Diario di Elton: la svolta dalla laurea Redattore Sociale, 4 ottobre 2011 Da allora sono trascorsi nove anni: “Non ho più commesso infrazioni, niente più isolamento. E quattro anni fa mi sono laureato con il massimo dei voti”. Buona parte della mattina di ieri l’ho dedicata al paziente ascolto delle lamentele di C., un mio connazionale di 25 anni. Di albanesi, qui dentro, ce ne sono diversi. Alcuni sono emigrati negli anni novanta convinti di trovare una gigantesca Hollywood. Altri lo hanno fatto perché in quegli anni di transizione da un regime comunista a un sistema liberista si sono ritrovati con i genitori licenziati e senza alcuna prospettiva di lavoro. Invece C. è venuto in Italia per studiare. Iscritto all’università di Padova, ha sostenuto alcuni esami prima di decidere di prestarsi a custodire in casa della droga per degli spacciatori. Così si è ritrovato con una condanna di cinque anni e ha ripreso lo studio. Ha sostenuto anche un paio di esami, qui, fino a quando un professore si è rifiutato di venire in carcere per valutare la sua preparazione. Dato che gli rimane poco più di un anno da scontare, ha chiesto un permesso per uscire e presentarsi agli appelli d’autunno. Il magistrato non ha ancora deciso e questa attesa lo sta divorando. Mentre C. parla, mi attraversano la mente le immagini dei miei problemi di una volta con gli esami, qui dentro. Non era un periodo felice per me: facevo dentro e fuori dall’isolamento, per risse e insubordinazione. Sapevo che dovevo dare una svolta alla mia detenzione e l’università è arrivata al momento giusto. Ormai, sono passati nove anni. Non ho più commesso infrazioni, niente più isolamento. E quattro anni fa mi sono laureato con il massimo dei voti. Poi la laurea magistrale di due anni, conclusa anch’essa nel migliore dei modi. Due diplomi che i miei genitori hanno incorniciato, per esibirli con orgoglio sui muri del loro soggiorno. Magnifici ricordi, che rinchiudo nei cassetti arrugginiti della mia vita da galera quando l’agente chiama dal fondo del corridoio C., ordinandogli di presentarsi in ufficio matricola. Rimango solo, appoggiato al cancello della mia cella. Decido di andare in bagno e di prepararmi un caffè. Appoggio la moca sul fornellino da campeggio, accendo il fuoco. Guardo fuori dalla finestra, sotto di me, dove ci sono cinque aree quadrate per i passeggi. Tre cubicoli sono vuoti. Nella prima c’è una colonna di nove persone che corre in circolo sul cemento. Nell’ultima ci sono due anziani fermi, sotto la tettoia, che guardano il cielo.Il caffè comincia a sgorgare quando irrompe C. Ha in mano l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, che ha deciso di concedergli il permesso. Quindi decide di tornare nella sua cella per riprendere i libri, mentre io mi riaffaccio alla finestra a guardare i passeggi ormai vuoti e a pensare alla galera di ieri. Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti) Elton è un 35 enne albanese, detenuto nel carcere Due Palazzi di Padova con una condanna a 14 anni e 8 mesi per sequestro di persona a scopo di estorsione (senza armi e durato due giorni). Il prossimo 25 ottobre finirà di scontare la sua pena e tornerà libero. Firma storica della rivista Ristretti Orizzonti, attende di sapere se sarà rimpatriato in Albania o se potrà restare in Italia e lavorare da esterno per Ristretti. Ha deciso di raccontare su “Redattore sociale” i suoi ultimi giorni dentro. Giustizia: carcere… se non l’amnistia, qual è la risposta adeguata, utile, necessaria? di Valter Vecellio Notizie Radicali, 4 ottobre 2011 Come si sarà notato alla proposta: amnistia per cominciare a porre rimedio allo sfacelo in cui versa la giustizia, si risponde che sì, il problema delle carceri è sì drammatico, ma che la questione non si risolve con una “sanatoria”, e che altre sono le riforme da fare. Ora, se si pone il problema di una giustizia che non funziona, non si può rispondere sostenendo che i problemi di quello che è un suo epifenomeno si risolvono con altri mezzi e sistemi che “verranno”. Si offrono concrete alternative, che si possono attuare nel giro di giorni se non di ore. Invece, quando va bene, siamo nel mondo delle promesse vaghe, degli auspici. Indicativo che, pur considerando la giornata in cui ci si è trovati ieri, tutti presi dal caso del processo di Perugia (e il clamoroso ribaltamento della sentenza, anche questo qualcosa dovrebbe pur dire e significare), la decisione di Fiat di uscire da Confindustria, il conseguente calo verticale delle sue azioni, la tragedia di Barletta, e via dicendo, quando denunciato dal “Corriere.it” a proposito dello stato del tribunale di Napoli sia passato inosservato; e inosservato sembra essere passato anche a Ministro della Giustizia, la cui attenzione pure era stata sollecitata da un’interrogazione radicale di un anno prima; e “distratti” sono Consiglio Superiore della Magistratura, Anm nazionale e partenopea, e via dicendo. Però è pur vero che il ministro Nitto Palma ha comunque trovato il tempo di auspicare che i magistrati rilascino meno interviste e auspicato un qualche marchingegno giuridico che regoli il loro parlare; e s’ammetterà che questo, pur essendo meritevole d’attenzione, non è esattamente il primo dei problemi da risolvere. Ad ogni modo, il fatto è che si parla di come risolvere il problema giustizia, e si risponde promettendo di fare qualcosa per le carceri. Sembrerebbe un dialogo tra sordi, senonché sordi non s’è per nulla. Sentono benissimo, ma decidono che è meglio fingere di non sentire. Ma occorre comunque cercare di stanarli, e farli uscire dalle loro ambiguità. Se come ha cura di sillabare il ministro della Giustizia per l’amnistia “non ci sono le condizioni politiche, provvedimento improponibile”, per quali provvedimenti, queste condizioni invece ci sono? Perché anche se giornali e mezzi di comunicazione sempre più di altro sono distratti, la situazione diventa - se possibile - sempre più insopportabile. Andiamo dunque per flash. I compagni di carcere del detenuto montenegrino detenuto a Como, che un paio di settimane fa si è tolto la vita, hanno scritto una lettera: “Era innocente”, sostengono i detenuti della seconda sezione del carcere. Vitomir Bajic, questo il nome del detenuto trovato morto nella sua cella. Per gli inquirenti, un suicidio; un mistero, ribatte l’avvocato della famiglia. I compagni del carcere di Vtomir non entrano nel merito. La loro lettera, intende solo raccontare all’esterno che “il nostro amico era detenuto ingiustamente…Siamo consapevoli di scontare una condanna perché ritenuti colpevoli, ma c’è anche chi si trova ingiustamente detenuto in attesa di giudizio. E c’è chi sopporta questa violazione e non trova la forza di combattere, non trova nessuno che lo ascolta”. Ma a questo punto, colpevole o innocente che fosse, l’aspetto intollerabile appunto è questo: le condizioni di detenzione sono tali che ogni anno decine di persone, non trovando aiuto, preferiscono farla finita. Da Nord a Sud, Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Napoli. Luigi I., 65 anni, è il decimo decesso in un Opg nel 2011. Complessivamente, in Italia, risultano presenti negli Opg circa 1.400 internati, 346 dei quali sono internati in Campania. Luigi I. è morto per “cause da accertare”. Era internato da questa estate nel manicomio giudiziario in esecuzione di una misura di sicurezza provvisoria. Come abbiamo detto, il decimo caso: cinque ad Aversa, due a Barcellona Pozzo di Gotto, uno a Castiglione delle Stiviere e uno a Montelupo Fiorentino. Nonostante la denuncia del presidente della Repubblica sull’orrore degli Opg e il grande lavoro della Commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino, i morti continuano. Ancora più a Sud, a Siracusa. Dalla casa circondariale di Cavadonna, dove è detenuto perché accusato di associazione mafiosa e di due tentate estorsioni contestate nell’ambito dell’operazione denominata “La Morsa”, Giuseppe Musumeci, detto “Mezzo chilo”, lancia l’ennesimo disperato appello per vedersi accogliere dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catania la sua istanza di essere ricoverato all’ospedale di Augusta: “Chiedo di andare agli arresti ospedalieri in quella struttura sanitaria perché i medici conoscono la mia situazione clinica”, scrive Musumeci che elenca le patologie più gravi di cui è sofferente, oltre al diabete mellito che lo sta divorando e lo sta rendendo una larva umana. “Le patologie di cui sono afflitto sono: pancretite cronica acuta necrotico emorragica; ipertensione arteriosa; sindrome disventilatoria Bco; epatite cronica Hcv correlata. Contrariamente a quanto pensano i giudici si tratta di patologie che non mi consentono di simulare assolutamente disturbi fisici e sofferenze indicibili, che mi costringono a stare sveglio tutte le notti, e, anche se volessi mettermi a letto, sono “aggredito” da fortissimi dolori al pancreas. Come si può ben capire sono un uomo più morto che vivo. Ho bisogno tutti i giorni di ossigeno, e qui dentro non possono darmele perché non sono attrezzati per tale tipo di intervento. I sanitari della casa circondariale, a ragione, mi dicono che è inutile che mi iscriva tutti a giorni nella lista per chiedere la visita medica perché tanto loro, con i mezzi che hanno, non possono fare assolutamente nulla. L’unica via di scampo per me è il ricovero all’ospedale Muscatello perché i medici che vi lavorano da anni mi seguono e sanno come tenere sotto controllo i miei malanni fisici. Capisco le accuse che mi sono mosse, ancora tutte da provare, ma non riesco a comprendere come mai ci sia tanta diffidenza nei giudici sul mio conto, come se io fossi un “pericolo pubblico” da tenere a tutti i costi in gabbia”. Il pensiero di Musumeci è rivolto all’anziana madre, che “per me piange dalla mattina alla sera e si dispera perché non riesce a darmi una mano d’aiuto” e al suo difensore, avvocato Puccio Forestiere, al quale “dico non una, ma mille volte grazie per ciò che sta facendo per farmi ottenere gli arresti ospedalieri”. Casi individuali? Il fatto che accadano a singoli non significa che debbano e possano essere tollerabili. Ad ogni modo, pensiamo allora ai “collettivi”. Carcere di Bellizzi Irpino, Avellino. “I detenuti devono avere sempre a disposizione l’acqua potabile”, prescrive l’articolo 9 della legge dell’ordinamento penitenziario. Ma a Bellizzi Irpini l’articolo 9 si ferma. L’acqua in quel carcere manca l’acqua per venti ore al giorno. La denuncia viene dai detenuti: “Non siamo animali, siamo anche noi figli dell’Italia unita e della carta costituzionale”. Nella Casa Circondariale di Bellizzi Irpino, il non avere acqua corrente per lavarsi o per rinfrescarsi un pò il viso rende la reclusione ancora più inumana di quanto non sia normalmente a causa del sovraffollamento. Nel carcere di Lanciano accade che tre detenuti vivano stipati in una cella da 9 metri quadrati, con il terzo dei tre letti a castello a 57 centimetri dal soffitto e un bagno con lavandino e water di un metro quadro. In questa situazione vivono per gran parte della giornata i 300 detenuti della casa circondariale, terzo istituto penitenziario della regione Abruzzo dopo quelli di Sulmona e Teramo. “Le condizioni di vita all’interno del carcere sono molto disagiate - dice il direttore Massimo Di Rienzo - anche perché a fronte di un sovraffollamento di detenuti abbiamo una carenza di organico nel personale di polizia penitenziaria di circa 30 unità”. Gli agenti in servizio nel carcere di Lanciano sono attualmente 160, a fronte dei 188 previsti dalla pianta organica, mentre gli educatori sono 5, 1 ogni 60 detenuti. Nel super carcere sono ospitati 130 detenuti definiti di “alta sicurezza”, condannati a pene definitive con sentenze passate in giudicato per reati gravi, come ad esempio associazione di stampo mafioso, estorsione, omicidio, rapina. Inoltre il carcere di Lanciano è uno dei tre in Italia ad avere una sezione riservata ai detenuti, 60 attualmente, che hanno rapporti di parentela con quei detenuti che hanno scelto di collaborare con la giustizia. Ci sono poi altri 106 detenuti “comuni”, condannati per reati meno gravi. Si può a questo punto chiudere con gli agenti della polizia penitenziaria, non meno detenuti dei detenuti stessi. In circa cinquecento tra poliziotti, comandanti, direttori, educatori, hanno aderito all’iniziativa della Uil-Pa, e manifestato tra la generale indifferenza, davanti alla sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a Roma. Una manifestazione per sensibilizzare la politica, l’informazione e l’opinione pubblica sul “dramma che quotidianamente si consuma dentro le nostre degradate, fatiscenti e puzzolenti prigioni”. Durante la manifestazione è stato erogato un ininterrotto flusso di bolle di sapone che sono “come le parole e l’impegno dei politici sul dramma penitenziario, vanno via con il vento”. Quest’anno, hanno ricordato che “solo 53 detenuti sono riusciti a suicidarsi perché la polizia penitenziaria, nonostante tutto, ne è riuscita a salvare almeno altri 450 da suicidio”. Durante la manifestazione un passaggio appassionato e polemico è stato dedicato “alla solitudine degli agenti in servizio nelle frontiere penitenziarie…Questo è solo l’inizio di un percorso di mobilitazione destinato ad informare l’opinione pubblica su cosa succede nelle carceri. Vogliamo impedire che una politica distante e disattenta faccia cadere nell’oblio l’ammonimento del Capo dello Stato sull’urgente necessità di recuperare al sistema penitenziario condizioni di costituzionalità e di civiltà”. L’amnistia non è la risposta adeguata, utile, necessaria? Bene. Allora qual è la risposta adeguata, utile, necessaria, e soprattutto - data la unanime situazione da tutti riconosciuta e impossibile da negare - urgente? Giustizia: Nitto Palma e Fazio cercano soluzioni per gli Ospedali psichiatrici giudiziari Agi, 4 ottobre 2011 Al via un tavolo tecnico interministeriale per trovare soluzioni alla situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari, con l’obiettivo, entro 15 giorni, di elaborare proposte per ridurre la popolazione carceraria accelerando le procedure di dimissione dei pazienti a cui non viene attribuita pericolosità sociale. Lo hanno annunciato il ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma e quello della Salute Ferruccio Fazio al termine di un incontro nella sede del ministero della Salute. Una riunione, ha spiegato Nitto Palma, “sul tema della sanità penitenziaria e in particolare sugli ospedali psichiatrici giudiziari, dopo la quale siamo cautamente ottimisti. C’è una assoluta sintonia tra i due ministeri sulle valutazioni, ci rivediamo tra 15 giorni a via Arenula per valutare le prime soluzioni proposte dal tavolo tecnico”. Rispetto alla sanità penitenziaria in generale, ha spiegato Fazio, “dal 2009 nell’ambito degli obiettivi di piano abbiamo un progetto per circa 70 milioni l’anno per creare modelli di cura da parte delle Regioni. Ora siamo in fase avanzata di elaborazione, contiamo di presentarli entro fine novembre o al massimo entro il 15 dicembre”. Quanto agli Opg, ha aggiunto Fazio, “anche alla luce dei recenti richiami del Senato e del Capo dello Stato, ci sentiamo obbligati a trovare una soluzione per rendere più rapidi e regolari i previsti trasferimenti dei detenuti: in alcune regioni non ci sono protocolli sufficienti. Ora abbiamo più di mille detenuti, l’obiettivo è arrivare a 6-700, facendo passare alla sanità regionale tutti quelli che hanno avuto dichiarazione di non pericolosità”. Infine, ha detto Nitto Palma, “si penserà a rimodulare le sei strutture in questione, per consentire una permanenza più consona degli internati, non escludendo anche una riduzione delle strutture stesse o una loro diversa allocazione”. Vitali: su emergenza carceri bene Palma “L’incontro odierno tra il Guardasigilli Nitto Francesco Palma e il ministro della Salute Ferruccio Fazio, per esaminare le condizioni della salute dei reclusi all’interno delle carceri italiane dimostra, se ve ne fosse bisogno, come il ministro Palma abbia ben presente il tema del sovraffollamento ed intenda risolverlo in maniera strutturale e non con il solito provvedimento clemenziale”. Così Luigi Vitali, componente della Consulta Giustizia del Pdl, commentando l’annuncio di un incontro tra i responsabili dei ministeri della Giustizia e della Salute. “Depenalizzazione consistente che sarà presentata in CdM nel corrente mese e creazione di percorsi detentivi differenziati in base alla gravità dei reati commessi ed alla personalità dei colpevoli sono ulteriori importanti tasselli portati avanti dal ministro Palma”, conclude Vitali. Giustizia: il lavoro dei detenuti varrebbe oltre 700 milioni di €… se tutti lavorassero Redattore Sociale, 4 ottobre 2011 Indagine della Camera di commercio di Monza e Brianza. È la ricchezza che verrebbe prodotta dai reclusi se tutti lavorassero. Oggi sono 14.174 quelli che hanno un impiego, di cui 2.064 assunti da cooperative o imprese e il 36% è di origine straniera. Dal carcere potrebbe venire un nuovo impulso all’economia italiana. Se tutti i detenuti lavorassero, infatti, produrrebbero una ricchezza pari a oltre 700 milioni di euro. Lo rivela un’indagine della Camera di commercio di Monza e Brianza, presentata a margine dell’incontro a Milano sulla responsabilità sociale d’impresa. Oggi sono 14.174 i reclusi nelle carceri italiane che hanno un impiego, di cui 2.064 assunti da cooperative o imprese e il 36% è di origine straniera. Trecento milioni di euro è il valore del loro lavoro. Riflettori puntati sulla Lombardia, dove i detenuti che hanno un impiego, soprattutto di sesso maschile (903), sono 2.280 e apportano un valore economico pari a 44 milioni di euro. Prevalgono anche qui le occupazioni alle dipendenze dell’istituto penitenziario. Fuori, sono le imprese che assumono più detenuti: 249 contro i 132 nelle cooperative. Un dato in controtendenza rispetto a quello nazionale, dove 518 sono gli assunti nelle cooperative mentre 348 nelle imprese. Tra chi sconta la pena in un regime di semilibertà: 84 lavorano per un datore privato e soltanto uno è in proprio. Infine, sono 77 i reclusi che hanno un lavoro all’esterno (ex articolo 21). Lombardia: 699 detenuti assunti da cooperative o aziende I risultati del progetto “Responsabilità sociale d’impresa e lavoro penitenziario”, avviato nel 2009 da Camere di commercio lombarde, regione e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria Lavorare in carcere si può. E fa bene ai detenuti, alle imprese e alla società. Oggi sono 699 i detenuti lombardi assunti da cooperative o aziende. Questo grazie al progetto “Responsabilità sociale d’impresa e lavoro penitenziario”, avviato nel 2009 da Camere di commercio lombarde, Regione e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap). I settori in cui sono impegnati i reclusi spaziano dal giardinaggio all’informatica, dalla liuteria alla riparazione di apparecchi tecnologi: basta sfogliare il catalogo “Valori e valori”, realizzato da Terre di mezzo per conto dei promotori del progetto, per rendersene conto. Per invogliare le imprese a investire nelle carceri è stato anche predisposto un vademecum che spiega i vantaggi fiscali e contributivi concessi dalla nostra legislazione. Se c’è lavoro, cala il rischio di recidiva e la società diventa più sicura. “Soltanto il 18% di chi ha un lavoro durante la detenzione ritorna i carcere contro il 70% di chi rimane disoccupato” precisa Francesca Romana Valenzi del Prap. Da questa consapevolezza è nato nel 2009 “Articoloventisette”, l’Agenzia regionale per la promozione del lavoro penitenziario. “Prima della costituzione dell’agenzia i detenuti con un lavoro presso cooperative o imprese erano 499”, sottolinea Valenzi. Oggi, invece, sono appunto 699. “Il lavoro è un momento di recupero importante - sottolinea Sergio Valentini di Unioncamere Lombardia - . Ecco perché è necessario che il mondo del carcere comunichi con quello dell’impresa senza diffidenza reciproca”. La Lombardia spicca su tutte le regioni per numero di detenuti, circa 9.500 (67.400 in Italia). Sebbene, in relazione alla popolazione il dato è più basso rispetto alla media nazionale: quasi 90 detenuti ogni 100 mila abitanti contro i 1.076 nel resto della penisola. Dietro alle sbarre ci sono più italiani che stranieri (43%). Carcere e lavoro: la sfida più grande con gli ergastolani Parla il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano: “Quando la sfida è grande il successo è altrettanto grande”. Parisi, direttore Bollate: “Mettersi alla prova con un lavoro permette al detenuto di conoscere risorse che prima ignorava”. La sicurezza collettiva è affare di tutti, non soltanto degli Istituti penitenziari. Una visione su cui concordano i direttori delle carceri di Opera e di Bollate, Giacinto Siciliano e Massimo Parisi, entrambi intervenuti oggi a Milano alla presentazione del progetto “Responsabilità sociale d’impresa e lavoro penitenziario”. “Miriamo a uno staff che metta insieme l’amministrazione penitenziaria con le realtà esterne (come Assolombarda) per l’accompagnamento del detenuto sul territorio: è importante conoscersi per avere più fiducia gli uni nei confronti degli altri e lanciare insieme iniziative” annuncia Parisi. Ecco quanti sono i detenuti nelle carceri milanesi che hanno un lavoro. A Bollate 370 sono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, mentre 345 lavorano presso terzi. Anche a Opera quelli che lavorano per il carcere sono 370 contro i 162 dipendenti esterni. Ultimo San Vittore, che essendo una casa circondariale e dunque un luogo di transito, ospita meno lavoratori: 223 dipendenti interni e soltanto 7 esterni. Si può dire che i benefici della persona derivanti dal lavoro siano direttamente proporzionali al tipo di crimine commesso e alla durata dalla pena. “Quando la sfida è più grande, nel caso degli ergastolani o di chi è in 41 bis che difficilmente ha mai lavorato in condizioni legali, il successo è altrettanto grande” dice Siciliano. “Mettersi alla prova con un lavoro permette al detenuto di conoscere risorse e competenze di sé che prima ignorava” afferma Parisi. I benefici sono anche di tutti. “Dalla migliore considerazione di sé si innesca un meccanismo virtuoso all’interno del carcere, visibile nelle relazioni più costruttive tra il personale penitenziario e i detenuti” conclude. Infine, la testimonianza di Severina Panarello dell’Ufficio esecuzione penale esterna: “A oggi sono 2.735 le persone che abbiamo in carico, di cui 1.609 stanno scontando la pena attraverso misure alternative (affidamento, detenzione domiciliare, semilibertà, ex - articolo 21)”. Giustizia: Osapp; detenuti sono 50% in più della capienza, non è più tempo di chiacchiere Ansa, 4 ottobre 2011 “Sono 67.301 i detenuti presenti nelle carceri italiane, rispetto a una capienza regolamentare che era e resta inferiore ai 46.000 posti letto e con 9 regioni su 20 (Calabria, Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Valle d’Aosta e Veneto) che continuano a superare persino la capienza massima tollerabile. Per questo non è più tempo di chiacchiere ma solo di fatti”. Ad affermarlo Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp all’uscita dal carcere milanese di San Vittore dove ha effettuato una visita ai posti di servizio. “Sono le chiacchiere, il pressappochismo e l’assenza di fattive proposte in materia di carceri, spesso purtroppo anche da parte di politici di “grido” - prosegue il leader dell’Osapp in una nota - quello che ci spaventa più delle pur gravi emergenze esistenti, compresa quella che abbiamo constato oggi a San Vittore, dove i detenuti superano di oltre il 50% la capienza cosiddetta “tollerabile” (1.540 presenze per 639 posti) e il personale di polizia penitenziaria è inferiore del 25% all’organico stabilito per legge (740 unità presenti su 990)”. “Peraltro, proprio in materia di concretezza rispetto alle condizioni che ogni giorno constatiamo nelle carceri italiane, a Milano come a Torino, a Roma o a Palermo - indica ancora il sindacalista - non possiamo esimerci dal considerare il danno costante per le carceri, per chi in carcere lavora e vive, derivante dall’esclusione degli enti territoriali dalle scelte e dalle responsabilità in materia penitenziaria”. “Per tali motivi - conclude Beneduci - auspichiamo che tra le proposte che il Guardasigilli Nitto Francesco Palma si accinge a formulare, vi sia anche quella per il pieno riconoscimento giuridico dei garanti penitenziari nazionale e regionali e per l’attribuzione di pieni poteri territoriali al sindaco del comune in cui sono allocate le infrastrutture carcerarie”. Giustizia: “caso Meredith” e “caso Bianzino”… se la morte non ha lo stesso peso e non buca il video di Emanuele Giordana Terra, 4 ottobre 2011 Il caso Amanda Knox e Raffaele Sollecito ha scatenato attenzioni e reazioni dagli Stati uniti alla Gran Bretagna. Anche se gli italiani si sono accontentati di un voyeurismo sensazionalista, a partire dal reggiseno con le tracce di liquido seminale, il “caso Meredith” ha scatenato una copertura mediatica monumentale. Alcune morti in effetti pesano stranamente più di altre. Viene alla mente quella di Aldo Bianzino, un uomo che entrò sano, in quegli stessi giorni e sempre a Perugia, nel carcere di capanne e ne uscì morto. Nessuno se ne occupò (tranne qualche giornalista e i radicali) anche se quell’episodio oscuro era tinto di giallo non meno di quello che riguardava quanto accadde nell’appartamento della povera Meredith Kercher. Come spesso accade per i fatti di cronaca, l’opinione pubblica si divide in due: colpevolisti o innocentisti. Prima, durante e dopo la sentenza. Nel caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, la cosa è andata oltre i confini italiani assumendo toni e connotati da disputa internazionale. Gli americani contro la colpevolezza, i britannici a favore (anche se con maggior equilibrio). Gli italiani si sono accontentati di un voyeurismo sensazionalista, a partire dal reggiseno e dalle tracce di liquido seminale. Per alcuni, difficile dire quanti, l’eccesso di notizie su quell’oscura vicenda deve aver però causato una forma di rigetto nonostante la pressante valanga di informazioni, indiscrezioni, dubbi (o forse proprio per questo). Che cosa ci spinga, o non ci spinga, ad appassionarci alle tenebre dei delitti resta un fatto inspiegabile, buono più per la letteratura psicoanalitica che non per gli studi di sociologia. Resta il fatto che alcune notizie, non meno gravi, non meno ‘gialle”, il video non lo bucano affatto. Anzi. Viene alla mente quanto avvenne, grosso modo negli stessi giorni, sempre a Perugia nell’autunno del 2007, quando un ebanista che coltivava un po’ di marijuana nell’orto di casa venne arrestato dalla polizia. Il poveretto finì in carcere, prelevato, assieme alla compagna, nell’abitazione sulle montagne dove viveva con la vecchia madre e il figlioletto che, dopo aver assistito all’arresto, venne abbandonato con la parente ottuagenaria che a fatica capiva quanto stava accadendo. Il fatto è che Aldo Bianzino, questo il suo nome, uscì di prigione per andare direttamente all’obitorio e di lì a una rapida sepoltura. Già se ne erano occupate solo le cronache locali, figurarsi quando sotto i riflettori esplose il caso Meredith e tutta la vicenda a tinte forti che ne scaturì. Il è solo uno dei tanti casi in cui un uomo entra vivo in carcere e ne esce morto in circostanze oscure. Il secondo è uno dei pochi che sembra meritare attenzione. Sul primo calò rapidamente il silenzio e si venne a sentenza abbastanza rapidamente, nel 2009, quando per il caso del falegname di Pietralunga la procura di Perugia decise l’archiviazione, ignorando le opposizioni degli avvocati alla richiesta di escludere la possibilità dell’omicidio. Per la magistratura di Perugia, nonostante le rimostranze di parenti amici e, tra i politici, soprattutto dei radicali, Aldo Bianzino morì per cause naturali anche se entrò in carcere sano e ne uscì morto. Qui non si vuol dar la croce addosso a questo o quel magistrato o mettere in dubbio i risultati delle indagini pur con tutti i dubbi che restano, in una vicenda o nell’altra. Vien solo da chiedersi perché alcune morti pesino più di altre. Almeno sul piatto mediatico. Quella del povero Aldo pesava davvero molto meno di quella della povera Meredith. Giustizia: “caso Meredith”; Amanda e Raffaele assolti, tornano liberi dopo 1.450 giorni di carcere Asca, 4 ottobre 2011 Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono liberi; nella notte le formalità di rito in carcere e poi hanno potuto riabbracciare i propri cari. La sentenza di assoluzione (per non aver commesso il fatto) della corte d’Appello perugina, otto giudici di cui 6 popolari (5 donne) e due togati (presidente Claudio Pratillo Hellmann, a latere Massimo Zanetti) che doveva giudicarli per la morte di Meredith Kercher, studentessa inglese a Perugia per Erasmus, uccisa nella notte tra il 1 e 2 novembre 2007, è arrivata alle 21,53. È stata letta lentamente dal presidente; una sentenza che ha ribaltato il verdetto di primo grado (26 anni alla Knox e 25 a Sollecito), dopo 1450 giorni di carcere per i due giovani ex fidanzatini. Venti anni lei al momento dell’arresto, 23 lui, che continua anche oggi a studiare dopo una prima laurea in informatica presa in carcere. Una lunga prova di vita con i giorni difficili in cella, trascorsi per Amanda e Raffaele tra paure continue, in due diversi istituti italiani: a Terni Sollecito, a Capanne - Perugia, Amanda. Dalla notte scorsa, alle 23,32 Sollecito uscito dal carcere di Terni, ma prima alle 23,11 la Knox uscita dal carcere di Capanne su una Mercedes nera, sono liberi e scagionati dall’accusa di omicidio nei confronti di Meredith Kercher. Raffaele Sollecito, come ha sottolineato Andrea Maori, uno dei suoi difensori, vuol tornare a vedere il mare, in silenzio. Per la Knox c’è invece un ritorno in patria a Seattle, già oggi, città che nella notte ha festeggiato la sua liberazione e la fine di un incubo. Per la morte di Meredith Kercher resta quindi in carcere a Viterbo, Rudy Guede, l’ivoriano che con rito abbreviato è stato condannato a 16 anni di reclusione, in concorso, per lo omicidio di Mez. Non viene escluso che i suoi legali, alla luce della sentenza assolutoria della Corte di Appello perugina nei confronti dei due ex fidanzatini, decidano di chiedere una revisione del processo. Sardegna: sette carceri su dodici somo senza direttore… e nessuna assunzione prevista Vita, 4 ottobre 2011 Sette carceri su dodici non hanno un direttore. Questa è la fotografia della situazione penitenziaria della Sardegna, quando Elisa Milanesi, vicedirettore del carcere cagliaritano di Buon Cammino diventa direttore di quella di Alghero. “La positiva notizia non cancella - sostiene Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” - una condizione insostenibile per le carceri sarde. Da diversi anni l’Amministrazione Penitenziaria infatti non assume direttori”. Con la conseguenza che Gianfranco Pala, direttore della Casa Circondariale di Cagliari, quella che ospita un quarto delle persone private della libertà in Sardegna, regge anche quella di Iglesias, Pierluigi Farci, responsabile di Oristano, anche la colonia penale di “Is Arenas”, Gabriella Incollu oltre all’Istituto di Nuoro dirige anche la colonia penale di “Mamone” e Marco Porcu, titolare a Isili, deve curare anche Lanusei. Teresa Mascolo, oltre al “San Sebastiano” di Sassari dirige anche Tempio Pausania. “È paradossale inoltre - afferma la presidente di Sdr - che non sia stata prevista alcuna nuova assunzione di Direttori considerando che nell’isola sono in costruzione quattro nuove strutture penitenziarie. La costruzione delle ‘cattedrali di cementò con un numero di posti - letto che raddoppierà la presenza di persone detenute nel territorio (da circa 2.300 si passerà a quasi 4 mila) dovrà necessariamente prevedere la cessazione dello scavalco”. Caligaris spiega che non è possibile che un direttore debba reggere fino a quattro strutture, sottolineando come questa situazione porti gli amministratori dei penitenziari semplicemente a svolgere l’ordinaria amministrazione e “non certo un principio costituzionale quale deve essere la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti a cui concorre pienamente anche il Direttore”. E infine un auspicio. “Speriamo che il Ministro della Giustizia - conclude Caligaris - s’impegni almeno a garantire i necessari Direttori visto che non si intravede nessun serio atto per ridurre il numero dei detenuti, per rafforzare gli educatori e gli psicologi nonché per rendere meno pesante il lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria”. Roma: il Garante; a Regina Coeli 1.200 detenuti, situazione al limite dell’emergenza Il Velino, 4 ottobre 2011 “Costretti, per il sovraffollamento, a dormire in 6 o 8 in celle che dovrebbero contenerne la metà o su materassi gettati in terra in locali destinati alla socialità, con soli 20 minuti di aria al giorno a disposizione, qualche volta senza mangiare, e con il rischio di epidemie alle porte. È questa la drammatica situazione che stanno vivendo gli oltre 1.200 detenuti del carcere di Regina Coeli”. La denuncia è del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: “Questa mattina - ha detto - a Regina Coeli erano recluse 1.201 persone a fronte di una capienza di 724 posti che, però, non tiene conto del fatto che una sezione e mezza è chiusa per lavori di ristrutturazione. Numeri che fanno impallidire, e che superano anche quella capienza tollerabile che, spesso, viene usata come metro di misura dal Dap per minimizzare il dramma del sovraffollamento”. “Dall’inizio dell’anno i detenuti di Regina Coeli - una struttura realizzata nel 1600 e ormai non più in grado di garantire standard accettabili di carcerazione, che ha bisogno di continui interventi di ristrutturazione - sono aumentati di oltre 100 unità; questo nonostante l’entrata in vigore di un provvedimento come il cd. “decreto svuota carceri” che avrebbe dovuto alleviare il sovraffollamento negli istituti - si legge nella nota del garante. La conseguenza più grave del sovraffollamento, è legata al peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti e di quelle di lavoro degli operatori penitenziari, in particolar modo degli agenti di polizia penitenziaria, in cronica carenza di organico”. “Criticità, queste, che si avvertono a Regina Coeli più che in altre strutture - ha detto il Garante - perché quello di via della Lungara è un carcere di passaggio, dove i detenuti restano in attesa o della scarcerazione o della condanna di I grado. Per intendersi, Regina Coeli è la struttura dove sono trasferiti tutti coloro che vengono arrestati a Roma. Il sovraffollamento non consente di sfollare Regina Coeli: nelle ultime settimane, infatti, è stato possibile trasferire dal carcere solo 25 persone a settimana, quando nei fine settimana, vengono arrestate almeno 30 persone”. “A Regina Coeli, un detenuto su quattro è in attesa dell’appello: potrebbe partire per altre destinazioni, ma resta a Regina Coeli. Più della metà dei detenuti sono stranieri - prosegue il comunicato - In tutta la struttura, i collaboratori del Garante hanno ricevuto lamentele per la quantità e la qualità del cibo; in almeno un’occasione, 50 detenuti della Sezione di primo ingresso non hanno ricevuto il pasto. Sempre in questa sezione il sovraffollamento, i divieti di incontro, i casi di isolamento sanitario e disciplinare rendono la situazione ingestibile: i detenuti hanno 20 minuti d’aria al giorno, non possono cucinare, non hanno momenti di socialità, in alcuni casi dormono su materassi stesi a terra e possono contare su un solo rotolo di carta igienica al mese fornito dall’amministrazione penitenziaria. I detenuti mangiano sui letti e sono costretti a tenere indumenti e cibo sotto il letto, per non affollare ulteriormente gli spazi. Nel carcere la situazione igienico sanitaria comincia ad essere preoccupante. Il medico prevede rischi di epidemie con malattie contagiose come tubercolosi, scabbia che si stanno diffondendo di nuovo. All’interno del Centro Clinico, sugli 84 detenuti presenti, 12 non hanno particolare bisogno di cure, ma sono provvisoriamente alloggiati lì perché nel resto del carcere non c’è posto”. “Il paradosso di questa situazione - ha concluso il Garante - è che si sta creando un clima di solidarietà tra personale di polizia penitenziaria e detenuti: non sono infrequenti i casi in cui due soli agenti devono controllare oltre 220 detenuti. Se questa vera e propria emergenza umanitaria non è ancora deflagrata, lo si deve al senso di responsabilità dei detenuti e, soprattutto, all’impegno della polizia e degli operatori penitenziari che, nonostante i paurosi vuoti di organico, ogni giorno affrontano e risolvono molteplici problematiche: dalle traduzioni alla ricerca di posti letto fino alla gestione di centinaia di colloqui giornalieri in una struttura e in un contesto che, certo, non aiutano a pensare ad un futuro migliore”. Enna: siamo 7 in una cella… denuncia-appello dei detenuti Agi, 4 ottobre 2011 “Accettiamo le pene inflitte, ma non accettiamo di essere privati dei diritti e della dignità”: è uno dei passaggi della lettera con la quale gli oltre 200 detenuti del carcere di Enna denunciano condizioni di vita disumane e ritardi nell’applicazione di sconti di pena e scarcerazioni cui avrebbero diritto. La lettera è stata inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ai presidenti di Camera e Senato, al Csm, al Garante per i diritti dei detenuti e al presidente del tribunale di sorveglianza di Caltanissetta, dove, secondo i detenuti, si registrerebbero ritardi. “Vorremmo essere considerati esseri umani - scrivono ancora i detenuti - e non sentirci vittime di logiche giustizialiste”, denunciando che nel carcere di Enna in una cella di 21 metri quadrati vivono 7 persone con brande a 4 piani, e sottolineando di non ottenere, pur avendone diritto, benefici riconosciuti dalla legge, per i ritardi del tribunale di sorveglianza di Caltanissetta. Bologna: nomina del Garante dei detenuti; Sel e parte del Pd impallinano l’ex questore Pipitone Corriere della Sera, 4 ottobre 2011 La nomina del nuovo garante dei detenuti condanna il centrosinistra all’implosione. Tre votazioni, infatti, non sono bastate ieri pomeriggio a raggiungere il quorum sul candidato indicato dal Pd, l’ex questore Giovanni Pipitone, a cui sono mancati addirittura i voti di qualche Democratico. Nei prossimi giorni si cercherà di trovare la quadra su chi sarà il successore di Desi Bruno, ma intanto nel centrosinistra volano accuse incrociate tra i consiglieri del Pd e quelli della lista Amelia-Sel, che si sono astenuti al momento del voto. E Pdl e Lega nord parlano già di “maggioranza allo sfascio”. È la vendoliana Cathy La Torre ad annunciare in consiglio comunale che il cammino per l’elezione del nuovo garante dei detenuti non sarà facile. “Avremmo preferito vedere una maggiore attenzione verso i soggetti più deboli e le candidature in campo non partono certo da questo punto di vista”. Nella rosa di tre nomi uscita dai lavori di commissione, infatti, oltre a Pipitone ci sono l’ex provveditore regionale alle carceri Nello Cesari (sostenuto dal centrodestra) e l’avvocato Mario Turco. I consiglieri delle lista Amelia - Sel, dunque, impallinano il nome della maggioranza e scelgono scheda bianca. Peccato che non siano gli unici a farlo. Alla prima votazione a scrutinio segreto, nonostante i 16 Democratici presenti in aula, Pipitone raggiunge solo nove preferenze contro le undici di Cesari e le tre di Turco. Ben lontano, quindi, dal quorum di 25 voti necessario alla nomina a garante dei detenuti. La seconda e la terza votazione cambiano poco le cose. Pipitone arriva a 13 preferenze: manca ancora qualche voto Democratico, oltre che quelli degli alleati di Idv e lista Amelia-Sel. In attesa di un accordo sul garante non resta che rinviare il voto, ma lo scivolone lascia qualche contraccolpo negli equilibri della maggioranza. Il capogruppo del Pd Sergio Lo Giudice prova a ridimensionare l’incidente. “Quando di procede a una selezione per curricula, senza ordini di scuderia, è normale che ci siano opinioni divergenti”. La rosa di nomi tra cui scegliere resterà quella, assicura però il Democratico, che non rinuncia a una stoccata verso gli alleati: “Mi sarei aspettato che ci indicassero una posizione chiara, evidentemente le posizioni al loro interno erano diverse e hanno scelto l’astensione”. Una frecciata che la vendoliana Cathy La Torre rispedisce in casa Pd. “Lo Giudice dovrebbe guardare i problemi nel suo gruppo, nessuno può chiederci un voto bulgaro”. E mentre l’assessore Amelia Frascaroli si tiene bene a distanza dalla polemica (“Il gruppo consiliare è autonomo”), il capogruppo del Pdl Marco Lisei affonda il coltello nella ferita: “Nonostante i numeri in aula il centrosinistra non riesce nemmeno a votare il garante, questa maggioranza è già allo sfascio”. Ancona: interrogazione del Pd; il dramma di Montacuto approda in Parlamento Corriere Adriatico, 4 ottobre 2011 Il dramma di Montacuto approda a Palazzo Madama. Le senatrici marchigiane del Pd Marina Magistrelli e Silvana Amati hanno presentato un’interrogazione in cui chiedono di conoscere “se il Governo ha adottato o ha intenzione di adottare misure tempestive ed urgenti per far fronte all’emergenza del sovraffollamento negli istituti di pena, e, in particolare per il potenziamento del sistema sanitario all’interno delle carceri”. Chiedono inoltre quali sono stati ad oggi “gli interventi effettivi e le risorse messe a disposizione dal piano carceri istituito dal Governo, per dare risposte concrete al problema più urgente, e cioè, quello del sovraffollamento, che rende sempre più difficile per non dire drammatica, la vita sia dei detenuti che dello scarsissimo personale di custodia”. Nell’interrogazione viene ricordato il recente decesso, a Montacuto, di un detenuto di 50 anni, Eugenio Riccio, colpito “a quanto sembra da una crisi cardiaca” e “trovato morto in cella 10 ore dopo essere stato dimesso dall’ospedale”. Riccio “era uno dei detenuti che nel corso delle settimane passate aveva aderito allo sciopero della fame assieme a diversi altri detenuti, per protestare per le condizioni assurde in cui si vive all’interno del carcere anconetano”. Sempre a proposito di Montacuto, le due senatrici evidenziano che esso “potrebbe contenere massimo 178 detenuti e, ad oggi, la struttura ne ospita 440”. Parma: dure condanne ai vigili per lo scandalo del pestaggio di Emmanuel Bonsu Corriere della Sera, 4 ottobre 2011 I vigili urbani lo scambiarono per un pusher, uno spacciatore. E gli riservarono un trattamento speciale: il ragazzo venne picchiato, denudato, insultato, umiliato per il nero della sua pelle, immortalato in fotografia neanche fosse un trofeo da safari e infine riconsegnato al padre con un occhio rovinato (il medico legale ha parlato di “danni permanenti”), uno choc dal quale ancora non si è ripreso e una busta con la scritta “Emmanuel negro”. “Si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato” è stata una delle argomentazioni sentite durante il processo a difesa degli 8 agenti municipali finiti alla sbarra. In realtà, l’unica “colpa” di Emmanuel Bonsu, che in quel pomeriggio di settembre del 2008 aveva 22 anni e frequentava le scuole serali, è stata sedersi sulla panchina di un parco di Parma, in attesa che iniziassero le lezioni, finendo tra le grinfie di un commando di vigili che avevano scambiato un’operazione antidroga per una missione alla Rambo. Ieri pomeriggio, dopo un anno di udienze e 5 ore di camera di consiglio, il tribunale presieduto da Paolo Scippa ha inflitto in primo grado agli otto vigili urbani pene per oltre 39 anni. Nutrito il pacchetto delle accuse: sequestro di persona, lesioni aggravate, calunnia, falsità ideologica e, per due degli agenti, anche l’aggravante della discriminazione razziale. Sette anni e 9 mesi all’agente Pasquale Fratantuono (quello della foto trofeo con Bonsu), 7 anni e 6 mesi all’ex vicecomandante Simona Fabbri e 6 anni e 8 mesi all’ispettore capo Stefania Sporti: per tutti l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Pene dai 2 ai 4 anni per gli altri agenti: Giorgio Albertini, Andrea Smisi, Marco De Blasi, Mirko Cremonini, Graziano Cicinato. Altri due vigili, che avevano scelto il rito abbreviato, Marcello Frattini e Fernando Villani, sono stati condannati a 3 anni e 4 mesi e a 2 anni e 10 mesi. Ad Emmanuel, che è iscritto a Scienze politiche a Milano, andrà un risarcimento di 135 mila euro. A padre Alex, operaio, che per primo affrontò quella sera i vigili urbani, presentando poi denuncia ai carabinieri, ha commentato: “La verità è venuta fuori: mio figlio quel giorno non commise alcun reato, è stato la vittima e ancora non si è ripreso”. La vicenda Bonsu fu qualcosa di più di un pestaggio: fu l’inizio dei guai per la giunta civico - berlusconiana del sindaco Pietro Vignali, travolto nei giorni scorsi dalle inchieste sulle tangenti per il verde pubblico e le mense. Ci furono polemiche feroci. Un assessore si dimise. Il sindaco chiese scusa alla famiglia. E venne anche commissionato un film per riabilitare l’immagine dei vigili. Nella pellicola, sugli schermi in questi giorni, fanno capolino anche il sindaco Vignali e il comandante delle guardie municipali: il primo è ora dimissionario, l’altro è agli arresti. Il film si intitola “Baciato dalla fortuna”. Ferrara: prosegue la manifestazione “cella in piazza” con letture, lezioni, visite guidate Ristretti Orizzonti, 4 ottobre 2011 Prosegue fino a domenica 9 ottobre la presenza di una cella in piazza Trento Trieste. Centinaia i visitatori che hanno fatto capolino nei tre giorni del Festival di Internazionale e numerose le iniziative programmate per questa settimana. Già lo scorso lunedì due classi dell’ITI “Copernico - Carpeggiani” sono venute in visita, accolte da Daniele Lugli, Difensore civico della Regione Emilia - Romagna e principale promotore dell’iniziativa insieme al CSV di Ferrara e al Garante dei Detenuti. Altre classi sono attese stamani, questa volta dal Liceo “G. Carducci”, e di nuovo sabato mattina, quando troveranno ad accoglierle Marcello Marighelli, Garante dei Detenuti di Ferrara, e Francesco Colaiacovo, Presidente del Consiglio Comunale. Difficile descrivere l’atteggiamento dei molti visitatori: c’è chi dopo pochi minuti in cella sente salire l’angoscia, chi la reputa una camera d’albergo ancora troppo spaziosa ed altri che hanno conosciuto l’esperienza del carcere in modo diretto o indiretto, per problemi con la giustizia o per mestiere, e trasmettono con partecipazione un pò della loro esperienza. Le diverse posizioni pensieri sono state espresse, bianco su nero, sul cartellone appeso sul fianco. Ma se scopo della cella era far parlare di carcere avvicinandolo alla quotidianità delle persone “normali”, l’esperimento è certamente riuscito. Incuriosisce la routine del detenuto, dai pasti alla possibilità di privacy. Le piccole privazioni colpiscono ancor più dei suicidi in carcere o dell’insufficiente intervento rieducativo. L’iniziativa è resa possibile dai volontari che, insieme ai promotori, si alternano presso la cella. Sono coinvolti l’associazione evangelica “Renata di Francia”, Amnesty International, la coop. soc. “Il Germoglio”, la Scuola Forense e l’associazione “Viale K”. In piazza sono inoltre previste lezioni aperte con docenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara. La prima si terrà oggi pomeriggio alle 18 con Francesco Trapella (“Uso e abuso della custodia cautelare: dal mito della toga all’emergenza carceraria”) e Cristiana Valentini (“Carcere, la sfida della sopravvivenza”), seguita da una lettura teatrale di Marcello Brondi. Un’altra lettura è prevista giovedì 6/10 alle 18 con il gruppo “Tasso” che presenterà brani tratti da “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, mentre alle 18 di sabato 8/10, penultimo giorno della cella in piazza, Andrea Pugiotto terrà una lezione in piazza sul tema “La Costituzione dietro le sbarre”. Presso la cella è infine possibile un contatto diretto con il Difensore civico regionale. Un’apposita buchetta postale e la presenza pressoché costante del Difensore o dei suoi collaboratori garantiscono a tutti i cittadini la possibilità di esporre le proprie difficoltà con pubbliche amministrazioni o servizi pubblici e di richiedere un intervento. Napoli: report sul convegno “La territorialità della pena” Ristretti Orizzonti, 4 ottobre 2011 “Il sovraffollamento, non è solo un problema di spazio vitale individuale, ma ha effetti negativi su tutto il processo trattamentale di rieducazione e reintegrazione, cosi come sulla quotidianità, non solo dei detenuti ma del personale dell’Amministrazione Penitenziaria”. È quanto ha dichiarato il Presidente della IV Commissione speciale regionale (Mobbing we contro ogni forma di discriminazione) Donato Pica, nel corso del suo intervento al convegno “Il valore della territorialità della pena nel processo educativo”, voluto ed organizzato dal Garante dei detenuti, la dottoressa Adriana Tocco e patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale della Campania. E proprio su questo tema, che il presidente Pica ha posto “la necessità di interventi strutturali, anche attraverso la formulazione di una proposta di legge, presentata dalla IV Commissione Speciale, per far si che si possa creare un sistema integrato regionale di interventi finalizzati a tutelare la dignità delle persone detenute”. Sullo stesso tema è anche intervenuto l’assessore alle politiche sociali del Comune di Napoli, Sergio D’Angelo: “L’emergenza legata al sovraffollamento delle carceri, richiamata peraltro dal Presidente della Repubblica in visita a Napoli nei giorni scorsi, impone uno sforzo straordinario da parte di tutte le istituzioni che hanno il compito di coordinare meglio le poche risorse economiche disponibili al fine di potenziare interventi e progetti di assistenza e di lavoro dentro i principali penitenziari e rafforzare il territorio nella sua capacità di accoglienza e di sostegno di percorsi di integrazione lavorativa”. A rafforzare ancor di più il tema del convegno è stato l’Avv. Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus” Camera Penale di Napoli): “Il principio della territorialità della pena è previsto dall’Ordinamento e dal Regolamento Penitenziario che - sottolinea - in caso di trasferimenti e di distribuzione dei detenuti, ne invocano il rispetto. La lontananza dal luogo di residenza rende difficile e a volte impossibile per il detenuto l’incontro con i familiari, l’assistenza con i servizi territoriali, lo stesso rapporto con l’Avvocato, rende poi ancora più difficile il percorso rieducativi”. “Eppure tale diritto del detenuto - conclude - non trova una vera e propria tutela giurisdizionale, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale che ha invitato il Parlamento a intervenire in merito, da oltre dieci anni”. “La maggior parte dei detenuti presenti nelle case circondariali e negli istituti di pena campani, si rivolge al garante per denunciare la sofferenza per la lontananza della famiglia, per la difficoltà legata alla distanza, ai collegamenti non facili, alle ristrettezze economiche in cui molti detenuti versano”. È quanto ha dichiarato il Garante dei detenuti della Regione Campania, aprendo i lavori del convegno “Il valore della territorialità della pena nel processo educativo”, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio Regionale della Campania, nella figura del Presidente Paolo Romano, svoltosi stamani presso la sede consiliare, alla presenza dei vertici regionali e nazionali del Dap e dell’Amministrazione Penitenziaria, tra questi il Provveditore regionale per l’Amministrazione Penitenziaria, dott. Tommaso Contestabile e al Presidente del Tribunale di sorveglianza di Napoli, dott. Carminantonio Esposito, il Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il Prof. Mauro Palma, il Presidente Associazione “Il Carcere possibile Onlus”, l’Avv. Riccardo Polidoro, il Capo dell’Ufficio Ispettivo del Dap, Dott. Francesco Cascini, il Capo dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dap, dott. Sebastiano Ardita, il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Sicilia, l’assessore alla politiche sociali del Comune di Napoli, Sergio D’Angelo, il capo di gabinetto dell’assessore regionale alle politiche sociali, il dott. Renato Grimaldi, a cui sono state affidate le conclusioni del convegno. Folta anche la presenza di consiglieri regionali presenti in platea: per il Pd il capogruppo Giuseppe Russo, Angela Cortese, Lello Topo e Corrado Gabriele e per Italia Dei Valori, Anita Sala. “La territorialità - secondo la Garante - è di gran lunga il primo problema da risolvere, ancor prima della salute, del vitto o ancor di più dei generi di prima necessità che mancano. Non si tratta solo di un problema di natura tecnico giuridica connesso con l’applicazione dell’art, 42 dell’OP, ma si tratta anche di una questione di natura culturale, e cioè di avere da parte di tutti un approccio democraticamente positivo nei confronti dei detenuti e del mondo carcerario nel suo complesso”. “Ed è per questo che - aggiunge la Tocco - urge applicare il principio della territorialità della pena, come questione di diritto e di civiltà giuridica e sociale, facendo rientrare così tale approccio, non per benevolenza verso i detenuti, ma semplicemente per restituire all’istituzione carceraria il suo ruolo di rieducazione come previsto dalla Costituzione”. “Tale atteggiamento - prosegue la Garante - eviterebbe anche un’altra conseguenza, cioè di far passare i detenuti, nella loro percezione, da colpevoli a vittime. Ed è per questo, che sottolineo l’esigenza per i detenuti comuni dell’essere vicini alla famiglia e al luogo di residenza, che diventa una condizione indispensabile per il reinserimento, mentre lo sradicamento appare dannoso sotto ogni aspetto”. E proprio per rimanere sul tema del reinserimento dei detenuti, che la cooperativa “Le lazzarelle” che opera all’ interno del carcere femminile di Pozzuoli, dove le donne recluse si occupano della produzione di caffè partendo dalla tostatura fino alla distribuzione, ha gentilmente offerto agli intervenuti un coffee break offerto durante la conferenza e un lunch a fine dello stesso. Siena: detenuto del carcere di San Gimignano si laurea con 110 e lode Agi, 4 ottobre 2011 Laurea con 110 e lode per un detenuto del carcere di San Gimignano con una tesi su: “La Sicilia dagli arabi ai normanni: i conflitti civili”. Il corso di laurea triennale è quello in storia tradizione e innovazione della facoltà di Lettere e filosofia. La discussione della tesi, alla quale erano presenti i docenti della commissione, il direttore del carcere Anna Maria Visone e i familiari, rientra nelle attività che l’Università di Siena svolge già da alcuni anni nel carcere di San Gimignano, nell’ambito del protocollo di intesa stipulato nel 2010 tra il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana, la Regione Toscana, e le tre università di Siena, Firenze e Pisa per la costituzione del Polo Universitario Penitenziario regionale. A quanto si apprende da fonti dell’ateneo la discussione della tesi è stata di particolare interesse. E il neo laureato ha espresso l’intenzione di continuare ancora a studiare per ottenere una specializzazione. Immigrazione: tentano di fuggire dal Cie a Modena, 5 tunisini arrestati Agi, 4 ottobre 2011 Hanno tentato la fuga dal centro di identificazione ed espulsione di Via Lamarmora, a Modena, approfittando dell’apertura della porta durante il trasferimento in infermeria di un ospite che aveva accusato un malore. Alla fine i cinque tunisini sono stati tutti arrestati nella notte dai carabinieri. I militari sono stati aggrediti da otto stranieri - uno dei quali “armato” con un tubo di ferro - durante il turno di vigilanza, mentre stavano collaborando nelle operazioni di soccorso con i gestori civili della Misericordia. Cinque di loro sono stato bloccati, dopo una lunga colluttazione, e arrestati per resistenza e violenza a pubblico ufficiale: i tunisini sono stati portati nel carcere di Sant’Anna, mentre sono in corso indagini per cercare di identificare anche gli altri tre immigrati che hanno partecipato al tentativo di fuga. Russia: morto l’ex manager della Yukos al quale in cella furono negate le cure per l’Aids Ansa, 4 ottobre 2011 Era un detenuto malato di cancro, tubercolosi e Aids, al quale venivano negate le cure. Al punto che la sua malattia, addirittura rivoltatagli contro come arma di ricatto, è diventata uno degli emblemi della durezza del sistema carcerario russo. Si è spento stamane, a 39 anni, nella sua abitazione di Mosca, Vasily Aleksanyan, ex vice presidente della Yukos, agli arresti dal 2006 per con le accuse di evasione fiscale, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita piovutegli addosso nell’ambito dello scandalo che colpì il petroliere Mikhail Khodorkovsky. Avvocato, ex studente ad Harvard, ex capo dell’ufficio legale della Yukos, Aleksanyan ha trascorso due anni del suo periodo di detenzione in carcere ed è stato protagonista di un lunga lotta per conquistare un rilascio anticipato che gli consentisse di trovare fuori dalle sbarre cure adeguate per le malattie che lo stavano uccidendo. I tribunali russi non hanno mai mostrato pietà per la sua condizione, trasferendolo dal penitenziario in un letto d’ospedale al quale veniva incatenato. In condizioni che gli attivisti per i diritti definiscono degradanti e inumane. Fu nel 2008 che la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo ordinò alle autorità russe che Aleksanyan venisse rilasciato per motivi umanitari. Gli attivisti paragonano il trattamento ricevuto da Aleksanyan a quello subito da Sergei Magnitsky, un avvocato russo che lavorava a Londra per una società di investimento, arrestato per una presunta frode ai danni dei funzionari del governo. Magnitsky morì nel novembre 2009 dopo che nel carcere di Butyrka, a Mosca, gli furono negate le cure per calcoli biliari, pancreatite e colecistite. Cina: breve uscita dal carcere per Liu Xiaobo, Nobel pace 2010 Asca, 4 ottobre 2011 Il premio Nobel per la pace 2010 Liu Xiaobo ha potuto lasciare il carcere per alcuni giorni. Lo ha rivelato il fratello Liu Xiaoxuan all’Afp. Liu Xiaoxuan ha detto che lo scrittore dissidente “è stato mandato a casa il 18 settembre” in occasione del settimo giorno trascorso dalla morte del padre, una ricorrenza importante nella cultura cinese, che consente alle famiglie di riunirsi per ricordare la persona cara. È la prima notizia sulla sorte dello scrittore emersa nell’ultimo anno. Liu Xiaobo deve scontare una condanna a 11 anni di carcere per “incitamento alla sovversione del potere dello stato”. Xiaobo è stato insignito del Nobel l’anno scorso “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”, decisione che ha scatenato le ire del governo di Pechino.