone detenute e costrette a subire gli effetti di un sovraffollamento mai visto nella storia d’Italia non migliorata e sempre più intollerabile. Morti in carcere - Anche nell’ultimo anno si è registrato un numero significativo di morti in carcere. Ne sono certamente causa le condizioni di estremo degrado delle strutture e la assoluta carenza di percorsi rieducativi e di reinserimento sociale; non sembrano del resto in alcun modo sufficienti le risorse stanziate in questi ultimi anni in favore del reinserimento lavorativo dei detenuti, che potrebbe efficacemente promuovere il reinserimento anche sociale del condannato all’uscita dal carcere, così da scongiurare rischi di recidiva; nelle regole penitenziarie europee approvate nel 2006 dal comitato dei ministri degli stati del Consiglio d’Europa è scritto che la mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione che violino i diritti umani delle persone recluse negli istituti di pena, impegna il Governo a privilegiare, nell’ambito delle risorse disponibili per la missione giustizia, le spese necessarie all’effettivo reinserimento sociale dei detenuti attraverso l’implementazione e la valorizzazione dei percorsi trattamentali che, già in carcere, contribuiscono in misura significativa alla responsabilizzazione del detenuto, realizzando un più graduale passaggio dalla realtà penitenziaria a quella extra muraria, riducendo altresì i rischi di recidiva. Giustizia: lettere dal carcere… di Eleonora Martini Il Manifesto, 15 settembre 2011 Quelle che pubblichiamo in questa pagina sono solo alcune delle lettere di detenuti che ogni giorno arrivano nella sede dell’associazione Antigone da ogni istituto penitenziario del Paese. E non sono le più drammatiche. Sono state scelte proprio per la loro dolorosa “normalità”, perché raccontano la quotidianità della vita media di detenzione in una cella italiana. Sono firmate con nomi e cognomi che però abbiamo preferito omettere per proteggere gli estensori. Dietro ai freddi numeri dell’emergenza carceraria - 67 mila detenuti a fronte di una capienza massima di 43 mila posti, distribuiti nei 206 penitenziari italiani - ci sono vite che scorrono senza alcun senso, senza alcun fine. Non è la funzione rieducativa della pena, o il reinserimento sociale, a delineare un orizzonte per chi è rinchiuso in una cella 23 ore al giorno senza svolgere alcuna attività e senza alcun supporto psico - terapeutico. E, come spiega il magistrato Silvia Cecchi nel suo interessante saggio “Giustizia relativa e pena assoluta: argomenti contro la giuridicità della pena carceraria”, appena pubblicato dalle edizioni Liberi Libri (pp.178,16 euro), “la sanzione detentiva comminata per (quasi) tutti i reati mostra la sua abnormità anche in una prospettiva retribuzionistica della pena”. Non ci stupisca quindi se il reato - quello commesso o quello possibile - torna ad essere l’unico riferimento culturale del detenuto medio, tanto più se malato o tossicodipendente come accade in un caso su quattro. L’occasione per portare queste voci fuori dal carcere e fin dentro i palazzi del governo, per far riacquistare loro cittadinanza, ora c’è, Dopo l’accorato appello del presidente Napolitano che sferzava la politica a reagire in fretta per far fronte all’”emergenza” carceri, da mercoledì prossimo prima il Senato e poi la Camera cominceranno a discutere dell’illegalità del nostro sistema penale. Grazie ai Radicali, promotori dell’iniziativa, forse finalmente si riuscirà ad andare oltre quell’unica soluzione proposta dall’attuale governo Berlusconi: il piano di edilizia carceraria. La pena detentiva, come riassume Cecchi, “va dunque ripensata anche alla luce dell’indirizzo assunto da diversi ordinamenti stranieri che hanno sperimentato sanzioni alternative alla detenzione”. Un senso alla pena Sono un detenuto del carcere di Opera, ma ho presentato la richiesta per essere trasferito a quello di Bollate dove mi piacerebbe continuare gli studi di scuola superiore che ho iniziato nel carcere di Ferrara, ma che ho dovuto interrompere quando sono stato trasferito. Potrei anche continuare il percorso terapeutico poiché sono un tossicodipendente “storico” e, essendo un allevatore e agricoltore, potrei anche accudire degli animali. Nel carcere di Ferrara avevo frequentato un corso di “Controllo dell’aggressività sulla popolazione detenuta” con l’ausilio di due pit bull, riuscendo a prendere anche l’attestato con esito positivo. Ma non credo che queste mie istanze verranno accettate, perché non ho finito l’osservazione con l’educatrice, che è però inesistente. (...) Quando stavo nel carcere di Ferrara nel 2008, ho percepito il sovraffollamento quando in una cella di 9 metri quadrati viene aggiunta una terza branda, di conseguenza in una sezione composta da 25 celle, sono recluse 75 persone, anziché le appena tollerabili 50. Conti alla mano, nel carcere di Ferrara anziché 260, eravamo 530: più del doppio. Per motivi di sicurezza, quindi, non si è più potuto usufruire della socialità alla sera e questo ha influito negativamente sulla mia salute tanto che da allora soffro di stati d’ansia e attacchi di panico, che tuttora curo con antidepressivi. Una volta che ci siamo trovati davanti al magistrato per denunciare tutto ciò, eravamo in tre, questi ha disposto un’ispezione ma subito dopo sono stato trasferito, costretto quindi a interrompere gli studi, l’unico progetto che avevo. Avrei fatto meglio a starmene zitto, perché è la stessa istituzione che insegna l’omertà. Mi piacerebbe fare ricorso alla Corte europea, per riuscire a dare un senso alla mia pena e poter uscire una persona migliore. Fine pena: 2036. Dieci ore per un medico Ho 24 anni e sono detenuto del carcere di Caltagirone, vengo da quello di Agrigento dove sono stato rinchiuso per 4 giorni in isolamento senza poter né bere né lavarmi. Dopo l’interrogatorio del Gip, mi hanno trasferito in una cella di circa 9 metri, dove eravamo in tre, con un bagno senza bidet, e con sola acqua fredda. Le docce sono fuori, sono tre ma ne funzionano solo due, per 75 persone, e sei fortunato quando trovi l’acqua calda. Da quando hanno costruito questo carcere nel ‘75, i termosifoni non hanno mai funzionato. Se vogliamo le celle pulite, dobbiamo essere noi detenuti a pensarci e dobbiamo provvedere ance a comprare i detersivi. Se non abbiamo i soldi, viviamo nel lerciume, come animali e questo io credo che non sia giusto e sia contro la nostra Costituzione. Una volta si è rotto il gabinetto e per cambiarlo abbiamo aspettato due mesi! L’ora d’aria funziona così: si dovrebbe scendere in cortile dalle 8.30 alle 10.30 e poi il pomeriggio dalle 13 fino alle 15, invece ci fanno scendere sempre mezz’ora più tardi e quando protestiamo, ci rispondono che manca il personale. 120 metri quadri di muro, senza un angolo di verde, puoi vedere solo il cielo se alzi gli occhi. Prima di incontrare la famiglia per un colloquio, ci perquisiscono due volte, ci fanno aspettare più di un’ora (la mia famiglia a volte aspetta anche dalle 4 alle 5 ore). Ho fatto molte domande per lavorare o per fare qualche corso, tutte con esito negativo. Per non parlare dei medici: una volta che avevo 40 di febbre il medico, chiamato alle 10 dei mattino, è arrivato alle 20.30! Potevo anche morire e loro erano tutti tranquilli. Il dentista dopo tre mesi Sono detenuto nel carcere di Bollate ma è di quello di Monza che voglio parlare, perché ero costretto a stare in tre in una cella progettata per una persona. All’inizio dormivo su un materasso per terra, dopo qualche mese hanno portato una branda, ma a quel punto non potevamo più muoverci e quindi per poter stare in piedi eravamo costretti a ripiegarla e addossarla al muro. Il bagno, senza finestra, era piccolissimo e l’acqua era solo fredda. Le docce in comune erano in uno stato pietoso: piastrelle rotte e muffa sui muri, spesso senza acqua calda. Ero detenuto in regime protetto. L’unica attività che ho svolto in due anni e sei mesi di carcerazione è stata quella di scopino per un mese. Ho frequentato un corso di inglese di quattro mesi, tre ore per una volta alla settimana. I miei familiari li vedo una volta al mese perché abitano lontano e sono anziani. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, per fortuna solo una volta ho avuto bisogno di un dentista, che mi ha visitato dopo tre mesi. Il calvario di noi familiari Sono un familiare di un detenuto nel carcere di Cuneo e abitò a Napoli. Da poco tempo hanno affisso una circolare che avvisa che il colloquio si deve prenotare prima e così anche l’orario. Inoltre bisogna presentarsi mezz’ora prima. Ma noi come facciamo a garantire una tale precisione? Questa è l’ennesima difficoltà che creano a noi familiari del 41 bis, A mezzo metro dal mio naso Sono un detenuto nell’inferno dei carcere di Busto Arsizio e per quasi un anno sono stato in una cella al limite della sopravvivenza, in un reparto per tossicodipendenti. La permanenza in questa cella, essendo umida e buia, mi ha comportato la perdita di qualche decimo della vista. Dormivo nella terza branda di un letto a castello, con il costante rischio di cadere e, ogni volta che mi alzavo velocemente, picchiavo la testa contro il soffitto, a mezzo metro dal mio naso. Ho presentato una denuncia alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo circa un anno fa, ma dopo uno scambio di lettere, non ho più saputo nulla. Forse perché sono indigente e non posso permettermi un avvocato? Tra scarafaggi e parassiti Sono detenuto nel carcere circondariale di Como ma sono stato qualche anno in quello di San Vittore, dove le condizioni erano invivibili. Il bagno era unito alla cucina, dove proliferavano scarafaggi e parassiti di ogni tipo, doccia esterna in condizioni igieniche insostenibili, assenza di bidet e quindi costretti a lavarci con delle bottiglie riempite con l’acqua, le finestre a bocca di lupo non si potevano aprire perché incastrate dalla terza branda di un letto a castello. Solo tre ore d’aria, di cui mezza per la doccia. Fine pena: ottobre 2015. Si muore nell’indifferenza Siamo un gruppo di persone detenute nella sezione F del carcere di Carinola e viviamo confinati in celle le cui dimensioni non superano gli 11 - 12 mq. e, si badi, che in questi metri sono inclusi gli spazi occupati da quattro brande e relativi armadietti (in gergo bilancette), le finestre sono poste in alto e con vetri opachi che non consentono la visione diretta all’esterno, l’illuminazione della cella è insufficiente e non consente di leggere e studiare agevolmente. I servizi igienici non rispettano la dignità della persone e in queste condizioni siamo costretti a vivere per 20 ore al giorno. I materassi e i cuscini (in realtà delle spugne) sono sporchi e maleodoranti nonché pieni di batteri e microbi e Dio sa cos’altro e quando sei costretto a dormirci per anni, non è questione da poco, ma si tramuta in un vero problema di salute con sviluppo di patologie che vanno dalle allergie gravi alle patologie respiratorie. I colloqui con i nostri familiari si svolgono in locali inadeguati (un sudario d’estate, una cella frigo d’inverno) con un muro divisorio di mussoliniana memoria, che impedisce anche un semplice abbraccio ai nostri cari, con sgabelli fissi in cemento a spigolo vivo che sono un pericolo per i nostri bambini. Una situazione sanitaria che definire da terzo mondo è un eufemismo, basti dire che in questo carcere si muore tra l’indifferenza generale: tre i casi da novembre 2010 ad oggi. Dulcis in fundo, una ottusa visione di lombrosiana memoria dell’esecuzione penale da parte dell’illuminata direzione del carcere non consente alcun tipo di percorso rieducativo a cui la pena dovrebbe tendere così come previsto dall’art. 27 della Costituzione. Giustizia: carcere e amnistia, Nitto Palma apre i lavori al Senato di Eleonora Martini Il Manifesto, 15 settembre 2011 La seduta straordinaria del Senato dedicata alle condizioni di illegalità del nostro sistema giudiziario e penitenziario si terrà mercoledì 21 settembre, alla presenza del Guardasigilli Francesco Nitto Palma. A giudicare dal lavorio che il ministro di Giustizia ha avviato in vista dell’appuntamento, il partito Radicale che ha convocato l’assemblea raccogliendo tra gli scranni di Palazzo Madama le firme necessarie e andando perfino oltre le aspettative, si potrebbe ritenere soddisfatto. E invece il leader Marco Pannella, la deputata Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione “Il Detenuto Ignoto”, Irene Testa, hanno ricominciato proprio ieri lo sciopero della fame. Il segnale è chiaro: Parlamento e governo non pensino di cavarsela con una sola seduta d’Aula. Nella richiesta di convocazione al Senato - e anche alla Camera, dove ieri si è superata la soglia minima di 210 firme necessaria per la seduta straordinaria - “si parlava dell’urgente necessità di discutere e votare un documento che fissi modi e tempi certi per l’esame dei provvedimenti di amnistia, indulto, depenalizzazione e carcerazione proposti dai Radicali”, ricorda la senatrice Donatella Poretti. “L’appuntamento di mercoledì prossimo, quindi - conclude Poretti - sarà solo l’inizio dei lavori”. È questo l’obiettivo della “lotta nonviolenta” di Pannella e delle duemila persone che a Ferragosto vi hanno preso parte digiunando per un giorno. Impossibile, d’altra parte, anche per Nitto Palma non tenere conto del monito del presidente Napolitano alle istituzioni affinché prendano in considerazione ogni possibile soluzione a “una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile”. Così ieri il Guardasigilli, in vista della seduta di mercoledì, ha incontrato il presidente del Forum della sanità penitenziaria Roberto Di Giovan Paolo, senatore Pd, per discutere di uno dei problemi più scottanti del carcere, quello dell’accesso limitato alle cure che insieme al sovraffollamento trasforma la detenzione nelle celle italiane in “trattamento inumano e degradante” sanzionato nel 2009 dalla Corte europea dei diritti umani. A dicembre il Forum ha organizzato la prima riunione dei 203 comuni italiani che ospitano carceri. Sul tavolo le questioni sono tante, a cominciare dagli Ospedali psichiatrici giudiziari che, come ha denunciato ieri anche il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, sono ormai a un punto limite. “I politici invece delle solite passerelle - esorta il Sappe - si facciano carico del loro ruolo istituzionale per cercare di risolvere il problema delle condizioni disumane che si possono trovare negli Opg”. Giustizia: Vitali (Pdl): Ionta cambi passo, o lasci il Dap Dire, 15 settembre 2011 “Assistiamo ogni giorno a dure prese di posizione di sindacati di polizia penitenziaria. Al di là dello stile rappresentano esigenze reali che necessitano di risposte immediate”. Lo sottolinea Luigi Vitali, responsabile nazionale dell’ordinamento penitenziario Pdl. “Quello che non mi è chiaro - dice - è l’attribuzione delle responsabilità. A ciò si aggiunge una campagna denigratoria aperta da un quotidiano nazionale che sta snocciolando, una dopo l’altra, gravi pecche all’interno dell’amministrazione penitenziaria (auto di lusso, braccialetti elettronici, ecc..). Il ministro Alfano e meno ancora (per ovvi motivi temporali), il ministro Palma non hanno responsabilità politiche”. Il governo, continua Vitali, “ha reperito 800 milioni di euro per il piano carceri, Alfano ha spinto per l’assunzione straordinaria di 1.600 agenti di polizia penitenziaria mentre Palma sta difendendo questa legge dalle osservazioni del ministero dell’Economia”. La verità - aggiunge - è che esiste un capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che è anche commissario straordinario dell’emergenza carceraria che non si muove nei tempi e nei modi che la situazione emergenziale richiede. Se non si è capito che la situazione è drammatica e che necessita di risposte tempestive e efficaci evidentemente non si è compreso appieno il ruolo che si è stati chiamati a svolgere”. Giustizia: l’orrore degli ergastoli bianchi, uno scandalo nazionale di Patrizia Penna Quotidiano di Sicilia, 15 settembre 2011 A Barcellona Pozzo di Gotto rinchiusi 146 detenuti: sono circa l’11% del totale nazionale. Chi ha scontato la pena resta rinchiuso: mancano i progetti di reinserimento sociale. Lager dimenticati, ergastoli bianchi: chiamateli come volete, l’orrore non cambia. Un orrore che adesso sembra smuovere le coscienze della gente, ma forse non ancora quella delle istituzioni. “Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono carceri, luoghi di dolore e non di cura e vanno chiusi - ha detto Gisella Trincas, presidente nazionale di Unasam, l’Unione delle associazioni per la salute mentale - “ “Non ci sono Regioni virtuose e meno virtuose - continua - , ma buone e cattive esperienze locali sparse in tutta la Penisola. Dal Nord al Sud, Isole comprese, tutte hanno le criticità a parte il Friuli Venezia Giulia e Trieste. Realtà che rispondono a tutte le indicazioni di una buona pratica di salute mentale: servizio sanità mentale aperto 24 ore, posti letto negli ospedali quasi mai occupati perché utilizzati solo per le crisi, persone coinvolte nel percorso di cura, risorse e personale qualificato. Trieste non manda un solo cittadino negli Opg, il Friuli un numero risicatissimo”. Ed in effetti, in Sicilia, tutto tace. La cronaca è rimasta ferma alla polemica sollevata lo scorso mese di luglio dal senatore Salvo Fleres che accusò la Regione siciliana di “totale immobilismo” in riferimento al mancato recepimento da parte di quest’ultima della normativa nazionale che prevede il trasferimento della sanità penitenziaria al servizio sanitario regionale. La polemica con la Regione ha avuto come unico effetto quello di far saltare il tavolo tecnico con l’assessorato alla Salute che doveva studiare i dettagli tecnici del passaggio. La Sicilia, secondo i dati dell’Unasam, ospita nell’unica struttura presente sull’Isola che è quella di Barcellona Pozzo di Gotto circa 146 detenuti, circa l’11% del totale nazionale. Sono infatti 1.330 le persone rinchiuse nei cinque ospedali psichiatrici giudiziari in Italia. Trenta le donne, internate nell’unica sezione femminile della Penisola, Castiglione delle Stiviere. La maggior parte arrivano dalla Lombardia (227), seguono Campania (165) e Sicilia (146) contro i tre internati della Val D’Aosta, i cinque della Basilicata, i sei del Molise. In mezzo ci sono Piemonte (58), Liguria (47), Sardegna (31). Questi dati sono stati annunciati nella conferenza stampa di presentazione del congresso nazionale dal titolo “Senza catene. L’orrore degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”, in programma a Cagliari, dal 16 al 17 settembre e organizzato dal comitato sardo Stop Opg. Tre le tavole rotonde che ospiteranno i senatori della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, Donatella Poretti e Michele Saccomanno, Mauro Palma, del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa, rappresentanti delle più importanti organizzazioni nazionali e regionali coinvolte nella campagna Stop Opg, amministratori regionali e locali. L’iniziativa. La Regione Toscana finanzia un progetto La Regione Toscana ha appena deciso il cofinanziamento di una iniziativa realizzata in collaborazione con l’Asp11 di Empoli. Il progetto costerà complessivamente 130mila euro, di cui 76 finanziati dalla Regione, e prevede la realizzazione di interventi terapeutico - riabilitativi sia all’ interno che all’esterno dell’Opg di Montelupo, dove attualmente risultano presenti 126 pazienti. La delibera è stata approvata dalla giunta regionale, su proposta dell’assessore Daniela Scaramuccia. Si tratta “di un progetto molto articolato, che noi siamo ben contenti di finanziare - spiega l’assessore - perché senza dubbio consentirà ai pazienti detenuti di recuperare capacità disperse, sviluppare le loro potenzialità, accelerare il loro reinserimento sociale e abbreviare il periodo di detenzione. E magari diminuire anche il numero di rientri per recidiva di reato o di malattia”. Un’iniziativa che non vogliamo pensare non ci siano strumenti e risorse per realizzarla anche in Sicilia. Giustizia: Forum Sanità Penitenziaria incontra ministro Palma, in vista sessione Senato Adnkronos, 15 settembre 2011 Incontro tra il ministro della Giustizia, Francesco Nitto Palma, e una delegazione del Forum della Sanità Penitenziaria composta dal presidente, il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, e da Leda Colombini, presidente dell’Associazione A Roma Insieme, in vista della sessione di lavori dell’Aula del Senato di mercoledì prossimo, interamente dedicata al problema delle carceri. “Al ministro sono state annunciate le prossime iniziative del Forum - dichiara Di Giovan Paolo - A novembre a Torino un convegno sullo stato dell’arte della sanità penitenziaria, non recepita in Sicilia e recepita con difficoltà in altre regioni. Poi a dicembre la prima riunione dei 203 comuni che ospitano carceri nel nostro Paese e che sono in prima linea sul fronte recupero dei detenuti sul territorio”. “Su questi temi, tra il Forum e il ministro c’è stata piena concordanza sugli obiettivi, anche in vista della sessione speciale di mercoledì del Senato sulle carceri - conclude Di Giovan Paolo. C’è poi il problema degli ospedali psichiatrici, dove 400 detenuti hanno bisogno di un ambiente intorno nel quale integrarsi”. Giustizia: ‘ndrangheta; evaso il boss Antonio Pelle, era ricoverato all’ospedale di Locri Adnkronos, 15 settembre 2011 È evaso, dall’ospedale di Locri in cui era ricoverato, il boss della ‘ndrangheta Antonio Pelle, 49 anni, ritenuto il capo del clan di San Luca. Nei suoi confronti era stato disposto un controllo saltuario ed è proprio tra un controllo e un altro che ieri pomeriggio Pelle ha fatto perdere le proprie tracce. Al boss, condannato a 13 anni di reclusione per associazione mafiosa nell’ambito del procedimento contro le cosche Nirta - Strangio e Pelle - Vottari protagoniste della faida culminata nella strage di Duisburg, è stata diagnosticata nei mesi scorsi una grave forma di anoressia che aveva già comportato il trasferimento dal carcere agli arresti domiciliari. Sei giorni orsono le sue condizioni cliniche si sarebbero aggravate tanto da richiedere il ricovero. A certificare la malattia del boss è stato un perito nominato dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria che, in base alla perizia, ha poi stabilito che non fosse necessario piantonare il boss in ospedale. Una decisione che adesso dovrà essere spiegata visto che Antonio Pelle è riuscito a scappare: quando ieri pomeriggio gli agenti sono entrati nella sua stanza per l’abituale controllo non c’era più. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha aperto un’inchiesta sull’evasione per accertare se il boss abbia beneficiato di aiuti interni, od esterni all’ospedale, per rendersi irreperibile. Giustizia: per la libertà di Nasrin Sotoudeh di Valter Vecellio L’Opinione, 15 settembre 2011 Questa è la storia di una donna coraggiosa, perseguitata proprio perché è coraggiosa, perché non si piega alla violenza del potere, del regime. Una donna che rivendica i suoi diritti. Questa donna si chiama Nasrin Sotoudeh, un nome che dovremmo scandire ovunque. Nasrin Sotoudeh è da 365 giorni nel carcere di Evin, vicino Teheran; da molti mesi in isolamento. Ha condotto tre lunghi scioperi della fame, resistendo a pressioni e minacce continue. Avvocatessa iraniana per i diritti umani, attivista per la parità delle donne, abituata a difendere minori vittime di abusi, prigionieri politici, condannati a morte, Nasrin ha passato così un anno della sua vita, tra le mura di una cella, accusata e condannata per propaganda contro il sistema e attentato alla sicurezza nazionale. L’hanno arrestata il 4 settembre 2010. Convocata per l’ennesimo interrogatorio non è stata più rilasciata. Il 9 gennaio 2010 la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran emette contro di lei una sentenza che la costringe a scontare una pena di 11 anni in carcere e la sospende per 20 anni dall’avvocatura. Il Parlamento europeo, pochi giorni dopo quella vergognosa sentenza, ha chiesto alle autorità iraniane di liberare Nasrin e di renderle giustizia. In suo favore gli appelli di Shirin Ehadi, premio Nobel per la pace nel 2003, sua connazionale e collega, nonché sua cliente. La sezione americana dell’associazione internazionale PEN l’ha insignita del prestigioso premio “Barbara Goldsmith Freedom to Write”. Amnesty International e delle maggiori organizzazioni per i diritti umani hanno organizzato campagne in suo favore. Non sono servite, finora: Nasrin Sotoudeh resta nel carcere di Evin a scontare la sua ingiusta pena. Prigioniera politica perché difende altri prigionieri politici arrestati dopo la repressione seguita alle elezioni presidenziali farsa del 2009, molti dei quali come lei ancora in carcere: i giornalisti Isa Saharkhiz e Keyvan Salimi; dissidenti come Hesmatollah Tabarzadi; attivisti del movimento studentesco come Atefeh Natavi. Prigioniera politica perché afferma i diritti delle donne. Prigioniera politica come conseguenza del fatto che una buona parte della sua vita professionale l’ha passata ha difendere bimbi e madri vittime di abusi di padri e mariti violenti e tiranni. Sposata, ha due figli: Nima e Meraveh, di 4 anni e 12 anni, che potrebbero averne 14 e 22 quando rivedranno la madre in libertà. “Mia tenerissima figlia - ha scritto mesi fa Nasrin a Meraveh in una lettera da Evin - tu sei stata la principale motivazione che mi ha spinto a dedicarmi ai diritti dei bambini. Pensavo allora, e ne sono tuttora convinta, che nessuno più dei miei stessi figli trarrà beneficio da tutti i miei sforzi nel campo dei diritti dei bambini. Come avrei potuto abbandonare la scena non appena sono stata convocata dalle autorità, sapendo che i miei clienti erano dietro le sbarre in prigione? Come avrei potuto abbandonarli dato che loro mi avevano assunto per la loro difesa legale ed erano in attesa di un processo? Non avrei mai potuto farlo”. Il marito di Nasrin, nel corso di questi 365 giorni, è stato spesso nel mirino delle autorità, che colpendolo sperano di creare ulteriore pressioni su Nasrin, di piegarla e spingerla a false confessioni auto accusatorie. E stato anche lui arrestato, sebbene solo per 24 ore. Nel corso dell’estate, inoltre, lui e i due figli sono stati trattenuti per molte ore a Evin dopo la visita settimanale. In segno di protesta, da quasi un mese Nasrin si rifiuta di ricevere ulteriori visite del marito e dei figli: “Per tutelare la loro sicurezza”, fa sapere dal carcere. A questa reazione si aggiungono lunghi scioperi della fame (almeno tre) con i quali vuole reclamare i suoi diritti di prigioniera quando, ad esempio, le hanno vietato il contatto diretto con i figli, obbligandola a vederli attraverso un vetro. Donna minuta e solo apparentemente fragile, ma con una volontà d’acciaio e dalla sua il coraggio della verità, Nasrin non ha piegato la schiena mai; con una dignità ribelle che l’ha portata, nell’unica occasione in cui, nel corso di questo anno, le macchine fotografiche l’hanno potuta ritrarre (durante un trasporto in tribunale per una udienza), ad abbracciare, lei ammanettata, il marito sotto lo sguardo grigio di un gendarme. E quelle foto, con l’energia e l’amore per la vita che esprimono, valgono più di tante parole per raccontare il coraggio di una lotta paziente per i diritti e per la libertà. Sicilia: Osapp; gravi errori del dipartimento nella politica penitenziaria del personale Agi, 15 settembre 2011 “Purtroppo anche rispetto all’auspicata e prossima apertura della Casa Circondariale di Gela assistiamo all’ennesimo tentativo, non si sa se proveniente da Roma o da altre parti, di affossare la polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari siciliani.” è quanto afferma l’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) in una nota a firma del segretario generale Leo Beneduci e indirizzata al Ministro della Giustizia Nitto Francesco Palma a al Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta. “Non si spiegherebbe altrimenti perché, dopo tante polemiche e dopo avere, come sindacato, aiutato a ripristinare la realtà dei fatti grazie al sindaco Angelo Fasulo e all’essenziale interessamento del garante regionale dei detenuti on. Salvo Fleres e dell’on. Marilena Samperi, - prosegue l’Osapp - per rendere finalmente operativo un istituto di irrinunciabile rilevanza in quel territorio e che potrà ospitare oltre 200 ristretti, lo si voglia fare, con il rischio di rinviarne sine die l’apertura, prendendo il personale (oltre 80 unità) dalle altre carceri della Sicilia già carenti di organico e non, come abbiamo specificamente richiesto, mediante un interpello nazionale che, tra l’altro, consentirebbe a chi sta da tanti anni in altre sedi anche del nord di rientrare nella propria regione e di riunirsi ai propri affetti”. “A Roma sanno bene che in Sicilia mancano 1.000 agenti e che ci sono 2.200 detenuti più del consentito, con 12 carceri su 29 (Agrigento, Caltanissetta, Castelvetrano, Catania - P.zza Lanza, Enna, Marsala, Mistretta. Modica, Palermo - Ucciardone, Piazza Armerina, Siracusa e Termini Imerese) che, contro la legge dell’ impenetrabilità dei corpi hanno persino superato la capienza c.d. tollerabile”. “Tra l’altro proprio in Sicilia - indica ancora il sindacato - il piano - carceri prevede nei prossimi mesi la realizzazione di 3 nuovi padiglioni detentivi per altri 600 posti (Caltagirone, Trapani e Siracusa) e di 4 nuovi istituiti per altri 1.800 posti (Catania, Marsala, Mistretta e Sciacca) il cui funzionamento comporterebbe almeno altri 1.500 poliziotti penitenziari oltre gli attuali, mente al Dap su 750 nuove assunzioni il prossimo mese ne vorrebbero mandare in regione solo 26. “. “Non rendersi conto che in molte carceri del Nord il personale di polizia penitenziaria riesce a prestare servizio con turni giornalieri di 6 ore, mentre ben difficilmente al Centro e al Sud si smonta con meno di 8/10 ore continuative di lavoro all’attivo, è il frutto di una politica del personale del tutto errata ed avulsa dalla realtà per cui - conclude Beneduci - il Ministro Palma e il Capo del Dap Ionta prestino attenzione a quanto di insolito e di assolutamente contrario ai fatti si dispone presso uffici centrali pure alle loro dirette dipendenze.” Agrigento: Presidente Provincia; 10 mila euro per progetti all’interno delle carceri Italpress, 15 settembre 2011 Il presidente della Provincia di Agrigento, Eugenio D’Orsi, è intervenuto, nel corso di una conferenza stampa, per sottolineare “la grave situazione delle carceri italiane” dopo che nella casa circondariale di contrada Petrusa, ad Agrigento, un detenuto di nazionalità rumena si è tolto la vita mercoledì scorso. “Ho letto in questi giorni - dice D’Orsi - diverse notizie di cronaca che riguardano la casa circondariale di Contrada Petrusa. è recente, la notizia del suicidio in cella di un giovane detenuto. La condizione delle carceri in Italia è insostenibile: carenza di risorse finanziarie, sovraffollamento, precarietà igienico - sanitarie, promiscuità e riduzione degli agenti di Polizia penitenziaria rendono drammatica una situazione già difficile. Inoltre, i pesanti tagli che il governo ha imposto agli istituti di pena hanno aggravato la questione. Oggi siamo costretti a parlare di emergenza carceri. In questa triste realtà - aggiunge D’Orsi - ritengo sia indispensabile pensare ad altre forme di sistema di detenzione e di recupero. Per contribuire ad alleviare la sofferenza delle donne detenute negli istituti di pena di questa provincia, questo Ente ha previsto, nel Piano Economico di Gestione (Peg), 10 mila euro per avviare, all’interno delle carceri, un progetto informatico e di musico terapia. Una piccola ma significativa manifestazione di solidarietà!”. “È doveroso per una Nazione civile come la nostra - conclude D’Orsi - che il Governo si impegni a lenire le sofferenze dei detenuti ed a prevenire situazioni di disagio che possano, successivamente, sfociare in atti estremi come è accaduto ad Agrigento. Le Istituzioni preposte al sistema carcerario devono tenere sempre presente che molti reclusi si trovano in carcere in attesa di giudizio e non dichiarati, definitivamente, colpevoli di reato”. Bergamo: progetto di Corporate Responsability per il lavoro penitenziario L’Eco di Bergamo, 15 settembre 2011 La Camera di Commercio di Bergamo presenta il secondo anno del progetto Responsabilità Sociale d’Impresa e lavoro penitenziario. La Camera di Commercio di Bergamo organizza per il prossimo giovedì 15 settembre 2011 alle ore 11,00 presso la Sala Giunta dell’ente una conferenza di presentazione della seconda annualità del progetto “Responsabilità Sociale d’Impresa e lavoro penitenziario”. Promosso dalle Camere di Commercio lombarde e Regione Lombardia, il progetto è stato avviato congiuntamente con il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) e cofinanziato sull’Accordo di Programma - Asse 3, finalizzato a favorire l’incontro tra mondo penitenziario e mondo delle imprese per agevolare l’inserimento lavorativo e sociale dei soggetti detenuti. Nell’arco della conferenza verranno presentati: il progetto e le attività previste nel 2011; due pubblicazioni realizzate per informare e avvicinare le imprese ad effettuare inserimenti lavorativi di persone sottoposte a provvedimenti giudiziari; il calendario degli incontri che consentiranno agli imprenditori, profit e non profit, di raccogliere informazioni dettagliate sulle modalità/opportunità di effettuazione degli inserimenti lavorativi di soggetti detenuti, rapportandosi direttamente con i referenti dell’Agenzia Regionale per la Promozione del Lavoro Penitenziario “Articolo Ventisette”, eventualmente supportati dal personale degli Istituti penitenziari e degli uffici UEPE (Uffici per l’esecuzione penale esterna) locali. Parteciperanno: la Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap). Sono inoltre stati invitati a presenziare anche i rappresentanti della Casa Circondariale di Bergamo e dell’Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna di Brescia e Bergamo (Uepe). Viterbo: dal Garante dei detenuti lettera aperta a “Talete” su valori arsenico nell’acqua Il Velino, 15 settembre 2011 “Le precisazioni pubbliche di Talete anziché tranquillizzarci, confermano i nostri timori sulla presenza di significative percentuali di arsenico nell’acqua del carcere Mammagialla di Viterbo”. È quanto dichiara il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni in una lettera aperta indirizzata alla società “Talete”, gestore idrico della Provincia di Viterbo. La scorsa settimana il Garante aveva denunciato la presenza di alti valori di arsenico nell’acqua erogata nel carcere Viterbese; denuncia replicata nel corso della trasmissione tv “Uno mattina”. Nei giorni scorsi “Talete” aveva replicato che i valori di arsenico nell’acqua del Mammagialla sono tra gli 11 e i 20 mg/l, in regola non con i 10 mg/l stabiliti dalla legislazione internazionale, ma con quelli previsti dalla deroga accordata nel 2011 alla Regione Lazio dall’Unione europea. Nella sua lettera aperta il Garante ha voluto evidenziare alcuni dati di fatto: 1. Il livello massimo consentito dalla legislazione internazionale è di 10 mg/litro, livello rispetto al quale sono state ripetutamente chieste deroghe. L’ultima deroga concessa alla nostra Regione porta a 20 mg/l il limite. Nella sua nota la Talete afferma di essere nella norma. Peccato che non tenga conto dell’avviso che essa stessa ha inviato ai suoi utenti del comune di Viterbo insieme alla bolletta dell’acqua. L’avviso informa, tra l’altro, che la deroga richiesta era inizialmente per 50mg/l e che era stata poi accolta per 20 mg/l. Contestualmente si precisa che “la Comunità Europea ha affermato che l’assunzione di acqua con tale concentrazione di arsenico per un periodo limitato, non comporta rischi aggiuntivi”. Va da se che chi beve acqua da anni ha largamente superato il breve periodo e non può più assumere acqua. Tuttavia gli viene comunicata una ulteriore proroga che scadrebbe il 31/12/2012. 2. La domanda che, in attesa di questa scadenza, tutti pongono alle società che distribuiscono l’acqua riguarda la situazione che si presenterà a gennaio 2013. Nel caso specifico, cosa aspetta Talete ad iniziare i lavori per l’installazione di un impianto di depurazione dell’acqua? Scelte che altre città italiane hanno compiuto da tempo. 3. Nel caso specifico sollevato dal mio ufficio ed in attesa delle decisioni strategiche sopra indicate - conclude la lettera di Marroni - , i detenuti di Viterbo potrebbero chiedersi se non spetti all’amministrazione penitenziaria pagare l’acqua minerale che sono, invece, costretti ad acquistare”. Monza: Uil-Pa; piove nelle celle, ma sprechi per le trasferte del vice direttore Il Giorno, 15 settembre 2011 Il segretario regionale della Uil penitenziari Domenico Benemia sbotta: “Pagano ogni giorno i viaggi ai penitenziari di Lecco e Sondrio di un vicedirettore”. Non ci sono soldi per ristrutturare quattro celle inagibili perché ci piove dentro. Non ci sono soldi per rimborsare le trasferte di lavoro, a volte nemmeno quelli per pagare le scarpe da lavoro. Eppure da quattro anni l’Amministrazione penitenziaria si permette il lusso di pagare - ogni giorno - la trasferta dal carcere di Monza a quelli di Lecco e di Sondrio a un vicedirettore che ha assunto in quegli istituti il ruolo di direttore. Un compito assegnato in via temporanea ma che non è stato ancora definitivamente formalizzato. “Una situazione assurda, uno spreco inconcepibile a maggior ragione in un periodo di crisi come questo e considerate le condizioni in cui versano non soltanto il carcere di Monza ma in generale tutti gli istituti lombardi”, sbotta il segretario regionale della Uil penitenziari, Domenico Benemia. “Addirittura a livello centrale vengono a raccontarci che vogliono fare nuove carceri - continua il sindacalista. Ma se non hanno poche migliaia di euro per sistemare quattro celle?”. Già in passato Benemia aveva segnalato “quell’anomala situazione”, ma “nessuno ha mai mosso un dito. Ci avevano assicurato che si trattava di una soluzione temporanea, che avrebbero proceduto a un’assegnazione dell’incarico definitiva, e invece siamo ancora qui a denunciare questo spreco di soldi pubblici, di risorse umane e anche di mezzi”. E ancora: “Ogni mattina il vicedirettore, che abita a Monza, arriva in via Sanquirico, timbra il cartellino e poi parte con una macchina di servizio e un agente a fargli da autista per andare a Lecco o a Sondrio. Tutti i giorni, da lunedì a venerdì, a volte anche il sabato e la domenica”. “Soldi buttati - constata Benemia. Sia all’agente sia al vicedirettore vengono pagati gli straordinari e l’indennità di trasferta, senza tenere conto dei costi della benzina e dell’usura della macchina. Un inutile dispendio che continua nonostante a noi agenti non vengano pagate le missioni da dicembre dell’anno scorso. Tant’è che, almeno per i primi tre mesi, abbiamo fatto un decreto ingiuntivo per fare in modo che almeno ci riconoscano i nostri sacrifici”. Milano: condannati per stalking, un corso di rieducazione Redattore Sociale, 15 settembre 2011 Negli istituti di Milano 63 detenuti condannati per stalking e maltrattamenti seguono un percorso formativo. Dal 2010 sono seguiti dal Centro italiano per la promozione della mediazione grazie a un progetto sperimentale finanziato dalla Commissione europea. Lo stalker può “guarire” dalla sua ossessione? È la sfida del progetto di recupero che coinvolge 63 detenuti delle tre carceri di Milano (San Vittore, Opera e Bollate) condannati per stalking e maltrattamenti. Curato dal Centro italiano per la promozione della mediazione (Cipm), il progetto è finanziato, fino al 2012, dalla Commissione europea. Tra i detenuti coinvolti ci sono anche 4 donne, segno che il reato non è commesso solo da uomini. La percentuale di stranieri è inferiore rispetto a quella di italiani: 37% contro 63%. Quasi tutti hanno un’età compresa tra i 30 e i 50 anni. “È ancora presto per giudicare i risultati - afferma Paolo Giulini, criminologo del Cipm. Di sicuro è un’esperienza che sta dimostrando la sua utilità. Spero che, terminato il progetto, l’attività di recupero diventi realtà per sempre”. Stesso auspicio da parte di Luigi Pagano, provveditore regionale del Dap, anche se “deve essere la legge a prevederlo”. Domani 16 settembre verrà fatto il punto della situazione al Centro congressi Corridoni (in via Corridoni 16). L’incontro servirà anche per confrontarsi con altre realtà sperimentali, in particolare quelle canadesi e statunitensi. Tra i relatori, Pietro Forno, procuratore aggiunto della Repubblica a Milano esperto di questo tipo di crimini. Il progetto non riguarda soltanto chi è finito in manette. Prevede anche un sostegno psicologico rivolto alle vittime e agli stalker a piede libero. Per questo è stato istituto un ufficio apposito nella sede del Cipm, in via Paulucci De Calboli 1. “Accanto alla psicoterapia - specifica Luigi Colombo, psicologo del Cipm - accompagniamo e seguiamo la vittima al processo, organizziamo azioni contro i pedinamenti, presidiamo la zona dove abita il perseguitato, ma anche azioni a sostegno dello stalker”. Sono i numeri a parlare. “Abbiamo in cura 19 stalker a piede libero e nessuno - sottolinea Colombo - è ricaduto nelle tentazioni passate di persecuzione. Le vittime, invece, 70”. Cagliari: Sdr; obbligo dimora per giovane mamma incinta due gemelli Comunicato stampa, 15 settembre 2011 “La salvaguardia della maternità a rischio e il rapporto della madre con i quattro figli minori sono stati i principi che hanno indotto il Magistrato di Latina a far prevalere il senso di umanità nell’assegnazione della pena. È stato così posto fine alla vicenda di V.D. 28 anni assegnando alla donna l’obbligo di dimora a Roma”. Lo rende noto, esprimendo soddisfazione, Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. “La giovane mamma, immediatamente spiantonata, dopo essere stata assistita dalle Agenti della Polizia Penitenziaria, è ora affidata - precisa Caligaris - ad alcuni volontari. La donna in stato di gravidanza a rischio, ricoverata nell’ospedale “San Giovanni di Dio” di Cagliari in seguito alla minaccia d’aborto verificatasi 9 giorni fa nel carcere di Buoncammino dov’era detenuta., aspetterà dunque la nascita dei due gemelli fuori dal carcere accanto ai figlioletti e al marito. Non appena sarà dimessa dall’ospedale sarà accompagnata all’aeroporto e raggiungerà Roma dove l’attende la famiglia”. Contenta per la soluzione positiva della sua vicenda, la giovane donna ha voluto ringraziare il Magistrato, le compagne di cella e di sezione, i volontari dell’Istituto di Cagliari, il personale di Polizia Penitenziaria e quello medico - infermieristico. “La mia unica preoccupazione - ha detto - sono i gemelli che aspetto e i miei bambini. Ho avuto molta paura. Seguirò alla lettera il provvedimento e sono certa che questo sarà l’ultimo negativo episodio della mia vita”. Rimini: tre detenuti maltrattati? la procura ha aperto un’indagine Il Resto del Carlino, 15 settembre 2011 Ci sarebbero tre casi di maltrattamenti ad altrettanti detenuti avvenuti nel carcere dei Casetti. La vicenda non è finora emersa, ma potrebbe venire alla luce nei prossimi giorni dato che all’interno del carcere è in corso una specie di guerra per bande. In questo caso a fronteggiarsi sarebbero due personaggi chiave del carcere. Sarebbe stato uno dei due a segnalare che una volta in febbraio un detenuto sarebbe stato lasciato nudo in cella con la finestra aperta e senza riscaldamento, in altre occasioni dei detenuti in difficoltà sarebbero stati abbandonati nei loro escrementi. Tutti fatti certamente da accertare. Ma che vedrebbero fronteggiarsi due personaggi chiave all’interno del carcere. MA non sarebbe questa l’unica guerra in corso. Esposti e denunce sono arrivati a decine in procura e vedrebbero in lizza spaccato in due schieramenti tutto il personale penitenziario. Comandante e vicecomandante sarebbero anche stati raggiunti da avvisi di garanzia, anche se la notizia ancora non è confermata, il vice comandate per peculato a causa dell’indebito utilizzo di un telefonino di servizio. Un altra denuncia riguarderebbe invece un dipendente che nei fine settimana d’estate si sarebbe messo in malattia per andare a lavorare in una discoteca. In questo caso la denuncia sarebbe per truffa. Tutto quanto sarebbe partito da un cambio di registro e di competenze all’interno del carcere dei Casetti, vicende che qualcuno lamenta come mobbing mentre altri parlano di lassismo e di illeciti pesanti. Insomma la vicenda è tutt’altro che destinata ad esaurirsi in breve e la procura ha deciso di andare a fondo su quello che sta succedendo nel carcere di Rimini. Degli sviluppi potrebbero aversi nel giro di qualche settimana. Augusta (Sr): Osapp; sotterranei penitenziario invasi dai liquami Italpress, 15 settembre 2011 “La casa circondariale di Augusta è invasa dai liquami. Le perdite delle colonne di scarico delle celle, dovute ad assenza di manutenzione per assenza di fondi, finiscono nei sotterranei, dove ristagnano”. A denunciarlo è Mimmo Nicotra, vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp. “Sono in forte aumento gli insetti, perché la disinfestazione non avviene da tempo: sembra che alcuni mesi fa la struttura abbia avuto una visita da parte di una delegazione dell’Ausl, ma il direttore ha richiesto lo sfollamento dei piani terra. In questo momento il carcere di Augusta ospita circa 650 detenuti e soltanto 180 poliziotti penitenziari. Un rapporto di personale inferiore del 70% ed è vergognoso che non si pensi all’emergenza, in questo caso. Segnaleremo - conclude - al neo ministro della Giustizia, che ci sembra abbastanza attento, questo caso disperato”. Modena: altri 150 detenuti per 9 agenti; promessi 120, bugiardi governo e politici locali Dire, 15 settembre 2011 Solo 9 agenti per aprire il nuovo padiglione del carcere di S. Anna a Modena, che ospiterà altri 150 detenuti, “a fronte di un fabbisogno di 120 agenti”. L’annuncio è dei segretari dei sindacati di polizia penitenziaria (Vincenzo Santoro, Fp-Cgil, Raffaele Mininno, Uil-Pa, Leonardo De Troia, Sinappe e Antonino Iachetta, Cnpp) che parlano di “ennesima dimostrazione dell’inaffidabilità del Governo, del Ministro della Giustizia e dei vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria”. Già oggi - ricordano le sigle - “a fronte di una popolazione carceraria di 411 detenuti, e quindi con un sovraffollamento di 200 persone, sono chiamati a vigilare 165 agenti (solo rispetto alla capienza standard di 200 detenuti occorrerebbero altri 56 agenti. I sindacati segnalano anche che la carenza di fondi legata alla crisi finanziaria del paese “sta incrementando la disperazione della popolazione detenuta costretta a passare buona parte della giornata in ozio, ma anche di coloro che sono addetti alla salvaguardia della sicurezza, vista la riduzione della possibilità di effettuare lo straordinario”. “Di tutto ciò - concludono i sindacati degli agenti penitenziari - dovranno render conto per primi quei politici modenesi che sin dalla campagna elettorale, e successivamente per difendere l’azione del Governo, hanno raccontato solo una montagna di bugie. Di tutto ciò i cittadini sapranno trarre le dovute conclusioni”. Gorizia: carcere senza direttore, si va verso la chiusura Messaggero Veneto, 15 settembre 2011 “Il carcere di Gorizia rischia di chiudere entro la fine del mese”, denuncia il sindacato autonomo della Polizia penitenziaria. Dal ministero della Giustizia non confermano né smentiscono l’indiscrezione, ma una serie di circostanze rende quantomeno verosimile l’ipotesi di uno smantellamento temporaneo della casa circondariale di via Barzellini, alle prese da ormai un decennio con gravi problemi di ordine strutturale. Intanto il sindaco Ettore Romoli, che a marzo aveva ricevuto ampie rassicurazioni sul mantenimento del penitenziario dall’allora ministro della Giustizia Alfano, tornerà alla carica nelle prossime ore con Francesco Nitto Palma, subentrato in via Arenula al neo segretario politico del Pdl. La posizione del carcere di Gorizia è in bilico, come dimostra anche il balletto di nomine alla guida del penitenziario: a giugno Enrico Sbriglia, direttore del Coroneo di Trieste, era stato designato quale successore di Francesco Macrì, dirigente a scavalco con il penitenziario di Udine e formalmente in quiescenza dallo scorso 10 agosto. Le proteste del dirigente triestino hanno stoppato il suo trasferimento nel capoluogo isontino, spianando la strada alla goriziana Irene Iannucci, attualmente reggente, ma pronta ad assumere il doppio incarico di direttore delle case di pena di Udine e Gorizia: una soluzione tampone, quasi un commissariamento, che non fa scomparire le nubi che gravano sul futuro di una struttura alle prese con problematiche che richiederebbero investimenti per almeno 4 milioni di euro. “Se non mi fosse stato revocato l’incarico avrei fatto di tutto per arrivare alla chiusura del carcere di Gorizia”, commenta lo stesso Sbriglia, che è segretario nazionale del Sidipe, il sindacato che riunisce i direttori dei penitenziari italiani. “Non me la sarei sentita di mettere quotidianamente a repentaglio la sicurezza degli operatori, che lavorano in condizioni di obiettiva precarietà, nelle quali viene messa in discussione anche la dignità dei detenuti”, aggiunge Sbriglia, che non si sbilancia sul destino della struttura di via Barzellini. Le voci rimbalzano da Roma, dove ha sede il Dipartimento del ministero per l’amministrazione penitenziaria, e da Padova, quartier generale del Provveditorato regionale delle carceri del Triveneto: di conferme ufficiali, però, neanche l’ombra. “Col ministro Alfano avevamo discusso della possibilità di un intervento che potesse ripristinare la funzionalità del penitenziario - spiega il sindaco Romoli - e contestualmente mi erano giunte rassicurazioni sul mantenimento della struttura. Martedì o mercoledì sarò a Roma per incontrare l’attuale Guardasigilli, il ministro Nitto Palma, e capire quali sono le reali intenzioni del Ministero per il carcere di Gorizia”. Chiusura del carcere, il Sappe chiede aiuto ai Comuni “Siamo preoccupati per il futuro del carcere di Gorizia. E la nostra inquietudine è fondata perché ci sono diversi elementi che sembrano confermare, purtroppo, una prossima e definitiva chiusura della casa Circondariale di via Barzellini”. A lanciare l’Sos è, nuovamente, Vito Marinelli del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). Già nei giorni scorsi, aveva fatto sentire la sua voce e oggi ribadisce (e, se possibile, rinforza) il concetto, chiedendo l’aiuto e il coinvolgimento anche delle forze politiche perché lo smantellamento del carcere metterebbe a rischio anche la sopravvivenza stessa del Tribunale. Attacca Marinelli. “Ci sono diverse “coincidenze” che ci fanno temere il peggio. Un esempio? Abbiamo il sospetto che siccome non arrivano i fondi nemmeno per effettuare le pulizie quotidiane, si stiano creando le condizioni per arrivare alla chiusura del penitenziario. Insomma, lo schema potrebbe essere questo: noi facciamo reclamo per la mancata corresponsione dei finanziamenti e l’amministrazione prende la palla al balzo per chiudere baracca e burattini. Se disgraziatamente dovesse arrivare l’autorizzazione da Roma, la casa circondariale di Gorizia verrebbe immediatamente smantellata. E noi non possiamo permetterlo”. Ma c’è un’altra “coincidenza”. “Sono state chiuse due celle. Il motivo? Non ci sono i fondi per effettuare la loro tinteggiatura. E, allora, non ci resta che formulare un appello alle autorità locali: se hanno fondi a disposizione anche minuti, li destinino al carcere. Serviranno per evitare la sua chiusura immediata. Se poi il sindaco Romoli ha possibilità di contattare Roma e il ministero, il suo impegno non è gradito ma graditissimo”. Sul tema interviene anche il segretario provinciale del Sap, Angelo Obit. Ricorda come “eventuali arresti, anche al Cie di Gradisca, costringerebbero gli operatori, con i rischi del caso, a viaggi a Trieste o Udine sottraendo quindi unità al territorio. In Italia ci sono carceri in numero più del doppio rispetto alle province e c’è semmai un problema di sovraffollamento per cui chiuderne uno anche piccolo - l’unico nella provincia - non risolve i problemi di spesa: mantenerlo e magari potenziarlo, invece, è un segno di rispetto alle esigenze concrete del territorio”. Firenze: Alessandro Margara; bisogna chiudere l’Opg di Montelupo Il Tirreno, 15 settembre 2011 “Una relazione sullo stato delle carceri in Toscana non può prescindere dalla situazione particolarmente critica dell’Opg di Montelupo”. Parola del garante dei detenuti Alessandro Margara, che nell’aula del consiglio regionale ha richiamato l’attenzione sul superamento del sistema attuale degli Opg, nati come istituti carcerari nell’800, con stesse strutture e stesso personale delle carceri. Un superamento “inevitabile e necessario per far sorgere un sistema di cura e riabilitazione regionalizzato - ha sottolineato Margara - previsto da un decreto del Presidente del consiglio del Ministri del 2008” e reso ancora più urgente dall’intervento della Commissione parlamentare di inchiesta, per l’Opg di Montelupo, che ha rilevato lo stato inaccettabile della struttura, disponendo il sequestro di numerose parti. Imperativo categorico è chiudere gli Opg, verificando la possibilità di un percorso guidato e progressivo - ha aggiunto - che accolga in una parte separabile gli internati toscani e dia tempi certi per l’individuazione di luoghi per gli internati delle altre regioni”. Questi ultimi, nel caso di Montelupo, riguardano Umbria, Liguria e Sardegna. Gli altri istituti, divisi in case circondariali e di reclusione, sono quasi tutti caratterizzati dal sovraffollamento. Solo alcuni dati: in Toscana, al 31 agosto 2011, i detenuti presenti sono 4.380 su 3.139 posti letto regolari, per una eccedenza di 1241. Tra questi: 4177 sono uomini e 203 donne. I tossicodipendenti sono 1394: 249 in trattamento e 63 sieropositivi per Hiv. Gli stranieri raggiungono la cifra di 1986. Gli istituti che rappresentano l’indice di sovraffollamento più preoccupante sono Sollicciano a Firenze, con circa un migliaio, quindi Prato, con oltre 700, seguiti rispettivamente da Pistoia, Livorno, Pisa, Lucca, Massa, San Gimignano e Montelupo. Nuoro: polizia regala corredo scolastico a figli detenuti a Badu ‘e Carros Adnkronos, 15 settembre 2011 In occasione dell’avvio dell’anno scolastico, la Questura e il Comitato regionale del Centro Sportivo Educativo Nazionale, in collaborazione con il Comune di Nuoro e la Direzione del Carcere di Nuoro, hanno donato a 70 ragazzi delle scuole elementari e medie il “corredino scolastico”. L’iniziativa della Polizia nuorese è stata realizzata per la ricorrenza del Patrono San Michele Arcangelo, che si celebrerà il 29 settembre. Il regalo è stato consegnato ai figli di tutti i detenuti del carcere nuorese di Badu ‘e Carros e ai bambini di famiglie assistite dai Servizi Sociali. Ai piccoli studenti è stato donato lo zaino, il grembiule, astucci, album, penne, quaderni e altro materiale di cancelleria. Nello zaino i ragazzi hanno trovato anche la nuova edizione del diario sulla legalità, edito dalla Questura e di prossima presentazione. Tutto il materiale è stato acquistato anche grazie all’importante contributo economico della ditta Eurostock di Nuoro. Australia: appello dei vescovi per i detenuti; costruire ponti, non muri Radio Vaticana, 15 settembre 2011 “Costruire ponti, non muri”: è l’appello lanciato dalla Conferenza episcopale australiana in relazione alla questione carceraria nel Paese. Il richiamo è contenuto nel documento programmatico 2011 - 2012, pubblicato in questi giorni dal Consiglio australiano cattolico per la giustizia sociale. L’organismo, collegato alla Conferenza episcopale locale, è presieduto da mons. Christopher Saunders, vescovo di Broome. “Dobbiamo riflettere sulla condizione dei detenuti - scrive il presule nella prefazione del documento - Tra il 1984 ed il 2008, il numero degli australiani in prigione è quasi raddoppiato. Ma il tasso di criminalità è rimasto invariato o è diminuito”. Senza contare che “la maggior parte dei detenuti australiani proviene da fasce svantaggiate della società: indigeni, diseredati, malati mentali. Stando così le cose, dobbiamo chiederci se il sistema giudiziario amministri davvero la giustizia nella nostra comunità”. Naturalmente, continua mons. Saunders nella sua prefazione, “non stiamo cercando di giustificare i crimini o di minimizzare il terribile impatto che essi possono avere sulla popolazione innocente”. Tuttavia, è necessario porsi alcune domande: “Perché così tante persone sono nelle carceri australiane? Esistono alternative costruttive alla prigione? Cosa si fa per aiutare i detenuti a condurre una vita proficua, una volta scontata la loro pena?” Ringraziando, poi, “l’instancabile lavoro” di tutti i cappellani carcerari, il presule ricorda l’attenzione di Gesù per gli emarginati, così come la prigionia patita da tanti martiri cattolici. L’auspicio finale è che il documento programmatico aiuti gli australiani a non dimenticare la questione carceraria. Suddiviso in tre sezioni - intitolate “La prigione ultima spiaggia?”, “L’insegnamento della Chiesa”, “Qual è la risposta dei cristiani?” - il dossier riporta anche molte testimonianze dei cappellani carcerari. Tra i punti che vengono maggiormente sottolineati, c’è la disparità di trattamento dei detenuti nelle diverse prigioni del Paese, il richiamo a rispettare la dignità umana di tutte le persone, incluse quelle che hanno commesso un crimine, l’invito a cercare una soluzione per quei fattori sociali che contribuiscono al reato, l’appello a contribuire al reinserimento degli ex detenuti nella società, così come a pensare ad alternative realistiche alla detenzione. Infine, i cristiani vengono chiamati a costruire un “nuovo senso di comunità”, sull’esempio evangelico della parabola del figliol prodigo. Usa: chiesto a governatore Texas di fermare esecuzione detenuto afroamericano Ansa, 15 settembre 2011 Rick Perry, il governatore del Texas diventato in poche settimane il principale candidato alla nomination repubblicana per la Casa Bianca, ha ricevuto la richiesta di bloccare l'esecuzione, fissata per oggi, di un condannato che, secondo i suoi avvocati, sarebbe stato vittima di discriminazione razziale. Perry - che ha un record di esecuzioni ancora superiore a quello del suo predecessore George Bush, con 235 persone messe a morte in Texas da quando è diventato governatore 11 anni fa - in passato ha bloccato solo quattro esecuzioni, tra le quali quella di una donna che poi è stata messa a morte in un secondo momento. Sono quindi flebili le speranze - considerata anche la spavalda difesa fatta del suo sostegno alla pena di morte dal governatore cowboy durante un recente dibattito presidenziale - dei legali di Duane Buck - condannato per aver ucciso la sua ex fidanzata ed il suo nuovo compagno nel 1995 - che hanno ricordato al governatore come uno degli esperti presentati dall'accusa disse ai giurati che i criminali afroamericani hanno più possibilità di rappresentare un pericolo per la società se rilasciati. Il caso di Buck era stato preso in esame nel 2000 dall'ex attorney general del Texas, John Cornyn, ora senatore repubblicano, che aveva chiesto che fosse riaperto proprio per le accuse di discriminazione razziale nei confronti dell'imputato. Iran: ridotta da 11 a 6 anni di carcere la pena per il Nobel della pace Shirin Ebadi Ansa, 15 settembre 2011 La corte d’appello di Teheran ha ridotto da 11 a sei anni di carcere la condanna emessa in primo grado nei confronti di Nasrin Sotudeh, avvocato e attivista specializzata nel campo dei diritti umani che ha difeso minorenni nel braccio della morte, curdi e vari dissidenti tra cui la premio Nobel per la pace, Shirin Ebadi. Lo riferisce il quotidiano britannico Guardian citando il marito della donna, Reza. L’attivista era stata condannata lo scorso gennaio. Oltre alla pena detentiva, i giudici le avevano inflitto 20 anni di interdizione dell’esercizio della professione, periodo che in appello è stato ridotto a 10 anni. Nasrin Sotudeh, 45 anni, madre di due figli, dallo scorso settembre è rinchiusa nel carcere di Evin a Teheran, dove sono detenuti anche diversi suoi ex assistiti ai quali, in tribunale, aveva cercato di evitare la prigione. L’attivista è accusata di avere minacciato la sicurezza nazionale e di propaganda contro il regime. Un altro capo di imputazione riguardava un video in cui Sotoudeh era comparsa a capo scoperto dopo essersi vista assegnare, nel 2008, il primo “Human Rights International Prize”. La donna era finita nel mirino delle autorità per le sue interviste a vari media occidentali in cui aveva denunciato le condizioni di detenzione di quanti erano stati arrestati nel corso delle proteste seguite alla contestata rielezione del presidente Mahmmud Ahmadinejad nel 2009. Le era stata contestata anche l’appartenenza al “Centro per la difesa dei diritti umani”, un’organizzazione presieduta da Shirin Ebadi. Shadi Sadr, una collega dell’attivista che attualmente vive in esilio a Londra, ha deplorato che Sotoudeh debba restare in carcere ma ha detto al Guardian che la riduzione della pena dimostra che l’Iran, tutto sommato, non è del tutto indifferente all’attenzione con cui l’Occidente segue i suoi affari interni. Birmania: altri 10 anni di carcere a giornalista dissidenza Sithu Zeya Ansa, 15 settembre 2011 Il periodo di detenzione a cui è stato condannato l’anno scorso il giovane giornalista birmano Sithu Zeya, vicino alla diaspora democratica, è stato esteso di altri dieci anni, portando il totale della reclusione a 18 anni. Lo denuncia l’organizzazione Reporters sans Frontieres (Rsf), specificando che il nuovo verdetto è arrivato ieri e condannando le autorità birmane per la decisione. Sithu Zeya, 21 anni, lavora per l’emittente Democratic Voice of Burma, che ha sede in Norvegia, ma si avvale dei contributi di giornalisti birmani. Fu condannato l’anno scorso per aver fatto circolare delle fotografie di un attentato esplosivo che aveva causato otto morti nel centro dell’ex capitale Rangoon. Le immagini erano state definite materiale che poteva danneggiare la tranquillità e l’unità nel governo. Le recenti aperture del nuovo governo civile birmano - che ha invitato anche i dissidenti all’estero a tornare in patria, promettendo clemenza - sono considerate da molti osservatori come un modo di proiettare una nuova immagine della Birmania presso la comunità internazionale, al fine di ottenere una riduzione delle sanzioni economiche applicate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, mantenendo però ben saldo il potere nelle mani dell’ex giunta militare e dei suoi affiliati.