Giustizia: “prudenza e saggezza”, promette ministro… ma in carcere si continua a morire di Valter Vecellio Notizie Radicali, 12 settembre 2011 “Bisogna intervenire con saggezza e prudenza”, dice, il ministro di Giustizia. Si dice consapevole che la situazione è insostenibile. “Mi chiedo”, dice, “se non bisogna andare a una riforma della custodia cautelare in carcere, risalendo al principio del nostro codice che dice che la custodia cautelare in carcere è l’estrema ratio. E voglio ricordare, affinché i giornalisti non mi attribuiscano strani pensieri, che sono parole anche del primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo e del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano”. Palma ricorda che “all’epoca di Tangentopoli nacque una discussione di dottrina perché vi erano dei provvedimenti del pool di Milano con cui si negava la scarcerazione a un imputato perché non aveva parlato. Non credo sia cambiato molto dall’epoca. Abbiamo 67.500 detenuti in carcere di cui il 40 per cento è in regime di custodia cautelare e ogni anno c’è il turn over di circa 90 mila persone che non hanno la sentenza”. Saggezza e prudenza, dunque. Propositi lodevoli. Quando, seguiranno comportamenti concreti improntati, appunto, a “saggezza e prudenza”? L’attuale situazione generale è “descritta” in queste cifre: circa 67mila detenuti “spalmati” in 206 carceri italiane; uno su tre è straniero, uno su quattro è tossicodipendente e considerevole è anche la percentuale di detenuti con malattie mentali. Il Corpo di Polizia Penitenziaria è sotto organico di ben 5mila unità. Nel 2010 sono stati 19.031 i procedimenti penali avviati nei confronti di cittadini extracomunitari non in regola coi documenti. I delitti loro contestati sono stati quelli legati al mancato ottemperamento agli obblighi di espulsione in violazione degli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998 così come innovati dalla legge Bossi - Fini sulla immigrazione del 2002. Nell’83,6 per cento dei casi il giudice ha convalidato l’arresto. Significa che quasi 17mila extracomunitari sono passati, seppur per pochi giorni, nelle prigioni italiane per essersi sottratti alla esecuzione del decreto di espulsione. Nel 77,6 per cento dei casi in questione gli stranieri sono stati condannati. Nel 22,4 per cento dei casi è vi è stata assoluzione. In attesa dei provvedimenti improntati a “saggezza e prudenza”, si continua a morire. Non sapremo mai perché lo ha fatto. Sappiamo però cosa ha fatto: per lunghi istanti ha pensato a qualcosa che non potremo mai conoscere; ha inviato un sms alla sua compagna, per dirle dove l’avrebbero potuto trovare: “Vado a dormire al cimitero”; poi ha bloccato dall’interno le portiere dell’auto che aveva parcheggiato sul piazzale, ha estratto dalla fondina la pistola, ha poggiato la canna alla testa e premuto il grilletto. Finito. Finito, a 43 anni, nel piazzale del cimitero di Fogliazzo, vicino Torino. Era un agente di polizia penitenziaria in servizio presso il carcere Lo russo e Cutugno di Torino. Dal 2000 ad oggi si sono uccisi 90 poliziotti penitenziari, un direttore di istituto e un dirigente regionale. Negli ultimi mesi in quattro hanno deciso di farla finita. Continuiamo a fare finta di nulla? Oppure proviamo a capire cosa c’è dietro a queste morti? Forse l’avrebbero fatto comunque. Ma quanto hanno inciso, hanno pesate le difficili condizioni lavorative, che fanno degli agenti di polizia penitenziaria dei detenuti senza essere detenuti, colpevoli di nessuna colpa che ugualmente sono condannati e pagano? I sindacati di categoria chiedono al Ministro della Giustizia di farsi carico in prima persona del problema. Chiedono l’istituzione di appositi Centri specializzati in grado di fornire supporto psicologico agli operatori di polizia. Non è una richiesta irragionevole. Dicono che su tragedie come queste non possono e non devono esserci colpevoli disattenzioni. Non solo agenti di polizia penitenziaria. Danilo Fabiani aveva trent’anni; soffriva di gravi disturbi psichiatrici e gravi disfunzioni fisiche (pesava oltre 150 chili). Era detenuto nel carcere di Velletri. Era in carcere per reati contro il patrimonio, aveva problemi di tossicodipendenza ed era in cura psicofarmacologica. Lo hanno trovato morto nella sua cella. Non si conoscono ancora le cause della morte, si ipotizza un generico arresto cardiocircolatorio. Come sia, con la morte di Fabiani salgono a 140 i detenuti che hanno perso la vita nelle carceri italiane dall’inizio del 2011, e 45 sono i suicidi. Dal 2000 ad oggi il totale dei detenuti “morti di carcere” è di 1.885, i suicidi accertati sono stati 671, ma molti altri casi rimangono dubbi. Prudenza e saggezza. Quella per esempio del magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, che ha stabilito non essere reato il battere con una bottiglia di plastica l’inferriata. Per la seconda volta, nel giro di sei mesi, il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia ha accolto i ricorsi presentati di un detenuto, Alessio Attanasio contro la sanzione disciplinare dell’ammonizione da parte della Direzione della Casa di Reclusione di Parma, quando aveva protestato con la battitura contro le inferriate di una bottiglia di plastica. La prima volta Attanasio si era messo a battere la bottiglia di plastica contro le inferriate in segno di solidarietà con altri compagni di detenzione che protestavano contro la decisione della direzione della casa di reclusione di non far loro consegnare le foto dei figli, inviate per lettera. Per quella prima “battitura”, ritenuta dalla direzione carceraria un grave illecito disciplinare, Attanasio si è visto applicare la sanzione dell’ammonizione; ma non ci sta, e impugna il provvedimento; il magistrato di sorveglianza, accoglie il suo reclamo, annulla la sanzione disciplinare, ordina alla direzione del carcere di cancellare “tutti i provvedimenti conseguenti” in materia di sospensione delle cosiddette premialità. A distanza di alcuni mesi da quella decisione, la direzione del carcere commina una nuova sanzione di ammonizione ad Attanasio poiché ha inscenato una seconda protesta attraverso la battitura della bottiglia di plastica contro le inferriate, questa volta perché gli avrebbero rifiutato “il regola barba”. Ancora una volta Attanasio prende carta e penna e scrive il reclamo contro la sanzione disciplinare; ancora una volta il magistrato di sorveglianza gli dà ragione, ritenendo legittima la cosiddetta “battitura”. Quando si dice “prudenza e saggezza”. Giustizia: quegli ostaggi, liberi dal rancore e capaci di pietà per i loro carcerieri di Marco Imarisio Corriere della Sera, 12 settembre 2011 Le poesie di Giovanni Farina sono piene di luce. “L’uomo è un esploratore della vita/ sa guardare la luce dall’oscurità/ anche dal luogo più lontano può dare un senso alla sua esistenza/ se gli è permesso di crescere dentro di sé”. Dal 17 giugno 1997 al 9 febbraio 1998, Farina nego la luce a un industriale di Manerbio che si chiamava Giuseppe Soffiantini. Lo tenne chiuso in una caverna, bendato, con i suoi complici che lo minacciavano di morte, che gli mozzavano un orecchio, otto mesi del buio più nero che un essere umano possa immaginare. Nell’inverno del 2007 Soffiantini ricevette un plico dal carcere di Ascoli Piceno. Quando aprì la busta, Soffiantini ci trovò dentro una ventina di fogli e un appello. “Mi aiuta a pubblicarle?”. Il libro è un elegante rilegato dalla copertina blu, che riporta solo una scritta: Giuseppe Soffiantini pubblica alcune poesie di Giovanni Farina. Faceva impressione, vedere insieme il nome di vittima e aguzzino, e i tanti italiani che ricordavano quella vicenda così drammatica si fecero qualche domanda. Soffiantini, oggi come allora, trova risposte semplici. “Mi sembrava giusto dare una possibilità a chi paga il suo errore con il carcere. Non sono Dio, non devo perdonare nessuno. Mi limito a non odiare”. Il perdono non c’entra nulla con queste storie di sequestrati che mostrano umanità nei confronti di persone condannate per un crimine ignobile commesso nei loro confronti, per averle sottoposte a sofferenze ingiuste e disumane. Le cronache del passato sono piene di rapiti che perdonano i rapitori. Luigi Casalinga, ex ispettore di polizia e autore del saggio “Anonima sequestri sarda”, ne ha recuperati tanti, di ostaggi che uscivano smunti dagli anfratti di qualche grotta. E ricorda il loro sguardo vuoto davanti all’inevitabile domanda. Quelli rispondevano che sì, certo, perdonavano, e all’ispettore sembrava che mentre pronunciavano la frase fatidica avessero ancora gli occhi fissi sul buco dove erano stati sepolti per mesi, per anni, come se avessero paura di essere riportati indietro. Fabrizio De André venne sequestrato nel 1979 con la compagna Dori Ghezzi tra le montagne di Pattada, 107 giorni di prigionia dura. I suoi rapitori chiamavano hotel Supramonte il luogo di prigionia, e nel 1981 il cantautore genovese compose una canzone con quel titolo. “Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile/ grazie a te ho una barca da scrivere, ho un treno da perdere/ e un invito all’hotel Supramonte dove ho visto la neve/sul tuo corpo così dolce di fame così dolce di sete/ passerà anche questa stazione senza far male/passerà questa pioggia sottile come passa il dolore”. A scandirne il testo c’è dentro la solitudine, il dolore fisico e lo scoramento che possono avvolgere chi vive quell’esperienza. È vero, De André perdonò pubblicamente, non certo a caldo, le persone arrestate per il suo sequestro. “Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai”. Erano pastori, diseredati, l’unico con un lavoro fisso faceva il bidello nella scuola di Orane. Ma erano solo i suoi custodi, dei sottoproletari del crimine. Non perdonò mai i loro mandanti, che definì “persone economicamente agiate” anche in virtù dei soldi che gli avevano estorto. Con certi gesti c’entra piuttosto il tempo che passa, e la voglia di non rimanere prigionieri di un ricordo crudele. Cristina Berardi ha voluto restringere il significato del necrologio dedicato al suo rapitore. Pietà per lui, condannato a 28 anni per un ruolo marginale in quella vicenda. Rispetto e affetto per le sorelle del defunto, sue colleghe di insegnamento. Anche quelle poche righe di cordoglio hanno sollevato domande, dubbi, curiosità. Come sempre è stato evocato il nome di una nota località scandinava. Nel 1973 sessanta persone furono sequestrate in una banca di Stoccolma. Poco tempo dopo, una delle persone tenute in ostaggio si fidanzò con il capo della banda, assurto al rango di “Swedish Robin Hood”. Da allora la sindrome di Stoccolma che in medicina definisce il particolare legame affettivo che si può talora instaurare tra carceriere e prigioniero, aleggia come un’ombra di bianco, velata di compatimento, su ogni vittima di sequestro che spenda parole di pietà per i suoi aguzzini. Q sono vicende nelle quali si può tranquillamente applicare questa diagnosi empirica. Da Patti Hearst, nipote del magnate della stampa William Hearst, che dopo il suo rilascio si unì al gruppo di presunti rivoluzionari che l’avevano rapita, fino a Natasha Kampush, la ragazza austriaca tenuta segregata per otto armi, che ha espresso rimpianto per il suo aguzzino dicendosi in lutto dopo aver appreso del suo suicidio. Ma sono casi limite, ed è ingiusto liquidare alla voce sindrome di Stoccolma la generosità di Soffiantini, la sensibilità di De André, e infine il sobrio necrologio di Cristina Berardi. Quei gesti appartengono a un’altra storia, forse. Almeno è bello immaginarli così, come testimonianze di ferite ormai rimarginate, della vita che dopo tanta sofferenza va comunque avanti. E impone di restare umani, anche nei confronti di chi non lo è stato con te. Giustizia: carcere al limite della vivibilità; Magistrato di Sorveglianza ordina risarcimento www.lecceprima.it, 12 settembre 2011 Svolta epocale nel rispetto dei diritti del carcerato. Per la prima volta in Italia, il magistrato di Sorveglianza di Lecce dà ragione ai legali del detenuto, che non si rivolgono alla Corte europea. Una cella di dieci metri quadrati con dentro un letto a castello a tre piani. L’ultima branda è a 50 centimetri dal soffitto. Ci sbatti in naso. Un cesso senza areazione esterna e porta blindata chiusa per circa 20 al ore al giorno. Dentro tre detenuti, la cella invece è stata progettata per ospitarne uno solo, con l’incubo sopravvivenza: il dato di sovraffollamento al carcere di Borgo San Nicola è del 107,4%, 1700 detenuti a fronte della capienza di 700. Ma, forse, qualcosa si muove: grazie ad una sentenza del giudice di Sorveglianza di Lecce, Luigi Tarantino, l’amministrazione penitenziaria è stata condannata a risarcire un detenuto straniero che, nel carcere di Lecce, scontava la pena per furto aggravato. Secondo il magistrato, nei confronti del detenuto ricorrente, che aveva denunciato le pessime condizioni di vita nel penitenziario leccese il 17 giugno del 2010, si sono verificate “lesioni della dignità umana, intesa come adeguatezza del regime penitenziario, soprattutto in ragione dell’insufficiente spazio minimo fruibile nella cella di detenzione, ed ha disposto, in favore del recluso, un risarcimento di natura economica dei danni non patrimoniali a carico dell’amministrazione penitenziaria per 220 euro. La cifra non un gran che, molto di più è invece un’altra cosa: il detenuto da ora in poi, grazie a questo precedente, può ricorre al “suo” giudice di Sorveglianza, piuttosto che alla Corte europea dei diritti dell’uomo”. “I giudice di sorveglianza - spiega l’avvocato Alessandro Stomeo del foro di Lecce, che ha seguito il ricorso del suo assistito - proprio perché, a differenza del giudice civile, ha il polso della situazione delle carceri, dato che ogni giorno applica l’ordinamento penitenziario, riconosce ed afferma il principio che la pena deve essere orientata alla rieducazione, ex articolo 27 della Costituzione italiana, ed un trattamento penitenziario inadeguato che non consente sufficiente socializzazione, rapporto con l’esterno, servizi minimi adeguati anche in cella, si pone l’ostacolo anche ad una concreta risocializzazione”. “Questo lo spunto - aggiunge Stomeo - perché poi abbiamo lamentato con più ricorsi violazioni di diritto di ordinamento penitenziari, servizi igienici carenti all’interno della cella, lo spazio minimo fruibile con tre detenuti, la carenza di spazi di socialità comune, la mancanza di collegamento all’esterno. Quindi abbiamo presentato questo ricorsi al Tribunale di sorveglianza, sostanzialmente è questa la novità, dato che fino ad ora l’unico organo che in qualche modo aveva riconosciuto la violazione di questi diritti con il risarcimento danni era stata la Corte europea dei diritti dell’uomo”. Per la prima volta in assoluto, quindi, il magistrato di sorveglianza mette in fila tutti quei principi che la Corte costituzionale aveva già elaborato, fatti propri dai giudici di merito e dalla Cassazione e dalla pronuncia della Corte di giustizia per definire, oltre che un diritto, quello del trattamento in determinate situazioni anche in ambito di detenzione carceraria. E così, il detenuto oggi può chiedere giustizia al suo magistrato di sorveglianza senza interpellare la corte europea dei diritti dell’uomo. Giustizia: se il carcere regala giovani alla ‘ndrangheta… di Mario Nasone (Presidente Centro comunitario Agape) Quotidiano della Calabria, 12 settembre 2011 Nelle carcere calabresi la metà dei detenuti ha un’età compresa tra i 18 ed i ai 35 anni, Nella maggior parte dei casi i tratta di giovani alle prime esperienze detentive, definiti anche “giovani in bilico”, perché non hanno ancora fatto una scelta irreversibile di criminalità e che possono quindi ancora essere recuperati. Giovani che si trovano a stretto contatto con soggetti i appartenenti alla criminalità organizzata che sempre più numerosi, grazie ai successi ottenuti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura, fanno ogni giorno ingresso nelle carceri calabresi: È notorio infatti che la criminalità organizzata tende a mantenere il suo potere anche all’interno del carcere, anzi questo territorio è sempre stato considerato un “luogo strategico”, sia di legittimazione dei rapporti di forza all’interno delle organizzazioni mafiose, sia di possibilità di riproduzione attraverso l’attivazione di precisi meccanismi di cooptazione. Il carcere, con il regime di “convivenza forzata” che instaura, rappresenta il clima più favorevole per la criminalità organizzata per “avvicinare” nuovi soggetti, soprattutto giovani, attraverso una vera e propria azione di indottrinamento che può iniziare con forme minime di “accoglienza e solidarietà” attivate verso chi viene arrestato e che possono consistere nel mettere a disposizione l’avvocato, nel farsi carico dei problemi economici della famiglia, nel reperire un lavoro” al momento della scarcerazione. Emblematica è a tale proposito la testimonianza di un collaboratore di giustizia di Reggio Calabria, di come ha vissuto a suo tempo il rito dell’affiliazione mafiosa all’interno delle carceri: “per entrare nella cosca di regola i tempi dell’osservazione variano dai 6 mesi ad un anno. Il candidato per fare ingresso nella cosca viene coltivato, studiato, messo alla prova con piccole cose, azioni di media importanza che ne evidenziano il valore ed il coraggio. Durante il mio primo arresto, all’età di 18 anni, fui battezzato e mi fu detto che ero un uomo Loro”. Dalla testimonianza del collaboratore di giustizia emerge in modo inquietante come all’interno delle carceri vige un vero e proprio “trattamento penitenziario” da parte della criminalità organizzata nei confronti dei giovani detenuti, quasi “alternativo” a quello previsto dall’ordinamento penitenziario. Tale fenomeno, che in passato ha avuto dimensioni particolarmente vistose, si è solo in parte attenuato negli ultimi anni a seguito dei provvedimenti adottati dal Dap di divisione dei detenuti in sezioni di alta e media sicurezza e sia soprattutto grazie all’introduzione del regime differenziato ex art. 41 bis che ha almeno garantito la separazione tra i capi carismatici delle organizzazioni criminali e gli altri detenuti. È anche per questo che la criminalità organizzata di stampo mafioso ha una grande capacità di riprodursi e un carattere pervasivo. Ciò gli permette di non soccombere sotto i colpi della azione repressiva e di contare su un ricambio continuo attraverso la sostituzione dei capi arrestati con nuovi elementi che non trovano difficoltà a ricoprire gli stessi ruoli all’interno delle gerarchie mafiose. Per questo è necessario che accanto alla azione giudiziaria di contrasto vi sia parallelamente una azione mirata di prevenzione per bloccare i processi di riproduzione del fenomeno. In questa azione il sistema penitenziario ha un ruolo strategico che finora è stato sotto valutato. L’introduzione del regime 41 bis, il cosiddetto “carcere duro” il trasferimento in strutture penitenziarie di altre regioni dei capi della ‘ndrangheta è stata una scelta positiva anche in questa ottica ma non ha risolto il problema della affiliazione mafiosa che continua anche a causa del sovraffollamento delle carceri e della riduzione dei fondi previsti per la realizzazione di attività lavorative, trattamentali e di recupero sociale. In Calabria, grazie all’intuizione del compianto provveditore regionale Paolo Quattrone, è stato avviato nel 2004 l’Istituto a custodia attenuata di Laureana di Borrello, unico in Italia che ha permesso la sperimentazione di un trattamento avanzato dei giovani detenuti a cui è stata concessa la possibilità di fruire di percorsi di riabilitazione e di responsabilizzazione attraverso il lavoro ed un progetto pedagogico personalizzato. L’idea di Quattrone non era quella di realizzare a Laureana un’isola felice ma di estendere questo metodo di lavoro a tutte le carceri calabresi, offrendo ai detenuti che ne avessero la volontà una concreta alternativa alla condizione di passività e di deresponsabilizzazione che normalmente il carcere provoca. Questo percorso riformatore si è purtroppo bloccato anche in Calabria. Come è stato segnalato dai sindacati penitenziari e dagli stessi Direttori delle carceri calabresi la situazione di sovraffollamento ha orma superato i livelli di guardia, così come si assiste ad un vero e proprio abbandono delle politiche di trattamento penitenziario, di recupero e di inclusione sociale anche di quei soggetti che potrebbero averne un reale beneficio. Una situazione di emergenza che ha trasformato le carceri in contenitori di abbandono, vere e proprie discariche sociali con un aumento progressivo di soggetti tossicodipendenti, immigrati, disagiati mentali e sociali.. Una politica miope, che invece di creare sicurezza la fa venire meno, nel momento in cui il carcere invece di produrre riabilitazione ed opportunità di riscatto sociale ,produce recidiva e quindi un aumento dei soggetti che inevitabilmente ricadranno nel reato. La strada da imboccare è anche quella delle misure alternative al carcere, che ovviamente non può riguardare i soggetti autori di reati ad alto allarme sociale che rappresentano però solo il 20% della popolazione detenuta. Una strada che si è dimostrata positiva se si guardano le ricerche condotte che fanno emergere come l’80 % dei soggetti che fruiscono di tali benefici non commettono più reati, a fronte invece di una recidiva del 70% dei soggetti che dopo la dimissione e senza avere potuto sperimentare un reale percorso tratta mentale e di accompagnamento sociale, rientrano in carcere. In gioco non vi è solo la dignità violata ed i diritti umani delle persone private della libertà - come ha autorevolmente denunciato il presidente Giorgio Napolitano - ma anche l’interesse dello Stato ad contrastare concretamente l’azione di proselitismo della criminalità organizzata sui giovani e quindi a non vanificare di fatto l’azione di repressione della Magistratura. In Calabria l’azione di contrasto alla ‘ndrangheta si gioca anche su questo versante. Lo Stato nelle sue varie articolazioni centrali e locali deve decidere se intende realmente mettersi in concorrenza con l’antistato, che offre opportunità di lavoro, protezione, identità, oppure restare spettatore muto e rinunciare a questo suo ruolo educativo e preventivo. Nella nostra regione in particolare bisognerebbe avere il coraggio di riprendere quel protocollo d’intesa stipulato nel 2003 tra Regione e ministero della Giustizia, ed il Progetto Athena voluto da Paolo Quattrone, per riprenderne l’attuazione in tutte le sue parti. Il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, eletto nella nostra regione e conoscitore del nostro contesto sociale, potrebbe essere il garante di una nuova stagione di rinnovamento del sistema penitenziario calabrese. Giustizia: Pannella; il “segretario di un partito unico al mondo” si dimentica delle carceri Ansa, 12 settembre 2011 “Trovo scandaloso, un po’ repellente, il fatto che uno che dice “io sono segretario di un partito unico al mondo” è riuscito a parlare per un’ora menzionando tutto e tutti. Ma la giustizia non l’ha nominata, le carceri non le ha nominate, il diritto non l’ha nominato, se non con i suoi toni un po’ ricattatori, quando ha detto: “La stampa stia attenta a non costruire sulla vicenda Penati, altrimenti li denunciamo con grandi richieste di risarcimento”. Lo ha detto Marco Pannella, nel corso della conversazione settimanale a Radio Radicale, riferendosi all’intervento di ieri di chiusura della Festa Democratica di Pier Luigi Bersani Giustizia: Papa (Pdl); dopo questa esperienza la mia vita sarà dedicata a problema carceri Adnkronos, 12 settembre 2011 Dopo questa esperienza ho deciso di spendere tutto il resto della mia vita al problema delle carceri alla riforma della giustizia. Lo avrebbe confidato il deputato del Pdl Alfonso Papa al collega Giancarlo Lehner, in visita oggi al carcere di Poggioreale, a Napoli. L’esponente pidiellino è detenuto in custodia cautelare dal 20 luglio, quando la Camera ne autorizzò a scrutinio segreto l’arresto (319 sì e 293 no) chiesto dai magistrati di Napoli nell’ambito dell’inchiesta P4. “Ora capisco la battaglia dei radicali. Stamattina - racconta Lehner - sono andato a Poggioreale: la situazione è veramente incredibile. La struttura può ospitare 1.400 persone e, invece, ci sono oltre 2.000 detenuti. Non ci sono soldi, neanche per comprare la carta igienica e le saponette. Se la classe politica ha una dignità e una coscienza giuridica, dovrebbe intervenire subito per risolvere il problema del sovraffollamento e mettere fine a questa barbarie giuridica del carcere preventivo: la custodia cautelare deve restare uno strumento eccezionale”. In queste ultime settimane molti parlamentari del centrodestra sono andati a trovare Papa per esprimergli la solidarietà. Domani dovrebbe recarsi a Poggioreale in visita anche il capogruppo alla Camera del Pdl, Fabrizio Cicchitto. Toscana: in Consiglio regionale seduta speciale sulle carceri con Alessandro Margara www.nove.firenze.it, 12 settembre 2011 Alla situazione delle carceri in Toscana è dedicata la seduta speciale del Consiglio, convocato martedì 13 settembre. I lavori saranno preceduti dalla relazione del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, Alessandro Margara (alle 14). L’ennesima aggressione nella stessa sezione per tossicodipendenti della casa circondariale di Firenze, Sollicciano, ha avuto per vittime, giovedì pomeriggio, due appartenenti alla Polizia Penitenziaria. Le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria ricordano che “si tratta del settimo caso nella stessa sede, mentre il numero complessivo dei poliziotti penitenziari che hanno subito lesioni dall'inizio dell'anno sale a 820”. “Le condizioni dei lavoratori degli istituti penitenziari italiani sono al limite dell’accettabile”, commenta Roberto Rizzo, Responsabile del Dipartimento Lavoro-Welfare Idv Toscana. “Come Italia dei Valori denunciamo da più di un anno questa situazione di disagio: insieme ai nostri consiglieri regionali e ai nostri parlamentari abbiamo toccato con mano questa situazione di emergenza, grazie alle numerose visite nelle carceri della Toscana: da Sollicciano, appunto, a Le Sughere di Livorno, dal Don Bosco di Pisa alla Casa circondariale di Massa Carrara, dal carcere di Arezzo a quello di San Gimignano”. “In ogni struttura – aggiunge Rizzo – si ritrovano le stesse condizioni di precarietà e lesione dei diritti che, a partire dalle difficili condizioni dei detenuti, si ripercuotono inevitabilmente anche sul personale di sorveglianza. Basti pensare che, a livello nazionale, dei circa sessantasettemila detenuti nelle carceri italiane, uno su tre è straniero, uno su quattro è tossicodipendente ed è elevata la percentuale di detenuti con malattie mentali. Tutto questo va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del corpo di polizia penitenziaria, oggi già sotto organico di ben cinquemila unità a livello nazionale, di quasi il 50% a Sollicciano, dove sono in servizio 390 unità delle 695 previste dalla legge. Una situazione che genera un numero elevato di ore di straordinario e un’incidenza elevatissima di malattie legate allo stress”. “Insomma – conclude Rizzo – vengono completamente i diritti dei lavoratori. Per questo, noi di Italia dei Valori sosteniamo da tempo che vada rivisto l'intero sistema carcerario e il concetto stessa di detenzione che, come prevede la Costituzione, deve rispondere agli essenziali criteri di umanità e prevedere un percorso educativo di reinserimento. Di pari passo, è urgente un intervento immediato per ripristinare una migliore condizione di lavoro della polizia penitenziaria e un miglioramento di rispetto delle persone e della loro dignità, siano essi detenuti o lavoratori, oltre a un ripristino delle relazioni sindacali”. Manca tutto, anche la carta igienica Emergenza shampoo e carta igienica nelle carceri toscane. Dopo il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, che un mese fa si era recato presso il carcere Don Bosco per consegnare due pancali di carta igienica, anche la Regione Toscana fa sapere di aver già attivato tutte le Aziende sanitarie locali. L’ordine è quello di rifornire, con una partita straordinaria di materiali per assicurare l’igiene personale, tutte le case circondariali dei rispettivi territori. “Si tratta di una vera e propria funzione di supplenza rispetto a compiti del Ministero di grazia e giustizia - fa sapere l’assessore regionale al diritto alla salute Daniela Scaramuccia - cui però, vista la situazione, non potevamo certamente tirarci indietro”. E così, dopo i 4.500 nuovi materassi (e cuscini), promessi un anno fa dal governatore Enrico Rossi, e di cui in queste settimane si sta completando la distribuzione in tutti i 18 centri penitenziari della Toscana, adesso è la volta di un ulteriore intervento straordinario per le forniture, appunto, di shampoo e carta igienica. “Di fronte a un’amministrazione penitenziaria che ormai non è in più grado di assicurare assolutamente nulla - sottolinea da parte sua Francesco Ceraudo, direttore del Centro regionale per la salute in carcere - fortunatamente abbiamo ancora in Toscana un governo che anche in questo caso ha dimostrato particolare sensibilità rispetto a quelle che sono le esigenze della popolazione carceraria”. Un panorama, quello cui assiste dal suo osservatorio privilegiato, che permane comunque in una situazione di forte emergenza: “Al 31 agosto scorso, secondo i dati più recenti, erano presenti nella nostra regione 4.380 detenuti, di cui 4.177 uomini di sesso maschile, ben 1.200 in più della capienza massima prevista. Una condizione di sovraffollamento - spiega Ceraudo - che comporta ormai diffusamente condizioni igieniche intollerabili contraddistinte da promiscuità, degrado e violenza”. “Nei primi 8 mesi dell’anno - ricorda Ceraudo - quattro sono stati i suicidi avvenuti nei centri penitenziari di Sollicciano, Prato, Montelupo Fiorentino e Livorno; molti di più i casi di autolesionismo e sciopero della fame che stanno tutti a testimoniare il grave disagio psichico ed ambientale in cui i detenuti sono costretti a vivere”. Alla domanda su cosa siano diventate le carceri, persa oramai la loro funzione riabilitativa pur prescritta dalla Costituzione, Ceraudo taglia corto: “Vere e proprie discariche sociali che inghiottiscono tutti i drammi umani che la società rinnega; povertà, tossicodipendenza, emarginazione, malattia mentale, immigrazioni, tutti fenomeni che non si è più capaci di gestire e che qui vengono confinati”. “Su tutti - prosegue - basta il dato sulla sulla ripartizione, per provenienza, della popolazione carceraria toscana, che vede oltre il 43 per cento di detenuti rappresentato da stranieri, originari soprattutto di Marocco, Romania, Tunisia, Albania, Nigeria, Polonia, ex - Jugoslavia, Algeria e Cina, oltre che del numero di carcerati tossicodipendenti, 1.394, quasi un terzo del totale”. “Si tratta di cifre - conclude Ceraudo - che parlano veramente da sole”. Umbria: da domani sit-in polizia penitenziaria “ad oltranza” davanti a carcere di Capanne www.informazione.it, 12 settembre 2011 Prende il via un sit-in per tentare di mettere fine al problema sollevato da mesi del sovrannumero di detenuti. A fronte del perdurare di una situazione di sovraffollamento nel carcere di Perugia Capanne, il Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) - principale sindacato di polizia penitenziaria della regione - ha indetto a partire da domani mattina una manifestazione “ad oltranza” di fronte alla struttura detentiva. Di fronte al carcere si terrà nella mattinata un sit-in, cui hanno annunciato la propria partecipazione anche diversi esponenti politici locali e amministratori. Dopodomani prenderanno parte alla protesta anche alcuni vertici nazionali del Sappe e del Lisiapp (Libero sindacato appartenenti polizia penitenziaria). “Dobbiamo dire - ha detto in un comunicato il leader del Lisapp Manna - che da parte della regione Umbria c’è stato pieno sostegno, ma rileviamo come sempre un immobilismo e un’indifferenza alle problematiche che soffocano il sistema penitenziario e gli uomini e donne della polizia penitenziaria”. Secondo Manna, “abbiamo insieme organizzato lo stato di agitazione per chiedere all’amministrazione Dap e al governo, che ha fatto della sicurezza il suo cavallo di battaglia durante l’ultima tornata elettorale, un intervento immediato. L’Umbria come il resto delle strutture del paese non può essere trattata in questo modo e il sit-in sarà andrà avanti ad oltranza”. Il Lisiapp e il Sappe, lamentano la carenza di personale, insieme all’inadeguatezza delle strutture. “A causa del sovraffollamento delle carceri - ha detto il segretario generale aggiunto del Lisiapp Rosati abbiamo difficoltà a garantire i servizi minimi oltre che al disagio che coinvolge i poliziotti penitenziari”. “Ci troviamo a dover sopperire una carenza di personale che si traduce nell’insofferenza dell’utenza dei detenuti stessi ed è alla base dei suicidi e degli atti di autolesionismo che negli ultimi tempi sono all’onore delle cronache”, ha detto infine il numero uno del Sappe Donato Capece. La questione del sovraffollamento delle carceri è stato a fine luglio al centro di una lettera aperta inviata dalla presidente della regione Catiuscia Marini all’allora guardasigilli Angelino Alfano, in cui si chiedeva di diminuire il numero di detenuti presenti in regione e di potenziare le capacità delle strutture umbre. Secondo i dati diffusi in questa occasione, l’Umbria ospita attualmente 1.751 detenuti, a fronte di soli 700 posti a disposizione nelle sue strutture carcerarie. Messina: nuovo dramma all’Opg di Barcellona; internato di 46 anni si uccide con il gas di Leonardo Orlando Gazzetta del Sud, 12 settembre 2011 Un internato di Cremona si è uccide nella nottata di ieri nella sua cella singola, infilando la testa in un sacchetto di plastica e inalando il gas del fornellino utilizzato per la cottura di piccole porzioni di cibi. A poco più di un mese dall’ultimo suicidio per impiccagione, avvenuto in una cella comune lo scorso 20 luglio, all’interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario, un altro internato - semilibero e prossimo alla libertà - si è tolto la vita nel corso delle nottata di ieri, intorno a mezzanotte. Inutili si sono rivelati i tentativi di rianimazione intrapresi nell’immediatezza da un agente della polizia penitenziaria e subito dopo dal medico di turno. L’uomo, M. S. 46 anni di Cremona, era prossimo alla liberazione prevista per il 2012 con la cessazione della misura di sicurezza imposta a suo tempo per la commissione di reati lievi, maltrattamenti e resistenza, e per i quali era stato prosciolto a causa del suo stato di malessere psicofisico. E la detenzione in carcere era stata sostituita dalla misura di sicurezza “scontata” quasi fino in fondo senza che fossero emersi problemi di particolare gravità. L’internato suicidatosi nella cella che occupava singolarmente. aveva già utilizzato licenze temporanee ed era tra coloro che usufruivano di una forma di semilibertà prevista dall’art. 21 del Codice dell’ordinamento penitenziario. La vittima non aveva manifestato problemi di insofferenza, tanto da seguire all’esterno dell’Istituto corsi di formazione professionale che gli sarebbero giovati una volta riacquistata la libertà. Di quanto era accaduto nella cella si è accorto l’agente della polizia penitenziaria nel consueto giro di perlustrazione e controllo delle celle del raggio nel quale era stato assegnato l’uomo. All’agente non è sfuggito infatti che l’uomo era riverso per terra con il capo ricoperto da un sacchetto di plastica utilizzato per creare una piccola camera a gas, grazie anche all’utilizzo del fornellino alimentato da una piccolissima bomboletta di gas butano. Per l’internato, pur soccorso tempestivamente, non c’è stato scampo. Dell’episodio la stessa polizia penitenziaria dell’Opg “Vittorio Madia”, ha avvertito il magistrato di turno della Procura di Barcellona. La salma dello sfortunato internato di Cremona è stata composta nella sala mortuaria dell’Opg di Barcellona nell’attesa delle determinazioni dell’autorità giudiziaria previste per stamani. Ieri in mattinata, appresa la notizia, il cappellano dell’Istituto, padre Pippo Insana, fondatore della Casa di accoglienza e solidarietà, reduce dalla trasferta romana per la partecipazione di sabato alla manifestazione “Stop Opg”, ha celebrato in suffragio del suicida la santa messa alla quale hanno partecipato gli altri internati ed il personale del Corpo di polizia penitenziaria. Lo scorso 20 luglio invece a togliersi la vita, impiccandosi con un lenzuolo legato alla grata della finestra - dopo aver oscurato la porta a vetri della cella collettiva occupata assieme ad altri tre internati - era stato un uomo di 73 anni di Rossano Calabro, G. T. il quale soffriva di deliranti manie di persecuzione e per questo aveva lasciato un biglietto nel quale accusava i parenti, indicati come responsabili delle sue paranoie. Nemmeno il suicidio di ieri, così come quello verificatosi il 20 luglio scorso, sarebbe da addebitare al sovraffollamento della struttura penitenziaria che nei mesi scorsi aveva toccato punte fino a 382, ricondotte con gli ultimi trasferimenti al carcere di Pagliarelli di Palermo ed in altri Opg italiani, a circa 310 internati a fronte dei circa 250 posti disponibili. Roma: Nieri (Sel) presenta interrogazione per fare luce su decesso detenuto a Velletri Dire, 12 settembre 2011 “Qualche giorno fa, nella Casa circondariale di Velletri, è morto Danilo Fabiani, un detenuto di 30 anni affetto da gravi disturbi psichiatrici e da obesità. Al momento non si conoscono le cause di questo decesso e si è ancora in attesa dei risultati dell’autopsia. Si sa, però, che il detenuto era in cura psicofarmacologica e che questa gli era stata cambiata poco prima del decesso. Si tratta di una vicenda ancora oscura, sulla quale occorre fare al più presto chiarezza. Dall’inizio dell’anno, infatti, sono già 2 i decessi nella casa circondariale di Velletri, di cui il primo per suicidio”. È quanto dichiara Luigi Nieri, capogruppo di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio. “Abbiamo presentato una interrogazione urgente con la quale si chiede alla presidente Polverini e all’assessore ai Rapporti con gli Enti locali e Politiche per la Sicurezza se siano a conoscenza di quanto accaduto. Chiediamo, inoltre, di avviare una verifica sulle cause della morte di Danilo Fabiani - aggiunge Nieri. Ricordo che la sanità penitenziaria è competenza della stessa Regione e che è dovere dell’amministrazione regionale verificare che all’interno delle carceri sia garantito il diritto alla salute. Dall’inizio dell’anno sono deceduti, oltre ai casi citati, altri 4 detenuti per malattia all’interno degli istituti di pena laziali. Un fatto che non può essere in alcun modo trascurato”. Ravenna: due detenuti al lavoro per ripulire pineta, in 7 giorni raccolti 90 sacchi Dire, 12 settembre 2011 Due detenuti, sette giornate di lavoro da luglio a settembre per un totale di 21 ore a testa, più di 90 sacchi di immondizia raccolti e almeno 130 chilogrammi di materiale destinato alla raccolta differenziata, sei chilometri di strada che costeggia la pineta di Marina di Ravenna ripuliti: sono questi i numeri di “Strada facendo”, il progetto di inserimento lavorativo promosso dal carcere di Ravenna insieme al Corpo forestale dello Stato e all’Asp. Una operazione di “giustizia riparativa - la definisce la direttrice del Port’Aurea Carmela De Lorenzo, che permette un miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti dal punto di vista umano e psicologico”. Il sindaco Fabrizio Matteucci, che ha partecipato questa mattina alla presentazione dei risultati dell’evento in Comune insieme all’assessore alla Sicurezza Martina Monti, parla di un “progetto importante, perché riguarda un problema sentito, quelle manifestazioni di piccola inciviltà che danno un senso di degrado assolutamente evitabile - spiega - e nei cui confronti non c’è nessuna azione di controllo che possa sostituire il buonsenso e il rispetto dei beni comuni, che da parte di una minoranza consistente di ravennati o di nostri ospiti sembra scarseggiare”. Per il primo cittadino questa iniziativa segna anche “un cambio di passo positivo nella collaborazione con la nuova direzione del carcere”. I detenuti hanno lavorato insieme a un volontario dell’Auser per sette giornate, da luglio a settembre: nei sei chilometri di strada interessati dal progetto hanno destinato alla raccolta differenziata 35 chili di plastica, 40 di vetro, 50 di carta e addirittura cinque di amianto. Caltanissetta: Osapp e Garante detenuti visitano carcere di Gela; riapertura entro il mese Il Velino, 12 settembre 2011 Al sindacato di polizia penitenziaria Osapp è stata rilasciata, dopo che era stata negata, l’autorizzazione a visitare il carcere siciliano non attivo di Gela. La visita, inizialmente prevista per il 12 settembre poi annullata e quindi riconfermata dal Dap, è iniziata alle ore 10 e vi prendono parte, oltre al vice - presidente nazionale del sindacato Mimmo Nicotra, pure il sindaco di Gela Angelo Fasulo e il garante dei detenuti Salvo Fleres: lo scopo è quello di verificare se ci siano le condizioni di servizio e se gli ambienti della struttura rispondono ai canoni nazionali. “Urge aprire la nuova struttura penitenziaria di Gela, paralizzata da ritardi”, spiega Nicotra, che ricorda come la struttura nuova di zecca sia stata finora inaugurata due volte, ma è ancora chiusa. Cinquant’anni per fare un carcere per cento detenuti, il cui progetto risale al 1959 (è stato approvato definitivamente nel 1978.) e i lavori iniziarono nel 1982. Il complesso è costato oltre cinque milioni di euro ed è stato consegnato all’amministrazione penitenziaria nel 2009. “Chiederemo al Guardasigilli Palma di disporre per gli urgenti accertamenti su una vicenda che presenta numerose zone d’ombra, mentre nei confronti del capo del Dap Franco Ionta sollecitiamo immediati ed urgenti correttivi rispetto a quanto avviene presso l’indicato ufficio centrale della polizia penitenziaria in Roma. Appare infatti del tutto ovvio - sottolinea il dirigente - che qualcuno non vuole che per Gela la verità venga a galla”. L’Osapp: riapertura penitenziario forse entro settembre “Entro settembre il carcere di Gela, in provincia di Caltanissetta, potrebbe essere riaperto. E stavolta in via definitiva, per ospitare un centinaio di detenuti e impiegare ottanta unità”. Lo rende noto Mimmo Nicotra, vice - presidente nazionale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, che insieme al sindaco di Gela Angelo Fasulo, al garante dei detenuti Salvo Fleres e al parlamentare Marilena Samperi, della Commissione Giustizia, ha visitato stamane il penitenziario. “È una struttura - ha detto Nicotra - che ha ottime condizioni di servizio, inoltre gli ambienti della struttura rispondono ai canoni nazionali. Di più, il carcere di Gela è tecnologicamente all’avanguardia. Il 26 settembre siamo convocati dal ministro Palma - conclude - e in quella sede chiederemo un interpello straordinario esclusivamente per Gela”. Il Garante: destinare personale necessario per l’apertura Il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, ha partecipato alla manifestazione indetta dall’ Osapp che si è tenuta in data odierna a Gela, per l’apertura del carcere locale. “Dopo ben due inaugurazioni, ha dichiarato il Sen. Fleres, il carcere non è mai entrato in funzione. La struttura di Gela, ha proseguito il Sen. Fleres, costituisce un monumento all’inefficienza dell’Amministrazione pubblica perché a causa di una serie di problemi di natura burocratica continua a rimanere chiusa nonostante nelle altre strutture penitenziarie i detenuti vivono accatastati come bestie. L’ultimo dei problemi che è stato sollevato riguardava l’approvvigionamento idrico. Lo stesso Sindaco ha assicurato che sono garantiti dieci litri di acqua al secondo per 24 ore. In tutto questo, presso il carcere senza detenuti, prestano regolarmente servizio diverse unità di personale di Polizia Penitenziaria, il cui compito è quello evitare il manifestarsi di atti vandalici, come già accaduto altrove. Mi auguro, ha concluso il Sen. Fleres, che l’Amministrazione penitenziaria provveda con la massima urgenza a destinare ulteriori unità di personale necessarie per l’apertura del carcere di Gela dove possono trovare posto circa 100 reclusi”. Cagliari: Sdr; da 1 anno non pagate le missioni degli agenti di Buoncammino Comunicato stampa, 12 settembre 2011 “Sono giuste le lamentele e le proteste degli agenti della Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Buoncammino che da un anno non percepiscono il pagamento delle missioni”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, avendo appreso che “le somme destinate alle missioni degli ultimi mesi per Buoncammino sono state quasi interamente utilizzate per il pagamento degli anticipi al personale del Provveditorato in servizio di scorta e tutela alle Autorità del Dipartimento venute in vacanza in Sardegna”. “Nel condividere il richiamo al rispetto del contratto che stabilisce il pagamento delle missioni entro i 30 giorni successivi non si può fare a meno di osservare - sottolinea la presidente di Sdr - che in un momento di così grave crisi economica è indispensabile garantire il dovuto a chi lavora. Il mancato riconoscimento delle missioni è un aspetto che agisce negativamente sul personale peraltro molto provato dal sovraffollamento e dalla pesantezza dei turni di servizio in un Istituto dove mancano non meno di 70 agenti”. “Sorprende che, nonostante le numerose rassicurazioni da parte del Ministro della Giustizia - conclude Caligaris - non si riesca a rivedere le piante organiche e assicurare costante dignità al pesante impegno degli agenti sul fronte della detenzione”. Sul problema, che incide sui bilanci familiari del personale, ha preso posizione la segreteria provinciale della UILPA Penitenziari annunciando ricorsi all’autorità giudiziaria. Genova: Sappe; carcere sovraffollato, ma direzione ammette cane a colloquio con padrona Comunicato stampa, 12 settembre 2011 “Poiché sappiamo che la Direzione del carcere di Genova Pontedecimo ha una spiccata sensibilità per le attività trattamentali, tanto da consentire in Istituto il colloquio tra una detenuta ed il proprio cane pechinese, auspichiamo che analoga sensibilità emerga anche per alcuni interventi legati alla sicurezza ed all’ordine interno del carcere, che la Direzione sembra trascurare, come, ad esempio, l’urgente necessità di regolamentare il possesso dei telefoni cellulari alle persone ammesse ad accedere alle sezioni detentive del carcere (dal direttore al comandante, dal medico al mediatore culturale) o l’adozione di adeguati provvedimenti disciplinari ai detenuti responsabili di atti di aggressione ai poliziotti penitenziari”. È quanto scrive polemicamente in una nota Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario della Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri. Una detenuta del carcere di Genova Pontedecimo, appellante con fine pena nel giugno del 2014 per reati connessi allo spaccio di stupefacenti, ha già sostenuto un “colloquio” ed un altro è in procinto di farlo con il proprio cane, di razza pechinese, e che per l’occasione non viene utilizzata la normale stanza dei colloqui, ma bensì “l’area verde” del carcere, peraltro ambita da tutti i ristretti. Il cane viene accompagnato in carcere dal familiare di un altro detenuto che, dopo l’ora di incontro, lo riaccompagna al domicilio. “Nulla da dire sulla cosa in sé, anche alla luce del rapporto che si crea tra padrone e compagno a quattro zampe (fatti analoghi sono accaduti anche in altre carceri italiane, ultimamente ad esempio a Verona)” prosegue Martinelli “ma certo stupisce la priorità che ne è stata data in un carcere con molte criticità come quello di Pontedecimo. Un carcere nel quale i posti letto regolamentari sono 96 ma i detenuti (uomini e donne) ben 186, il 55% dei quali stranieri; in cui mancano in organico circa 60 poliziotti (ce n’è in forza 110 e dovrebbero essere 167); in cui solo nell’ultimo mese un detenuto ha spaccato un vetro antisfondamento nel gabbiotto dei cortili passeggi, un altro ha lanciato una sedia contro una finestra distruggendo un vetro antisfondamento e riferendo di averlo fatto per non spaccare la testa al poliziotto di servizio, un altro ancora ha sferrato un pugno contro un vetro di un cancello di sbarramento mandandolo in frantumi sempre per futili motivi; un altro detenuto, di origini magrebine ha cercato il corpo a corpo con il poliziotto di servizio sul piano per evitare di essere perquisito. Si potrebbe continuare con la periodicità con cui alcuni detenuti che ogni giorno alla chiusura dell’ora d’aria rifiutano di fare rientro nelle proprie celle o delle vere e proprie lotte per condurli nei cortili passeggi ecc. ecc. Per i fatti più gravi la direzione ha ritenuto opportuno ammonirli o solo dargli 2 o tre giorni di “ esclusione dalle attività ricreative” cioè vale a dire niente, in quanto le attività ricreative a Pontedecimo consistono in una piccola palestra che si trova all’interno dei cortili passeggi, quindi impossibile da vietare. Per non dire dei tanti telefoni cellulari ammessi ad entrare nelle sezioni detentive dalla Direzione: dal direttore stesso al comandante, dal medico al mediatore culturale, solo per dirne alcuni. Tutti in sezione con appresso il telefono cellulare: è assolutamente indispensabile per tutti? La cosa va, a nostro avviso, regolamentata e limitata il più possibile.” Cagliari: il 16 e 17 mostra “Senza Catene. L’orrore degli Ospedali psichiatrici giudiziari” Ristretti Orizzonti, 12 settembre 2011 A Cagliari, dal 16 al 17 settembre, la società civile chiama le Istituzioni al rispetto dei diritti costituzionali per un ruolo attivo del Servizio Sanitario Nazionale e degli Enti locali. Fino al 20 settembre la mostra Manicomi Aperti. A Cagliari il 16 e il 17 settembre nella sala convegni del centro culturale d’arte “Il Ghetto” si terrà il convegno nazionale “Senza catene. L’orrore degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari” organizzato dal Comitato Stop Opg Sardegna con il patrocinio del Comune di Cagliari. Il convegno sarà un’occasione importante per aprire un tavolo di confronto con le Istituzioni al fine di sollecitare l’assunzione di un ruolo attivo da parte del Servizio Sanitario Nazionale e degli Enti locali sulle questioni legate alla salute mentale, alle politiche socio - sanitarie, ai diritti umani e di cittadinanza. Durante le due giornate si svolgeranno tre tavole rotonde che ospiteranno senatori della commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, un rappresentante del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa, rappresentanti delle più importanti organizzazioni nazionali e regionali coinvolte nella campagna Stop Opg, amministratori regionali e locali. Scarica Programma dettagliato in pdf L’evento sarà accompagnato dalla mostra e dalle performance interattive “Manicomi Aperti”. L’esposizione, già inaugurata a Dolianova il 28 maggio scorso, offre un percorso che a partire dalla ricostruzione della memoria storica degli ospedali psichiatrici tenta di indagare e mettere in scena le rappresentazioni della salute mentale attuali attraverso le immagini proposte da artisti italiani selezionati con un concorso nazionale nei primi mesi del 2011 dall’associazione Art Meeting. La mostra sarà visitabile tutti i giorni dal 16 al 20 settembre dalle ore 16 alle ore 20 presso le sale espositive del centro culturale d’arte “Il Ghetto”. Segreteria Organizzativa: Asarp cell. 3381597287. Associazione 5 Novembre cell. 3316164008. Associazione Art Meeting cell. 3472114917 Immigrazione: caso Kate Omoregbe; la nigeriana andrà in un istituto religioso a Lodi Adnkronos, 12 settembre 2011 Kate Omoregbe ha deciso. Non tornerà in Calabria, dopo la scarcerazione avvenuta lunedì scorso dall’istituto penitenziario di Castrovillari, ma andrà a Lodi nell’istituto religioso Sant’Anna che aveva manifestato la volontà di accoglierla già prima della sua liberazione. La nigeriana 34enne, che ha scontato una condanna per la detenzione di una piccola quantità di droga trovata nell’appartamento di Roma che divideva con un’altra ragazza e ha ottenuto l’asilo politico scampando alla lapidazione nel suo Paese per essersi rifiutata di sposare un uomo più grande di lei e di convertirsi dalla religione cristiana a quella islamica, avrà l’opportunità di lavorare come badante, come aveva già fatto durante la sua permanenza in Italia, anche nel carcere di Castrovillari dove per la sua buona condotta le era stato permesso di fare le pulizie per quattro ore al giorno all’interno dell’istituto. Il leader del movimento Diritti civili, Franco Corbelli, che ha seguito in prima persona il caso della nigeriana, ha sentito telefonicamente Kate “che ringrazia - riferisce - la Regione Calabria che aveva individuato una struttura religiosa calabrese dove ospitarla, per darle un pasto e farla dormire, ma ha deciso di scegliere l’Istituto di Lodi che le consentirà anche di poter lavorare”. Kate Omoregbe “ringrazia Diritti civili, a cui deve la sua salvezza, la direzione e tutto il personale del carcere di Castrovillari, la stampa, la Calabria, l’Italia, quanti, da ogni parte del mondo, l’hanno aiutata, ma vuole - spiega Corbelli - poter riprendere a lavorare per essere autonoma e autosufficiente”. Corbelli ha sentito al telefono suor Rosalia De Leonardis, responsabile dell’Istituto Sant’Anna di Lodi, che “si è detta felice - riferisce il leader del movimento Diritti civili - di accogliere Kate, di ospitarla e di trovarle un lavoro”. Serbia: evade detenuto per crimini guerra, Bozidar Vucurevic fuggito in Bosnia Ansa, 12 settembre 2011 Bozidar Vucurevic, uno dei leader dei serbi di Bosnia arrestato in Serbia lo scorso aprile per il suo coinvolgimento nei bombardamenti di Dubrovnik (Croazia) nel 1941, è fuggito dal carcere in Bosnia-Erzegovina. Come riferiscono i media, Vucurevic ha raggiunto Trebinje, la cittadina nel sudest della Bosnia della quale era sindaco durante la guerra serbo-croata (1991-1995). Vucurevic, che è ricercato per crimini di guerra sia dalla Croazia che dalla Bosnia-Erzegovina, ha detto di voler essere processato in Bosnia, di cui è cittadino. Domani, ha detto, si presenterà ai giudici locali a Trebinje. La giustizia croata ha accusato Vucurevic nel 2008 di crimini di guerra compiuti contro civili nella regione di Dubrovnik, nonché della distruzione del patrimonio storico e culturale della città adriatica tra il 1991 e il 1995, gli anni della guerra tra Croazia e Serbia. Anche in Bosnia Vucurevic è indagato per crimini di guerra commessi nella regione di Trebinje durante il conflitto armato degli anni novanta. Iran: pena di morte; cinque impiccagioni per traffico di droga, domani altra esecuzione Ansa, 12 settembre 2011 Cinque persone sono state impiccate oggi in Iran con l’accusa di traffico di droga. La condanna è stata eseguita nel carcere di Sharoud, ha reso noto il capo del dipartimento della giustizia della provincia di Semnan, nel nord del Paese, secondo quanto riportato dall’agenzia Fars. Per domani è prevista invece, annuncia l’Isna citando il presidente della Corte penale di Teheran, l’esecuzione pubblica di un giovane accusato di aver accoltellato a morte una compagna di università perché aveva respinto la sua richiesta di amicizia. Il fatto era avvenuto il 6 luglio scorso, sotto un viadotto nella zona occidentale della capitale, dove anche un’amica della vittima era rimasta ferita. Il caso aveva suscitato molto clamore e il verdetto è giunto insolitamente presto, così come la data dell’esecuzione, che avverrà appunto in pubblico e con l’utilizzo di una gru. In altri casi, invece, fra la sentenza e l’impiccagione le autorità giudiziarie possono anche far passare anni, per dar tempo ai familiari delle vittime di perdonare i condannati e così far annullare la sentenza capitale.